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Fig. 1. Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, Assunzione della Vergine, Roma, Chiesa del Gesù, cappella della Madonna della Strada.

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Fig. 1. Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, Assunzione della Vergine, Roma, Chiesa del Gesù, cappelladella Madonna della Strada.

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Con la morte di Michelangelo (febbraio 1564), a pochi mesi dalla redazione deldecreto sulle immagini sacre e dal seguente scioglimento dell’assise tridentina cheproprio sul Giudizio Universale si era vivacemente confrontata 1, si crearono i pre-supposti per una revisione del ruolo e della professione dell’artista, esortato neldopo concilio a rinunciare in parte alla sua libertà, a disciplinarsi sottoponendosial controllo dell’autorità, a contribuire all’opera di riforma della Chiesa e delle im-magini sacre 2.

I primi destinatari del decreto, tuttavia, non furono i pittori ma i vescovi, ai qualiil concilio riservava doveri e poteri esclusivi in merito alle immagini naturalmente neilimiti della giurisdizione delle singole diocesi.

In sede storiografica si è discusso sull’esistenza o meno di uno stile tridentino,ovvero sull’intenzione dei padri conciliari di offrire orientamenti sugli aspetti formalidell’arte. Jedin ha negato questa possibilità, facendo notare come il decreto, solle-citato in particolare dal partito francese, rispondesse innanzi tutto all’esigenza difornire ai cattolici uno strumento risolutivo per la controversia sull’uso delleimmagini nelle chiese, eliminando gli abusi che prestavano il fianco agli oppositoriprotestanti 3.

Per Eugenio Battisti, lo stile tridentino si identifica al meglio nel naturalismo dimatrice settentrionale che trova in Caravaggio il suo massimo esponente 4. Alcunidecenni prima, il giovane Alberto Graziani aveva individuato, tra i pochi pittori chea Bologna e in Italia realizzarono un’“arte della Controriforma”, Bartolomeo Cesi 5,facendo risalire la matrice rigorista della sua pittura alla scuola romana e inparticolare all’opera esemplare di Scipione Pulzone «col quale l’arte controriformatanel senso stretto e interiore della parola raggiunge l’espressione più severa» 6.Graziani definisce lo stile del Pulzone con espressioni non lusinghiere, attribuendogliun’influenza negativa sulla pittura del Cesi, nella quale «la naturalezza di approssi-mazione al vero dell’arguto disegno poccettiano è stata temperata o piuttostoumiliata alla determinazione formale da lui conosciuta a Roma, cristallizzata autoritàdi formule classiche asservite agli ideali religiosi» 7. Per il pittore gaetano Grazianiusa espressioni come «severa aridità formale», «tirature di etichetta pulzonesca», o«sciatta cifra pulzonesca» 8. Zeri, obliterando le riflessioni del Graziani 9, precisa emeglio definisce il significato «onestissimo e devotissimo» della pittura «senzatempo» di Pulzone, frutto della «spietata mortificazione dei ‘capricci de’ moderni

MASSIMO MORETTI

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pittori’» e dell’annientamento di «ogni minimo residuo di quel sapore intimamenteclassico che è vanto del modello dal quale la pittura ha tratto spunto» 10.

Ciò che sembra unire Pulzone, Cesi, Caravaggio è un realismo, diversamente do-sato, di derivazione settentrionale. Considerando la produzione pittorica della Romapapale da Gregorio XIII a Clemente VIII, si giunge tuttavia all’immediata conclu-sione che negli ultimi tre decenni del Cinquecento a prevalere fu la maniera disci-plinata dal grande cantiere pittorico, terreno di sperimentazione della regola senzalicenza, dove le esperienze regionali si rimescolano e tendono a unificarsi sotto ladirezione, e spesso il disegno, di soprintendenti operanti nello stretto controllo del-l’autorità pontificia.

Il decreto non indicava quindi una “maniera” di riferimento, una cifra stilisticanaturalistica piuttosto che arcaizzante o semplificata; pretendeva piuttosto rappre-sentazioni decorose, cioè verosimili in quanto «prototypi dignitati, et sanctitati ap-te 11», con la precisa indicazione di evitare figure lascive e di procace bellezza. L’ine-sistenza di una maniera che potesse servire da modello universale è comprovata dal-l’assenza, negli scritti più ufficiali del cardinale Paleotti, di Carlo e di Federico Bor-romeo, di riferimenti puntuali allo stile esemplare di artisti del passato o viventi,pur non mancando, più in generale, espressioni a favore di una cifra improntata alrealismo, alla verosimiglianza e al naturalismo delle figure o di biasimo contro spro-porzioni e ardite torsioni manieristiche 12.

Nel suo Discorso, il cardinale di Bologna nomina alcuni esempi di artisti che «sisono segnalati anche per la loro pietà, devozione e bontà cristiana, espresse nelleopere che lasciarono in questo mondo» (tra questi Beato Angelico, Fra Bartolomeoe più inaspettatamente Albrecht Dürer) 13, ma senza innalzare alcuno a modello distile. Allo stesso modo Federico Borromeo propone come esempio di carità cristianalo scultore Annibale Fontana «eccellente nell’arte non meno che nella pietà» 14.

Come ha dimostrato Jedin, il concilio volle evitare una discussione che scendessetroppo sul merito, rinunciando a una trattazione esauriente in materia di culto delleimmagini e attenendosi a poche generiche asserzioni saldamente fondate sull’autoritàdel Niceno II 15 ma suscettibili di una più dettagliata regolamentazione da parte deivescovi attraverso i rinnovati strumenti delle visite pastorali e dei sinodi diocesani 16.Si confermava con forza, invece, la centralità del genere storico (historiae mysteriorumnostrae redempionis, historieae et narrationes sacrae scripturae) per la funzione pe-dagogica delle immagini universalmente riconosciuta come avevano dimostratoanche i risultati delle conferenze interreligiose di Poissy (agosto-ottobre 1561) e St.Germain-en-Laye (gennaio-febbraio 1562) 17.

Il concilio aveva riaffermato l’irrinunciabilità delle immagini sacre, perché attra-verso le storie dei misteri della redenzione espresse con la pittura si ammaestrava esi confermava il popolo negli articoli di fede da ricordare e ripetere assiduamente(«commemorandis et assidue recolendis»). Si raccomandava, inoltre, di porre innanziagli occhi dei fedeli le meraviglie operate da Dio nella vita dei santi, evitando accu-ratamente le immagini che rappresentavano dogmi falsi, che incitavano la supersti-zione, che apparivano disoneste o profane, convenendo alla casa di Dio la santità(«cum Domum Dei deceat sanctitudo») 18. Ammaestrare e confermare, dunque, at-traverso le Sacrae historiae: questa la missione principale dell’artista, negli stessi anni

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in cui a Bologna il Sigonio era protagonista della rinascita della storia ecclesiasticaantica e delle tradizione religiose felsinee 19, mentre a Roma Cesare Baronio, suinvito di Filippo Neri, continuava a tenere le sue conferenze ai padri dell’oratorio,creando le basi di un’“officina storica” che, a partire dall’inverno 1576-77 20, avràil compito di confutare le letture e i giudizi sulle vicende della Chiesa presentati daiCenturiatori di Magdeburgo nella Ecclesiastica Historia stampata a Basilea in settevolumi tra il 1559 e il 157421.

Al dictum Horatii, l’ut pictura poësis, il concilio predilige l’ut pictura historia.Prendendo spunto dalla distinzione offerta da Gian Andrea Gilio nei Due dialogi(1564), si può ben dire che la prima controriforma rivolse il suo interesse al “pittorehistorico” piuttosto che al “pittore poetico” 22. Il primato della pittura di storia, giàformulato da Leon Battista Alberti senza alcuna preoccupazione teologica o morale 23,trovò dunque un suo rilancio, affinché la pittura potesse svolgere la primariafunzione assegnatagli dal Concilio.

