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IL DISEGNO COME MOVIMENTO
L'occhio e la mano sono il padre e la madre dell'attività artistica. Il dise-
gnare, dipingere e modellare fanno parte del comportamento motorio uma-
no, ed è lecito supporre che essi si siano sviluppati da due più antichi e più
generali aspetti di tale comportamento: il movimento fisionomico e descrit-
tivo.
I primi scarabocchi del bambino non vanno intesi come rappresentazione:
sono una forma della gradevole attività motoria con la quale il bambino
esercita gli arti, con il piacere addizionale di produrre tracce visibili attra-
verso i gesti vigorosi delle braccia avanti e indietro. Produrre qualche cosa
che prima non esisteva è un'esperienza gradevole. Questo interesse per il
prodotto fine a se stesso si osserva anche nello scimpanzé che imbianca la
gabbia con pezzi di gesso o che brandisce un pennello di vernice: è un
semplice piacere sensoriale, che perdura invariato anche nell'artista adulto. I
bambini sentono il bisogno di molto movimento, e quindi l'atto del disegnare
ha inizio con una specie di saltellare sulla carta. La forma, la dimensione e
la disposizione dei tratti è determinata tanto dalla costruzione meccanica
del braccio e della mano quanto dal temperamento e dall'umore del
bambino. Sono qui gli inizi del movimento espressivo, cioè le manifestazioni
del momentaneo stato d'animo del disegnatore oltre che dei tratti
permanenti della sua personalità. Queste qualità mentali sono
costantemente riflesse dalla velocità, dal ritmo, dalla regolarità o dall'irre-
golarità, dalla forma dei movimenti corporei, e lasciano quindi il segno sui
tratti a matita o a pennello.
Le caratteristiche espressive del comportamento motorio sono state studiate
sistematicamente sulla calligrafia dai grafologi ma hanno anche, come si
vedrà in seguito, una parte di rilievo nello stile di pittori e scultori.
Oltre ad essere fisionomico, il movimento è anche descrittivo. La spontaneità
del gesto è governata dall'intenzione di imitare le proprietà delle azioni o
degli oggetti.
I gesti descrittivi usano le mani e le braccia, spesso aiutate dall'intero corpo,
per mostrare quanto una cosa sia, o fosse, o potrebbe essere, grande o
piccola, veloce o lenta, rotonda o angolosa, lontana o vicina.
Tali gesti possono riferirsi a oggetti o avvenimenti concreti - come topi, o
montagne, o l'incontro di due persone - ma anche, figurativamente, alla
grandezza di un compito, alla lontananza di una possibilità, o a uno scontro
di opinioni. Sembra lecito presumere che la sorgente dell'attività della
rappresentazione artistica deliberata stia nel movimento descrittivo.
Il gesto della mano che accenna la forma di un animale nell'aria durante una
conversazione non è molto lontano dall'atto di fissare la stessa impronta
nella sabbia o su una parete. Si è sempre dato per scontato che il
comportamento motorio dell'artista è soltanto un mezzo per creare pitture o
sculture, e che di per sé non conta più dell'azione di sega e pialla nel lavoro
del falegname. In tempi recenti, però, la cosiddetta action painting ha
messo in rilievo le qualità artistiche del gesto compiuto durante la creazione
dell'opera; e non c'è forse mai stato artista per il quale una parte delle
caratteristiche espressive del movimento della pennellata e del corpo non
abbia contato come componente del suo "messaggio."
Questo aspetto rappresentativo del comportamento motorio è ben evidente
nel bambino piccolo. Jacquelíne Goodnow registra che i bambini dell'asilo,
richiesti di accoppiare una serie di suoni con una serie di puntini, disegnano i
puntini in fila da sinistra a destra ma non lasciano spazi vuoti sulla carta in
corrispondenza degli intervalli tra gruppi di suoni. Invece usano sovente
azioni motorie: fanno due puntini, si fermano, altri due puntini, e così via.
Per loro questo corrisponde al modello sonoro anche se sulla carta gli
intervalli non risultano.
La figura ci mostra un uomo che lavora in giardino, disegnato da una bambina
di quattro anni. Il vorticoso garbuglio a destra raffigura una piccola
falciatrice, non solo perché le linee tracciate con un senso rotatorio
riproducono visualmente il caratteristico movimento della macchina, ma
perché il braccio della bambina produsse un simile movimento mentre
disegnava.
Allo stesso modo, la sequenza secondo la quale sono disegnate le diverse
parti di un oggetto è estremamente significativa per il bambino, anche se di
ciò non risulta nulla nel disegno. Per esempio, nei primissimi anni la figura
umana viene spesso disegnata per prima e poi acconciamente vestita in un
secondo tempo con giacche e calzoni.
Bambini deboli di mente e, in particolare, di vista debole s'accontentano
spesso del puro legame temporale per mantenere la connessione di singoli
elementi nella realtà intimamente uniti. Non si preoccupano di rendere
visualmente sulla carta tale connessione, ma spargono gli occhi, le orecchie,
la bocca e il naso di una faccia su tutto il foglio in un disordine quasi
casuale.
Per il significato psicologico del disegno, l'ordine in cui il bambino esegue le
varie parti è più importante, e non andrebbe mai trascurato dai ricercatori.
A questo proposito va ricordata una delle componenti basilari dell'arte
visuale, cioè che l'esecuzione manuale di raffigurazioni - escludendo perciò
la fotografia - si compie sempre in sequenza, mentre il prodotto finale si
vede tutto in una volta. Al livello più elementare lo si osserva nella
differenza tra l'esperienza del tracciare una linea, del vederla farsi strada
attraverso il foglio (come in un film di animazione) e il prodotto finale
statico, che ha perso gran parte di questa dinamica.
Il percorso circolare di una linea è di natura molto diversa dalla simmetria
centrale del cerchio bidimensionale che risulta come prodotto finale.
Il compito dell'artista è reso più difficile non soltanto dal fatto che non può
contare sul movimento vivo che egli sperimenta mentre disegna o scolpisce,
ma anche dal dover tenere a mente, mentre esegue un particolare, un intero
che in parte è presente e in parte va completato con il procedere dell'opera.
Come si può disegnare il profilo sinistro di una gamba senza saperlo correlare
al profilo destro, che non c'è ancora?
A livello di pianificazione generale, la sequenza in cui l'artista crea un'opera
è importante e qualificante. Se per esempio l'intera composizione deve
reggersi sullo scheletro strutturale di base, tale scheletro andrebbe prima
tracciato nelle componenti essenziali, e perfezionato poi per gradi come un
insieme.
Charles Baudelaire scrive: "Un buon dipinto, fedele e rispondente al sogno
che gli diede vita, va plasmato alla stregua di un mondo”.
Come il Creato davanti a noi è l'esito di molte creazioni, che succedendosi
conferiscono sempre più piena completezza al momento iniziale, così un di-
pinto, se costruito armoniosamente, consiste di una serie di immagini so-
vrapposte, dove ogni strato nuovo dà più viva realtà al sogno e lo innalza di
un passo ulteriore verso la perfezione.
Al contrario ricordo di aver visto nello studio di Paul Delaroche e di Horace
Vernet degli enormi dipinti non abbozzati ma in parte già fatti, ossia
completamente finiti in certe zone mentre altre erano indicate soltanto da
un profilo nero o bianco. Un'opera del genere si può paragonare a un lavoro
puramente manuale che deve coprire un dato spazio in un dato tempo, o a
una lunga strada divisa in molte tappe.
Quando un pezzo è fatto è fatto, e quando la strada è finita l'artista si è
liberato del suo dipinto."
>>> 7. I test>
IL TEST DELLA FIGURA UMANA
Nel disegnare la figura umana il bambino rappresenta inconsciamente se
stesso e quindi la percezione del proprio schema corporeo e dei desideri che
l’accompagnano. Di solito si possono rilevare delle somiglianze tra l’omino
raffigurato e le caratteristiche di chi l’ha disegnato. Se la figura umana è
eseguita con una buona collocazione nello spazio, ben proporzionata nelle
forme, ossia se il tutto è definito in modo strutturato, significa che il
bambino è avviato a una crescita armonica, con un buon adattamento alla
realtà circostante. Al contrario, se il bambino disegna un omino piccolo, in
fondo al foglio, con un tracciato debole e tremolante, può significare che
egli si sottovaluta, si senta poca cosa, senz’altro inferiore ai suoi coetanei.
L’assenza di alcuni organi o apparati del corpo umano, le costanti
cancellature, le interruzioni del tratto e una collocazione non corretta degli
arti sono tutti segnali di insicurezza che, se colti in tempo, servono
all’adulto non tanto per fare delle diagnosi catastrofiche, ma piuttosto per
rafforzare nel bambino la stima e la fiducia in se stesso e per evitare che,
sentendosi poco dotato, tarpi le ali al suo potenziale in crescita.
Evoluzione. Il test della figura umana permette di avere un’idea
approssimativa, ma abbastanza corretta, della crescita psicofisica e del
livello di evoluzione grafica raggiunto dal bambino.
Parliamo del reattivo comunemente definito test della figura umana.
Si parte sempre dal concetto del "determinismo psichico" in cui cosa si
rappresenta non è casuale ma voluto dall'inconscio.
