Il divismo Divismo1.pdf · Anche Wanda von Dunajew, la Venere in pelliccia 1870) di Leopold von...

50
Il divismo

Transcript of Il divismo Divismo1.pdf · Anche Wanda von Dunajew, la Venere in pelliccia 1870) di Leopold von...

  • Il divismo

  • Popolarità

    Alla fine dell’Ottocento, la popolarità di alcuni personaggi dello

    spettacolo non era un fatto nuovo, ma si trattava di una celebrità

    strettamente connessa al talento (o a una posizione sociale

    assolutamente preminente) e di portata piuttosto contenuta,

    legata più alla distanza che alla prossimità. Già la stampa

    popolare inizia a impastare le persone celebri in una sorta di

    milieu dorato fatto di balli di corte, bagni termali, teatri dell’opera,

    lusso e transatlantici.

  • Legame sociale

    Ma i mezzi di comunicazione

    più esplicitamente rivolti alle

    masse mostrano un’inedita

    capacità di costruire

    immense popolarità in breve

    tempo. La semplice

    «apparizione mediatica» si

    mostra in grado di accendere

    subito un vincolo con un

    numero grandissimo di

    persone, rivelando un nuovo

    tipo di legame sociale che

    presenta aspetti funzionali e

    confortanti, ma anche, per

    altri versi, spaventosi.

  • Il cinema impiega

    naturalmente un po’ di

    tempo per mettere a

    punto questa dinamica di

    «conferimento di status».

    Deve innanzitutto

    superare le secche che

    lo tengono nella palude

    della mediocrità e poi

    raffinare le modalità

    espressive, come ad

    esempio far uscire i

    personaggi

    dall’anonimato della

    scena fissa e trovare il

    modo di caratterizzarli.

    Conferimento di status

  • Il sacro nel profano

    Tuttavia il fenomeno del divismo non

    è solo la conseguenza «tecnica» di

    uno sviluppo mediatico inatteso, né

    soltanto una valvola meccanica

    aperta da un contesto sociale ormai

    di massa gonfiato da un’insostenibile

    pressione. È anche un fenomeno

    culturale, che rispecchia alcune

    trasformazioni mentali e culturali

    dell’epoca, l’emergere di nuovi

    bisogni sociali, come la riscoperta

    del sacro nel mondo «disincantato».

  • Valori

    I valori del tempo sono riflessi dal cinema alla superficie

    mediante l’ansia della velocità, la ricerca del ritmo, la

    celebrazione dei riti della civiltà urbana. Ma scendendo più a

    fondo, il cinema che inizia ad esplorare i territori del sogno e della

    fantasia si rivela in grado di interpretare le inquietudini che si

    agitano nelle zone più appartate della coscienza sociale.

  • Turbamenti

    I turbamenti che sembrano il

    più credibile alimento del

    fenomeno divistico sono il

    disagio di fronte al

    rimescolarsi dei ruoli sociali,

    quello delle donne in primo

    luogo, l’eccitazione per le

    apparenti occasioni di

    mobilità sociale verticale e,

    in generale, la ricerca di

    ancoraggi, di punti di

    riferimento in un mondo

    diventato all’improvviso

    troppo veloce, esigente e

    instabile.

    Doris Eaton (1904–2010)

  • Isadora Duncan (1878-1927)Emancipazione

    Nella dissoluzione degli ultimi residui del mondo aristocratico, i

    languori del decadentismo enfatizzano la figura femminile, in una

    miscela agrodolce di attrazione e diffidenza, mentre la spinta

    verso l’emancipazione ci lascia ritratti di donne disinibite e

    sensuali che sollevano tempeste di passione.

  • Emancipazione

    Una cultura inquieta, che rifiuta la fiducia ottusa nel positivismo e

    civetta con le pose decadenti e con le tentazioni proibite, si

    cimenta con le turbe sessuali e con le profondità della psiche,

    lasciando emergere la paura per la «rivolta» delle donne.

    Theda Bara (1885-1955)

  • Femme fatale

    La letteratura del periodo è

    infatti popolata di donne

    fatali, perverse e dominatrici.