Tale passaggio presupponeva, lo si è già detto, una certa contrazione della libertàdell’artista, evocata dai cosiddetti “moralisti” tra i quali, oltre al sacerdote di Fa-briano, spiccano il fiammingo Giovanni Molano e il cardinale di Bologna GabrielePaleotti 24. Ma è nel De pictura sacra di Federico Borromeo che si mette a punto larichiesta di un superamento del «detto ormai vieto che ai pittori e ai poeti tutto èlecito». La libertà del pittore, chiuso il Concilio, andava moderata con regole fissee severe cosicché non si potesse più ignorare la strada certa segnata dal rigore deiprecetti 25. Era opinione piuttosto diffusa che l’artista dovesse abbandonare certesmanie di affermazione, certi personalismi eccessivi che lo spingevano a dimostrarela sua capacità attraverso una maniera artificiosa a volte poco funzionale a una im-mediata comprensione dell’historia, di quei misteri della salvezza ai quali esplicita-mente, nelle scarne e orientative indicazioni approvate nella venticinquesima sessionedel Tridentino, si erano riferiti i padri conciliari. La pittura doveva passare neces-sariamente a un linguaggio da vulgata, abbandonare la poesia per la prosa, preferireil racconto alla metafora: nihil incertum apocryphumque, scriveva Carlo Borromeonelle Instructionum fabricae 26.

In parallelo all’eccezionale opera di riscrittura della storia ecclesiastica, comin-ciando dalle vicende di Gesù (l’«evangelica historia» come la chiama Baronio), conil pontificato di Gregorio XIII e poi di Sisto V nella capitale pontificia vi fuun’intensa, programmatica ed epocale impresa di traduzione pittorica delle tappefondamentali della Historia salutis, dall’antico testamento sino agli ultimi supple-mentari trionfi contro i Turchi e gli Ugonotti celebrati nella Sala Regia del Palazzoapostolico vaticano 27.

La loggia che ospita la cosiddetta “Bibbia di Raffaello”, dipinta con la collabora-zione della scuola nel secondo decennio del Cinquecento con episodi dell’Antico te-stamento e, soltanto nell’ultima volta a padiglione, del nuovo testamento, venne com-pletata per volontà di papa Gregorio XIII con scene evangeliche sotto la direzionedi Lorenzo Sabatini e, dopo la sua morte, del figlio Mario 28. La centralità dei misteridella Passione, sintesi suprema e chiave interpretativa dell’intera storia della salvezza,celebrata con il ciclo del Gonfalone avviato già nel 1569 29, trovò una formulazionepiù corsiva nell’illustrazione della Scala Santa lateranense voluta da Sisto V, dove si

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sperimentò una catechesi figurata a doppio registro, quello popolare della narrazionee quello più colto delle concordanze bibliche 30. Con la stessa fretta con la qualevenne realizzata la Bibbia di Sisto V, data alle stampe ricca di imprecisioni, refusi einterpolazioni indebite 31, papa Peretti, accelerando ulteriormente i ritmi esecutivisperimentati dal suo predecessore nelle grandi imprese della Galleria delle CarteGeografiche, della Cappella Gregoriana e delle Logge, volle che ogni spazio biancodel grande Palazzo lateranense celebrasse quella vulgata, confermando inoltre, nellaSala dei papi e degli imperatori, la provvidenziale continuità storica tra l’antica Romae la Roma moderna di Sisto V, la validità della successione apostolica e le buoneazioni del pontificato 32.

Anche sugli elogia martyrum i novatores avevano giocato di anticipo: nel 1554,trent’anni prima del Martyrologium Romanum curato da Baronio e del Trattato degli instrumenti di martirio di Antonio Gallonio (1591), uscivano contemporaneamentei martirologi di tre diverse confessioni: a Ginevra Le Livre des Martyrs dell’ugonottoJean Crespin, a Strasburgo le Historien Der Heyligen Ausserwölten Gottes ZeügenBekennern und Martyrern del luterano Ludwig Rabus e i Commentarii dell’esiliatoinglese John Foxe che nel 1563 pubblicherà il primo martirologio illustrato del XVIsecolo (Acts and Monuments, meglio noto come Book of Martyrs) 33. Le guerre direligione furono accompagnate in Europa da una guerra dei martiri e dei martirologi 34

entro la quale prendono forma i cicli martiriali romani dipinti a partire dagli anniOttanta del Cinquecento 35.

Per quanto riguarda la celebrazione dei martiri e del martirio, Roma si impegnòa recuperare il ritardo sul doppio binario della scrittura e della rappresentazionepittorica. Le edizioni baroniane del martirologio, gli scritti sui martiri di Gallonio,furono addirittura anticipati dagli innovativi cicli martiriali di cui si andava rivestendol’Urbe nei primi anni Ottanta del Cinquecento, fungendo da modello per altre realtàdirettamente legate a Roma, come dimostrano le vicende della perduta decorazionecommissionata dall’arcivescovo Gabriele Paleotti per la cripta della sua cattedralebolognese 36.

«In questo genere valentuomo» fu Nicolò Circignani il quale, in stretta collabo-razione con Matteo da Siena, realizzò in breve tempo il vasto ciclo di S. Stefano Ro-tondo, divenendo un modello di pittore cristiano, di pittore-oratore che partecipaalla rinnovata opera di comunicazione ed educazione di gruppi più o meno vasti (inquesto caso gli studenti del collegio germanico ungarico) istruiti per essere missionariusque ad effusionem sanguinis. Tale ruolo comprimario nell’istruzione dei fedeli enella formazione delle giovani generazioni cattoliche affidato dalla Chiesa agli artisti,richiedeva un profilo umile, non affatto principesco, del mestiere del pittore. Gio-vanni Baglione ne dà conto proprio nella vita del Circignani, descrivendolo «praticoPittore» che intraprendeva grandi lavori «con molta prestezza, e con poca moneta[…] si ché da molte fatiche riportò poco guadagno» 37. Federico Zeri, pur ritenendo«esiguo» il merito del Pomarancio e del Tempesta nell’impresa di Santo Stefano Ro-tondo, ne mette in luce la capacità di porre «limiti alla propria personalità, attenen-dosi rigorosamente alla parte di esegeta delle didascalie iscritte nelle targhettebilingui alla base dei singoli affreschi e delle lettere alfabetiche che accompagnanoi vari episodi del martirologio» 38.

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Non era forse questo che la Chiesa della Controriforma si aspettava dai suoi pit-tori? Anche l’essere “prattico”, avere cioè facilità e prestezza nel dipingere costituivauna qualità, in contrapposizione alla “diligenza” e “accuratezza” che, pur con ac-cezione positiva, Baglione attribuisce al Pulzone. L’artista romano definisce “buonprattico” artisti da cantiere come Lorenzo Sabatini, Giovanni Battista da Novara,Giacomo Stella, Matteo da Siena, Cesare Conti. Sono altresì definiti “diligenti”pittori come Tommaso Salini, il fiammingo Francesco da Castello, Girolamo Masseie lo scultore Pietro Paolo Olivieri, tutti artisti che condividono con il Gaetano unaspiccata propensione al naturalismo (non sempre associato a una buona resa dellospazio e della composizione).

Come segnala già il caso dell’impresa di Giorgio Vasari nella Sala dei CentoGiorni, la tempistica del dipingere costituiva una sfida e un possibile ritorno di im-magine in termini di efficienza, vitalità e reattività della committenza. Sisto V, comenoto, preferiva il fare presto al fare bene 39. Gli anni Settanta e Ottanta vedono l’av-vicendarsi nelle impalcature di una “babele pittorica”, come l’ha definita AlessandroZuccari 40, riunificata sotto la direzione quasi burocratica di capi cantiere nonsempre di primissimo piano. Accanto a Lorenzo Sabatini, Marco Marchetti da Fa-enza, Girolamo Muziano, Cesare Nebbia e Giovanni Guerra si registrano le presenzedi sovrintendenti destinati a rimanere nell’oblio e riesumati quasi esclusivamentedalle trascrizioni dei registri camerali 41.