Il test della figura umana nasce negli anni '20, (Florence Goodenough) viene
concepito come test d'intelligenza, (in questo caso era veramente un test) ed
il suo contenuto si basa essenzialmente sui dettagli che un soggetto
disegnava, nel rappresentare la figura umana. Questi dettagli erano
paragonati ai dettagli riprodotti per età anagrafica dal campione
rappresentativo.
In pratica se tutti i bambini di 4/5 anni, disegnavano gli occhi, un bambino di
4/5 anni doveva disegnare gli occhi, se non lo faceva aveva carenza di Q.I.
L'interpretazione attuale è: quando un bambino disegna la figura umana,
anche se copia un disegno, disegna quello che vive, in quel momento, non
quello che vede.
Come s'interpreta il reattivo della figura umana?
Graficamente, dalla pressione del tratto e dalla spazialità nel foglio. Il
significante, l'immagine disegnata riflette quella del corpo, quindi dell'Io, è
dinamica e si modifica nel tempo. La raffigurazione può anche essere
idealizzata raffigurando l'ideale dell'Io o quella di una persona a cui il
soggetto prova molta affettività.
<Analisi di un disegno sul test della figura umana>
Il soggetto a cui è stato chiesto di eseguire questo disegno è un bambino di
dieci anni, che frequenta la 5° elementare: il suo nome è “Stefano”.
Il bambino è stato fatto accomodare davanti a un tavolo della sua altezza,
con un foglio di carta bianca, matita, gomma e colori. Gli è stato riferito di
“disegnare una figura, quella che voleva, poteva utilizzare anche i colori”
per completare o iniziare il disegno.
Durante questo esercizio è stato per me importante osservare il modo in cui
il bambino procedeva nel disegno:
- Il tempo d’esecuzione del personaggio. Il tempo impiegato dal bambino
per disegnare e colorare la figura da lui creata è di 35’. Usa la matita con la
mano destra.
- La collocazione sul foglio. La figura umana interpretata da Stefano è
precisa in tutto quello che la compone, si trova al centro del foglio verticale
(A4 29,7x21 cm) e le proporzioni sono quasi azzeccate. Bisogna dire che la
sua età e le nozioni apprese dal suo livello di codificazione dell’immagine
sono buone.
- La cura o meno dei particolari. Nella rappresentazione della “figura
umana” il bambino ha deciso di interpretare sul foglio un giocatore di
basket. Si nota molto bene come abbia curato gli indumenti, le scarpe, e il
pallone (che sta entrando a canestro), questo significa che ha capito di quali
elementi ha bisogno questo sport per essere giocato correttamente.
Sulla canotta e le scarpe del giocatore c’è persino disegnato il logotipo della
marca che sponsorizza la squadra e sul pallone, addirittura il nome della
“squadra” stessa. Le scarpe sono decorate con stringhe e linguetta (dove
appoggia la caviglia), si vede il battistrada anteriore e la tomaia, mentre di
lato la gomma che facilita il salto al cestista.
- I ritocchi e le cancellature. Sul disegno si notano piccolissimi ritocchi, e le
cancellature frequenti, che ho potuto vedere mentre il bambino continuava
il suo disegno, non si notano.
Ci fanno capire che il bambino vuole interpretare questo disegno nel meglio
dei modi, portandolo così ad essere in uno stato d’ansietà.
- L’espressione del volto. La testa abbastanza proporzionata al corpo è
composta da tutto quello che ha bisogno: i capelli castani, gli occhi, la
bocca, i denti, il naso e le orecchie, il colore della pelle è reale. Per il gesto
che compie, il giocatore esprime contentezza e felicità sul suo volto;
l’espressione della bocca sembra dimostrare anche l’astuzia e la furbizia con
cui è riuscito a concludere il suo salto verso il canestro (anch’esso ben
definito).
- Le posizioni delle braccia, delle mani e delle gambe. Le braccia sono
rivolte verso l’alto completamente parallele una all’altra, le mani sono
aperte ma non si vede il palmo perché rivolto all’interno. Anche le gambe
aperte simulano il gesto della spinta verso l’alto. Nella rappresentazione di
queste parti il bambino ha difficoltà nella proporzione, infatti i muscoli che
cerca di rappresentare sono composti da troppa massa.
- Il tratto sicuro o incerto. Il tratto sembra essere sicuro ma anche marcato
e continuo. Questa caratteristica può essere d’aiuto per quello che
affronterà nella sua adolescenza e verso il mondo.
Il bambino ha molta dimestichezza nel rappresentare il mondo che lo
circonda, è sicuro di sé, a volte vorrebbe crescere più in fretta e perché
no... staccarsi per un attimo dalla sua condizione reale.
Non fa fatica a integrarsi con gli altri grazie ad una vivacità a volte
eccessiva.
Le forme ampie incontrate nel suo disegno sono sinonimo di esuberanza, i
denti in mostra denotano “aggressività” , le braccia aperte verso l’alto
lasciano aperti gli spiragli per una buona comunicatività.
IL TEST DELLA FAMIGLIA
Il test della famiglia ci permette di cogliere, al di là dell’esecuzione grafica
più o meno riuscita, quali sono gli aspetti positivi o negativi che possono
influenzare la crescita del bambino. Sappiamo quante interferenze possono
sorgere all’interno del nucleo familiare: la nascita di un fratello, il successo
scolastico della sorella maggiore o, peggio ancora, minore, con la
conseguente paura di valere di meno, il timore irrazionale di sentirsi
abbandonato da uno dei genitori, la scuola con le sue richieste…
Il ragazzo che ha 12 anni disegna se stesso dentro una culla, ponendosi al
posto della sorellina di pochi mesi, evidenzia il processo di regressione che
sta vivendo: la paura di perdere l’oggetto d’amore (ossia la madre), il timore
che l’altro (la sorella, in questo caso specifico) possa avere la mamma tutta
per sé. La gelosia che prova, ma che non esprime a parole perché ha paura di
perdere la stima del genitore, viene manifestata con i sintomi più disparati:
l’enuresi, i tic, la paura del buoi, il mal di pancia, magari solo quando deve
andare a scuola quindi allontanarsi dalla mamma...
Sono situazioni a volte non chiare e non sempre percepite dall’adulto. Ecco
allora venirci in aiuto il linguaggio non verbale, che ci permette di cogliere
molteplici informazioni sulla personalità, sulla natura emotiva e sul tipo di
reazione del ragazzo. Anche se non è richiesto, nell’eseguire il test il
fanciullo disegna sempre la propria famiglia e così facendo ci racconta i suoi
problemi, la paura di crescere, oppure, al contrario, la gioia, la serenità e
l’amore per la vita.
Ma la famiglia di oggi è ancora da considerarsi un luogo di sicurezza? Dai
disegni sembra proprio di sì, poiché i bisogni del ragazzo non sembrano
mutati: egli vuole sentirsi amato, accettato, inserito nel nucleo famigliare.
Evoluzione. Osservando il disegno della famiglia è bene tenere sempre
presente l’età del bambino che lo esegue.
A 5 anni, per esempio, il bambino vive il periodo di maggiore identificazione
con i genitori: egli è attento a recepire e ad assimilare tutto ciò che essi
fanno e dicono; vorrebbe stare sempre con loro, ma nel frattempo guarda
anche verso l’esterno in cerca di altri modelli al di fuori della famiglia.
Invece un ragazzino di 9 o 10 anni vive la famiglia in modo più conflittuale,
non perché sia meno affezionato o dipendente, ma perché sta cercando un
suo ruolo autonomo.
Nel rappresentarci i personaggi della sua famiglia, il bambino ci mostra il
cammino percorso per sganciarsi dall’egocentrismo primario e avviarsi
gradualmente verso l’autonomia.
E’ sbagliato pensare che il ragazzino o l’adolescente viva senza problemi la
crescita. Diventare adulto è per lui nascere una seconda volta: è come se,
dopo il trauma della nascita, egli dovrebbe sperimentare un nuovo trauma,
quello del distacco delle figure protettive.
Superare questo disagio in modo positivo vuol dire trasformare il “cordone
ombelicale” che lega emotivamente il figlio al genitore, in un filo unico
d’amore che collega la famiglia, se stesso e il mondo.
INTERPRETAZIONE
Il personaggio disegnato al primo posto è quello per cui il bambino prova
maggiore ammirazione; si identifica con lui e cerca di imitarlo in tutto, a
volte con qualche difficoltà. Questo può portarlo a uno stato d’ansia, o al
timore di non essere alla sua altezza.
Disegnare se stesso al primo posto è un segno di egocentrismo, indica il
bisogno del bambino di mettersi davanti a tutti, ed esprime un legame di
dipendenza che non gli permette ancora di sganciarsi dalla famiglia senza
soffrirne emotivamente. Egli manifesta così la necessità, non del tutto
soddisfatta, di essere amato.
L’insoddisfazione affettiva lo rende demotivato e si ripercuote
negativamente anche sul rendimento scolastico.
Porre se stesso all’ultimo posto indica svalorizzazione di sé, poca fiducia
nelle proprie capacità dovuta a timidezza, chiusura o, quanto meno,
difficoltà nel manifestare la propria affettività. Il bambino, a ragione o a
torto, non sempre si sente rassicurato o lodato.
