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IL DISEGNO COME MOVIMENTO L'occhio e la mano sono il padre e la madre dell'attività artistica. Il dise- gnare, dipingere e modellare fanno parte del comportamento motorio uma- no, ed è lecito supporre che essi si siano sviluppati da due più antichi e più generali aspetti di tale comportamento: il movimento fisionomico e descrit- tivo. I primi scarabocchi del bambino non vanno intesi come rappresentazione: sono una forma della gradevole attività motoria con la quale il bambino esercita gli arti, con il piacere addizionale di produrre tracce visibili attra- verso i gesti vigorosi delle braccia avanti e indietro. Produrre qualche cosa che prima non esisteva è un'esperienza gradevole. Questo interesse per il prodotto fine a se stesso si osserva anche nello scimpanzé che imbianca la gabbia con pezzi di gesso o che brandisce un pennello di vernice: è un semplice piacere sensoriale, che perdura invariato anche nell'artista adulto. I bambini sentono il bisogno di molto movimento, e quindi l'atto del disegnare ha inizio con una specie di saltellare sulla carta. La forma, la dimensione e la disposizione dei tratti è determinata tanto dalla costruzione meccanica del braccio e della mano quanto dal temperamento e dall'umore del bambino. Sono qui gli inizi del movimento espressivo, cioè le manifestazioni del momentaneo stato d'animo del disegnatore oltre che dei tratti permanenti della sua personalità. Queste qualità mentali sono costantemente riflesse dalla velocità, dal ritmo, dalla regolarità o dall'irre- golarità, dalla forma dei movimenti corporei, e lasciano quindi il segno sui tratti a matita o a pennello. Le caratteristiche espressive del comportamento motorio sono state studiate sistematicamente sulla calligrafia dai grafologi ma hanno anche, come si vedrà in seguito, una parte di rilievo nello stile di pittori e scultori.

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IL DISEGNO COME MOVIMENTO

L'occhio e la mano sono il padre e la madre dell'attività artistica. Il dise-

gnare, dipingere e modellare fanno parte del comportamento motorio uma-

no, ed è lecito supporre che essi si siano sviluppati da due più antichi e più

generali aspetti di tale comportamento: il movimento fisionomico e descrit-

tivo.

I primi scarabocchi del bambino non vanno intesi come rappresentazione:

sono una forma della gradevole attività motoria con la quale il bambino

esercita gli arti, con il piacere addizionale di produrre tracce visibili attra-

verso i gesti vigorosi delle braccia avanti e indietro. Produrre qualche cosa

che prima non esisteva è un'esperienza gradevole. Questo interesse per il

prodotto fine a se stesso si osserva anche nello scimpanzé che imbianca la

gabbia con pezzi di gesso o che brandisce un pennello di vernice: è un

semplice piacere sensoriale, che perdura invariato anche nell'artista adulto. I

bambini sentono il bisogno di molto movimento, e quindi l'atto del disegnare

ha inizio con una specie di saltellare sulla carta. La forma, la dimensione e

la disposizione dei tratti è determinata tanto dalla costruzione meccanica

del braccio e della mano quanto dal temperamento e dall'umore del

bambino. Sono qui gli inizi del movimento espressivo, cioè le manifestazioni

del momentaneo stato d'animo del disegnatore oltre che dei tratti

permanenti della sua personalità. Queste qualità mentali sono

costantemente riflesse dalla velocità, dal ritmo, dalla regolarità o dall'irre-

golarità, dalla forma dei movimenti corporei, e lasciano quindi il segno sui

tratti a matita o a pennello.

Le caratteristiche espressive del comportamento motorio sono state studiate

sistematicamente sulla calligrafia dai grafologi ma hanno anche, come si

vedrà in seguito, una parte di rilievo nello stile di pittori e scultori.

Oltre ad essere fisionomico, il movimento è anche descrittivo. La spontaneità

del gesto è governata dall'intenzione di imitare le proprietà delle azioni o

degli oggetti.

I gesti descrittivi usano le mani e le braccia, spesso aiutate dall'intero corpo,

per mostrare quanto una cosa sia, o fosse, o potrebbe essere, grande o

piccola, veloce o lenta, rotonda o angolosa, lontana o vicina.

Tali gesti possono riferirsi a oggetti o avvenimenti concreti - come topi, o

montagne, o l'incontro di due persone - ma anche, figurativamente, alla

grandezza di un compito, alla lontananza di una possibilità, o a uno scontro

di opinioni. Sembra lecito presumere che la sorgente dell'attività della

rappresentazione artistica deliberata stia nel movimento descrittivo.

Il gesto della mano che accenna la forma di un animale nell'aria durante una

conversazione non è molto lontano dall'atto di fissare la stessa impronta

nella sabbia o su una parete. Si è sempre dato per scontato che il

comportamento motorio dell'artista è soltanto un mezzo per creare pitture o

sculture, e che di per sé non conta più dell'azione di sega e pialla nel lavoro

del falegname. In tempi recenti, però, la cosiddetta action painting ha

messo in rilievo le qualità artistiche del gesto compiuto durante la creazione

dell'opera; e non c'è forse mai stato artista per il quale una parte delle

caratteristiche espressive del movimento della pennellata e del corpo non

abbia contato come componente del suo "messaggio."

Questo aspetto rappresentativo del comportamento motorio è ben evidente

nel bambino piccolo. Jacquelíne Goodnow registra che i bambini dell'asilo,

richiesti di accoppiare una serie di suoni con una serie di puntini, disegnano i

puntini in fila da sinistra a destra ma non lasciano spazi vuoti sulla carta in

corrispondenza degli intervalli tra gruppi di suoni. Invece usano sovente

azioni motorie: fanno due puntini, si fermano, altri due puntini, e così via.

Per loro questo corrisponde al modello sonoro anche se sulla carta gli

intervalli non risultano.

La figura ci mostra un uomo che lavora in giardino, disegnato da una bambina

di quattro anni. Il vorticoso garbuglio a destra raffigura una piccola

falciatrice, non solo perché le linee tracciate con un senso rotatorio

riproducono visualmente il caratteristico movimento della macchina, ma

perché il braccio della bambina produsse un simile movimento mentre

disegnava.

Allo stesso modo, la sequenza secondo la quale sono disegnate le diverse

parti di un oggetto è estremamente significativa per il bambino, anche se di

ciò non risulta nulla nel disegno. Per esempio, nei primissimi anni la figura

umana viene spesso disegnata per prima e poi acconciamente vestita in un

secondo tempo con giacche e calzoni.

Bambini deboli di mente e, in particolare, di vista debole s'accontentano

spesso del puro legame temporale per mantenere la connessione di singoli

elementi nella realtà intimamente uniti. Non si preoccupano di rendere

visualmente sulla carta tale connessione, ma spargono gli occhi, le orecchie,

la bocca e il naso di una faccia su tutto il foglio in un disordine quasi

casuale.

Per il significato psicologico del disegno, l'ordine in cui il bambino esegue le

varie parti è più importante, e non andrebbe mai trascurato dai ricercatori.

A questo proposito va ricordata una delle componenti basilari dell'arte

visuale, cioè che l'esecuzione manuale di raffigurazioni - escludendo perciò

la fotografia - si compie sempre in sequenza, mentre il prodotto finale si

vede tutto in una volta. Al livello più elementare lo si osserva nella

differenza tra l'esperienza del tracciare una linea, del vederla farsi strada

attraverso il foglio (come in un film di animazione) e il prodotto finale

statico, che ha perso gran parte di questa dinamica.

Il percorso circolare di una linea è di natura molto diversa dalla simmetria

centrale del cerchio bidimensionale che risulta come prodotto finale.

Il compito dell'artista è reso più difficile non soltanto dal fatto che non può

contare sul movimento vivo che egli sperimenta mentre disegna o scolpisce,

ma anche dal dover tenere a mente, mentre esegue un particolare, un intero

che in parte è presente e in parte va completato con il procedere dell'opera.

Come si può disegnare il profilo sinistro di una gamba senza saperlo correlare

al profilo destro, che non c'è ancora?

A livello di pianificazione generale, la sequenza in cui l'artista crea un'opera

è importante e qualificante. Se per esempio l'intera composizione deve

reggersi sullo scheletro strutturale di base, tale scheletro andrebbe prima

tracciato nelle componenti essenziali, e perfezionato poi per gradi come un

insieme.

Charles Baudelaire scrive: "Un buon dipinto, fedele e rispondente al sogno

che gli diede vita, va plasmato alla stregua di un mondo”.

Come il Creato davanti a noi è l'esito di molte creazioni, che succedendosi

conferiscono sempre più piena completezza al momento iniziale, così un di-

pinto, se costruito armoniosamente, consiste di una serie di immagini so-

vrapposte, dove ogni strato nuovo dà più viva realtà al sogno e lo innalza di

un passo ulteriore verso la perfezione.

Al contrario ricordo di aver visto nello studio di Paul Delaroche e di Horace

Vernet degli enormi dipinti non abbozzati ma in parte già fatti, ossia

completamente finiti in certe zone mentre altre erano indicate soltanto da

un profilo nero o bianco. Un'opera del genere si può paragonare a un lavoro

puramente manuale che deve coprire un dato spazio in un dato tempo, o a

una lunga strada divisa in molte tappe.

Quando un pezzo è fatto è fatto, e quando la strada è finita l'artista si è

liberato del suo dipinto."