I numerosissimi pittori che si sono avvicendati a Roma negli ultimi tre decennidel sedicesimo secolo hanno trovato, incalzati dai ritmi dell’esecuzione, una linguacomune tesa all’universale, a volte corsiva certo, ma specchio di una guida salda, diorientamenti certi, di un’unità corporativa nella quale risultava difficile emergere edistinguersi. Gran parte delle stesure pittoriche ad affresco messe in opera duranteil pontificato di Sisto V sarebbero rimaste totalmente anonime se biografi come Gio-vanni Baglione, Giulio Mancini e Gaspare Celio non si fossero preoccupati di tra-mandare, almeno parzialmente, i nomi degli artefici attivi nelle impalcature dei can-tieri papali.

Gli indirizzi di una nuova e concorde pittura corale, di grande effetto ma di nonsempre felice riuscita nel singolo brano, sperimentata con successo da GregorioXIII e perseguita da Sisto V, favorirono un processo di marginalizzazione di alcunepersonalità artistiche che per attitudine e carattere non accettarono in questa faseruoli comprimari e non parteciparono a tali frenetiche imprese collettive. Nella di-versità delle posizioni, fu questo l’atteggiamento adottato sia da Federico Zuccariche da Scipione Pulzone. Il pittore vadese, in particolare, entrato in collisione conla corte pontificia, proprio mentre Muziano era ormai pronto a subentrargli, avevalasciato Roma nel novembre 1581 per cercare fortuna in Spagna.

Pittori come Durante Alberti e Giovanni de’ Vecchi, scrive Mancini, fecero unqualche rumore soltanto perché «in lor tempo né vi furono pittori di grido e FedericoZuccari era fuori né Giuseppe [Cesari] haveva acquistato ancor reputatione» 42.

Come Zuccari, anche Scipione da Gaeta dovette soffrire la nuova politica artisticaintrapresa da Gregorio XIII, riservandosi una sua nicchia di mercato altamente re-munerativa, quella appunto del ritratto al naturale, genere che, per la vanagloria chepoteva alimentare, il Discorso del Paleotti tollera con molti distinguo 43.

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Durante il pontificato di Gregorio XIII si assiste a un forte ricambio generazio-nale 44 e la domanda di maestranze artistiche richiamò a Roma una massa di giovaniaspiranti, mentre venivano meno o si assentavano le maggiori personalità. Dopo Mi-chelangelo morivano Taddeo Zuccari (1566), Giorgio Vasari (1574), Girolamo Si-ciolante da Sermoneta (1575), la giovane promessa Raffaellino da Reggio (1578),Marcello Venusti (1579).

Secondo il cardinale Granvelle, in questo particolare momento vi sono tre artistiche si possono apprezzare a Roma per diversi aspetti: Girolamo Muziano per il di-segno, Marcello Venusti per il colore e Scipione da Gaeta «para retratar al natural» 45.Con la morte del Venusti e l’assenza di Federico Zuccari, scarseggiavano a Romapittori di primo grido ai quali affidare la realizzazione di pale d’altare, tanto che gliOratoriani pensarono di prendere contatto con il lontano Federico Barocci per laVisitazione, quadro molto amato dallo stesso Filippo Neri. Scipione Pulzone dovetteassistere alla processione di gente durata tre giorni davanti al quadro dell’Urbinategiunto a destinazione nel 1586 (ma la trattativa era cominciata nel giugno del 1582).È infatti identificabile con il Gaetano quel pittore («il principale di tutti») che dalBarocci, come riferì il ministro del duca di Urbino Graziosi, si sarebbe aspettato«cosa anco maggiore» 46.

Le episodiche commissioni per pale d’altare e per soggetti storici e devozionali,legate ai ristretti e qualificati circuiti nobiliari dei Colonna, non avevano fatto gua-dagnare a Pulzone, ancora alla fine degli anni Settanta del Cinquecento, la fama dipittore di storia, giunta qualche anno dopo anche grazie a una notevole quanto az-zardata consacrazione operata da Raffaello Borghini nel suo Riposo (1584) 47; con-tinuava a crescere, invece, la sua reputazione di insuperabile ritrattista.

Nel 1582, secondo la testimonianza dell’ambasciatore del duca di Urbino BaldoFalcucci, che ne aveva ragionato con il cardinal Del Monte, essendo Federico Zuccarifuori Roma, non vi era «persona di conto eccetto Scipion da Gaeta» il quale «facendol’eccellentissimo» non avrebbe preso con sé il giovane pittore d’Urbino (Antonio Ci-matori detto il Visacci) che Francesco Maria II della Rovere desiderava far studiarenella capitale pontificia. Non restava che inviare il giovane a Roma, metterlo a copiaree a «pigliar dimestichezza con alcuni valentuomini in questa professione» 48.

La fama del Pulzone, a differenza di quella di Federico Zuccari o di GirolamoMuziano, non era quella di buon maestro, ma di un «pittore eccellentissimo» che«fa l’eccellentissimo», servendo i suoi committenti «con longhezza di tempo et conspesa grossissima, facendosi pagare la reputazione» 49.

Ma Francesco Maria II della Rovere sapeva accontentarsi e dopo pochi anni fecedipingere, probabilmente allo stesso Visacci, un suo ritratto redatto sul modellodella celebre effigie di Marcantonio Colonna dipinta dal Gaetano 50. Un altro pittorebaroccesco del ducato roveresco, Antonio Viviani detto il sordo di Urbino, proba-bilmente durante il pontificato sistino, troverà invece accoglienza, nello studio delpittore e architetto Ottaviano Mascarino presso il quale, con Lavinia Fontana, stu-dierà i ricercatissimi album di disegni di Raffaellino da Reggio 51.

Che a Roma mancasse una «buona scuola», proprio mentre più abbondante sifaceva il flusso dei giovani che dalla provincia si trasferivano nell’Urbe alla ricercadi una formazione e di occasioni di lavoro, lo testimonia qualche anno prima il testo

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del breve in data 13 ottobre 1577 che Gregorio XIII concesse all’Università deipittori di Roma su istanza, secondo la testimonianza di Giovanni Baglione, del bre-sciano Girolamo Muziano 52:

«Li diletti figli nostri Pittori, Scultori di Roma testè ci fecero presente, che con-siderando eglino, che l’arti del pingere, e scolpire, e disegnare andavano digiorno in giorno a perdere della loro bellezza, e venivano tuttavia più oscure, edignobili per mancanza di buona scuola, e di carità cristiana, nelle quali cose malpotevano i seguaci d’Arti belle addottrinarsi, privi siccome erano di maestri, eperché ancora princiapianti e scolari, senza niuna lunga pratica, e disciplina dellearti tirati dalla necessità, o dall’avvidità del guadagno pigliavano sopra di se l’in-carico di eseguire grandi lavori, onde poi questi riuscivano spogli, e mancanti diquella perfezione, che alle buone Arti si addice. Laonde per dar qualche ragio-nevole rimedio a questi inconvenienti pensavano fossse bene eriggere in Romaun’Accademia delle predetti arti, ed affidarne la sovra intendenza a uomini pe-ritissimi, e consumatissimi nelle Arti medesime, l’uffizio de’ quali fosse procurare,che gli studiosi giovani venissero diligentemente instruiti nella dottrina Cristiana,nella pietà, ne’ buoni costumi, e che insieme fossero nelle arti, secondo l’intelli-genza, e capacità d’ognuno opportunamente esercitati, tantoché a grado a gradosi proponessero a studio ed imitazione loro gli ottimi, e più rari esemplari delleArti stesse, onde va Roma superba» 53.

Il breve è un documento esplicativo del clima che si respirava negli ambienti ar-tistici romani e della necessità di un rinnovato e più consapevole ruolo della pro-fessione del dipingere. Vi è tracciato, infatti, il profilo del pittore che si aspetta laChiesa della Controriforma; un testo indirizzato agli artisti che proprio in queglianni cominciavano la loro attività nei cantieri pontifici.

