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Federazione nazionale per le tecnologie biomediche, diagnostiche, apparecchiature medicali, dispositivi medici borderline, servizi e telemedicina Il federalismo sanitario: la gestione del SSN nel nuovo assetto di federalismo fiscale NUMERO 13- APRILE 2012

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Federazione nazionale per le tecnologie biomediche, diagnostiche, apparecchiature medicali, dispositivi medici borderline, servizi e telemedicina  

Il federalismo sanitario: la gestione del SSN nel nuovo assetto di federalismo fiscale

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                   Centro studi di economia sanitaria Ernesto Veronesi Direttore: Paolo Gazzaniga

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Il federalismo sanitario: la gestione del SSN nel nuovo assetto di federalismo fiscale

A cura di:

Felice Cincotti*

Maria Cristina Bussone**

*Centro Europa Ricerche - CER

**Centro Studi Assobiomedica

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INDICE

IL FEDERALISMO SANITARIO: LA GESTIONE DEL SSN NEL NUOVO ASSETTO DI FEDERALISMO FISCALE ............................................................................................................... 5

1. LE CARATTERISTICHE GENERALI DEL FEDERALISMO FISCALE ...................................... 5

2. LA DEFINIZIONE DEL FABBISOGNO SANITARIO ................................................................. 6

2.1 La definizione del fabbisogno sanitario standard ................................................................. 6

2.2 La soluzione adottata ........................................................................................................... 7

3. IL RIPARTO TRA LE REGIONI ................................................................................................. 8

3.1 Il riparto regionale vigente ................................................................................................... 8

3.2 Il nuovo riparto tra le regioni .............................................................................................. 10

4. IL MECCANISMO DI FINANZIAMENTO E LA GOVERNANCE DEL SETTORE ................... 13

5. I PIANI DI RIENTRO ............................................................................................................... 14

6. CONCLUSIONI ....................................................................................................................... 18

BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................... 19

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IL FEDERALISMO SANITARIO: LA GESTIONE DEL SSN NEL NUOVO ASSETTO DI FEDERALISMO FISCALE 1. LE CARATTERISTICHE GENERALI DEL FEDERALISMO FISCALE Lo scorso anno si è sostanzialmente concluso il lungo processo di transizione del Paese al federalismo fiscale. Sebbene alcuni elementi del nuovo assetto debbano essere ancora definiti, a distanza di 10 anni viene data attuazione a quella parte della riforma costituzionale del 2001 relativa all’autonomia economica e finanziaria delle autonomie territoriali1. La legge delega 42/2009 prima e i successivi decreti legislativi dopo hanno:

1. stabilito le entrate su cui le autonomie territoriali possono contare per l’esercizio delle funzioni e competenze loro attribuite2 (questo mix di risorse, individuato secondo il principio di territorialità, è stato pensato dal legislatore tale da consentire il concreto esercizio dell’autonomia tributaria e un adeguato livello di flessibilità fiscale);

2. abolito i trasferimenti erariali ancora esistenti (ad eccezione di quelli perequativi e aventi specifiche finalità) che finanziano il normale esercizio delle funzioni svolte dagli Enti territoriali e colmato il divario tra l’autonomia di spesa cui gli Enti godono e l’autonomia/responsabilità di entrata ora riconosciuta agli stessi, con l’obiettivo di recuperare le sacche di inefficienza nella Pubblica Amministrazione.

Affinché quest’ultimo obiettivo (il recupero di efficienza nella spesa) sia perseguito senza pregiudicare l’unità sostanziale del Paese, ovvero senza entrare in conflitto con un altro fondamentale obiettivo, quello di garantire a tutti i cittadini il pieno godimento dei diritti civili e sociali nazionali, il legislatore ha previsto meccanismi di solidarietà a favore delle aree a minore capacità fiscale. In particolare è stato istituito un fondo di perequazione, il cui funzionamento è distinto tra due gruppi di funzioni attribuite agli enti territoriali:

1. le funzioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) di competenza delle Regioni, e quelle fondamentali di competenza degli Enti locali e soprattutto dei Comuni; più precisamente, i LEP comprendono la sanità, l’assistenza, l’istruzione (con riferimento alle funzioni di carattere amministrativo già ora di loro competenza) e il trasporto pubblico locale, per la parte in conto capitale; mentre le funzioni fondamentali degli Enti locali afferiscono, ad esempio per i comuni, ai servizi di polizia locale, di viabilità e di trasporto, ecc.3;

2. le restanti funzioni attribuite agli enti territoriali. Per il primo gruppo di funzioni, la perequazione dei fabbisogni deve essere integrale, vale a dire che devono essere assicurate agli Enti territoriali le risorse necessarie all’erogazione delle corrispondenti prestazioni, secondo gli standard che sono definiti dallo Stato e che devono trovare uniforme applicazione i tutto il Paese, mentre per il secondo gruppo la perequazione è parziale, nel senso che è mirata a ridurre e non ad annullare le differenze esistenti nella capacità fiscale dei singoli enti.

                                                            1 Cfr. legge costituzionale 3/2001, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, che riforma i rapporti tra gli Enti costitutivi della Repubblica. In sintesi, la riforma introduce nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà, completando e sistematizzando il processo di devoluzione di funzioni e competenze alle autonomie territoriali avviato agli inizi degli anni ’90 e attribuisce agli enti territoriali un’ampia autonomia di entrata.  2 Cfr. l. 42/2009, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione”. La legge reca i principi e i criteri direttivi per la definizione del nuovo assetto, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, conferendo apposita delega legislativa al Governo. Tra il 2010 e il 2011, il governo ha provveduto ad emanare i decreti legislativi attuativi, sulla base delle procedure definite nella stessa legge delega.  3 Cfr. d. lgs. 216/2010, articolo 2.  

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Per i LEP, in particolare, il fatto che la perequazione debba essere integrale porta a dover depurare il relativo fabbisogno da eventuali inefficienze delle amministrazioni, superando il criterio della “spesa storica”. In altre parole, il fabbisogno che viene garantito è quello definito sulla base di appositi costi standard delle prestazioni, individuati a loro volta secondo criteri di efficienza e di appropriatezza.

Nell’ambito di questo disegno, la regolamentazione del Servizio sanitario nazionale (SSN) ricopre un ruolo rilevante, sia per le carattere intrinseche del servizio, che, più che in altri settori, coinvolge da vicino la persona e i diritti legati alla vita umana e alla sua tutela, sia per l’ammontare delle risorse coinvolte.

