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Il direttore responsabileRosanna De Lorenzo Quando si parla di natura o di aspetto ambientale del territorio il pensiero

corre prevalentemente all’aspetto paesaggistico dei luoghi e il riferimento pressoché naturale e spontaneo è quello all’ecosistema di pertinenza, inteso come fl ora e fauna da ammirare e preservare. Un concetto questo di staticità

ambientale che negli ultimi anni è stato sovvertito da una considerazione dinamica dell’ambiente in cui l’aspetto prevalentemente naturalistico di un’area si combina e si integra con quello antropico che in essa insiste, per diventare insieme, elementi fondanti di politiche di riorganizzazione territoriale funzionali allo sviluppo sostenibile. Le aree protette, pertanto, in questa prospettiva, non sono più recinti chiusi avulsi dal contesto territoriale ma un giacimento di valori e di risorse importanti, anzi, fondamentali nelle politiche di marketing territoriale, autentica risorsa di integrazione e di valorizzazione delle identità locali. Tutto questo rappresenta per il nostro territorio la vasta area protetta del Parco Naturale Regionale delle Serre, un laboratorio per lo sviluppo. Di questo ne hanno consapevolezza le autorità istituzionali locali e regionali, per come è emerso nel recente convegno “Il Parco Naturale Regionale delle Serre- Natura, Storia, Cultura, Sviluppo e Occupazione” organizzato dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia e dall’Ente Parco proprio per un confronto propositivo sulle prospettive di rivalutazione e promozione di quello che deve essere considerato un vero giacimento di risorse e di opportunità di crescita integrata del territorio, con le sue caratteristiche e le sue tipicità. E dal punto di vista naturalistico tra queste ultime vi è indubbiamente il maestoso Abete bianco, protagonista dei boschi delle Serre, per la sua imponenza, la qualità del suo legname e le leggende che lo accompagnano. La riqualifi cazione dell’Ambiente/Natura ha dunque una grande valenza nella pianifi cazione territoriale. In questa si inserisce anche la riqualifi cazione del territorio rurale nel suo complesso, a cui mira la costituzione dei distretti rurali, che, secondo la nuova legge, rappresentano un nuovo soggetto locale, ovvero un organo di supporto ai processi di pianifi cazione, crescita e stabilizzazione dell’economia territoriale secondo una logica di progettazione “multidimensionale” e su base vocazionale. Un sistema nuovo e innovativo di governance dell’ambiente rurale nel contesto territoriale. E il punto su l’innovazione in Calabria emerge dallo specifi co studio presente nell’Osservatorio Economico Unioncamere Calabria 2010, che analizza, tra l’altro, lo stato di Ricerca e Sviluppo e la tutela della proprietà intellettuale, dei marchi e dei brevetti, quest’ultimi soprattutto espressione, oltre che di competenze, anche di originalità e creatività. E proprio per valorizzare competenze, originalità e creatività, in questo caso di giovani studenti, la Camera di Commercio, d’intesa con il Liceo Artistico di Vibo Valentia, in un più ampio progetto di alternanza scuola-lavoro, ha realizzato presso la propria sede la mostra Terra Acqua Fuoco Ceramica, una esposizione di pregiati manufatti realizzati dagli allievi del Liceo Artistico alla fi ne di uno specifi co percorso didattico formativo, che evidenzia impegno, cura dei particolari e una perfetta manualità. Così come precisione e abilità ritroviamo, tornando nel territorio delle Serre calabre, in Mastro Peppe - detto “Mastro Stivaleda”- col suo duro mestiere di “mannese”; una fi gura che sta a metà tra l’artigiano e l’artista, che sagoma ad occhio il legno con la sua ascia serrese forte di una grande esperienza e di una pratica acquisita e tramandata da generazioni. Un uomo caparbio e tenace nel suo lavoro come nella sua vita. E pure caparbio e tenace nei suoi valori e nei suoi ideali è stato Benedetto Musolino, il poeta e scrittore napitino che nella sua fervida giovinezza inseguì e disegnò progetti utopici pressoché irrealizzabili; caparbio e tenace, anche il grande pittore Gaele Covelli, specialista di vigorosi e attraenti effetti di luce, ma ancorato fortemente alla realtà, quella stessa che traspare mirabilmente dalle sue opere, anche quando appare costruzione di altra realtà che è, comunque, verosimile e idealmente possibile.

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COMMISSARIO

Michele Lico

REVISORI DEI CONTI

Michele Montagnese - PresidenteMassimo Corso

Antonio Cannizzaro

SEGRETARIO GENERALE

Donatella Romeo

Il direttore editorialeMichele LicoCommissario Camera di Commerciodi Vibo Valentia

Il territorio come risorsa da valorizzare. Al centro delle nuove strategie di sviluppo locale c’è oggi il territorio con le sue identità, specifi cità e peculiarità che divengono asset competitivi da giocare nello scenario delle sfi de internazionali. Attrarre investimenti produttivi, potenziare fi liere e

distretti, introdurre innovazione nei sistemi di impresa, valorizzare il “patrimonio territorio/ambiente/natura” sono gli obiettivi di politiche di marketing territoriale che rivelano una diversifi cazione dei modelli di sviluppo attivati dai governi locali, ma anche una capacità nuova di ragionare in termini di strategia e di sistema piuttosto che secondo una logica di interventi frammentari. Oggi, in questo contesto, le varie aggettivazioni settoriali che accompagnano nella terminologia comune lo sviluppo -come sociale, economico, infrastrutturale, umano, alternativo, ecc – si collegano e si unifi cano in tre qualifi cazioni concatenate e di sintesi: locale, integrato, sostenibile. La prima richiama alla realtà territoriale nel suo complesso fatta di comunità insediate, ambienti, peculiarità dei luoghi, istituzioni che li governano, imprese che vi operano; la seconda, ad un percorso progettuale inclusivo di tutte le espressioni territoriali che ne costituiscono risorse e potenzialità; l’ultima ad un concetto di fattibilità operativa e responsabile. Uno sviluppo concreto è quindi attivabile se ciascuna sua componente viene riconosciuta come valore in sé e in relazione con le altre. Tra queste, oggi, è ricompreso sicuramente il valore ambientale. Nell’ultimo decennio proprio il fattore ambiente/natura è stato, in questo senso, rivalutato come strumento e laboratorio per promuovere innovazione tecnologica, occupazione, sostenibilità. Un passaggio epocale che lo ha visto non più e solo riferimento passivo di tutela dalle aggressioni umane, ma elemento dinamico nelle politiche di marketing territoriale per la crescita e la promozione delle realtà locali. La tutela e la valorizzazione dell’ambiente/natura diventano, infatti, anche un modo per tutelare la piccola produzione locale, i costumi, le tradizioni, la gastronomia e le tipicità territoriali; costituiscono, poi, un valido strumento per preservare le radici dei territori interessati e quindi i colori e i sapori di una determinata zona, rappresentando, inoltre, un incentivo per un turismo che è sempre più collegato alla qualità della vita e all’offerta di servizi di qualità. L’ambiente/natura, dunque, non è più considerato un elemento territoriale statico, ma fortemente dinamico nelle sue attrattività. Tutelare i luoghi signifi ca sì preservare la loro specifi cità, ma questo implica anche la promozione del loro “valore” nelle sue varie espressioni. Dunque, proprio le aree protette, che concentrano in sé il sistema dei valori dell’ambiente/natura possono allora, veramente, diventare diversifi cati laboratori di sviluppo, incentivandone la sostenibilità per un territorio inteso complessivamente nelle sue componenti, costituite dall’ambiente naturale (ecosistema) e dall’ambiente antropico (società insediata con le sue dimensioni culturali, economiche, politiche) e dalla loro inscindibile relazione. In Calabria, il Parco Naturale Regionale delle Serre rappresenta tutto questo, un bene collettivo, una risorsa che si sta rivalutando per far sì che, coniugando obiettivi di tutela e di valorizzazione delle sue specifi cità e delle sue opportunità, possa costituire effettivo e qualifi cante elemento di integrazione e di sviluppo, di uno sviluppo che sia locale, integrato e sostenibile.

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SOMMARIO

8 Il Parco Naturale delle Serreun laboratorio per lo sviluppo

18 Il Parco Naturale Regionale delle Serre“Natura, Storia, Cultura, Sviluppo e Occupa-zione” - il convegno

20 L’Abete bianco sulle Serre calabresi

30 I distretti ruraliLa normativa e il quadro applicativo in Calabria

40 L’innovazione in Calabria

50 Terra, Acqua, Fuoco, CeramicaIl Liceo Artistico di Vibo Valentia in mostra alla Camera di Commercio

58 Mastro Peppee il suo mestiere di Mannese

64 Benedetto MusolinoParabola di un’utopia politica

72 Gaele CovelliSpecialista di vigorosi e attraenti effetti di luce

DIRETTORE EDITORIALEMichele LicoCommissario CCIAA

DIRETTORE RESPONSABILERosanna De Lorenzo

COMITATO SCIENTIFICO

Tonino Ceravolostorico

Giuseppe Fiorilloarciprete Duomo di San Leoluca

Giuseppe Capuanoeconomista

Maria Teresa Iannellidirettrice Museo V. Capialbi - VV

Francesco Cuteri archeologo - Università Mediterranea - RC

Giacinto Namiastorico

Giuseppe Braghò esperto storia classica

REDAZIONEMaurizio Caruso Frezza Raffaella Gigliotti

PROGETTO GRAFICOE IMPAGINAZIONEFrancesco Romano

STAMPARomano Arti Grafi cheTropea (VV)

FOTO© Archivio Romano Arti Grafi che© Archivio C.C.I.A.A.© Art tica

Direzione e redazioneCamera di Commerciodi Vibo Valentiatel 0963.294602 - fax [email protected]

Registrazione Tribunalen° 3 del 2006

In copertina:Le pipe di Grenci, prodotto dell’ar-tigianato artistico di qualita a Bro-gnaturo, Comune ricadente nel Parco Naturale Regionale delle Serre

Nel sommario:Un tipico aspetto paesaggistico dei boschi delle Serre

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a cura di Rosanna De Lorenzo

IL PARCO NATURALEDELLE SERREUn laboratorio per lo sviluppo

I parchi naturali come motore di sviluppo locale. In questi ultimi anni è una consapevolezza sempre più diffusa in ragione di una mutata modalità di intendere le aree protette: non più

come “riserve” istituite per proteggere la natura dall’aggressione indiscriminata dell’uomo, ma come patrimonio di risorse funzionale allo sviluppo del territorio. La logica ecologista/naturalista più radicale, volta a preservare integri i siti naturalistici, rischiava infatti di creare delle realtà a se stanti, isolate rispetto al contesto ed estranee all’economia e alla comunità locali. Col tempo questa situazione cambia innanzitutto quando il rapporto uomo-natura si arricchisce di un terzo elemento, l’ambiente, che ricomprende in sé i primi due, ampliando lo stesso concetto di natura, considerandone l’uomo parte integrante, sicché il sistema ecologico si intende fatto di piante, e di animali, ma anche di società, cultura, storia, economia. Le politiche per i parchi comportano allora una riorganizzazione territoriale capace di coniugare difesa della natura e sviluppo economico-sociale attraverso la promozione di attività eco-compatibili, agricoltura tradizionale, turismo, delle tradizioni, delle tipicità locali. La presenza di un parco in un ambito territoriale rappresenta pertanto una grande opportunità, un valore aggiunto se solo se ne colgono e se ne realizzano le potenzialità. La Calabria ha questa grande risorsa e questa grande opportunità. È il Parco Naturale Regionale delle Serre, istituito con legge regionale n. 48 del 5 maggio 1990. Il Parco si estende su un territorio di 17.687 ettari e comprende, anche se fuori dalla sua contiguità territoriale, l’Oasi del Lago Angitola - di 875 ettari - istituita con il D.P.G.R. del 12/05/1975 e riconosciuta come zona umida di valore internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar (D.M. 30/09/1985). La Regione Calabria, con la L.R. n. 10 del 14/07/03 “Norme in materia di Aree Protette” ha realizzato il Sistema Naturale delle Aree Protette per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio

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naturale e degli elementi antropici di riferimento, partendo da una loro reciproca integrazione. L’area del Parco delle Serre, ai sensi della predetta legge regionale comprende, infatti, valori naturalistici, culturali, storici e antropologici di riferimento di quella parte della provincia vibonese denominata, appunto, le “Serre”. Dal punto di vista prettamente naturalistico il territorio del parco si caratterizza, tra l’altro, per le abetine tipiche, pure e miste dell’abete bianco, le pinetine del pino laricio, le faggete, i castagneti, i pioppeti, i querceti nonché per una ricca varietà di fauna.

IL TERRITORIOIl Parco Naturale delle Serre è compreso nell’Appennino Calabrese tra la Sila, a Nord, e l’Aspromonte, a Sud; il limite settentrionale è rappresentato dalla congiungente Maida-Stalettì e quello meridionale dal piano della Limina. Nel suo perimetro sono compresi parti di territorio di tre province: quella di Vibo Valentia, di Catanzaro e di Reggio Calabria. Morfologicamente è caratterizzato da un gruppo montuoso piuttosto articolato e di elevata valenza paesaggistico-naturale inserito in un vasto altipiano che digrada, con pendenze più o meno accentuate, verso il Mar Jonio a Oriente e lo spartiacque del bacino del fi ume Mesima a Occidente. La parte centrale presenta vari tratti pianeggianti. Le tipiche conche dell’alta valle dell’Ancinale (dove si trovano i centri abitati di Serra San Bruno, Spadola, Brognaturo, Simbario), di Mongiana e della Lacina sono riconducibili ad antichi bacini lacustri quaternari interrati. Il nome Serre, secondo alcuni, si dovrebbe al particolare allineamento dei monti e delle colline che ricordano i denti di una sega, per altri, invece scaturirebbe dalla presenza di numerose segherie attive in età antica, altri ancora lo farebbero discendere dalla radice Ser (monte) da cui deriva anche lo spagnolo Sierra. Ad Est si trovano la valle del torrente Stilaro, attorno alla quale si estende il bellissimo “Bosco di Stilo”

e quella della fi umara Assi, nonché innumerevoli sorgenti d’acqua che danno vita a impetuosi torrenti che si trasformano, a loro volta, in maestose e suggestive cascate come quella del Marmarico con i suoi oltre 90 metri di dislivello. A questo si accompagna il caratteristico habitat rupestre dei Monti Mammicomito e Consolino dai quali si estraeva il minerale che alimentava le fonderie e la fabbrica d’armi di Ferdinandea e Mongiana. A Nord la valle dell’Ancinale, principale corso d’acqua delle Serre, racchiude ed esalta i caratteri tipici dei bassi e medi corsi delle fi umare. A Sud-Ovest insiste il gruppo dei monti Crocco e il Monte Seduto con incantevoli boschi che delimitano l’area delle valli entro cui scorrono i fi umi Metramo, Fermano e Marepotamo. La morfologia del territorio, con la presenza di diverse montagne, di quote altimetriche non elevatissime, contrapposte l’una all’altra non simmetricamente, solcate da ripidi e tortuosi valloni, ha preservato l’ambiente naturale, interessato, negli anni ad un lento processo di trasformazione che non ne ha mutato i caratteri storici-originari. Il parco custodisce pertanto un paesaggio di elevata valenza naturalistica, caratterizzato prevalentemente da pendici e rilievi coperti da vaste estensioni di bosco che costituiscono alcuni tra i complessi forestali più importanti della regione con un ecosistema che presenta una biodiversità con interessanti aspetti di unicità di specie. Al suo interno sono state individuate ben quattro aree di interesse Comunitario (SIC): Bosco Santa Maria, Lacina, Stilo-Archiforo, Lago Angitola, che complessivamente occupano il 37,08% della superfi cie totale del PNR delle Serre. Il Bosco Santa Maria (codice sito IT 9340118) si estende a sud ovest del paese di Serra San Bruno, ha una superfi cie di 747.404 S(ha) ed occupa, rispetto all’area a Parco, il 4,03%. Prende il nome dalla chiesa di S. Maria del bosco, che si erge al centro di giganteschi abeti bianchi, dove San Bruno, fondatore dell’ordine certosino, faceva penitenza e fu sepolto. La Pianura della Lacina (codice sito IT 9340120),

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e da macchia mediterranea e presenta una grande varietà di uccelli acquatici. Nel Parco Regionale delle Serre, dunque, sono presenti, accanto a quelli comuni, anche rari esemplari di fl ora e fauna.

LA FLORALe formazioni forestali presenti sono: la macchia mediterranea, ubicata prevalentemente nelle zone più basse; i castagneti, presenti a quote più elevate (in parte derivanti da vecchi castagneti da frutto e a volte di origine artifi ciale, che forniscono paleria e legname per l’artigianato e l’agricoltura locale); infi ne le faggete e le abetine, che rivestono fi no alla sommità tutti i maggiori rilievi. Le specie vegetali predominanti sono: castagno (Castanea sativa), governato ad alto fusto nelle zone migliori ed a ceduo nelle altre, Pino laricio (Pinus nigra), Ontano comune (Alnus glutinosa), Ontano napoletano (Alnus cordata) in fustaie spontanee che ricoprono tutte le parti vallive, le zone più fresche e gli alvei fl uviali, Faggio (Fagus sylvatica) e Abete bianco (Abies alba) specie di grande valenza naturalistica presente a gruppi e a boschi puri e misti più o meno estesi nelle zone più alte e fredde, Leccio (Quercius ilex), Pioppo bianco (Populus alba), Pioppo tremulo(Populus tremula), Tasso (Taxus baccata), Salice comune (Salix alba), Acero comune (Acer campestre) e Robina (Robina pseudoacacia) a livello sporadico nelle zone più basse. La vegetazione arbustiva è ricca delle più tipiche essenze della macchia mediterranea: Ginestra, Erica, Corbezzolo, Mirto, Fillirea, Cisto, Lentisco, Agrifoglio, ecc. Il soprasuolo naturale del territorio del Parco è anche interessante per le caratteristiche ecologiche e selvicolturali dell’abete bianco. L’abete bianco delle Serre è incluso nel libro nazionale dei boschi da seme per le sue peculiari qualità genetiche. Il seme di questi boschi viene raccolto nei mesi di settembre e ottobre per essere utilizzato nei rimboschimenti in varie parti d’Europa.