    John Singer Sargent,

    Portrait of Madame X, 1884

    Jane Burden Morris, musa dei Preraffaelliti

  • Salomè

    Salomè di Oscar Wilde,

    scritta in francese per Sarah

    Bernhardt (che si rifiuta di

    interpretarla) e pubblicata

    nel 1893 con le illustrazioni

    di Aubrey Beardsley.

    La prima rappresentazione

    si tiene a Parigi il 12

    febbraio 1896, poiché a

    Londra ne è vietato

    l’allestimento e fino

    al 1931 l’opera sarà proibita

    nel Regno Unito.

  • Lulu

    La Lulù di Wedekind del 1913, che unifica due

    lavori precedenti - Lo spirito della terra e Il vaso

    di Pandora – costati all’autore lo scandalo e un

    lungo processo penale. Il personaggio, tragica e

    moderna incarnazione della femme fatale, viene

    consegnato al mito da Louise Brooks nel film Il

    vaso di Pandora (Pabst, 1928).

    Lulu, Wuppertaler Schauspielhaus, 2011

  • Wanda von Dunajew

    Anche Wanda von Dunajew, la Venere in

    pelliccia 1870) di Leopold von Sacher-

    Masoch può essere un simbolo

    dell’apprensione maschile verso il riscatto

    delle donne.

  • Colette

    Nel 1906 la scrittrice Colette

    entra nelle grazie della

    marchesa Mathilde de

    Morny, di cui è nota la

    passione per gli abiti

    maschili. Nel 1907, durante

    la pantomima Rêve d’Égypte

    al Moulin Rouge, Colette, che

    interpreta Cleopatra, e la

    marchesa, nelle vesti

    dell’archeologo innamorato,

    si baciano sul palco con

    passione; ne nasce un

    putiferio e il Prefetto Lépine

    fa chiudere lo spettacolo.

  • Mata Hari

    Nel 1905 si spande per

    Parigi il profumo di peccato

    sprigionato da Mata Hari,

    che con la sua danza,

    solleticando torbide

    fantasie su paesi

    sconosciuti, offre agli

    spettatori un assurdo

    sincretismo fra la

    saggezza buddista e i “riti

    sanguinari” di fantomatiche

    dee indù, il fascino proibito

    dell’erotismo e la purezza

    dell’ascesi.

  • La vampira

    La prima incarnazione

    cinematografica di

    questa minaccia

    femminile (che diventa

    un trampolino importante

    per il protagonismo

    femminile e per

    l’emergere delle prime

    dive) è la donna-vampiro,

    cioè la donna che

    risucchia le energie

    dell’uomo per

    assoggettarlo al suo

    potere capriccioso. Asta Nielsen in Abisso (1909)

  • La vampira

    La figura della femmina vampiro, ispirata all’omonimo poema

    di Rudyard Kipling del 1897 che inizia col verso «A fool there

    was and he made his prayer» e The Vampire, il celebre

    disegno di Philip Burne Jones (1897) che ritrae l’attrice Patrick

    Campbell, cui il pittore era romanticamente legato, solletica la

    cinematografia americana.

  • La vampira

    Nel 1910 esce un primo

    film di una dozzina di

    minuti intitolato The

    Vampire, prodotto

    dalla Selig, con regia

    non accreditata,

    interpretato da Margarita

    Fischer e Charles Clary.

  • La vampira

    Poi, insieme con l’idea della

    donna vacua che distrae le

    risorse dell’uomo, ritorna anche

    la sensualità della danza.

    Sempre col titolo The Vampire,

    esce nelle sale il 15 ottobre

    1913 un nuovo film (stavolta 3

    rulli per complessivi 38

    minuti) prodotto dalla Kalem

    Company, diretto da Robert G.

    Vignola, interpretato da Harry

    F. Millarde, Marguerite Courtot

    e Alice Hollister.