Nelle pagine seguenti, dopo aver considerato in termini generali le difficoltà di stimare fabbisogni basati su specifici costi standard sanitari, sono esaminate le regole che definiranno in futuro il finanziamento nazionale disponibile e il suo riparto tra le Regioni, nonché il sistema di governance complessivo. Poste a confronto con la situazione vigente, si mostrerà come la nuova regolamentazione non introduca innovazioni tali da modificare il funzionamento del SSN, per quanto riguarda gli aspetti economico-finanziari e le relazioni tra Stato e Regioni, che dunque rimane per ora sostanzialmente immutato. 2. LA DEFINIZIONE DEL FABBISOGNO SANITARIO 2.1 La definizione del fabbisogno sanitario standard  La definizione dei fabbisogni sanitari standard da parte dello Stato, costituisce l’innovazione principale del nuovo assetto istituzionale di stampo federalista. Quella di stabilire un livello di finanziamento adeguato - tale cioè da corrispondere ai costi ritenuti congrui per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, in condizioni di efficienza, di appropriatezza e di efficacia - è evidentemente una sfida non banale, rispetto alla quale gli ostacoli che devono essere superati sono molti e di seguito se ne citano i principali. Sul piano pratico, occorre considerare la scarsa affidabilità dei dati sui costi sanitari e la mancanza di una vera e propria contabilità analitica4. Ciò non solo rende di fatto impossibile calcolare i costi standard come vorrebbe un’interpretazione a cui è stata data grande enfasi a partire dalla presentazione della legge delega, ovvero secondo un procedimento analitico bottom-up (calcolando il costo specifico efficiente per ogni prestazione ricompresa nei LEA, e poi risalire, per semplice sommatoria, alla determinazione del fabbisogno sanitario standard per ciascuna regione e per il paese nel complesso); ma rende difficile percorrere anche soluzioni intermedie, basate su macro-funzioni di spesa5. Sul piano teorico, il costo standard non può essere semplicemente assimilato al costo di produzione di un servizio, che per alcune aree di assistenza come quella ospedaliera potrebbe anche essere stimato, ma deve essere commisurato ai reali bisogni da soddisfare. Allo stato attuale risulta estremamente difficile poter individuare il bisogno di assistenza in ciascuna Regione in modo “diretto”, a partire cioè unicamente dall’intensità dei fattori di rischio e dalla prevalenza delle patologie. E’ invece decisamente più facile finire per farsi influenzare dalla capacità di offerta di prestazioni e servizi di ciascuna Regione; l’appropriatezza di tale offerta andrebbe valutata rispetto alle diverse situazioni di bisogno, e questo si scontra, oltre che ancora una volta con la mancanza di dati analitici completi e affidabili, con difficoltà di natura “scientifica”6.

                                                            4 Con riferimento a primo problema si fa notare che i criteri contabili non sono perfettamente omogenei tra le Regioni con la conseguenza che i costi imputati da ciascuna non sono adeguatamente confrontabili. Inoltre, i modelli CE (in cui i costi sono classificati come nella contabilità aziendale) e i modelli LA (dove i costi sono classificati per funzioni di assistenza sulla base dell’articolazione dei LEA), a parte l’eterogeneità dei criteri contabili di cui sopra, scontano una difficoltà rilevante nel ribaltare i costi, secondo una logica di activity based costing. 5 Cfr. L. Arcangeli e C. De Vincenti (2008).  6 Cfr. C. Cislaghi, E. Di Virgilio, I. Morandi e G. Tavini (2008), p. 8.  

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Infine, va sottolineato come i settori sanitari siano tra di loro complementari, con la conseguenza che il costo complessivo non è la semplice sommatoria dei costi delle prestazioni, ma dipende dalla loro combinazione7.

Tutte queste difficoltà nel definire i consumi appropriati delle varie prestazioni e i relativi costi efficienti rendono estremamente difficile stabilire un livello di finanziamento “oggettivo”, coerente cioè con le esigenze sanitarie e i livelli di assistenza che si intende soddisfare, sulla base di appositi costi standard di erogazione8, e contribuiscono a spiegare perché, anche in ambito internazionale, il fabbisogno sanitario sia individuato su un piano più politico che tecnico, tenendo conto delle condizioni della finanza pubblica, delle “preferenze” della collettività e della scala di priorità del governo e delle forze politiche che lo sostengono.

In questi termini, l’esercizio tecnico non è la quantificazione del fabbisogno, bensì la ripartizione del fondo tra le Regioni. Da questo punto di vista, sulla base della letteratura e delle esperienze internazionali, la struttura per età della popolazione è considerata come una variabile fondamentale, capace di spiegare una parte rilevante delle differenze dei consumi sanitari regionali. A questa possono essere affiancate altre proxy, che consentono di replicare meglio i bisogni regionali. In particolare, una proxy considerata significativa, perché presenta una significativa relazione con la prevalenza di patologie, è costituita dalle condizioni socio-economiche della popolazione: a partire dal grado di istruzione, dalle condizioni lavorative, abitative, ecc., può essere ricavato un indice di deprivazione che, combinato opportunamente con l’età della popolazione, può servire a replicare meglio i bisogni regionali9. 2.2 La soluzione adottata Le osservazioni fatte nel paragrafo precedente spiegano perché il governo, quando ha provato a declinare, nel d. lgs. 68/201110, il principio dei fabbisogni standard in sanità abbia alla fine abbandonato il procedimento bottom-up implicito nella legge delega. A partire dal 2013, quando il sistema entrerà progressivamente a regime, il fabbisogno sanitario nazionale, definito standard, verrà stabilito dallo Stato con una procedura di tipo top-down del tutta analoga a quella oggi vigente, ovvero continuerà a essere frutto di una scelta di carattere politico sulla base delle prospettive del quadro macro-economico complessivo e delle esigenze di tenuta dei conti pubblici11.

Nessuna sostanziale innovazione, quindi, rispetto alla situazione attuale in cui governo e Regioni si confrontano per la definizione di un livello di finanziamento ritenuto accettabile. Stato e Regioni continueranno verosimilmente a stipulare specifici Accordi – i cosiddetti Patti per la salute – in cui sarà individuato il finanziamento disponibile, per un orizzonte almeno triennale, e anche altri aspetti rilevanti in materia di governance e programmazione sanitaria. Come in passato, ciò non impedirà allo Stato, a fronte di andamenti dei conti pubblici differenti da quelli programmati, di rivedere verso il basso tale finanziamento, giustificandosi con l’introduzione di misure atte a tagliare la spesa in misura proporzionale.

                                                            7 Ad esempio, in una Regione con una bassa spesa ospedaliera può corrispondere un più alto costo dell’assistenza ambulatoriale, per effetto della riconversione di attività dal ricovero all’ambulatorio. In un’altra può accadere esattamente il contrario. Considerare come virtuoso il costo ospedaliero della prima e quello ambulatoriale della seconda darebbe un dato non corrispondente ai bisogni dei cittadini.  8 Questo, ovviamente, non significa che le analisi sui costi di produzione e di erogazione dei servizi non siano utili per “stanare” inefficienze dal lato della produzione o dell’erogazione dei servizi, ma che è difficile utilizzarli per quantificare i fabbisogni.  9 Cfr. Agenas (2010), pp. 33-37, dove si dimostra peraltro che la deprivazione agisce molto più sulla salute che non sulle modalità di accesso ai servizi. Nello stesso studio, si discute la necessità di considerare anche le differenze regionali relative ai rischi ambientali e alle densità abitativa, per definiti sottolivelli dei LEA.  10 D. lgs. 68/2011, “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”. In particolare, la definizione dei fabbisogni e dei costi standard nel settore sanitario è contenuto nel Capo IV del decreto (articoli 25-32).  11 Fino al 2012 esso è pari all’ammontare definito dal Patto per la salute 20010-2012 e modificato dal dl 78/2010. Per il 2013-2014, il livello del finanziamento è definito dal dl 98/2011.  