LA FAUNALa fauna è ricca e varia. La specie più importante e rappresentativa delle foreste delle Serre è il Lupo (Canis Lupus Italicus). Tra i mammiferi, quanto a rarità e ad importanza, c’è l’ Istrice (Hystrix Cristata), il Gatto selvatico (Felis Silvestris), la Martora (Martes Martes). Ma il bosco è popolato anche da altre specie: Cinghiale (Sus Scrofa), Tasso (Meles), Lepre, Volpe (Vulpes), Faina (Martes Foina), Donnola (Mustela Nivalis), Riccio (Erinaceus Europaeus), Ghiro (Glis), Scoiattolo meridionale (Sciurus Meridionalis), Altri animali sono Il Quercino (Eliomys Quercinus), il Moscardino (Muscardinus Avellanarius), la Talpa (Talpa Europea), il Toporagno nano (Sorex Minutus), il Toporagno comune (Sorex Araneus), il Toporagno acquatico (Neomys Fodiens), la Crocidura minore (Crocidura Suaveolens), il Mustiolo (Suncus Etruscus) l’ Arvicola terrestre (Arvicola Terrestris).Per quanto riguarda l’avifauna e altri rapaci, tra i boschi ama rifugiarsi l’Astore (Accipiter Gentilis), lo sparviero (Accipiter Nisus), il falco pellegrino (Falco Peregrinus), il nibbio reale (Milvus), il nibbio bruno (Milvus Migrans), la poiana (Buteo), il Gheppio (Falco Tinniculus), il raro e grande Gufo reale (Bubo), il Gufo comune (Asio Otus), l’Alocco (Strix

Aluco), il Barbagianni (Tito Alba) la Civetta (Athene Noctua) e l’Assiolo (Otus Scops).Una quantità di altri uccelli popolano il Lago dell’Angitola, tra cui: folaga, gallinella d’acqua, moriglione, moretta tabaccata, germano reale, airone cenerino, svasso maggiore, garzetta, gazza, cuculo, merlo acquaiolo, cornacchia grigia, picchio rosso maggiore, picchio rosso minore, picchio muratore, pettirosso, usignolo, beccaccia, Tra i serpenti: la Vipera comune (Vipera Aspis Hugyi), il Biacco (Coluber Viridifl avus), il Cervone (Elaphe Quatuorlineata), la Biscia dal collare (Natrix), il Colubro (Coronella Austriaca), il Colubro d’Esculapio (Elaphe longissima); la Biscia asserella (Natrix Tassellata). Tra gli anfi bi è da segnalare in particolare l’appariscente Salamandra pezzata (Salamandra); la Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata- v. Limèn n. 2/2010-), l’Ululone dal ventre giallo (Bombina Variegata). Nei fi umi e nelle acque interne vive la trota mediterranea (Salmo trutta macrostigma). Ma il Parco Naturale regionale delle Serre non è importante solo per la sua indubbia valenza naturalistica, ma anche per gli aspetti antropici che esprimono forte identità culturali e produttive. Così prodotti tipici, tradizioni, un pregevole artigianato esprimono la forte identità A destra, la Beccaccia; nella pagina a fi anco la Volpe

ha una superfi cie di 342 S(ha) ed occupa rispetto alla superfi cie totale del Parco l’1,75%. Fa parte del comprensorio montano delle Serre Calabre e si trova ad un’altitudine tra 970 - 1028 m. Per quanto riguarda la fl ora, in questa vasta pianura sono presenti più di 300 specie, di cui circa il 26 % è rappresentato da specie rare. Il bosco Stilo-Archiforo (codice sito IT9340121) è situato nel territorio del Comune di Serra San Bruno, ha una superfi cie di 4913.61 S(ha) ed occupa il 26,50% della superfi cie totale del Parco. Il bosco è dominato dall’abete bianco che è presente con esemplari colossali. L’oasi naturalistica del Lago dell’Angitola è una delle riserve più importanti del Mediterraneo. Il lago fu creato artifi cialmente nel 1966 sul vecchio alveo del fi ume Angitola. Situato nel territorio di Maierato, il lago si trova all’estremità meridionale della Piana di Sant’ Eufemia. Fu vincolato come oasi con D.P.G.R. n. 557 del 12/05/1975. Attualmente la gestione dell’oasi è affi data al WWF Italia. Il lago è vincolato a zona di protezione della fauna ed è dichiarato “zona umida di valore internazionale” ai sensi della convenzione di RAMSAR (D.M.30/09/1985). Il lago con una superfi cie di 875 (ha), occupa il 4,8% della superfi cie del Parco ed è circondato da declivi ricoperti da uliveti

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di luoghi e di popolazioni, che, nell’evoluzione storica, hanno mantenuto saldo il legame alle loro radici.

PRODOTTI TIPICIDi notevole interesse è anche il patrimonio enogastronomico dell’area: in un recente studio effettuato dall’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica della Calabria, sono stati rilevati, nella sola area vibonese del Parco, ben 43

i prodotti da forno (pane di Serra San Bruno, pasticceria di mandorle, taralli, uova infornate con il pane, ‘nzuddi, pitta, mostaccioli, cuzzupa o ‘nguta, ‘zzippule), i torroni e torroncini, le produzioni ortofrutticole degli altipiani (zucchine di Acquaro, broccolo nero calabrese), il peperoncino calabrese (Serra San Bruno), i prodotti della norcineria (vi è la particolarità della carne salata conservata in recipienti di maiolica, sconosciuta in altre aree della Calabria); a Mongiana si trova un vivaio della forestale dove vengono allevati e studiati capi di selvaggina pregiata, come i daini. Della gastronomia di Stilo, Bivongi ma, in generale, di un po’ tutta l’area considerata, sono da menzionare le produzioni di melanzane, di salsicce e sopressate, di funghi, di latticini (mozzarelle, ricotte di pecora, provole, butirri), di pecorini al peperoncino, al pepe nero, alle erbe di montagna (Simbario, Comuni dell’Alto Mesima), di miele (di corbezzolo, di eucalipto, di zagara, di cardo, di castagno, di sulla), di olio d’oliva, di alimenti sott’olio (pomodori secchi, melanzane, peperoni, olive, funghi, carciofi ), di paste fatte in casa con farine ottenute dai grani duri calabresi (maccarruni, strangugliapreviti, raganelle, fi leja) condite con ragù di maiale; nei ristoranti sta tornando in uso il sugo di carne di capra, antico piatto greco; altre specialità culinarie sono la carne di cinghiale, di capretto, i tordi e le lepri. TRADIZIONI LOCALIElementi di valorizzazione sia dei prodotti artigianali che delle tradizioni locali, sono i numerosi eventi e manifestazioni locali, come le feste patronali, le processioni e rappresentazioni sacre del periodo di Pasqua, i mercati, le fi ere, le sagre: queste ultime sono concentrate, soprattutto, nel periodo estivo. Da menzionare la Sagra della trippa e la Sagra dell’emigrante a Gerocarne, la Sagra dei “Fileja” (pasta fatta in casa) e la Degustazione Antichi Sapori a Maierato, la Sagra della salsiccia, la Sagra del tonno, la Sagra di “strangugghi”, la Sagra delle zeppole a

Sopra, uno dei principali prodotti tipici delle Serre.A fi anco, i Vimini di Soriano

Pizzo, la Sagra dei “fi latiedi” a Polia, la Sagra del vino e il Mercato della Badia a Bivongi, la Sagra dei ceci a Serra San Bruno, la Sagra del “vijuazzu” (pannocchia) ad Acquaro, che si svolgono tutte nel mese di agosto; la Sagra del cinghiale a Nardodipace (gennaio), la Sagra dei prodotti gastronomici e della cultura contadina a Monterosso Calabro (luglio), la Sagra della salsiccia a Maierato (settembre), la Sagra della patata a Polia (settembre), la Sagra delle castagne a Pizzoni e Davoli (rispettivamente

prodotti tipici tradizionali ancora presenti, senza considerare quelli estinti o in via d’estinzione. Fra le produzioni comunque degne di nota, i vini di Bivongi (bianco, novello, rosato, rosso, rosso riserva) a denominazione di origine controllata, la soppressata DOP di Simbario, i fi chi essiccati (Acquaro), largamente esportati, le castagne (Fabrizia, Mongiana), i funghi e le relative conserve, la cucina locale di Monterosso Calabro, con ricotte, formaggi, salumi, fi latiedi e sponsi(pasta fatta in casa con i broccoli), fi latiedi e vaiani(pasta coi fagiolini), la ciciorfa(vino di uva fragola) di Mongiana,

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in ottobre e novembre), la Sagra della “curuijcchia” (tipico dolce locale) ad Acquaro (dicembre). Fra gli eventi folcloristici è da menzionare il Palio di Ribusa che si tiene nel mese di agosto a Stilo.

ARTIGIANATO L’artigianato tipico esprime l’abilità e l’alta qualità di maestri custodi anche di antichi mestieri che, oggi, rischiano di scomparire a causa dell’assenza di ricambio generazionale e di una tecnologia che sostituisce una manualità fatta di pazienza e dedizione.Fra le principali produzioni dell’artigianato locale: tessuti di lana e seta e ricami artistici ad Acquaro, Fabrizia, Monterosso Calabro, Bivongi, Stilo; lavorazioni in ferro battuto; lavorazioni di vimini e canne (Soriano, ma anche Monterosso Calabro e altri comuni dell’Alto Mesima); lavorazione del legno da parte di maestri artigiani (grazie all’abbondante materia prima), con produzione di mobili e restauro di arredi lignei; produzione di vasi in terracotta per la conservazione e la cottura dei cibi (Sorianello e Gerocarne); produzione di pipe da parte dei mastri pipai di Brognaturo; lavorazione del marmo e del granito (Davoli, Serra San Bruno); lavorazione di prodotti tipici agro-alimentari; impagliatori di sedie e ombrellai (Stilo); conciapelle e bottai a Bivongi; ancora oggi, in alcune zone, si lavorano al telaio tovaglie e “pezzare”, coperte da peso, dai disegni geometrici ispirati ad un gusto antico. Tutto questo è ed esprime il Parco Regionale Naturale delle Serre; non un “recinto chiuso”, un’”isola”, rispetto al contesto, ma un sistema aperto, un bene collettivo che è anche autentica risorsa di integrazione e di valorizzazione delle identità locali che può rappresentare, nella necessaria ricerca di equilibrio tra obiettivi di tutela e dinamiche di sviluppo, un valore aggiunto per l’economia locale e la diversifi cazione dell’offerta turistica territoriale.

© foto pag. 8-12: Studio Bruno Tripodi - Serra San Bruno

© foto: Antonio Renda.La tessitura al telaio, una tra tra le principali produzioni dell’artigianato locale

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Una governance responsabile del territorio passa attraverso la tutela e la valorizzazione di tutto ciò che costituisce risorsa funzionale

allo sviluppo socio-economico dello stesso, in un’ottica di collaborazione istituzionale responsabile e operativa. Il Parco Naturale Regionale delle Serre è indubbiamente un patrimonio di inestimabile valore per la crescita non solo della provincia di Vibo Valentia, ma dell’intera regione; un giacimento di risorse

Il Parco Naturale Regionale delle Serre,risorsa di sviluppo per il territorio.

Prospettive e propostein un convegno organizzato dall’Ente Parco

e dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia

di Vibo Valentia hanno organizzato il Convegno “Parco Naturale Regionale delle Serre - Natura, Storia, Cultura, Sviluppo e Occupazione”, chiamando al confronto propositivo i massimi esponenti istituzionali locali e regionali a Nardodipace, nel cuore delle Serre calabre. Presente il Governatore della Calabria on.le Giuseppe Scopelliti si è discusso della realtà del Parco e delle sue potenzialità prospettando un percorso di valorizzazione che passa attraverso obiettivi e interventi precisi, tra cui quelli per arginare lo spopolamento delle comunità montane, migliorare le infrastrutture viarie, salvaguardare culture locali, tradizioni e mestieri, recuperare e valorizzare i siti storici e naturalistici per la tutela ambientale e per l’implementazione del turismo, trainato, in zona, dalla presenza della maestosa Certosa di Serra San Bruno espressione di grande spiritualità, ma anche di storia e interessanti leggende. Ai lavori, introdotti dal Commissario del Parco Naturale Regionale delle Serre, Salvatore Carchidi, e dal Commissario della Camera di Commercio di Vibo Valentia Michele Lico, hanno partecipato il Sindaco di Nardodipace Romano Loielo; gli Assessori regionali Mario Caligiuri e Francesco Pugliano, con deleghe rispettivamente alla Cultura e all’Ambiente; i Consiglieri regionali Alfonsino Grillo (Componente Commissione Ambiente) e Nazzareno Salerno (Presidente Commissione Attività sociali, sanitarie, formative e culturali); il Direttore Generale Dipartimento Lavoro e Formazione Professionale della Regione Calabria Bruno Calvetta; il Comandante Regionale Corpo Forestale dello Stato Vincenzo Caracciolo;

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il Commissario Vicario AFOR Calabria Valerio Grillo. Le conclusioni dell’incontro sono state tratte dal Senatore Francesco Bevilacqua e dal Governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti. In sintesi, dal convegno è emerso che il Parco non è solo risorsa naturalistica ma laboratorio per lo sviluppo, e sulle parole chiave equilibrio, armonia, sostenibilità converge l’impegno delle istituzioni per una pianifi cazione concertata volta a individuare e valorizzare le risorse presenti nella loro individualità, ma soprattutto nelle loro relazioni, perché possano essere prima studiate e comprese e poi governate e gestite secondo scelte consapevoli e strategiche per uno sviluppo d’area che concorre e si integra a quello di tutta la regione.

Sopra, il tavolo di presidenza del convegno; da sinistra Romano Loielo, Valerio Grillo, Alfonsino Grillo, Salvatore Carchidi, Michele Lico, Francesco Bevilacqua, Giuseppe Sopelliti, Nazzareno Salerno, Vincenzo Caracciolo, Francesco Pu-gliano, Mario Caligiuri.Nella pagina a fi anco, da sinistra, il Commissario della Camera di Commercio Michele Lico e il Governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti

e di opportunità ancora non adeguatamente considerato che ora, invece, deve essere rivalutato, organizzato e promosso secondo politiche di marketing territoriale condivise e coordinate. Per discutere di tutto questo, in termini concreti e operativi, l’Ente Parco e la Camera di Commercio

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*di Giovanni Spampinato botanico e profondo conoscitore della fl ora italiana, che visitò le montagne calabresi esattamente un secolo fa: “Non credo vi siano altre regioni dell’Appennino centrale e meridionale nelle quali esistano dei boschi naturali di Abeti maestosi come intorno alla conca di Serra”.Sicuramente i boschi di abete bianco dovettero affascinare anche San Bruno quando, nel 1091, scelse l’alta valle dell’Ancinale come luogo dove stabilirsi in Calabria. Una legenda popolare ha legato l’abete alla fi gura del santo. Si narra, infatti, che un abete prossimo alla fonte del Santuario di Santa Maria del Bosco, sulle cui acque San Bruno, nella sua rituale contemplazione ascetica soleva inginocchiarsi e pregare, abbia piegato la parte basale del suo fusto, inginocchiandosi esso stesso come a emulare il santo. Questa legenda se da una parte esalta la fede radicata nelle popolazioni locali, dall’altra evidenzia lo stretto legame tra l’eremita e l’ambiente naturale, che egli stesso decanta in alcune sue lettere. L’abete bianco è una conifera sempreverde che deve il proprio nome specifi co al fusto dei giovani individui dal ritidoma chiaro, grigio-argenteo. Il nome del genere fa invece riferimento alla longevità degli individui di questa specie, (abios - senza vita) come ad evidenziare la quasi eterna esistenza degli abeti. L’abete bianco è un albero che può superare i 40 m di altezza, dal portamento slanciato con una ramifi cazione molto regolare. La chioma, di forma conica, con l’età tende ad appiattirsi nella parte apicale a causa dell’arresto della crescita dell’apice vegetativo principale e dello sviluppo dei rami laterali; si forma così il caratteristico “nido di cicogna” osservabile negli individui vetusti. Le foglie sono a forma di ago appiattito e presentano una caratteristica doppia linea biancastra sulla pagina inferiore. Esse persistono sulla pianta per diversi anni e sono inserite a spirale lungo i rami, ma, per torsione del picciolo, si dispongono tipicamente “ a pettine” nei rami ombreggiati e “a spazzola” in quelli ben illuminati. In primavera si formano le strutture

