Il Dipinto Daltare Del 400

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  • Il dipinto daltarenel Quattrocento

    di Peter Humfrey

    Storia dellarte Einaudi 1

  • Edizione di riferimento:in La pittura in Italia, Il Quattrocento, vol. II, Electa,Milano 1986 e 1987

    Storia dellarte Einaudi 2

  • Indice

    Osservazioni introduttive 4

    Pittori e corniciai 7

    La creazione della pala a Firenze 12

    La monumentalizzazione della pala a Venezia 16

    La sopravvivenza del polittico 20

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  • Osservazioni introduttive

    Di tutti i vari tipi di opere realizzate dai pittori nel-lItalia del XV secolo, il dipinto daltare probabil-mente il pi importante. Per la grande maggioranzadella gente, nel secolo precedente la Riforma, il compi-to pi urgente nella vita, era assicurarsi limmortalitdellanima tramite pratiche devozionali e preghiere perottenere lintercessione divina; e il punto focale di talipratiche di devozione e preghiera era costituito dainumerosi altari e cappelle private, proliferati in ognichiesa nel tardo medioevo. Una delle principali funzio-ni del dipinto daltare fu dunque di contribuire alla sal-vazione fornendo unimmagine in genere una appro-priata schiera di santi cui poter rivolgere preghieredintercessione. Esso rispondeva quindi a un bisognoreligioso fondamentale; e, per lintero periodo che quici interessa, la richiesta di tavole daltare fu cos rego-lare e prevedibile che molte botteghe poterono prospe-rare su questa sola produzione. Inoltre, sebbene lanti-ca arte dellaffresco fosse ancora pi che viva, si puaffermare che la superiore versatilit della pittura sutavola offriva maggiori possibilit di innovazione for-male, rispondendo anche meglio ai particolari gustidevozionali ed estetici dei singoli committenti. Il cre-scente predominio della pittura daltare su quella mura-

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  • le nel corso del XV secolo segna, cos, il definitivo emer-gere del dipinto da cavalletto come principale veicolodella pittura post-medioevale in Europa.

    Nonostante la funzione devozionale dei dipinti dal-tare nellItalia del Quattrocento fosse in linea di massi-ma la stessa ovunque, la loro forma e struttura era note-volmente diversa da una regione allaltra, secondo i gustie le tradizioni locali. Essi inoltre mutarono radicalmen-te nel corso del secolo. Due tipi di pale daltare raffigu-rate sullo sfondo di opere realizzate in un unico centroartistico, Siena, possono servire a illustrare il passaggiodal tipico polittico trecentesco alla pala unificata delRinascimento. Lornamento dellaltare nelle Esequie diSan Francesco del Sassetta (Londra, National Gallery,1437-1444) consiste in un trittico raffigurante la Vergi-ne con il Bambino e due Santi al di sopra di una predel-la priva di raffigurazioni, con laggiunta di altre imma-gini di piccole dimensioni nelle cimase. Il trittico fian-cheggiato da pilastri di rinforzo che terminano in cuspi-di con motivi ornamentali ai vertici; anche le colonnet-te che dividono i tre pannelli principali proseguono, aivertici, in decorazioni alte ed esili; e ulteriori ornamen-ti allestremo della cimasa ne continuano leffetto ver-ticale. I profili degli archi cuspidati delle sei tavole sonodecorati con volute dacanto. Le aggraziate forme goti-che e la ricca doratura del legno creano un perfetto com-plemento sia alle immagini sacre che si stagliano sulfondo oro, sia allarchitettura della finta cappella (anco-ra gotica in spirito, per quanto mostri archi a tuttosesto).

    Anche il soggetto della pala daltare che figura alcentro del Conferimento della porpora cardinalizia a EneaSilvio Piccolomini del Pintoricchio (Siena, Duomo,Libreria Piccolomini; 1502-1509) di nuovo la Verginecon il Bambino in trono tra due Santi. Ma qui le tre figu-re principali sono rappresentate in un unico campo pit-

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  • torico, chiuso in una cornice classicheggiante costituitada una base (corrispondente alla predella), da due lese-ne laterali e da una trabeazione. La cornice sottolineacon forza il concetto albertiano del piano pittorico comefinestra attraverso cui lo spettatore guarda in un mondoseparato, a tre dimensioni e internamente coerente;nello stesso tempo, le sue proporzioni e la decorazioneclassicheggiante la legano visivamente al contesto archi-tettonico della corte papale, dipinto in uno spirito pie-namente rinascimentale. Il valore di questi due esempista nel mostrare i dipinti daltare del XV secolo comedovevano essere visti, combinati a cornici architettoni-che elegantemente scolpite, e concepiti quali forti cen-tri visuali dellarchitettura circostante. Sfortunatamen-te, solo una minima parte dei numerosi dipinti del gene-re giunti fino a noi sono ancora visibili nel loro conte-sto. La maggior parte di essi stata trasferita dalle chie-se ai musei, e le cornici originali sono perdute; le tavo-le di molti polittici e le predelle di numerose pale sonoandate disperse; e anche quando le opere sono rimastein situ, il mutare del gusto nei secoli ha spesso trasfor-mato il contesto architettonico attorno ad esse. Tutta-via, rimasto, pi o meno intatto, un numero di dipin-ti daltare sufficiente a permetterci di verificare la gene-rale esattezza delle immagini senesi, per quanto gli esem-pi che esse mostrano siano del tutto immaginari. Il trit-tico del 1435 di Bicci di Lorenzo, ad esempio, che si puancora ammirare nella sua sede originaria, entro la quat-trocentesca chiesa di SantIppolito a Bibbiena (Casen-tino), una versione solo un po pi elaborata del trit-tico immaginario del Sassetta, con unaggiunta di figu-rine dipinte nella carpenteria e nelle tavole della pre-della. Similmente, la pala di Antonio e Piero Pollaiolo,finita nel 1466 per la cappella del Cardinale di Porto-gallo in San Miniato a Firenze di forma sostanzial-mente uguale a quella raffigurata dal Pintoricchio, e si

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  • inserisce visivamente in modo analogo, in virt soprat-tutto della cornice scolpita da Giuliano da Maiano, nelsuo contesto architettonico e decorativo.