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Considerata la rilevanza del punto, sarebbe stato forse opportuno inserire la definizione del fabbisogno nazionale in un quadro di riferimento più generale e articolato, nel quale venisse riconosciuto il giusto peso anche a quei fattori, opportunamente individuati, che incidono significativamente sull’assistenza sanitaria e il suo onere. Si sarebbe trattato cioè di definire un complesso di regole che facesse discendere la scelta del livello di finanziamento, oltre che dalle esigenze di equilibrio complessivo dei conti pubblici, anche dal mutamento delle condizioni peculiari del settore - sulla base di una stima degli effetti associabili, ad esempio, all’evoluzione demografica, al progresso tecnologico e alle dinamiche inflazionistiche settoriali - nonché da eventuali decisioni di revisione dei LEA, o dagli obiettivi stabiliti di “efficientamento” dell’offerta delle prestazioni sanitarie. Ciò avrebbe contribuito a nostro avviso a conferire maggiore credibilità alla scelta effettuata e a facilitare la dialettica istituzionale. 3. IL RIPARTO TRA LE REGIONI Ma il meccanismo che si vuole sovvertire è davvero quello della “spesa storica”? Prima di esaminare accuratamente il punto, sono importanti alcune precisazioni. Nei paragrafi successivi ci riferiremo al fabbisogno per i LEA, e più precisamente al solo fabbisogno “indistinto”, che costituisce la parte largamente maggioritaria del finanziamento complessivo che viene previsto per il SSN12. Affianco al fabbisogno per i LEA, infatti, esiste un fabbisogno vincolato - che serve a finanziare una pluralità di interventi corrispondenti a definiti obiettivi di politica sanitaria nazionale e che viene ripartito tra le Regioni secondo criteri diversi, a seconda dei singoli interventi - che non è possibile esaminare in questa sede13. 3.1 Il riparto regionale vigente In realtà, oggi il riparto regionale del fondo sanitario, dopo un lungo e tortuoso percorso di riforma, segue una procedura ormai distante da una mera applicazione della “spesa storica”14. Il punto di svolta è avvenuto più di 15 anni fa, quando è stata emanata la l. 662/1996 che introdusse il quadro di riferimento generale ancora oggi utilizzato per ripartire il finanziamento statale tra le Regioni in modo equo, cioè in linea con l’eterogeneità dei fabbisogni sanitari regionali. Secondo tale quadro, oltre alla popolazione residente, si devono considerare in sede di riparto tutti i seguenti parametri:

- la frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso; - i tassi di mortalità della popolazione; - “indicatori relativi a particolari situazioni territoriali ritenuti utili al fine di definire i bisogni

sanitari delle Regioni; - indicatori epidemiologici territoriali15.

Da allora a oggi la scelta dei criteri effettivamente seguiti e dei pesi adottati ha subito                                                             12 Per il 2011 a fronte di un finanziamento complessivo di 106.9 miliardi di euro, la parte destinata ai LEA ne ha assorbito il 97,7%. Del fabbisogno LEA, il fabbisogno indistinto ne ha coperto il 99,4%; la restante parte è costituita da cosiddetto finanziamento “finalizzato”, corrispondente a risorse stanziate per far fronte a specifici oneri connessi all’erogazione dei LEA e che sono ripartite secondo specifici criteri. Cfr. Rep. Atti n. 226/CSR del 21 dicembre 2011. 13 Per il 2011 il finanziamento vincolato ha rappresentato il 2,3% di quello complessivo. Tra il fabbisogno vincolato, per la rilevanza delle risorse coinvolte, si segnalano la realizzazione dei cosiddetti Obiettivi di Piano sanitario e il finanziamento di Enti di rilievo nazionale, diversi dalle Regioni (Istituti zooprofilattici sperimentali e la Croce Rossa). Per quanto riguarda il riparto, ciascuno degli interventi segue regole specifiche, che non è possibile esaminare nel dettaglio. Per gli Obiettivi di piano, circa 1,4 miliardi di euro nel 2011, il riparto è normalmente realizzato in base alla popolazione residente tra le sole Regioni a statuto ordinario e la Sicilia. 14 Non è possibile in questa sede ripercorrere i differenti criteri di riparto tra le Regioni utilizzati dall’istituzione del SSN. Cfr. Mapelli V (1999).  15 Cfr. l. 662/96, art. 1, comma 34. In particolare, con riferimento agli “elementi” da considerare in sede di riparto, per la cui pesatura rinviava a successivi provvedimenti, citava la “popolazione residente, frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso, tassi di mortalità della popolazione, indicatori relativi a particolari situazioni territoriali ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari delle regioni ed indicatori epidemiologici territoriali”. 

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un’evoluzione, difficile da esaminare nel dettaglio in questo lavoro, ispirato da una necessità di semplificazione che ha privilegiato, quali proxy dei differenziali di bisogno sanitario, la popolazione regionale e la sua struttura per età (quest’ultima con un’importanza decrescente a partire dal 2005)16.

Per farsi un’idea delle procedure adottate e dei risultati che si ottengono può essere utile considerare da vicino l’ultimo riparto effettuato, relativo al finanziamento per il 201117. Il finanziamento per i LEA viene suddiviso in tre livelli “generali” di assistenza, a loro volta suddivisi in ulteriori sottolivelli, per ciascuno dei quali è stabilito un prefissato ammontare di risorse18, come indicato nella tavola 1.

Fonte: Intesa CSR del 27 luglio 2011 sul riparto FSN 2011

Alla prevenzione collettiva spetta il 5% del finanziamento totale; all’assistenza territoriale spetta il 51% – nella tavola 1 è indicata anche la ripartizione nei corrispondenti sottolivelli – e all’assistenza ospedaliera il 44%. Individuate le risorse complessivamente disponibili per le diverse tipologie di assistenza, la ripartizione tra le Regioni tende ad attribuire a ciascuna una quota capitaria uniforme, calcolata sulla base delle differente anzianità della popolazione regionale. Più precisamente, mediante un sistema di pesi che riproducono il consumo osservato delle diverse fasce di età, la popolazione di ciascuna Regione è ricalcolata in modo che a quelle più anziane della media nazionale, venga riconosciuto un fabbisogno superiore a quello derivante dal numero dei residenti19. In tal modo ogni Regione riceve lo stesso importo pro-capite in termini di popolazione ponderata. In particolare, come mostra l’ultima colonna della tavola 1, la popolazione ponderata è utilizzata per ripartire le risorse relative alla specialistica territoriale (13,3% del fabbisogno indistinto) e

                                                            16 Anticipando la distribuzione delle risorse tra le varie aree dei LEA, descritta più avanti nel testo, è progressivamente venuto meno il riferimento all’incidenza regionale del tasso di mortalità perinatale e infantile che era utilizzata per la distribuzione delle risorse per la prevenzione, attualmente effettata sulla base di un pro-capite secco. Allo stesso modo, mentre nel passato il riparto per la medicina generale e la pediatria e “l’altra assistenza territoriale” era effettuata sulla base della popolazione di riferimento (la popolazione dai 15 anni in su per la medicina generale, quella fino ai 14 anni di età per la pediatria e alla popolazione anziana per la parte di altra assistenza distrettuale riferita agli anziani), con una correzione limitata, nel caso dell’altra assistenza distrettuale, per la differente densità abitativa, ora si utilizza il pro-capite semplice. Per l’assistenza ospedaliera, infine, a cui era riservato il 45% dell’intero fabbisogno indistinto, il riparto avveniva interamente sulla base della struttura per età, ad eccezione di una frazione pari al 5% delle risorse destinate, distribuite secondo il pro-capite secco.  17 Cfr. Rep. Atti n. 165/CSR del 27 luglio 2011 e Rep. Atti n. 226/CSR del 21 dicembre 2011..  18 A legislazione vigente, alle Regioni è assegnata una quota complessiva e indistinta di finanziamento, mentre i valori-obiettivo dei livelli e sotto-livelli di assistenza non rappresentano un vincolo settoriale alla spesa, ad eccezione della farmaceutica, per cui vige un tetto fissato per legge.  19 I pesi attribuiti a ciascuna classe di età sono elaborati dal Ministero della salute e rappresentano il rapporto tra la spesa media per abitante di ciascuna classe e il valore pro-capite di tutte le classi di età, assunto come valore unitario. 