La valorizzazione è un messaggio importante da raccogliere; occorre aiutare
il bambino a superare questa sensazione negativa per costruirsi
un’immaginazione positiva di sé e rendersi più fiducioso e autonomo.
Il bambino che, disegnando la propria famiglia, esclude uno o più
componenti, indica chiaramente di rifiutarli.
Questa reazione può essere dovuta alla gelosia, al timore che quella
particolare figura (che può essere un nuovo fratellino) possa diventare più
importante di lui e privarlo di una parte dell’affetto dei genitori.
Aggiungere personaggi alla famiglia reale è un segno di compensazione per
un senso momentaneo di solitudine. Il bambino desidera la compagnia per
superare la paura del vuoto affettivo, oppure compensa in questo modo
immaginario desideri e bisogni inappagati.
L’aggiunta di una figura nella rappresentazione della famiglia ha lo stesso
significato dell’invenzione dell’amico immaginario: segnala una difficoltà di
comunicazione con i coetanei, poiché in casa egli vive prevalentemente con
figure adulte.
Se la dimensione di un personaggio è ridotta vuol dire che il bambino lo
considera un potenziale rivale che non può essere minato, ma che viene
chiaramente sminuito.
La collocazione in disparte di un personaggio mette in luce il suo mancato
inserimento, reale o presunto, all’interno della famiglia, e la difficoltà del
bambino a stabilire con lui un rapporto di fiducia o un legame più intenso.
La cancellazione di un personaggio è un segnale di insofferenza che il
bambino prova nei confronti di se stesso, di uno o più componenti della
famiglia, ma che egli non riesce a manifestare apertamente a causa della
paura di essere giudicato negativamente. Tale ostilità repressa è più
profonda della semplice dimenticanza, poiché il bambino vive il conflitto tra
desiderio e rifiuto nei confronti dell’altro.
Un personaggio sproporzionalmente grande è vissuto dal bambino come
figura dominante ma opprimente, alla quale bisogna ubbidire senza
discutere.
Può essere un segnale di inibizione, o al contrario indicare il posto di
privilegio che quella persona ha nel cuore del bambino.
Omettere le braccia o le mani è un modo per “punire” un personaggio
ritenuto dal bambino minaccioso. E’ anche segnale di una sessualità non
ancora ben vissuta per il timore del giudizio da parte dell’adulto.
L’aggiunta di animali può significare che il bambino tende a camuffare
l’aggressività che sente nei confronti di uno o più personaggi della famiglia.
L’esclusione di sé indica che il bambino ha scarsa stima di sé, e ha la
sensazione di non appartenere alla propria famiglia, si sente escluso. Le
motivazioni possono essere le più disparate: la paura di minacce o punizioni,
la sensazione di non essere più il prediletto, la gelosia nei confronti di
fratelli appena nati.
Quest’ultima gli fa adottare meccanismi di difesa che possono manifestarsi
anche con comportamenti regressivi quali, per esempio, succhiarsi il pollice,
fare la pipì a letto, accusare dei malesseri psicosomatici.
Disegnare se stesso con un sesso diverso dal reale può essere indice del
rifiuto del proprio corpo, ma può anche sottintendere la non accettazione
del proprio ruolo sessuale. E’ un disagio tipico di un ragazzo in età puberale.
Rifiutare di disegnare la famiglia è sempre sintomo di disagio.
Segnala la scarsa partecipazione emotiva del bambino alla vita famigliare e
la mancanza di dialogo tra i componenti della famiglia stessa. Nel dover
rappresentare la famiglia, il bambino prova così un blocco che lo inibisce.
Disegnare una famiglia di animali che sostituiscono i personaggi umani
denota uno scarso senso di appartenenza, una sofferenza che ha inibito la
spontanea espressione, è facile che il ragazzo prediliga il disegno
“mascherato” per evitare di riviverla.
In certi casi può essere richiesto in modo specifico ed esplicito di disegnare
una famiglia di animali, qualora si voglia compiere una valutazione di quelle
caratteristiche nascoste che il ragazzo non manifesterebbe nel normale
disegno della famiglia.
Il rifiuto di colorare l’intera famiglia è segnale di apatia, di freddezza dei
sentimenti dovuta ad avvenimenti che hanno raggelato l’animo del bambino.
E’ sempre un segnale di inibizione dovuto a un’educazione troppo severa o
viceversa troppo libera, per cui il bambino non si è sentito “scaldato”
dall’affetto degli adulti.
La presenza di un cappello sulla testa di un personaggio, di solito il padre,
sta a rappresentare un’oppressione, un peso che non permette al bambino di
crescere liberamente. Egli si sente oppresso da regole o da richieste che
fatica a osservare e soddisfare. Così manifesta un senso di insofferenza e di
resistenza verso il presunto o reale “oppressore”.
La presenza di braccia intorno al collo, che potrebbe sembrare un segno
affettuoso, esprime invece la sensazione che il ragazzo ha di essere
trattenuto e impedito nel suo volo verso il mondo.
Egli vuole evidenziare così il vincolo che l’adulto, o chi altro, esercita su di
lui. La sua libertà appare limitata e ne risentirà la sua capacità di
socializzazione.
La famiglia raffigurata dentro una cornice, come in un ritratto, indica che
il bambino soffre per un’educazione troppo rigida. La famiglia è vissuta come
un clan dove tutto è basato sul dovere, sul senso dell’ordine e sulle regole
formali. Nulla è lasciato alla spontaneità e alla comunicazione immediata. Il
ragazzo segnala in questo modo il suo forte controllo su tutto. Non potendo
vivere i sentimenti e le pulsioni legate alla sua età, egli si carica di
aggressività, che viene di solito espressa al di fuori dell’ambiente familiare
con litigiosità, vivacità eccessiva, eccessivo bisogno di movimento.
Il disegno di una famiglia i cui componenti sono separati, ciascuno in una
stanza con occupazioni diverse e personali, è indice di una comunicazione
frammentaria. Il ragazzo vive la propria famiglia e la propria casa in modo
impersonale ed estraneo; questo, a lungo andare, rischia di accentuare
comportamenti opportunistici ed egoistici.
Potranno essere favorite la sua autonomia e l’indipendenza, ma a scapito
della sua vita sociale.
Una fila di bottoni sull’abito di uno dei famigliari è associabile
all’importanza affettiva che tale personaggio ha per il bambino.
Simboleggia un legame solido che dà sicurezza e serenità: il bambino prova
per questa persona stima e confidenza.
Dopo i 12-13 anni, questo legame diventa negativo, accentua la dipendenza e
limita il desiderio di sperimentare l’autonomia, o quanto meno di separarsi
emotivamente per poter socializzare spontaneamente e apertamente con gli
altri.
<Analisi di un disegno sul test della famiglia>
Il soggetto a cui è stato chiesto di eseguire questo disegno è una bambina di
nove anni, che frequenta la 4° elementare: il suo nome è “Laura”.
La bambina è stata fatta accomodare davanti a un tavolo della sua altezza,
con un foglio di carta bianca, matita, gomma e colori. Gli è stato riferito di
“disegnare una famiglia, utilizzando anche i colori” per completare o iniziare
il disegno.
Durante questo esercizio è stato per me importante osservare il modo in cui
la bambina procedeva nel disegno:
- Il tempo d’esecuzione dei vari personaggi. Si aggira intorno hai 3’- 4’. Il
disegno è stato realizzato (secondo le indicazioni della bambina, che mi ha
riferito quando lo ha completato) in 30’ circa. Disegna con la mano destra.
- La loro collocazione sul foglio. Il foglio è usato in posizione orizzontale
(A4 21x29,7 cm), al centro sono collocati i membri della famiglia. Si nota un
minimo di margine in più nella parte destra del foglio (sul lato corto),
rispetto a quello sinistro. Mentre la posizione dei piedi dei 4 individui è più
vicina al lato lungo nella zona bassa del foglio.
- La cura o meno dei particolari. Molto superficiale. Vi è la presenza di
ornamenti femminili sul viso della madre (anche un anello sull’anulare della
mano destra). La protagonista del disegno oltre ad avere gli orecchini,
disegna anche il logotipo che ha sulla maglietta.
Il collo della camicia e un bottone (che si intravede nel collo a V del
magliocino) e le tasche con cerniera, sui pantaloni del padre.
- Posizioni di vicinanza o di lontananza dei personaggi. Essendo composta
da 4 individui, la sua famiglia è stata divisa in due gruppi da due; la mamma
vicino a suo fratello, e staccati di quasi un cm lei e il suo papà.
- Il primo personaggio disegnato e l’ultimo. Da sinistra a destra: la mamma
in prima posizione e il papà in ultima.
- Il primo personaggio colorato. La mamma.
- I ritocchi e le cancellature. Frequenti. Lo si nota dal disegno stesso in
quanto vi sono segni del tratto pesante, toccando il foglio con le dita si nota
il solco lasciato dalla punta matita.
- L’omissione di qualche personaggio della sua famiglia reale. I membri che
la compongono vi sono tutti. Ma in particolare, la figura del padre è stata
falsata, in quanto, tale personaggio è calvo: la bambina l’ha rappresentato
“con i capelli” e magro, invece è “robusto”.
La madre sembra essere alta quasi come il padre ma non è così. Il fatto di
nascondere alcune imperfezioni, soprattutto nella figura del padre è sintomo
di vergogna e occultamento della verità, verso gli altri.
