Il dialogo "de re publica" Cicerone immagina si sia svolto nel 129 a.C. nella villa di Scipione...

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Il dialogo "de re publica" Cicerone immagina si sia svolto nel 129 a.C. nella villa di Scipione Emiliano, con la presenza del proprietario della villa stessa, grande generale e eminente uomo politico, di altri amici della sua cerchia, anch'essi appartenenti all'aristocrazia

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Il dialogo "de re publica" Cicerone immagina si sia svolto nel 129

a.C. nella villa di Scipione Emiliano, con la presenza del proprietario della villa stessa,

grande generale e eminente uomo politico, di altri amici della sua cerchia, anch'essi appartenenti

all'aristocrazia senatoria.

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Si discute su quale sia la costituzione migliore, più stabile, più duratura. Viene esposta la teoria della costituzione "mista", che noi conosciamo soprattutto dallo storico greco Polibio; Roma incarnerebbe con la sua forma di governo l'ideale che viene delineato, anche se….

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Nell'ultimo parte del sesto, conclusivo, libro Scipione racconta il sogno che gli è apparso, in una notte di vent'anni prima quando egli militava in qualità di tribuno militare nell'esercito romano che si apprestava a cingere d'assedio Cartagine.

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Questa parte, comunemente conosciuta con il titolo di Somnium Scipionis, fino al 1820 era l'unica parte del "de re publica" conosciuta, perché tramandata da Macrobio, un autore vissuto tra la seconda metà del IV sec. d.C.e la prima metà del V°.

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Il testo del Somnium ebbe una circolazione indipendente, sia per il suo fascino, sia perché possiede una sua autonomia e una sua organicità, sia perché contiene la traduzione del passo di Platone, tratto dal Fedone, che intende dimostrare l'immortalità dell'anima.

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Scipione racconta che, giunto in quella che entro breve tempo sarebbe diventata la provincia romana d'Africa, sua prima cura è quella di rendere visita a Massinissa, anziano re della Numidia, grande amico di Scipione l'Africano e del popolo romano, con il quale ha un lungo colloquio. Si parla anche, com'era naturale, dell'Africano.

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Questo il motivo per cui durante la notte seguente egli ha un sogno nel quale gli appare proprio la figura dell'Africano stesso, che gli predice le sue glorie future, in particolare le conquiste di Cartagine e di Numanzia, e gli preannuncia il ruolo fondamentale, che avrebbe giocato nella politica romana negli anni immediatamente seguenti alla crisi del 133 a.C., anno del tribunato di Tiberio Gracco.

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Roma aveva bisogna di una guida sicura "dictator rei publicae constituas oportet", e aggiunge con allusione profetica: "si impias propinquorum manus effugeris".

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C'è una ricompensa per i reggitori dello stato: le loro anime da qui partono, qui ritornano "civitatum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur"

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Ma questa è vera vita? chiede Scipione Emiliano. L'Africano risponde affermativamente e aggiunge: "non vedi che tuo padre Paolo sta venendo incontro a te?" Seguono commozione e abbraccio tra padre e figlio.

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A questo punto Scipione Emiliano chiede se non sia il caso di affrettare la sua venuta in quel luogo di beatitudine. Il padre Paolo risponde che spetta al dio decidere nel merito e non all'uomo. Compito dell'uomo praticare la giustizia e la pietas nei confronti dei genitori e degli amici, e soprattutto dei confronti dello stato, e conclude: "ea vita via est in caelum", in particolare "in orbem lacteum".

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Da quel luogo - Scipione Emiliano continua a raccontare il sogno – potevo osservare grandi stelle, molto più grandi della terra che, piccola com'era, mi faceva pensare a quanto infimo fosse il nostro "imperium", piccola parte della terra stessa.

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L'Africano interviene di nuovo, rivolgendosi all'Emiliano, per invitarlo a distogliere lo sguardo dalla terra "nonne aspicis quae in templa veneris?" E gli mostra i nove cerchi, meglio sfere…..

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Ripresosi dallo stupore per questa meraviglia, l'Emiliano ode una musica intensa e piacevole e ne chiede la ragione. E' l'armonia dovuta al movimento delle sfere celesti, della prima in un senso, delle altre sette in senso opposto.

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Ancora l'Emiliano "Haec ego admirans referebam tamen oculos ad terram identidem. A questo punto l'Emiliano riceve dall'Africano una vera e propria lezione sulla gloria e sulla fama, partendo dall'osservazione della terra stessa. (potremo dire: dopo una lezione di cosmologia una lezione di geografia)

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La terra è così piccola – l'hai visto prima – noi della terra conosciamo e abitiamo una piccola porzione, l'impero romano occupa una parte ancor più piccola della terra abitata: "cernis profecto quantis in angustiis vestra se gloria dilatari velit."

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continua "Ipsi autem, qui de nobis loquuntur, quam loquentur diu?"

Se la gloria è così poca cosa, "suis te oportet inlecebris ipsa virtus trahat ad verum decus ".

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E in ogni caso c'è una destinazione che tutti aspetta, ma in particolare coloro che hanno reso un servizio alla cosa pubblica. "sic habeto, non esse te mortalem, sed corpus hoc" …

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"Deum te scito esse, siquidem est deus, qui viget, qui sentit, qui meminit, qui providet, qui tam regit et moderatur et movet id corpus, cui praepositus est, quam hunc mundum ille princeps deus; et ut mundum ex quadam parte mortalem ipse deus aeternus, sic fragile corpus animus sempiternus movet.