>>> 7. I test>

IL TEST DELLA FIGURA UMANA

Nel disegnare la figura umana il bambino rappresenta inconsciamente se

stesso e quindi la percezione del proprio schema corporeo e dei desideri che

l’accompagnano. Di solito si possono rilevare delle somiglianze tra l’omino

raffigurato e le caratteristiche di chi l’ha disegnato. Se la figura umana è

eseguita con una buona collocazione nello spazio, ben proporzionata nelle

forme, ossia se il tutto è definito in modo strutturato, significa che il

bambino è avviato a una crescita armonica, con un buon adattamento alla

realtà circostante. Al contrario, se il bambino disegna un omino piccolo, in

fondo al foglio, con un tracciato debole e tremolante, può significare che

egli si sottovaluta, si senta poca cosa, senz’altro inferiore ai suoi coetanei.

L’assenza di alcuni organi o apparati del corpo umano, le costanti

cancellature, le interruzioni del tratto e una collocazione non corretta degli

arti sono tutti segnali di insicurezza che, se colti in tempo, servono

all’adulto non tanto per fare delle diagnosi catastrofiche, ma piuttosto per

rafforzare nel bambino la stima e la fiducia in se stesso e per evitare che,

sentendosi poco dotato, tarpi le ali al suo potenziale in crescita.

Evoluzione. Il test della figura umana permette di avere un’idea

approssimativa, ma abbastanza corretta, della crescita psicofisica e del

livello di evoluzione grafica raggiunto dal bambino.

Parliamo del reattivo comunemente definito test della figura umana.

Si parte sempre dal concetto del "determinismo psichico" in cui cosa si

rappresenta non è casuale ma voluto dall'inconscio.

Il test della figura umana nasce negli anni '20, (Florence Goodenough) viene

concepito come test d'intelligenza, (in questo caso era veramente un test) ed

il suo contenuto si basa essenzialmente sui dettagli che un soggetto

disegnava, nel rappresentare la figura umana. Questi dettagli erano

paragonati ai dettagli riprodotti per età anagrafica dal campione

rappresentativo.

In pratica se tutti i bambini di 4/5 anni, disegnavano gli occhi, un bambino di

4/5 anni doveva disegnare gli occhi, se non lo faceva aveva carenza di Q.I.

L'interpretazione attuale è: quando un bambino disegna la figura umana,

anche se copia un disegno, disegna quello che vive, in quel momento, non

quello che vede.

Come s'interpreta il reattivo della figura umana?

Graficamente, dalla pressione del tratto e dalla spazialità nel foglio. Il

significante, l'immagine disegnata riflette quella del corpo, quindi dell'Io, è

dinamica e si modifica nel tempo. La raffigurazione può anche essere

idealizzata raffigurando l'ideale dell'Io o quella di una persona a cui il

soggetto prova molta affettività.

<Analisi di un disegno sul test della figura umana>

Il soggetto a cui è stato chiesto di eseguire questo disegno è un bambino di

dieci anni, che frequenta la 5° elementare: il suo nome è “Stefano”.

Il bambino è stato fatto accomodare davanti a un tavolo della sua altezza,

con un foglio di carta bianca, matita, gomma e colori. Gli è stato riferito di

“disegnare una figura, quella che voleva, poteva utilizzare anche i colori”

per completare o iniziare il disegno.

Durante questo esercizio è stato per me importante osservare il modo in cui

il bambino procedeva nel disegno:

- Il tempo d’esecuzione del personaggio. Il tempo impiegato dal bambino

per disegnare e colorare la figura da lui creata è di 35’. Usa la matita con la

mano destra.

- La collocazione sul foglio. La figura umana interpretata da Stefano è

precisa in tutto quello che la compone, si trova al centro del foglio verticale

(A4 29,7x21 cm) e le proporzioni sono quasi azzeccate. Bisogna dire che la

sua età e le nozioni apprese dal suo livello di codificazione dell’immagine

sono buone.

- La cura o meno dei particolari. Nella rappresentazione della “figura

umana” il bambino ha deciso di interpretare sul foglio un giocatore di

basket. Si nota molto bene come abbia curato gli indumenti, le scarpe, e il

pallone (che sta entrando a canestro), questo significa che ha capito di quali

elementi ha bisogno questo sport per essere giocato correttamente.

Sulla canotta e le scarpe del giocatore c’è persino disegnato il logotipo della

marca che sponsorizza la squadra e sul pallone, addirittura il nome della

“squadra” stessa. Le scarpe sono decorate con stringhe e linguetta (dove

appoggia la caviglia), si vede il battistrada anteriore e la tomaia, mentre di

lato la gomma che facilita il salto al cestista.

- I ritocchi e le cancellature. Sul disegno si notano piccolissimi ritocchi, e le

cancellature frequenti, che ho potuto vedere mentre il bambino continuava

il suo disegno, non si notano.

Ci fanno capire che il bambino vuole interpretare questo disegno nel meglio

dei modi, portandolo così ad essere in uno stato d’ansietà.

- L’espressione del volto. La testa abbastanza proporzionata al corpo è

composta da tutto quello che ha bisogno: i capelli castani, gli occhi, la

bocca, i denti, il naso e le orecchie, il colore della pelle è reale. Per il gesto

che compie, il giocatore esprime contentezza e felicità sul suo volto;

l’espressione della bocca sembra dimostrare anche l’astuzia e la furbizia con

cui è riuscito a concludere il suo salto verso il canestro (anch’esso ben

definito).

- Le posizioni delle braccia, delle mani e delle gambe. Le braccia sono

rivolte verso l’alto completamente parallele una all’altra, le mani sono

aperte ma non si vede il palmo perché rivolto all’interno. Anche le gambe

aperte simulano il gesto della spinta verso l’alto. Nella rappresentazione di

queste parti il bambino ha difficoltà nella proporzione, infatti i muscoli che

cerca di rappresentare sono composti da troppa massa.

- Il tratto sicuro o incerto. Il tratto sembra essere sicuro ma anche marcato

e continuo. Questa caratteristica può essere d’aiuto per quello che

affronterà nella sua adolescenza e verso il mondo.

Il bambino ha molta dimestichezza nel rappresentare il mondo che lo

circonda, è sicuro di sé, a volte vorrebbe crescere più in fretta e perché

no... staccarsi per un attimo dalla sua condizione reale.

Non fa fatica a integrarsi con gli altri grazie ad una vivacità a volte

eccessiva.

Le forme ampie incontrate nel suo disegno sono sinonimo di esuberanza, i

denti in mostra denotano “aggressività” , le braccia aperte verso l’alto

lasciano aperti gli spiragli per una buona comunicatività.

IL TEST DELLA FAMIGLIA

Il test della famiglia ci permette di cogliere, al di là dell’esecuzione grafica

più o meno riuscita, quali sono gli aspetti positivi o negativi che possono

influenzare la crescita del bambino. Sappiamo quante interferenze possono

sorgere all’interno del nucleo familiare: la nascita di un fratello, il successo

scolastico della sorella maggiore o, peggio ancora, minore, con la

conseguente paura di valere di meno, il timore irrazionale di sentirsi

abbandonato da uno dei genitori, la scuola con le sue richieste…

Il ragazzo che ha 12 anni disegna se stesso dentro una culla, ponendosi al

posto della sorellina di pochi mesi, evidenzia il processo di regressione che

sta vivendo: la paura di perdere l’oggetto d’amore (ossia la madre), il timore

che l’altro (la sorella, in questo caso specifico) possa avere la mamma tutta

per sé. La gelosia che prova, ma che non esprime a parole perché ha paura di

perdere la stima del genitore, viene manifestata con i sintomi più disparati:

l’enuresi, i tic, la paura del buoi, il mal di pancia, magari solo quando deve

andare a scuola quindi allontanarsi dalla mamma...

Sono situazioni a volte non chiare e non sempre percepite dall’adulto. Ecco

allora venirci in aiuto il linguaggio non verbale, che ci permette di cogliere

molteplici informazioni sulla personalità, sulla natura emotiva e sul tipo di

reazione del ragazzo. Anche se non è richiesto, nell’eseguire il test il

fanciullo disegna sempre la propria famiglia e così facendo ci racconta i suoi

problemi, la paura di crescere, oppure, al contrario, la gioia, la serenità e

l’amore per la vita.

Ma la famiglia di oggi è ancora da considerarsi un luogo di sicurezza? Dai

disegni sembra proprio di sì, poiché i bisogni del ragazzo non sembrano

mutati: egli vuole sentirsi amato, accettato, inserito nel nucleo famigliare.

Evoluzione. Osservando il disegno della famiglia è bene tenere sempre

presente l’età del bambino che lo esegue.

A 5 anni, per esempio, il bambino vive il periodo di maggiore identificazione

con i genitori: egli è attento a recepire e ad assimilare tutto ciò che essi

fanno e dicono; vorrebbe stare sempre con loro, ma nel frattempo guarda

anche verso l’esterno in cerca di altri modelli al di fuori della famiglia.

Invece un ragazzino di 9 o 10 anni vive la famiglia in modo più conflittuale,

non perché sia meno affezionato o dipendente, ma perché sta cercando un

suo ruolo autonomo.

Nel rappresentarci i personaggi della sua famiglia, il bambino ci mostra il

cammino percorso per sganciarsi dall’egocentrismo primario e avviarsi

gradualmente verso l’autonomia.

E’ sbagliato pensare che il ragazzino o l’adolescente viva senza problemi la

crescita. Diventare adulto è per lui nascere una seconda volta: è come se,

dopo il trauma della nascita, egli dovrebbe sperimentare un nuovo trauma,

quello del distacco delle figure protettive.

