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il Ducato La seguente pubblicazione è il lavoro individuale di fine corso di Matteo Marini ed è un allegato del Ducato, periodico dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. I materiali possono essere riprodotti in tutto o in parte previa esplicita citazione della fonte ma non possono essere utilizzati a scopo commerciale. I testi e le foto (salvo altre indicazioni) sono di Matteo Marini “Salviamo il mostro. Perché sappiate che questo nostro esperimento antimercato rischia di chiudere. Noi ce la mettiamo tutta ma la risposta spetta a voi lettori de il manifesto e ai non lettori che tuttavia pensano che questo giornale sia un utile personaggio nella commedia, o tragedia, che stiamo vivendo”. Francesco Paternò redattore del manifesto , 24 giugno 2006 di Matteo Marini

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il DucatoLa seguente pubblicazione è il lavoro individuale di fine corso di Matteo Marini ed è un allegato del Ducato, periodico dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino.

I materiali possono essere riprodotti in tutto o in parte previa esplicita citazione della fonte ma non possono essere utilizzati a scopo commerciale. I testi e le foto (salvo altre indicazioni) sono di Matteo Marini

“Salviamo il mostro. Perché sappiate che questo nostro esperimento antimercato rischia di chiudere. Noi ce la mettiamo tutta ma la risposta spetta a voi lettori de il manifesto e ai non lettori che tuttavia pensano che questo giornale sia un utile personaggio nella commedia, o tragedia, che stiamo vivendo”.Francesco Paternò redattore del manifesto , 24 giugno 2006

di Matteo Marini

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10 per cento del totale (circa 1,9 milionidi euro), una risorsa assai più limitata ri-spetto alla media della stampa italiana,che si aggira attorno al 45 per cento. “Ti posso dire che il debito in sé, di tipooneroso, nei confronti del sistema ban-cario è andato negli ultimi anni semprediminuendo. Patrimonialmente la si-tuazione va migliorando, economica-mente siamo in grande difficoltà perchédiminuzione di copie significa diminu-zione di fatturato. Finanziariamentesiamo invece molto molto in difficoltàperché c’è il problema di ridurre l’inde-bitamento pregresso, il che significa uti-lizzare le risorse correnti e quindi vienea mancare quello che ti serve se non seinella condizione di generare utili”.Compresi gli stipendi dei soci? “Consi-dera che ad aprile abbiamo pagato gli

stipendi di gennaio efebbraio”.

Aiuti di Stato. Unicanota relativamentepositiva sono i contri-buti all’editoria. Ognianno arrivano all’extestata di via Tomacel-li (oggi via Bargoni) 4milioni e mezzo di eu-ro, uno degli importipiù alti, soprattutto serapportato alle vendi-te del giornale. “Il ma-nifesto è una coopera-tiva a mutualità pre-

valente, cioè vi lavorano i soci per oltre il50 per cento del totale. Devo dire che pe-rò siamo molto più vicini al 100 per cen-to”. Il manifesto usufruisce di un sostan-zioso aiuto da parte dello Stato che inci-de per il 25 per cento sul totale. I soci delmanifesto, che sono i giornalisti, i poli-grafici e il personale amministrativo, ri-

cevono tutti lo stesso stipendio base:1200 euro al mese per il direttore comeper il semplice redattore. La differenzala fanno gli scatti di anzianità e le inden-nità di caposervizio, di-rettore e caporedattore.L’aiuto dello Stato perònon basta. I conti a fine anno sonocomunque in rosso, i co-sti sono portati alle stelleda una macchina nonoliata. Il giornale devechiudere presto la sera (le22 è il termine ultimo) pernon avere difficoltà a rag-giungere le edicole di tut-ta Italia il giorno dopo. Suitutti i muri della vecchiaredazione era stato appli-cato un cartello che am-moniva:”Ricordiamoci che è importan-tissimo ora più che mai, chiudere il gior-nale entro le 22. I costi dei ritardi, in per-dite di copie, sono impressionanti e nel-la situazione attuale non possiamo pro-prio permetterceli!!!”. Poche righe chevalgono più di mille parole. La scelta diessere un giornale nazionale ha dei co-

sti molto alti: il numero delle copiestampate è oltre tre volte superiore aquello delle copie vendute. Nella geren-za ogni giorno compare la cifra che indi-

ca la tiratura e che non vamai sotto le 85.000 copie.Questo comporta unaspesa elevata per la cartae la stampa. I primi a ri-metterci sono i lavoratoriche spesso sono costrettiad aspettare mesi primadi ricevere lo stipendio eda due anni vanno a turnoin cassa integrazione ga-rantita dallo stato di crisi.A giugno I soldi infatti de-vono essere prima utiliz-zati per pagare le banche,i fornitori e la distribuzio-ne. I giornalisti e i compa-

gni di lavoro, di necessità, vengono perultimi.

La speranza. Un tentativo nuovo si stacompiendo proprio in queste settima-ne. Il manifesto ha chiesto al managerSergio Cusani di preparare attraverso laBanca della solidarietà una proposta di

Le gocce di sudore macchianola scrivania e i tasti del Pc. Lafronte imperlata tradisce unacerta difficoltà. Caldo, afa,umidità e smog nel centro diuna torrida Roma in pieno lu-

glio, dentro la redazione del manifestoin via Tomacelli. Le finestre sono spa-lancate in faccia alle bocche di scaricodegli autobus e delle automobili che cir-colano in zona piazza Augusto, nel ten-tativo non riuscito di sacrificare la quie-te per un po’ di brezza. Al caldo si ag-giunge quindi il frastuono dei motoriperché i filtri dell’aria condizionata so-no sporchi e il rischio, ad accenderla, èdi beccarsi tutti quanti la legionella. I re-dattori, chini sui Pc, vengono distrattidal gracchiare dell’altoparlante:”In se-greteria c’è la busta paga con gli stipen-di di aprile e maggio”.Un piccolo episodio che dà l’idea di unarealtà economica e lavorativa che digiorno in giorno si fa più complessa.