    Tutto questo ci deve far ricordare che i dipinti dal-tare italiani del XV secolo, tanto i polittici quanto lepale, erano pi che meri dipinti; erano immagini didevozione e anche complesse opere di collaborazione trapittori e intagliatori di cornici, cui collaboravano anco-ra altre categorie di artigiani, quali carpentieri e dora-tori. A volte poteva essere coinvolto anche un vero scul-tore, come evidentemente avvenne col polittico di Anto-nio Vivarini del 1464 (Pinacoteca Vaticana), dove loscomparto centrale occupato da una statua lignea.Quando il dipinto era destinato a una costruzionenuova, anche larchitetto poteva essere consultato per ilprogetto. Di conseguenza, lo sviluppo formale del dipin-to daltare non obbed a considerazioni puramente pit-toriche: fu connesso, in misura molto maggiore di ognialtro genere pittorico del XV secolo, agli sviluppi paral-leli dellarchitettura, della scultura e dellintaglio deco-rativo.

    Pittori e corniciai

    Come si realizzava, praticamente, questa collabora-zione?1 Il normale modo di procedere alla realizzazionedi un polittico nei primi anni del XV secolo era, evi-dentemente, identico a quello seguito nel corso del seco-lo precedente e descritto nel Libro dellArte di CenninoCennini. Prima veniva costruita la struttura in legno, poivi si inserivano le tavole da dipingere e le decorazioni aintaglio. In seguito si ricoprivano di gesso e si dorava-no le superfici ad eccezione delle zone da dipingere inpolicromia. Solo allora il pittore dipingeva le tavole.Infine si applicavano altre decorazioni scolpite, quali i

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  • rilievi e le colonnette sovrapposti in genere alla pittura.Cos devono essere stati realizzati il polittico di Bibbie-na di Bicci di Lorenzo, quello di Antonio Vivarini oggialla Pinacoteca Vaticana e anche quello di San Sepolcrodel Sassetta, di cui le Esequie di San Francesco di Lon-dra sono un frammento.

    Sebbene incidentalmente tutti questi siano dipinticonservatori dal punto di vista dello stile, va notato cheil conservatorismo della procedura tecnica, in questicasi, era conseguenza diretta della persistente predile-zione dei committenti per il formato del polittico. Cos,grandi innovatori come Masaccio, Piero della Francescae Mantegna dovettero dipingere le loro figure potente-mente plastiche contro fondi oro e inserirle in preesi-stenti cornici gotiche quando lavoravano in centri arti-stici meno avanzati quali, rispettivamente, Pisa, BorgoSan Sepolcro e Padova. Linevitabile dipendenza dellamisura e della forma degli scomparti dipinti dun polit-tico dal progetto della carpenteria che li incorniciavacomport inoltre la sopravvivenza della procedura tra-dizionale anche dopo la traduzione delle forme dellacornice nel vocabolario decorativo del Rinascimento.Cos, persino la Vergine delle rocce di Leonardo e letavole di Evangelista e Ambrogio de Predis che lac-compagnavano, per quanto ormai a tutto sesto e non pisu fondo oro, erano destinate ad essere inserite in unacornice lignea preesistente. Il fatto che la cornice venis-se prima del dipinto che doveva racchiudere non vale-va solo per i polittici. Per tutto il secolo le pale unifica-te continuarono ad essere destinate allinserimento incornici gi scolpite, e a far loro visivamente da comple-mento. E tuttavia con la creazione della pala questaprocedura non ebbe pi una reale necessit tecnica. Unavolta concordate le dimensioni del campo pittorico, latavola poteva essere dipinta del tutto separatamente, siain senso fisico che temporale, dalla cornice. Il che a sua

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  • volta significava che il committente poteva mettere allavoro il pittore nello stesso tempo, o prima, del corni-ciaio; e poich il dipinto daltare aveva ormai assunto la-spetto pi duna pittura incorniciata che dun elabora-to lavoro dintaglio incastonato in tavole dipinte, inquesta collaborazione il peso principale si venne spo-stando sempre pi verso il pittore. Il variare delle pras-si seguite a seconda delle circostanze rende spesso dif-ficile sapere con sicurezza quale dei due principali col-laboratori abbia avuto la responsabilit del progetto glo-bale di un dipinto daltare. Nei casi di Masaccio, Man-tegna e Leonardo appena citati, chiaro dai documen-ti che i pittori vennero ingaggiati solo una volta com-piuto lintaglio della cornice, e che non ebbero voce incapitolo nella progettazione di essa. Lautore della cor-nice del dipinto leonardesco, Giacomo del Maino, erauno scultore di fama; e il fatto che figure anche pi illu-stri quali Giuliano da Maiano e Giuliano da Sangallosiano documentati come corniciai indica che questartenon era sempre considerata minore, un mero acces-sorio della pittura. Tuttavia in molti altri casi, anche dipolittici gotici, difficile immaginare che i pittori nonfornissero i disegni delle cornici dei loro dipinti. Cosatanto pi probabile se il committente viveva a una certadistanza, come molti clienti di Antonio Vivarini (tra cuila confraternita di Pesaro che gli richiese il polittico oraalla Vaticana), poich doveva ovviamente sembrare piconveniente dare al pittore lincarico dellopera com-pleta, lasciando a lui la responsabilit di subappaltare lacornice a un bravo artigiano. Questo modo di procede-re documentato in diversi casi. Nel giugno 1447, duesettimane dopo essersi impegnato a fornire un dipintodaltare, su disegno convenuto, alla parrocchia diSantAgnese a Venezia, Giambono ingaggi per il neces-sario lavoro ligneo lintagliador Francesco Moranzo-ne. Analogamente, Neri di Bicci nota nelle sue Ricor-