Superare questo disagio in modo positivo vuol dire trasformare il “cordone

ombelicale” che lega emotivamente il figlio al genitore, in un filo unico

d’amore che collega la famiglia, se stesso e il mondo.

INTERPRETAZIONE

Il personaggio disegnato al primo posto è quello per cui il bambino prova

maggiore ammirazione; si identifica con lui e cerca di imitarlo in tutto, a

volte con qualche difficoltà. Questo può portarlo a uno stato d’ansia, o al

timore di non essere alla sua altezza.

Disegnare se stesso al primo posto è un segno di egocentrismo, indica il

bisogno del bambino di mettersi davanti a tutti, ed esprime un legame di

dipendenza che non gli permette ancora di sganciarsi dalla famiglia senza

soffrirne emotivamente. Egli manifesta così la necessità, non del tutto

soddisfatta, di essere amato.

L’insoddisfazione affettiva lo rende demotivato e si ripercuote

negativamente anche sul rendimento scolastico.

Porre se stesso all’ultimo posto indica svalorizzazione di sé, poca fiducia

nelle proprie capacità dovuta a timidezza, chiusura o, quanto meno,

difficoltà nel manifestare la propria affettività. Il bambino, a ragione o a

torto, non sempre si sente rassicurato o lodato.

La valorizzazione è un messaggio importante da raccogliere; occorre aiutare

il bambino a superare questa sensazione negativa per costruirsi

un’immaginazione positiva di sé e rendersi più fiducioso e autonomo.

Il bambino che, disegnando la propria famiglia, esclude uno o più

componenti, indica chiaramente di rifiutarli.

Questa reazione può essere dovuta alla gelosia, al timore che quella

particolare figura (che può essere un nuovo fratellino) possa diventare più

importante di lui e privarlo di una parte dell’affetto dei genitori.

Aggiungere personaggi alla famiglia reale è un segno di compensazione per

un senso momentaneo di solitudine. Il bambino desidera la compagnia per

superare la paura del vuoto affettivo, oppure compensa in questo modo

immaginario desideri e bisogni inappagati.

L’aggiunta di una figura nella rappresentazione della famiglia ha lo stesso

significato dell’invenzione dell’amico immaginario: segnala una difficoltà di

comunicazione con i coetanei, poiché in casa egli vive prevalentemente con

figure adulte.

Se la dimensione di un personaggio è ridotta vuol dire che il bambino lo

considera un potenziale rivale che non può essere minato, ma che viene

chiaramente sminuito.

La collocazione in disparte di un personaggio mette in luce il suo mancato

inserimento, reale o presunto, all’interno della famiglia, e la difficoltà del

bambino a stabilire con lui un rapporto di fiducia o un legame più intenso.

La cancellazione di un personaggio è un segnale di insofferenza che il

bambino prova nei confronti di se stesso, di uno o più componenti della

famiglia, ma che egli non riesce a manifestare apertamente a causa della

paura di essere giudicato negativamente. Tale ostilità repressa è più

profonda della semplice dimenticanza, poiché il bambino vive il conflitto tra

desiderio e rifiuto nei confronti dell’altro.

Un personaggio sproporzionalmente grande è vissuto dal bambino come

figura dominante ma opprimente, alla quale bisogna ubbidire senza

discutere.

Può essere un segnale di inibizione, o al contrario indicare il posto di

privilegio che quella persona ha nel cuore del bambino.

Omettere le braccia o le mani è un modo per “punire” un personaggio

ritenuto dal bambino minaccioso. E’ anche segnale di una sessualità non

ancora ben vissuta per il timore del giudizio da parte dell’adulto.

L’aggiunta di animali può significare che il bambino tende a camuffare

l’aggressività che sente nei confronti di uno o più personaggi della famiglia.

L’esclusione di sé indica che il bambino ha scarsa stima di sé, e ha la

sensazione di non appartenere alla propria famiglia, si sente escluso. Le

motivazioni possono essere le più disparate: la paura di minacce o punizioni,

la sensazione di non essere più il prediletto, la gelosia nei confronti di

fratelli appena nati.

Quest’ultima gli fa adottare meccanismi di difesa che possono manifestarsi

anche con comportamenti regressivi quali, per esempio, succhiarsi il pollice,

fare la pipì a letto, accusare dei malesseri psicosomatici.

Disegnare se stesso con un sesso diverso dal reale può essere indice del

rifiuto del proprio corpo, ma può anche sottintendere la non accettazione

del proprio ruolo sessuale. E’ un disagio tipico di un ragazzo in età puberale.

Rifiutare di disegnare la famiglia è sempre sintomo di disagio.

Segnala la scarsa partecipazione emotiva del bambino alla vita famigliare e

la mancanza di dialogo tra i componenti della famiglia stessa. Nel dover

rappresentare la famiglia, il bambino prova così un blocco che lo inibisce.

Disegnare una famiglia di animali che sostituiscono i personaggi umani

denota uno scarso senso di appartenenza, una sofferenza che ha inibito la

spontanea espressione, è facile che il ragazzo prediliga il disegno

“mascherato” per evitare di riviverla.

In certi casi può essere richiesto in modo specifico ed esplicito di disegnare

una famiglia di animali, qualora si voglia compiere una valutazione di quelle

caratteristiche nascoste che il ragazzo non manifesterebbe nel normale

disegno della famiglia.

Il rifiuto di colorare l’intera famiglia è segnale di apatia, di freddezza dei

sentimenti dovuta ad avvenimenti che hanno raggelato l’animo del bambino.

E’ sempre un segnale di inibizione dovuto a un’educazione troppo severa o

viceversa troppo libera, per cui il bambino non si è sentito “scaldato”

dall’affetto degli adulti.

La presenza di un cappello sulla testa di un personaggio, di solito il padre,

sta a rappresentare un’oppressione, un peso che non permette al bambino di

crescere liberamente. Egli si sente oppresso da regole o da richieste che

fatica a osservare e soddisfare. Così manifesta un senso di insofferenza e di

resistenza verso il presunto o reale “oppressore”.

La presenza di braccia intorno al collo, che potrebbe sembrare un segno

affettuoso, esprime invece la sensazione che il ragazzo ha di essere

trattenuto e impedito nel suo volo verso il mondo.

Egli vuole evidenziare così il vincolo che l’adulto, o chi altro, esercita su di

lui. La sua libertà appare limitata e ne risentirà la sua capacità di

socializzazione.

La famiglia raffigurata dentro una cornice, come in un ritratto, indica che

il bambino soffre per un’educazione troppo rigida. La famiglia è vissuta come

un clan dove tutto è basato sul dovere, sul senso dell’ordine e sulle regole

formali. Nulla è lasciato alla spontaneità e alla comunicazione immediata. Il

ragazzo segnala in questo modo il suo forte controllo su tutto. Non potendo

vivere i sentimenti e le pulsioni legate alla sua età, egli si carica di

aggressività, che viene di solito espressa al di fuori dell’ambiente familiare

con litigiosità, vivacità eccessiva, eccessivo bisogno di movimento.

Il disegno di una famiglia i cui componenti sono separati, ciascuno in una

stanza con occupazioni diverse e personali, è indice di una comunicazione

frammentaria. Il ragazzo vive la propria famiglia e la propria casa in modo

impersonale ed estraneo; questo, a lungo andare, rischia di accentuare

comportamenti opportunistici ed egoistici.

Potranno essere favorite la sua autonomia e l’indipendenza, ma a scapito

della sua vita sociale.

Una fila di bottoni sull’abito di uno dei famigliari è associabile

all’importanza affettiva che tale personaggio ha per il bambino.

Simboleggia un legame solido che dà sicurezza e serenità: il bambino prova

per questa persona stima e confidenza.

Dopo i 12-13 anni, questo legame diventa negativo, accentua la dipendenza e

limita il desiderio di sperimentare l’autonomia, o quanto meno di separarsi

emotivamente per poter socializzare spontaneamente e apertamente con gli

altri.

<Analisi di un disegno sul test della famiglia>

Il soggetto a cui è stato chiesto di eseguire questo disegno è una bambina di

nove anni, che frequenta la 4° elementare: il suo nome è “Laura”.

La bambina è stata fatta accomodare davanti a un tavolo della sua altezza,

con un foglio di carta bianca, matita, gomma e colori. Gli è stato riferito di

“disegnare una famiglia, utilizzando anche i colori” per completare o iniziare

il disegno.

Durante questo esercizio è stato per me importante osservare il modo in cui

la bambina procedeva nel disegno:

- Il tempo d’esecuzione dei vari personaggi. Si aggira intorno hai 3’- 4’. Il

disegno è stato realizzato (secondo le indicazioni della bambina, che mi ha

riferito quando lo ha completato) in 30’ circa. Disegna con la mano destra.

- La loro collocazione sul foglio. Il foglio è usato in posizione orizzontale

(A4 21x29,7 cm), al centro sono collocati i membri della famiglia. Si nota un

minimo di margine in più nella parte destra del foglio (sul lato corto),

rispetto a quello sinistro. Mentre la posizione dei piedi dei 4 individui è più

vicina al lato lungo nella zona bassa del foglio.

- La cura o meno dei particolari. Molto superficiale. Vi è la presenza di

ornamenti femminili sul viso della madre (anche un anello sull’anulare della

mano destra). La protagonista del disegno oltre ad avere gli orecchini,

disegna anche il logotipo che ha sulla maglietta.

Il collo della camicia e un bottone (che si intravede nel collo a V del

magliocino) e le tasche con cerniera, sui pantaloni del padre.