  • Alice Hollister è la vampira Loie,

    una donna fatale che attira l’uomo

    nel peccato e subito se ne

    stanca, con la città antro di

    depravazione che facilmente

    inghiotte anche il giobane più

    virtuoso. Il film invita a diffidare

    delle donne dedite al lusso che

    mangiano in luoghi costosi, ma la

    storia di astuzia femminile ha un

    prudente lieto fine, in cui la

    fidanzata si riprende il proprio

    uomo, senza che la “vampira”

    paghi il fio delle sue malefatte.

  • La vampira

    Con questo film approda al cinema la

    Danza del Vampiro di Alice Eis, creata

    con il suo partner Bert French nel 1909.

  • The Vampire Dance

    La danza, inventata da French nel 1909 ispirandosi ancora

    una volta a Burne-Jones, desta scandalo poiché la Eis,

    vestita in modo sommario - un incrocio fra Eva, il serpente e

    una baccante - si agita frenetica attorno al suo uomo,

    seducendolo e annientandolo. La danza è così nota che

    Vignola, per accontentare il pubblico, la include per intero,

    operando solo piccolissimi tagli.

  • A Fool There Was

    Questa versione «estrema» della donna

    fatale viene infine codificata

    dall’interpretazione di una quasi

    esordiente Theda Bara, nel film A Fool

    There Was (1915, 67 minuti), prodotto

    da William Fox e diretto da Frank Powell.

  • A Fool There Was

    La trama narra di un padre di famiglia amoroso e

    devoto che incontra una donna misteriosa e

    seducente che usa abbandonare i suoi amanti

    dopo aver distrutto le loro vite; l’uomo resta

    incantato e, nonostante gli sforzi di tutti per

    salvarlo dalle grinfie del «vampiro», abbandona

    la famiglia e si rovina la carriera in una caduta

    inarrestabile. Distribuito in sala nel gennaio 1915,

    è uno dei pochi film di Theda Bara sopravvissuti.

  • Vamp

    Nel 1922 ne verrà proposto un remake

    (70 minuti) diretto da Emmett J. Flynn,

    con Lewis Stone ed Estelle Taylor. Il

    soggetto, tratto dal lavoro teatrale

    di Porter Emerson Browne, racconta

    ancora una volta la vicenda di un

    rispettabile borghese che si perde a

    causa della passione per una

    «mangiauomini» fredda e calcolatrice.

  • Vamp

    I produttori

    modellano

    addosso a

    Theda Bara

    l’immagine della

    donna perversa

    e tentatrice,

    pubblicizzata

    con una

    iconografia

    vivace fatta di

    sguardi torbidi,

    pose enfatiche

    e abiti esotici.

    The Soul of Buddha, 1918

  • Vamp

    Negli anni seguenti,

    una serie di

    interpretazioni

    “eccessive” ma di

    grande effetto -

    come Carmen

    (1915), Cleopatra

    (1917) e Salomè

    (1918) -

    cristallizzano la sua

    immagine di femme

    fatale.

  • Vamp

    «J’ai le visage d’un vampire

    mais le coeur d’une femme”

    Theda Bara

  • Edulcorazione

    La figura della donna

    vampiro subisce presto delle

    forme di edulcorazione. Il

    cinema, alla ricerca del gusto

    borghese e di patenti di

    moralità, mentre continua a

    porre l’enfasi sul ruolo della

    donna fatale - ampliandone

    diffusione e penetrazione

    nell’immaginario collettivo -

    cerca anche di

    «annacquarlo» un po’,

    rendendolo più schematico e

    morbido.

    Pola Negri (1894–1987)

  • Edulcorazione

    Nel cinema americano, la vamp continua a sedurre e a

    rendere schiavo l’uomo “debole”, ma senza distruggerlo

    completamente, spesso limitandosi a sottrargli denaro o a

    imporgli sacrifici e umiliazioni.

  • Edulcorazione

    Soprattutto, le esigenze dell’industria tendono per loro natura a

    sganciare la forza del personaggio, riconvertita in una serie di

    cliché, dalla bravura dell’interprete, a sua volta ricondotta alla

    sola visibilità.