- L’eventuale aggiunta di personaggi immaginari o di animali. Nonostante
la famiglia abbia un’animale domestico diverso da quelli comuni, non è stato
rappresentato.
- Le somiglianze tra personaggi. Se Laura assomiglia alla madre, anche il
fratello ha una certa somiglianza con il padre...
- Gli atteggiamenti dei vari componenti. C’è una particolare differenza che
divide la madre dagli altri 3 membri della famiglia: è l’unica con gli occhi
chiusi.
Tutti sembrano quasi toccarsi o quasi tenersi per mano, sereni, anche se la
loro posizione corporea sembra rigida.
- Le espressioni dei volti. Entrambi sembrano sorridere. La madre della
bambina ha l’arco della bocca (che porta all’espressione del sorriso) meno
concavo degli altri.
- Le posizioni delle braccia, delle mani e delle gambe. Le braccia sono
staccate dal corpo (quasi volessero aprirsi), le mani sono rivolte (per chi
osserva il disegno) non aperte, e non ben definite (mancano le unghie, e le
falangi).
Tutte le gambe sono divaricate, tranne quelle della mamma che sono una
accanto all’altra senza spiragli di spazio, e hanno la caratteristica di essere
disegnate molto lunghe e le altezze dei personaggi non corrispondono a
quelle reali.
C’è comunque un ordine crescente che indica la diversa età che ogni
individuo possiede.
- Gli accostamenti delle figure. Come sottolineato in precedenza, la
bambina schiera la sua famiglia in 2 gruppi da 2 persone.
- Il loro abbigliamento. Tutti indossano i pantaloni ma c’è questa
differenziazione: la mamma, Laura e il papà sembrano avere (dal colore
azzurro), dei jeans, mentre il fratello (con i pantaloni neri) sembra essere
escluso da questo particolare modo di vestirsi.
Questa sottolineatura potrebbe indicare innanzitutto, l’attenzione che Laura
porta per “il fratello”: soprattutto per come veste, ma può anche essere
simbolo di esclusione o gelosia… per quanto riguarda il legame che sente con
la famiglia.
I colori che ha usato per il maglioncino del papà, e le t-shirt a maniche
lunghe di suo fratello e sua mamma, sono il verde e l’azzurro che ci portano
ad interpretare come la bambina sia in parte calma, serena, tranquilla e
equilibrata, mentre dall’altra può indicare pigrizia e inibizione. La sua t-
shirt invece è bianca, “neutra”, cerca di nascondersi dentro di sé.
- I ruoli assegnati. Dalla posizione nello spazio del foglio rivela la scansione
che avviene anche quando leggiamo con gli occhi il manifesto pubblicitario
(da sinistra a destra), atto spontaneo usato anche nella lettura di un
qualsiasi libro, infatti la mamma si trova posizionata per prima nella parte
sinistra.
Sicuramente, figura dominate e figura per cui Laura predilige una maggior
attenzione, sia come comportamento da seguire, sia come esempio da
imitare. Non dimentichiamo anche l’uguaglianza di “sesso”.
Anche il padre viene visto con un certo riguardo diverso da quello della
madre, infatti, nonostante in ultima posizione, risulta più alto (anche se di
poco), e disegnato vicino a “lei”. Ha le mani meno rilevanti degli altri
personaggi; questo significa lo sminuire quella che può essere una minaccia
per i suoi capricci, o per la poca voglia di ascoltare il genitore quando
impone la sua giusta educazione.
Il fatto di omettere le mani è sinonimo anche di “furbizia” da parte della
bambina.
- Il tratto sicuro o incerto. Il tratto è sicuro ma troppo forte visto il segno
che ha lasciato nel “continuum” del disegno.
Questo può indicarci che “Laura” affronta la vita con grinta, entusiasmo e
determinazione, è abbastanza sicura di sé tanto da agire in modo impulsivo e
senza riflettere.
Un’ultima cosa da aggiungere a questa piccola analisi è riferita alla fine del
disegno in cui la bambina decide di racchiudere la sua famiglia (con un tratto
grafico leggero), all’interno di una “cornice”.
Questo comportamento indica che sta vivendo un’educazione troppo rigida.
La sua immagine della famiglia è vista si con aspirazioni, sentimenti e amore
verso i suoi componenti, ma anche e soprattutto all’insegna del senso del
dovere e nel rispetto delle regole imposte dai genitori.
>>> 8. Paure ed emozioni >
LA PAURA
La paura è antica quanto l'uomo. Essa può venire considerata come un
meccanismo auto protettivo utile alla crescita del bambino, in quanto riesce
ad attivare alcune reazioni che servono a difenderlo dai potenziali pericoli
che provengono dall'ambiente.
Occorre però distinguere la paura “esistenziale”, diciamo fisiologica, che
proviamo tutti quanti, da quella che potremmo chiamare “patologica”, non
perché sia espressione di una malattia ma perché presenta alcune
caratteristiche che le fanno perdere la funzione di “messa in guardia”.
Una paura diventa patologica quando si attiva senza che vi sia un pericolo
reale, o quando si manifesta con una intensità eccessiva, decisamente
sproporzionata allo stimolo che l'ha provocata.
PAURE, ANSIE E FOBIE
Si conoscono diverse forme di paura, tutte accomunate da alcune
caratteristiche che le differenziano dalle ansie patologiche e dalle fobie, le
quali appartengono a veri e propri quadri morbosi e pertanto non riguardano
l'attuale trattazione, se non marginalmente.
Va ricordato, a questo punto, che la paura è un'emozione che si può
manifestare a ogni età: dall'infanzia all'adolescenza, dalla giovinezza all'età
adulta, fino o alla vecchiaia. Noi tratteremo solo quella del bambino, dalla
nascita all'adolescenza.
TIPOLOGIA DELLE PAURE
I bambini hanno paure che spesso gli adulti non riescono a comprendere:
perché le ritengono “strane” o eccessive. È comune che un bambino abbia
paura del buio, degli animali, dei fantasmi, dei mostri, delle streghe o di
altre immagini frutto della sua fantasia. Ed è normale che, con il passare del
tempo, queste paure svaniscano.
Diverso il discorso quando esse persistono o quando vanno a bloccare le
abituali attività del piccolo.
In questo caso, prima di rivolgersi all'esperto, sarebbe augurabile che ogni
genitore ed educatore fosse formato alla lettura di alcuni messaggi che i
bambini con tanta facilità ci inviano, e che invece non sempre sappiamo
leggere.
Basterebbe porsi in ascolto attivo dei messaggi verbali e non verbali che
essi, momento per momento, mandano per capire quali sono i loro reali
bisogni, le loro richieste, che cosa vogliono dirci, soprattutto quando non
usano le parole.
Come negli adulti, anche nei bambini le paure possono essere lievi o molto
intense, riguardare oggetti specifici, come un animale, oppure situazioni,
come quella di trovarsi al buio, per le quali non esiste un'apparente
spiegazione razionale.
In uno studio condotto a livello mondiale sui bambini compresi fra i 4 e i 12
anni, il 43% ha riportato almeno sette paure, che non fanno però parte di
quelle patologiche e vengono pertanto considerate nella norma; ciò
nonostante costituiscono un problema sia per loro sia per i genitori. Spesso,
queste paure si risolvono e scompaiono da sole. Infatti, sono pochi i bambini
sofferenti di paure o fobie leggere che necessitano di cure.
IL GRADO DI INTENSITA’
Cerchiamo ora di capire bene la tipologia delle paure. Come abbiamo visto,
esistono vari tipi di paure, che presentano caratteristiche assolutamente
diverse.
Un elemento che già da solo serve per differenziarne la natura è il grado
d’intensità del disagio che essa provoca nel bambino. Non è sempre facile
misurare il livello di sofferenza legato a una paura, ma in questo senso ci
vengono in aiuto alcune tecniche, quale appunto quella dell’interpretazione
del disegno, che ci danno in qualche modo la misura e ci indicano quando è
utile o indispensabile.
In base al loro grado d’intensità, le paure possono essere classificate nel
seguente modo.
Fisiologica. E’ la paura “naturale”, legata alla costituzione stessa del
bambino.
Normale. E’ la paura direttamente collegata alla crescita del bambino.
Di vigilanza. E’ quel tipo di paura che favorisce la capacità di reazione del
bambino.
Paralizzante. E’ invece quella che blocca la capacità di reazione.
Patologica. E’ infine la paura che riguarda veri e propri quadri clinici.
In base alla tipologia, diverso dovrà essere il modo di affrontare i vari tipi di
paura, ricordando comunque sempre che la loro gravità è in relazione alla
capacità di gestirle. Così, nel tempo, le paure non si esauriscono, ma
imparando ad affrontarle si diminuisce la loro pericolosità.
Le paure vanno spiegate, più che curate. Occorre pertanto che il genitore
sappia prima di tutto esprimere le proprie emozioni per imparare poi a
gestirle, e insegnare la stessa cosa a suo figlio. Quante volte capita di vedere
figli che sono costretti a convivere, loro malgrado, con le paure che i loro
genitori proiettano inconsciamente!
Genitori ed educatori devono sempre ricordare che il bambino vive uno
stretto legame con loro, figure cosiddette “di riferimento” , e su di loro
investe tutte le sue emozioni, positive e negative.