- Posizioni di vicinanza o di lontananza dei personaggi. Essendo composta

da 4 individui, la sua famiglia è stata divisa in due gruppi da due; la mamma

vicino a suo fratello, e staccati di quasi un cm lei e il suo papà.

- Il primo personaggio disegnato e l’ultimo. Da sinistra a destra: la mamma

in prima posizione e il papà in ultima.

- Il primo personaggio colorato. La mamma.

- I ritocchi e le cancellature. Frequenti. Lo si nota dal disegno stesso in

quanto vi sono segni del tratto pesante, toccando il foglio con le dita si nota

il solco lasciato dalla punta matita.

- L’omissione di qualche personaggio della sua famiglia reale. I membri che

la compongono vi sono tutti. Ma in particolare, la figura del padre è stata

falsata, in quanto, tale personaggio è calvo: la bambina l’ha rappresentato

“con i capelli” e magro, invece è “robusto”.

La madre sembra essere alta quasi come il padre ma non è così. Il fatto di

nascondere alcune imperfezioni, soprattutto nella figura del padre è sintomo

di vergogna e occultamento della verità, verso gli altri.

- L’eventuale aggiunta di personaggi immaginari o di animali. Nonostante

la famiglia abbia un’animale domestico diverso da quelli comuni, non è stato

rappresentato.

- Le somiglianze tra personaggi. Se Laura assomiglia alla madre, anche il

fratello ha una certa somiglianza con il padre...

- Gli atteggiamenti dei vari componenti. C’è una particolare differenza che

divide la madre dagli altri 3 membri della famiglia: è l’unica con gli occhi

chiusi.

Tutti sembrano quasi toccarsi o quasi tenersi per mano, sereni, anche se la

loro posizione corporea sembra rigida.

- Le espressioni dei volti. Entrambi sembrano sorridere. La madre della

bambina ha l’arco della bocca (che porta all’espressione del sorriso) meno

concavo degli altri.

- Le posizioni delle braccia, delle mani e delle gambe. Le braccia sono

staccate dal corpo (quasi volessero aprirsi), le mani sono rivolte (per chi

osserva il disegno) non aperte, e non ben definite (mancano le unghie, e le

falangi).

Tutte le gambe sono divaricate, tranne quelle della mamma che sono una

accanto all’altra senza spiragli di spazio, e hanno la caratteristica di essere

disegnate molto lunghe e le altezze dei personaggi non corrispondono a

quelle reali.

C’è comunque un ordine crescente che indica la diversa età che ogni

individuo possiede.

- Gli accostamenti delle figure. Come sottolineato in precedenza, la

bambina schiera la sua famiglia in 2 gruppi da 2 persone.

- Il loro abbigliamento. Tutti indossano i pantaloni ma c’è questa

differenziazione: la mamma, Laura e il papà sembrano avere (dal colore

azzurro), dei jeans, mentre il fratello (con i pantaloni neri) sembra essere

escluso da questo particolare modo di vestirsi.

Questa sottolineatura potrebbe indicare innanzitutto, l’attenzione che Laura

porta per “il fratello”: soprattutto per come veste, ma può anche essere

simbolo di esclusione o gelosia… per quanto riguarda il legame che sente con

la famiglia.

I colori che ha usato per il maglioncino del papà, e le t-shirt a maniche

lunghe di suo fratello e sua mamma, sono il verde e l’azzurro che ci portano

ad interpretare come la bambina sia in parte calma, serena, tranquilla e

equilibrata, mentre dall’altra può indicare pigrizia e inibizione. La sua t-

shirt invece è bianca, “neutra”, cerca di nascondersi dentro di sé.

- I ruoli assegnati. Dalla posizione nello spazio del foglio rivela la scansione

che avviene anche quando leggiamo con gli occhi il manifesto pubblicitario

(da sinistra a destra), atto spontaneo usato anche nella lettura di un

qualsiasi libro, infatti la mamma si trova posizionata per prima nella parte

sinistra.

Sicuramente, figura dominate e figura per cui Laura predilige una maggior

attenzione, sia come comportamento da seguire, sia come esempio da

imitare. Non dimentichiamo anche l’uguaglianza di “sesso”.

Anche il padre viene visto con un certo riguardo diverso da quello della

madre, infatti, nonostante in ultima posizione, risulta più alto (anche se di

poco), e disegnato vicino a “lei”. Ha le mani meno rilevanti degli altri

personaggi; questo significa lo sminuire quella che può essere una minaccia

per i suoi capricci, o per la poca voglia di ascoltare il genitore quando

impone la sua giusta educazione.

Il fatto di omettere le mani è sinonimo anche di “furbizia” da parte della

bambina.

- Il tratto sicuro o incerto. Il tratto è sicuro ma troppo forte visto il segno

che ha lasciato nel “continuum” del disegno.

Questo può indicarci che “Laura” affronta la vita con grinta, entusiasmo e

determinazione, è abbastanza sicura di sé tanto da agire in modo impulsivo e

senza riflettere.

Un’ultima cosa da aggiungere a questa piccola analisi è riferita alla fine del

disegno in cui la bambina decide di racchiudere la sua famiglia (con un tratto

grafico leggero), all’interno di una “cornice”.

Questo comportamento indica che sta vivendo un’educazione troppo rigida.

La sua immagine della famiglia è vista si con aspirazioni, sentimenti e amore

verso i suoi componenti, ma anche e soprattutto all’insegna del senso del

dovere e nel rispetto delle regole imposte dai genitori.

>>> 8. Paure ed emozioni >

LA PAURA

La paura è antica quanto l'uomo. Essa può venire considerata come un

meccanismo auto protettivo utile alla crescita del bambino, in quanto riesce

ad attivare alcune reazioni che servono a difenderlo dai potenziali pericoli

che provengono dall'ambiente.

Occorre però distinguere la paura “esistenziale”, diciamo fisiologica, che

proviamo tutti quanti, da quella che potremmo chiamare “patologica”, non

perché sia espressione di una malattia ma perché presenta alcune

caratteristiche che le fanno perdere la funzione di “messa in guardia”.

Una paura diventa patologica quando si attiva senza che vi sia un pericolo

reale, o quando si manifesta con una intensità eccessiva, decisamente

sproporzionata allo stimolo che l'ha provocata.

PAURE, ANSIE E FOBIE

Si conoscono diverse forme di paura, tutte accomunate da alcune

caratteristiche che le differenziano dalle ansie patologiche e dalle fobie, le

quali appartengono a veri e propri quadri morbosi e pertanto non riguardano

l'attuale trattazione, se non marginalmente.

Va ricordato, a questo punto, che la paura è un'emozione che si può

manifestare a ogni età: dall'infanzia all'adolescenza, dalla giovinezza all'età

adulta, fino o alla vecchiaia. Noi tratteremo solo quella del bambino, dalla

nascita all'adolescenza.

TIPOLOGIA DELLE PAURE

I bambini hanno paure che spesso gli adulti non riescono a comprendere:

perché le ritengono “strane” o eccessive. È comune che un bambino abbia

paura del buio, degli animali, dei fantasmi, dei mostri, delle streghe o di

altre immagini frutto della sua fantasia. Ed è normale che, con il passare del

tempo, queste paure svaniscano.

Diverso il discorso quando esse persistono o quando vanno a bloccare le

abituali attività del piccolo.

In questo caso, prima di rivolgersi all'esperto, sarebbe augurabile che ogni

genitore ed educatore fosse formato alla lettura di alcuni messaggi che i

bambini con tanta facilità ci inviano, e che invece non sempre sappiamo

leggere.

Basterebbe porsi in ascolto attivo dei messaggi verbali e non verbali che

essi, momento per momento, mandano per capire quali sono i loro reali

bisogni, le loro richieste, che cosa vogliono dirci, soprattutto quando non

usano le parole.

Come negli adulti, anche nei bambini le paure possono essere lievi o molto

intense, riguardare oggetti specifici, come un animale, oppure situazioni,

come quella di trovarsi al buio, per le quali non esiste un'apparente

spiegazione razionale.

In uno studio condotto a livello mondiale sui bambini compresi fra i 4 e i 12

anni, il 43% ha riportato almeno sette paure, che non fanno però parte di

quelle patologiche e vengono pertanto considerate nella norma; ciò

nonostante costituiscono un problema sia per loro sia per i genitori. Spesso,

queste paure si risolvono e scompaiono da sole. Infatti, sono pochi i bambini

sofferenti di paure o fobie leggere che necessitano di cure.

IL GRADO DI INTENSITA’

Cerchiamo ora di capire bene la tipologia delle paure. Come abbiamo visto,

esistono vari tipi di paure, che presentano caratteristiche assolutamente

diverse.

Un elemento che già da solo serve per differenziarne la natura è il grado

d’intensità del disagio che essa provoca nel bambino. Non è sempre facile

misurare il livello di sofferenza legato a una paura, ma in questo senso ci

vengono in aiuto alcune tecniche, quale appunto quella dell’interpretazione

del disegno, che ci danno in qualche modo la misura e ci indicano quando è

utile o indispensabile.

In base al loro grado d’intensità, le paure possono essere classificate nel

seguente modo.

Fisiologica. E’ la paura “naturale”, legata alla costituzione stessa del

bambino.

Normale. E’ la paura direttamente collegata alla crescita del bambino.

Di vigilanza. E’ quel tipo di paura che favorisce la capacità di reazione del

bambino.

Paralizzante. E’ invece quella che blocca la capacità di reazione.

Patologica. E’ infine la paura che riguarda veri e propri quadri clinici.