Non è bene che gli artisti accettino imprese gravose senza la necessaria formazionee per il solo guadagno. Prima ancora che nell’arte, i giovani vanno istruiti nella dot-trina cristiana, nella pietà e nei buoni costumi. Gregorio XIII avalla il disegno diuna comunità operante e studiosa (fu proprio del Muziano il progetto di un ospizioper i giovani pittori a cui lo stesso breve in un passo successivo fa riferimento 54)nella quale è ben accetto l’insegnamento dei propri maggiori. Un progetto che ri-specchia certamente il pensiero del Muziano il quale, come scrive il Baglione, avevamolti allievi e amava ammaestrarli nella vita come nell’arte. Ma, come capita spesso,il progetto dovette attendere qualche anno per essere almeno in parte realizzato,tanto più che pare improbabile un impegno in tal senso da parte del Pulzone (chefu console nel biennio 1577-78 e ancora nel 1582). I biografi non lo descrivonocome un pittore particolarmente pio e devoto, ma sappiamo che partecipava allacerimonia delle Quarantore (insieme al suo rivale Zuccari) ed entrato a far partedella Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta nell’aprile del 1579, svolse le operedi carità che gli spettavano e non senza soddisfazione dei colleghi se nel 1582 fueletto reggente dell’importante istituzione artistica romana 55.

Mentre Sisto V entrava nel pieno del governo della Chiesa di Roma, trasforman-done visibilmente l’immagine, applicando su larga scala un metodo già sperimentato

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nei cantieri del suo predecessore 56, i pittori dell’Urbe rivendicavano con maggioreforza uno statuto nobile della professione del dipingere, nel tentativo di portare acompimento un processo, avviato per via teorica già nel primo Rinascimento, diemancipazione degli artisti, desiderosi di liberarsi dal pregiudizio di una naturameccanica dell’arte del dipingere.

Una riflessione sulla professione pittorica si avviò certamente nei primi anni Ot-tanta anche a seguito della circolazione dello scritto del Paleotti. Sebbene la tratta-zione fosse ad uso del popolo della città e della diocesi di Bologna («senza con ciòdettare legge in proposito ad altri luoghi, né tanto meno mutare o censurare usanzeche possono essere diverse» 57), l’ambiente artistico romano ne condivise ampiamentele tesi. Silvio Antoniano, nella nota lettera al presule bolognese nella quale chieseconsiglio sull’iconografia dell’Assunta che Scipione Pulzone doveva dipingere perla cappella Bandini in San Silvestro al Quirinale, fa cenno al recente «dottissimo etcopiosissimo libro delle pitture» 58.

Così, su istanza dell’accademia, il pittore biturgense Romano Alberti pubblicònel 1585 il primo scritto d’arte stampato a Roma 59 (in realtà niente più che un com-pendio della letteratura precedente) intitolato significativamente Trattato dellanobiltà della pittura 60, nel quale le argomentazioni del Paleotti vengono compendiatee semplificate, certamente a uso dei pittori. Nel breve scritto (54 pagine compresiindici e dedica al cardinale napoletano Alfonso Gesualdo, al tempo viceprotettoredell’Università dei pittori) si lamentava l’assurda necessità di dovere ancora «difen-dere la nobilissima virtù della pittura da quelli che, togliendo il suo giusto onorecon annoverarla tra l’arti mecaniche e vili, a guisa di vigoroso fiore che per piovosepercosse tiene il capo chino, ritengono il salir di quella al suo supremo luogo» 61.

Sono assenti dalla discussione di questi anni sia Federico Zuccari, il quale torneràstabilmente a Roma soltanto nel 1593 62, che Scipione Pulzone, la cui partecipazionealle sedute della Compagnia subisce una battuta d’arresto nel 1583 63. Nonostanteciò, nell’avvio dei concitati cantieri sistini, dove per pochi scudi, a giornata, mae-stranze provenienti dalle più diverse realtà regionali, salivano sulle impalcature eoffrivano, secondo le proprie specializzazioni, il loro contributo a imprese che pervastità e velocità di esecuzione appaiono quasi miracolose, ma nelle quali le indivi-dualità erano destinate inesorabilmente a giustapporsi se non ad amalgamarsi, gliaggregati alla compagnia, non ancora accademici compiuti, discutevano assiemesulle «efficaci ragioni con le quali potessimo se non in tutto, almeno in parte unasimil virtù [la pittura] defendere, movendoci da un lato il zelo et obligo nostro versodi quella, dall’altro il duolo di vederla essere priva dei già gustati onori» 64.

Come in Paleotti, lo scritto di Romano Alberti rivendica dal principio la “nobilitàcivile” e la “nobiltà cristiana” della pittura, intrinseca all’arte stessa 65. Procedendo dalDe Pictura di Leon Battista Alberti, in una prospettiva ormai pienamente accademica,il pittore biturgense richiama alla necessità che «il perfetto pittore sia teoricamentedotto, senza l’operare, il qual operar dipoi non diminuisce la nobiltà, al contrario diquel che pensano alcuni […] si come si serve il teologo et orator dello scrivere, il ma-tematico del compasso, tavola, gesso, astrolabi et altri molti istrumenti […]» 66.

Romano Alberti fa proprio il modello del pittore – oratore che insegna, dilettae commuove. Soprattutto il pittore deve «essere peritissimo nelle istorie, per saper

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li costumi, abiti, che secondo i tempi si devono rappresentare» e ancora «deve essereperito della sacra Scrittura, e principalmente del Testamento Nuovo, della vita diCristo, Atti degli Apostoli, vite de’ santi e molte altre cose necessarissime al pittore,delle quale se non serà perito, incorrerà senza dubbio in gravissimi errori» 67. Laprescrizione, che pare ovvia alla luce della trattatistica precedente 68, è un’estensionedel ragionamento sul decreto tridentino, come lo è il concetto di «nobiltà cristiana»e ancor più di «pittura devota» che «agiunge un mirabil ammaestramento non soloall’erudito intelletto, ma universalmente a chiascheduno» 69.

Nella chiusura dello scritto compilativo dell’Alberti si rivela la matrice primadell’«umil compendio»:

«solo nomineremo un libro, nel quale molto piu diffusamente le cose da noi dettesi leggono, fatto per ordine dell’illustrissimo e reverendissimo Cardinal Paleotti,arcivescovo oggidi di Bologna, a riformazione non solo della pittura, ma di tuttele altre arti ancora del disegno, mosso dal zelo dell’onor di Dio et utile delprossimo contra il crudel nimico dell’umana natura, che con nuove e sotilissimeastuzie avea seminato molte zizzanie nel campo delle nostre arti); con perpetuonostro obligo verso di lei» 70.

La dichiarazione è di massimo interesse, confermando la piena ricezione almenoin via teorica dello scritto dell’Arcivescovo di Bologna nell’ambiente artistico romanodel primo lustro del Cinquecento 71.

Scipione Pulzone conosceva dunque certamente lo scritto di Paleotti, almeno at-traverso il compendio dell’Alberti. Tuttavia, come rileva Prodi, non ne appareaffatto influenzato, rimanendo «sostanzialmente estraneo alla nuova impostazioneideologica espressa nel Discorso» 72.

L’impressione è che il Gaetano, già alla fine del pontificato gregoriano abbia in-trapreso una strada propria, in parte costretto anche dai limiti della sua personalitàe formazione. Si astenne elitariamente dalla frenesia dei cantieri papali e fu questo,forse, il momento così acutamente descritto dal Baglione (abile come mai a scoprireil nervo): «vedendo intanto Scipione che il solo lavorar de’ ritratti no’l poteva porrenel numero de gli altri eccellenti pittori, risolse di voler fare delle istorie e tavoled’altare» 73.

