Il destino delle Tre Prescelte

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Monda - Bedini, fantasy per ragazzi

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Nunzia Monda Alessandra Bedini

IL DESTINO DELLE TRE PRESCELTE

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IL DESTINO DELLE TRE PRESCELTE Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2011 Monda - Bedini ISBN: 978-88-6307-375-1

In copertina: Immagine fornita dall’Autore

Finito di stampare nel mese di Luglio 2011 da Logo srl

Borgoricco - Padova

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CAPITOLO 1

Kate Kate I rami secchi scricchiolarono sotto i miei passi… Distinguevo a fatica le sagome degli alberi, tanto era buio. Ma io dovevo correre, scappare, no-nostante il buio, nonostante i graffi sui piedi nudi, nonostante la paura che mi serrava lo stomaco e mi bloccava il respiro. A un tratto, uno squarcio tra i rami lasciò trapelare un fascio di luce lunare… e improvvi-samente le vidi, al mio fianco, un lupo e una specie di fata… Erano con me o contro di me? Da chi stavo scappando? E soprattutto, dove mi tro-vavo? Sobbalzai sul materasso. Ero completamente impregnata di sudore, i ca-pelli appiccicati alla fronte come se avessi veramente corso tutta la notte. E invece avevo solo sognato, lo stesso identico sogno delle ultime tre not-ti. La sveglia segnava le 6, troppo tardi per riprendere sonno e troppo pre-sto per alzarmi. E così, sveglia nel buio della mia piccola stanzetta, ripen-sai al sogno ricorrente, a come fosse irreale, ma nello stesso tempo incre-dibilmente realistico, a come le mie emozioni erano amplificate: la paura, l’adrenalina, lo sforzo nel respirare. Come se la mia parte istintiva volesse darmi qualche messaggio. I miei pensieri vennero bloccati mentre la porta si apriva lentamente e quattro zampette saltavano sul letto… La mia piccola Kikka entrava e usciva di casa a suo piacimento. Era una gattina nera, minuta e agilissima. L’avevo trovata piccolissima mentre cercava di scendere da un albero e da allora ero diventata la sua “umana”, mentre Kikka era la mia migliore amica. Anzi, per meglio dire, la mia unica amica, a parte Kevin ovviamente. Giocai un po’ con Kikka prima di alzarmi e andare in cucina. La nonna era fuori in cortile con i suoi animali. Era strano non andare più a scuola, anche se non mi ero mai integrata del tutto. Diciamo che ero sempre stata un po’ al confine, perché gli altri studenti non riuscivano a fidarsi total-mente di me. In verità la colpa era anche mia. Effettivamente anche Kevin

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mi diceva spesso che mettevo soggezione, lo sguardo fiero, quasi aggres-sivo, e l’istinto predominavano di gran lunga sulla ragione. La nonna mi chiamava spesso Selvaggia, ma era un soprannome affettuoso, perché lei era come me per molti versi. Insisteva spesso di avere degli antenati fra un’antica tribù d’indiani, ma la cosa non era mai stata confermata da do-cumenti ufficiali, anche se la nonna con le sue due lunghissime trecce bianche poteva benissimo sembrarlo. Che avrei fatto in quella giornata? Ormai Kevin e io avevamo disegnato su tutti i muri della città, eravamo quasi stati arrestati e ora dovevamo te-nerci lontani anche da tutti i vagoni dei treni e qualsiasi superficie decora-bile con le bombolette. Dalla finestra della cucina intravidi Kikka saltare il piccolo muretto che circondava l’abitazione della nonna e scappare nell’ignoto. Bene, sarei uscita anch’io, sarei andata nel parco col mio al-bum da disegno per tirar giù qualche schizzo. Disegnavo da quando avevo sei anni, soprattutto schizzi col carboncino. Ormai avevo riempito più di dieci album. I miei soggetti preferiti erano piccoli animali, scoiattoli, uc-celli, o stranezze che mi capitava di osservare. La signorina Draw, l’insegnante di arte, ne era rimasta talmente affascinata che aveva cercato in ogni modo di farmi iscrivere in un’accademia, ma avevo rifiutato fer-mamente, perché l’istinto mi diceva che il mio destino era un altro. Non avevo però abbandonato il disegno, era un modo di esprimere e sfogare le mie fortissime emozioni, talmente forti che spesso mi sopraffacevano. Il parco non era tanto distante da casa; più che un parco era un sentiero naturale in riva a un fiumiciattolo. Il mio posto preferito era in un angolo, ai piedi di un albero gigantesco, seduta su una delle radici che sbucavano dal terreno a formare quasi una poltrona. Lì avevo superato il dolore per l’abbandono di mia madre, dolore che presto era diventato rabbia e ranco-re verso quella donna immatura ed egoista che si era liberata di tutto, per-sino della figlioletta di sei anni, per seguire un musicista e la sua band. Lì avevo pianto la fine del mio primo amore, Karl, che a dieci anni mi aveva lasciato perché si vergognava di essere difeso da me. Per forza, era una femminuccia! Lì avevo sognato e fantasticato sul mio futuro. E infine, lì avevo visto per la prima volta il misterioso ragazzo moro che faceva jog-ging col suo mp3. Al solo pensiero, sentivo un capovolgimento incredibile nello stomaco e le guance mi si infiammavano. Mai visto nulla di più bel-lo, moro, occhi scuri e muscoli che guizzavano sotto le magliette chiare a ogni movimento. All’improvviso un verso straziante mi riportò bruscamente alla realtà.