In base alla tipologia, diverso dovrà essere il modo di affrontare i vari tipi di

paura, ricordando comunque sempre che la loro gravità è in relazione alla

capacità di gestirle. Così, nel tempo, le paure non si esauriscono, ma

imparando ad affrontarle si diminuisce la loro pericolosità.

Le paure vanno spiegate, più che curate. Occorre pertanto che il genitore

sappia prima di tutto esprimere le proprie emozioni per imparare poi a

gestirle, e insegnare la stessa cosa a suo figlio. Quante volte capita di vedere

figli che sono costretti a convivere, loro malgrado, con le paure che i loro

genitori proiettano inconsciamente!

Genitori ed educatori devono sempre ricordare che il bambino vive uno

stretto legame con loro, figure cosiddette “di riferimento” , e su di loro

investe tutte le sue emozioni, positive e negative.

Così, quando egli ha paura del mostro, non fa altro che spostare su un

oggetto immaginario il timore che un genitore possa diventare per lui fonte

di aggressione.

Il bambino trasforma un pericolo reale, appunto l’aggressione del genitore

autoritario, in pericolo simbolico, cioè l’aggressione da parte di un mostro.

SEGNALI DI PAURA

Come si manifesta la paura? In modo non sempre del tutto aperto e chiaro,

né tanto meno viene dal bambino sempre verbalizzata, specie in ambienti

troppo autoritari o repressivi. E’ più facile che sia espressa nei momenti di

confidenza o d’intimità familiare, ma purtroppo non sempre questi momenti

esistono. Molto più spesso occorre che il genitore e l’educatore siano attenti

a cogliere quei segnali non verbali che, indirettamente, ci suggeriscono la

presenza di un sentimento di disagio. Eccone alcuni esempi.

La regressione, quando cioè il bambino manifesta comportamenti che non

fanno parte del suo abituale modo di agire, ma ricordano quello di bimbi

molto più piccoli.

La diminuzione del controllo di vescica e intestino in una della crescita nella

quale ciò non è previsto.

La demotivazione o la tendenza all'isolamento.

Le reazioni esagerate, tipo rossore o pallore, quando parla un adulto.

La passività, indicata genericamente come "pigrizia", adeguamento inerte a

ogni cosa, evento, situazione.

L'impulsività, l'aggressività o la violenza immotivate.

La tendenza a essere oltremodo noioso, fino a diventare fastidioso.

L'adozione di comportamenti anomali, tipo l'insonnia, i frequenti capricci,

alcune fissazioni (per esempio sulla scelta del cibo), certe reazioni

inspiegabili.

LE FUNZIONI DELLA PAURA

Lo scopo principale della paura è, paradossalmente, quello di difenderci. Un

bambino che non provasse emozioni disagevoli, come appunta la paura,

sarebbe passivo, staccato dal mondo circostante, indifferente agli stimoli e

incapace di reagire. Si deve anche tenere presente che le emozioni

forniscono al bambino un certo potere sull’adulto e che quindi vengono

spesso usate in modo quasi intenzionale per verificarne la disponibilità.

Le funzioni essenziali della paura sono così sintetizzabili.

Salvaguardia dell’io. Le paure favoriscono la formazione e la strutturazione

della personalità e il miglioramento dei sistemi di vigilanza.

Garanzia della sopravvivenza. In ambienti ostili le paure permettono al

soggetto di elaborare strategie di adattamento o di adeguamento.

Preparazione al pericolo. Le paure sono una specie di “allenamento

psicologico” basato sulle esperienze che via via si fanno.

Esortazione alla prudenza. Le paure aumentano lo stato di vigilanza e quindi

spingono a muoversi di conseguenza.

Sviluppo delle capacità elaborative. Si tratta di quelle funzioni superiori che,

in modo cosciente, appartengono solo all’uomo e che gli hanno permesso di

dominare sulla natura.

<< La paura sembra proprio esistere per essere superata >> (J. U. Rogge,

Quando i bambini hanno paura, Pratiche, Milano 1998), ed è proprio questo

superamento che permette al bambinoni crescere e di acquisire

quell’autonomia che gli servirà per tutta la vita.

>> 9. Le paure dalla nascita ai 12 anni >

ELEMENTI CHE INFLUISCONO SULL’INTERPRETAZIONE DELLE EMOZIONI

Per interpretare correttamente i segnali emotivi legati alle paure è

necessario conoscere alcune caratteristiche specifiche del bambino: l’età, la

tipologia o la scrittura psichica, l’ambiente familiare; e tener conto poi di

alcune regole psicologiche.

ETÀ

Ogni età presenta modi diversi di percepire, elaborare e rispondere a

un’emozione. A una tensione emotiva, come per esempio un’offesa, un

bambino piccolo reagisce esprimendo lo stesso sentimento nei confronti di

chi lo ha offeso. Un bambino più grandicello reagisce attraverso

un’elaborazione linguistica (l’ingiuria) e un’adolescente con una risposta più

caricata aggressivamente e più colorita. Così, nei confronti delle paure, il

piccolo reagisce con reazioni impulsive, il grande con il turpiloquio oppure

con eccessive spiegazioni razionali.

AMBIENTE FAMILIARE

Tra gli elementi che possono interferire sulla risposta emotiva del bambino,

va considerato il grado di tranquillità e di serenità dell’ambiente familiare.

In presenza di tensioni (dovute, per esempio, alla separazione dei genitori,

all’arrivo di un fratellino o una malattia che colpisce uno dei componenti

della famiglia), il bambino potrà manifestare nuove paure o aggravare quelle

già esistenti.

Di fronte a un bambino particolarmente sensibile occorre fare attenzione a

tutti i messaggi che egli lancia, sia verbali sia, soprattutto, non verbali,

poiché il suo Io è in questi casi assai più fragile e quindi maggiormente

predisposto a manifestare o a peggiorare le paure.

REGOLE PSICOLOGICHE

Esistono alcuni criteri che possono permetterci di cogliere precocemente i

segnali di paure che magari non si sono ancora apertamente manifestate, ma

che già condizionano la crescita armonica del fanciullo. Tra questi vogliamo

segnalare i seguenti:

- ogni problema che il bambino vive internamente viene sempre

proiettato sul foglio. Pertanto, se mettiamo a sua disposizione

matita, carta o colori, offriamo a lui la possibilità di esprimere le

sue paure, a noi quella di interpretarle;

- quando più disagi si manifestano attraverso il disegno, occorre

sempre ricordare che il più importante annulla quello minore. Per

esempio: una figura umana con segni fortemente espressi sul volto

(come i denti, il colore rosso, gli occhi grandi), manifesta in primo

luogo aggressività, anche se nella stessa figura mancano i piedi,

segnale di insicurezza;

- un errore grafico, come la mancanza di un particolare (per esempio,

le mani nel disegno di una figura), che non viene commesso in modo

consapevole dal disegnatore, è il chiaro segnale dei sensi di colpa

che possono mascherare una paura.

E’ dunque indispensabile che il genitore o l’educatore non spinga il

bambino a correggere queste “dimenticanze” , altrimenti il vero

significato del disegno sarebbe alterato;

- quando un disagio o una condizione di paura è molto presente nel

bambino, il disegno conterrà più segnali in questa direzione. Per

esempio, un bambino particolarmente inibito non solo disegnerà una

figura piccola, ma utilizzerà anche colori tenui, senza far mancare il

nero, e “dimenticherà” quei particolari che segnalano la

comunicazione.

FINO AI 18 MESI

Emozioni. In questo periodo occorre distinguere tra le “vere” emozioni del

bambino, che di solito sono originate da un bisogno, e i primi capricci.

E’ facile, infatti, che l’adulto si commuova di fronte a sorrisi, lacrime o

pianti, che in genere interpreta in modo sbagliato. Il bimbo si spaventa per

un nonnulla, ma l’intensità del pianto difficilmente è proporzionata alla

gravità del fatto. Verso i 6 mesi in genere si assiste a un maggiore

adattamento del bambino all’ambiente, che migliora la situazione. Resta

comunque possibile un rapido alternarsi di riso e di pianto, che comunica lo

stato del suo animo ai genitori. La paura è un sentimento che tende a

personalizzarsi sempre di più con il passare dei mesi.

Reazioni. Sono fondamentalmente istintive, legate ai bisogni fisiologici e

primari, più che alla consapevolezza di ciò che accade attorno. Eppure

rivestono anch’esse una grande importanza per uno sviluppo equilibrato del

bambino: i genitori devono quindi osservarle con particolare attenzione.

Socializzazione. Il contatto e il mondo in senso lato evolve rapidamente. Il

bambino passa da risposte e atteggiamenti di apparente simpatia ad altre in

cui appare scontroso, lasciando sgomento l’adulto. La relazione è primaria,

ossia legata al puro istinto di conservazione, e quasi esclusiva con la madre.

Solo nel secondo anno di vita si allarga al padre e abbraccia poi via via tutti

gli altri.

Paure. In questo periodo il bambino non ha, in genere, paure specifiche

legate a emozioni sperimentate, ma piuttosto paure legate al suo modo

istintivo e “incosciente” di sentire. Così, un rumore violento e inaspettato

può causare scoppi di pianto, che denotano una sollecitazione del sistema

nervoso. Pertanto, i rumori improvvisi (caduta di oggetti, trapani, campanelli

assordanti, temporali) sono tra le cause più frequenti di reazioni di paura.

Come pure il timore di perdere la madre, il suo oggetto d’amore, quando non

la vede davanti a sé.