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  • danze di aver commissionato nel novembre 1456 a Giu-liano da Maiano una cornice allantica, da realizzareseguendo le istruzioni oltremodo dettagliate del pittore.Non ci sono documenti sullintaglio della cornice deltrittico del Mantegna in San Zeno a Verona; ma la stret-tissima unit visiva tra il vocabolario decorativo dellacornice e quello del dipinto, e la diretta dipendenza daquestunit dellintero effetto spaziale dellopera, rendeimpossibile pensare che lintagliatore non abbia lavora-to su esplicite istruzioni del Mantegna. Ma la nuova fles-sibilit delle procedure tecniche riguardo alla produzio-ne di dipinti daltare poteva anche portare, allopposto,a un rapporto formale e decorativo molto allentato tradipinto e cornice. La diversit stilistica tra le formearchitettoniche dipinte e quelle della cornice in nume-rose opere di Spanzotti, ad esempio, fa pensare che ilpittore e il corniciaio siano stati ingaggiati dal commit-tente contemporaneamente ma con contratti separati, eche in questi casi la collaborazione non fosse stretta. Lasupposizione che, in realt, nel tardo XV secolo dive-nisse sempre pi usuale per i pittori di pale come dipolittici progettare le proprie cornici, avallata dalle-sistenza dun certo numero di disegni compositivi didipinti daltare che includono le cornici. Un foglio attri-buito a Boccaccio Boccaccino (Oxford, AshmoleanMuseum), ad esempio, mostra un dipinto con un campoquadrato, e una cornice che, in termini generali, dellostesso tipo di quella di Giuliano da Maiano nella cappelladel cardinale di Portogallo, o di quella immaginata dalPintoricchio a Siena. Si noti che le due lesene orna-mentali sono diverse tra di loro, come se lartista voles-se offrire a se stesso, o al suo committente, la scelta trale due possibili soluzioni. Nello stesso tempo, i dettaglidella decorazione sono indicati un po a grandi linee,come se il pittore volesse lasciare una certa libert dimovimento allesperienza professionale dellintagliatore.

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  • In un altro disegno, quello di Alvise Vivarini al castel-lo di Windsor, la cornice continua illusionicamente quel-la dellarchitettura dipinta, alla maniera del trittico delMantegna a San Zeno e di molti dipinti daltare vene-ziani degli ultimi anni del secolo, di Giovanni Bellini eCima da Conegliano, oltre che di Alvise stesso. Il dise-gno conforta cos lipotesi che anche questi pittori sisiano spesso fatti carico delle loro cornici. Infine si devenotare che sia al pittore sia al corniciaio pu essere statoa volte richiesto di conformarsi ad un disegno fornito daun terzo. Un ben noto esempio quello del tabernaco-lo dei Linaioli del Beato Angelico (Firenze, Museo diSan Marco), la cui cornice di marmo fu disegnata daLorenzo Ghiberti, ma eseguita da altri. Meno dimo-strabile lidea che in qualche caso possa essere statocoinvolto larchitetto stesso della chiesa. Questo avven-ne certamente nel XVI secolo, quando architetti comeil Vasari e il Palladio fornivano disegni completati daintere serie di pale daltare, che idealmente dovevanoarmonizzarsi col progetto globale delledificio. Tale filo-sofia delluniformit era sostanzialmente estranea allamentalit dei committenti del XV secolo, che per ragio-ni di gusto e orgoglio proprietario erano normalmenteattenti, al contrario, a che le loro donazioni si distin-guessero da quelle dei vicini. Ma il Vasari e il Palladioerano da questo punto di vista gli eredi del Brunelleschie dellAlberti, i cui ideali estetici sul ruolo architettoni-co di gruppi di tavole daltare riuscirono a volte a rea-lizzarsi. Entrambi gli architetti erano contrari alla deco-razione a fresco di chiese rinascimentali e vedevano inuna serie di dipinti daltare di aspetto architettonicocostante, e distribuiti con regolarit, la soluzione otti-male alla domanda di immagini religiose nelle chiese2.Sembra dunque ragionevole supporre che la notevoleuniformit delle tavole daltare nelle cappelle absidalidella chiesa brunelleschiana di Santo Spirito a Firenze,

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  • bench siano state dipinte molto dopo la morte dellar-chitetto, dipenda in qualche modo da un suo disegno.Similmente, possibile che Bernardo Rossellino, lar-chitetto della cattedrale di Pienza, fedele discepolo del-lAlberti, abbia avuto mano nel progetto dei quattrodipinti daltare, assai simili, che furono installati perordine di papa Pio II nel 14623. Sebbene dipinti daquattro artisti diversi, nessuno dei quali aveva prece-dentemente mostrato n doveva farlo in seguito grande interesse per i canoni progettuali del Rinasci-mento, i quattro dipinti daltare, nel loro complesso,segnano una svolta radicale rispetto alla tipologia sene-se tradizionale, quale rappresentata dal Sassetta nellesue Esequie di San Francesco. Sembra perci probabileche sia stato lideale architettonico di una perfetta omo-geneit formale tra le cornici dei dipinti daltare ed illoro ambiente a portare per la prima volta alla creazio-ne della pala unificata nellambito della pittura senese,comera avvenuto precedentemente in quella fiorentina.