Tavola 1 - La suddivisione dei LEA e i criteri di r iparto

Livello essenziale di assistenza Quota

obiett ivo Sotto-livelli Quota

obiett ivo Modalità di ripartizione

Prevenzione 5% Popolazione semplice

Assistenza distrettuale 51%

Medicina di base Farmaceutica Specialistica

7,0%13,6% 13,3%

Popolazione semplice Tetto sul fabbisogno Popolazione pesata per l'età

Altra territoriale 17,1% Popolazione semplice

Assistenza ospedaliera 44% 22,0% Popolazione pesata per l'età

22,0% Popolazione semplice

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all’ospedaliera, ma solo per metà dell’importo complessivo. Per le altre prestazioni si è fatto riferimento alla popolazione “semplice”, con l’eccezione dell’assistenza farmaceutica territoriale per cui vige un “tetto” parametrato al fabbisogno indistinto (pari al 13,6%).

In definitiva, la quota assegnata secondo il criterio pro-capite secco è di circa il 59% mentre quella pesata per età (pur con pesi differenti) è del restante 41%20.

Passando a esaminare gli effetti di tale procedura, nella figura 1 abbiamo riportato la differenza di risorse pro-capite derivanti dall’utilizzo della popolazione ponderata per l’età rispetto a quelle che sarebbero state erogate sulla base della popolazione semplice (le colonne) e la corrispondente variazione percentuale (i punti). Tutte le Regioni del Centro-Nord, ad esclusione delle due Province autonome, del Veneto e del Lazio, risultano beneficiate dalla considerazione dell’anzianità relativa della popolazione, mentre vengono penalizzate le Regioni meridionali, a eccezione dell’Abruzzo e del Molise. In particolare, le differenze più significative si registrano da un lato per la Liguria, che per ogni abitante riceve circa 95 euro in più, con un incremento del 5,5% rispetto a quanto riceverebbe se si considerasse solo la popolazione semplice, e per la Campania che, al contrario riceve 67 euro in meno per ciascun abitante, pari a circa il 4% in meno di quello che riceverebbe se l’età non fosse considerata.

3.2 Il nuovo riparto tra le regioni Le nuove regole di riparto tra le Regioni21, che entreranno in vigore a partire dal 2013, si riferiscono al finanziamento dei LEA, di cui vengono confermate l’articolazione esistente per tipologie di prestazioni e le dimensioni in termini di risorse assorbite22. Secondo la nuova procedura, l’importo spettante a ciascuna Regione, dipenderà dai costi registrati in un set di tre Regioni benchmark, scelte perché garantiscono l’assistenza sanitaria in condizioni di efficienza e appropriatezza23.

                                                            20 La quota assegnata alla farmaceutica riproduce il riparto dell’86,4% degli altri settori assistenziali e risulta implicitamente pesata per l’età al 5,6% e non pesata all’8%. 21 Secondo il d. lgs. 68/2011, le nuove regole si applicano alle Regioni a statuto speciale purché rispettino i rispettivi statuti. Nel paragrafo abbiamo ipotizzato che tale condizione sia soddisfatta. 22 Rispetto alla normativa vigente viene introdotto l’obbligo per le Regioni di conformarsi alle percentuali di spesa previste per i LEA. Tale disposizione potrebbe favorire recuperi di efficacia ed efficienza, soprattutto nelle Regioni la cui struttura di prestazioni è sbilanciata verso l’assistenza ospedaliera.  23 Le Regioni di riferimento di riferimento sono tre e sono scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra le cinque indicate dal Ministero della salute (di concerto con quello dell'Economia e sentito quello delle Regioni), individuate in relazione alla loro capacità di garantire contemporaneamente i LEA e l’equilibrio di bilancio. Inoltre, nella scelta delle Regioni, occorre garantire la rappresentatività delle diverse aree del Paese (Nord, Centro e Sud) e includerne almeno una di piccole dimensioni. Dovranno essere definiti successivamente

Figura 1 - Il risultato del Riparto: differenze tra quota pro-capite pesata e semplice(valori in euro procapite e in % del pro-capite semplice)

-120,0

-80,0

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in % del procapite secco (scala dx.) scarto procapite (euro; scala sx.)

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Per ciascuno dei macro-livelli LEA il costo (aggregato) definito standard è calcolato pari alla media della spesa pro-capite pesata delle Regioni benchmark. In tale calcolo, la popolazione pesata è individuata sulla base dei criteri utilizzati nel riparto del “secondo esercizio precedente a quello di riferimento”24. A questo riguardo suscita perplessità sia la decisione di servirsi di dati meno recenti di quelli che sarebbero disponibili, che il non aver previsto di perfezionare i criteri di ponderazione usati, mediante il ricorso a tecniche statistiche-econometriche più sofisticate che consentano di incorporare i fattori “legittimi” di bisogno sanitario, depurandoli per quelli “illegittimi”, indotti dall’offerta. Il costo standard così definito è poi moltiplicato per la popolazione pesata di tutte le Regioni. La distribuzione percentuale degli importi regionali così ottenuti rispetto al totale, dato dalla somma degli importi regionali, è considerata, per assunto, esprimere i “fabbisogni regionali standard” e dunque utilizzata per ripartire tra le Regioni il finanziamento standard nazionale definito dallo Stato.

Esaminando da vicino la nuova procedura di riparto, si può mostrare come in realtà essa sia del tutto equivalente a quella vigente25. In particolare, il costo standard, indipendentemente dalla scelta delle Regioni benchmark e dal modo in cui viene calcolato, risulta essere una costante moltiplicativa che non influenza la quota d’accesso regionale al finanziamento nazionale, che continua a dipendere esclusivamente da come è calcolata la popolazione pesata.

Infatti,

dove: CS è il costo standard, la spesa pro-capite pesata, è la popolazione pesata regionale, FSj il fabbisogno sanitario regionale, Pop la popolazione nazionale e F il fabbisogno nazionale26.

                                                                                                                                                                                                     gli indicatori di valutazione dell’appropriatezza, dell’efficienza e qualità dei servizi, che molto probabilmente si rifaranno a quelli già inseriti nell’ultimo Patto per la salute 2010-2012 24 Cfr. d. lgs. 68/2011, articolo 27, comma 7. 25 Cfr. C. Abbafati e F. Spandonaro (2011), Caruso E. e Dirindin N. (2011), Pisauro G. (2010), Corte dei Conti (2011), Servizio Bilancio della Camera (2011), Servizio Bilancio del Senato (2011). Non mancano tuttavia interpretazioni diverse, fondate però su una lettura “estensiva” del testo del decreto, per cui si rimanda a Petretto A. (2011) e Pammolli F. e Salerno N. (2010). Senza entrare nel dettaglio, secondo quest’ultime interpretazioni, a partire dai profili di spesa pro-capite delle Regioni benchmark occorre ricavare dei rapporti tra le spese pro-capite delle varie fasce di età rispetto a quella identificata come base. Una volta calcolati, tali rapporti devono essere usati nel riparto del finanziamento nazionale per ponderare la popolazione. 26 Cfr. C. Abbafati e F. Spandonaro (2011), p. 4. Per una “dimostrazione” formale più accurata, cfr. Caruso E. e Dirindin N. (2011), pp. 15-16 e Pisauro G. (2010), pp. 4-6.