Vendite in picchiata e debito. Il numerodi copie vendute del “quotidiano comu-nista” è calato in maniera sensibile. Dal2001 il crollo non ha quasi avuto soste:oltre il 28%, passando da 32.400 copiegiornaliere vendute nel 2001 (ma nel1996 erano 36.000) a 23.500 nel 2007 se-condo gli ultimi dati disponibili da Ads(Accertamento diffusione stampa).I dati sulle vendite sono solo alcuni deinumeri che descrivono il disastro. Gli al-tri bisogna chiederli a chi amministrauna macchina quasi sempre in panne,che s’ingolfa e borbotta ogni anno mache ogni anno continua a tirare avantisenza esalare l’ultimo sbuffo: “Fino apochi anni fa era relativamente facilefarsi prestare dei soldi dalle banche –spiega Guglielmo Di Zenzo, direttoreamministrativo dimissionario del gior-nale – il facile accesso al credito ci haconsentito di andare avanti, ma conl’andare del tempo abbiamoaccumulato un debito gigan-tesco che è arrivato anche aldoppio del fatturato in unanno. Solo gli interessi eranopari al 10% dei ricavi”.La cooperativa ha avviato, diconcerto con le banche, unpiano di stabilizzazione e ri-duzione del debito, che oraammonta a circa 16-17 mi-lioni di euro, mentre gli inte-ressi portano via il 5% dei ri-cavi di ogni anno. Cifre allequali è difficile far fronte congli incassi delle vendite delquotidiano, più le altre ini-ziative editoriali, come manifesto libri ecd.Il giornale costa 18 milioni di euro, tan-to quanto il ricavo delle vendite e dellapubblicità. E proprio la pubblicità costi-tuisce uno degli anelli deboli della cate-na. Gli introiti che derivano dagli inser-zionisti costituiscono infatti appena il

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Negli anni ‘90 era facile ottenere prestiti.Poi l’esposizione con le bancheha raggiunto il doppio del fatturato.L’amministratore: “I conti miglioranoma con forti tagli alla spesa corrente”.In soccorso la Banca della Solidarietà

“Siamo unacooperativaa mutualitàprevalente

quasi il 100%dei lavoratori

è socio”

Lo stipendiolordo di baseè 1200 euro

per tutti:direttori,redattori

e poligrafici

Un meccanismo al collassoI conti sono ogni mese più difficili e i tagli sempre a carico dei lavoratori

Stipendi pagati con mesi di ritardo, mancano i fondi per gli investimenti utilizzati per ripianare il debito

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riorganizzazione aziendale. Questo persfruttare meglio le potenzialità non solodella redazione, ma di tutta la macchinaproduttiva. Nel contempo ci saranno ri-flessioni e aggiustamenti dei meccani-smi che governano soprattutto la testa-ta, per risparmiare tempo e denaro. Tut-to ciò però non si fa senza soldi. Ecco al-lora che nella “tana del leone” dovreb-bero far capolino gli imprenditori. Lamanifesto spa (cioè la testata) è infattidetenuta per il 78% dalla cooperativa ilmanifesto. L’obbiettivo sarebbe reperi-re capitali grazie alla vendita del restan-te 27,9%. La differenza (più del 50%)permetterebbe alla cooperativa di man-tenere il controllo della testata con nuo-vi capitali da utilizzare per investimentie riduzione del debito. Il rinnovamentoha portato già a un nuovo riassetto: “So-no stati eletti un nuovo direttore gene-rale e un nuovo consiglio di ammini-strazione – spiega ancora Di Zenzo – no-vità quindi ce ne sono, ma ancora non siconoscono bene le strategie. Io stesso tiparlo quasi come un semplice spettato-re perché sono dimissionario dal mioruolo in amministrazione, quindi nonho parte attiva in questo processo”.

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DOSSIER

Nella foto grande riunione diredazione,in primo pianol’ex vice direttorePierluigi Sullo(photo byAndrea Cerase) Nelle foto piccole unavignetta diVauro per lacampagna abbonamenti e un monitoappeso nellavecchia sede

DebitoIl debito del giornaleoggi. Il piano di riduzio-ne dell’esposizione conle banche, concordatodal 2001, comportamolti tagli alle spesecorrenti

17 mlnDallo StatoL’ammontare dei contri-buti per l’editoria allatestata. Incide per circail 20 per cento sui ricavi. La parte piùgrossa delle entrateviene dalle vendite

4,5 mlnCosto del giornalePari ai ricavi di venditee pubblicità. La tiraturaè di 80.000 copie, perarrivare in tutta Italia,appena 23.000 quellevendute in media ognigiorno

18 mlnPubblicitàL’incasso dagli sponsorche è pari a circa il 10per cento dei ricavi di ognianno. Molto inferione allamedia dei giornali italiani,che gravita attorno al 45per cento

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Il 23 giugno 1969 nasce il manifestorivista, fondato da Rossana Ros-sanda, Luigi Pintor, Valentino Par-lato, Luciana Castellina e NinettaZandegiacomi, dirigenti della sini-stra del Pci in contrasto con la linea

predominante del partito. Alla nascitadella rivista Berlinguer aveva sconsiglia-to di procedere con la pubblicazione. Su-bito dopo l’uscita del secondo numerocon l’editoriale dal titolo “Praga è sola”, inriferimento all’invasione della Cecoslo-vacchia da parte delle truppe sovietiche,Rossanda, Pintor e Natoli sono radiati dalpartito.Il primo numero della rivista il manifestovende 75.000 copie.Nel febbraio del 1971 il manifesto diventa“il primo quotidiano libero a autogestito”in Italia. È autofinanziato grazie ad unasottoscrizione di 50 milioni di lire, il costodi copertina è 50 lire e ha quattro pagine,la redazione è al quinto piano di via To-macelli a Roma. La tiratura del primo nu-mero è di 100.000 copie, la vendita mediadel primo anno è di 40.000. Nel maggio del1972 il manifesto si presenta alle elezionicon capolista Pietro Valpreda, l’anarchicoaccusato della strage di Piazza Fontana,ma è un fiasco. Cala la vendita di copie e ilprezzo sale a 90 lire. Nel 1973 viene di-chiarata la prima crisi politico-finanzia-ria.Nel 1974 il gruppo del manifesto si uniscea quello del partito di Unità proletaria diFoa e accetta di sostituire la testatina“quotidiano comunista” con “unità pro-letaria per il comunismo”. Alle elezioniconquista sei deputati in coalizione conLotta continua e Avanguardia operaia.Nel 1977 le divergenze sull’interpretazio-ne della realtà politica e sociale portano ilgiornale a dichiararsi indipendente e a ri-prendere la scritta “quotidiano comuni-sta”. Nel 1982 le copie vendute scendonoa 18.000. Nel 1983, però, il grande succes-so del giornale del 7 aprile a 10.000 lire va-le come incitamento a tenere duro.Il manifestopassa nel 1977 da quattro a seipagine. Si susseguono più crisi finanzia-rie, nel 1997 la via obbligata è quella dellaristrutturazione e della vendita di un nu-mero a prezzo maggiorato: 50.000 lire. Nel1994 il giornale dal un formato più gran-de diventa tabloid, in questi anni propriola prima magina del manifestosi contrad-distingue per l’irriverenza e la spregiudi-catezza. Il caso che ha destato più scalpo-re è stato quello del titolo “Il pastore tede-sco” in riferimento all’elezione di papaBenedetto XVI. Nel 2001 viene avviato, in concerto con lebanche, il piano di riduzione del debito.Nel 2004 e nel 2006 altri due restyling chegli hanno dato la forma che ha ora. Il 4 feb-braio 2005 l’organizzazione della Jihad is-lamica in Iraq rapisce la giornalista delmanifesto Giuliana Sgrena. Il fatto destagrande attenzione. Durante le operazionidi liberazione il militare statunitense Ma-rio Lozano spara e uccide l’agente del Si-smi Nicola Calipari. A giugno 2008 forse uscirà il nuovo pro-getto grafico che comprende anche l’usodel colore. L’ultima crisi è quella del 2006.Il giornale si salva grazie alle sottoscrizio-ni dei lettori e alla cassa integrazione aturno dei soci lavoratori.