Scarabocchi. Nonostante la precocità odierna di molti bambini, a questa età

possiamo osservare solamente i primi tentativi d’impugnare la matita e di

lasciare tracce sul foglio, sul pavimento o sulle pareti della sua cameretta.

Si tratta di gesti spesso informi, che però in nuce contengono già il seme

della caratterizzazione che in essi assumeranno via via col tempo,

esprimendo le varie caratteristiche della struttura e della personalità del

bambino. I segni che vanno osservati sono soprattutto tre: l’occupazione

dello spazio, la pressione sul foglio e la forma prevalente.

L’occupazione dello spazio. Innanzi tutto occorre lasciarsi coinvolgere, senza

pregiudizi, dall’impulso creativo che spinge il bambino a prendere in mano

una matita e a rotearla sul foglio in modo “caotico”.

In questo modo egli esplora lo spazio e si misura con esso. E’ il suo primo

impegno grafico, che ci propone curve, linee, angoli, righe, spezzettamenti…

Il bambino muove la matita senza un perché e, quasi danzando sulla carta, la

imbratta. Ma così facendo mette in luce il suo temperamento, la sua sfera

affettiva, il movimento che è in grado di compiere, il ritmo che sa tenere e

la sua forza vitale.

La matita in mano al piccolo ubbidisce a un preciso comando della mente,

rendendo così visibile tutto ciò che prova dentro di sé. L’intensità

dell’impulso alla vita si esprime nell’atto grafico, gesto libero, vivo e

universale. L’occupazione dello spazio va spesso oltre i confini del foglio

stesso, o viceversa il gesto è appena evidenziato; spiralando, il movimento

va verso l’alto o si blocca nella zona più bassa, vicino a lui.

Quando il bambino occupa tutto il foglio con un gesto tondo, mette in luce

un temperamento estroverso, ossia una natura che lo porta a vivere bene

l’ambiente, il fuori da sé.

Di natura espansiva, egli ha bisogno di tanto spazio, di scaricare attorno a

sé, perché vuol esplorare. Il suo carattere gioioso, allegro, generoso e

socievole ruba la simpatia altrui, ma è anche esigente nel cercare

approvazione, conferma, coccole e sorrisi. Proiettato all’esterno, cerca di

avere attorno tanti amici.

La sua vitalità lo sprona e lo pone in continuo movimento. Un bimbo di

siffatta natura non deve stare sempre solo con i genitori, ma ha bisogno di

incontri anche coi coetanei.

Questo tratto iniziale del suo carattere ci permette non solo di comprendere

com’è fatto il bambino, ma anche come sarà meglio educarlo, avviandolo

all’incontro con gli altri sia all’interno sia all’esterno della famiglia.

Gli deve quindi essere concesso spazio perché possa scaricare quella vitalità

che lo caratterizza. Il contrario potrebbe far nascere in lui note di

malinconia, oppure sollecitarlo emotivamente, costringendolo a un

movimento continuo e, a volte, forsennato: <<Non sta mai fermo!>>.

Il bambino che scarabocchia con angoli, spigoli e con gesti contenuti denota

un temperamento introverso.

Ha una natura che lo porta ad avere bisogno di spazi limitati, sicuri e

protetti. La sua energia sarà investita nel costruire giochi che, se pure

appartati, lo soddisfano. Non vuole molti amici, anche se gli interessi sono

molteplici.

Egli non ama il baccano e sarebbe sbagliato “buttarlo nella mischia” ;

occorre invece rispettare il suo carattere introverso. L’introversione non va

confusa con la tristezza, la malinconia, la chiusura o con un difetto di

comunicazione: alla sua base sta la timidezza, che non è dovuta a una

comunicazione sbagliata, bensì alla particolare, “innata” sensibilità del

bambino.

La pressione sul foglio. Il gesto marcato ci comunica la carica vitale del

bambino, il suo modo di affrontare la realtà e la sua sicurezza; ci segnala

una struttura costituzionale fatta di resistenza e di capacità di dominare

l’ambiente. Una forte energia psicofisica permette di essere attivo e

dinamico; si tratta dunque di un bambino in continuo movimento, che ha

bisogno di sfogarsi nel gioco. Se frenato, rischia di manifestare aggressività e

rabbia, rivolte contro gli oggetti che ha attorno, gli animali o gli altri

bambini.

Il gesto leggero esprime una personalità particolarmente sensibile, per cui il

bambino già a questa età può manifestare un comportamento improntato alla

timidezza e all’inibizione. Facilmente affaticabile, necessita di soste e di

poche sollecitazioni.

L’adulto deve limitare le sue attività, evitando di trascinarlo, magari a

forza, verso impegni troppo gravosi per la sua natura. E’ un bambino

delicato, che ha difficoltà ad entrare in contatto immediato con l’ambiente,

che nei rapporti vive male le contrarietà, per cui di fronte all’aggressività

dei compagni è facile che si chiuda in se stesso. In lui vanno quindi

valorizzati sia l’immaginazione sia la ricchezza dei sentimenti e il relativo

bisogno di gratificazioni.

La forma prevalente. Il cerchio esprime espansione: è la forma nella quale il

bambino proietta la prima immagine conosciuta, il volto. Più tardi

aggiungerà gli occhi, il naso e così via; il cerchio assumerà così un aspetto

meno astratto e un significato simbolico più rappresentativo. Il cerchio è

comunque espressione dell’adattamento, e quindi l’educatore, sia esso

genitore o insegnante, coglie in questa forma geometrica, la capacità del

bambino di stare bene con gli altri.

Il bambino che scarabocchia in modo curvo comunica all’adulto, oltre al

fatto di avere una natura aperta ed entusiasta, anche la sua gioia, la sua

voglia di espandersi. Il movimento circolare è armonico, privo di tensioni,

costituito fondamentalmente a partire da una motricità distesa.

Lo scarabocchio esprime quella necessità che ogni bambino ha di afferrare,

imbrattare, muoversi in un ambiente conosciuto.

Il foglio di carta, che simbolicamente rappresenta lo spazio entro il quale ci

si muove, diventerà pian piano per il bambino sempre più familiare.

Per questo il bambino che scarabocchia con facilità ha un carattere

socievole, adattabile, gioioso, sicuro e disponibile.

L’angolo è una forma che esprime tensione, resistenza, bisogno di essere

accudito senza costrizioni. E’ un simbolo legato a qualcosa che ha ferito la

persona, frutto di una tensione motivata da molti fattori: la natura

particolarmente sensibile o timida del bambino, che ha costantemente

necessità di un appoggio, o il difficile adattamento a situazioni nuove, come

la nascita di un fratellino. Queste difficoltà, che si manifestano

maggiormente nel bimbo introverso, sono peraltro da considerare normali.

L’importante è però sapere che attraverso questo scarabocchio egli vuole

comunicare un timore.

Spesso il bambino ha difficoltà nel manifestare la propria interiorità. Basta

che gli sia richiesto un impegno gravoso, uno sforzo quando è stanco, perché

egli, non potendo assolvere le richieste e temendo di perdere l’amore dei

genitori, provi disagio.

Alcune esperienze inevitabili, come quella della momentanea separazione

dalla madre, possono essere interpretate come un rifiuto o una diminuzione

d’affetto: in questo caso il bambino lancia il suo messaggio con un gesto

grafico rabbioso e stizzoso.

E’ una scarica motoria che indica inquietudine, ma può significare anche

lotta sofferta per conquistare l’autonomia.

Il bambino sente lo stacco da quel mondo sicuro e piacevole che è la famiglia

e, pur con sofferenza e chiedendo aiuto, affronta la crescita.

Importante è capire che in questo modo egli chiede appoggio, conferme,

dolcezze e comprensione, poiché è vittima di paure che da solo non riesce a

superare.

DAI 18 MESI AI 3 ANNI

Emozioni. Gia a questa età il bambino può avere un buon livello di

equilibrio, di autonomia, di curiosità che lo porta ad esplorare con

spontaneità, ma anche con una certa molestia, il mondo e tutto ciò che gli

capita a portata di mano.

Per il maschietto l’esplorazione, oggi più che mai, è rivolta al mondo

meccanico, mentre la femminuccia rivolge maggiormente il suo interesse

all’estetica. Con i genitori il bambino è facilmente possessivo, essendo

tuttavia con loro fortemente tenero e affettuoso.

Reazioni. E’ facile che in questo periodo il bambino diventi per un nonnulla

aggressivo e reattivo, ma l’aggressività è più verbale che fisica; infatti egli

teme le reazioni degli altri, che peraltro provoca, quasi a voler misurare la

propria forza.

Socializzazione. Il sentimento dell’Io, ossia la percezione che egli ha di sé,

si rafforza e quindi il bambino diventa meno dipendente dall’ambiente.

E’ il periodo nel quale egli si stacca emotivamente e gradatamente dalla

famiglia, per cercare nel gruppo un modo più maturo di comunicare e di

investire i propri interessi affettivi: nascono così le prime amicizie.

Quando al bambino non è data la possibilità di avere attorno amichetti, egli

allora li sostituisce con oggetti, animali o personaggi inventati: è il momento

dell'amico immaginario.

Paure. A questa età i timori sono ancora legati ai rumori o alle cose molto

grosse o tetre: camion, tremi, pullman, uomini corpulenti...

Ve ne accorgete quando, pur trascinandovi a vedere un treno o il leone dello

zoo, il bimbo vi prende la mano e ve la stringe: è un modo di esorcizzare la

paura, un messaggio che non potete assolutamente ignorare e che dovete

interpretare. Tra le altre paure è sempre presente quella di perdere la

mamma.