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L’allocazione delle risorse tra le Regioni muterebbe solo se venisse adottato un diverso metodo di pesatura della popolazione rispetto a quello utilizzato nell’anno preso a riferimento. In questa direzione va la possibilità - ammessa nel periodo transitorio previsto di 5 anni - di rideterminare, con cadenza biennale e sulla base di una specifica intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, i criteri in questione. Non è possibile, al contrario, introdurre driver di ripartizione aggiuntivi rispetto all’età, mentre nell’originaria versione del d. lgs. 68/2011 questo era previsto27: pensiamo, in particolare, a un indice di deprivazione, che avrebbe consentito di replicare meglio i fabbisogni regionali. Per illustrare le possibili conseguenze di diversi metodi di pesatura della popolazione, abbiamo condotto due esercizi di simulazione.

Nel primo esercizio abbiamo ipotizzato che il nuovo regime entri in vigore nel 2011 e abbiamo stimato per ciascuna Regione gli effetti conseguenti, in termini assoluti e in percentuale del fabbisogno che le era stato riconosciuto effettivamente (cfr. figura 2). In pratica, abbiamo simulato il riparto del finanziamento per il 2011 sulla base della popolazione e dei criteri utilizzati in quello del 2009, relativi cioè “al secondo esercizio precedente quello di riferimento”. Secondo le nostre stime, risulterebbero beneficiate tutte le Regioni del Mezzogiorno e penalizzate quelle del Centro-Nord (a eccezione di Liguria, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e soprattutto della Regione Marche che anzi guadagnerebbe in proporzione significativa dalle nuove regole).

Sui risultati ottenuti incidono i differenti pesi per età applicati alla specialistica e all’ospedaliera, la minore rilevanza, in termini di risorse, della specialistica territoriale nel 2009 (il 13% del finanziamento LEA contro il 13,3% stabilito per il 2011), che attenua il criterio dell’età e le differenze nelle popolazioni regionali (nel riparto effettivo relativo al 2011 è stata utilizzata la popolazione del 2010, in quello simulato quella del 2009). Più significativi gli effetti del secondo esercizio effettuato, in cui abbiamo simulato il potenziamento del criterio dell’età, ipotizzando che l’intera quota dell’assistenza ospedaliera venga ripartita sulla base della popolazione pesata per l’età. Nella figura 3 abbiamo riportato per ciascuna Regione le differenze rispetto al riparto effettivo 2011, in termini di euro pro-capite e in percentuale del finanziamento. Ovviamente, risultano favorite le Regioni più “anziane”, che vedono assegnarsi maggiori risorse rispetto a quelle ricevute in occasione del riparto effettivo. In particolare, per rimanere alle Regioni più “colpite”, la Liguria guadagnerebbe circa 63 euro pro-capite in più rispetto

                                                            27 In una prima versione del decreto era prevista l’introduzione accanto all’età di “indicatori relativi a particolari situazioni territoriali”, che nella versione finale è stata eliminata. Cfr. Atto Governo n. 317, articolo 22, comma 6, lettera e). Tale riferimento evocava l’utilizzo di indicatori, quale quello di deprivazione, che avrebbero potuto ridurre l’effetto della ponderazione per classe di età. 

Figura 2- Il riparto 2011 secondo la nuova normativa: differenze rispatto al riparto effettivo

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al fabbisogno che le è stato effettivamente riconosciuto nel 2011 (con un incremento percentuale del 3,5%), mentre la Campania perderebbe 43 euro pro-capite (il 2,7% in meno del finanziamento ricevuto effettivamente nel 2011).

4. IL MECCANISMO DI FINANZIAMENTO E LA GOVERNANCE DEL SETTORE Anche dal punto di vista del meccanismo di finanziamento e di governance del settore sanitario, nel nuovo assetto federalista non si prevedono significative innovazioni rispetto alla situazione vigente. Il meccanismo di finanziamento, ossia le entrate deputate a finanziare il settore e il funzionamento del meccanismo perequativo, rimane sostanzialmente quello vigente28. Al finanziamento dei LEA concorreranno il gettito standardizzato, ossia a base imponibile e aliquota uniforme, dell’addizionale regionale all’IRPEF e dell’IRAP e quello convenzionale delle entrate proprie delle ASL (in gran parte entrate da compartecipazioni alla spesa degli utenti)29.

Per le Regioni a statuto ordinario (RSO) la parte residua di fabbisogno che rimane non coperta, viene resa disponibile mediante una compartecipazione all’IVA.

Le Regioni a statuto speciale, ad eccezione della Sicilia, continueranno a finanziare i rispettivi servizi sanitari con risorse attinte dal loro bilancio30.

Rispetto alla situazione vigente, quindi, le uniche differenze sono costituite dal fatto che scompare il riferimento alla quota di compartecipazione regionale al gettito sull’accisa sulla benzina e che il fondo IVA deve garantire le risorse necessarie anche per gli altri LEP – assistenza, istruzione e spese di conto capitale per i trasporti – una volta che venga aumentata l’aliquota base dell’addizionale regionale all’IRPEF nella stessa misura che serve a compensare a livello nazionale la soppressione dei relativi trasferimenti31.

Rimane invariata anche la normativa sulla compensazione dei costi per la mobilità sanitaria, consistente in una correzione rispetto alle risorse che a ciascuna Regione spetterebbero secondo

                                                            28 Cfr..d. lgs. 56/2000, recante “Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133”.  29 L’aliquota base dell’addizionale regionale all’IRPEF è stata aumentata dallo 0,9 all’1,23%, dal Dl 201 dello scorso dicembre. L’aliquota base dell’IRAP è fissata, invece, al 3,9%.  30 La Sicilia, infatti, finanzia attualmente con proprie risorse circa la metà di tale quota attingendo per la restante parte ad un apposito trasferimento erariale.  31 Più precisamente, una prima aliquota di compartecipazione viene fissata al livello minimo sufficiente ad assicurare l’autofinanziamento di queste spese ai fabbisogni standard in una sola Regione. Quindi, viene stabilita una seconda aliquota di compartecipazione tale da alimentare trasferimenti perequativi a favore di tutte le altre Regioni in modo da coprire i fabbisogni standard. 

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Figura 3 - Estensione del criterio della popolazione pesata (differenze rispetto al riparto 2011 effettivo)

scarto procapite (euro; scala sx.) in % (scala dx.)

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il risultato del riparto, in modo da compensare le Regioni dei costi che sostengono per l’assistenza prestata ai non residenti32. Le nuove disposizioni confermano, infine, il quadro vigente di governance. La responsabilità dei risultati economici dei SSR è esclusivamente delle Regioni, secondo un principio riaffermato diverse volte nel corso dell’ultimo decennio. Allo stesso modo si conferma il sistema sanzionatorio/premiale vigente: dalla riserva del finanziamento LEA, la cui erogazione è posticipata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico di “verifica degli adempimenti” del rispetto da parte delle Regioni dei numerosi e complessi adempimenti previsti dalla normativa33, fino all’obbligo per le Regioni che superano determinati livelli di squilibrio ad aderire alla procedura dei Piani di rientro – cfr. il paragrafo successivo - e ad attivare in maniera obbligatoria le leve fiscali regionali, anche oltre il livello massimo consentito dalla normativa. In questo quadro l’introduzione della fattispecie del “grave dissesto finanziario” non altera sostanzialmente il quadro vigente, sebbene preveda una pesante penalizzazione, consistente rispettivamente nell’ineleggibilità e nell’esclusione agli incarichi per un periodo di dieci anni, del personale politico e dei vertici dei SSR di diretta nomina politica di quelle regioni che impegnate nei Piani di rientro non ottemperino agli obblighi e ai richiami previsti dalla normativa34. 5. I PIANI DI RIENTRO I Piani di rientro continuano a rimanere, anche dopo il varo delle nuove regole del federalismo sanitario, lo strumento principale per imporre alle Regioni una sana gestione dei SSR. Previsti a partire dal 2005, i Paini di rientro hanno cominciato a essere operativi a partire dal 2007, dopo un aggiornamento dei loro contenuti nel Patto per la salute 2007-200935. Secondo la normativa vigente, sono tenute ad adottare un Piano di rientro le Regioni che presentano un disavanzo di gestione, strutturale e significativo, pari al 5% delle risorse normalmente destinate a finanziare l’assistenza sanitaria regionale o che, anche in presenza di deficit inferiori, non abbiano le risorse fiscali o di bilancio sufficienti a coprire il disavanzo36. Adottando il Piano di rientro, le Regioni hanno l’obbligo di attivare al livello massimo consentito dalla legislazione le leve fiscali regionali, manovrando l’aliquota IRAP e l’addizionale regionale all’IRPEF, in modo da recuperare risorse aggiuntive da destinare alla copertura dei disavanzi della gestione sanitaria37. Nel 2007 hanno adottato i Piani di rientro sette Regioni: Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia e, sebbene solo per accedere a quote premiali di finanziamento precedentemente non erogate, la Sardegna.