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Segue la dimostrazione dell'immortalità dell'anima. Cicerone traduce un passo del Fedro di Platone, inserirà la stessa traduzione nel 1° libro delle "Tusculanae".

Il somnium Scipionis si conclude e con ogni probabilità anche l'intera opera.

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Due aspetti desidero mettere in evidenza:

Come è giunto Cicerone alla composizione del "De re publica"?

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Gli inizi della carriera di Cicerone sono tipici di chi, proveniente da una ricca famiglia dell'aristocrazia italica, senza antenato alcuno che abbia ricoperto cariche pubbliche a Roma, ma fornita di solidi legami con famiglie di spicco in città, dotato di indubbie qualità intellettuali, viene avviato alla carriera forense.

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Ma a Roma attività forense e attività politica sono contigue: non c'è processo che non abbia risvolti politici, non c'è processo che non sia un momento della lotta tra fazioni.

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Cicerone eccelle e grazie soprattutto alle "Verrinae" ottiene un grande successo; politicamente in questa fase è vicino a Pompeo.

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E' il momento per continuare con buone probabilità di successo il "cursus honorum". Ed eccolo console in un frangente molto delicato per lo stato, un'occasione molto importante per sé: la congiura di Catilina. Cicerone si propone di diventare, lui homo novus, assoluto protagonista della vita politica a Roma:

"cedant arma togae"

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Gli faranno pagare duramente questa intenzione, o, forse, questa presunzione. Un cavillo giuridico lo costringerà ad allontanarsi da Roma. Il sogno di recitare un ruolo di protagonista nella vita politica di Roma tramonta in breve tempo.

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Continua l'attività forense, continua a godere di prestigio, ma si vede costretto a rinunciare all’ambizione di diventare una guida politica; i tempi sono tali che senza un esercito a disposizione nessun uomo politico a Roma poteva pensare di giocare un ruolo di assoluto rilievo.

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Si propone di diventare una guida dei politici: decide di mettere a frutto la conoscenza delle "litterae", al cui studio si era dedicato con passione, - una pratica nient'affatto comune per chi aspirava a diventare "orator". Si propone di diventare colui che attraverso la filosofia, invita a riflessioni meditate sullo stato di crisi della "res publica", indica strade da percorrere, apre orizzonti prospettici, propone vie d'uscita.

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Si assume il compito di contribuire a formare una nuova classe dirigente capace di guidare lo stato romano fuori dalla crisi in cui versa.

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Intorno al 55 a.C. ha completato il "De oratore", inizia, prendendo lo spunto da Platone, a stendere il "de re publica" (54-51), cui farà seguito il "de legibus" (completato in seguito nel 46).

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perché ha scelto di concludere l'opera con il "Somnium Scipionis"?

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Certamente lo spunto viene dalla repubblica di Platone, che si conclude con il racconto del mito di Er sul destino delle anime nell'al di là.

Ma questo è solo il dato iniziale

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Nell'opera nel suo complesso, e in particolare nel somnium Cicerone introduce nel dibattito culturale e politico del suo tempo tematiche, che erano usuali per i dotti che conoscevano il greco e potevano attingere al patrimonio delle filosofie di Platone e Aristotele e ellenistiche, ma a Roma, ad un pubblico più ampio, che Cicerone voleva raggiungere e influenzare, suonavano come novità difficili da accettare, quando non inutili perdite di tempo, o comunque ininfluenti ai fini dell'agire politico.

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Venivano tacciate come “otium”, mentre dovevano essere i “negotia” a assorbire l'attenzione e l'interesse dei cittadini.

Solo la storiografia veniva accettata, sentita in qualche modo vicina alla politica

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Particolarmente difficili da accettare dall'opinione pubblica, attenta agli affari politici, saranno stati i passaggi in cui l'imperium di Roma era definito piccola parte del piccolo globo terrestre e lo svuotamento dell'idea di gloria che tanta parte aveva giocato e giocherà ancora come stimolo per la pratica dell'attività politica, alla quale lo stesso Cicerone era tutt'altro che insensibile.

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Da qui la felicissima idea di attribuire il messaggio complessivo e le sue articolazioni alle parole di un grande padre della patria, se non il più grande, e di inserirle in un sogno, che mantiene nello stesso tempo le caratteristiche di finzione letteraria e lo stile oracolare della rivelazione.

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L'Africano non dimostra, non argomenta, prescrive, ordina, assume l'atteggiamento del maestro che indica la via ad un seguace che in un primo momento fatica a capire (l'attenzione dell'Emiliano, almeno all’inizio, è significativamente rivolta troppo alla terra e poco al cielo).

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La finzione del sogno aggiunge un'affascinante opportunità alle argomentazioni contenute nei libri precedenti e le conclude degnamente.

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Credo che la descrizione del cosmo con i suoi cerchi e il movimento armonico che li anima, della musica perfetta, razionalmente ottenuta mediante ritmi precisi, che dalla terra non è percepibile, ma in cielo affascina l'Emiliano quando si riprende dallo stupore ammirato della visione, altro non sia che il bisogno di contrapporre l'armonia celeste con il disordine politico esistente nella Roma del tempo.