    La creazione della pala a Firenze

    A dispetto del fatto che i polittici continuarono adessere prodotti per tutto il secolo e oltre, il contributotipico del Quattrocento al dipinto daltare fu la crea-zione della pala unificata. Questo avvenne durante glianni Trenta a Firenze4, da dove il nuovo tipo fin perdiffondersi in tutta Italia, subendo lungo la strada, natu-ralmente, numerose modifiche. Il tipo standard di dipin-to daltare fiorentino dinizio secolo emblematizzatodal polittico di Bibbiena di Bicci di Lorenzo del 1435,con la sua molteplicit di pannelli separati. Ma fin dalsesto decennio del Trecento, nel polittico Strozzi del-lOrcagna (Firenze, Santa Maria Novella), le colonnet-te fra le tavole principali sono scomparse, permettendo

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  • a molte figure di varcare i confini dei loro pannelli; que-sto sviluppo fu poi portato avanti nellIncoronazionedella Vergine di Lorenzo Monaco del 1413 (Uffizi), nel-lAdorazione dei Magi di Gentile da Fabriano del 1423(Uffizi) e nella Deposizione del Beato Angelico (Firenze,Museo di San Marco; ultimata negli anni Quaranta, mainiziata molto prima da Lorenzo Monaco). In queste treopere la divisione tripartita della tavola principale ancora segnata dalle cuspidi; ma in ogni caso la rimo-zione delle divisioni verticali crea unampia e ininter-rotta superficie per una scena narrativa a pi figure.Gentile ha tratto pieno profitto dalla libert cos instau-rata per sviluppare un movimento compositivo che dallasinistra del lontano sfondo arriva a destra per tornare dinuovo a sinistra in primo piano, evitando la stasi e lasimmetria che prima erano di norma. Nello stessotempo, questa nuova fluidit tenuta sotto stretto con-trollo dai pesanti contrafforti laterali della cornice; e latriplice cuspide (echeggiata dalla tripartizione della pre-della) serve ancora ad articolare la composizione in ter-mini di superficie. Per quanto lopera di Gentile fosseinnovatrice per il suo tempo, la sua cornice fruisce anco-ra dun vocabolario decorativo di gotica elaboratezza,appropriata in questo al contesto gotico della chiesa diSanta Trinita. Cos, non probabilmente un caso che iprimi esempi di pale racchiuse in cornici classicheggiantifossero destinati a chiese costruite nel nuovo stile clas-sico del Rinascimento. Recenti ricerche hanno rivelatoche un programma di dipinti daltare per la chiesa bru-nelleschiana di San Lorenzo, elaborato nel 1434, speci-ficava che dovessero assumere la forma duna tabulaquadrata et sine civoriis; in altre parole, il campo pit-torico doveva essere rettangolare, unificato, e senzacimase n cuspidi. Purtroppo il progetto di San Loren-zo non fu mai realizzato nella sua interezza di serie; tut-tavia, esso sembra allorigine di almeno un dipinto dal-

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  • tare del nuovo tipo brunelleschiano: lAnnunciazione diFilippo Lippi tuttora nella cappella Martelli. La formadella cornice, che sarebbe ben presto divenuta a Firen-ze quella standard per il resto del secolo, fu in questocaso chiaramente concepita tenendo conto del suo con-testo architettonico, sia in termini di dimensioni (inse-rendosi perfettamente tra laltare e la finestra sovra-stante), che di proporzioni e di disegno architettonico.Nello stesso tempo, il campo pittorico quadrato coscreato, forn al pittore la forma perfetta in cui evocarela sua illusione di spazio tridimensionale tramite la pro-spettiva geometrica. In accordo con la funzione prima-ria del dipinto daltare, di focalizzare le preghiere din-tercessione, i soggetti preferiti dai donatori del XV seco-lo non erano narrativi, come lAnnunciazione o lAdora-zione dei Magi, ma una raccolta di Santi, in compagniadella Vergine e del Bambino. Si trattava sostanzialmentedello stesso soggetto della maggior parte dei polittici delXIV secolo, ma ora, con la creazione della pala, le figu-re iniziarono a comparire insieme nel medesimo spazio,nel tipo di composizione noto come Sacra Conversazio-ne. Di nuovo, non probabilmente un caso che il primoesempio maturo di questo tipo, la pala del Beato Ange-lico per laltare maggiore di San Marco, presumibil-mente del 1438-1440, fosse destinata ad essere vistacontro il fondale duna nuova, classica cappella mag-giore di Michelozzo. Purtroppo la cornice originale diquestopera andata perduta, ma la forma del campopittorico, unita alla forma michelozziana del trono dellaMadonna, implicano chiaramente una cornice del tipodestinato a divenire ben presto canonico. In altri ter-mini, si direbbe che lopera del Beato Angelico sia stataun prototipo non solo per la composizione figurale dellaSacra Conversazione, ma anche per la stretta integrazio-ne tra dipinto e cornice caratteristica della pala rinasci-mentale. La composizione della pala di San Marco e