L’ABETE BIANCOSULLE SERRE CALABRESI

Per i romani i boschi delle Serre Calabresi erano parte dell’immensa Silva Brutia che si estendeva lungo la dorsale appenninica calabrese dalla Sila all’Aspromonte. Come

testimoniano alcuni siti archeologici rinvenuti nella fascia montana, già nell’era antica i boschi serresi erano oggetto di molteplici usi: produzione di legname, carbone, raccolta dei prodotti del bosco (funghi, frutti), ecc. Ancora oggi, a distanza di 2 millenni, nonostante la riduzione delle superfi ci subita soprattutto durante il secolo scorso, i boschi rappresentano una delle principali risorse economiche per questo territorio. Una specie

protagonista dei boschi delle Serre Calabresi è sicuramente l’abete bianco (Abies alba),

albero apprezzato per la qualità del legnane, l’imponenza degli

individui e la maestosità delle cenosi forestali che origina da solo o, più frequentemente, associato al faggio. I boschi di abete bianco delle Serre Calabre hanno da sempre suscitato l’attenzione dei viaggiatori, così

si esprimeva il Tr o t t e r,

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riproduttive: gli strobili, distinti in maschili e femminili, portati dallo stesso individuo nella parte alta della chioma, o comunque ben soleggiata. Quelli maschili sono effi meri e svolto il processo di produzione del polline affi dato al vento, disseccano e cadono sul terreno. Gli strobili femminili una volta impollinati si accrescono e formano dei coni di forma cilindrica che matureranno i semi durante l’estate per disseminarli in autunno, quando le squame ovulifere dello strobilo si disarticolano,

consentendo la fuoruscita dei semi. Lo strobilo si disintegra, restando solo l’asse centrale che sosteneva le squame. I semi, minuti e dotati di un’ala, sono trasportati dal vento e geminano nella primavera successiva prediligendo le zone di semiombra come i margini o le radure dei boschi.L’abete bianco è una specie orofi la distribuita sulle montagne del Sud Europa dai Pirenei ai Balcani e ai Carpazi. In Italia è presente sulle Alpi e lungo la dorsale appenninica fi no in Calabria

con popolazioni frammentate in nuclei più o meno consistenti. Analogamente a molte altre specie della famiglia delle Pinaceae cui appartiene, anche l’abete bianco è una specie molto antica, la cui origine può essere fatta risalire al Terziario. Esso presenta notevoli affi nità morfologiche ed ecologiche con altre specie di abeti distribuiti sui sistemi montuosi che circondano il Mediterraneo: il gruppo degli abeti mediterranei. Questi abeti si sono evoluti molto probabilmente nel Miocene, circa 6-7 milioni

di anni fa, quando le condizioni paleoclimatiche e paleogeografi che determinarono l’accantonamento sui sistemi montuosi del Mediterraneo delle popolazioni di un abete ancestrale che, isolate, hanno subito autonomi processi evolutivi e adattativi, determinando la formazioni di specie e sottospecie locali vicarianti. Le popolazioni di abete bianco delle Serre Calabresi hanno da sempre attirato l’attenzione di studiosi e ricercatori. Già Giacobbe, illustre botanico e forestale, nella prima

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una elevata variabilità genetica. Alla fi ne delle glaciazioni da queste aree di rifugio è partita la colonizzazione dei territori lasciati liberi dai ghiacci e alcune linee genetiche delle specie accantonate nei territori mediterranei si sono ridiffuse nel resto del continente europeo. Sulle Serre Calabresi l’abete bianco appenninico si rinviene nella fascia montana da 800 a 1400 m, dove entra in concorrenza con il faggio, specie molto competitiva soprattutto nelle aree caratterizzate da elevata oceanicità del clima e da suoli profondi e fertili. In conseguenza di ciò l’abete tende ad essere accantonato nelle aree con suoli meno evoluti, in genere perché più acclivi con rocciosità affi orante, dove può dare origine a delle abetine naturali talora maestose come nel Bosco Archiforo. Nel complesso l’abete bianco appenninico rispetto al faggio mostra di prediligere condizioni caratterizzate da una maggiore continentalità ed eliofi lia, e tende a rinnovarsi al margine delle formazioni forestali o in quelle aperte. Le differenze ecologiche tra le due specie sono comunque minime, tanto che spesso danno luogo a boschi misti dove però è il faggio ad avere in genere un ruolo di specie dominante. Nei boschi misti di faggio e abete l’attività selvicolturale gioca un ruolo fondamentale nel favorire l’una o l’altra specie, sia direttamente con tagli selettivi, sia indirettamente come conseguenza delle utilizzazioni forestali. Il faggio, infatti, si rinnova da seme sotto copertura, mentre l’abete bianco appenninico, come accennato prima, si rinnova al margine del bosco o comunque in condizioni semisciafi le. L’utilizzazione del faggio mediante tagli rasi determina una maggiore luminosità negli strati bassi del bosco e ciò favorisce l’insediamento dei semenzali di abete bianco. Con la crescita dell’abete si ha la ricostituzione della cenosi forestale e la conseguente chiusura della volta del bosco determina condizioni di sciafi lia che favoriscono la rinnovazione del faggio nel sottobosco. Nel successivo taglio di utilizzazione dell’abete viene rilasciato il novellame di faggio

metà del secolo scorso evidenziava come l’abete bianco dell’Appennino meridionale, e delle Serre Calabresi in particolare, avesse caratteristiche ecologiche e biologiche proprie che lo facevano distinguere dalle popolazioni di abete bianco di provenienza alpina. Sotto il profi lo ecologico l’abete bianco delle Serre, infatti, è caratterizzato da una maggiore eliofi lia delle plantule e da una più elevata resistenza alle avversità ambientali, adattandosi meglio a condizione di stress termico e idrico. È stato inoltre osservato che le provenienze serresi di abete bianco hanno un più rapido accrescimento e un maggiore incremento di biomassa nel tempo. Differenze sono osservabili anche nella morfologia degli aghi che nelle provenienze calabresi sono mediamente più brevi con l’apice più frequentemente arrotondato, anziché retuso, e nella corteccia delle giovani piante priva di tasche resinifere. Giacobbe propose quindi di attribuire le popolazioni calabre ad una particolare varietà indicata come apennina, che successivamente Brullo, Scelsi e Spampinato all’inizio di questo secolo hanno correttamente codifi cato come subspecie apennina. Recenti ricerche genetiche hanno confermato la diversità tra le popolazioni calabresi e quelle alpine ed europee. In particolare le provenienze calabresi sembrano avere caratteristiche genetiche intermedie tra Abies alba subsp. alba delle Alpi e Abies nebrodensis, un abete endemico del sistema montuoso delle Madonie in Sicilia. Queste analisi hanno inoltre evidenziato come Abies alba subsp. apennina presenti una maggiore variabilità genetica rispetto alle popolazioni della subspecie nominale. Ciò è da attribuire probabilmente all’antica origine delle popolazioni appenniniche. Infatti, durante le glaciazioni del quaternario, quando gran parte dell’Europa era interessata da un clima artico e la vegetazione forestale era sostituita da tundre, i territori del mediterraneo rappresentarono delle aree di rifugio per varie specie della fl ora europea che hanno avuto il tempo di evolversi e sviluppare

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delle superfi ci boscate. La conservazione di questa specie è inoltre minacciata da patologie quali in particolare gli attacchi di marciume radicale sostenuti da Heterobasidion abietinum, un fungo che ne danneggia l’apparato radicale determinandone lo schianto. È stato osservato che questi attacchi sono più diffusi nelle aree disturbate dal pascolo e negli impianti artifi ciali di abete, probabilmente perché realizzati in aree poco idonee alla specie. La salvaguardia dell’abete bianco impone quindi una attenta gestione delle risorse forestali che preveda un controllo delle attività selvicolturale e del pascolo in bosco. Occorre inoltre una nuova politica di riforestazione che tenga conto delle caratteristiche

ecologiche della specie e della potenzialità del territorio ad ospitarla. Sulle Serre, in particolare all’interno del Parco Regionale, andrebbero inoltre avviati specifi ci progetti di conservazione “in situ” capaci di salvaguardare la peculiare diversità genitica di questa specie e di diffonderla nelle aree potenzialmente idonee.

*Docente di Botanica Ambientale applicataFacoltà di Agraria

Università Mediterranea di Reggio Calabria

© foto: Studio Bruno Tripodi - Serra San Bruno

insediatosi, che così riprende ad essere la specie dominante. Il ciclo delle utilizzazioni favorisce quindi alternativamente il faggio e l’abete.L’importanza naturalistica delle popolazioni appenniniche di abete bianco è stata riconosciuta anche dalla Comunità Economica Europea che con la Direttiva 43/92 ha ritenuto di inserire gli habitat caratterizzati da questa specie (9510 - Abetaie appenniniche di Abies alba e 9220 - Faggeti degli Appennini con Abies alba Miller e faggeti con Abies nebrodensis) tra quelli prioritari nella strategia di conservazione della biodiversità a livello europeo. Ciò ha permesso l’individuazione sulle Serre di vari “Siti di Interesse Comunitario” (S.I.C.) caratterizzati

da tali habitat come quelli di “Marchesale - codice IT9340119”, di “Bosco di Stilo-Bosco Archiforo – codice IT9350121” e di “Bosco Santa Maria - codice IT9340118), nei quali va perseguita in via prioritaria una strategia di conservazione degli habitat e della biodiversità. La conservazione dell’ abete bianco serrese assume quindi notevole importanza nella salvaguardia delle popolazioni meridionali di questa specie. Attualmente l’abete occupa, rispetto alle epoche passate, minori superfi ci e ciò può essere imputato sia ai cambiamenti climatici più recenti caratterizzati da un aumento della oceanicità che ha favorito il faggio, sia, soprattutto, agli interventi antropici di riduzione e alterazione

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*di Adolfo Rossi

I DISTRETTI RURALILa normativa e il quadro applicativo in Calabria

La costituzione dei Distretti Rurali va intesa come iniziativa fi nalizzata a rendere i territori calabresi più competitivi nel quadro dell’attuale mutevole scenario dei

contesti regionale, nazionale ed europeo, captando al meglio le opportunità di sostegno fi nanziario previste da alcune specifi che norme. In Europa aggregazioni che, esplicitamente o implicitamente, richiamano il concetto di distretto rurale, le troviamo in diversi Paesi europei. In Germania abbiamo i Landkreis (circondario rurale) che svolgono, sì, tutte le attività tipiche di un distretto, ma in realtà sono delle amministrazioni locali inserite nella gerarchia degli Enti territoriali di quella Nazione, collocandosi a livello intermedio tra Regione e Unione di Comuni. Di fatto possiamo considerarli come un qualcosa di molto simile alle nostre Province, pur rimanendo sempre di ridotte dimensioni e non essendo mai eccessivamente estesi. Una situazione molto simile la ritroviamo in Gran Bretagna; anzi, bisogna dire che la storia delle politiche distrettuali inizia proprio qui già a partire dalla fi ne del XIX secolo, con le prime grandi riforme che ripartivano il territorio nazionale in unità amministrative locali, identifi cate per la loro vocazione prevalente (urbana, industriale, rurale, marittimo-portuale, ecc.). Da allora, mediante successive riforme legislative, si è giunti all’attuale confi gurazione: la maggior parte del territorio non classifi cabile come urbano o industriale, è riunito in una grande categoria detta dei distretti non-metropolitani (Shire), a loro volta sub-unità di un ente intermedio simile alle nostre province, denominato Contea. L’ultima, in ordine di tempo, ad approcciare le politiche distrettuali, avendo però alla spalle una lunga esperienza sulle forme aggregative delle amministrazioni locali, soprattutto delle più piccole, è la Francia che, nel 1999, con un’apposita legge, consente una nuova forma di unioni territoriali tematizzate su peculiarità rurali e dove trovano posto anche

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i privati (fi no ad allora, tendenzialmente esclusi dalla partecipazione a tali strumenti e denominati Pays. Questi sono, tra quelli europei, i modelli organizzativi più simili ai distretti italiani e, avendo da parte dello Stato un forte sostegno sia economico che di assistenza tecnica, stanno rapidamente moltiplicandosi, raggiungendo già diversi esempi di eccellenza. Da sottolineare, però, che tutti gli esempi esteri citati, seguono una logica di indirizzo pubblico molto forte dove, di fatto, si tratta di intraprendere percorsi già individuati e decisi dallo Stato (approccio top-down).Una via forse effi cace e rapida, considerando lo stato di maturità ed effi cienza dei Governi dei nostri cugini europei, ma più diffi cile da immaginare per il nostro Paese, molto meno effi ciente sul fronte dell’organizzazione pubblica.La formula, invece, fortunatamente scelta dal nostro legislatore, anche se spesso non breve, più incerta ed insicura, è del tutto peculiare, veramente innovativa e dove trova ampio spazio l’autodeterminazione, l’autoproposta e la dimensione volontaristica delle comunità locali (approccio bottom-up). Forse nessuno saprà mai defi nire qual è la strada migliore ma c’è un dato certo: i distretti produttivi italiani sono i più studiati al mondo per la loro effi cacia e per il loro perdurare nel tempo e sono spesso presi ad esempio per altre realtà anche extra-europee. Di fatto, un primato tutto italiano che attrae e fa scuola. Forse l’affermazione del modello italiano sta nel fatto che un organizzazione di sviluppo locale come quella distrettuale, ha bisogno imprescindibilmente di una forte affezione, responsabilizzazione e compartecipazione di ognuno degli attori (operatori pubblici, privati, cittadini) che fanno parte di quell’ambito territoriale interessato e questo aspetto probabilmente è più vicino a un nostro modo di essere e intendere le cose. LA NORMATIVA NAZIONALEIn Italia l’inizio delle politiche in favore dei distretti,

intesi secondo il concetto moderno di libere aggregazioni di ambiti produttivi coincidenti con un dato territorio e con obiettivi di realizzazione di “sistemi”, tesi al rafforzamento del quadro socio-economico e fi nalizzati, prioritariamente, a contrastare gli effetti della globalizzazione dell’economia, risale al 1991, con riferimento al solo settore industriale (L.317/1991). A seguito delle esperienze distrettuali positive, questa confi gurazione è stata estesa anche all’agricoltura. I distretti rurali (abbreviati in “DR”) e agroalimentari di qualità (abbreviati in “DAQ”), istituiti con il D.L. 228/2001, rappresentano, in ordine di tempo, l’ultima declinazione della categoria dei distretti produttivi. Tale decreto riporta testualmente all’articolo 13:1. Si defi niscono distretti rurali i sistemi produttivi

locali di cui all’articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e successive modifi cazioni, caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalle produzione di beni o servizi di particolare specifi cità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali“

2. Si defi niscono distretti agroalimentari di qualità i sistemi produttivi locali, anche a carattere interregionale, caratterizzati da signifi cativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari,nonché da una o più produzioni certifi cate e tutelate ai sensi della normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzione tradizionali o tipiche”

Tra le due tipologie , quello rurale è una forma particolarmente interessante per le aree interne che, in generale, presentano un patrimonio molto diversifi cato (ambientale, paesaggistico, turistico, artigianale, agricolo, di piccola industria, ecc.), spesso ricco e fortemente attrattivo ma senza una specializzazione evidente che li possa caratterizzare

concessi, da parte di altre amministrazioni centrali e periferiche di Stato e Regioni, ruoli autorizzatori preventivi e di gestione di banche dati e fonti di informazioni utili alla facilitazione delle fasi di avvio di attività economiche ed imprenditoriali.

Tabella 1STATO DI APPLICAZIONE DEL D.LGS 228/2001 A LIVELLO REGIONALE

RegioneApplicazione

D.lgs. n.228/01Legge Regionaledi riferimento

Valle d’Aosta NO

Piemonte SILR n.26/2003aggiornata con la nuova LR n.29/2008

Liguria NOsolo LR n.42/2001 sui distretti fl orovivaistici

Lombardia SIDGR 7 agosto 2009, n. 8/10085(appl. LR n.1/2007 - art. 4)

Prov. Trento NOProv. Bolzano NOVeneto SI LR n.40/2003Friuli V. G. NOEmilia-Romagna NOMarche NO DdL in defi nizione

Toscana SÌLR n.21/2004 (con regolamento attuativo)

Umbria NOLazio SÌ LR n.1/2006 (con regolamento attuativo)Abruzzo SI LR n.18/2005Molise NO DdL in Commissione consiliareCampania NOPuglia NO DdL in Commissione consiliare

Basilicata NOsolo LR n.1/2001sui distretti industriali comunque utilizzata per distretto agricoli

Calabria SÌLR n.21/2004aggiornata con la nuova LR n.6/2009

Sicilia NOsolo LR n.20/2005 sui distretti agroalimentari

Sardegna NOFonte: Associazione dei Distretti Rurali Italiani Gennaio 2010

I DISTRETTI RURALI IN CALABRIAL’impostazione del Decreto Legislativo 228/2001 è stata ripresa dagli strumenti legislativi normativi messi a punto dalle Regioni, inclusa la regione Calabria. Questa, con la Legge Regionale n. 21 del 13 ottobre 2004, - Istituzione dei distretti rurali e agroalimentari di qualità – Istituzione del distretto agroalimentare di qualità di Sibari BUR Calabria

da un peculiare punto di vista produttivo. Le norme del Decreto Legislativo 228/2001 identifi cano i distretti rurali sulla base di parametri socio-economici che riconoscono l’inscindibilità e l’interdipendenza dei fattori culturali tradizionali ed antropologici con quelli produttivi nei sistemi locali. Lo stesso Decreto, tuttavia, rimanda alle singole Regioni l’emanazione di uno specifi co strumento normativo per l’applicazione nei rispettivi contesti amministrativi-territoriali. Seppure, ad oggi, non tutte le Regioni (Tab. 1) hanno recepito la normativa nazionale e la traduzione operativa dei concetti contenuti nella legge, i recenti interventi legislativi sia a livello nazionale che regionale (vedi la Calabria), con un rafforzamento delle potenzialità indubbiamente superiori a ogni altro strumento di cooperazione aggregata a scala territoriale, inducono, oramai, a considerare il distretto rurale più che una possibilità o un’opportunità, una scelta di fatto obbligata e di massima convenienza per qualsiasi contesto locale che si ponga veri obiettivi di sviluppo a lungo termine. Per meglio comprendere le potenzialità in tal senso di un distretto rurale, è suffi ciente sottolineare che specifi che norme introdotte dal 2006 e rafforzate con gli ultimi interventi legislativi dell’estate 20091, riservano in maniera esclusiva a un’organizzazione di tipo distrettuale la possibilità di concordare, con le Agenzie Fiscali competenti per ciascun territorio, livelli di tassazione fi ssi e privi di controlli per un triennio. E, ancora, di contrattare con gli organi centrali degli istituti bancari (non quindi con le fi liali territoriali), linee di credito agevolate e omogenee per tutti i partecipanti al distretto. Infi ne, a un organismo gestionale di distretto, formalmente riconosciuto, possono essere

1. “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese,nonché in materia di energia.“La nuova legge nazionale contiene le ultime modifi che di alcuni punti dello specifi co articolo 3) su distretti e reti d’imprese, già contenuti nella L.33/2009, approvata ad aprile, all’interno del decreto “omnibus”.