Sergio CusaniLaureato all’università Bocconi diMilano, Sergio Cusani è stato consu-lente finanziario della societàEnimont di Raul Gardini. Durante lasagione di Mani pulite è stato accu-sato dal Pm Antonio Di Pietro di averreperito i fondi per una maxi tangen-te di finanziamento ai partiti.Condannato, ha scontato quattroanni di carcere. Dal 2001 è impegnato in progetti di recupe-ro detenuti, finanza etica e consulenze ai lavoratori e sinda-cati. Ha partecipato alla fondazione della Banca della solida-rietà. Nel febbraio del 2008 ha presentato, all’assembleadei soci del manifesto, una proposta di riorganizzazioneaziendale e diverse idee per innovare il lavoro della redazio-ne, in concerto con altri media come il sito internet o un’a-genzia stampa della sinistra.

IL PERSONAGGIO

Fuori dal Pci37 annidi lotte e di crisi

La storia

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“Manifesto nuovofuori dalla trincea”

Mariuccia Ciotta racconta la sua “rivoluzione”

“Una linea meno elitaria per comunicare, anche con il colore”

In che prospettive vedi il tuo quo-tidiano, soprattutto alla luce delr i s u l t a t o d e l l e e l e z i o n i ?La situazione politica ci permet-te di rilanciare il manifesto, chepotrebbe essere schiacciato da

una scomparsa della sinistra dal parla-mento e da un’ondata di destra moltoforte. Penso che sia una grande oppor-tunità per il giornale il non richiudersisu noi stessi, e pensare di fare l’ultimatrincea contro la destra montante. Alcontrario pensare di cambiare linguag-gio, essere più comunicativi con i letto-ri che si sentono orfani della sinistra e distrumenti di comunicazione. È arrivatoil momento per noi di uscire dalla con-cezione un po’ elitaria del giornale che sirivolgeva ancora allo zoccolo duro del-l’inizio, un pubblico decisamente ri-stretto. Dovremo aprirci molto alle que-stioni e ai temi che hanno portato allasconfitta della sinistra alle elezioni. L’in-comprensione della società che cambiae anche il vuoto culturale enorme che siè prodotto, a partire dalla televisione.Non c’è più una percezione del mondonel suo insieme, invece dobbiamo an-dare a vedere cosa succede nella socie-tà.

Quindi un giornale meno “di nicchia”.Si vedrà già con la nuova impostazionegrafica.Sì, infatti la scelta che abbiamo intra-preso è stata quella di avere una coper-tina a colori, che per noi è una novità. Ilfatto di avere una copertina in bianco enero voleva dire distinguerci, non erasolo una questione economica. Allora,distinguersi va bene però bisogna ri-uscire a comunicare. Bisogna usare ilcolore in modo diverso dagli altri gior-nali. Gli altri lo usano in modo realisti-co, naturalistico, imbellettano le pagi-ne. Noi lo vogliamo usare per comuni-care ai nostri lettori e dare un’informa-zione più calda. Il giornale nuovo avràmeno politica di palazzo e più indaginie inchieste. Questa è la strada, non quel-la di barricarsi dentro un giornale tuttopolitico, di resistenza e con poche pagi-ne come era agli inizi.

Questo è un progetto già in atto.È già in atto da almeno un anno, ma ab-biamo cominciato a pensarlo fin daquando siamo diventati direttori, quat-tro anni fa. Abbiamo incontrato moltedifficoltà, perché la direzione mia e diGabriele è la prima che non coincidecon quella dei fondatori. Ci siamo trova-ti da soli, con l’eccezione di Valentino.Dovremo per esempio attivare un sitoche interloquisca con il giornale, che fi-no adesso non c’è stato. La perdita di co-pie si dice che sia una conseguenza del-la crisi della politica. Ma ci investe an-che la crisi della carta stampata, che co-involge noi come il Los Angeles Times,Liberation o Le Monde. Perché il quoti-diano che continuava a pensarsi come

quello che dava le notizie o che parla so-lo a una stretta fascia di persone che sioccupano di politica è finito. Non esistepiù, bisogna reinventarsi. Giornali gros-si come Repubblica e Corriere vivonoperché hanno un indotto enorme, so-prattutto grazie alla pubblicità. Noi ab-biamo una testatina con scritto “quoti-diano comunista”, figurati quanta pub-blicità possiamo avere. Quindi la nostrascommessa è quella di una fascia ri-stretta di lettorato, ma che comunquearriva ad essere un bacino di 100.000 let-tori come dopo le elezioni politiche. Cheperò sono molto discontinui, perchésiamo difficili da leggere e spesso ripe-tiamo concetti o punti di vista che il no-stro lettore si aspetta. Tutti vogliono che

proposte di Cusani? Un progetto deveavere un motore economico.Sai, se riduciamo la foliazione, riducia-mo i redattori e facciamo un giornale diresistenza, a quel punto gli equilibrieconomici sono presto raggiunti. Io aquesto non credo perché credo che levendite scenderebbero. Se tu vuoi risa-lire devi osare e rischiare. Quindi questonuovo giornale a colori, con un settima-nale che dovrebbe uscire la domenica,con un sito dovrebbe rilanciarsi con levendite. Perché la nostra maggiore en-trata sono le vendite, non la pubblicitàcome nella maggior parte dei giornali. Illavoro di Cusani è molto importanteperché noi fino ad ora abbiamo avutouna gestione del giornale molto familia-re, artigianale, che è stata anche moltopreziosa perché ci ha permesso di so-pravvivere. Io sono qui dall’inizio, noinon prendevamo lo stipendio e il nostroamministratore ci dava ogni tanto cin-que mila lire per mangiare i panini. Cisiamo divertiti perché permetteva di es-sere liberi, di materializzare i propri so-gni di interventi e scritture. Ma è stataanche dura. Questo modo di pensare al-la militanza politica e al volontariatonon può andare avanti. Ci sono persone che devono mantenereuna famiglia, hanno figli eccetera. An-dare avanti a vela, cioè se ci sono gli sti-pendi bene altrimenti non importa, nonè più possibile. Questo nuovo progettova accompagnato da una ristrutturazio-ne aziendale vera, cioè risparmi sui co-sti, vendite, pubblicità, promozione erilanci, quello che fa un’azienda chevende un prodotto. Dobbiamo vederlaproprio in quest’ottica, come un pro-dotto editoriale.