Scarabocchi. Lo scarabocchio inizia a conformarsi secondo regole più

precise; ad assumere forme più dettagliate e differenziate a seconda dei

significati che il bambino gli associa. Verso i 3 anni, poi, assume forme

particolari che lo portano alla rappresentazione grafica vera e propria tipica

degli anni seguenti: il disegno.

Dopo la fase dello scarabocchio semplice, che occupa il primo periodo di

esperienze grafiche, il bambino, in linea con la maturazione globale della

sua struttura psicomotoria, elabora spontaneamente un modo muovo di

scarabocchiare che comprende almeno due tipi di espressione, le forme e le

figure, alle quali associare verbalizzazioni e commenti che spesso lasciamo

esterrefatti gli adulti, molto meno i coetanei. È una sorta di comunicazione

complessa e strutturata, che coinvolge in modo attivo il bambino: il mondo è

ora simbolicamente dominabile, in quanto egli lo può costringere entro i

limiti del foglio di carta.

Così egli manifesta, suoi sentimenti: rabbie, gelosie, amori, passioni e

desideri. Così muove i personaggi a suo piacimento: li esclude, li

ingigantisce, li annulla, li cancella.

La sua naturale onnipotenza è gratificata. Se poi mamma o papà, meglio

ancora l'educatrice dell'asilo, lo confermano con apprezzamenti in questa sua

opera, ecco nascere o crescere la sicurezza in sé e l'autonomia.

Il commento verbale allo scarabocchio, unitamente all'intento

rappresentativo e al perfezionamento delle forme, è il vero passo verso un

grafismo maturo.

Nelle produzioni di quest'età si osservano abitualmente raffigurazioni assai

elementari, dietro le quali però si celano mondi complessi.

Se il bambino disegna frequentemente un tracciato angoloso e oscuro, se

occupa lo spazio con linee assolutamente spezzate, oppure produce il

cosiddetto gomitolo, siamo di fronte a paure particolari, che andranno

interpretate a seconda della situazione. Si tratta comunque di un segnale di

un disagio che il piccolo manda al mondo esterno e per il quale occorre una

particolare attenzione.

DAI 3 AI 5 ANNI

Emozioni. È questa l'età del "no" stizzoso e senza un apparente perché.

Il bambino non va volentieri a letto da solo e vuole sempre essere

accompagnato da uno dei genitori.

Peraltro, da sveglio ama vantarsi e comportarsi come un grandicello, almeno

finché si sente protetto da un ambiente sicuro; quando invece deve

affrontare l'esterno, possono scattare timori e angosce che gli impediscono di

uscire, di affrontare gli altri e le difficoltà che può incontrare.

Incomincia a essere orgoglioso del proprio aspetto, per cui è necessario

rafforzare la sua autostima.

Reazioni. L'aggressività si fa via via sempre più fisica: facilmente scalcia, ti-

ra pugni, graffia e morde, specie se spinto dalla gelosia.

È l'età dei possibili malumori e degli atteggiamenti contraddittori: si oppone

verbalmente e fattivamente assumendo un comportamento che può irritare

l'adulto, ma che è invece solo un modo per mettere alla prova la propria

capacità di autonomia e libertà.

Socializzazione. Il bambino è in genere orgoglioso della mamma e ne parla

volentieri anche con gli altri, mentre col papà ha un rapporto più intimo.

Inizia ad aiutare in casa con alcuni piccoli lavoretti, purché gli venga data

quel po' di autonomia che lo faccia sentire grande. Coi fratelli passa da

atteggiamenti di complicità, specie coi maggiori, ad altri di rivalità e di

gelosia, soprattutto verso i più piccini. Nonostante sia ancora

fondamentalmente egocentrico, inizia a cooperare con i coetanei in giochi e

lavoro di gruppo.

Paure. Una delle più frequenti e temute a questa età è quella del distacco

dalla famiglia a seguito dell'ingresso nella scuola materna. Il piccolo soffre

ancora l'ansia da separazione e si preoccupa se la madre, o comunque una

figura rassicurante, lo lascia anche per un breve periodo. Nonostante il

desiderio di autonomia, egli è ancora dipendente, ha bisogno di sicurezza e

protezione ma desidera intraprendere le sue esplorazioni, almeno con la

certezza di poter sempre ricorrere a qualcuno che lo protegga dal "suo"

mondo, cioè dalla sua fantasia a volte popolata di fantasmi. Questa,

tuttavia, non è la sola paura del piccolo; egli teme, con sempre maggior

insistenza, di perdere l'affetto delle persone care, soprattutto dopo

rimproveri, punizioni, "frasi killer": «Se non fai il bravo, l'uomo nero ti

porterà via in un sacco», «Se non stai fermo, ti lego», «Sei un bugiardo, e il

naso ti diventerà lungo lungo». Frasi che all'adulto sembrano innocenti, ma

che hanno un grave peso sulla sicurezza emotiva del bambino.

A queste si aggiungono i racconti "di paura": un lupo mangia i bambini, un

orco li bolle in pentola, dei piccoli rimangono orfani o si perdono nel

bosco... che possono turbare il bambino sollecitandolo emotivamente. Nella

sua ancora limitata esperienza, il bambino crede a quanto gli viene narrato e

attribuisce poteri soprannaturali a uomini e animali, verso i quali potrà

sviluppare poi delle paure.

C'è da notare, inoltre, che alcune paure vengono inconsciamente trasmesse

ai bambini dai genitori. Come la mamma, della quale imita il

comportamento, il bambino avrà così paura dei temporali, del fuoco, del

dentista, dei ladri...

Alle madri ansiose sono da imputare gran parte delle paure che il piccolo

acquisisce. Le mamme sempre preoccupate e apprensive, timorose che il

figlio possa farsi male, che possa cadere, che non riesca a fare qualcosa, che

si tagli, che si punga, che si scotti, che ingoi qualche oggetto, che prenda

una malattia... non solo possono bloccare il bambino nella sua naturale

espansione verso la vita, ma possono anche infondergli timori eccessivi e un

costante sentimento di pericolo imminente che poi trascinerà fin nell'età

adulta. Quante più paure un bambino accumula nei primi anni, tante più

saranno in seguito le sue insicurezze. A meno che l'adulto non lo aiuti, con

serenità e affetto, a demolirle ogni volta che si manifestano.

Disegni. Innanzi tutto occorre precisare che i disegni utilizzati in tutto il li-

bro come esempi, sono stati scelti in base ai "segnali forti" in essi contenuti,

segnali che pur non avendo nulla di patologico, rappresentano però bene le

cosiddette "paure evolutive".

In questo disegno della figura l'eccessivo annerimento e i capelli a raggiera

indicano una malinconia che il bambino può esprimere anche con un

comportamento aggressivo.

La mancanza di percezione del proprio schema corporeo suggerisce in questo

caso che il bambino è stato troppo sollecitato intellettualmente: una

maggiore attenzione alla fisicità è quindi che serve per ricondurlo a un

equilibrio armonioso.

DAI 6 AGLI 8 ANNI

Emozioni. Intorno ai 6 anni il bambino sente di aver acquisito nuove compe-

tenze, se ne vanta e cerca lodi e approvazioni dagli adulti. È questo il frutto

di una richiesta d'affetto che rafforza il suo lo. La mancanza di affetto lo

rende invece suscettibile, insicuro e aggressivo.

A questa età tende a provare invidia per chi possiede di più; si è

differenziato dalla madre, ma è ancora molto sensibile agli umori e ai

sentimenti che ella manifesta. Verso i 7 anni inizia ad avvicinarsi al padre,

dal quale desidera approvazione per il proprio operato, ma che teme, perché

lo identifica con "l'autorità".

Diventa pudico, prova sensi di inferiorità, teme di essere preso in giro e non

ama gli ambienti carichi di tensione. Desidera avere un proprio posto a

scuola, a tavola e nel gioco. Entrano in crisi le sue credenze "magiche", come

Babbo Natale o Gesù Bambino. È sensibile alle critiche come ai complimenti.

Il bambino di 8 anni è alla ricerca di spazi e di conoscenze nuove. Si esprime

con maggiore spontaneità, desidera crescere in fretta, apprezza le relazioni

e cerca rapporti piacevoli. Vive tutto in modo un po' teatrale.

Reazioni. Attorno ai 6-7 anni le sue reazioni si manifestano in maniera

grossolana. Per lo scarso controllo motorio, rompe facilmente gli oggetti e

può dilettarsi nell'infastidire gli animali. Ha moti di aggressività, che nel

contempo teme, ed è quindi portato a ritirarsi o a chiudersi nella propria

stanza. La reattività del bimbo di 8 anni viene manifestata nella discussione

verbale e nell'aggressività anche con atteggiamenti di masochismo e di

vittimismo: «Nessuno mi capisce», sbatte la porta ed esce di scena, piange

senza apparente ragione...

Socializzazione. In questo periodo il bambino si distacca emotivamente dalla

mamma, anche se dipende dal suo giudizio. Intorno agli 8 ani può diventare

particolarmente esigente con la madre, che vorrebbe tutta per sé.

Il padre è ora punto di riferimento e di sicurezza: un suo giudizio negativo lo

ferisce. C'è competizione coi fratelli, che lo pori al litigio e alla

soddisfazione per i castighi che vengono loro inflitti: fa volentieri e spesso la

"spia". Con i coetanei si unisce in gruppo ed è collaborativo, ma non sempre

sa accettare le regole dei giochi. È in cerca dell'amico del cuore.