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n. 19 del 16 ottobre 2004), recepisce la normativa nazionale e all’ Art. 5 indica le modalità per l’istituzione dei Distretti Rurali. Con successive leggi di modifi ca L.R. 31 Marzo 2009, n. 6 sono state dettagliate le procedure per la presentazione delle istanze di candidature dei territori, organizzati in comitati promotori, che intendono adottare il riconoscimento di un distretto. In particolare, il legislatore regionale, con la nuova legge, si è posto l’obiettivo di superare le criticità della precedente normativa – più concentrata, a parere dello stesso legislatore, sui distretti agroalimentari di qualità a discapito dei distretti rurali – integrando la norma precedente con una più precisa determinazione degli aspetti procedurali per il riconoscimento di un territorio. Il distretto rurale, secondo la nuova legge, rappresenta un vero e proprio nuovo soggetto locale destinato a nuove forme di “governance” territoriale del proprio ambito, ovvero un organo di supporto ai processi di pianifi cazione, crescita e stabilizzazione di un’economia locale, che vede nella valorizzazione multifunzionale del proprio territorio la sua principale risorsa, strutturandosi mediante progettazione “multidimensionale” e su base vocazionale. La riqualifi cazione del territorio rurale nel suo complesso si pone come perno intorno al quale ruota la funzione stessa del distretto, mirato a valorizzare le peculiarità e le potenzialità locali insite nelle risorse paesaggistiche e naturali, nelle produzioni tipiche, nelle tradizioni sia economiche che storiche e socio culturali delle comunità rurali. La legge regionale, attribuisce alla Giunta dell’Ente Regione, il compito di individuare eventuali comprensori eleggibili a distretto, sulla base di proposte, opportunamente sostenute da idonea documentazione, proveniente da partenariati locali, organizzati in comitati promotori. Di fatto, un processo di identifi cazione ed auto-candidatura a distretto “dal basso” (bottom-up). L’art. 3 della legge, defi nisce poi i requisiti per l’identifi cazione

dei distretti rurali, come di seguito riportato:1. produzione agricola coerente con le vocazioni

naturali dei territori e sia signifi cativa in rapporto con l’economia locale;

2. presenza di un sistema consolidato di relazioni tra le imprese agricole e le imprese locali operanti in altri settori;

3. forte rilevanza dell’innovazione tecnologica ed organizzativa delle imprese agricole, nonché dell’assistenza tecnica ed economica e della formazione professionale sia soddisfatta dall’offerta locale;

4. integrazione tra produzione agricola e fenomeni culturali e turistici;

5. imprese agricole possiedono le risorse aziendali necessarie per attività di valorizzazione dei prodotti agricoli e del patrimonio naturale e forestale, nonché di tutela del territorio e del paesaggio rurale;

6. forte interesse delle istituzioni locali verso la realtà distrettuale a stabilire rapporti collaborativi e convenzionale con le imprese agricole e con quelle di altri settori locali.

Secondo i dettami dell’art. 5, spetta alla Giunta Regionale l’emanazione della delibera di riconoscimento del distretto, fi ssandone i termini (60 giorni dalla pubblicazione della pubblicazione del BURC) per la costituzione del soggetto gestore, ovvero la società di distretto. Questo è l’organismo che, entro 120 giorni, elabora e cura l’attuazione dello strumento di implementazione del programma principale del distretto (“Piano di Distretto”), sulla scorta delle indicazioni generali dell’Art. 7bis e degli indirizzi forniti dal Comitato di Distretto. La disponibilità di una norma aggiornata e contenente elementi tecnici più defi niti rispetto alla prima versione, ha immediatamente riaperto lo spazio per diverse iniziative in embrione di distretti che un po’ in tutto il territorio regionale, con diversi gradienti, si erano avviate subito dopo l’istituzione del DAQ di Sibari. Su fronte

dei DAQ, oltre a quello del crotonese, coincidente con l’intero territorio provinciale e che ha ottenuto il riconoscimento nella primavera 2009, altre aggregazioni hanno rinnovato rapidamente il percorso verso la candidatura da sottoporre alla Regione e tra queste troviamo almeno una iniziativa matura: il DAQ del Lametino. Per ciò che riguarda la confi gurazione invece del distretto rurale, la situazione si era presentata già da subito dopo la legge del 2004, più incerta e lenta. Solo nell’area del Pollino, nel 2005, un gruppo di 15 comuni, prevalente montani, avevano optato per tale tipologia presentando, l’anno successivo, una prima istanza che però non ebbe risposta dalla Regione. C’era infatti una diffusa idea (e in gran parte c’è tutt’oggi) che il Distretto Agroalimentare abbia maggiore robustezza e possibilità di sviluppo di un distretto rurale e tale incertezza si è rivelata il più delle volte un’inutile motivo di disputa

interna e conseguentemente fattore di confusione e rallentamento dei percorsi di defi nizione delle candidature. In realtà considerare un tipo di distretto (il DAQ appunto) superiore ad un altro (distretto rurale) è un serio errore, indubbiamente frutto della scarsa conoscenza di questi strumenti aggregativi. Un DAQ è certamente da preferire in un’area dove sono già presenti condizioni di agricoltura forte con diverse fi liere ben avviate e un tessuto imprenditoriale denso e dove le aziende sono in regime di interscambio e cooperazione ben consolidato. In una tale situazione lo strumento distrettuale, servirà a fare il salto di qualità defi nitivo, assicurando all’insieme delle aziende, il miglior quadro operativo proprio in conseguenza di applicare tutte le agevolazioni sopra menzionate.Ma quando l’ambito geografi co in esame, non presenta tutte queste caratteristiche di intensità produttive, allora l’opzione per la forma

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distrettuale rurale è al contempo scontata ma ance la più conveniente. Il DR infatti si propone come un grande contenitore dove trovano posto tutte le risorse e le produzioni oggetto di possibili azioni di valorizzazione, incluse, se presenti delle produzioni locali tipizzate, magari già organizzate in fi liere. Il lavoro del DR però sarà orientato non solo agli aspetti delle produzioni agroalimentari ma a tutti i patrimoni che possono divenire fonte di opportunità di reddito e di sviluppo. Ed è proprio questa visione integrata ed ampia che lo contraddistingue e ne determina un’implicita forza che non ha nulla di meno di un DAQ. Il messaggio sulla valenza specifi ca dei DR, è arrivato e si sta diffondendo in molte delle aree interne regionali che per loro natura presentano le caratteristiche idonee per tale tipo di aggregazione. In Provincia di Cosenza, tra la fi ne del 2009 e l’inizio del 2010, proprio usufruendo dell’esperienza tracciata dai 15 comuni del Pollino, ben tre DR in contemporanea sono stati auto-identifi cati dai partenariati che hanno dato vita ad appositi comitati promotori e divenuti poi in breve termine, altrettante candidature presentate alla Regione. Così, con deliberazione della Giunta regionale del 25 marzo 20110 e pubblicato nel BUR Calabria il 30 aprile 2010 i tre Distretti Rurali (interamente compresi nel territorio della provincia di Cosenza) sono stati riconosciuti e istituiti con le seguenti denominazioni:• Distretto Rurale del Pollino – versante Calabro

(vale a dire la nuova versione, aggiornata e ampliata – 34 comuni – della precedente iniziativa del 2005) ;

• Distretto Rurale dell’Alto Jonio Cosentino (16 comuni);

• Distretto Rurale della Sila (19 comuni); Tutti e tre i Distretti nascono come proposte elaborate e condivise dai partenariati locali, composti da Comuni, Comunità Montane, Enti Parco Nazionali della Sila e del Pollino,

rappresentanze degli interessi economico-sociali del territorio. Nondimeno vanno segnalati altri casi di DR che stanno in questi mesi defi nendo i loro percorsi di candidatura, facendo ben sperare verso un recupero di considerazione di questo tipo di aggregazione distrettuale che in Calabria ha sicure prospettive di moltiplicazione. Tra i progetti di DR in fase di approvazione, troviamo quello del Distretto Rurale di Qualità “Viva” di Vibo Valentia promosso dall’amministrazione provinciale; quello delle Serre Calabresi e dell’Alta Locride a cavallo tra le Provincie di Catanzaro e Reggio; il DR montano del Basso Reggino e quello dell’Aspromonte occidentale – “La Piana del Tauro”, tutte e due in Provincia di Reggio Calabria.Tornando a rifl essioni sui contenuti e impostazioni della Legge Regionale, di rilevante c’è senz’altro da evidenziare, l’approccio scelto dal legislatore calabrese. Nella L.R. 21/2004 infatti si è voluto intendere questo strumento come forma di “governance” territoriale optando per un modello gestionale di tipo duale (il più effi ciente in relazione all’architettura delle norme nazionali in materia di agevolazioni specifi che). Per ciascun distretto pertanto, deve essere costituito un organismo di gestione “a due teste” composto da: • un organo di rappresentanza e di responsabilità,

denominato Comitato di distretto, nel quale sono coinvolti tutti gli enti amministrativi locali (Comuni, Province, consorzi, comunità di vario genere, enti parco, ecc.), rappresentanti delle imprese delle associazioni di categoria, incluse le Camere di Commercio, delle Università e degli enti di ricerca, rappresentanti degli ordini professionali, dei sindacati e delle associazioni di cittadini con adeguati livelli di rappresentatività;

• un organismo attuatore, la Società di Distretto che raggruppa in maggioranza le imprese e svolge le attività previste dal piano strategico di sviluppo del Distretto (Piano di Distretto),

periodicamente concertato con il Comitato e la Regione.

Il Comitato di Distretto si occupa di svolgere tutti quei ruoli di indirizzo, supervisione e concertazione tra soggetti che hanno funzioni di interesse pubblico, collettivo, o di rappresentanza. La funzione della Società di Distretto (ovvero l’entità effettivamente responsabile della concreta attuazione dei contenuti condivisi del Piano e in cui si esprime il tessuto produttivo privato locale), è quella di pianifi care, gestire, coordinare e verifi care le attività e la realizzazione dei progetti distrettuali. In particolare, le attività principali svolte sono:• promozione del distretto (organizzazione e

partecipazione a fi ere ed esposizioni);• ricerca di fi nanziamenti per lo sviluppo di

progetti;• gestione dei progetti di ricerca e sviluppo fi nanziati;

• gestione dell’osservatorio del distretto;• trasmissione di informazioni alle aziende;• cura dei rapporti tra le aziende e tra queste e

COMITATO DI DISTRETTO

FUNZIOINI• indirizzo• consultazione• supervizione

COMPOSIZIONERappresentantiregionali, provinciali, delleComunità Montane, rapprersentantidegli altri Enti locali,Consulta dei Comuni,Enti di ricerca,Associazioni di categoria

SOCIETÀ

FUNZIOINI• p red i spor re tutti gli strumenti necessari all’attuazione del Piano• attuare leiniziative progettuali previste

COMPOSIZIONE

• Assemblea dei soci• Presidente• C.d.A.• Direzione amm.va• Direzione tecnica

l’ente «distretto», stimolando la partecipazione alle attività distrettuali e la realizzazione di attività comuni, agendo come animatori e da punto di riferimento del distretto.

COME SI FINANZIA IL DISTRETTOLe opportunità di fi nanziamento delle azioni previsto dal Piano di Distretto sono molteplici. Il primo canale fi nanziario di riferimento deriva dagli strumenti normativi regionali; pur non essendo prevista una specifi ca dotazione fi nanziaria a favore dei Distretti, la normativa regionale prevede la possibilità che la Regione possa fi nanziare progetti di sviluppo elaborati dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità elaborati, attraverso strumenti di programmazione negoziata, dalle amministrazioni, dagli enti e dai soggetti, pubblici e privati, interessati. Per quanto riguarda le fi nalità dei progetti fi nanziabili la legge regionale traccia degli obiettivi precisi: a) favorire i processi di coesione e correlazione tra i diversi settori produttivi presenti all’interno dei distretti rurali ed agroalimentari di qualità;

Anno 2010 - n° 3 37Anno 2010 - n° 336

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l’aliquota unica di distretto, l’assenza di controlli per tre anni e la contrattazione diretta con il settore bancario per l’accesso ad appositi canali di credito agevolato. Tali norme sono state esplicitamente confermate dall’art. 3 della Legge n. 33/20095. Opportunità fi nanziarie derivanti dalla normativa comunitaria. Un discorso a parte meritano le opportunità per i distretti rese disponibili dalla programmazione dei fondi europei per il periodo 2007-2013, sia in ambito di politiche di sviluppo rurale che di coesione, invero strettamente collegate. Il PSR 2007-2013 della Calabria prevede infatti degli strumenti di approccio integrato, quali i “Progetti integrati di fi liera” ed i “Progetti integrati per le aree rurali”, che ben si adattano alle attività messe in campo dai distretti. Si tratta di accordi sottoscritti dagli operatori (pubblico-privati) del sistema agroalimentare e rurale per il conseguimento di obiettivi comuni e condi-visi, fi nalizzati a garantire una metodologia di approccio settoriale (PIF) e territoriale (PIAR) e la realizzazione del rafforzamento dell’integrazione di fi liera e del territorio rurale. Relativamente alla politica di coesione, il POR FESR regionale può contribuire sia allo sviluppo di sistemi innovativi integrati e supportare la ricerca – ambito di sicuro interesse per i distretti agroalimentari di qualità e di fi liera – nei settori agroalimentare, forestale e dell’acquacoltura, che alla Tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dei territori ricadenti nei distretti.

*Esperto in Sviluppo Locale

BIBLIOGRAFIA

• Alessandro Pacciani (2003), “Distretto Rurale della Maremma: dalla proposta alla realizzazione”, Atti dell’Accademia dei Georgofi li, Anno 2002, vol. XLIX, Firenze

• Giovanni Belletti e Andrea Marescotti (2007), Il distretto come modello di governance .

• Giovanni Giulisano e Claudio Marcianò (2008), I distretti rurali in Calabria, a cura di Giovanni Giulisano e Claudio Marcianò, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, edizione Kalit, 2008.

• Legge regionale 13 ottobre 2004, n. 21 «Istituzione dei distretti rurali ed agroalimentari di qualità. Istituzione del distretto agroalimentare di qualità di Sibari».

• LEGGE REGIONALE 31 marzo 2009, n. 6 Modifi che ed integrazioni alla legge regionale 13 ottobre 2004, n. 21 «Istituzione dei distretti rurali ed agroalimentari di qualità. Istituzione del di-stretto agroalimentare di qualità di Sibari».7-4-2009 - 8294 Supplemento straordinario n. 1 al B. U. della Regione Calabria - Parti I e II - n. 6 del 1 aprile 2009

• Matteo Guccione - (2009) La stagione dei Distretti - Rivista n. 2/2009 dell’ UNCEM.

• Matteo Guccione - (2009) Sviluppo Rurale: è tempo dei distretti - Rivista del Turismo n. 4/2009 del Touring Club Italia

• Poalo Careri e Roberto Saija (2008), Analisi della normativa sui distretti rurali ed agroalimentari di Poalo Careri e Roberto Saija, par 3.5 in “I Distretti rurali in Calabria”, a cura di Giovanni Giulisano e Claudio Marcianò, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria.