  • Diva film

    Un contributo

    importante al

    fenomeno del

    divismo viene

    dall’Italia, dove il

    termine diva viene

    inventato, con lo

    sviluppo di un vero e

    proprio filone di film

    sentimentali che

    esaltano i ruoli delle

    protagoniste

    femminili.

    Francesca Bertini (1892–1985)

  • Edulcorazione

    In quest’ambito -

    nella terra del

    melodramma lirico -

    la mangia-uomini

    ammorbidisce il

    senso di perdizione e

    di peccato al fuoco

    del trasporto emotivo

    e del culto della

    bellezza,

    valorizzando il

    fascino magnetico

    delle nuove dive.

  • Inquadratura

    Nei film con le dive le storie sembrano spesso poco più che un

    pretesto per esplorare la visualizzazione della sensualità, con

    inquadrature spesso lunghe e immobili, i corpi allungati in pose

    estetizzanti, secondo uno stile più contemplativo che narrativo.

  • Primo piano

    I primi piani sono lunghi e intensi, molto lontani dalla rapidità che

    elettrizza il cinema americano. Il cinema italiano quindi avanza

    un modello «divistico» in linea con la vocazione di tutto il cinema

    europeo, più legato a una visione descrittiva e contemplativa

    dell’inquadratura che non alla velocità del montaggio narrativo.

  • Primo piano

    Il ricorso al primo piano, qui utilizzato per valorizzare l’enfasi

    espressiva delle attrici sarà infatti ripreso dal cinema americano

    con lo stesso intento, mentre in quello europeo

    (espressionismo tedesco e avanguardia francese) diventerà

    uno strumento d’indagine emotiva e interiore.

  • Evoluzioni

    Mentre l’evoluzione tecnica delle riprese, il miglioramento di

    obiettivi e pellicole, la lunga permanenza dei personaggi sullo

    schermo garantita dal lungometraggio accentuano l’importanza

    degli attori, il successo delle dive introduce nel linguaggio del

    cinema un registro linguistico più ampio e la capacità di

    descrivere i sentimenti e di suscitare emozioni.

  • Da attore a divo

    La valorizzazione del ruolo del protagonista, intrecciata con lo

    spirito commerciale, sfocerà in una consistente promozione

    economica e in un fenomeno sociale di proporzioni incredibili.

  • Da attore a divo

    «Nascosti dal trucco pesante, ripresi da lontano e presenti in film

    troppo brevi perché il pubblico si potesse affezionare, gli attori del

    cinema erano di solito anonimi. I primi a diventare popolari furono

    così non gli attori, ma i personaggi che essi interpretavano». I

    diva-film, per la prima volta nella storia del cinema, addensano

    una potente funzione simbolica direttamente sugli interpreti.

  • Da attore a divo

    Di film in film, gli elementi che

    plasmano il profilo degli attori

    diventano sempre più riconoscibili,

    fino a costituire il nucleo centrale

    del racconto cinematografico e

    quindi anche dell’interesse del

    pubblico. La Borelli, ad esempio,

    esibisce fin dal primo film posture,

    gesti ed espressioni che diventano

    ricorrenti nella sua recitazione e sui

    quali la macchina da presa indugia,

    spesso con piani ravvicinati che

    marcano la «centralità» del

    personaggio e la sua seduttività.

  • Da attore a divo

    Attrici e attori assumono

    un’aura stabile di tipo «meta-

    identitario», che non appartiene

    cioè a un solo determinato

    personaggio né esclusivamente

    alla dimensione privata

    dell’interprete, ma usa il corpo e

    la «personalità» del divo per

    attraversare i diversi ruoli

    mantenendo sempre una cifra

    riconoscibile, secondo

    determinati caratteri di

    prestanza fisica, forza morale,

    simpatia o sex appeal.