Negli stessi anni, Pulzone si autoescluse dall’Accademia, della quale come consoleaveva accompagnato l’atto di nascita, rappresentato da quel breve dell’ottobre 1577,ispirato dal Muziano, ma voluto probabilmente ancor più da papa Boncompagni.Eletto console nello stesso mese e nello stesso anno, non fu probabilmente lui a pe-rorare l’iniziativa; un ruolo semmai lo ebbe il suo predecessore Marcello Venusti,console continuativamente dall’ottobre 1575 all’ottobre 1577.

Se in generale Scipione poteva approvare il tenore del breve, gli era difficile cer-tamente sopportare il metodo e le lezioni impostate nel 1593 da Federico Zuccariche rifondò la «Venerabile compagnia di S. Luca, et nobil Academia delli pittori diRoma» come «Acccademia del Dissegno de’ Pittori, scultori et Architetti di Roma»74.

La Roma di Clemente VIII si preparava al grande giubileo del 1600. Il cardinaleFederico Borromeo nel luglio del 1595 lasciava la protezione dell’Accademia ai car-

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dinali Del Monte e Paleotti che nella città pontificia, proprio in quegli anni, e dauna posizione preminente, tentava la stretta rigorista per far fronte al perduraredegli abusi nell’arte sacra 75. Nel 1594 era intanto uscita l’edizione latina del Discorsostampato a Ingolstadt con il titolo De imaginibus sacris et profanis, ottenendo unanotevole pubblicità in Europa e rafforzando il suo successo nel conteso romano 76.Le indicazioni del Paleotti superavano definitivamente i confini bolognesi divenendoun saldo riferimento per la Chiesa universale.

Nell’anno del principato di Federico Zuccari si tennero diverse tornate di con-ferenze alle quali «concorrevano con molta prontezza molti Signori, e Gentil’huominifuori ancora della professione per il gusto, e piacere, che si cavava di tali ragionamentiper l’universale, e particolare di esse professioni» 77.

Ottemperando allo spirito del breve di Gregorio XIII, Federico Zuccari impostòle sue accademie pensandole per artisti più che cristiani, cattolicissimi. Le sedute,precedute dall’invocazione dello Spirito Santo, come un vero e rinnovato cenacolo,si tennero sotto la protezione del San Luca attribuito a Raffaello, opera che Pulzoneaveva restaurato, probabilmente attorno al 1582-83, durante l’assenza da Roma diFederico Zuccari. Il pittore vadese, accortosi al suo ritorno dalla Spagna, delle ri-dipinture invasive del Pulzone, il quale aveva osato lasciare la sua firma su uncartiglio ben visibile all’occhio dei devoti, aveva rimosso graffiando la tavola, conun gesto da Damnatio memoriae, l’oltraggio del collega 78. A questo punto può esserericordato il rimprovero del Paleotti a quei pittori che lasciano sull’opera lo stemmao addirittura la firma. Si può immaginare quanto fosse biasimata una tale azione suun dipinto che la pubblica fama assegnava a Raffaello 79. Porre l’immagine del SanLuca nel fienile improvvisato a sala accademica, alle pendici del Campidoglio, dovegià si costruiva la nuova chiesa dedicata all’evangelista, assumeva il significato diuna solenne riconsacrazione dell’icona a seguito dell’insopportabile profanazione.

La liturgia fu ben studiata: Federico Zuccari al centro del tavolo circondato dauna corte di consiglieri, collaterali e “fratelli” pittori. Vicino a sé lo scettro e il cam-panello; con gesto principesco si alza in piedi, saluta con il capo i presenti, cominciala sua adlocutio 80.

Il discorso dello Zuccari mirava a creare nella Roma pontificia una comunitàd’artisti, esortata alla virtù, alla bontà dell’animo, agli onesti e civili costumi, allaprudenza di azioni, alla soggezione nei confronti dei maggiore, all’affabilità con ipropri eguali, all’amorevolezza verso i più piccoli. Tali creanze si opponevano allastravaganza dei capricci sfrenati, alla dissoluzione della vita fantastica, al disprezzodella propria virtù. Il principe Zuccari auspicava, inoltre, uno spirito di unione,l’amore, l’onore e l’aiuto gli uni verso gli altri. Invitava tutti alla frequenza dell’Ac-cademia dove si dovevano praticare esercizi virtuosi con i quali trovare onore perse stessi e dare reputazione alla professione. Esortava inoltre agli studi particolaridella professione, all’assidua diligenza, alle conversazioni d’amore e di fede. La pro-pria virtù e la propria esperienza, andavano generosamente trasmesse ai giovani,nella convinzione che insegnando si impara. Non si doveva risparmiare alcuna faticanecessaria all’esercizio della professione, accompagnando lo studio con un candoredi bontà e con uno splendore d’onorati costumi utile nella frequentazione con Prin-cipi e Signori dai quali i pittori dovevano aspirare di essere ben visti ed accarezzati.

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Infine si raccomandava ancora la conversazione virtuosa, madre di tutti gli studi. Come in una confraternita i pittori dovevano assistere alla messa e praticare le

devozioni in occasione delle feste comandate, mangiare insieme e poi ragionare suun qualche argomento della professione. Almeno una volta al mese, gli accademicisi dovevano ritrovare per ricevere il Santissimo Sacramento.

Ogni due settimane si dava appuntamento per una disputa il cui tema sarebbestato comunicato a tempo per consentire all’artista-oratore di prepararsi. Al terminedella disputa gli artisti maggiori venivano chiamati ad insegare l’arte del disegno.Seguendo il detto di Apelle nullus dies sine linea, il principe ordinava ai giovani difare un’opera di loro invenzione premiata da «alcuna cosa di sua mano».

Gli artisti che volevano accedere all’Accademia dovevano presentare un disegnodi loro mano e fantasia soggetto al giudizio di una commissione segreta. I lavori sa-rebbero poi stati conservati nell’archivio dell’accademia con il nome degli artefici,la data e il luogo di realizzazione. Andavano nominati dodici assistenti per la curaspirituale e artistica di ogni giovane. Le ordinanze dello Zuccari, miravano in defi-nitiva, a rendere esecutivi gli intenti del breve gregoriano del 1577.

Agli accademici era proibito attizzare gli animi, mormorare, causare discordie,risse. Si chiedeva, piuttosto, un atteggiamento modesto, quieto e studioso, penal’esclusione immediata dall’Accademia. Al principe, e in absentia ai suoi consiglieri,si doveva rispetto e obbedienza.

Chi offendeva gli officiali dell’Accademia sarebbe stato punito con il carcere, chibestemmiava Dio e Santi, meritava l’esclusione perpetua.

Pittura, Scultura e Architettura dovevano considerarsi di pari nobiltà in quantofiglie dello stesso padre, il disegno. Sul modello di Michelangelo, gli Accademicidovevano sforzarsi a esercitare variamente l’una e l’altra arte senza differenze e dif-fidenze. Il primo ragionamento fu tenuto da Durante Alberti e dedicato, non a caso,al disegno 81.

Non occorre procedere oltre per capire le ragioni della lontananza del Pulzoneda una gestione tanto autoritaria e centrata sul disegno di invenzione, pratica chenon sembra essere stata nelle corde del pittore, così come non lo fu in quelle delCaravaggio 82.

Le teorie del principe collimavano, d’altro canto, non solo con la tradizione fio-rentina-vasariana 83, ma con lo stesso Discorso del Paleotti. L’arcivescovo di Bolognariteneva condizione necessaria il possedere compiutamente l’arte del disegno perquanti intendessero esercitare onorevolmente l’arte della pittura, in modo tale daguadagnare l’apprezzamento degli esperti già nella fase preliminare della progetta-zione grafica 84. Per il sacerdote e scrittore Giovanni Andrea Gilio, l’esecuzione dischizzi, modelli e cartoni evitava ai pittori di cadere in errori e abusi gravi 85. Nonè un caso se, nello stesso anno in cui l’accademia veniva riformata, il cardinale Gi-rolamo Rusticucci, in un editto del dicembre 1593 indirizzato alla Chiesa di Roma,ordinava espressamente ai pittori di esibire «il cartone, o sbozzo in disegno dell’hi-storia, o fatto con le figure» prima di cominciare a dipingere quadri destinati achiese o cappelle 86.