• UNIONCAMERE (2004), I Distretti Rurali ed Agroalimentari di Qualità in Italia.

b) sostenere la creazione, riorganizzazione ed il completamento, in ambito distrettuale, delle fi liere produttive agroalimentari; c) incentivare le attività volte a garantire la sicurezza degli alimenti e la loro tracciabilità, anche al fi ne di elevare gli standard qualitativi delle produzioni agricole ed agroalimentari e favorire la loro penetrazione nei mercati nazionali ed internazionali; d) contribuire al mantenimento ed alla crescita dei livelli occupazionali del settore, anche attraverso la valorizzazione delle risorse umane disponibili mediante qualifi cati pro-grammi di formazione, fi nalizzati alla stabilizzazione dell’occupazione; e) effettuare il monitoraggio delle problematiche socio-economiche, culturali, ambientali di ogni distretto, con speciale riferimento alla individuazione dell’esistenza di eventuali fattori negativi che possono impedirne o ritardarne lo sviluppo; f) favorire la creazione e il miglioramento di strutture produttive ed infrastrutture di ser-vizio adeguate per le esigenze funzionali dei distretti.» Esistono, inoltre, diverse canali di fi nanziamento potenziali per la realizzazione del Piano di distretto, opportunità fi nanziarie che un distretto approvato offrirebbe ai territori ed agli attori interessati,

2. Careri P., D’Angelillo E., Guccione M., Marcianò C., Il percorso distrettuale ed il modello di governance, in Gulisano G., Marcianò C. (2008), I distretti rurali in Calabria, aspetti teorici, metodologici ed applicativi, Editrice KALìT .

3. L. n. 80/2005, “Conversione in legge, con modifi cazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”. L’ art. 10, comma 5 va a modifi care l’art. 66, comma 1, della Legge n. 289/2002, “Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2003)”

nell’ottica di un approvvigionamento fi nanziario autonomo. Di seguito se ne presenta una breve rassegna2. A seguito di diversi interventi normativi operati dal legislatore nazionale negli ultimi anni, la forma distrettuale gode di canali preferenziali di fi nanziamento, come il “contratto di distretto” - assimilato al “contratto di fi liera” dalla Legge n. 80/20053 -, il quale permette di ottenere, presentando un piano di investimenti, una quota fi no al 25% dell’aiuto ammesso sotto forma di contributo in conto capitale ed una quota di fi nanziamento agevolato che non può essere inferiore al 25% dell’investimento; le agevolazioni possono inoltre coprire il 100% degli inve-stimenti destinati alla ricerca, alla promozione e all’assistenza tecnica6. Con la Legge Finanziaria 20064, si sono aggiunte una serie di particolari agevolazioni fi scali, amministrative e fi nanziarie, come ad esempio

4. Legge n. 266/2005, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finan-ziaria 2006)”. Per le agevolazioni fi scali e fi nanziarie in oggetto si rimanda all’art. 1, commi da 366 a 372. Si sotto-linea inotre che le stesse sono state confermate con l’art. 1, comma 489 della Legge n. 296/2006, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2007).

5. “Conversione in legge, con modifi cazioni, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”.

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L’INNOVAZIONEIN CALABRIA

La capacità di innovazione rappresenta un fattore fondamentale per assicurare la competitività delle imprese e garantire la loro permanenza effi cace su mercati

di riferimento sempre più globali, complessi, dinamici e competitivi. Tale aspetto appare ancor più decisivo nell’attuale momento storico che vede tutti i principali Paesi industrializzati in un contesto di marcata crisi economica, in riferimento alla quale solo i sistemi economici che sapranno attrezzarsi con le necessarie capacità tecnologiche potranno uscire dalla fase recessiva ed avviare un percorso di crescita virtuoso. I dati e le performance nazionali mostrano, tuttavia, una condizione strutturale di insuffi cente attenzione del sistema economico nazionale nei confronti delle opportunità legate agli investimenti in innovazione; condizione che si accentua analizzando le performance innovative del sistema imprenditoriale calabrese che ne contrassegnano una diffi coltà di dar vita a nuovi modelli di business vincenti. Come evidenziato anche nel Rapporto Annuale sull’Innovazione 20091 curato dalla Fondazione COTEC2 e presentato presso il Ministero degli Affari Esteri, nonostante i trend positivi che hanno caratterizzato il periodo 2000-2006 con un miglioramento della propensione del sistema imprenditoriale ad investire in R&S3 nonché a sviluppare della capacità tecnologica codifi cabile ed esportabile (come evidenziato da un saldo della Bilancia Tecnologica dei Pagamenti

1. Il rapporto ha come obiettivo l’analisi del posizionamento competitivo dell’Italia rispetto alle principali economie mondiali con riferimento ai principali indicatori legati i processi competitivi del sistema nazionale, quale gli investimenti in R&S, i risultati dei processi d’innovazione, la formazione e il ruolo del Settore Pubblico a sostegno della Ricerca e dell’Innovazione

2. Fondazione per l’Innovazione Tecnologica, nata nel 2001 con lo scopo di rafforzare la competitività tecnologica del nostro Paese. La Fondazione, attraverso un mandato istituzionale che prevede attività di studio, dialogo, progettualità e comunicazione, agisce sia come motore di azioni fi nalizzate al miglioramento della competitività tecnologica dell’Italia sia come sede dell’incontro e del coordinamento tra i principali attori italiani del Sistema dell’Innovazione

3. Caratterizzato da un aumento del 25% degli addetti alla R&S industriale e da un incremento del contributo privato nella spesa pubblica in R&S

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positivo a partire dal 2006), l’Italia consolida il suo posizionamento agli ultimi posti tra i Paesi europei in termini di spesa in R&S rapportata al PIL e di numero di addetti impiegati nel settore. Analizzando i dati della European Innovation Scoreboard 20094, che rappresenta il quadro di valutazione dell’innovazione europea, è possibile notare come gli effetti della congiuntura economica globale ha comportato per i Paesi dell’area Euro delle performance inferiori rispetto agli altri Paesi industrializzati. Con riferimento all’Italia ne ha implicato un’ulteriore arretramento di un posto rispetto al 2008, confermandola, ormai stabilmente, agli ultimi posti tra gli innovatori moderati. I dati dell’EIS, come indicato nel Graf. 15 che compara i valori del 2009 con quelli del 2008 (evidenziati con colore grigio), attestano che:− Danimarca, Germania, Finlandia, Regno Unito e

Svezia si confermano “Innovation leaders”, intendendo con tale denominazione i Paesi che si sono distinti per le migliori performance.

− tra i Paesi con valori superiori ma prossimi alla media europea (“Innovation followers”), si posizionano Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Slovenia.

− tra i “Moderate innovators”, vale a dire i Paesi con valori più bassi ma prossimi alla media europea, vi sono Grecia, Italia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna e Ungheria.

− i Paesi “Catching-up”, ovvero quelli che hanno ottenuto valori inferiori alla media dell’UE-27, sono Bulgaria, Lettonia e Romania, i quali si stanno, però, impegnando duramente per colmare il divario che ancora li separa dagli altri Stati membri dell’Unione europea.

La relazione sottolina come Bulgaria e Romania si sia distinte per aver fatto registrare le prestazioni più rapide nel campo dell’innovazione nell’ambito dell’UE-27, accompagnate da Cipro ed Estonia che continuano la loro corsa a ritmi elevati avviata nel 2008.

Sempre all’interno del documento, l’OCSE sottolinea che i fi nanziamenti a favore di ricerca e sviluppo sono generalmente i primi a subire tagli al delinearsi di una crisi economica, come dimostrato dai dati del primo trimestre del 2009 che hanno riportato in generale una riduzione dei fondi per l’innovazione. Tuttavia poiché i dati su cui si basa lo Scoreboard del 2009 si riferiscono al 2007 e al 2008, non catturando appieno gli effetti della crisi sul contesto economico e dell’innovazione, per valutarne gli effetti la Commissione Europea ha svolto nell’aprile 2009 un’indagine ad hod, i cui risultati vengono riportati nella relazione. I dati più sorprendenti riferiscono che, contrariamente alle attese, le imprese più impegnate sotto il profi lo dell’innovazione hanno ridotto, o programmano di ridurre, le spese in innovazione in misura inferiore rispetto al resto delle imprese e che l’entità di tali

riduzioni non hanno caratterizzato particolarmente le piccole imprese rispetto quelle medie o grandi. I dati dell’Indagine congiunturale di Unioncamere sulle PMI manifatturiere del gennaio 2010 hanno mostrato che il 38,7% delle imprese6 del settore ha effettuato degli investimenti nel 2009, contro il 36% del 2008, di cui il 35,2% ha dichiarato di aver realizzato investimenti superiori al 2008 ed il 31,2% in misura uguale, mentre solo il 32,9% ha dichiarato che pur avendo investito ne ha ridotto l’entità rispetto all’anno precedente.

Graf. 2 - Principali destinazioni degli investimenti nel 2009 e nel 2010 (distribuzione % risposte di imprese che dichiarano di effettuare investimenti)

L’indagine sulle medie imprese industriali di Mediobanca-Unioncamere del febbraio 2010 ha evidenziato che per esser pronte a cogliere i segnali di ripresa le medie imprese continuano ad investire: l’80% dichiara di aver effettuato investimenti nel 2009 o di volerlo fare entro la fi ne dell’anno. In particolare, circa il 74% di medie imprese ha effettuato investimenti nel 2009 e il 64% dichiara di volerne realizzare nel 2010. Tali investimenti sono stati e saranno fi nalizzati prevalentemente all’introduzione di nuovi macchinari o apparecchiature elettroniche e all’introduzione di soluzioni ICT. Il 45% delle imprese avvierà nuovi

progetti e attività che si avvalgono di servizi e tecnologie informatiche, mentre una su tre (37%) investirà in prodotti e tecnologie per il risparmio energetico e ridurre l’impatto ambientale. Quasi il 60% delle medie imprese considera la qualità e l’innovazione tra le principali fonti di vantaggio competitivio per fronteggiare la concorrenza, locale e soprattutto internazionale: nel dettaglio, un’impresa su due (48,4%) punterà su una strategia basata su qualità, design e affi dabilità tecnica delle produzioni, mentre oltre una impresa su dieci sulla valorizzazione della propria capacità innovativa (anche attraverso i brevetti e i marchi). La lettura di questi dati ci fa ben sperare sull’avvio di un percorso di apertura delle imprese verso una premiante logica e prospettiva di strategia di innovazione, solo attraverso la quale sarà possibile ripartire in maniera più costruttiva dai postumi della crisi. Una situazione che potrà essere superata solo se ci sarà un’azione mirata e convergente tra il sistema imprenditoriale e quello pubblico. L’European Innovation Policy Progress Report7 in Italy 2009 ha riportato che nonostante il tasso d’innovazione registrato resti al di sotto della media europea, iniziano a farsi sentire le misure intraprese dal governo nel quadro della concreta politica di sostegno all’innovazione, avviate a partire dal 2006. I settori che più hanno sofferto, con conseguente riduzione degli investimenti destinati all’innovazione, sono il tessile e il metalmeccanico, seguiti da agroalimentare, costruzioni, vendite al dettaglio e all’ingrosso e dal chimico. Il rapporto evidenzia la scarsa valorizzazione del capitale umano, il mancato

4. L’European Innovation Scoreboard (EIS), utilizzato per la prima volta nel 2001, è il rapporto curato dalla Commissione Europea sull’attività innovativa svolta nei Paesi dell’Unione, i cui indicatori riguardano i prodotti dell’innovazione, l’innovazione non tecnologica e il settore dei servizi. L’EIS 2009 contempla 29 indicatori legati all’innovazione e alle analisi delle tendenze per i 27 Stati membri dell’UE oltre a Croazia, Islanda, Norvegia, Serbia, Svizzera e Turchia. Gli indicatori appartengono a tre categorie principali: una categoria dedicata a risorse umane, fi nanza e sostegno, una dedicata a investimenti solidi, collegamenti e imprenditorialità e l’ultima dedicata agli “output” innovatori ed effetti economici.

5. La tabella riporta, leggendo da sinistra verso destra, i Paesi in ordine cre-scente per competitività

6. Gli investimenti sono stati effettuati prevalentemente da imprese medio- grandi con una percentuale del 50,2% contro il 26,4% delle piccole imprese

7. L’INNO Policy Trendchart fornisce ai responsabili delle politiche di supporto all’innovazione, sia a livello nazionale che a livello locale, un’analisi dello scenario comunitario delle politiche di sostegno all’innovazione; inoltre

fornisce esempi e casi di successo al fi ne di orientare il sostegno al rinnovamento dei processi produttivi nonché adottare e immettere sul mercato prodotti e servizi innovativi. Il rapporto Italy 2009 fa riferimento ai mesi compresi dal luglio 2008 al giugno 2009.

8. La Strategia di Lisbona ha come fi nalità quella di sostenere l’occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale per fare dell’Europa “l’ecomonia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”

Graf. 1 - Summary Innovation Index (SII) - anno 2009

Fonte: European Innovation Scoreboard 2009Terrenie fabbricati

10,4

49,353,1

21,517,6

4,2 4,8 6,38,9

2009 2010

7,2 8,3 8,4

Automezzi e veicoli

Softwarespecialistici eserv. informatici

Marchie brevetti

AltroMacchinari eapparecchiatureelettriche

Fonte: Mediobanca-Unioncamere, Indagine sulle medie imprese industriali, febbraio 2010

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scambio di conoscenza tra sistema produttivo e centri di ricerca, la diffi denza delle imprese verso progetti di collaborazione imprenditoriale e trasferimento tecnologico. Come già indicato, nel documento si attribuisce una valutazione positiva alle azioni intraprese dalle istituzioni centrali che, a partire dal 2006 hanno messo in campo un’articolata politica di sostegno all’innovazione prevedendo, tra le varie misure adottate, l’esistenza di incentivi automatici destinati alla R&S, l’adozione di linee guida per la ricerca e la sperimentazione, la valorizzazione dei distretti considerati “eccellenti”, la creazione di una Agenzia Nazionale per l’innovazione con lo specifi co compito di valutare e valorizzare i risultati della ricerca. Tuttavia, il rapporto sottolinea che l’effi cacia delle misure adottate in sede istituzionale, sia a livello locale che nazionale, viene infi ciata dalla frammentarietà e dallo scarso coordinamento della rete di sostegno all’innovazione, la cui limitatezza infl uisce negativamente sui potenziali risultati, per cui in conclusione invita ad intraprendere necessarie azioni correttive in tal senso.

L’ATTIVITÀ DI RICERCA & SVILUPPO La scarsa propensione dell’Italia nei confronti dell’innovazione è comprovata dalla bassa percentuale di investimenti in ricerca ed innovazione.La spesa per la ricerca si distingue in:• Spesa per la ricerca intra-muros: si tratta della

spesa in attività di ricerca scientifi ca e sviluppo sperimentale (R&S) svolta dalle imprese e dagli enti pubblici con proprio personale e con proprie attrezzature.

• Spesa per la ricerca extra-muros: che indica invece la spesa per attività scientifi ca e sviluppo sperimentale (R&S) commissionata a strutture esterne.

Nel 2007 l’incidenza complessiva della spesa italiana in R&S intramuros sul Prodotto Interno Lordo (PIL) è stata pari all’1,18%, con un valore pari a circa 18.231 milioni di euro, confermando

l’enorme scostamento dall’obiettivo del 3% fi ssato nel 2000 dalla Strategia di Lisbona8.Tuttavia, rispetto al 2006, vi è stata una crescita della spesa in R&S in termini assoluti pari a 1.396 milioni di euro, corrispondenti ad un aumento dell’8,3%, il quale è stato generato da un incremento del 15,3% delle spese effettuate dalle imprese (pari a 1.244 milioni di euro), in controtendenza alla diminuzione degli investimenti effettuati delle Amministrazioni pubbliche (-8,7%) e il lieve aumento degli investimenti realizzati dal mondo universitario (+ 7,8%) e dalle istituzioni non profi t (+1, 1%). L’analisi dei dati su macro-area geografi ca mette in evidenza che il valore della spesa in R&S del Centro e del Sud e Isole rimane sostanzialmente invariata al 2006 mentre l’area geografi ca che ha registrato un maggiore incremento di investimenti nel 2007 è stata quella del Nord-Est (+25,69%), seppure quella più attenta agli investimenti in innovazione si conferma il Nord-Ovest, con una spesa complessiva in R&S pari a 6.729 milioni di euro.Analizzando a livello regionale la spesa intramuros in R&S sul PIL si può notare il dato sorprendente della regione Veneto che è passata dallo 0,7% del

2006 ad un valore pari al 3,6%, superando persino l’obiettivo del 3% fi ssato dal Trattato di Lisbona.Per quanto riguarda la Calabria, anche nel 2007 la nostra regione si conferma alla penultima posizione, con un valore di spesa in R&S pari allo 0,5% sul PIL regionale (nonostante l’incremento del 7,29% rispetto al precedente anno), posizionandosi davanti al solo Molise (0,4%) e a pari merito con la Valle d’Aosta (che nel 2006 ricopriva l’ultima posizione in graduatoria). Si deve tuttavia sottolinare che rispetto al 2006 vi è stato un incremento della spesa in R&S pari al 9,8% per un valore complessivo pari a 13.680 mgliaia di euro, dovuto ad un aumento degli investimenti a carico del sistema imprenditoriale calabrese (+18,03%) e del mondo universitario calabrese (+14,4%) in controtendenza rispetto agli investimenti in innovazione delle Amministrazioni Pubbliche (-16,4%) e delle istituzioni no-profi t (-7,23%).