In questo la testatina “quotidiano co-munista”, ancora presente sulla prima

il manifesto continui a vivere, ma non lovogliono leggere tutti i giorni perchépensano che sia una specie di dovere.Vorrei che il dovere diventasse piacere.Vorrei che i lettori scoprissero nel nostrogiornale cose che gli altri non racconta-no o che noi raccontiamo diversamen-te, una lettura originale.

Nel restyling del giornale che uscirà trapoco la prima pagina, forse l’elementoche più incuriosisce anche chi non è unlettore abituale, resterà, vero?Si sì certo, anzi rispetto a com’è ora ver-rà parecchio valorizzata.

Il rinnovamento come si incontra conle esigenze economiche, e quindi le

Direttrice assieme a Gabriele Polo,spiega il progetto per un giornaleche parli alla gente e non solo ai politici

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pagina, può essere un elemento di dif-ficoltà?Guarda noi discutiamo, un giorno sì eun giorno no della possibilità di toglie-re la testatina “quotidiano comunista”,da almeno 20 anni. Ma l’idea di toglier-la diventerebbe agli occhi di tutti comeun’ammissione:“il manifesto si è penti-to” e questo sarebbe falso oltre che unosfacelo dal punto di vista politico ededitoriale. Io la toglierei, ma più che to-glierla le darei un significato diverso diquello che ha, attraverso un interventografico che comunichi qualche altra co-sa. Ho paura che questa parola comu-nista significhi resistenza contro il tem-po che cambia, come Diliberto che vuo-le rimettere la falce e il martello. Questoimplica una ricerca di quello che signi-fica oggi essere comunisti senza più ri-ferirsi a categorie del passato. Ma to-glierla adesso senza fare questo proces-so di analisi sarebbe sbagliato.

Come ha accolto l’assemblea dei soci ilprogetto presentato da Cusani?C’è stata una votazione che è andatamolto bene, i sì erano in grande mag-gioranza.

A livello di nuove proposte, anche ori-ginali come l’agenzia stampa di sini-stra?Sì, l’Ansa di sinistra, questa era un’ideadi Cusani che secondo me è molto cari-na, ma è rinviata all’analisi del sito, per-ché è lì che dovrà andare. Dobbiamo in-ventare un sito che sia utile al giornale eche non sia come il Corriere o Repubbli-ca, una replica del cartaceo. Dovrebbeintrecciarsi col lavoro del giornale ecompletare quello che non c’è. Il mani-festo quotidiano nel nostro pensieronon deve avere allegati, ma progetti in-tegrati, come appunto il sito e il setti-

manale della domenica. In più una fon-te che venga dal territorio, dalla nostrarete di lettori, corrispondenti non pro-fessionisti. Fare una selezione a livellomondiale, io non lo farei solo italiano,dei corrispondenti che possano dare leinformazioni fresche di prima mano datutte le parti del mondo sarebbe fanta-stico.

Cusani, riguardo a questa proposta fa-ceva l’esempio della Thyssenkrupp.Con i suoi contatti il manifesto avrebbepotuto dare in tempo molto rapido lanotizia e fornire aggiornamenti.Sì però Cusani parlava più che altro diessere i primi. Mi preoccupa invece da-re notizie che gli altri non danno, averepunti di vista, interpretazioni e ricostru-zioni del fatto che non siano fatti dallealtre agenzie stampa, dagli altri giornalio p p u re d a l t e l e v i d e o.

In conclusione, il manifesto rimarràsempre un secondo giornale?Gli analisti dell’editoria sono d’accordonel dire che non esiste più un “primo

giornale”. Paradossalmente anche ilCorriere e Repubblica sono diventati“secondi giornali” o “primi” se vuoi.Devono ripensare la loro natura chenon è più quella di informare ma di in-terpretare, dare alla notizia il senso.Sulla cronaca è vero che siamo moltocarenti. Ma è un problema che vorremoaffrontare. Faccio l’esempio dei duebambini di Gravina di Puglia ritrovati infondo a un pozzo. Noi abbiamo scrittoin maniera alternata di questo fattomentre i giornali riempivano pagine supagine. Quando sono stati ritrovati hoscritto un editoriale dicendo che lagrande macchina mediatica aveva ad-dirittura fuorviato le indagini. Bisognerebbe ritornare ad avere unachiave di interpretazione delle cose. In-sisto sul fatto che non si tratta di elimi-nare un certo genere di notizie. Il nu-mero della domenica che sto immagi-nando si occuperà di scienze, di am-biente, di nuove tecnologie e di alimen-tazione. Sono cose su cui benissimopossiamo occuparci. Nessuno ricordapiù che il famoso Gambero rosso era

nato come inserto del manifesto chetrattava di cucina. Ora è un colosso.

Si dice che la sinistra abbia più una vo-cazione di opposizione che di governo.Il manifesto ha sempre fatto opposizio-ne all’interno della sinistra. Questoquindi sarà un trampolino di lancio enon un motivo di abbattimento.Parliamoci chiaro, mi dispiace tantissi-mo che la sinistra sia fuori dal Parla-mento, ma la mia generazione, che èquella che viene dall’esperienza del ’68,e dall’incontro con la parte migliore delcomunismo ha prodotto il metodo del-la ricerca continua: il non assestarsi sudelle certezze: continuare a rinnovarsiper essere se stessi e non rimanere at-taccati a delle radici. Questa è la grandedifferenza con la sinistra. Su questoscommettiamo e pensiamo di essereutili perché vorremmo non essere solotestimonianza ma lavorare con gentegiovane come te e dire:” Cosa ci acco-muna? Perché dobbiamo divertirci in-sieme a fare le cose?”. Perché ci interes-sano i cambiamenti. Adesso.

Nella fotogrande i direttoriMariucciaCiotta eGabriele Polo(foto di TaniaAgenziaA3/Contrasto)Nell’altrapaginaMariucciaCiotta assieme aMarina Fortial desk. Quiin basso,redazione allavoro nellanuova sede

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Fermata Ippolito Nievo,La nuova sede del giornale è fuori dal centro storico, lontano da via Tomacelli,