                                                            32 La correzione per mobilità sanitaria è disciplinata da un apposito Testo Unico concordato tra le Regioni. Cfr. Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome (2010). Il testo disciplina tutti gli aspetti coinvolti, dallo scambio dei dati e alla loro trasmissione, alle modalità di verifica e contestazione, a seguito dei quali si giunge al riconoscimento definitivo dei debiti e crediti, che trova riscontro, in genere due anni dopo, al Tavolo nazionale di riparto.  33 Tale quota, cosiddetta “premiale” è normalmente pari al 3%, anche se per le Regioni che nell’ultimo triennio hanno adempiuto a tutte le misure previste di razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria, essa può essere ridotta al 2%. I tempi tecnici e i meccanismi procedurali richiesti per tale verifica, che finisce normalmente per protrarsi ben oltre l’esercizio a cui si riferisce, finiscono per causare alle Regioni significativi problemi di liquidità.  34 Cfr. d. lgs. 149/2011, recante “Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni” articoli 2 e 3.  35 La procedura dei Piani di rientro è stata prevista sin dalla legge finanziaria per il 2005 e dalla successiva Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, che ne hanno previsto il ricorso da parte delle regioni in disavanzo strutturale stabilendo la possibilità di un affiancamento da parte del Governo centrale. Tale attività di affiancamento è stata resa operativa con il Patto per la salute del 2007-2009 e dalla legge finanziaria per il 2007. 36 Cfr. Patto per la salute 20010-2012, articolo 13, comma 3. In precedenza, tale limite era fissato al 7% delle risorse disponibili (cfr. Patto per la salute 2007-2009, punto 3.1.a).  37 All’inasprimento della fiscalità regionale, si aggiungono il blocco automatico del turn-over del personale del SSR e altre limitazioni dell’autonomia di spesa. 

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A eccezione della Liguria, che nel 2009 ha completato il programma di risanamento, le altre continuano ad essere impegnate nei Piani di rientro. A esse si sono aggiunte nel 2010 la Calabria, il Piemonte e la Puglia, quest’ultime, al pari della Sardegna, più che per l’esistenza di squilibri gestionali, per la necessità di recuperare parte del finanziamento relativo ad anni precedenti non erogata per il mancato rispetto di obblighi normativi previsti38. I Piani di rientro, secondo la normativa, devono essere dei veri e propri programmi di ristrutturazione dei servizi sanitari regionali, in grado di rimuovere le cause degli squilibri di gestione e dare opportuna sistemazione al debito accumulato. Per l’elaborazione del Piano, la Regione può avvalersi dell’apporto dell’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali (AGENAS) e dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA)39. La valutazione, il monitoraggio (ovvero se gli interventi programmati siano effettivamente deliberati e attuati) e la verifica dei risultati spettano sostanzialmente al Ministero dell’Economia e delle Fi-nanze e al Ministero della salute, mediante appositi organismi quali il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, relativamente agli aspetti economici-finanziari, e al Comitato perma-nente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, per la corrispondenza ai livelli definiti delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie regionali40. Nel caso il Piano venga ritenuto inadeguato e/o i programmi previsti non siano attuati e i risultati non vengano raggiunti, si procede al commissariamento della Regione, con il riconoscimento del suo presidente come Commissario ad acta, e all’imposizione di ulteriori sanzioni41. In definitiva, il sistema previsto comporta un forte impegno del livello centrale di governo, che può spingersi sino ad intaccare in modo significativo la stessa autonomia delle Regioni interessate. A distanza di circa 5 anni dalla loro introduzione effettiva, che giudizio si può dare dei Piani di rientro? Rispondere non è semplice. Con l’introduzione dei Piani di rientro la spesa sanitaria ha fatto registrare un rallentamento della sua dinamica. Nella tavola 2 abbiamo riportato la dinamica dei costi del settore, in termini di tassi percentuali di crescita dal 2001 al 2010, per il complesso del SSN, per le Regioni con Piani di rientro, tra cui per semplicità abbiamo fatto rientrare, ad eccezione della Sardegna, le Regioni che per prime vi hanno aderito (Liguria, Lazio, l’Abruzzo, il Molise, la Campania e la Sicilia) e per le rimanenti Regioni. Il periodo considerato è stato suddiviso in due sottoperiodi, a seconda che fossero attivi o meno i Piani di rientro, per ciascuno dei quali è stato calcolato un tasso di variazione medio annuo. I dati riportati mostrano come a livello complessivo, dal 2007 si è registrato un dimezzamento della crescita dei costi sanitari. A tale risultato hanno contribuito proporzionalmente di più le Regioni interessate dai Piani di rientro: queste, che fino al 2007 avevano fatto registrare una dinamica più sostenuta delle altre, successivamente la riducono ben al di sotto delle altre (e della media).

                                                            38 Sulla base della documentazione disponibile, il Lazio e la Sicilia hanno presentato Programmi operativi per il triennio 2010-2012, mentre la Campania, l’Abruzzo e il Molise, solo per l’anno 2010, che sono da considerarsi a tutti gli effetti una continuazione dei piani di rientro già intrapresi.  39 Inoltre, si impone alle Regioni di avvalersi di un advisor contabile, i cui compiti principali sono garantire la correttezza amministrativa, considerati i problemi di affidabilità della contabilità sanitaria regionale, e supportare le Regioni nella ricognizione, ri-accertamento e riconciliazione delle posizioni debitorie.  40 A tali strutture si è affiancata a partire dal 2010 la “Struttura tecnica di monitoraggio pariteteica”, a cui è affidato il compito di agevolare il coordinamento Stato-Regioni. Cfr. Patto per la salute 2010-2012, art. 3, che ne disciplina la composizione – un rappresentante della Conferenza Stato-Regioni, uno del MEF e uno del Ministero della salute - e le funzioni.  41 In particolare, si prevede una sospensione dei trasferimenti erariali non obbligatori, la decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del SSR e dell’assessorato regionale competente. La pressione fiscale viene incrementata automaticamente, oltre il livello massimo, in misura predefinita (0,3% l’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF e 0,15% quella dell’IRAP). Cfr. Patto per la salute 2010-2012, articolo 13, comma 12 e l. 191/2009, articolo 2, commi 83 e 86.  