Un altro indicatore per valutare la propensione all’innovazione di un territorio è rappresentato dal numero di addetti9 impiegati in R&S.Nel 2007 sono stati impiegati in Italia complessivamente 208.376,2 addetti (+8,5% rispetto

Tav. 1 - Spesa per R&S intra-muros per settore istituzionale e area geografi ca italiana. Anno 2007 (dati in milioni di euro)

CATEGORIA ANNO NORD-OVEST NORD-EST CENTRO SUD E ISOLE ITALIA

Amministrazioni pubbliche2007 368.378 729.569 1.199.600 346.710 2.644.2572006 463.499 407.273 1.462.224 564.094 2.897.090Variaz -95.121 322.296 -262.624 -217.384 -252.833

Is tuzioni private non profi t 2007 437.217 52.101 65.739 82.154 637.2112006 421.393 60.276 67.395 81.168 630.232Variaz 15.824 -8.175 -1.656 986 6.979

Imprese2007 4.720.489 2.182.033 1.547.336 1.004.798 9.454.6562006 4.326.140 1.735.737 1.295.911 852.545 8.210.333Variaz 394.349 446.296 251.425 152.253 1.244.323

Università 2007 1.203.764 1.055.229 1.470.419 1.765.832 5.495.2442006 1.087.809 994.166 1.403.094 1.612.600 5.097.669Variaz 115.955 61.063 67.325 153.232 397.575

Totale2007 6.729.848 4.018.932 4.283.094 3.199.494 18.231.3682006 6.298.841 3.197.452 4.228.624 3.110.407 16.835.324Variaz 431.007 821.480 54.470 89.087 1.396.044

Spesa R&S (% PIL)2007 1,37 1,15 1,28 0,87 1,182006 1,33 0,96 1,33 0,88 1,14Variaz 0,04 0,19 -0,05 -0,01 0,04

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati ISTAT

Graf. 3 - Spesa per R&S intra-muros per area geografi ca italiana. Anno 2006 e 2007

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati Istat

Graf. 4 – Addetti in R&S per area geografi ca. Anno 2007 (unità espresse in equivalenti tempo pieno)

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati Istat

9. I consulenti che operano all’interno di imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni private non profi t nello sviluppo delle attività di R&S vengono considerati a tutti gli effetti personale di ricerca.

Anno 2010 - n° 3 45Anno 2010 - n° 344

Page 24: Il direttore responsabile · rappresentato dalla congiungente Maida-Stalettì e quello meridionale dal piano della Limina. Nel suo perimetro sono compresi parti di territorio di tre

al 2006) con un maggiore peso dell’area Nord ovest (32,10%) rispetto alle altre aree nazionali. Di questi 208.376,2 addetti, il 45% opera all’interno di imprese, il 34% nelle Università, il 17% nelle Amministrazioni Pubbliche e il restante 4% nelle istituzioni non profi t. L’analisi dei dati conferma l’impegno avviato nel 2007 dal Veneto con un aumento del numero di addetti in R&S per ogni 1.000 abitanti pari al 202,2% rispetto al 2006, attestando un valore pari a 8,4. In Calabria, il numero di addetti in R&S è rimasto sostanzialmente invariato al 2006: 1838,4 addetti parti allo 0,9 impiegati ogni 1.000 persone. Le principali variazioni riguardano la composizione degli addetti: nel 2007 l’unico incremento di addetti in R&S si è verifi cato nel sistema universitario calabrese (+31,7 addetti) che ha compensato i saldi negativi degli altri settori: -17,9 addetti nella Pubblica Amministrazione, -8,7 addetti nelle istituzioni non profi t, -0,3 addetti nelle imprese.

LA TUTELA DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALEE’ già stata evidenziata la diffi coltà delle imprese italiane di tradurre le conoscenze e l’innovazione in capacità tecnologica codifi cabile ed esportabile, anche se le imprese incominciano a comprendere la necessità di affrontare la crisi, e in generale il contesto globale in cui si trovano a dover quotidianamente competere, attraverso una strategia che punti alla valorizzazione della proprietà intangibile. Come emerge dall’Indagine sulle medie imprese industriali realizzata da Mediobanca e Unioncamere nel febbraio 2010, il marchio e l’immagine aziendale stanno

depositate in Italia ripercorre lo stesso trend: la percentuale media del contributo calabrese nel periodo 1997-2009 supera di poco lo 0,7 % per ridursi allo 0,3 % nel 2009.Com’è possibile notare dalla Tav.5, anche le tre province con le migliori performance nel

complessivamente depositate nel 2009), con la provincia Reggio Calabria che passa dalle 12 domande del 2007 a nessun modello depositato nel 2009.Pressochè irrisorio anche il peso delle domande di disegni in Calabria, che solo negli anni 2006, 2008

Tav. 2 – Spesa in R&S in Calabria. Anni 2006 e 2007

PERIODO DI RIFERIMENTO

Valori assolu (migliaia di euro)Spesa R&S (%

PIL)Amministrazioni

pubbliche

Is tuzioni private non

profi tImprese Università Totale

2007 17.341 124 12.736 122.845 153.046 0,52006 20.746 448 10.790 107.382 139.366 0,4

Variazione -3.405 -324 1.946 15.463 13.680 0,1Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati Istat

acquisendo sempre più una maggiore importanza, soprattutto nei settori tradizionali del Made in Italy10. I dati diffusi dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con l’Uffi cio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) sui depositi effettuati dalla Calabria dimostrano la scarsa incidenza della nostra regione sul complesso dei depositi nazionali con un peso medio dello 0,05%. Il trend tendenzialmente positivo dei depositi di marchi avviatosi a livello nazionale dal 1997 (con l’eccezione degli anni 2001 e 2002), ha subito un lieve cambio di tendenza nel biennio 2008/2009, contrariamente alla Calabria che ha cominciato il suo trend negativo a partire dal 2007, rispetto al quale nel 2009 si è verifi cata una variazione pari a -12,95% e un decremento di 50 depositi). Nel 2009 tra le province calabresi quella che ha depositato il maggior numero di marchi è Cosenza, con 114 domande e un peso pari al 34%, seguita da Reggio Calabria e Catanzaro (che hanno depositato entrambe 86 depositi, pari al 26%). Fanalini di coda, Crotone (con 23 brevetti pari al 7%) e Vibo Valentia (con 27 brevetti pari all’8%). Per il 2009 bisogna, tuttavia, evidenziare che Catanzaro e Reggio Calabria hanno avuto, contrariamente alle altre province, un incremento del numero di domande depositate, rispettivamente pari all’8,9% e al 21,12%.Il peso dei modelli di utilità depositati in Calabria rispetto al numero complessivo di domande

Cosenza

Catanzaro

Reggio di Calabria

Crotone

Vibo Valentia

Graf. 7 - Distribuzione del numero dei marchi depositati nl 2009 per provincia calabrese

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati del Ministero delloSviluppo Economico-Uffi cio Italiano Brevetti e Marchi

10. Si è passati dal 18% nel 2008 al 22% nel 2009 degli intervistati che ne hanno dichiarato l’importanza e la necessità di porre attenzione a marchio e immmagine aziendale

Tav. 3 - Domande depositate per modelli di utilità in Italia negli anni 1997-2009

Province e Regioni 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Cosenza 12 6 9 7 4 3 6 5 6 10 3 5 1

Catanzaro 12 14 4 6 7 12 5 3 4 6 4 1 3

Reggio di Calabria 8 8 12 8 7 9 5 8 6 15 12 4 0

Crotone 0 0 0 0 0 0 1 0 0 3 0 4 0

Vibo Valen a 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 2 5 3

CALABRIA 32 28 25 21 18 24 18 17 17 34 21 19 7

ITALIA 3.652 3.452 3.423 3.124 2.914 2.798 2.723 2.407 2.139 2.820 2.540 2.184 2.283

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati del Ministero dello Sviluppo Economico-Uffi cio Italiano Brevetti e Marchi

periodo considerato (Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza) nell’ultimo biennio hanno ridotto in maniera considerevole il numero dei modelli di utilità depositati (solamente 7 le domande

Tav. 4 - Domande depositate per disegni in Italia negli anni 1997-2009

Province e Regioni

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Cosenza 1 1 1 1 1 0 0 3 0 6 1 8 6

Catanzaro 1 0 5 1 2 2 2 0 2 3 0 4 3

Reggio di Calabria 1 1 1 0 3 2 2 0 0 6 3 2 7

Crotone 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1 1 1

Vibo Valen a 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1

CALABRIA 3 2 7 2 6 4 4 3 2 18 5 15 18

ITALIA 2.225 2.428 2.337 2.472 2.455 2.592 1.571 1.122 1.018 1.677 1.441 1.216 1.241

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati del Ministero dello Sviluppo Economico-Uffi cio Italiano Brevetti e Marchi

e 2009 riesce a raggiungere i valori più alti del periodo di riferimento (rispettivamente 18, 15 e 18 disegni depositati). Anche in merito al deposito di invenzioni, le province più attive dell’ultimo biennio sono state Cosenza e Catanzaro che assieme hanno rappresentato il 63,6% nel 2008 e il 75,8% nel 2009 del numero complessivo di invenzioni depositate in Calabria.Si può notare inoltre come il numero complessivo delle invenzioni depositate in Calabria abbia avuto nel 2009 un incremento del 12,7% (pari a 7 depositi) rispetto al 2008. In particolare, a fronte di un decremento delle province di Cosenza, di Vibo Valentia e Reggio Calabria (rispettivamente pari a 7, 5 e 3 domande in meno depositate in rapporto al 2008), la provincia di Catanzaro ha presentato un

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incremento pari al 158,3% (pari a 19 invenzioni), rappresentando il 50% del totale delle domande calabresi. Infi ne, con riferimento ai dati sul numero di brevetti europei presentati dalla Calabria all’Uffi cio Brevetti Europeo, si può notare il peso estremamente esiguo delle domande calabresi rispetto al totale dei brevetti presentati in Italia (con un contributo medio dello 0,2%).Da osservare come anche le tre province Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria, da sempre le più attive,

sostanzialmente di marchi di fabbrica e disegni industriali.

• servizi con contenuto tecnologico (services with a technical content), ovvero servizi che pur non costituendo un effettivo trasferimento di tecnologia, consentono di incrementarne il potenziale mediante l’acquisizione di abilità tecniche.

• ricerca e sviluppo realizata/fi nanziata a/dall’estero.

Nel 2009 il saldo della BTP (dato dalla differenza tra gli incassi e i pagamenti relativi alle transazioni con l’estero per scambi di tecnologia) è stato pari a 374.435 mila euro registrando, tuttavia, un decremento del 54,20% rispetto al 2008.Il dato deriva da una contrazione degli incassi del 12,2% (pari a 513.335 mila euro) che non è stato seguito da una corrispondente riduzione dei pagamenti (solo il 2,1% pari a 70.915 mila euro). La demografi co ISTAT (media di inizio e fi ne periodo)

Il dato procapite nazionale tiene conto dei brevetti esclusivamente italiani e non di quelli degli stranieri che hanno brevettato in parnership con gli italiani.

La Bilancia Tecnologica dei PagamentiLa Bilancia Tecnologica dei Pagamenti (BTP) registra i fl ussi di incassi e pagamenti riguardanti le transazioni con l’estero di tecnologia non incorporata in beni fi sici, nella forma di diritti di proprietà industriale e intellettuale, come brevetti, licenze, marchi di fabbrica, know-how e assistenza tecnica. In base allo schema suggerito dall’OCSE, i componenti principali della bilancia quattro sono:• commercio in tecnologia (trade in technics), che

rappresenta il nucleo centrale delle transazioni internazionali in tecnologia, quali trasferimenti di brevetti, invenzioni e know-how ed i relativi diritti di sfruttamento.

• transazioni riguardanti la proprietà industriale (transactions involving trademerks, designs, patterns), le quali non fanno direttamente riferimento alla conoscenza tecnologica, ma spesso ne implicano un trasferimento: si tratta

penultimo per i pagamenti effettuati. Analizzando la ripartizione degli incassi per settore di servizio si può notare come il 77,5% degli introiti derivi da Studi Tecnici ed Engineering (49,84%) e da Servizi di Ricerca e sviluppo (27,6%), generando un valore assoluto pari a 2.851.610 migliaia di euro.Per quanto riguarda i proventi generati della Calabria nel 2008, sono entrate in cassa 2.970 migliaia di euro, derivanti per il 65% (pari a 1.942 migliaia di euro) da Studi Tecnici e Engineering, mentre il 26% è stato generato complessivamente da Servizi di Ricerca Sviluppo (15%) e Cess/Acq di Marchi di Fabbrica, Modelli e Disegni (11%). Con riferimento all’analisi dei pagamenti ripartiti per settore, si evince come nel 2008 l’Italia abbia acquistato dall’estero principalmente Regolamenti tecnologici (21,59%), Servizi di ricerca e sviluppo (20,52%), Diritti di sfruttamento Marchi di fabbrica, Modelli e Disegni (19,65%) e Studi Tecnici ed Engineering (17,8%), che hanno complessivamente comportato una spesa pari a 2.628.677 euro, rappresentando il 79,6% degli esborsi nazionali.ll territorio calabrese continua ancora a dimostrarsi scarsamente interessato all’acquisto di tecnologia dall’estero, pesando per appena lo 0,6 % (pari a 1.985.000 euro) sulla spesa nazionale e confermandosi al penultimo posto tra le regioni italiane, davanti alla sola Basilicata.Oggetto di transazioni per il 41% i Servizi di Ricerca e Sviluppo e per il 42% gli Studi Tecnici ed Engineering, per un valore complessivo pari a 1.655.000 euro, i quali tuttavia non rappresentano che lo 0,1% dei pagamenti nazionali relativamente alla stessa categoria di servizi.

Fonte: Osservatorio EconomicoUnioncamere Calabria 2010

Tav. 5 - Numero di brevetti europei pubblicati dall’EPO (European Patent Offi ce). Anni 1999-2008

Province e regioni

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 20081999-2008

Cosenza 2 4 2 0 4 1 5 7 6 4 34

Catanzaro 0 3 1 2 1 2 2 0 3 1 14

Reggio di Calabria 2 0 1 1 2 2 1 0 6 4 18

Crotone 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 2

Vibo Valen a 0 1 0 0 0 0 0 1 0 1 3

CALABRIA 5 8 4 2 6 5 8 8 14 10 71

SUD E ISOLE 90 105 109 101 125 111 133 153 176 189 1.294

ITALIA 2.772 3.032 3.086 3.269 3.350 3.844 3.819 4.056 4.226 4.365 35.819

Stranieri che hanno

breve ato in partnership con italiani

37 47 37 44 46 67 48 62 58 58 502

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati dell’Osservatorio Brevetti Unioncamere su dati EPO (European Patent Offi ce)

hanno subito tra il 2007 e il 2008 un calo delle domande pari a 2 unità, mentre dopo 8 anni di assenza di richieste di brevettazione europea nel territorio crotonese, nel 2008 è stato depositato un brevetto. (*) Popolazione residente media annua da bilancio

Tav. 6 - Numero di brevetti europei pubblicati dall’EPO (European Patent Offi ce). Anni 1999-2008. Valori per milione di abitanti (*)

Province e regioni

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Cosenza 3 5 3 0 5 1 7 10 8 6

Catanzaro 0 8 3 4 2 5 5 0 8 3

Reggio di Calabria

4 0 2 1 4 4 2 0 10 6

Crotone 6 0 0 0 0 0 0 0 0 6

Vibo Valen a 0 6 0 0 0 0 0 6 0 3

CALABRIA 2 4 2 1 3 2 4 4 7 5

SUD E ISOLE 4 5 5 5 6 5 6 7 8 9

ITALIA 49 53 54 57 58 66 65 69 71 73

Fonte: Osservatorio Brevetti Unioncamere su dati EPO (European Patent Offi ce)

Tav. 7 - Bilancia tecnologica dei pagamenti. Serie storica Calabria, Sud e Isole, Italia. Anni 2006-2008 - (Dati in migliaia di euro)

2006 2007 2008

Incassi Pagamenti Saldi Incassi Pagamenti Saldi Incassi Pagamenti Saldi

CALABRIA 410 1.321 -911 1.458 2.217 -759 2.970 1.985 985

SUD E ISOLE 55.105 98.197 -43.092 64.214 103.263 -39.049 57.576 108.716 -51.140

ITALIA 3.960.172 3.180.541 779.631 4.191.921 3.375.053 816.868 3.678.585 3.304.138 374.435

Fonte: Elaborazione di Unioncamere Calabria su dati dell’Uffi cio Italiano dei Cambi, La Bilancia dei Pagamenti della Tecnologia, 2008

Calabria contribuisce al saldo nazionale della BTP solo per lo 0,02% (collocandosi al penultimo posto in graduatoria tra le regioni italiane con saldo positivo, davanti solo alla Basilicata) e si posiziona al quart’ultimo posto per gli incassi registrati e al

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TERRA, ACQUA FUOCO, CERAMICAIL LICEO ARTISTICO DI VIBO VALENTIA IN MOSTRA ALLA CAMERA DI COMMERCIO

Mettere in comunicazione scuola e territorio, dare visibilità e valorizzazione all’impegno e alle competenze di giovani studenti, promuovere il risultato di un’offerta

didattica e formativa creativa e di qualità, incentivare la conoscenza delle realtà scolastiche e delle loro potenzialità in un ambito di alternanza scuola-lavoro. Da questo nasce l’idea della Camera di Commercio di Vibo Valentia, d’intesa con il Liceo Artistico cittadino, di trasformare un percorso di approfondimento alla cultura dell’arte, interno alla scuola, in un progetto di condivisione più diffusa di esperienze e risultati. Il progetto del Liceo Artistico “Terra-Acqua-Aria-Fuoco-Ceramica”, curato dai docenti Enrico Gaccetta, Agostino Caracciolo, Antonio Polistena, coordinati dal Prof. Giovanni Vergine, diventa, nel suo epilogo, una pregiata mostra dei manufatti in ceramica creati, e impreziositi sotto l’aspetto decorativo, dai ragazzi impegnati nello specifi co programma di perfezionamento tecnico e culturale. La mostra è stata realizzata nella sede della Camera di Commercio; i lavori, oltre 90 pezzi di varia forma e dimensione, testimoniano -nella pregevole fattura, nell’armonia cromatica, nella precisione dei decori- impegno, cura e perfetta manualità. Capacità e competenze che, trasferite in questo percorso didattico dai docenti agli studenti, diventano per questi ultimi non solo verifi ca curriculare, ma soprattutto patrimonio di abilità e di potenzialità professionali da spendere nel mercato del lavoro, anche e soprattutto, in forme produttive di autoimpiego. Non solo dunque la valenza estetica delle produzioni artistiche ha mosso la Camera di Commercio ad ospitare gli interessanti lavori, quanto piuttosto il progetto più vasto, complementare e non disgiunto, di premialità della dedizione e del talento, di divulgazione dei saperi, di rappresentazione della possibilità di convertire inclinazioni personali in attività imprenditoriali, favorendo, anche così, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro innovativo e competitivo, in stretto collegamento con il sistema scolastico che dei cambiamenti e delle evoluzioni della società, della cultura, dell’economia è attore e coprotagonista naturale e necessario.