Il tram numero otto ferma a pochipassi dalla redazione, nel quartie-re Trastevere ai piedi del colle Gia-nicolo, proprio alle spalle delle vieche la domenica traboccano digente e di bancarelle, per il merca-

to di porta Portese. Dall’incrocio dellafermata dell’otto parte anche via Ippoli-to Nievo, dove ha sede l’Unità. Il primogiornale comunista.L’attuale sede del manifesto occupa unpaio di piani di un colosso costruito for-se negli anni sessanta. La lunga infilata diterrazze corre ininterrotta per oltre cen-to metri. Quelle del giornale sono com-prese tra il un Caf Acli e altri anonimi uf-fici. Il manifesto non è più il quotidianodi via Tomacelli. Ora ha sede in via Bar-goni, una novità tra tante, che segna ilpercorso come una pietra miliare, detta-ta da esigenze economiche: l’affitto alcentro di Roma era diventato troppo ca-ro.Nei primi di gennaio 2007 la redazioneera ancora nel pieno centro di Roma, inun palazzo in stile fascista liscio e severo,di marmo e mattoni, affogato nel caosvelato di grigio del centro di Roma. Il ter-zo e il quinto piano erano la sede della re-dazione e dei poligrafici. In origine soloquelle del quinto. Poi lo spazio è diventa-to insufficiente.I lunghi corridoi erano rivestiti di un par-quet consumato. Dall’uso, dallo sposta-mento delle sedie e dei tavoli. Grossi pez-zi e listelli di legno erano spesso diveltidalla loro sede lasciando buchi difficilida non notare. Nella stanza più grande, alcentro del corridoio che percorre tutto ilpiano e sul quale si affacciano le stanzedelle diverse sezioni, c’era il desk del ca-poredattore e le riunioni di redazioneogni giorno, verso l’una. Sulla superficiedel pavimento, resa ruvida da 30 anni dimancata manutenzione (o sarebbe me-glio dire sostituzione), spiccavano comenei da contorni indistinti le bruciaturedelle sigarette. Decine, forse centinaia dicicche schiacciate sotto il tacco durantelunghe discussioni per decidere la lineadel giornale, inventare il titolo di prima oattendere il risultato di una tornata elet-torale. Firma inconfondibile dell’anticovizio di Valentino Parlato e delle sueMarlboro rosse. Vizio condiviso conbuona parte dei redattori. La legge sul fu-mo nei luogo di lavoro qui dentro era ri-masta lettera morta, appesa per dovered’ufficio alla parete senza troppa con-vinzione, quasi derisa.Sul tratto di corridoio di fronte stava lastanza di Rossana Rossanda, co-fonda-trice assieme a Valentino Parlato e LuigiPintor tra gli altri, del giornale. Il suo co-gnome scritto su un cartello grigio, in ca-ratteri ormai quasi indistinguibili a cau-sa dell’età e della polvere. Quell’ufficio

negli ultimi tempi è rimasto vuoto, Ros-sana ora scrive i suoi corsivi da Parigi.Proprio a fianco c’era l’ufficio di Mariuc-cia Ciotta, la direttrice, poco distantequello di Gabriele Polo e di Valentino. Toccare la redazione di via Tomacelli erauna questione epidermica, più che altro.Strati e strati di polvere rivestivano la su-perficie delle centinaia di libri ammassa-ti, accatastati, impilati sulle scrivanie esulle mensole, mano a mano che proce-deva il lavoro e passavano i giorni, sem-pre più curvate dal peso, sul punto di ce-dere. Un caos senza nevrosi, legittimatodalla storia del giornale e di chi ancora vibatteva i tasti. L’odore era quello acredelle pareti gialle e ingiallite, impregna-te da decenni di fumo. L’odore della car-

ta e dell’inchiostro, l’odore dei quotidia-ni. Centinaia e centinaia di “copia omag-gio” ritualmente seminate ogni mattinain tutte le stanze e ogni notte “rapite” dal-le scrivanie per essere sostituite all’albadelle 10 il mattino successivo.Guardare era soprattutto leggere. Unmanifesto dei Sem terra, i contadini sen-za terra del Brasile, una foto della primapagina nel gennaio del 1991 allo scoppiodella prima guerra in Iraq, “Massacro”era il titolo, accanto ad altre prime pagi-ne dagli anni ’70. Erano alcuni dei quadriappesi alle pareti di un colore senape unpo’ triste, solcato da piccoli graffiti, scrit-te a pennarello o pedate ben definite dichi si era appoggiato al muro di schienacon una gamba piegata sotto di sé. Un

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si riparte da Trasteveredove era nato nel 1971. Tutto nuovo, stanze luminose e niente traffico

aria da opera di manifattura che ancora,in parte molto ridotta, si può respirare avia Bargoni ma senza quella carica qua-si ingombrante di storia da raccontare.La nuova sede ha l’odore del nuovo. Levetrate che si aprono sulle terrazze nonhanno confronto, in quanto a superficie,con le vecchie finestre dagli infissi in le-gno deformato dall’umidità di via Toma-celli. Le pareti bianche appena ridipintee il parquet bianco, risistemato primadell’insediamento della redazione nellasua nuova sede, illuminano gli ambientidi luce fresca. Ora aprire le finestre non èpiù un tabù, ma un piacere. La via secon-daria non deve quasi sopportare traffico,gli unici rumori arrivano dalla scuolaelementare di fronte. Durante la ricrea-

zione e la pausa pranzo. Scaffali e archi-vi quasi non si notano. Il loro volume si èridotto. Tutte le carte non indispensabilisono state mandate al macero. Gli scher-mi piatti dei computer sono sistematisulle scrivanie, ora più ampie e ben dis-poste ad accogliere tutto.Una redazione meno fotogenica ma piùfunzionale. Anche la connessione inter-net viaggia più veloce sui nuovi compu-ter. Quello che manca, a voler essere ro-mantici, è l’aria da redazione giornalisti-ca “vecchio stile” che la sede originariaaveva guadagnato col tempo. E col tem-po anche questo nuovo laboratorio ac-quisterà una sua identità, che ora aleggiaun po’ sfuggente tra le pareti quasi diafa-ne nel cuore di Trastevere.

Nella foto grandeLuigi Pintor, fondato-re del giornale, nellavecchia sede contutta la redazione(foto Riccardo DeLuca), nell’altrapagina il palazzo divia Tomacelli e,nell’angolo, l’exdirettore Riccardo Barenghi in redazione durante la notte elettoraledell’aprile 2001(copy AndreaSabbadini)In questa paginaun’istantanea dellasala del desk,più in basso la sezione economica del giornale e,nell’angolo,il corridoio d’entratadella redazione

Page 8: il Ducato - Ifg Urbino · che è pari a circa il 10 per cento dei ricavi di ogni anno. Molto inferione alla media dei giornali italiani, che gravita attorno al 45 per cento 1,9 mln

il Ducato

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“Ti compro ma non mi piaci”Tanti lettori scrivono alla redazione ogni giorno per chiedere un giornale diverso

Le critiche alla linea del giornale, all’impostazione grafica o alla mancanza di attenzione a certi temi sociali

La pagina delle lettere è l’orec-chio teso da un giornale aisuoi lettori e ne riproponel’essenza per comunicare senon il fatto, quanto meno l’in-tenzione di un autocritica o la

continua messa in discussione del pro-prio lavoro. Nel manifesto il dialogo con i lettori è piùintenso rispetto agli altri giornali. Conquei lettori che hanno comprato abbo-namenti, firmato (e pagato) sottoscri-zioni, continuato a sostenere il giornale,in pratica a salvarlo dalla chiusura, intutti i suoi momenti di crisi. Ma sono let-tori esigenti, spesso piccati per certescelte del giornale, critici nei confrontidella linea editoriale o della valorizza-zione di alcune notizie. “Abbonatevi, ma aspettiamo le vostrelettere con critiche e suggerimenti” scri-veva Valentino Parlato in un appello a so-stenere il giornale. Le critiche e i sugge-rimenti non si sono fatti attendere. Que-sto forse perché si sentono in diritto e indovere di criticare una macchina che inqualche modo sentono propria.