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Tavola 2 - La dinamica dei costi del SSN (2001-2010)

(tassi di crescita medi annui)

2001-2006 2007-2010 2001-2010

Regioni con PdR 7,7 0,4 4,7

Regioni senza PdR 6,1 3,4 5,0

Totale 6,6 2,4 4,9

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero della salute (2012) e anni precedenti

D’altra parte, però, non può che suscitare preoccupazione il fatto che tra le Regioni che hanno adottato per prime i Piani di rientro, solo la Liguria ha completato il percorso di risanamento intrapreso. Le altre invece non hanno completato, contrariamente agli impegni originari, il processo di ristrutturazione e continuano a presentare significativi disavanzi di gestione. Sarebbe perciò necessario definire politiche di riqualificazione più incisive per le Regioni interessate e più consone alle specifiche debolezze strutturali42. Si pone, infine, per tali Regioni il problema di ripianare i disavanzi di gestione. A tal fine le Regioni hanno dovuto fare affidamento principalmente su risorse proprie, attinte dai bilanci o recuperate con l’incremento delle leve fiscali regionali. Tuttavia, le Regioni incontrano su tale terreno crescenti difficoltà, come mostrano i dati riportati nella tavola 3, dove accanto ai disavanzi accertati presso il Tavolo di verifica degli adempimenti, figurano le relative fonti di copertura e il saldo finale nel biennio 2009-2010.

                                                            42 Cfr. Caruso – Dirindin (2011), p. 22.  

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Tavola 3 - Il monitoraggio per il 2009 - 2010 per le Regioni con Piani di rientro

(milioni di euro)

Risultato d'esercizio

Leva fiscale regionale

Ulteriori risorse

regionali

Fondo transitorio

FAS Saldo finale

2009

Liguria -97,5 104,6 0,0 35,3 0,0 42,4

Lazio -2.646,8 1.039,2 565,1 264,3 796,8 18,7

Abruzzo -456,0 19,5 203,2 73,1 160,0 -0,3

Molise -106,0 30,5 0,0 20,3 0,0 -55,1

Campania -997,5 426,6 0,0 248,5 322,0 -0,4

Calabria -972,7 52,8 0,0 0,0 0,0 -919,9

Sicilia -207,8 336,5 0,0 98,5 0,0 227,3

Totale -5.484,3 2.009,7 768,3 740,0 1.278,8 -687,3

2010

Lazio -1.068,1 758,7 409,3 0,0 0,0 99,9

Abruzzo -29,0 39,4 0,0 0,0 0,0 10,4

Molise -124,3 22,9 0,0 0,0 0,0 -101,4

Campania -818,3 185,7 0,0 0,0 0,0 -632,5

Calabria -911,1 0,0 0,0 0,0 0,0 -911,1

Sicilia -66,6 316,4 0,0 0,0 0,0 249,9

Totale -3.017,4 1.323,1 409,3 0,0 0,0 -1.284,8

Fonte: nostre elaborazioni su dati Corte dei Conti 2011b)

Solo alcune tra quelle considerate riescono a coprire il disavanzo: il Lazio, l’Abruzzo e la Sicilia in en-trambi gli anni e la Campania nel solo 200943. La copertura garantita dallo Stato per il 2009, il Fondo statale straordinario, è stata decisiva ai fini del pareggio di bilancio per tutte le Regioni ad eccezione della Sicilia44.                                                             43 Rispetto alla ricostruzione della Corte dei Conti (2011b, abbiamo considerato anche per la Campania le maggiori entrate derivante dal Fondo per le aree sottoutilizzate.  44 Il fondo straordinario è stato istituito con il Patto per la salute 2007-2009, per sostenere le Regioni impegnate nei Piani di rientro. Il suo ammontare è stato pari a 1 miliardo di euro nel 2007, 850 milioni nel 2008 e 790 milioni di euro nel 2009. Cfr. l. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007), articolo 1, comma 796, lettera b) e Dl. 39/2009, articolo 13, comma 3, lettera b).  

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Inoltre, significativo è stato per le Regioni che ne hanno potuto beneficiare il ruolo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS)45. Sebbene, il loro utilizzo ai fini della copertura dei disavanzi sanitari non violi il principio di non intervento dello Stato – si tratta in definitiva di risorse spettanti a tali Regioni - di fatto provoca uno “scadimento” di qualità della spesa regionale, che va a detrimento della realizzazione di programmi di sviluppo regionale. 6. CONCLUSIONI La riforma federalista non introduce novità di rilievo per la sanità. Infatti, le nuove disposizioni per lo più si sovrappongono alla normativa vigente, creando i presupposti della confusione più che del cambiamento sostanziale46. Per il finanziamento nazionale, la soluzione adottata rinuncia a utilizzare, come sembrava al momento dell’approvazione della legge delega, il metodo bottom up, - costi unitari per volumi standardizzati di prestazioni – di difficile praticabilità; il fabbisogno sanitario nazionale, definito standard, continuerà a essere frutto di una scelta di carattere politico sulla base delle prospettive del quadro macro-economico complessivo e delle esigenze di tenuta dei conti pubblici; considerata la rilevanza del punto, sarebbe stato forse opportuno inserire la definizione del fabbisogno nazionale in un quadro di riferimento più generale e articolato, nel quale venisse riconosciuto il giusto peso anche a quei fattori, opportunamente individuati, che incidono significativamente sull’assistenza sanitaria e il suo onere. Allo stesso modo, per quanto riguarda la definizione dei fabbisogni regionali, l’esame condotto ha mostrato l’irrilevanza del costo standard e la sostanziale coincidenza del “nuovo” metodo con la procedura di riparto vigente, già da tempo lontana dal criterio della “spesa storica”. Anche dal punto di vista del meccanismo di finanziamento non si prevedono significative innovazioni rispetto alla situazione vigente. Per quanto riguarda, infine, il tema del recupero di efficienza, l’introduzione del grave dissesto sanitario introduce un deterrente la cui effettiva significatività andrà valutata nei prossimi anni. Sarebbe stato utile confermare in modo più esplicito l’applicazione della normativa in vigore che impone alle Regioni di coprire autonomamente i disavanzi sanitari.

Anche per gli anni futuri, il recupero di efficienza del settore appare legato alla prosecuzione dei Piani di rientro, i quali hanno dimostrato una qualche efficacia sul piano del contenimento della spesa, ma non hanno riportato all’equilibrio quelle regioni che li avevano adottati. Per il futuro, si ritiene che essi debbano prestare maggiore attenzione alle specificità regionali, agli obiettivi di tutela della salute e “di riduzione delle disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo della rete dei servizi”47.

                                                            45 Nel FAS sono incluse le risorse finanziarie nazionali destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici. La possibilità di utilizzare per coprire i disavanzi sanitari le risorse del FAS è stata introdotta dal Patto per la salute 2010-2012 (cfr. Patto per la salute 2009, articolo 13, comma 15, lettera b). Per il riparto di tali risorse, cfr. CIPE, Delibera del 23 marzo 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 6 ottobre 2011.  46 “Il decreto legislativo n. 68/2011 appare, per la parte che riguarda la sanità, un esempio di eccesso di produzione normativa, fonte di incertezze, conflitti e appesantimenti burocratici”. Cfr. Caruso – Dirindin (2011), p. 23.  47 Cfr. Caruso – Dirindin (2011), p. 22.  