  • Da attore a divo

    Questa «maniera» plasma

    un’immagine divistica spesso

    non banale, derivata dal

    repertorio teatrale ma

    armonizzata con le

    prorompenti peculiarità del

    nuovo medium, e soprattutto

    conscia del capovolgimento

    del rapporto fra l’attore e il

    personaggio: l’interprete non

    si annulla più nel

    personaggio, ma è questi che

    invece confluisce nella

    creazione dell’immagine

    pubblica dell’attore.

  • Avvicinandosi alle

    contemporanee

    sperimentazioni delle

    avanguardie e del futurismo,

    alle performance del teatro

    espressionista e della danza di

    famose ballerine come la

    Duncan, il modello recitativo

    delle attrici del cinema, spesso

    frutto di una cosciente scelta

    strategica, traduce sullo

    schermo, tra l’altro, le istanze

    della espressività moderna,

    della liberazione del corpo e

    dell’emancipazione femminile.

  • Divi per caso

    L’impeto e la precisione con cui negli Stati Uniti il divismo

    diventa un sistema ferreamente organizzato ne fanno spesso

    dimenticare l’origine piuttosto casuale. «Storicamente in Italia»

    dice Brunetta «il divismo non è l’esito di una progettazione di

    mercato, di una operazione commerciale, quanto piuttosto una

    manifestazione che compare improvvisamente e

    inaspettatamente nello scenario dell’industria cinematografica,

    la cui internazionalità, nondimeno, comprova il prestigio del

    cinema e la sua capacità di influenzare e subordinare i

    comportamenti e l’immaginario». Gian Piero Brunetta, in Fotogenia: storie e teorie del cinema, v. IV, n. 4-5, 1998, p. 27.

  • Una sfacciata promozione

    di se stessi che approfitta di

    un mezzo poco selettivo;

    un complesso meccanismo

    commerciale che riduce il

    divo a una marionetta; una

    sintesi astuta delle qualità

    più gradite all’immaginario

    dell’epoca. Il divismo è tutte

    queste cose, ma dà luogo a

    miscele diverse a seconda

    dei contesti produttivi e

    culturali e si evolve nel

    corso del tempo.

  • Il divo

    È evidente che il divo

    diventa qualcosa di più di

    un semplice attore, perché

    riesce a dare al proprio

    personaggio, con poco

    sforzo, continuità e fama;

    ma anche qualcosa di

    meno poiché se un attore

    può recitare molte parti

    diverse, il divo è un

    “prodotto” collegato alla

    propria immagine, costretto

    a conservare e ripetere un

    modello di stampo più o

    meno conformista.

  • La «serializzazione» dei ruoli è un

    elemento chiave del divismo, ma per

    capirne il funzionamento occorre

    aggiungere un nuovo effetto introdotto

    dal cinema: l’identificazione tra schermo

    e realtà, che permette la riconoscibilità

    da parte del pubblico e la sensazione di

    conoscere “personalmente” l’attore,

    come un vicino di casa, solo più

    simpatico o attraente.

  • Ricciotto Canudo nel 1923, sottolinea la differenza fra una

    qualsiasi celebrità del mondo politico o del teatro, conosciuta in

    modo esteriore e superficiale, e il divo cinematografico, con cui

    si ha un contatto più profondo, quasi intimo, perché traduce «in

    movimento vitale un certo sentimento che ci ha colpito, una

    certa avventura, che è stata, per la magia dell’arte, la nostra

    avventura di un’intera serata».

  • Da attore a divo

    I meccanismi di identificazione e proiezione infatti conducono lo

    spettatore a una contiguità psicologica e spirituale, a una sorta

    di intimità con i protagonisti, ai quali il pubblico si sente legato e

    su cui può riversare affetto e/o ammirazione, al punto che

    ormai si accede alle sale per il richiamo del divo di turno. Attori

    e attrici, come moderne divinità pagane, diventano un mezzo di

    pubblicità fondamentale e l’attrattiva principale dei film.

  • Il cinema diventa così una delle prime

    «istituzioni sociali» che offrono la prova

    dei nuovi fenomeni aggregativi che i

    sociologi vanno individuando come tipici

    della società contemporanea, all’insegna

    dei concetti di imitazione, conformismo,

    gregariato, massificazione.