“Ti leggo da 20 anni, ti sostengo in tutti imodi, ma sono anche stufo. Innanzituttodi leggere queste lamentele, perché ci sa-rà pure crisi di vendita,ma i conti bisognasaperli fare […] e con te i conti non torna-no mai. Possibile?”.

Alle critiche sulla situazione economicasi aggiungono quelle sui contenuti delquotidiano.

“La pagina della cultura è sempre più au-toreferenziale e terribilmente snob.Il miomanifesto […] dovrebbe fare inchieste sulterritorio”Lorenzo.“Cari compagni, rinnovo il mio abbona-mento sostenitore, ma condivido conmolti altri lettori l’idea che il giornale de-ve cambiare:non solo per me,ma per i fu-turi lettori attratti da un giornale nuovocapace di essere più leggibile e meno ca-tegorico”Lidia.“Caro Valentino Parlato almeno tre voltea settimana acquisto il manifesto e devoconfessare che a me questo giornale nonpiace né come contenuti né come impo-stazione grafica. Lo trovo lugubre, privodi stimoli culturali, lontano dai proble-mi reali della gente e poco interessante”.Nunzio, Torino.

Molti i consigli per guidare il giornaleverso un cambiamento obbligato da esi-genze di mercato e che vada incontroproprio alle aspettative dei lettori.

“Voi siete sul pezzo, quello che respiroquotidianamente lo vedo descritto e ana-lizzato nelle vostre pagine.Voi avreste glistrumenti per dare risposte agli illusi esperanze ai disillusi. Allora perché avetetutti questi problemi? Forse perché tutti i

giornali sono in crisi e stanno investendosempre più su internet. Da qui un mioconsiglio […] Smettete di arrivare in tut-te le edicole, costa troppo. Concentratevisul web, migliorate il giornale online” .Anselmo.“Il nostro futuro prossimo sta nella for-mula web+freepress e siamo già in gran-de ritardo. Per questa nuova avventurasarei disposto a raddoppiare la mia quo-ta sociale”.Gianni, Barzanò (Lc).

La discussione sull’opportunità di man-tenere la scritta “quotidiano comunista”non è solo interna al giornale.

“Uscite dalla gabbia dell’essere un “quo-

tidiano comunista”, togliete questo rife-rimento (glorioso ma inattuale) di cuinon avete bisogno.[…] Date spazio a chiscrive bene e parla di temi di grande at-tualità sociale. […] Non costringete chinon arriva a fine mese a rinunciare aduna copia del nostro giornale.In attesa iocontinuo a comprarvi.Giorgio, Bologna.“Vi seguo da quando è nato il giornale[…]Innanzi tutto sono tra coloro che sosten-gono la necessità che sia mantenuta la di-citura “quotidiano comunista. In secon-do luogo Valentino Parlato ha scritto cheper modestia non viene pubblicato il di-battito all’interno del giornale e credo checiò sia un errore perché i lettori hanno di-ritto di conoscere come si confrontano le

vostre posizioni”.Gianna.Accanto alla richiesta di essere un gior-nale troppo ancorato su posizioni ana-cronistiche, ci sono le critiche ad una li-nea secondo alcuni troppo deferenti neiconfronti di alcune figure o posizionipolitiche. Critiche che si fanno più asprein campagna elettorale.

“Sono rimasto scioccato dall’intervista aVeltroni: è un’investitura ufficiale? È ladiscesa in campo del manifesto a fiancodel Pd? Ma allora perché non lo dite uffi-cialmente? È da tempo che sul vostro (pri-ma avrei detto il nostro) giornale ci sonosolo due candidati […] Speravo che il ma-nifesto non cadesse in questo burrone”.

Più spazio al webe alle inchieste“Comunista sì,comunista no”un’etichetta spesso discussa

La polemica

La presenza di alcuni spazi pubblicitari di aziende considerate “poco di sinistra” ha mosso la penna di alcu-ni lettori. La discussione ha trovato spazio nella rubrica di lettere di Valentino Parlato, Scritto e Parlato

Come azionista e abbonato dal 1994 non sono assoluta-mente d’accordo sulla pubblicità di Mediaset sul manifestodi venerdì 16 novembre. Cosa sta succedendo? E per corte-sia non tirate fuori la storia della sopravvivenza, per quelloche mi riguarda preferisco una sottoscrizione o l’iniziativadell’album di famiglia che è interessante, divertente e cul-turalmente utile. Cordiali Saluti. Riccardo Verona

Cari compagni, no… la pubblicità Mediaset sul manifestodel 16 novembre no. Piuttosto pago 5 euro il quotidiano mala pubblicità di Silvio sul mio giornale non la voglio. Giovanni, Brescia

Cari compagni […]Non vi risponderò con l’argo-mento (vero) che abbiamo undannato bisogno di denaro eneppure con quello (ipocrita)che pecunia non olet. Io penso

che un quotidiano comunistacome il manifesto debba darespazio alla voce dell’avversa-rio per batterlo e sbugiardarlo.[…] Quindi – penso io – fac-ciamolo parlare, persino con

la pubblicità sulle pagine delmanifesto e quindi tentiamodi far diventare più chiaro e dimaggiori prospettive questoscontro[…].Valentino Parlato

Anche quest’anno vi siete giocati il mio abbonamento. Comesi fa a preferire i soldi di Silvio Berlusconi a quelli dei proprilettori?Antonio

Cari compagni del manifesto, abbiamo sempre fatto tuttosenza chiedervi nulla. Ora noi, a dir la verità, una cosa ve lavorremmo chiedere: come mai ultimamente l’ultima paginadel giornale è tutta dedicata alla sponsorizzazione di azien-de come Tim & co? Il 16 novembre, in particolar modo,siamo rimasti sconcertati dalla presenza, sempre in ultimapagina, di una pubblicità Mediaset… che amarezza!Silvia e Antonio

Alcune pagine con le lettere giunte al manifesto

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portante. Tenere una parte, che non si-gnifica giustificare tutto , ma comunqueavere una linea che sia quella. Il nostro èun lettore attento, c'è un fenomeno in-credibile delle lettere che arrivano ancheper una sola virgola fuori posto.In conclusione, qui tutti la vedono nera.Tu come la vedi?Io sono sempre ottimista, non riesco aimmaginarmi il manifesto che non escein edicola, secondo me è impossibile. Lastoria ultima ha dimostrato che ogni vol-ta che ha paventato di non uscire più si èmobilitato il mondo. Adesso poi con la si-nistra fuori dal governo e dal parlamentoè una grossa scommessa, può ritornare aesistere sul mercato editoriale e a esserecredibile.