Paure. A 6 anni è piuttosto comune la paura del buio e quella degli spa2

aperti o chiusi, che si riflettono anche nella difficoltà a lasciar tracce sul

foglio (agorafobia grafica). Compare la paura del soprannaturale (streghe,

animali fantastici, mostri). Verso i 7 anni le paure si fanno più profonde, fino

a trasformai si in terrore e angoscia. Ha paura di essere figlio adottivo e di

noi essere amato.

Teme la morte e il buio con una consapevolezza di versa da quella degli anni

precedenti. Ha paura che uno dei geni tori lo abbandoni, quindi teme la

separazione. Conosce le ansi della vita quotidiana: ha paura di arrivare tardi

a scuola, di far brutte figure, eccetera.

I bambini sono, ora, meno timorosi nei confronti delle malattie delle

eventuali ferite e, di conseguenza, dei medici e dei dentisti: mentre la

maggior parte delle paure di questo periodo riguardano la famiglia e la

scuola.

È facile, così, che i bambini riferiscano il loro terrore dei fantasmi, delle

streghe, dei mostri in generale, come pure di bestie feroci che possono

aggredirli o ferirli anche mortalmente; in questo modo essi manifestano,

simbolicamente, la paura di essere puniti dai genitori, temono cioè di subire

un castigo per qualche cose che non hanno ancora fatto, ma che potrebbero

fare.

Se consciamente non attribuiscono ai genitori il ruolo di giudici e giustizieri,

nell'inconscio li vivono come tali e nelle loro paure li "mascherano" in modo

fantastico.

D'altra parte, in questo periodo dello sviluppo sono frequenti i conflitti con i

genitori, per vari motivi: il bambino si trova a dover combattere contro

l'ambivalenza dei suoi sentimenti nei loro confronti; è avviato verso

l'autonomia, ma non ha ancora raggiunto la completa indipendenza; la sua

aggressività, inoltre, gli è ora ben nota.

Anche la paura della scuola ha un risvolto profondo: sottintende l'angoscia

della separazione, uno stato emotivo che spesso si trasforma in panico e che

viene vissuto in ugual misura dai genitori e dai figli.

Spesso sono le madri che temono il distacco del figlio: lo vedono indifeso e

bisognoso di protezione in un ambiente, la scuola, freddo e minaccioso.

Preferirebbero tenerselo sempre accanto. Il bambino, inconsciamente,

percepisce il sentimento della madre e fa proprio il suo desiderio.

Accanto a queste paure inconsce e irrazionali, ve ne sono molte altre legate

a esperienze vissute dal bambino: il gatto, perché lo ha graffiato, gli insetti,

perché un giorno un'ape lo ha punto, il fuoco perché una volta si è scottato.

Ulteriori paure sono dovute alle eccessive raccomandazioni dei genitori:

«Non toccare le forbici», «Stai attento ai cani», «Non arrampicarti sugli

alberi». L'iperprotettività dei genitori fa perdere la fiducia in sé ai bambini.

Che oltre a temere ogni cosa, non rischiare mai, non intraprendere un

compito nuovo, si convincono di non essere in grado di fare, azzardare,

tentare. Le paure, a questo punto, si moltiplicano, vengono accuratamente

nascoste o, magari, si manifesteranno più tardi attraverso sintomi

disturbanti.

Disegni. Vediamo l'esempio di un disegno che rappresenta la paura più

frequente a questa età, quella del distacco emotivo che il ragazzo prova nel

separarsi dall'ambiente familiare per entrare nel mondo della scuola: luogo

per lui sconosciuto, pieno di tutti quegli imprevisti che egli immagina di

poter incontrare.

In questa rappresentazione della famiglia è da notare come tutti i

componenti siano fisicamente uniti (mano nella mane, abbraccio di mamma e

papà); ciò indica un rapporto di dipendenza eccessiva, che è difficile da

superare. La presenza dei bottoni su tutte le figure è poi un ulteriore

segnale della paura dell'abbandono.

DAGLI 8 AI 12 ANNI

Emozioni. Il bambino in questo periodo diventa, in genere, più coccolone,

più affettuoso. Si attacca in modo più consapevole alla famiglia, che tende a

valorizzare. Il mondo delle emozioni viene percepito in modo meno instabile

e minaccioso e quindi più facilmente controllabile.

A 10-11 anni il bambino è più tranquillo, più sereno, sa vivere con maggiore

naturalezza i sentimenti.

Ma è anche particolarmente sensibile, suscettibile: ama stare in disparte, in

casa può diventare taciturno, mentre fuori può apparire chiacchierone.

Diventa anche più generoso.

Reazioni. A 9 anni le esplosioni emotive si fanno più rare e meno intense. La

rabbia si esprime più fisicamente e nelle attività. Piange più di rabbia che di

rancore, quindi la collera gli passa più facilmente.

A 11 e 12 anni le reazioni si manifestano con la violenza fisica o con delle

crisi colleriche, ma la stizza è posta sotto controllo. È meno violento, anche

se può utilizzare molte parolacce, quasi per sentirsi più grande.

Socializzazione. Attorno ai 9-10 anni il ragazzo si inserisce consapevolmente

nel gruppo e, poiché ora è meno egocentrico, sviluppa il senso critico. Con la

madre ha un rapporto più schietto e di maggior confidenza. Dal padre esige

più disponibilità di tempo e di attenzione. Il mondo esterno assume sempre

maggiore importanza, specie per quanto riguarda le amicizie.

Intorno agli 11 anni le reazioni con la madre possono essere a volte violente:

fa scenate e non è più propenso a essere servizievole.

Tende a diminuire anche l'ammirazione verso i superiori, o quanto meno a

essere con loro piuttosto esigente. Verso il padre inizia una specie di

rivalità: lancia sfide, anche se spesso mascherate dal gioco.

Siamo nel pieno della cosiddetta "età della stupidità", che risulta del tutto

contraddittoria: da un lato il bambino si sente "grande" e ama dimostrare

tutta la sua maturità, dall'altro si lascia andare ad atteggiamenti e

comportamenti quasi inspiegabili per la loro infantile assurdità.

Paure. Dominanti sono le paure legate alla scuola (interrogazione, boc-

ciatura, mancanza di stima da parte dell'insegnante) e la paura di crescere,

legata alle trasformazioni che il suo corpo subisce.

Le altre variano molto da individuo a individuo (si tratta di quelle non

superate nell'infanzia), o sono di carattere sociale: povertà, guerra,

catastrofi.

Il ragazzino teme anche che il padre possa perdere il posto dì lavoro o che si

separi dalla madre.

Disegni. Come si colgono le paure nei disegni dei ragazzi più grandicello?

Le tematiche, come abbiamo visto, sono varie e diversificate, pertanto anche

l'indagine deve essere assolutamente personalizzata ed è difficile una

generalizzazione legata all'età.

Comunque, tra le paure più frequenti nell'adolescente troviamo quella legata

all'errata percezione che il ragazzino ha di sé, sia fisicamente sia

intellettivamente.

Il disegno dell'albero sembra essere quello in cui più facilmente il ragazzo

proietta il suo inconscio. Qui notiamo un buco, una tana, sul tronco, che

indica la difficoltà del ragazzo a uscire dalla famiglia e affrontare le

difficoltà. Anche la socializzazione, segnalata dalla cima dell'albero, è

caratterizzata dal timore di non essere ben accolto.

Conclusioni

Per i bambini il disegno è un modo spontaneo di esprimere se stessi: i

segni lasciati dalla matita sul foglio mostrano aspetti del carattere dei

piccoli che non traspaiono dai gesti e dalle parole, il luminandone così

i significati più profondi. Per questo, saper "leggere" i loro disegni, fin

dagli scarabocchi dei primissimi anni di vita, permette di capire più a

fondo le loro esigenze e le loro paure. Grazie a questa ricerca ho

imparato ad osservare e interpretare i disegni dei bambini:

“La dimensione della figura umana, la proporzione tra le parti, il

numero di oggetti, i colori scelti, il tratto, le forme più frequenti...”.

Gli psicologi e i filosofi non si l imitano alla teoria, ma attraverso

l 'analisi di moltissimi esempi ci spiegano come ascoltare i piccoli e

comprenderne i bisogni e i timori, suggerendo il modo migliore per

contenere e risolvere le loro ansie e paure. Questa ricerca offre così a

insegnanti, genitori, pediatri e psicologi uno strumento per

comprenderli e soprattutto aiutarli a superare gli ostacoli che

incontrano nel loro difficile processo di crescita.

Dare al bambino una competenza comunicativa infatti, implica

fornirgli motivazioni alla produzione, abi l ità nelle tecniche espressive,

conoscenze (dapprima intuitiva e poi via via più consapevole) delle

regole e delle strutture del l inguaggio v isuale e delle loro possibil ità

d’uso a scopi comunicativi e creativi.

La creatività va quindi stimolata, ma come?

Si tratta di inventare dei giochi attraverso i qual i i bambini possano

imparare sempre qualcosa di nuovo, impadronendosi di tecniche

nuove, e giustificando le regole del l inguaggio vis ivo.

Ogni disegno contiene un messaggio, se questo non è costruito con le

regole del l inguaggio visivo, il messaggio non viene ricevuto e non si

ha comunicazione visiva, non si ha «comunicazione».

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Stampato presso “Agenzia ADV GioX”

Ri legato presso l’ “Agenzia Grafica NADIR”

(Brescia - Molinetto di Mazzano, gennaio 2005).