Così, quando egli ha paura del mostro, non fa altro che spostare su un
oggetto immaginario il timore che un genitore possa diventare per lui fonte
di aggressione.
Il bambino trasforma un pericolo reale, appunto l’aggressione del genitore
autoritario, in pericolo simbolico, cioè l’aggressione da parte di un mostro.
SEGNALI DI PAURA
Come si manifesta la paura? In modo non sempre del tutto aperto e chiaro,
né tanto meno viene dal bambino sempre verbalizzata, specie in ambienti
troppo autoritari o repressivi. E’ più facile che sia espressa nei momenti di
confidenza o d’intimità familiare, ma purtroppo non sempre questi momenti
esistono. Molto più spesso occorre che il genitore e l’educatore siano attenti
a cogliere quei segnali non verbali che, indirettamente, ci suggeriscono la
presenza di un sentimento di disagio. Eccone alcuni esempi.
La regressione, quando cioè il bambino manifesta comportamenti che non
fanno parte del suo abituale modo di agire, ma ricordano quello di bimbi
molto più piccoli.
La diminuzione del controllo di vescica e intestino in una della crescita nella
quale ciò non è previsto.
La demotivazione o la tendenza all'isolamento.
Le reazioni esagerate, tipo rossore o pallore, quando parla un adulto.
La passività, indicata genericamente come "pigrizia", adeguamento inerte a
ogni cosa, evento, situazione.
L'impulsività, l'aggressività o la violenza immotivate.
La tendenza a essere oltremodo noioso, fino a diventare fastidioso.
L'adozione di comportamenti anomali, tipo l'insonnia, i frequenti capricci,
alcune fissazioni (per esempio sulla scelta del cibo), certe reazioni
inspiegabili.
LE FUNZIONI DELLA PAURA
Lo scopo principale della paura è, paradossalmente, quello di difenderci. Un
bambino che non provasse emozioni disagevoli, come appunta la paura,
sarebbe passivo, staccato dal mondo circostante, indifferente agli stimoli e
incapace di reagire. Si deve anche tenere presente che le emozioni
forniscono al bambino un certo potere sull’adulto e che quindi vengono
spesso usate in modo quasi intenzionale per verificarne la disponibilità.
Le funzioni essenziali della paura sono così sintetizzabili.
Salvaguardia dell’io. Le paure favoriscono la formazione e la strutturazione
della personalità e il miglioramento dei sistemi di vigilanza.
Garanzia della sopravvivenza. In ambienti ostili le paure permettono al
soggetto di elaborare strategie di adattamento o di adeguamento.
Preparazione al pericolo. Le paure sono una specie di “allenamento
psicologico” basato sulle esperienze che via via si fanno.
Esortazione alla prudenza. Le paure aumentano lo stato di vigilanza e quindi
spingono a muoversi di conseguenza.
Sviluppo delle capacità elaborative. Si tratta di quelle funzioni superiori che,
in modo cosciente, appartengono solo all’uomo e che gli hanno permesso di
dominare sulla natura.
<< La paura sembra proprio esistere per essere superata >> (J. U. Rogge,
Quando i bambini hanno paura, Pratiche, Milano 1998), ed è proprio questo
superamento che permette al bambinoni crescere e di acquisire
quell’autonomia che gli servirà per tutta la vita.
>> 9. Le paure dalla nascita ai 12 anni >
ELEMENTI CHE INFLUISCONO SULL’INTERPRETAZIONE DELLE EMOZIONI
Per interpretare correttamente i segnali emotivi legati alle paure è
necessario conoscere alcune caratteristiche specifiche del bambino: l’età, la
tipologia o la scrittura psichica, l’ambiente familiare; e tener conto poi di
alcune regole psicologiche.
ETÀ
Ogni età presenta modi diversi di percepire, elaborare e rispondere a
un’emozione. A una tensione emotiva, come per esempio un’offesa, un
bambino piccolo reagisce esprimendo lo stesso sentimento nei confronti di
chi lo ha offeso. Un bambino più grandicello reagisce attraverso
un’elaborazione linguistica (l’ingiuria) e un’adolescente con una risposta più
caricata aggressivamente e più colorita. Così, nei confronti delle paure, il
piccolo reagisce con reazioni impulsive, il grande con il turpiloquio oppure
con eccessive spiegazioni razionali.
AMBIENTE FAMILIARE
Tra gli elementi che possono interferire sulla risposta emotiva del bambino,
va considerato il grado di tranquillità e di serenità dell’ambiente familiare.
In presenza di tensioni (dovute, per esempio, alla separazione dei genitori,
all’arrivo di un fratellino o una malattia che colpisce uno dei componenti
della famiglia), il bambino potrà manifestare nuove paure o aggravare quelle
già esistenti.
Di fronte a un bambino particolarmente sensibile occorre fare attenzione a
tutti i messaggi che egli lancia, sia verbali sia, soprattutto, non verbali,
poiché il suo Io è in questi casi assai più fragile e quindi maggiormente
predisposto a manifestare o a peggiorare le paure.
REGOLE PSICOLOGICHE
Esistono alcuni criteri che possono permetterci di cogliere precocemente i
segnali di paure che magari non si sono ancora apertamente manifestate, ma
che già condizionano la crescita armonica del fanciullo. Tra questi vogliamo
segnalare i seguenti:
- ogni problema che il bambino vive internamente viene sempre
proiettato sul foglio. Pertanto, se mettiamo a sua disposizione
matita, carta o colori, offriamo a lui la possibilità di esprimere le
sue paure, a noi quella di interpretarle;
- quando più disagi si manifestano attraverso il disegno, occorre
sempre ricordare che il più importante annulla quello minore. Per
esempio: una figura umana con segni fortemente espressi sul volto
(come i denti, il colore rosso, gli occhi grandi), manifesta in primo
luogo aggressività, anche se nella stessa figura mancano i piedi,
segnale di insicurezza;
- un errore grafico, come la mancanza di un particolare (per esempio,
le mani nel disegno di una figura), che non viene commesso in modo
consapevole dal disegnatore, è il chiaro segnale dei sensi di colpa
che possono mascherare una paura.
E’ dunque indispensabile che il genitore o l’educatore non spinga il
bambino a correggere queste “dimenticanze” , altrimenti il vero
significato del disegno sarebbe alterato;
- quando un disagio o una condizione di paura è molto presente nel
bambino, il disegno conterrà più segnali in questa direzione. Per
esempio, un bambino particolarmente inibito non solo disegnerà una
figura piccola, ma utilizzerà anche colori tenui, senza far mancare il
nero, e “dimenticherà” quei particolari che segnalano la
comunicazione.
FINO AI 18 MESI
Emozioni. In questo periodo occorre distinguere tra le “vere” emozioni del
bambino, che di solito sono originate da un bisogno, e i primi capricci.
E’ facile, infatti, che l’adulto si commuova di fronte a sorrisi, lacrime o
pianti, che in genere interpreta in modo sbagliato. Il bimbo si spaventa per
un nonnulla, ma l’intensità del pianto difficilmente è proporzionata alla
gravità del fatto. Verso i 6 mesi in genere si assiste a un maggiore
adattamento del bambino all’ambiente, che migliora la situazione. Resta
comunque possibile un rapido alternarsi di riso e di pianto, che comunica lo
stato del suo animo ai genitori. La paura è un sentimento che tende a
personalizzarsi sempre di più con il passare dei mesi.
Reazioni. Sono fondamentalmente istintive, legate ai bisogni fisiologici e
primari, più che alla consapevolezza di ciò che accade attorno. Eppure
rivestono anch’esse una grande importanza per uno sviluppo equilibrato del
bambino: i genitori devono quindi osservarle con particolare attenzione.
Socializzazione. Il contatto e il mondo in senso lato evolve rapidamente. Il
bambino passa da risposte e atteggiamenti di apparente simpatia ad altre in
cui appare scontroso, lasciando sgomento l’adulto. La relazione è primaria,
ossia legata al puro istinto di conservazione, e quasi esclusiva con la madre.
Solo nel secondo anno di vita si allarga al padre e abbraccia poi via via tutti
gli altri.
Paure. In questo periodo il bambino non ha, in genere, paure specifiche
legate a emozioni sperimentate, ma piuttosto paure legate al suo modo
istintivo e “incosciente” di sentire. Così, un rumore violento e inaspettato
può causare scoppi di pianto, che denotano una sollecitazione del sistema
nervoso. Pertanto, i rumori improvvisi (caduta di oggetti, trapani, campanelli
assordanti, temporali) sono tra le cause più frequenti di reazioni di paura.
Come pure il timore di perdere la madre, il suo oggetto d’amore, quando non
la vede davanti a sé.
Scarabocchi. Nonostante la precocità odierna di molti bambini, a questa età
possiamo osservare solamente i primi tentativi d’impugnare la matita e di
lasciare tracce sul foglio, sul pavimento o sulle pareti della sua cameretta.
Si tratta di gesti spesso informi, che però in nuce contengono già il seme
della caratterizzazione che in essi assumeranno via via col tempo,
esprimendo le varie caratteristiche della struttura e della personalità del
bambino. I segni che vanno osservati sono soprattutto tre: l’occupazione
dello spazio, la pressione sul foglio e la forma prevalente.