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DOSSIER

Stefano,qual è la strada che ti hap o r t a t o a l m a n i f e s t o ?Ho frequentato la scuola digiornalismo di Roma, Tor Ver-gata, dopo essermi laureato al-la Sapienza in Lettere moder-

ne. Ho fatto un primo stage al Messagge-ro poi, siccome volevo provare uno stagedifferente, ho mandato il curriculum qui.Sono arrivato nella redazione economi-ca, da Galapagos per la prima settimana.Cosa ti attirava del manifesto?Beh naturalmente ci sono motivazionipolitiche, ma anche il "mito" del manife-sto come scuola di giovani giornalisti èun'idea che dall'esterno ancora c'è. Que-sto non solo tra i non addetti ai lavori, maanche i giornalisti continuano a conside-rarla una fucina, una grossa scuola. Io hoavuto una doppia esperienza come ti di-cevo. Al Messaggero c'era grande orga-nizzazione, con computer di ultima ge-nerazione, insomma funzionava tutto.Sono arrivato al manifesto con i 486 che siimpallavano, le agenzie che c'erano e nonc'erano, però alla fine il lavoro era anchepiù grat i f icante. Quando sei arrivato qui?Due anni fa proprio prima delle elezioni2006, in piena crisi manifesto e si iniziavaa parlare di cassa integrazione.Era l'anno dell'ultima sottoscrizione.Sì, era l'ultima, cominciata all'inizio del2006, e io sono arrivato a marzo. Ti sei trovato subito bene?Sì benissimo. La sensazione, fin da subi-to, è sentire il giornale come un po' tuo.Ho fatto due stage di tre mesi, poi, avendola fortuna di vivere a Roma, ho comincia-to a collaborare come esterno scrivendoun po' per tutte le sezioni , anche di sport.Poi mi sono ripresentato l'anno dopo, fi-nita la scuola, e adesso eccomi qui.Qual è la tua percezione della macchinamanifesto? Cosa c'è che non va?

Secondo me un grosso problema è l'inco-municabilità tra le diverse sezioni, le di-verse anime del manifesto. C'è molto po-co gioco di squadra. Ci sono sezioni trop-po chiuse in se stesse. E questo lo puoi ve-dere anche da come viene fuori il giorna-le. Per farti un esempio pratico, alle 10 disera magari una notizia che è rimbalzatatutto il giorno tra Società ed Economia tiaccorgi che non ce l'ha nessuna delle due.Questa secondo me è una cosa incredibi-le: un giornale di 18 pagine che non riescea coordinarsi. Il manifesto è un collettivo,ma spesso sfugge un po' di mano. Alcunevolte questo può essere un pregio perchéti porta anche ad avere notizie o a darespazio a fatti che le altre testate non con-siderano, altre volte però succede che no-tizie che ci devono essere non ci sono.Quando sono entrato c'era molta più par-tecipazione e collaborazione. Adesso alcosa mi sembra un po' più arida. Un problema da risolvere per risollevareil giornale.Credo sia anche un fatto di generazione.C'è una spaccatura tra "i vecchi", chehanno fondato e portano avanti il giorna-le da quasi 40 anni, e chi arriva adesso evede che non è possibile lavorare come 40anni fa. I lettori vogliono un altro tipo digiornale e si vede questa dicotomia tra chiè più conservatore e i più giovani. Alcunesezioni sono ancorate in un passato unpo' troppo ideologico. Giusta l'ideologiadel manifesto, guai. Però i tempi cambia-no e se adesso vendiamo a malapena20.000 copie significa che dovremo fareun giornale un pochino più fresco e piùnuovo in questo senso.Proprio sulla vendita di copie. Secondote qual è stato l'errore o la strategia sba-gliata?La linea del giornale secondo me a voltenon è molto chiara. Conosco gente chelegge il manifesto e mi dice che alcune

volte trovano un giorno una linea e il gior-no dopo una diversa. Faccio l'esempiodel caso del rinnovo delle licenze per i tas-sisti a Roma, che ho seguito personal-mente. L'argomento ce lo dividevamocon Economia ma tra le due sezioni ave-vamo due visioni differenti ma che appa-rivano entrambe nelle nostre pagine.Questo secondo me in un giornale comeil manifesto è un problema, non siamo ilCorriere della Sera. Il manifesto deve dareuna linea precisa e ferma. Abbiamo letto-ri molto esigenti sotto questo punto di vi-sta, molto più degli altri.Questo traspare anche dalle lettere chearrivano ogni giorno in redazione deilettori confusi.Esattamente, questo secondo me è im-

L’ultimo arrivato:“In redazioneserve più dialogo”Viene dalla scuola di Tor Vergata, a Roma“Tante cose non vanno ma sono ottimista,è impossibile che il manifesto non esca”

Giornali dei redattori in crisiil caso Le MondeUn’altra redazione indipendente che rischia grosso, in Europa, èquella di Le Monde, il prestigioso quotidiano francese. La Sociétédes rédacteurs du Monde (Società dei redattori) detiene la maggio-ranza delle azioni del giornale ma i motivi della crisi sono opposti aquelli che mettono in difficoltà il manifesto. L’ex direttore Jean MarieColombani ha compiuto, durante i suoi mandati (è stato direttore dal1994 al 2007), l’acquisizione di diverse testate locali e diverse atti-vità anche di genere differente da quelle editoriali. Questo ha fattolievitare il debito del giornale che ora ammonta circa 150 milioni dieuro. La redazione ha più volte contestato (tra l’altro con il primosciopero della storia del quotidiano) il piano di ristrutturazione dell’a-zienda, che prevedeva un taglio di 130 unità tra cui 80 giornalisti: unquinto della redazione.