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BIBLIOGRAFIA

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PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI ASSOBIOMEDICA

ANALISI N. 0 Lo stato di attuazione della riforma del SSN - Luglio 1995 N. 1 La Manovra Finanziaria 1997 - Febbraio 1997 N. 2 Lo stato di attuazione della riforma del SSN - Primo aggiornamento - Maggio 1997 N. 3 Appalti pubblici di forniture al SSN - Dicembre 1997 N. 4 La Manovra Finanziaria 1998 - Febbraio 1998 N. 5 Lo stato di attuazione della riforma del SSN. Secondo aggiornamento Settembre 2000 N. 6 La Manovra Finanziaria 2001. Legge di bilancio di previsione 2001-2003, e avvio del

federalismo fiscale - Febbraio 2001 N. 7 Cosa attende la sanità nel triennio 2002-2004…e negli anni successivi - Gennaio 2002 N. 8 I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame della normativa

nazionale e regionale in vigore - Settembre 2003 N. 9 I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame della normativa

nazionale e regionale in vigore - Primo aggiornamento - Aprile 2005 N. 10 I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame della normativa

nazionale e regionale. Secondo aggiornamento - Giugno 2010 N. 11 La mobilità sanitaria per la sostituzione della valvola aortica e la neurostimolazione

cerebrale - Luglio 2011 N. 12 La disomogeneità nei livelli di assistenza specialistica ambulatoriale tra i servizi sanitari

regionali – Dicembre 2011 N. 13 Il federalismo sanitario: la gestione del SSN nel nuovo assetto di federalismo fiscale

GUIDE PRATICHE

N. 1 Imposta di bollo. Regime degli atti e dei documenti nella fase di acquisizione di beni e servizi da parte delle Aziende Sanitarie - Marzo 1998

N. 2 Linee guida per la gestione di Consulenze, Convegni, Congressi degli Operatori della Sanità Pubblica - Dicembre 1998

N. 3 Linee guida per la gestione dei dispositivi medici in applicazione della Direttiva 93/42/CEE e della relativa legislazione nazionale di recepimento (D.Lgs. 46/97 e succ. modifiche) - Marzo 1999

N. 4 Direttiva europea 98/79/CE sui dispositivi medici per diagnostica in vitro - Aprile 1999 N. 5 Semplificazione amministrativa. D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445: Testo Unico in materia di

documentazione amministrativa. (Dal documento cartaceo, al documento informatico) - Maggio 2001

N. 6 Dalla Lira all’Euro. Linee guida F.A.R.E., Assobiomedica e Farmindustria Settembre 2001 N. 7 Semplificazione amministrativa. D.P.R. 28 dicembre 2002 n. 4445 Testo unico in materia di

documentazione amministrativa - Primo aggiornamento - e-procurement le gare elettroniche delle P.A. - Dicembre 2002

N. 8 Il Sistema di vigilanza per i dispositivi medici - Marzo 2003 N. 9 La Direttiva 98/79/CE sui dispositivi medico diagnostici in vitro: domande e risposte - Aprile

2004 N.10 Direttiva 2004/18/CE del Parlamento e del Consiglio relativa al coordinamento delle

procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi - Luglio 2004

N.11 I rapporti dell’impresa con gli operatori della Sanità pubblica: convegni, congressi, consulenze, omaggi - Febbraio 2005

N.12 Rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Schema di decreto attuativo 2002/96/CE e 2002/95 CE (RAEE & RoHS) - Maggio 2005

21  

N.13 Il sistema di vigilanza per i dispositivi medici e i dispositivi medico-diagnostici in vitro. Linee

guida desunte dal documento della Commissione Europea MEDDEV 2.12-1 rev. 6 (dicembre 2009) – Gennaio 2011

OSSERVATORIO TECNOLOGIE

N. 1 I dispositivi impiantabili per la cardiostimolazione - Ottobre 2002 N. 2 La chirurgia laparoscopica - Ottobre 2002 N. 3 Protesi ortopediche. Considerazioni sulla regolamentazione, biomeccanica e materiali -

Febbraio 2003 N. 4 La prevenzione delle ferite accidentali da aghi e dispositivi taglienti - Aprile 2004 N. 5 Medicazioni e bendaggi – Marzo 2007 N. 6 Tecnologie sanitarie emergenti nel settore dei dispositivi medici – Dicembre 2011

STUDI

N. 1 La spesa sanitaria, la diagnostica di laboratorio e il mercato delle tecnologie - Settembre 1996

N. 2 I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 1997 e anni precedenti - Marzo 1998

N. 3 Osservatorio Prezzi e politiche regionali di “Acquisto al prezzo minimo” - Aprile 1998 N. 4 Dispositivi per stomia - Febbraio 1999 N. 5 La spesa sanitaria, la diagnostica di laboratorio e il mercato delle tecnologie - Primo

aggiornamento - Giugno 1999 N. 6 Ausili assorbenti per incontinenza - Maggio 2000 N. 7 Medicazioni avanzate e medicazioni speciali - Ottobre 2000 N. 8 La spesa sanitaria, la diagnostica di laboratorio e il mercato delle tecnologie - Secondo

aggiornamento - Ottobre 2000 N. 9 Protesi mammarie esterne - Novembre 2000 N. 10 Dispositivi per incontinenza e ritenzione - Maggio 2001 N. 11 La brachiterapia - Maggio 2001 N. 12 I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2000 e anni precedenti -

Giugno 2001 N. 13 Protesi mammarie esterne - Primo aggiornamento - Giugno 2001 N. 14 Recepimento della direttiva 2000/35/CE e tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie

pubbliche - Novembre 2002 N. 15 Il vaccino antiallergico - Gennaio 2003 N. 16 La Dialisi - Marzo 2003 N. 17 Medicazioni avanzate e medicazioni speciali - Secondo aggiornamento - Marzo 2003 N. 18 Il vaccino antiallergico (L’immunoterapia allergene specifica) - Primo aggiornamento -

Settembre 2004 N. 19 La crisi finanziaria del Servizio sanitario e i tempi medi di pagamento delle strutture

sanitarie pubbliche - Marzo 2005 N. 20 I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2005 e anni precedenti -

Giugno 2006 N. 21 Aghi e siringhe - Febbraio 2007 N. 22 Lancette pungi dito e aghi penna per insulina - Ottobre 2008 N. 23 tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2010 e anni precedenti -

Marzo 2011 ANCHE IN LINGUA INGLESE N. 24 tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2011 e anni precedenti -

Aprile 2012

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TEMI DI DISCUSSIONE

N. 1 Spesa sanitaria e mercato delle tecnologie: verso un modello previsionale - Dicembre 1996 N. 2 Le proposte di Confindustria per una nuova sanità - Settembre 1997 N. 3 Scenari e tendenze per il settore delle tecnologie biomediche e diagnostiche - Ottobre 1997 N. 4 Progetto Sanità Confindustria - Secondo rapporto - Gennaio 1999 N. 5 L’impatto economico dell’evoluzione tecnologica: aspetti di valutazione - Febbraio 1999 N. 6 E-business in sanità - Marzo 2001 N. 7 Il mercato dei dispositivi medici: profilo e aspetti critici - Aprile 2001 N. 8 Il mercato dei dispositivi medici: profilo e aspetti critici - Primo aggiornamento - Ottobre

2002 N. 9 Health Technology Assessment in Europa - Giugno 2003 N. 10 Scenari per il settore della diagnostica in vitro - Dicembre 2003 N. 11 La Telemedicina: prospettive ed aspetti critici - Marzo 2005

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2012

I dati e le informazioni di cui al presente documento possono essere trascritte da terzi alla condizione che venga citata la fonte:

Centro studi di economia sanitaria Ernesto Veronesi, Aprile 2012

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Stampato nel mese di Aprile 2012 dal Centro Stampa di Accademia S.p.A.

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Roma, Viale L. Pasteur 10 – Milano, via Marostica 1 – www.assobiomedica.it