51Anno 2010 - n° 3

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Il Liceo Artistico Statale di Vibo Valentia è nato a seguito della riforma dell’Istruzione Secondaria Superiore, che ha

trasformato i vecchi Istituti d’Arte in Licei. La Scuola è stata, dal momento della sua istituzione, che risale agli anni 60, una importante risorsa per un territorio ampiamente caratterizzato dalla presenza di rilevanti reperti e testimonianze storico-artistiche. Essa ha consentito a tantissimi giovani di acquisire competenze specifiche e altamente specialistiche grazie alle quali oggi essi possiedono o lavorano in laboratori artigianali e studi artistici o insegnano in istituti scolastici. Molti hanno proseguito gli studi con successo nell’indirizzo specifico (Accademie di Belle arti - Facoltà di Architettura) o in varie facoltà universitarie. Alcuni, infine, grazie alla frequenza di corsi post-diploma di breve durata, si sono specializzati in settori di grande interesse quali il restauro dei mobili

antichi, il restauro del libro, la serigrafia, l’incisione, ecc..,

con immediato inserimento nel mondo del lavoro. Cinque

sono i percorsi di studio che i ragazzi possono intraprendere

iscrivendosi alla Scuola: Arti

l Liceo AVibo Valentdella riforSecondaria

trasformato i vin Licei. La Smomento dellrisale agli annrisorsa peampiamentdalla prereperti storico-arconsentitgiovani competealtamengrazie possiedin labostudi ain istihannocon suspecifdi BelArchitfacoltàAlcunifrequendiplomsi sonsettori quali il

antichi, ila serigra

con immnel mondo

sono i percragazzi pos

iscrivendosi

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ceramica della Grecia classica. La fase più entusiasmante e coinvolgente del percorso è stata sicuramente quella che ha coinvolto i ragazzi nelle varie fasi di lavorazione che hanno portato ala realizzazione dei manufatti e delle relative decorazioni, sperimentando così tutte le possibilità tecnologiche, creative ed espressive offerte dal materiale ceramico. Nella prima fase del progetto sono state realizzate varie tipologie di vasellame ( crateri a calice, crateri a volute, anfore, piatti e ciotole) con le relative decorazioni a tema mitologico, attraverso la tecnica decorativa “a graffito” su rivestimento non vetroso. Successivamente, l’ambito della ricerca è stato ampliato, prendendo in considerazione produzioni e tradizioni più vicine nello spazio e nel tempo al fine di documentare lo sviluppo dell’arte ceramica nei suoi aspetti estetici e tecnologici. Naturalmente, la scelta dei modelli non poteva che cadere su Faenza (importantissimo centro di produzione ceramica) e, in particolare, su alcune maioliche del XV secolo, che hanno offerto ai ragazzi la possibilità di sperimentare le potenzialità cromatiche dei vari materiali attraverso le tecniche sopra-smalto e sotto-vernice. Naturalmente, durante il percorso non sono mancate difficoltà, ma queste sono state superate con spirito creativo, soprattutto da parte degli studenti, i quali si sono accostati per la prima volta all’arte della ceramica con entusiasmo e con una naturale curiosità di conoscenza, sperimentando sia i successi sia le delusioni che essa spesso riserva anche agli artisti più esperti.

*Dirigente ScolasticoLiceo Artistico Vibo Valentia

figurative, Architettura e Ambiente, Design, Grafica e Audiovisivo - multimediale. Questi indirizzi sono caratterizzati dallo studio di materie comuni nel biennio e dalle discipline più specialistiche negli ultimi tre anni di corso , durante i quali gli studenti, oltre a proseguire lo studio delle discipline fondamentali quali l’Italiano, l’Inglese, la Storia, la filosofia, la Matematica, la Chimica, la Storia dell’Arte, ecc., svolgono un consistente numero di ore di attività di progettazione e di laboratorio nell’ambito dei vari indirizzi, acquisendo, oltre alle conoscenze teoriche, effettive competenze e abilità operative. L’Istituto dispone di laboratori ben attrezzati, che vanno dai tradizionali laboratori linguistici e informatico – multimediali ai laboratori specifici di Pittura, Ceramica, Restauro del mobile, Restauro del Libro, Disegno dal Vero, Architettura e Arredo, Animazione filmica.

IL PROGETTOTra le principali finalità del nuovo Liceo Artistico di Vibo Valentia, oltre all’innalzamento della qualità dell’offerta formativa, vi è la sensibilizzazione degli studenti - e di tutti i cittadini - alla cultura dell’arte, alle bellezze e alle testimonianze culturali del territorio, nonché alle varie forme dell’espressione artistica contemporanea. In questo contesto è nato il progetto “Terra-acqua-aria-fuoco-ceramica”, mirato ad offrire agli studenti di tutti gli indirizzi dell’Istituto l’opportunità di conoscere il prezioso patrimonio artistico- culturale in cui affonda le proprie radici la nostra civiltà, per riscoprire e consolidare la propria identità culturale, punto di partenza per un possibile sviluppo del territorio. Tale consapevolezza è stata acquisita dai ragazzi mediante un intenso lavoro di ricerca sugli aspetti storico-artistici della produzione

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*di Bruno Vellone

MASTRO PEPPE E IL SUO MESTIERE DI MANNESE

Nonostante il duro lavoro che ne ha caratterizzato l’esistenza, la parabola umana di mastro Peppe detto “mastro Stivaleda” racchiude

in se tutte le sfumature dell’animo autentico di chi, nei boschi ha vissuto con profondità e saggezza succhiando alla propria forza e alla natura, madre o nemica, il midollo della vita. Il duro mestiere di “mannese” di mastro Peppe affonda le radici nell’antichità e trova le sue origini nella fi gura che sta a metà tra l’artigiano e l’artista, il quale opera con fatica e sudore, con il solo contributo dell’esperienza e della pratica acquisita da generazioni, per sagomare a occhio il legno per mezzo dell’ascia serrese.Durante l’infanzia, le possibilità di studiare erano poche e le necessità erano tante, per questo alla tenera età di 10 anni, Giuseppe incominciò ad aiutare il papà nei boschi della Sila, dove viveva in baracche di legno con la propria famiglia che partiva da Serra San Bruno a primavera, quando la natura sembra svelare la ricetta della rinascita, e vi faceva ritorno a Natale. «Le baracche di legno – racconta mastro Giuseppe - che spesso dovevano proteggerci da un freddo polare generato da tre metri di neve, erano composte da quattro stanze e la cucina e le intercapedini venivano riempite da segatura che fungeva da isolante per il freddo e l’umidità.Il ritmo della vita di allora era scandito dal levarsi del sole e dal suo tramonto, infatti iniziavamo il lavoro a cottimo alle cinque del mattino per terminare il turno lavorativo alle diciotto».Il lavoro di mastro Stivaleda consisteva nello squadrare a mano con l’ascia serrese le travi per le coperture delle costruzioni, le traverse per i binari della ferrovia dello Stato e i cosiddetti “bordonali”, cioè pezzi di abeti dell’altezza da 6 a 16 metri che diventavano gli alberi maestri

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delle navi della Regio Marina.«Usavamo – ricorda l’anziano mannese – un fi lo bagnato da una spugna impregnata di un terriccio rosso che ci permetteva di segnare le misure e i bordi dove intagliare poi con l’ascia».La produzione delle traverse, avveniva per mezzo di un procedimento particolare che incominciava con la restrizione della base di querce secolari con l’ascia e poi, con il loro successivo abbattimento per mezzo di una grande sega manuale detta “struncaturi”; dal tronco, infi ne, si segnavano e si estraevano il numero e le dimensioni delle varie traverse che venivano dapprima lavorate con la sega e successivamente rifi nite a mano con l’ascia serrese. Le traverse cosi ultimate venivano collaudate da un ingegnere che ne stabiliva la loro destinazione.«Lavoravamo – spiega mastro Peppe – con l’ascia serrese che era costruita dagli artigiani di Serra San Bruno e che si caratterizzava per l’occhio di ferro nel cui foro veniva inserito il manico in legno, mentre la parte tagliente era di acciaio che veniva lavorato e temprato a seconda del tipo di lavoro che dovevamo svolgere. Il manico era in acacia, faggio o leccio».C’erano quindi asce serresi per la squadratura dei tronchi, per la pulizia dei nodi e per la pulizia dei ceppi, mentre l’apposita ascia per il legno di abete era temprata in maniera più resistente proprio per la particolarità morfologica di questo legno. «La nostra – rimembra ancora mastro Stivaleda - era una vita sacrifi cata, da Serra San Bruno verso la Sila e ritorno, ci sposavamo per mezzo di un autonoleggio, mentre in montagna ci spostavamo a piedi e nessuno mandava i propri fi gli a scuola perché era necessario che tutti lavorassero per i bisogni della famiglia». In quegli anni la Sila sembrava una enorme periferia in eterno fermento, carbonai, boscaioli, mulattieri, mandriani ed ogni genere

di lavoratori prestavano la propria attività, spesso anche sotto caporalato e in condizioni di sfruttamento. Gli operai lavoravano per il puro soddisfacimento dei bisogni esistenziali che li costringeva a diventare serbatoio di manodopera a basso costo di cui si avvalevano i baroni proprietari terrieri. I lavoratori, infatti, facevano la spesa nelle spezierie dei baroni e ogni sei mesi, al momento di riscuotere la paga per il lavoro prestato, lasciavano la differenza come dovuto per l’acquisto di generi alimentari presi per il sostentamento della famiglia, esisteva quindi una sorta di doppio sfruttamento da parte dei ricchi possidenti. Dopo aver lavorato per quaranta anni in Sila e successivamente in molti altri cantieri, mastro Giuseppe “Stivaleda” si gode il meritato riposo, il simbolo più emblematico del suo duro lavoro oltre che nei pensieri lo porta nelle mani che rievocano la forma dell’impugnatura del manico dell’ascia serrese.Il contributo artigianale di mannese che “mastro Giuseppe” ha dato al territorio vibonese è da considerarsi quasi unico, infatti nell’universo calabrese dei legno oltre a racchiudere nei suoi gesti la memoria storica di questo antico mestiere, ne costituisce, attraverso i suoi lavori, che oggi come allora si possono apprezzare nel territorio che fu dei Bruzi, l’espressione più viva. Dai locali rustici che ospitano noti ristoranti dal soffi tto in castagno con la travatura a faccia vista, alle coperture lignee delle splendide chiese barocche del comprensorio serrese, le tappe presso le quali è possibile vedere i suoi lavori sono veramente tante e tutte rendono omaggio a questo antico mestiere di cui Giuseppe “Stivaleda” rimarrà per sempre un maestro.

* Storico© foto: Studio Bruno Tripodi - Serra San Bruno

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*di Giacinto Namia

BENEDETTO MUSOLINOPARABOLA DI UN’UTOPIA POLITICA

Quando io andavo a la scuola di legge vi conobbe un giovane calabrese del Pizzo a nome Benedetto Musolino, di molto ingegno, ma pieno di strani disegni

arditi”: così nelle Ricordanze della mia vita Luigi Settembrini inizia il capitolo La Giovane Italia, la setta segreta fondata da Benedetto Musolino. In realtà la vera denominazione della setta era Figliuoli della Giovane Italia; il nome la Giovane Italia designa l’associazione

segreta di Giuseppe Mazzini, dalla quale la setta mussoliniana si distingueva, a parte la profonda diversità di carattere dei due fondatori, sia per l’impostazione ideologica sia per la struttura organizzativa. Settembrini era stato compagno di studi di Musolino a Napoli tra il 1829 e il 1830 nella scuola privata dell’abate Domenico Furiati; erano stati poi insieme in carcere a Napoli negli anni 1839-1841, in seguito a un tentativo di insurrezione promosso dalla

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setta e fallito. Nella rievocazione che fa alcuni decenni dopo nelle Ricordanze, Settembrini sottolinea signifi cativamente accanto al “molto ingegno” gli “strani disegni arditi”. In realtà Musolino inseguì e disegnò, in particolare nella sua fervida giovinezza, progetti utopici pressoché irrealizzabili. Benedetto Musolino nacque a Pizzo Calabro (provincia di Vibo Valentia) l’8 febbraio del 1809 da una famiglia di notevoli tradizioni patriottiche. Fu alunno del Real Collegio Vibonese, attuale Liceo Ginnasio “M. Morelli”, di Monteleone (oggi Vibo Valentia). Si presume che questo Istituto era stato già frequentato anni prima da Michele Morelli che partecipò ai moti napoletani del 1820 e che, in seguito al loro fallimento, fu processato e condannato a morte (1822); e può darsi che la vicenda del patriota vibonese abbia infl uito sulla formazione del giovane Musolino. Nell’anno scolastico 1827-28 egli seguì, come si ricava da un suo quaderno di appunti, con particolare interessasse le lezioni di fi losofi a di Onofrio Simonetti, docente in quell’istituto, appassionandosi allo studio, tra gli altri, dei fi losofi calabresi Telesio e Campanella e alle teorie degli Enciclopedisti; dovette venire negli stessi anni in contatto con le dottrine illuministico-massoniche. Abbiamo già accennato al periodo napoletano in cui dovette maturare il nucleo essenziale del suo pensiero: l’ideale di una repubblica democratica possibilmente egualitaria. Nel 1830 fu arrestato perché ritenuto liberale sospetto, ma rimase poco tempo in carcere. Nel giugno dl 1832 compì viaggi in Egitto, in Turchia e in Palestina; probabilmente nacque in quel tempo il primo germe del suo futuro interesse per la questione ebraica. Negli anni successivi, 1832-34, Musolino fondò la già citata setta dei Figliuoli della Giovane Italia; molto più tardi puntualizzerà così le ragioni che lo indussero

a fondare la setta: “L’idea di fondare la setta della Giovane Italia Meridionale surse in me dopo i casi infelici di Romagna del 1831. Un tentativo parziale, fatto da pochi audaci e generosi, non poteva produrre che delle vittime inutili. In simili imprese il trionfo non può ottenersi che col concorso di tutti gli elementi vivi di un’intera nazione. Quindi la necessità di raccoglierli mediante una società segreta organizzata militarmente; la quale non sarebbe scesa nel campo dell’azione che quando il numero degli affi liati avesse presentato la probabilità della vittoria, con uno scoppio serio e simultaneo in tutte le province”. La vita della setta si concluse nel 1839; ma la sua infl uenza nell’Italia meridionale, da Napoli alla Sicilia, fu notevole. La setta aveva come scopo fondamentale il raggiungimento dell’unità politica dell’Italia sotto la forma repubblicana e democratica, ma a questo scopo doveva accompagnarsi, oltre alla conseguente liberazione dalla dominazione straniera, un profondo rinnovamento sociale. Dal punto di vista organizzativo la setta prevedeva due gradi di affi liazione, e solo agli affi liati di secondo grado, denominati Padri della Missione Suprema, era nota la fi nalità della rivoluzione sociale, per evidenti ragioni di opportunità ideologica e politica. Un tentativo di insurrezione compiuto nel 1837 fallì; ma ne conseguì l’arresto di Musolino insieme agli altri compagni, tra i quali Luigi Settembrini, nel 1839. Il fatto determinò la fi ne della setta. Nel 1846 Musolino dovette subire altri quattro mesi di carcere. Riacquistò la piena libertà di azione nel 1848 e fu eletto deputato; ma subito prese posizione contro il re Ferdinando e, in seguito ai fatti del 15 maggio di quell’anno, fi rmò insieme con gli altri una protesta contro il comportamento del re che aveva violato le libertà costituzionali. Si allontanò in seguito da Napoli e partì per la Calabria dove sembrava che la rivolta antiborbonica avesse maggiori