Un recente studio di Antonella Pampalone dimostra come, anche in assenza didecreti, fosse piuttosto diffusa già negli anni Ottanta del Cinquecento la pratica di

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consegnare con anticipo il disegno alla committenza che, in caso di ritardo dell’in-ventore, poteva far tradurre pittoricamente il progetto grafico ad altri artisti 87.

D’altra parte anche uno spirito individualista come Pulzone fu costretto ad ac-cettare un lavoro “in solidum” con Giuseppe Valeriano. Si tratta, come noto, delletavole con le storie della Vergine per la cappella della Madonna della Strada al Gesù(fig. 1; tav. XX), nelle quali è ormai chiaro che l’intervento del Gaetano si limitò allapittura dei fastosi drappi 88, rinunciando del tutto all’invenzione che, infatti, non hanulla della severità arcaizzante delle sue figure. Per comprendere la distanza sideraletra le sensibilità del Valeriano e del Pulzone è sufficiente confrontare la gioiosa As-sunzione del Gesù con le austere Assunzioni a firma del Gaetano (tavv. XII, XV).

Il disegno del Valeriano teneva a freno le intemperanze naturalistiche del Pulzoneemerse con forza nella perduta pala con i Sette arcangeli adoranti, nella quale il Gae-tano aveva contravvenuto un principio antico che biasimava la rappresentazione divolti reali e quindi riconoscibili nelle vesti di figure sacre 89.

Se molte incertezze sussistono sull’esistenza di uno stile tridentino, riconoscibilenella pittura di commissione papale elaborata durante il pontificato di GregorioXIII ancor più che nell’acronica pittura del Gaetano, ben chiaro è il profilodell’artista che la Chiesa ha inteso riformare e che non corrisponde a quanto le fontici tramandano sulla personalità e sulla vita di Scipione Pulzone, poco pratico neldisegno e nella pittura di storia, dunque poco atto all’insegnamento, lento nell’ese-cuzione, piuttosto borioso ed esigente nel guadagno 90.

Infine, a Pulzone nonostante le intenzioni mancava quell’universalità che FedericoZuccari raccomandava ai giovani pittori e che Baglione lodava in figure che oggi,come allora, appaiono di qualità minore 91.

Negli “Avertimenti” che Zuccari scrive nella forma sintetica dell’aforisma primadi lasciare il principato, si raccomanda di ricercare l’universalità, di usare con “av-vertenza la molta diligenza”, di fuggire “l’affettatione 92. L’invito ai giovani «ad af-fatigarsi d’essere universali» torna insistente nella sua Idea de’ Pittori, scultori et ar-chitetti (Torino, 1607) 93 dove, in un altro passo, paventa i pericoli di una pitturafondata sulla sola «prattica naturale» del tutto o in parte priva del disegno esterno:

«E qui è d’avvertire che sono due sorti di valent’huomini: una sorte dalla naturasemplicemente prodotti, l’altra dalla natura, e dallo studio affinati, l’uno, e l’altropiù, e meno però perfetti, secondo la intelligenza, e capacità loro. Li naturali sem-plici con la bella idea, & una prontezza oprano talhora maraviglie di pura pratticasenza altro disegno esterno, ò pure di poca sostanza: & a questi avverrà, che nonsempre potranno operare rettamente, e succederà loro di molte scappate, secondola dispositione del genio naturale, non havendo l’arte dell’operare per regola diteorica; ma solo di prattica naturale, e non havendo questi a buon’hora procurato,ne gustato la correttione de gli studi, e della teorica, e buona intelliggenza, quantopiù poi fatta la prattica vorranno talhora porvi più acccuratezza, e diligenza, menofaranno, perdendo quello spirito e quella vivezza, e gratia, che per natural sem-plicemente hanno; e talhora pareranno deboli, e fiacchi principianti» 94.

Nei primi anni del Seicento, Zuccari richiamava quindi i giovani a prendere le

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Scipione Pulzone e la professione del dipingere nel secondo Cinquecento 65

distanze dalle lusinghe di un’arte non ammaestrata dalla lunga pratica del disegnodi invenzione. Vengono in mente le parole del Mancini sui limiti della “schola” delCaravaggio 95, calzanti anche per il Pulzone. Che Zuccari abbia pensato a questi duegiganti della pittura dal vero mentre la penna scorreva sul foglio? Meglio si com-prenderebbero le ragioni di un’inimicizia tra due eccellenti professionalità, quelledi Federico e Scipione, vicine nella vita (come i documenti spesso ci mostrano), lon-tani nella pratica e nella concezione dell’arte.

1 DE MAIO 1978, pp. 4, 39; BIANCHI 2008, p. 22.2 Il cardinale di Bologna Gabriele Paleotti definisce il fine e il dovere dell’artista nel «dipingere in modotale da raggiungere lo scopo che ci si attende dalle immagini sacre». PALEOTTI [1582], 2002, p. 70. Sullalibertà del pittore scrive il Paleotti: «Non intendiamo con tutto ciò impedire al pittore di muoversi conuna certa libertà al di fuori di ciò che sta letteralmente scritto, o di fuori dell’uso stretto che si fa nel suopaese; vogliamo solo ricordare che tale libertà, in quanto ha a che fare con le cose sacre, deve sempreattenersi ai criteri di probabilità, decoro, giovamento». Ivi, p. 201. Per la figura dell’artista nel passaggiotra Rinascimento e Controriforma si veda BAROCCHI 1971-1977, II, , pp. 1252-1264; BLUNT 2001, pp. 113-146. La tesi di una forte limitazione della libertà creativa dell’artista all’indomani della chiusura del Conciliodi Trento è stata sostenuta con decisione da Alberto Graziani e Federico Zeri nei rispettivi saggi del 1939(p. 67) e del 1957 (p. 20). Pur non potendo negare alcuni tentativi di condizionamento da parte delleautorità preposte (cfr. MASSIMI 2001), tali severi giudizi sono da ridimensionare alla luce delle considerazionidi Paolo Prodi in merito all’intenzione, contrastata dalla corte romana, di agire con più forza contro gliabusi attraverso la creazione di un index delle immagini proibite proposto nel suo De tollendis imaginumabusibus novissima consideratio (1596). Cfr. PRODI 2014, pp. 29-30, 163-183 (in appendice la trascrizioneintegrale del testo). 3 Cfr. JEDIN 1972, pp. 382-383. 4 BATTISTI 1960, p. 257-258. Cfr. PRODI 2014, pp. 67-69.5 GRAZIANI 1939, pp. 20-22, p. 59. Riedito con saggi di F. Abbate e M. Di Giampaolo (Milano 1988, p. 49).Cfr. PRODI 2014, p. 132. 6 GRAZIANI 1939, p. 69. 7 Ivi, p. 72.8 Ivi, pp. 74, 76.9 SCIOLLA 2013, pp. 181-182.10 ZERI 1997, p. 59. 11 «De decore sacrarum imaginum: Sacrarum imaginum expressio tota, prototypi dignitati, et sanctitati apte,ac decore, corporis habitu, statu, et ornatu respondeat». BORROMEO [1577] 2000, p. 72. Sull’equivalenza tradecoro e verosimiglianza è interessante una nota del Sigonio all’opera del Paleotti: «Bene è vero che io con-giungerei l’indecore et le inverisimili, perciò che il decoro et verisimile sono compagni». Cfr. PRODI 2014,p. 91, n. 109, p. 105. 12 Paleotti parla del piacere dato dalle immagini «eseguite da una grande anima e con realismo», mentregiudica non verosimiglianti le rappresentazioni, ad esempio, di una donna «con le fattezze simili a quelle diErcole o di Sansone». Non può negarsi in questo punto un accento polemico contro la “terribilità miche-langiolesca” nella raffigurazione del corpo femminile. PALEOTTI [1582] 2002, pp. 79, 173. Si veda anche ilparagrafo dedicato da Federico Borromeo all’abuso delle “figure atletiche”. BORROMEO [1625 ca.] 1932,p. 77. Contro le figure “sforzate” cfr. anche GILIO 1564, p. 69.13 PALEOTTI [1582] 2002, p. 39.14 BORROMEO [1625] 1932, p. 76.15 JEDIN 1972, p. 378 (la raccolta contiene in traduzione italiana il saggio pionieristico dello Jedin pubblicatonel 1935 (cfr. JEDIN 1935). 16 Sulla riforma degli antichi istituti del Sinodo diocesano e della visita pastorale: DE HORNEDO 1945, pp.333-362; LONGHITANO 1987, pp. 33-85; CAPPELLINI, SARZI SARTORI 1994; JEDIN 1981, pp. 201-234; MAZ-ZONE-TURCHINI 1985.17 JEDIN 1972, pp 354-383.18 IL SACRO CONCILIO DI TRENTO 1822, p. 323. Per la storia del decreto sulle immagini sacre e della suainfluenza sulle arti, oltre agli studi di Jedin già citati si vedano: DEJOB 1884; KIRSCHBAUM 1945, pp. 100-