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  • degli altri primi esempi di Sacre Conversazioni, come lapala di Santa Lucia di Domenico Veneziano (Uffizi) ola pala di Annalena dello stesso Angelico (Museo di SanMarco), non cercano di nascondere il loro rapporto colpolittico tradizionale, con le sue suddivisioni gerarchi-che e la sua enfasi su un pannello centrale, pi grande,contenente la Vergine con il Bambino. Cos larchitettu-ra dipinta nella pala di Santa Lucia, con la sua triplicearcata, le esili colonnette e le nicchie a conchiglia, evocaancora vividamente le strutture lignee che, prima, divi-devano i Santi in compartimenti separati. Questa fun-zione espressiva e decorativa doveva essere condivisaanche dalla cornice originale, andata perduta, le cuiforme sono quasi certamente echeggiate dai capitellidelle colonne e, dietro di esse, dalla trabeazione. Ma importante rendersi conto che la cornice originale dove-va avere altres una rilevante funzione nella creazionedello spazio, poich apparendo come una finestra al dil della quale sembravano mostrarsi i Santi, doveva spin-gere figure e architettura (che ora sembrano corrispon-dere troppo strettamente al piano pittorico, special-mente in alto) molto pi in profondit nello spazio. Unasimile, duplice funzione visiva della cornice evidentenella molto pi tarda Pala Nerli di Filippino Lippi aSanto Spirito, del 1488 circa. Da un lato la corniceecheggia e sottolinea la composizione di superficie deldipinto e il suo vocabolario decorativo, dallaltro segnail limite esterno duna serie concatenata di spazi suc-cessivi che portano locchio verso linterno e lo sfondo,fino alla lontana catena di montagne. La pala di Filip-pino appartiene alla serie destinata alle cappelle del tran-setto della chiesa del Brunelleschi, e sembra probabileche il semicerchio concavo secondo il quale sono dispo-ste le figure, e la contrastante convessit del trono dellaVergine, fossero intese a rispondere alla forma absidaledella cappella stessa. Cos, la forma generale della cor-

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  • nice (anche se certamente non i suoi dettagli n la suadecorazione) risale a un progetto dellarchitetto per quel-lo specifico ambiente. Ma negli anni Ottanta questaforma brunelleschiana era ormai una forma standard,scelta dagli artisti e dai loro committenti anche per chie-se e cappelle costruite a suo tempo in stile gotico. Que-sta doveva gi essere stata la situazione della pala diSanta Lucia di Domenico Veneziano (forse echeggiatanelluso apparentemente anomalo di archi a punta inprimo piano), ed ancora illustrata dallAdorazione deipastori del Ghirlandaio nella cappella Sassetti a SantaTrinita, del 1485. La forma del campo pittorico prefe-rita nelle pale daltare fiorentine rimase per tutto il XVsecolo il rettangolo a sviluppo orizzontale, dilatato tal-volta come nellAdorazione dei Magi di Leonardo del1483 e in quella di Filippino del 1496 (entrambe agliUffizi), a dimensioni monumentali.

    Solo occasionalmente, e in genere in relazione consoggetti quali lAssunzione della Vergine, le pale fioren-tine assunsero il formato verticale che invece si imposea Venezia, e che sarebbe divenuto la norma nel XVIsecolo. Un notevolissimo esempio della diffusione ditipologie fiorentine nellItalia del Nord la serie di paledaltare dipinte negli anni Ottanta e Novanta per lachiesa di San Bartolomeo a Vicenza.

    La monumentalizzazione della pala a Venezia

    Tuttavia, fu solo con lentezza che la pala unificataraggiunse i principali centri artistici dellItalia setten-trionale. In sintonia con lo stile gotico prevalente nel-larchitettura e nella scultura decorativa, la forma stan-dard del dipinto daltare a Venezia ancora negli anniSessanta era quella del polittico, come illustra lesem-plare del 1464 di Antonio Vivarini alla Pinacoteca Vati-

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  • cana. Nel giro di pochi anni, tuttavia, Giovanni Bellinidoveva completamente trasformarne larticolazione,combinando i precedenti fiorentini a una nuova monu-mentalit e stabilendo cos quello che sarebbe stato ilmodello di dipinto daltare del secolo successivo. Il con-tatto tra le esperienze di Firenze e di Venezia fu stabi-lito da due opere realizzate negli anni Cinquanta a Pado-va: laltare maggiore di Donatello al Santo e il tritticodel Mantegna destinato alla basilica di San Zeno, aVerona. Laltare di Donatello, che include un certonumero di statue e rilievi in bronzo, stato molto alte-rato nel corso dei secoli e la sua disposizione originarianon nota con esattezza; tuttavia probabile che le sta-tue fossero in origine distribuite sotto un baldacchinoarchitettonico sorretto da membrature classiche, e chei rilievi fossero collocati nellarea sottostante, corri-spondente alla base5. In altre parole, lopera nel suoinsieme doveva sembrare una versione tridimensionaleduna Sacra Conversazione fiorentina, sul tipo della paladi Santa Lucia di Domenico Veneziano. Lidea essenzialedellopera di Donatello fu tradotta in pittura dal Man-tegna, al cui trittico di San Zeno, che ci rimane com-pleto della sua cornice originaria, si rivolgono in generee giustamente gli studiosi come alla migliore guida perricostruire lassetto originario dellaltare di Donatello.

    Il Mantegna, che solo pochi anni prima aveva inseri-to le sue figure intensamente scultoree nellarcaica cor-nice dun polittico gotico (Milano, Brera), ora le cir-conda della prima maestosa cornice classica realizzata anord degli Appennini. Per quanto lopera sia di fatto untrittico, lespediente di creare una giunzione quasiimpercettibile tra le forme della cornice e quelle del-larchitettura dipinta riesce a produrre unillusione dispazio tridimensionale continuo, ancora pi efficace chenella precedente pala fiorentina, dove larchitetturadipinta (come nella pala di Santa Lucia) spesso dispo-