L’occupazione dello spazio. Innanzi tutto occorre lasciarsi coinvolgere, senza
pregiudizi, dall’impulso creativo che spinge il bambino a prendere in mano
una matita e a rotearla sul foglio in modo “caotico”.
In questo modo egli esplora lo spazio e si misura con esso. E’ il suo primo
impegno grafico, che ci propone curve, linee, angoli, righe, spezzettamenti…
Il bambino muove la matita senza un perché e, quasi danzando sulla carta, la
imbratta. Ma così facendo mette in luce il suo temperamento, la sua sfera
affettiva, il movimento che è in grado di compiere, il ritmo che sa tenere e
la sua forza vitale.
La matita in mano al piccolo ubbidisce a un preciso comando della mente,
rendendo così visibile tutto ciò che prova dentro di sé. L’intensità
dell’impulso alla vita si esprime nell’atto grafico, gesto libero, vivo e
universale. L’occupazione dello spazio va spesso oltre i confini del foglio
stesso, o viceversa il gesto è appena evidenziato; spiralando, il movimento
va verso l’alto o si blocca nella zona più bassa, vicino a lui.
Quando il bambino occupa tutto il foglio con un gesto tondo, mette in luce
un temperamento estroverso, ossia una natura che lo porta a vivere bene
l’ambiente, il fuori da sé.
Di natura espansiva, egli ha bisogno di tanto spazio, di scaricare attorno a
sé, perché vuol esplorare. Il suo carattere gioioso, allegro, generoso e
socievole ruba la simpatia altrui, ma è anche esigente nel cercare
approvazione, conferma, coccole e sorrisi. Proiettato all’esterno, cerca di
avere attorno tanti amici.
La sua vitalità lo sprona e lo pone in continuo movimento. Un bimbo di
siffatta natura non deve stare sempre solo con i genitori, ma ha bisogno di
incontri anche coi coetanei.
Questo tratto iniziale del suo carattere ci permette non solo di comprendere
com’è fatto il bambino, ma anche come sarà meglio educarlo, avviandolo
all’incontro con gli altri sia all’interno sia all’esterno della famiglia.
Gli deve quindi essere concesso spazio perché possa scaricare quella vitalità
che lo caratterizza. Il contrario potrebbe far nascere in lui note di
malinconia, oppure sollecitarlo emotivamente, costringendolo a un
movimento continuo e, a volte, forsennato: <<Non sta mai fermo!>>.
Il bambino che scarabocchia con angoli, spigoli e con gesti contenuti denota
un temperamento introverso.
Ha una natura che lo porta ad avere bisogno di spazi limitati, sicuri e
protetti. La sua energia sarà investita nel costruire giochi che, se pure
appartati, lo soddisfano. Non vuole molti amici, anche se gli interessi sono
molteplici.
Egli non ama il baccano e sarebbe sbagliato “buttarlo nella mischia” ;
occorre invece rispettare il suo carattere introverso. L’introversione non va
confusa con la tristezza, la malinconia, la chiusura o con un difetto di
comunicazione: alla sua base sta la timidezza, che non è dovuta a una
comunicazione sbagliata, bensì alla particolare, “innata” sensibilità del
bambino.
La pressione sul foglio. Il gesto marcato ci comunica la carica vitale del
bambino, il suo modo di affrontare la realtà e la sua sicurezza; ci segnala
una struttura costituzionale fatta di resistenza e di capacità di dominare
l’ambiente. Una forte energia psicofisica permette di essere attivo e
dinamico; si tratta dunque di un bambino in continuo movimento, che ha
bisogno di sfogarsi nel gioco. Se frenato, rischia di manifestare aggressività e
rabbia, rivolte contro gli oggetti che ha attorno, gli animali o gli altri
bambini.
Il gesto leggero esprime una personalità particolarmente sensibile, per cui il
bambino già a questa età può manifestare un comportamento improntato alla
timidezza e all’inibizione. Facilmente affaticabile, necessita di soste e di
poche sollecitazioni.
L’adulto deve limitare le sue attività, evitando di trascinarlo, magari a
forza, verso impegni troppo gravosi per la sua natura. E’ un bambino
delicato, che ha difficoltà ad entrare in contatto immediato con l’ambiente,
che nei rapporti vive male le contrarietà, per cui di fronte all’aggressività
dei compagni è facile che si chiuda in se stesso. In lui vanno quindi
valorizzati sia l’immaginazione sia la ricchezza dei sentimenti e il relativo
bisogno di gratificazioni.
La forma prevalente. Il cerchio esprime espansione: è la forma nella quale il
bambino proietta la prima immagine conosciuta, il volto. Più tardi
aggiungerà gli occhi, il naso e così via; il cerchio assumerà così un aspetto
meno astratto e un significato simbolico più rappresentativo. Il cerchio è
comunque espressione dell’adattamento, e quindi l’educatore, sia esso
genitore o insegnante, coglie in questa forma geometrica, la capacità del
bambino di stare bene con gli altri.
Il bambino che scarabocchia in modo curvo comunica all’adulto, oltre al
fatto di avere una natura aperta ed entusiasta, anche la sua gioia, la sua
voglia di espandersi. Il movimento circolare è armonico, privo di tensioni,
costituito fondamentalmente a partire da una motricità distesa.
Lo scarabocchio esprime quella necessità che ogni bambino ha di afferrare,
imbrattare, muoversi in un ambiente conosciuto.
Il foglio di carta, che simbolicamente rappresenta lo spazio entro il quale ci
si muove, diventerà pian piano per il bambino sempre più familiare.
Per questo il bambino che scarabocchia con facilità ha un carattere
socievole, adattabile, gioioso, sicuro e disponibile.
L’angolo è una forma che esprime tensione, resistenza, bisogno di essere
accudito senza costrizioni. E’ un simbolo legato a qualcosa che ha ferito la
persona, frutto di una tensione motivata da molti fattori: la natura
particolarmente sensibile o timida del bambino, che ha costantemente
necessità di un appoggio, o il difficile adattamento a situazioni nuove, come
la nascita di un fratellino. Queste difficoltà, che si manifestano
maggiormente nel bimbo introverso, sono peraltro da considerare normali.
L’importante è però sapere che attraverso questo scarabocchio egli vuole
comunicare un timore.
Spesso il bambino ha difficoltà nel manifestare la propria interiorità. Basta
che gli sia richiesto un impegno gravoso, uno sforzo quando è stanco, perché
egli, non potendo assolvere le richieste e temendo di perdere l’amore dei
genitori, provi disagio.
Alcune esperienze inevitabili, come quella della momentanea separazione
dalla madre, possono essere interpretate come un rifiuto o una diminuzione
d’affetto: in questo caso il bambino lancia il suo messaggio con un gesto
grafico rabbioso e stizzoso.
E’ una scarica motoria che indica inquietudine, ma può significare anche
lotta sofferta per conquistare l’autonomia.
Il bambino sente lo stacco da quel mondo sicuro e piacevole che è la famiglia
e, pur con sofferenza e chiedendo aiuto, affronta la crescita.
Importante è capire che in questo modo egli chiede appoggio, conferme,
dolcezze e comprensione, poiché è vittima di paure che da solo non riesce a
superare.
DAI 18 MESI AI 3 ANNI
Emozioni. Gia a questa età il bambino può avere un buon livello di
equilibrio, di autonomia, di curiosità che lo porta ad esplorare con
spontaneità, ma anche con una certa molestia, il mondo e tutto ciò che gli
capita a portata di mano.
Per il maschietto l’esplorazione, oggi più che mai, è rivolta al mondo
meccanico, mentre la femminuccia rivolge maggiormente il suo interesse
all’estetica. Con i genitori il bambino è facilmente possessivo, essendo
tuttavia con loro fortemente tenero e affettuoso.
Reazioni. E’ facile che in questo periodo il bambino diventi per un nonnulla
aggressivo e reattivo, ma l’aggressività è più verbale che fisica; infatti egli
teme le reazioni degli altri, che peraltro provoca, quasi a voler misurare la
propria forza.
Socializzazione. Il sentimento dell’Io, ossia la percezione che egli ha di sé,
si rafforza e quindi il bambino diventa meno dipendente dall’ambiente.
E’ il periodo nel quale egli si stacca emotivamente e gradatamente dalla
famiglia, per cercare nel gruppo un modo più maturo di comunicare e di
investire i propri interessi affettivi: nascono così le prime amicizie.
Quando al bambino non è data la possibilità di avere attorno amichetti, egli
allora li sostituisce con oggetti, animali o personaggi inventati: è il momento
dell'amico immaginario.
Paure. A questa età i timori sono ancora legati ai rumori o alle cose molto
grosse o tetre: camion, tremi, pullman, uomini corpulenti...
Ve ne accorgete quando, pur trascinandovi a vedere un treno o il leone dello
zoo, il bimbo vi prende la mano e ve la stringe: è un modo di esorcizzare la
paura, un messaggio che non potete assolutamente ignorare e che dovete
interpretare. Tra le altre paure è sempre presente quella di perdere la
mamma.
Scarabocchi. Lo scarabocchio inizia a conformarsi secondo regole più
precise; ad assumere forme più dettagliate e differenziate a seconda dei
significati che il bambino gli associa. Verso i 3 anni, poi, assume forme
particolari che lo portano alla rappresentazione grafica vera e propria tipica
degli anni seguenti: il disegno.