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116; KUMMER 1993, pp. 508-533. Il lungo dibattito critico è ora raccolto e magistralmente riepilogato inPRODI 2014. 19 Ivi, 124. 20 ZEN 2009, p. 10.21 FRANCOWITZ 1559-1574. Sulla storia delle Centurie si veda NORELLI 1982, pp. 253-295 (con bibliografiaprecedente); MOTTA 2005, pp. 175-176 (con bibliografia precedente). 22 «Hor su disse M. Pulidoro ragioniamo un poco del pittore historico, al quale si convengono molte par-ticolarità più che à gli altri: e molta più consideratione vuole l’historia, che la poesia […]. Circa l’historiepochi sono fedeli, e puri demostratori de la verità del soggetto, & il contrario essere doverebbe: essendolo scrittore, & il pittore in una istessa bilancia, del historico parlo […]. Conciosia che’l pittore historicoaltro non è che un traslatore che porti l’historia da una lingua in un’altra. E questi da la penna al pennelloda la scirttura a la pittura. E s’in questa traslatione non è fedele, s’aquista biasimo, e si fa degno di riso,ò di sonno come Horatio diceva. Io so molto più ingenioso quello artefice che accomoda l’arte a la veritàdel soggetto, che quello, che ritorce la purità del soggetto à la vaghezza de l’arte. Perche molti cio fannocon intentione d’esserne più perfetti, & ingegnosi stimati, e pensano di fare l’opere loro più vaghe, piùleggiadre, & eccellenti». GILIO 1564, pp. 79-86. Alla fine del secolo l’interpretazione della figura dell’artistastorico sembra attenuarsi come può dimostrare l’opera Tractatio de poësis et pictura di Antonio Possevino(1595).23 BLUNT 2001, p. 25.24 Cfr. SCHLOSSER MAGNINO 2001, pp. 425-431. 25 BORROMEO [1625] 1932, pp. 104-105. 26 BORROMEO [1577] 2000, pp. 70-71.27 Sui cicli pittorici a soggetto storico durante i pontificati gregoriani e sistini si veda: ZUCCARI 1998, pp. 272-280; ZUCCARI 1992; D’AMICO 1992, pp. 161-253; MADONNA 1993; GAMBI, PINELLI 1997; OSTROW 2002, pp.19-117; PIERGUIDI 2008, in particolare le pp. 24-66; ZUCCARI 2012c, pp. 266-307; ZUCCARI 2012b, pp. 71-87.28 HESS 1935, 23, pp. 1270-1275; HESS 1936, 4, pp. 161-166; CORSINI, DE STROBEL, SERLUPI CRESCENZI 1992,pp. 151-153; MEADOWS-ROGERS 1996, pp. 226-231; COURTRIGHT 2003; CECCARELLI-AKSAMIJA 2011; ZUCCARI2012b, pp. 71-87.29 RANDOLFI 1999; BERNARDINI 2002.30 Cfr. ZUCCARI 1992, pp. 103-148.31 Sulla vicenda della bibbia di Sisto V si veda MOTTA 2005, pp. 587-589.32 Cfr. PIETRANGELI 1991; MANDEL 1994.33 Sui martirologi protestanti si veda: CAVALLOTTO 2002; KING 2001, pp. 52-85; ACHINSTEIN 2001, pp. 106-115.34 Cfr. su questo tema, in particolare, il bel volume di Lestringant (2004, pp. 117-174).35 Cfr. HERZ 1988, 62, pp. 53-70 (con bibliografia precedente); BAILEY 2003b. 36 Cfr. BIANCHI 2009, pp. 95-170.37 Cfr. BAGLIONE 1642, p. 40.38 ZERI 1957, p. 47. 39 Si veda su questo la vita di Tommaso Laureti (Baglione 1642, p. 69).40 ZUCCARI 1992, p. 100.41 È il caso, ad esempio, dell’oscuro Giovanni Paolo Severi da Pesaro per il cui ruolo nei cantieri sistini siveda BERTOLOTTI 1881, pp. 24-25; P. TOSINI in MADONNA 1993, pp. 544-545; ZUCCARI 2012c, pp. 267-268.42 MANCINI 1956, I, p. 207.43 Cfr. PALEOTTI [1582], 2002, pp. 149-157.44 SALVAGNI 2012, p. 140.45 Lettera dell’ambasciatore spagnolo Juan de Zúniga al re Filippo di Spagna in data 10 febbraio 1578. Cfr.BEER 1891, n. 8471. 46 GRONAU 1936, p. 157, n. 1. Cfr. MORETTI-ZUCCARI 2009, p. 146.47 Per Borghini il Pulzone pittore di historie vale non meno del ritrattista. BORGHINI 1584, p. 578. 48 GRONAU 1935, p. 257.49 Ivi, p. 255.50 MORETTI 2012, pp. 28-29. 51 MORETTI 2009, pp. 82-83.52 Cfr. BAGLIONE 1642, p. 52; cfr. SALVAGNI 2011, p. 144 sgg.53 MISSIRINI 1823, p. 20. Per la giusta datazione si veda SALVAGNI 2011, p. 195, n. 387. Sui rapporti traGregorio XIII e l’Accademia di S. Luca si veda WITCOMBE 2009. 54 Cfr. BAGLIONE 1642, p. 51.55 Cfr. TIBERIA 2000, pp. 146-47. WAGA 1992, p. 220; ROSSI 1996, pp. 318-319; PAMPALONE 2011, p. 47.56 Sul metodo di realizzazione delle imprese pittoriche sistine si veda ZUCCARI 2007, pp. 29-46.57 PALEOTTI [1582] 2002, p. 7. 58 Cfr. PRODI 2014, p. 130.