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  • sta a quinte parallele al piano del dipinto. Il Mantegnasottolinea ulteriormente lillusione dello spazio-scatolaabbassando drasticamente il punto di vista in modo dafarlo corrispondere allaltezza dellocchio duno spetta-tore reale nella chiesa. In contrasto con Firenze, la tra-sformazione del dipinto daltare nellItalia del nord nonfu la diretta conseguenza dun nuovo stile rivoluziona-rio nel costruire le chiese, ma piuttosto degli interessiantiquari e del rigore intellettuale di Mantegna pittore.Il trittico di San Zeno fu dipinto per un antico edificioromanico e il formato richiesto dal committente erachiaramente del tutto tradizionale. Analogamente, aVenezia la prima pala unificata in una cornice classicafu dipinta da Giovanni Bellini per lambiente goticodella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, con qualcheanno danticipo rispetto alla costruzione in citt di chie-se in stile rinascimentale. Questa grande opera, databi-le al 1470 circa, venne tragicamente distrutta dal fuoconel 1867, ma la sua cornice ancora in situ, e la sua com-posizione registrata da unincisione e un acquarello6.Bellini, che era a Padova quando suo cognato lavoravaal trittico di San Zeno, deriv da lui lespediente illu-sionistico del punto di vista ribassato, e il diretto lega-me tra le forme architettoniche entro il dipinto e quel-le della cornice. Ma introdusse pure diverse innovazio-ni sue proprie, destinate ad avere grande influenza. Adifferenza del trittico di San Zeno e dei suoi preceden-ti fiorentini, il campo pittorico qui accentuatamenteverticale piuttosto che orizzontale o quadrato. Questomutamento pu essere stato in parte stimolato dal carat-tere verticale dellarchitettura gotica circostante, ma piimportante il fatto che la cornice non sia pi concepi-ta come un elaborato arredo della chiesa, a somiglianzadi quella di Filippino a Santo Spirito, bens come unvero e proprio arco classico. La somiglianza con un ele-mento architettonico reale ulteriormente sottolineata

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  • dal fatto dessere in pietra invece che in legno ricca-mente dorato; e poich il dipinto collocato diretta-mente su una parete, leffetto di uno sguardo lancia-to attraverso larco della cornice, entro uno spazioaggiunto, in cui sembrano riunite le figure a grandezzanaturale della Madonna e dei Santi. In accordo con lasua creazione duna illusione totalmente coerente, lar-tista abbandona la tradizionale istituzione della predel-la. Lillusionistica assimilazione del dipinto daltare auno spazio architettonico separato, perpendicolare allanavata, ha un lontano precedente nella Trinit di Masac-cio (Firenze, Santa Maria Novella); unopera che, curio-samente, esercit scarsa influenza sullo sviluppo deldipinto daltare a Firenze. stato ipotizzato che Belli-ni ne fosse venuto a conoscenza grazie allo scultore-architetto Pietro Lombardo, da poco arrivato a Veneziavia Padova e Firenze. Certamente la forma e il reperto-rio decorativo della cornice di Bellini hanno molto incomune con i monumenti funerari di Pietro, che potreb-be effettivamente aver condiviso con Bellini la respon-sabilit della cornice. Qualche sorta di collaborazione trai due artisti sembra probabile soprattutto nel caso dellapala di San Giobbe (Venezia, Accademia; 1480 circa),la cui cornice ancora in situ, dal momento che la chie-sa era stata recentemente ricostruita dallo stesso Lom-bardo. Larchitettura dipinta da Bellini, consistente inuno spazio chiuso coperto da una volta a botte, inveceche in una loggia, somiglia qui ancora di pi a quelladella Trinit di Masaccio e a una vera cappella che sidiparte dalla navata; e questo rapporto illusionistico conlo spazio reale della chiesa doveva in origine accentua-re fortemente leffetto di spaziosit allinterno del dipin-to. Tuttavia, se unopera assolutamente moderna neltrattamento dello spazio, del volume e nel vocabolariodecorativo, il dipinto di Bellini ritorna coscientementeai polittici tradizionali nelluso della membratura archi-

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  • tettonica per articolare la composizione, nel motivo delbaldacchino (duso comune come coronamento nei polit-tici gotici veneziani) e nellostentazione di splendoremateriale (anche di ori). La pala di San Zaccaria, del1505, costituisce in modo simile una magnifica sintesitra lefficacia simbolica del polittico trecentesco e lalogica spaziale della pala fiorentina; e con la sua corni-ce di lesene ora combinate con un doppio ordine dicolonne a tutto tondo invece che di semplici lesene,possiede gi una maestosit tutta cinquecentesca.

    La sopravvivenza del polittico

    Tranne che a Firenze, dove anche i semplici tritticierano divenuti obsoleti a met del secolo, il politticosopravvisse fino al XVI secolo inoltrato. Cos, neglianni Ottanta e Novanta, strutture a pi scomparti furo-no prodotte da pittori quali Foppa, Cima da Coneglia-no, Perugino e Francesco Pagano per zone diverse comela Lombardia, il Veneto, lUmbria e Napoli. Dato chein molte di queste regioni lo stile gotico era ancora unatradizione viva in architettura e scultura decorativa, talipolittici ebbero spesso cornici gotiche, come quellodipinto da Signorelli alla tarda data del 1507 per SanMedardo di Arcevia (Marche). Ma la struttura del polit-tico poteva essere facilmente adattata anche al gusto cre-scente per le forme decorative del Rinascimento, comevidente in esempi quali il polittico di Cima per Olera(Bergamo), quello del Pintoricchio per Santa Maria deiFossi a Perugia, e quello straordinariamente elaboratodel 1490 a Santa Maria di Castello (Savona), in cuidipinti di Foppa e Brea si accompagnano a unampiaopera di scultura. In questi casi, in cui lo stile del Rina-scimento era inteso come un vocabolario decorativopiuttosto che una grammatica di proporzioni e relazio-