Dopo la fase dello scarabocchio semplice, che occupa il primo periodo di
esperienze grafiche, il bambino, in linea con la maturazione globale della
sua struttura psicomotoria, elabora spontaneamente un modo muovo di
scarabocchiare che comprende almeno due tipi di espressione, le forme e le
figure, alle quali associare verbalizzazioni e commenti che spesso lasciamo
esterrefatti gli adulti, molto meno i coetanei. È una sorta di comunicazione
complessa e strutturata, che coinvolge in modo attivo il bambino: il mondo è
ora simbolicamente dominabile, in quanto egli lo può costringere entro i
limiti del foglio di carta.
Così egli manifesta, suoi sentimenti: rabbie, gelosie, amori, passioni e
desideri. Così muove i personaggi a suo piacimento: li esclude, li
ingigantisce, li annulla, li cancella.
La sua naturale onnipotenza è gratificata. Se poi mamma o papà, meglio
ancora l'educatrice dell'asilo, lo confermano con apprezzamenti in questa sua
opera, ecco nascere o crescere la sicurezza in sé e l'autonomia.
Il commento verbale allo scarabocchio, unitamente all'intento
rappresentativo e al perfezionamento delle forme, è il vero passo verso un
grafismo maturo.
Nelle produzioni di quest'età si osservano abitualmente raffigurazioni assai
elementari, dietro le quali però si celano mondi complessi.
Se il bambino disegna frequentemente un tracciato angoloso e oscuro, se
occupa lo spazio con linee assolutamente spezzate, oppure produce il
cosiddetto gomitolo, siamo di fronte a paure particolari, che andranno
interpretate a seconda della situazione. Si tratta comunque di un segnale di
un disagio che il piccolo manda al mondo esterno e per il quale occorre una
particolare attenzione.
DAI 3 AI 5 ANNI
Emozioni. È questa l'età del "no" stizzoso e senza un apparente perché.
Il bambino non va volentieri a letto da solo e vuole sempre essere
accompagnato da uno dei genitori.
Peraltro, da sveglio ama vantarsi e comportarsi come un grandicello, almeno
finché si sente protetto da un ambiente sicuro; quando invece deve
affrontare l'esterno, possono scattare timori e angosce che gli impediscono di
uscire, di affrontare gli altri e le difficoltà che può incontrare.
Incomincia a essere orgoglioso del proprio aspetto, per cui è necessario
rafforzare la sua autostima.
Reazioni. L'aggressività si fa via via sempre più fisica: facilmente scalcia, ti-
ra pugni, graffia e morde, specie se spinto dalla gelosia.
È l'età dei possibili malumori e degli atteggiamenti contraddittori: si oppone
verbalmente e fattivamente assumendo un comportamento che può irritare
l'adulto, ma che è invece solo un modo per mettere alla prova la propria
capacità di autonomia e libertà.
Socializzazione. Il bambino è in genere orgoglioso della mamma e ne parla
volentieri anche con gli altri, mentre col papà ha un rapporto più intimo.
Inizia ad aiutare in casa con alcuni piccoli lavoretti, purché gli venga data
quel po' di autonomia che lo faccia sentire grande. Coi fratelli passa da
atteggiamenti di complicità, specie coi maggiori, ad altri di rivalità e di
gelosia, soprattutto verso i più piccini. Nonostante sia ancora
fondamentalmente egocentrico, inizia a cooperare con i coetanei in giochi e
lavoro di gruppo.
Paure. Una delle più frequenti e temute a questa età è quella del distacco
dalla famiglia a seguito dell'ingresso nella scuola materna. Il piccolo soffre
ancora l'ansia da separazione e si preoccupa se la madre, o comunque una
figura rassicurante, lo lascia anche per un breve periodo. Nonostante il
desiderio di autonomia, egli è ancora dipendente, ha bisogno di sicurezza e
protezione ma desidera intraprendere le sue esplorazioni, almeno con la
certezza di poter sempre ricorrere a qualcuno che lo protegga dal "suo"
mondo, cioè dalla sua fantasia a volte popolata di fantasmi. Questa,
tuttavia, non è la sola paura del piccolo; egli teme, con sempre maggior
insistenza, di perdere l'affetto delle persone care, soprattutto dopo
rimproveri, punizioni, "frasi killer": «Se non fai il bravo, l'uomo nero ti
porterà via in un sacco», «Se non stai fermo, ti lego», «Sei un bugiardo, e il
naso ti diventerà lungo lungo». Frasi che all'adulto sembrano innocenti, ma
che hanno un grave peso sulla sicurezza emotiva del bambino.
A queste si aggiungono i racconti "di paura": un lupo mangia i bambini, un
orco li bolle in pentola, dei piccoli rimangono orfani o si perdono nel
bosco... che possono turbare il bambino sollecitandolo emotivamente. Nella
sua ancora limitata esperienza, il bambino crede a quanto gli viene narrato e
attribuisce poteri soprannaturali a uomini e animali, verso i quali potrà
sviluppare poi delle paure.
C'è da notare, inoltre, che alcune paure vengono inconsciamente trasmesse
ai bambini dai genitori. Come la mamma, della quale imita il
comportamento, il bambino avrà così paura dei temporali, del fuoco, del
dentista, dei ladri...
Alle madri ansiose sono da imputare gran parte delle paure che il piccolo
acquisisce. Le mamme sempre preoccupate e apprensive, timorose che il
figlio possa farsi male, che possa cadere, che non riesca a fare qualcosa, che
si tagli, che si punga, che si scotti, che ingoi qualche oggetto, che prenda
una malattia... non solo possono bloccare il bambino nella sua naturale
espansione verso la vita, ma possono anche infondergli timori eccessivi e un
costante sentimento di pericolo imminente che poi trascinerà fin nell'età
adulta. Quante più paure un bambino accumula nei primi anni, tante più
saranno in seguito le sue insicurezze. A meno che l'adulto non lo aiuti, con
serenità e affetto, a demolirle ogni volta che si manifestano.
Disegni. Innanzi tutto occorre precisare che i disegni utilizzati in tutto il li-
bro come esempi, sono stati scelti in base ai "segnali forti" in essi contenuti,
segnali che pur non avendo nulla di patologico, rappresentano però bene le
cosiddette "paure evolutive".
In questo disegno della figura l'eccessivo annerimento e i capelli a raggiera
indicano una malinconia che il bambino può esprimere anche con un
comportamento aggressivo.
La mancanza di percezione del proprio schema corporeo suggerisce in questo
caso che il bambino è stato troppo sollecitato intellettualmente: una
maggiore attenzione alla fisicità è quindi che serve per ricondurlo a un
equilibrio armonioso.
DAI 6 AGLI 8 ANNI
Emozioni. Intorno ai 6 anni il bambino sente di aver acquisito nuove compe-
tenze, se ne vanta e cerca lodi e approvazioni dagli adulti. È questo il frutto
di una richiesta d'affetto che rafforza il suo lo. La mancanza di affetto lo
rende invece suscettibile, insicuro e aggressivo.
A questa età tende a provare invidia per chi possiede di più; si è
differenziato dalla madre, ma è ancora molto sensibile agli umori e ai
sentimenti che ella manifesta. Verso i 7 anni inizia ad avvicinarsi al padre,
dal quale desidera approvazione per il proprio operato, ma che teme, perché
lo identifica con "l'autorità".
Diventa pudico, prova sensi di inferiorità, teme di essere preso in giro e non
ama gli ambienti carichi di tensione. Desidera avere un proprio posto a
scuola, a tavola e nel gioco. Entrano in crisi le sue credenze "magiche", come
Babbo Natale o Gesù Bambino. È sensibile alle critiche come ai complimenti.
Il bambino di 8 anni è alla ricerca di spazi e di conoscenze nuove. Si esprime
con maggiore spontaneità, desidera crescere in fretta, apprezza le relazioni
e cerca rapporti piacevoli. Vive tutto in modo un po' teatrale.
Reazioni. Attorno ai 6-7 anni le sue reazioni si manifestano in maniera
grossolana. Per lo scarso controllo motorio, rompe facilmente gli oggetti e
può dilettarsi nell'infastidire gli animali. Ha moti di aggressività, che nel
contempo teme, ed è quindi portato a ritirarsi o a chiudersi nella propria
stanza. La reattività del bimbo di 8 anni viene manifestata nella discussione
verbale e nell'aggressività anche con atteggiamenti di masochismo e di
vittimismo: «Nessuno mi capisce», sbatte la porta ed esce di scena, piange
senza apparente ragione...
Socializzazione. In questo periodo il bambino si distacca emotivamente dalla
mamma, anche se dipende dal suo giudizio. Intorno agli 8 ani può diventare
particolarmente esigente con la madre, che vorrebbe tutta per sé.
Il padre è ora punto di riferimento e di sicurezza: un suo giudizio negativo lo
ferisce. C'è competizione coi fratelli, che lo pori al litigio e alla
soddisfazione per i castighi che vengono loro inflitti: fa volentieri e spesso la
"spia". Con i coetanei si unisce in gruppo ed è collaborativo, ma non sempre
sa accettare le regole dei giochi. È in cerca dell'amico del cuore.