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59 Se si esclude lo scritto tutto teologico De cultu et adoratio imaginum di Ambrogio Catarino (CATARINO1552, pp. 122-145). 60 Sullo scritto dell’Alberti cfr. SCHLOSSER MAGNINO 2001, pp. 390-391, 400-401; SALVAGNI 2012, p. 161. 61 ALBERTI 1585, p. 2. 62 SALVAGNI 2012, p. 159. 63 PUPILLO 2013, p. 168.64 Ibidem.65 ALBERTI 1585, pp. 6-7.66 Ivi, pp. 14-15.67 Ivi, p. 35.68 Cfr. ad esempio GILIO 1564, p. 83.69 ALBERTI 1585, p. 40.70 Ivi, p. 53.71 Sulla problematicità di verificare tale ricezione si veda PRODI 2014, p. 32. 72 Ivi, p. 131. 73 BAGLIONE 1642, p. 53.74 Si confronti il frontespizio del trattato dell’Alberti (1585) con quello dell’Origine et progresso dell’Accademiadel Dissegno, de’ pittori, scultori, et architetti di Roma, dove si contengono molti utilissimi discorsi, et filosoficiragionamenti appartenenti alle sudette professioni, et in particolare ad alcune nove definitioni del Dissegno,della pittura, scultura, et architettura. Et al modo d’incaminar i giovani, et pefettionar i provetti. Recitati sottoil regimento dell’Eccellente Sig. Cavagliero Federico zuccari et raccolti da Romano Alberti secretario dell’Aca-demia, Pavia, Pietro Bartoli, 1604 [da ora in poi ALBERTI 1604].75 Cfr. BIANCHI 2008, pp. 214-215; PRODI 2014, pp. 146-158.76 BELTRAME 1990.77 ALBERTI 1604, p. 4.78 Sulla vicenda si veda PUPILLO 2013, p. 169 e il saggio ricostruttivo di Stefania Ventra (2015).79 Cfr. PALEOTTI [1582] 1604, p. 255.80 ALBERTI 1604, p. 14.81 Ivi, p. 14 sgg. 82 Sulla complessa questione del disegno in Caravaggio si rimanda al recente saggio di Alessandro Zuccari(2013), con bibliografia precedente. 83 «E perché da questa cognizione nasce un certo concetto e giudizio che si forma nella mente quella tal cosa,che poi espressa con le mani si chiama disegno, si può conchiudere che esso disegno altro non sia che unaapparente espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell’animo, e di quello che altri si è nella menteimaginato e fabricato nell’idea». VASARI 1878, p. 169 sgg.; «Il disegno non estimo io che sia altro che una ap-parente dimostrazione con linee di quello che prima nell’animo l’uomo si aveva concetto e nell’Idea imaginato,il quale a voler co’ debiti mezi far apparire bisogna che con lunga pratica sia avezza la mano con la penna,col carbone, o con la matita ad ubidire quanto comanda l’intelletto». BORGHINI 1584, p. 137. 84 PALEOTTI [1582] 2002, p. 265. 85 GILIO 1564, p. 83. 86 ZUCCARI 1984, p. 16.87 PAMPALONE 2012, p. 204. Come è noto, anche a Pulzone nel 1583 venne chiesta la prova del cartone primadi procedere con la realizzazione della Crocifissione per gli Oratoriani della Vallicella, cfr. L. Calzona in SCI-PIONE PULZONE 2013, p. 319.88 ZUCCARI 2013, p. 82.89 Cfr. STRINATI 1998, pp. 8-9. 90 La pittura fatta su commissione per puro guadagno, secondo il dire degli antichi, perdeva di nobiltà, no-nostante le rassicurazioni su questo punto offerte dal trattato del cardinale di Bologna. Cfr. PALEOTTI [1582],2002, pp. 28-29. Come noto, la personalità del Pulzone è tratteggiata con grande maestria nella biografiadel Baglione (1642, p. 54). Su questo tema si veda in particolare PUPILLO 2013.91 Si veda ad esempio la vita di Lorenzo Sabatini (BAGLIONE 1642, p. 17).92 Cfr. ALBERTI 1604, p. 86.93 ZUCCARI 1607, p. 19.94 Ivi, p. 15.95 MANCINI 1956, I, p. 108.

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TAVOLE

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Tavole 89

Tav. I. Scipione Pulzone, Gentildonna col velo giallo, New York, collezione Marco Grassi.

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90 Tavole

Tav. II. Scipione Pulzone, Il cardinale Giovanni Ricci, Roma, Palazzo Barberini.

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Tavole 91

Tav. III. Da Scipione Pulzone?, Il cardinale Giovanni Ricci a sedere, Roma, collezione Ricci Massimo.

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92 Tavole

Tav. IV. Scipione Pulzone, Giacomo Boncompagni, Collezione privata.

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Tavole 93

Tav. V. Scipione Pulzone, Il cardinale Giacomo Savelli, Roma, Galleria Corsini.

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94 Tavole

Tav. VI. Scipione Pulzone, Maddalena penitente, Roma, San Giovanni in Laterano, cappella del Coro.

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Tavole 95

Tav. VII. Scipione Pulzone, Cristo sulla via del Calvario, Milano, Antichità Gianni Minozzi.

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96 Tavole

Tav. VIII. Scipione Pulzone, Immacolata con angeli, santi e il piccolo Andrea Cesi, Ronciglione (VT), Chiesa dei Cappuccini.

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Tavole 97

Tav. IX. Scipione Pulzone, Immacolata Concezione, Gaeta, Istituto della SS. Annunziata, Grotta d’oro.

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98 Tavole

Tav. X. Scipione Pulzone, Crocifissione, Roma, Santa Maria in Vallicella, cappella Caetani.

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Tavole 99

Tav. XI. Scipione Pulzone, Bianca Cappello, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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100 Tavole

Tav. XII. Scipione Pulzone, Assunzione della Vergine, Roma, San Silvestro al Quirinale, cappella Bandini.

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Tavole 101

Tav. XIII. Documentazione grafica con la distribuzione delle lastreche costituiscono il supporto dell’opera (tav. XII) e delle stuccature.

Grafico di Luigi Loi - RES Consorzio Restauratori.

Stuccature bianche

Stuccature marroni

Stuccature grigie

Stuccature ocra

Giunzione delle lastre

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102 Tavole

Tav. XIV. Scipione Pulzone, Sacra Famiglia con san Giovannino e sant’Elisabetta, Roma, Galleria Borghese.

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Tavole 103

Tav. XV. Scipione Pulzone, Assunzione della Vergine, Roma, Santa Caterina de’ Funari.

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104 Tavole

Tav. XVI. Scipione Pulzone, Cristina di Lorena, Firenze, Galleria degli Uffizi.

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Tavole 105

Tav. XVII. Scipione Pulzone, Il cardinale Ferdinando de’ Medici, Adelaide, Art Gallery of South Australia.

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106 Tavole

Tav. XVIII. Scipione Pulzone, Il cardinale Michele Bonelli, Cambridge,Università di Harvard, Fogg Art Museum.

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Tavole 107

Tav. XIX. Scipione Pulzone, Eleonora Orsini, Firenze, Galleria Palatina.

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108 Tavole

Tav. XX. Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, Annunciazione, Roma, Chiesa del Gesù, cappella della Madonna della Strada.

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Tavole 109

Tav. XXI. Scipione Pulzone, Pietà, New York, The Metropolitan Museum of Art.

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110 Tavole

Tav. XXII. Scipione Pulzone, Dama velata con libro, collezione privata.

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Tavole 111

Tav. XXIII. Scipione Pulzone, Madonna della Divina Provvidenza, Roma, San Carlo ai Catinari,oratorio dei padri Barnabiti.

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112 Tavole

Tav. XXIV. Scipione Pulzone, Madonna della rosa, Huesca, Cattedrale.

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Tavole 113

Tav. XXV. Scipione Pulzone, Martirio di san Giovanni Evangelista, Napoli, San Domenico Maggiore, cappella Carafa (foto Antonio Priston).

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114 Tavole

Tav. XXVI. Da Scipione Pulzone?, Pomponio Torelli, Caserta, Museo della Reggia.

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Tavole 115

Tav. XXVII. Anonimo del sec. XVI, San Luca dipinge la Vergine, Roma, Accademia Nazionale di San Luca.

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116 Tavole

Tav. XXVIII. Tommaso Laureti, La morte di Adone, Zafferia (ME), collezione privata.

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Tavole 117

Tav. XXIX. Gaspare Celio, Angeli con i simboli della Passione, Roma, chiesa del Gesù, cappella della Passione.

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118 Tavole

Tav. XXX. Ludovico Leoni (qui attribuito), Dama con gargantiglia, Chambéry, Musée des Beaux-Arts.

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Tavole 119

Tav. XXXI. Ottavio Leoni, Caterina “la bella”, Parigi, Ecole nationale supérieure des beaux-arts.

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120 Tavole

Tav. XXXII. Ottavio Leoni, Ragazza con orecchini di perle, Hannover, Niedersächsisches Museum.