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  • ni spaziali, esso poteva venire ovviamente adattato apolittici di forme e dimensioni molto diverse. La flessi-bilit dun approccio del genere dovrebbe forse essereconsiderata pi una qualit che un difetto, perch inquesto modo fu molto facilitata lintegrazione visiva trai dipinti daltare rinascimentali e i loro contesti gene-ralmente gotici. La ragione della longevit del formatodel polittico fu forse in parte dordine puramente pra-tico: quando i dipinti daltare dovevano essere speditiin paesi o citt lontani come Olera o Arcevia, era ovvia-mente pi agevole trasportare via terra dei pezzi daassemblare allarrivo piuttosto che ununica, grande epesante tavola7. Ma pi basilare devessere stata unasemplice ragione di gusto dei committenti, che proba-bilmente apprezzavano spesso di pi quello che cono-scevano meglio. Una clausola privilegiata nei contrattiper dipinti daltare chiedeva che lopera adottasse ilmodo et forma dun prototipo locale oggetto dam-mirazione, a volte risalente a parecchi anni prima; cos,la struttura del dipinto di Sassetta a Sansepolcro del1437-1444 fu deliberatamente modellata su quella dunpolittico senese del 1368 gi a Sansepolcro. Questogenere di conservatorismo del gusto era anche chiara-mente suscettibile di perpetuare caratteristiche tipolo-giche regionali. Cos, il polittico di Cima a Olera adot-ta la stessa struttura tipicamente veneziana di quello diAntonio Vivarini alla Vaticana, del 1464, con settoricentrali pi alti e pi grandi, ed evita allo stesso modotavole di piccole dimensioni nella predella e nei pilastriai lati. In Lombardia invece, ed anche in Sicilia, i set-tori centrali sono spesso di dimensioni pi simili a quel-li laterali, e i superiori agli inferiori. I polittici ferraresie bolognesi sono ancora diversi, spesso includono nume-rose tavole di piccole dimensioni, a volte tonde, comenel polittico Griffoni del Cossa del 1473 circa e nelpolittico Roverella di Tura del 1474.

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  • La lunetta che sovrasta questultima opera un ele-mento che sincontra di frequente nei dipinti daltaredel Francia, e soprattutto anche in quelli del Peruginoin Umbria e di Crivelli nelle Marche, ma molto pi rara-mente a Firenze e Venezia. Queste tipologie localidovevano spesso venire adottate dai pittori del luogonaturalmente, quasi istintivamente, senza bisogno diseguire specifiche istruzioni del committente. I pittoridi fuori, invece, dovevano probabilmente compierespesso uno sforzo cosciente per adottare una formulalocale. Cos, la struttura scelta per lIncoronazione diGiovanni Bellini a San Francesco (Pesaro), non ha nullain comune con quella delle sue pale veneziane, mamolto a che vedere con la tradizione marchigiana. Ana-logamente, la variet di strutture che sincontra neidipinti daltare di pittori quali Bartolomeo Vivarini ePerugino fa pi direttamente riferimento alla distribu-zione geografica dei loro clienti, che ad uno sviluppo sti-listico interno. Tradizioni in zone specifiche potevanoimporsi anche su dipinti daltare importati dal NordEuropa: il polittico di Gerard David per labazia di Cer-vara, vicino a Genova, non segue la caratteristica tipo-logica nordica ad ali pieghevoli, ma mostra una strut-tura tipicamente italiana, con tavole ad arco e un DioPadre nella lunetta8. Questo non significa, natural-mente, che il gusto locale simponesse sempre e comun-que sul formato dei dipinti daltare. Il trittico Portina-ri di Hugo van der Goes del tipo pieghevole caratte-ristico dei Paesi Bassi, e non c nulla di specificamen-te pesarese nel polittico vaticano di Antonio Vivarini,n di bolognese in quello, sempre di Vivarini, per laCertosa di Bologna. Le costrizioni imposte dai gustilocali o conservatori dei committenti dovettero spessorisultare sgradite ai pittori. Ma in qualche caso si rive-larono probabilmente di grande stimolo. La strutturatipicamente fiorentina dellAdorazione dei Magi di Gen-

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  • tile da Fabriano, ad esempio, che segue modelli diLorenzo Monaco e dellOrcagna, offr al pittore unnuovo respiro in campo pittorico di cui non aveva maigoduto nella sua carriera nelle Marche, a Venezia e aBrescia. Analogamente, lincarico di dipingere una palaper San Cassiano a Venezia nel 1475, offr ad Antonellolopportunit di sviluppare le potenzialit della pala diGiovanni Bellini ai Santi Giovanni e Paolo, unoppor-tunit che non avrebbe mai avuto nella sua nativa Sici-lia. A volte, poi, grandi artisti potevano volgere in posi-tivo le costrizioni dun incarico apparentemente noncongeniale. Cos, a Pisa, a Masaccio fu richiesto diassoggettarsi a un polittico a pi piani gi obsoleto aFirenze9, e a San Zeno di Verona il Mantegna fucostretto a dipingere un trittico con membrature divi-sorie; ma entrambi gli artisti riuscirono a sfruttare lar-caica cornice per portare avanti i loro interessi innova-tivi riguardo allo spazio unificante, luce e composizio-ne. La soluzione del Mantegna venne poi adottata inuna variet di polittici del Nord Italia, tra cui quelli diButinone e Zenale a Treviglio e di Giovanni Bellini aiFrari a Venezia (1488). A Bellini doveva essere statospecificamente richiesto dai committenti un trittico tra-dizionale in una cornice di legno riccamente doratapiuttosto che una pala unificata alla maniera di quelleche aveva realizzate ai Santi Giovanni e Paolo e a SanGiobbe. Una simile richiesta, per quanto conservatri-ce, non era fuori luogo per una cappella in una chiesagotica gi piena di trittici dorati come quello di Barto-lomeo Vivarini del 1474.