Paure. A 6 anni è piuttosto comune la paura del buio e quella degli spa2
aperti o chiusi, che si riflettono anche nella difficoltà a lasciar tracce sul
foglio (agorafobia grafica). Compare la paura del soprannaturale (streghe,
animali fantastici, mostri). Verso i 7 anni le paure si fanno più profonde, fino
a trasformai si in terrore e angoscia. Ha paura di essere figlio adottivo e di
noi essere amato.
Teme la morte e il buio con una consapevolezza di versa da quella degli anni
precedenti. Ha paura che uno dei geni tori lo abbandoni, quindi teme la
separazione. Conosce le ansi della vita quotidiana: ha paura di arrivare tardi
a scuola, di far brutte figure, eccetera.
I bambini sono, ora, meno timorosi nei confronti delle malattie delle
eventuali ferite e, di conseguenza, dei medici e dei dentisti: mentre la
maggior parte delle paure di questo periodo riguardano la famiglia e la
scuola.
È facile, così, che i bambini riferiscano il loro terrore dei fantasmi, delle
streghe, dei mostri in generale, come pure di bestie feroci che possono
aggredirli o ferirli anche mortalmente; in questo modo essi manifestano,
simbolicamente, la paura di essere puniti dai genitori, temono cioè di subire
un castigo per qualche cose che non hanno ancora fatto, ma che potrebbero
fare.
Se consciamente non attribuiscono ai genitori il ruolo di giudici e giustizieri,
nell'inconscio li vivono come tali e nelle loro paure li "mascherano" in modo
fantastico.
D'altra parte, in questo periodo dello sviluppo sono frequenti i conflitti con i
genitori, per vari motivi: il bambino si trova a dover combattere contro
l'ambivalenza dei suoi sentimenti nei loro confronti; è avviato verso
l'autonomia, ma non ha ancora raggiunto la completa indipendenza; la sua
aggressività, inoltre, gli è ora ben nota.
Anche la paura della scuola ha un risvolto profondo: sottintende l'angoscia
della separazione, uno stato emotivo che spesso si trasforma in panico e che
viene vissuto in ugual misura dai genitori e dai figli.
Spesso sono le madri che temono il distacco del figlio: lo vedono indifeso e
bisognoso di protezione in un ambiente, la scuola, freddo e minaccioso.
Preferirebbero tenerselo sempre accanto. Il bambino, inconsciamente,
percepisce il sentimento della madre e fa proprio il suo desiderio.
Accanto a queste paure inconsce e irrazionali, ve ne sono molte altre legate
a esperienze vissute dal bambino: il gatto, perché lo ha graffiato, gli insetti,
perché un giorno un'ape lo ha punto, il fuoco perché una volta si è scottato.
Ulteriori paure sono dovute alle eccessive raccomandazioni dei genitori:
«Non toccare le forbici», «Stai attento ai cani», «Non arrampicarti sugli
alberi». L'iperprotettività dei genitori fa perdere la fiducia in sé ai bambini.
Che oltre a temere ogni cosa, non rischiare mai, non intraprendere un
compito nuovo, si convincono di non essere in grado di fare, azzardare,
tentare. Le paure, a questo punto, si moltiplicano, vengono accuratamente
nascoste o, magari, si manifesteranno più tardi attraverso sintomi
disturbanti.
Disegni. Vediamo l'esempio di un disegno che rappresenta la paura più
frequente a questa età, quella del distacco emotivo che il ragazzo prova nel
separarsi dall'ambiente familiare per entrare nel mondo della scuola: luogo
per lui sconosciuto, pieno di tutti quegli imprevisti che egli immagina di
poter incontrare.
In questa rappresentazione della famiglia è da notare come tutti i
componenti siano fisicamente uniti (mano nella mane, abbraccio di mamma e
papà); ciò indica un rapporto di dipendenza eccessiva, che è difficile da
superare. La presenza dei bottoni su tutte le figure è poi un ulteriore
segnale della paura dell'abbandono.
DAGLI 8 AI 12 ANNI
Emozioni. Il bambino in questo periodo diventa, in genere, più coccolone,
più affettuoso. Si attacca in modo più consapevole alla famiglia, che tende a
valorizzare. Il mondo delle emozioni viene percepito in modo meno instabile
e minaccioso e quindi più facilmente controllabile.
A 10-11 anni il bambino è più tranquillo, più sereno, sa vivere con maggiore
naturalezza i sentimenti.
Ma è anche particolarmente sensibile, suscettibile: ama stare in disparte, in
casa può diventare taciturno, mentre fuori può apparire chiacchierone.
Diventa anche più generoso.
Reazioni. A 9 anni le esplosioni emotive si fanno più rare e meno intense. La
rabbia si esprime più fisicamente e nelle attività. Piange più di rabbia che di
rancore, quindi la collera gli passa più facilmente.
A 11 e 12 anni le reazioni si manifestano con la violenza fisica o con delle
crisi colleriche, ma la stizza è posta sotto controllo. È meno violento, anche
se può utilizzare molte parolacce, quasi per sentirsi più grande.
Socializzazione. Attorno ai 9-10 anni il ragazzo si inserisce consapevolmente
nel gruppo e, poiché ora è meno egocentrico, sviluppa il senso critico. Con la
madre ha un rapporto più schietto e di maggior confidenza. Dal padre esige
più disponibilità di tempo e di attenzione. Il mondo esterno assume sempre
maggiore importanza, specie per quanto riguarda le amicizie.
Intorno agli 11 anni le reazioni con la madre possono essere a volte violente:
fa scenate e non è più propenso a essere servizievole.
Tende a diminuire anche l'ammirazione verso i superiori, o quanto meno a
essere con loro piuttosto esigente. Verso il padre inizia una specie di
rivalità: lancia sfide, anche se spesso mascherate dal gioco.
Siamo nel pieno della cosiddetta "età della stupidità", che risulta del tutto
contraddittoria: da un lato il bambino si sente "grande" e ama dimostrare
tutta la sua maturità, dall'altro si lascia andare ad atteggiamenti e
comportamenti quasi inspiegabili per la loro infantile assurdità.
Paure. Dominanti sono le paure legate alla scuola (interrogazione, boc-
ciatura, mancanza di stima da parte dell'insegnante) e la paura di crescere,
legata alle trasformazioni che il suo corpo subisce.
Le altre variano molto da individuo a individuo (si tratta di quelle non
superate nell'infanzia), o sono di carattere sociale: povertà, guerra,
catastrofi.
Il ragazzino teme anche che il padre possa perdere il posto dì lavoro o che si
separi dalla madre.
Disegni. Come si colgono le paure nei disegni dei ragazzi più grandicello?
Le tematiche, come abbiamo visto, sono varie e diversificate, pertanto anche
l'indagine deve essere assolutamente personalizzata ed è difficile una
generalizzazione legata all'età.
Comunque, tra le paure più frequenti nell'adolescente troviamo quella legata
all'errata percezione che il ragazzino ha di sé, sia fisicamente sia
intellettivamente.
Il disegno dell'albero sembra essere quello in cui più facilmente il ragazzo
proietta il suo inconscio. Qui notiamo un buco, una tana, sul tronco, che
indica la difficoltà del ragazzo a uscire dalla famiglia e affrontare le
difficoltà. Anche la socializzazione, segnalata dalla cima dell'albero, è
caratterizzata dal timore di non essere ben accolto.
Conclusioni
Per i bambini il disegno è un modo spontaneo di esprimere se stessi: i
segni lasciati dalla matita sul foglio mostrano aspetti del carattere dei
piccoli che non traspaiono dai gesti e dalle parole, il luminandone così
i significati più profondi. Per questo, saper "leggere" i loro disegni, fin
dagli scarabocchi dei primissimi anni di vita, permette di capire più a
fondo le loro esigenze e le loro paure. Grazie a questa ricerca ho
imparato ad osservare e interpretare i disegni dei bambini:
“La dimensione della figura umana, la proporzione tra le parti, il
numero di oggetti, i colori scelti, il tratto, le forme più frequenti...”.
Gli psicologi e i filosofi non si l imitano alla teoria, ma attraverso
l 'analisi di moltissimi esempi ci spiegano come ascoltare i piccoli e
comprenderne i bisogni e i timori, suggerendo il modo migliore per
contenere e risolvere le loro ansie e paure. Questa ricerca offre così a
insegnanti, genitori, pediatri e psicologi uno strumento per
comprenderli e soprattutto aiutarli a superare gli ostacoli che
incontrano nel loro difficile processo di crescita.
Dare al bambino una competenza comunicativa infatti, implica
fornirgli motivazioni alla produzione, abi l ità nelle tecniche espressive,
conoscenze (dapprima intuitiva e poi via via più consapevole) delle
regole e delle strutture del l inguaggio v isuale e delle loro possibil ità
d’uso a scopi comunicativi e creativi.
La creatività va quindi stimolata, ma come?
Si tratta di inventare dei giochi attraverso i qual i i bambini possano
imparare sempre qualcosa di nuovo, impadronendosi di tecniche
nuove, e giustificando le regole del l inguaggio vis ivo.
Ogni disegno contiene un messaggio, se questo non è costruito con le
regole del l inguaggio visivo, il messaggio non viene ricevuto e non si
ha comunicazione visiva, non si ha «comunicazione».
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