ALL’ESTERO

Stefano Milani nella redazione del Manifesto

Stefano Milani, di Politica e Società

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condo Gabriele Polo, direttore del ma-nifesto, è una questione tutta politica: “Igiornali della sinistra vendono menoperché la sinistra non c’è, è scomparsa.Benché vada con un cartello elettoralenon ha un’identità, non ha una credibi-lità, non ha una sua visibilità e non haintrapreso un percorso di rifondazionevero, che si ponga come alternativa disistema e quindi i giornali politici ne ri-sentono”.Per quanto riguarda Liberazione, orga-no del partito di Rifondazione comuni-sta, non si hanno dati Ads per realizzareuna serie storica di confronto e l’ammi-nistrazione del quotidiano non accon-sente alla loro diffusione. Il sito dellaFieg (Federazione italiana editori di

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L’analisi e il commento dei numeri.Gabriele Polo:”La sinistra ha fallitonon ha più identità, è scomparsa”

Allarme “rosso” nella stampaCrollo di lettori dei quotidiani della sinistra di pari passo con la crisi politica

Le vendite di manifesto, Unità e Liberazione non arrivano, sommate, a 100.000 copie: il livello di guardia

Quota 100.000 è il livello diguardia. Quando si scende aldi sotto per la sinistra scattal’allarme. Al di là del numerotondo, che è solo una sogliapsicologi ca, la curva discen-

dente della stampa “rossa”, quellaschierata a sinistra, ha preso, da alcunianni a questa parte, la via di un rapidodeclino. Sono i dati a parlare: l’Unità, ilmanifesto e Liberazione, insieme, nonraggiungono le 100.000 copie vendutecome media giornaliera (un sesto delCorriere della Sera). La stima si basa suidati Ads (Accertamento diffusionestampa) e della Fieg (federazione italia-na editori di giornali). La flessione dellavendita della stampa quotidiana è unfatto conosciuto, ma il fenomeno, nelcaso della sinistra, sembra più accen-tuato, soprattutto se paragonato ai quo-tidiani generalisti come il Corriere dellaSera o Repubblica. Entrambi hanno in-fatti subito oscillazioni attorno all’1%:Repubblica in positivo, dal 2001 a oggi,mentre il Corriere ha perso circa l’1,8%di copie. Diverso è il discorso per laStampa, che ha visto un calo più consi-stente delle vendite nello stesso perio-do: -17,26%. Il confronto risulta impari anche pren-dendo in considerazione i quotidiani diopposto orientamento come Libero o ilGiornale. I due giornali più rappresen-tativi del “lettorato” di destra hanno te-nuto due andamenti contrastanti. IlGiornale, di proprietà della famigliaBerlusconi, ha ceduto, negli ultimi set-te anni, il 5,78%, mentre l’incedere di Li-bero disegna una ripida curva verso l’al-to: +280%.“Le vendite dei giornali di sinistra dimi-nuiscono perché i partiti di massa per-dono sempre più presa e vengono sosti-tuiti da nuove forme di aggregazione – èl’opinione di Paolo Mancini, professoreOrdinario di Sociologia delle Comuni-cazioni alla Facoltà di Scienze Politichedell'Università di Perugia – a ciò si de-vono aggiungere internet e l’incremen-to della televisione”.L’Unità dal 2001 ha subito un calo divendite di oltre il 23%, in picchiata da ol-tre 71.000 copie al giorno a poco più di48.000. Il grafico mostra una linea abba-stanza regolare nei primi anni 2000, perfarsi più ripida tra il 2004 e il 2006 e am-morbidirsi nell’ultimo anno.Secondo Fabio Luppino, della redazio-ne politica dell’Unità, la questione nonriguarda la sinistra in genere. Le tre te-state vanno distinte nel loro percorso:“Innanzi tutto ci sono troppi giornali,c’è troppa dispersione. Bisognerebbepuntare a un grande giornale di opinio-ne, alternativo ai cosiddetti generalisticome Repubblica e Corriere. L’Unità hauna storia a sé, diversa da manifesto eLiberazione”. Ma c’è anche un collega-mento diretto con la politica. Un cordo-ne ombelicale che però va allentato: “L’Unità è il giornale che rappresenta iDs, ma ha cercato di interpretare in mo-do laico questo ruolo. Cerchiamo dirappresentare tutto ciò che c’è a sinistraperché ci vuole maggiore lettura e rap-presentazione della realtà”. Per il manifesto la situazione non è mol-to dissimile. Il calo delle vendite sembramolto sensibile negli anni ’90, quandola diffusione (che si calcola sommando

le vendite, gli abbonamenti e le copiegratuite) passa dai 36.000 del 1996 ai30.000 del 2000. Dal 2001 al 2007, se-condo i dati Ads, le vendite sono invececalate di oltre il 23%, da 32.400 a 23.500.Unico dato in controtendenza è quellodel 2005, l’anno del rapimento di Giu-liana Sgrena in Iraq. La momentanea ri-salita delle vendite del manifesto è do-vuta forse alla grande esposizione me-diatica seguita al sequestro e liberazio-ne della giornalista. A questo si è in se-guito aggiunto il tragico epilogo, con lamorte dell’agente del Sismi Nicola Cali-pari e le polemiche accese dall’incrimi-nazione del militare statunitense MarioLozano.Il crollo delle testate della sinistra, se-

giornali) riporta solo due cifre, riferibiliforse all’anno in corso o, con più proba-bilità al 2006. Tiratura: 60.000 copie Dif-fusione: 27.000. Le vendite, consideratala diffusione pari a quella del manifesto,si dovrebbero attestare più o meno suilivelli dei “cugini”, poco sopra le 20.000copie. Anche per Liberazione si può ipotizzare,comunque, un calo delle vendite in re-lazione alla tendenza generale. Lo con-ferma anche Antonella Marrone, dellaredazione politica del quotidiano: “Ilcalo c’è e si sente, ma penso che per Li-berazione sia più contenuto degli altridue. I giornali politici, certo, sono mol-to legati al periodo. Bisogna ammettereperò che la politica sta perdendo ap-peal, anche in quella parte generalmen-te più consapevole e impegnata. Il let-tore motivato del manifesto e Liberazio-ne comunque continua a comprare, bi-sogna però arrivare anche “fuori dall’a-rea” dove si possono trovare nuovi letto-ri e nuovi interessi”.“Questi giornali non forniscono più leinformazioni che sono necessarie adagire nella società – spiega ancora Man-cini - la notizia importante non sta nésull’Unità né sul manifesto ma sul Sole24ore. Allo stesso modo per valutare einterpretare la situazione politica ser-vono il Corrieree Repubblica. Quelli del-la sinistra sono nati come organo di par-titi di massa (in questo caso il Pci poi Pdse Rifondazione ndr), ma sono gli stessipartiti che non esistono più come formadi aggregazione, almeno non nell’acce-zione che avevano una volta”.

Sopra la tabel-la con le vendite dei principali quotidiani,in basso il grafico con lacurva discendentedelle venditedi manifesto eUnità (datiAds) NB: i dati con-teggiano lecopie vendute in edicola e non tengonoconto degliabbonamentiIn basso lalavagna con levendite giorna-liere del mani-festo a Roma

Vendite

il manifesto

il Giornale

il Sole24Ore

CorriereRepubblica

l’Unità

Libero

la Stampa

28.834

200.008

189.973

597.879569.271

63.932

58.193

292.276

29.670

200.385

184.465

591.518570.467

59.191

71.484

266.319

23.703

201.654

208.754

579.229565.337

48.902

127.064

268.066

23.561

200.224

207.500

578.807565.697

48.237

126.390

268.295

Testata 2004 2005 2006 2007

22.832

196.049

205.449

579.008564.355

46.895

125.410

266.835

2008