    Bellini rispose allineando le principali verticali e oriz-zontali della sua cornice e quelle delle finestre goticheretrostanti, e coronandole di candelabre rinascimentaliche segnavano accenti verticali equivalenti a quelli dellecimase e dei pinnacoli di Bartolomeo. Nello stesso

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  • tempo, creando un legame illusionistico tra le formearchitettoniche dipinte e quelle della cornice, lartistaevoca effetti di spazio e luce sofisticati almeno quantoquelli di qualunque pala italiana precedente. Nonostan-te geniali soluzioni individuali di questo tipo, restavaunintrinseca contraddizione tra il polittico a pi pan-nelli, con la sua cornice divisoria, e lideale rinascimen-tale di unit spaziale; e ormai il polittico come forma perdipinti daltare artisticamente significativi aveva i gior-ni contati. Vari fattori ne affrettarono la fine, ma se nepossono citare due come particolarmente significativi.Uno fu la crescente richiesta da parte dei committentidi dipinti daltare, richiesta stimolata dagli sviluppi inaltri contesti dellespressione artistica del dramma e delmovimento, di soggetti narrativi piuttosto che del tra-dizionale gruppo di Madonna e Santi. Anche se sogget-ti narrativi erano qua e l apparsi al centro di polittici,il potenziale drammatico duna simile collocazione eramolto limitato. In secondo luogo levoluzione dellar-chitettura verso il massiccio e il maestoso fece apparirela cornice decorativa di molteplici campi pittorici rela-tivamente piccoli sempre pi fragile, un orpello. Ginegli anni Novanta a Venezia colonne di pietra a tuttaaltezza avevano iniziato a sostituire le piatte lesene comemembrature laterali delle cornici nei dipinti daltare, esarebbero divenute il complemento visivo caratteristicodello stile figurale eroico nella pittura daltare del primoCinquecento.

    1 Su questo argomento vedi, tra le opere pi recenti, C. Gilbert,Peintres et menusiers au dbut de la Renaissance en Italie, in Revue delart, XXXVII, 1977, pp. 9-28; C. Gardner von Teuffel, From po-lyptych to pala: some structural considerations, in La Pittura nel XIV eXV secolo: il contributo dellanalisi tecnica alla storia dellarte (atti delXXIV Congresso C.I.H.A., III), a cura di H.W. van Os. e J.R.J. van

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  • Asperen de Boer, Bologna 1983, pp. 323-344; P. Humfrey, The Vene-tian altarpiece of the early Renaissance in the light of contemporary busi-ness practice, in Saggi e Memorie di Storia dellArte, XV, 1986, pp.65-82.

    2 Cos, quando fu elaborato un programma di costruzione dunaserie uniforme di cappelle laterali per San Lorenzo nel 1434, vennedecretato, indubbiamente su suggerimento dellarchitetto Brunelle-schi, che ... in dictis huiusmodi capellis... non possit fieri aliqua pie-tura preter tabulam sine expressa licentia capitula dicte ecclesie..., einoltre che ogni dipinto dovesse assumere la forma duna tabula qua-drata et sine civoriis. Vedi J. Ruda, A 1434 building programme for S.Lorenzo in Florence, in The Burlington Magazine, CXX, 1978, pp.358-361.

    Vedi anche L.B. Alberti, De Re Aedificatoria, si far in modo cheriquadri e rilievi abbiano la collocazione pi conveniente ed elegante...allinterno del tempio, piuttosto che affreschi sulle pareti sono prefe-ribili pitture su tavola... (ed. e trad. a cura di G. Orlandi, Milano 1966,II, pp. 608-609).

    3 Vedi Enea Silvio Piccolomini, I Commentari: Nelle altre quattrocappelle furono eretti altari adorni di tavole dipinte, opera di illustripittori senesi... Nessuno violi il candore delle pareti e delle colonne;nessuno dipinga affreschi; nessuno appenda tavole dipinte; nessunoeriga nuove cappelle o nuovi altari; nessuno muti la forma di questachiesa... (ed. a cura di L. Totaro, Milano 1984, II, pp. 1762-1765,1768-1769), cfr. inoltre H. W. van Os, Painting in a house of glass: thealtarpieces of Pienza, in Simbiolus, XVII, 1987, pp. 23-38.

    4 Su questo argomento vedi in particolare C. Gardner von Teuffel,Lorenzo Monaco, Filippo Lippi und Filippo Brunelleschi: die Erfindung derRenaissance-pala, in Zeitschrift fr Kunstgeschichte, XLV, 1982, pp.1-30.

    5 I pi recenti tentativi di ricostruire laltare smembrato di Dona-tello sono quelli di J. White, Donatellos High Altar in the Santo, Padua,in The Art Bulletin, LI, 1969, pp. 1-14, 119-141, 412; e V. Herz-ner, Donatellos pala over ancona fr den Hochaltar des Santo in Padua:ein Rekonstruktionsversuch, in Zeitschrift fr Kunstgeschichte,XXXIII, 1970, pp. 89-126.

    6 Utili fotomontaggi delle pale del Bellini ai Santi Giovanni e Paoloe a San Giobbe nelle cornici originarie sono forniti da G. Robertson,Giovanni Bellini, Oxford 1968, tavv. XXXIXb e LXVII.

    7 Vedi J. Burckhardt, Beitrge zur Kunstgeschichte von Italien: DasAltarbild, Basel 1898, p. 27.

    8 Friedlnder ha avanzato lipotesi che i tre pannelli principali oraa Palazzo Bianco, Genova, fossero in origine completati da due altrielementi con lAnnunciazione (New York, Metropolitan Museum of

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  • Art) e da un Dio Padre (Paris, Louvre). Vedi M.J. Friedlnder, EarlyNetherlandish Painting, VI parte 2, Leyden 1971, tav. 186.

    9 Vedi C. Gardner von Teuffel, Masaccio and the Pisa altarpiece: anew approach, in Jahrbuch der Berliner Museen, XIX, 1977, p. 52.

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