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possibilità di successo. Troviamo più tardi Musolino a Roma nelle operazioni di difesa della Repubblica retta dal triunvirato composta da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi . Dopo la caduta della Repubblica Romana, si recò in Piemonte e di lì passò poi in Francia. Le vicende del 1848-49 col fallimento della prima guerra d’indipendenza spinsero Musolino a rifl ettere sul percorso del suo pensiero e sulla necessità di un affi namento e di un parziale aggiornamento sia del sistema ideologico sia degli strumenti operativi. Scriveva nel primo capitolo della sua opera maggiore Giuseppe Mazzini e i rivoluzionari italiani (1859): “Io sono partigiano tenerissimo del suffragio universale, non solo perché è desso la vera espressione della sovranità del popolo, ma perché è una delle basi sostanziali della uguaglianza civile e politica”. Ma non si nascondeva la diffi coltà e gli ostacoli per una conquista immediata del suffragio universale: il popolo era ignorante e incapace, aveva bisogno di una guida e di un processo di educazione e di preparazione e della maturazione dei tempi. Perciò susseguiva: “Io non veggo la democrazia vera, cioè utile, che là dove il popolo è abbastanza illuminato per poter essere giudice competente nelle questioni politiche, ed abbastanza indipendente da non lasciarsi predominare dai ricchi”.Occorreva come precondizione imprescindibile che il popolo potesse raggiungere un suffi ciente grado di istruzione e godesse di una certa indipendenza economica; ma data l’impossibilità di perseguire tale piano per via democratica, almeno inizialmente la questione veniva affi data a pochi spiriti illuminati e alla dittatura rivoluzionaria; e in questo progetto si ritrovavano con varie sfumature, al di là dei diversi stili di pensiero e di atteggiamenti politici, gli ideologi e gli uomini d’azione più rappresentativi, da Mazzini a Garibaldi a Pisacane, oltre allo stesso Musolino. Sulla

base di tali convinzioni Musolino da parte sua poteva concludere: “Pel perfezionamento del genere umano, ossia per il trionfo ed il consolidamento di una vera rivoluzione io non credo che alla sapienza, alla fermezza, alla disinteressata virtù di pochi uomini, anzi spesso di un uomo solo”. Musolino stette in Francia fi no al 1860. Ebbe tuttavia modo di compiere viaggi in Inghilterra, di avere contatti con uomini politici di orientamento liberale e di riprendere un suo vecchio progetto relativo al popolo ebraico. Musolino riteneva che bisognava creare uno Stato nazionale ebraico in Palestina ed espose questo suo progetto in un’opera rimasta inedita fi no al 1951, Gerusalemme e il Popolo Ebreo. Il progetto si poteva realizzare con l’aiuto della Gran Bretagna.Musolino continuava a seguire le vicende italiane dalle sue postazioni all’estero. Nel 1859, nel bel mezzo degli eventi della seconda guerra di indipendenza, ritenne addirittura di poter proporre a Cavour una spedizione per la liberazione dell’Italia meridionale. Ma Cavour non accolse la proposta ch evidentemente non rientrava allora nei suoi progetti; l’impresa sarà attuata l’anno dopo da Giuseppe Garibaldi con i suoi Mille, e allora il grande ministro non mancherà di far intervenire le truppe piemontesi nell’azione di liberazione dell’Italia centrale e meridionale. Tenne così sotto controllo l’impresa garibaldina, impedendo che assumesse sbocchi rivoluzionari e portasse a complicazioni sul piano internazionale. Garibaldi, partito dallo scoglio di Quarto il 6 maggio 1860, sbarcò a Marsala l’11; ma Musolino, che si trovava in Francia poté raggiungerlo solo il 5 luglio. Garibaldi gli diede il grado di Colonnello Brigadiere e gli affi dò l’incarico di guidare la pattuglia che doveva preparare lo sbarco dalla Sicilia in Calabria; lo sbarco si svolge nella notte tra il 2

Il Triunvirato composta da Aurelio Saffi , Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini

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e il 3 agosto. Musolino fu accanto a Garibaldi nelle operazioni militari effettuate in Calabria e partecipò anche alla battaglia del Volturno e all’espugnazione delle due fortezze di Capua (1-3 ottobre). Dopo la battaglia di Capua entrò nell’esercito regolare con lo stesso grado che aveva nell’esercito garibaldino. Si conserva una fi tta e interessante corrispondenza tra Musolino e Garibaldi relativa a questo periodo, che attesta la stima del generale per il suo colonnello. Non moto tempo dopo Musolino lasciò la vita militare, si ritirò a vita civile e intraprese la carriera politica. Fu eletto deputato al Parlamento nel 1861 nel Collegio di Monteleone e venne costantemente rieletto nello stesso Collegio fi no al 1874; in quest’anno fu inizialmente bocciato nelle elezioni del Collegio di Monteleone ma riuscì a farsi eleggere nelle elezioni suppletive del Collegio di Cittanova. La sua carriera di deputato cessò nel 1880. In Parlamento sedette sui banchi della Sinistra storica a fi anco di Agostino Depretis, Benedetto Cairoli e Francesco Crispi. Nel 1881 fu nominato Senatore del Regno; nel 1883 fu costretto a ritirarsi a vita privata nella sua città natale per le cattive condizioni di salute. Morirà il 15 novembre del 1885. L’attività politica del deputato Musolino non fu particolarmente rilevante; pochi gli interventi in Parlamento e quasi tutti relativi a problemi fi nanziari, tranne quelli dedicati alla trattazione della questione d’Oriente sulla quale era nota la sua competenza specifi ca. Spicca su tutti i suoi interventi il discorso pronunciato nel maggio del 1873 L’Internazionale o la questione sociale. La questione sociale -sostiene Musolino- “antica quanto il mondo” è divenuta nell’epoca moderna “più ardente e minacciosa in quanto che è caldeggiata da turbe di operai sparse fra tutte le nazioni ma in corrispondenza fra loro e legate strettamente allo scopo di emanciparsi

dalla tirannia della proprietà e del capitale”. La diffi coltà di raggiungere questa emancipazione porta all’inasprimento del proletariato “contro il disopotismo della classi favorite”. La questione sociale per Musolino non troverà una soluzione fi no a quando non si realizzeranno questi tre problemi: l’organizzazione razionale del lavoro, la riforma del sistema fi scale e l’istruzione e l’’educazione del popolo. Alcuni anni dopo l’opuscolo La situazione (novembre 1879) Musolino tornerà sull’argomento e sosterrà che la realizzazione di questi tre problemi esige che si individuino personalità di spicco dotate della necessaria preparazione e autorità per imporsi e far da guida. Scriveva a tal proposito: “Il Paese è ammalato, pervertito, trasmodante; e quindi ha bisogno di un medico, di un educatore, di un moderatore”. Come si vede, fa capolino il mito giovanile di Musolino che invocava i pochi eletti e le personalità superiori, ma con quanta tristezza personale e con quale sfi ducia negli uomini che gli stanno attorno. E’ impossibile non ravvisare in questi scritti di un Musolino ormai al tramonto l’involuzione di un pensiero un tempo rivoluzionario e ardimentoso (gli “strani disegni arditi” di cui parlava Settembrini): Musolino si avvia a fare il bilancio di una vita e si accorge che il bilancio, quello suo personale e quello nazionale, è pressoché fallimentare. E’ la delusione storica che accompagno nell’età umbertina tanti spiriti magni del Risorgimento: ieri sulle barricate e costruttori di miti, oggi chiusi in un pessimismo senza sbocchi o accomodatisi a vivere una vita nel grigiore della prosa quotidiana e nello spegnimento progressivo delle tensioni utopiche di un tempo sempre più lontano.

*Storico

A . . . G .

. . D .

. . G .

. . A .

. . D .

. . U .

. .

MASSONERIA UNIVERSALE COMUNIONE ITALIANA

Grande Oriente D’Italia Palazzo Giustiniani

R . . . L .

. . Benedetto Musolino n 1319

- Or .

. .. di Vibo Valentia -

Da famiglia giacobina,

che a partire dal 1799 queste mura bagnò del proprio sangue,

qui nacque e morì

BENEDETTO MUSOLINO

8 febbraio 1809 – 15 novembre 1885.

Tra i primi propugnò l’Unità d’Italia,

tra i primi combattè per la riforma sociale:

per l’emancipazione delle plebi,

per l’emancipazione della donna,

per l’emancipazione degli ebrei,

per la bonifi ca del Mezzogiorno,

per la pace universale e perpetua,

per una costituzione comune a tutti i popoli

che sanzionasse libertà, uguaglianza e progresso civile.

Come Tommaso Campanella

Fu un uomo del suo tempo, del nostro e dei tempi a venire.

Questa lapide il …….

Pose

Testo, per come preparato da Giuseppe Berti,e riportato sulla lapide poi apposta sulle mura del Palazzo Musolino dal Consiglio Regionale della Calabria il 16.11.1985.

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GAELE COVELLISPECIALISTA DI VIGOROSI E ATTRAENTI EFFETTI DI LUCE

Gian Emanuele Covelli, detto Gaele, è uno fra i più interessanti artisti calabresi presenti tra la fi ne dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, celebre, soprattutto, per i suoi ritratti e per le

raffi gurazioni d’ambientazione domestica, ispirate ad un verismo integrale che nulla concede all’invenzione. Le sue opere, infatti, non sembrano riecheggiare di richiami storici, dai quali l’artista invece rifugge; sono piuttosto una narrazione, a mò di cronaca, della vita quotidiana, con le sue vicende consuete, in cui emozioni e sentimenti sono ricondotti ad un’idea trascendente e la realtà rappresentata è contemporaneamente costruzione di un’altra realtà, verosimile e idealmente possibile. “La pittura del Covelli,

*di Michele Lico

La prova dell’abito da sposa. 1902 - Olio su tela cm 165x120.Galleria Nazionale di Cosenza, Palazzo Arnone

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fronte a contingenti diffi coltà economiche, fa il cameriere nella fi aschetteria dello zio Vittorio. Due anni dopo, a soli 16 anni, assecondando le sue inclinazioni artistiche, si iscrive, sempre a Napoli, all’Istituto di Belle Arti seguendo gli insegnamenti di Stanislao Lista, prima, e di Domenico Morelli, poi. Fu quest’ultimo ad introdurlo negli ambienti fi orentini; a Firenze, dove Covelli si trasferisce nel 1897, segue le lezioni di Stefano Ussi e frequenta la cerchia dei pittori post macchiaioli, interessandosi alla pittura di Giovanni Fattori, del quale diviene amico e col quale si trova spesso a discutere d’arte al Caffè “Michelangelo”. Conosce, poi, Gaetano Previati e Giovanni Segantini che cercano di attrarlo, ma senza esito, nel movimento

di Firenze e, quindi, dell’Istituto di Belle Arti di Perugia. Una fi gura ricorrente nei suoi dipinti, soprattutto nella produzione copiosa dei ritratti, fu quella della moglie, Ida Tacchi, fi glia di un noto corniciaio fi orentino, che sposò nel 1905. Nel 1906 partecipa alla Mostra Nazionale di Milano con Autoritratto e Verso l’ignoto. Quest’ultima opera venne realizzata in concomuitanza con l’inaugurazione del valico del Sempione, e In alto, Idillio fugace, olio su tela, cm 192,5 x 110, Bologna, Galleria d’Arte Moderna

Nella pagina a fi anco, Il Pacco Postale Natalizio

divisionista, dal quale Covelli resta distante. Quando l’artista crotonese arriva in terra di Toscana ha già al suo attivo la partecipazione a concorsi nazionali con buoni piazzamenti e alla Promotrice napoletana del 1896 dove riscuote notevole successo col dipinto Contadinella. Nel 1898 esordisce alla Promotrice fi orentina con Scuola di nudo e Patriota, opere particolarmente ammirate e apprezzate. Nel 1899, vince il primo premio al Concorso Baruzzi di Bologna con Idillio fugace; l’opera, ammessa l’anno dopo all’Esposizione Internazionale di Parigi e acquistata in un primo tempo da un mecenate, conte russo Zaubaliff, si ispira a una tematica sociale e, per alcuni, rappresenta il tentativo di superare il verismo morelliano per una pittura più libera e personale. Attualmente il dipinto si trova custodito nella Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Nel Museo di Dresda si trova invece l’opera Pacco postale natalizio, dopo essere stata esposta prima a Firenze e poi ad Amburgo. Fu anche un successo la partecipazione alla IV Biennale Internazionale di Venezia del 1901, con il dipinto Ritratto di signorina inglese che fu considerato “il suo capolavoro”. Il Frangipane parla del grande dipinto come “Opera sapiente davvero, riecheggiante di gusto morelliano assoluto per la giustezza del tecnicismo. Per l’avvicinamento delle pieghe seriche al tipo muliebre fresco e biondo; dettatura calma e gustosa, insomma del possente realizzatore di procaci odalische sommerse in rasi orientali all’epilogo fedele, che si avanza ad intendere certe fi nezze di effetto e di dettaglio certe assonanze orientaleggianti di bianco su bianco e di pallidi celesti con note di biondo oro, come certe sottilità di espressione, di tipo, di essenza psicologica”.La carriera artistica di Gaele Covelli in questi anni è segnata da altre importanti tappe nazionali ed internazionali e si interseca, nel 1902 con la sua carriera accademica che lo vede nominato prima Professore Onorario all’Accademia di Belle Arti di Napoli e, successivamente, Professore Onorario di nella Rerale Accademia di Belle Arti

-diceva, infatti, il Morelli- “è immaginaria e vera ad un tempo”; alcuni suoi lavori, poi, specie i ritratti, risultano molto luminosi, tanto che il Frangipane lo defi nì “specialista di vigorosi ed attraenti effetti di luce”. Gaele Covelli nasce a Crotone il 28 maggio del 1872 da una famiglia di umili origini; il padre Leonardo era un noto e stimato commerciante e la madre, Giuseppa De Filippis, proveniva da una famiglia di artigiani. Covelli rivela fi n da piccolo un notevole talento artistico. Il Frangipane, in una monografi a a lui dedicata nel 1933 e pubblicata dalle Arti Grafi che La Sicilia per conto della Collezione del Giornale Brutium, scrive che da bambino Covelli andava “bighellonando e tracciando sui muri delle case, con pezzi di carbone, la sagoma della Madonna di Capocolonna”. Un’infanza, la sua, fatta di stenti e miserie, tanto che, nel 1886, con il padre si trasferisce a Napoli dove, per far

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*di Michele Lico

Donna che prende il The, cm 24x34 - Olio su tavola Ritratto di anziano, cm 20x31,5 - Olio su tavola

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rappresenta il drammatico viaggio degli emigranti in un vagone di terza classe. Una particolarità originale accompagna quest’opera: il Covelli, per riprodurre fedelmente la scena ambientata in un carrozzone ferroviario, per gentile concessione delle Ferrovie dello Stato, si fa montare un intero vagone nel giardino, sfondando una parete del suo studio. Alfonso Frangipane sottolinea “L’intensità espressiva di alcune fi gure...... fi gure costruite a forza di toni bassi, ocre bruciate, rossi opachi e sanguigni - con effetti radenti delle due luci: quella e fumosa delle lampade ferroviarie ed il barlume violaceo proveniente dall’esterno”. Il Covelli è anche un grande ritrattista. A questo genere si accosta particolarmente dal 1912 quando, recatosi a Londra, viene a contatto con i ritrattisti inglesi, molto apprezzati dall’artista tanto che in una lettera al Frangipane scriveva “Ho imparato molto qui a Londra ..... Ora i miei lavori e specie i ritratti sono più luminosi pur mantenendo i fi ndi scurissimi e quello ho appreso dalla scuola inglese, perchè ritengo che gli inglesi sono i primi ritrattisti al mondo”. A Londra Covelli trova un ambiente favorevole tanto che, nel 1915, apre un suo studio, pur continuando a frequentare costantemente ancora Firenze. L’artista crotonese partecipa a numerose esposizioni e promotrici in Italia e all’estero, così a Bologna, Torino, Londra, Monaco di Baviera, Amburgo, Pietroburgo; particolarmente apprezzate poi le mostre personali di Firenze, Bari, ma anche Catanzaro, Crotone e Reggio Calabria. Nel 1920 partecipa alla Mostra d’Arte Moderna di Reggio Calabria con 25 dipinti, vincendo una grande medaglia d’argendo. Nel 1922 è alla II Biennale di Reggio; tra le opere esposte Abbandonata, Famiglia, Ritratto di suocero, Ritratto della signora Ida Covelli, Ritratto di Oreste Dito. Tra la coopiosa produzione artistica del Covelli si ricorda Gioie materne, Studio

di Bimba, Ritratto dello zio Vittorio, Studio per una testa di Frate (acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione), Paesaggio, Il fattore di casa Bevilacqua, Profi lo di donna, Studio di donna; La modella; La prova dell’abito da sposa; nel 1926, Gelosia di sorelle, Ritratto della Famiglia Chiumminato; Bambina con Bambola, Uno strappo impirovviso. Nel 1930 partecipa alla mostra Sindacale Toscana a Firenze con l’opera Nudo con fi ori e in questa occasione, all’apertura della mostra, viene presentato al Duce. Covelli ebbe apprezzamenti e grandi considerazioni dal punto di vista artistico tanto che le sue opere venivano acquistate a prezzi considerevolmente alti per l’epoca. E alta era la sua fama quando ammalatosi di polmonite, morì il 29 gennaio del 1932 all’Ospedale di S. Maria La Nuova a Firenze. Fu sepolto nel cimitero di Trespiano e sulla lapide della sua tomba è incisa l’iscrizione “Prof. Comm. Gaele Covelli -crotonese di nascita fi orentino d’elezione- devoto agli ideali e alle fatiche. Dell’Arte arricchì di belle immagini la grande tradizione della pittura italiana. La moglie Ida Covelli questa memoria pose”.

Nella pagina a fi anco, l’Abbandonata, 1922, olio su tela, cm 88 x 115Sopra, La Modella

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