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Cos’era stato? Un animale in difficoltà. Di corsa mi avviai verso il luogo da cui era arrivato il lamento, e lì su un pezzo di legno dei teppisti stavano per ghigliottinare un gatto. Erano in tre, completamente tatuati, e sembra-vano indecisi se tagliargli la testa o conficcargli un punteruolo nel petto. Intanto lo tenevano giù steso per le zampe a pancia in su. Una rabbia in-controllabile si impossessò di me, sentii un urlo animalesco e bellicoso, e con sorpresa mi accorsi che ero stata io a lanciarlo. I tre sobbalzarono, ma poi si voltarono a guardarmi e scoppiarono in una fragorosa risata. Effetti-vamente dovevo sembrare una ragazza minuta e indifesa al loro confronto. Solo uno di loro si accorse dei miei occhi fiammeggianti e arretrò, mentre gli altri si stavano già pregustando la nuova preda. Io era fatta così, agivo sempre senza pensare, senza valutare l’inferiorità numerica, e sicuramente lo svantaggio contro i tre energumeni. Un’occhiata al gattino, però, mi fe-ce subito ribollire dalla rabbia, e improvvisamente una raffica di vento spazzò le foglie che coprivano il sentiero e mosse i rami degli alberi. Il cielo parve oscurarsi. Le foglie furono sparpagliate da un turbinio di aria, uno stormo di uccelli spaventati si alzò in volo. Sembrava che stesse per arrivare un terribile uragano. Neanch’io capii bene da dove venisse il ven-to, anche se avevo la netta sensazione che fosse in qualche modo legato alla mia rabbia incontenibile. I tre teppisti si guardarono l’un l’altro stupiti e confusi, mentre il vento in-furiava sempre più forte, finché, da vigliacchi quali erano, decisero di dar-sela a gambe. Avrei voluto seguirli e scuoiarli vivi, ma decisi di lasciar perdere, più che altro preferii soccorrere il gattino che se ne stava terroriz-zato attaccato al pezzo di legno su cui era stato trascinato. I nostri occhi s’incontrarono, e io sentii dentro di me di aver già visto quello sguardo, mi era familiare come quando guardi negli occhi un amico o un fratello. Il gatto sembrò ringraziarmi e scappò tra gli alberi. Tutto si era svolto molto velocemente, tanto da non darmi il tempo di realizzare cosa realmente era accaduto. Da dove erano arrivate le raffiche di vento? Ero stata io a pro-vocarle? Provai a concentrarmi per riprodurre la forza che mi era scoppia-ta nel petto alla vista della cattiveria e della prepotenza dei tre sull’animale indifeso, ma senza alcun risultato. Ora tutto era tornato sere-no e tranquillo, immobile, neanche una brezza di vento. Che avessero ra-gione i cretini che mi urlavano “strega”?! Con stizza, afferrai l’album che era caduto sul terreno e cominciai a tracciare linee con ferocia sul foglio bianco… Non sapevo cosa stavo raffigurando, la mano sembrava procede-re senza alcuna volontà da parte mia. Quando finalmente si fermò, sul fo-glio c’era un simbolo molto strano, una specie di M gotica, formata da due k capovolte.

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Kelly Kelly Avevo sempre voluto essere diversa da quello che ero; speravo di essere speciale in qualche modo, nonostante tutti mi vedessero solamente strana. E scoprire che finalmente quello che avevo sempre desiderato si era e-saudito fu un’emozione troppo forte, talmente tanto che per alcuni minuti tutto aveva smesso di muoversi e di esistere, forse avevo esagerato. Mi chiamo Kelly Loop. Sono sempre stata una ragazza tendenzialmente sola, ho sempre avuto in-teressi non comuni alle persone della mia generazione, interessate solo al-la bella vita, macchine veloci, alcool e tutto ciò che ne comporta. Io sono cresciuta con certi ideali e per questo non sono mai stata in sinto-nia con la gente della mia età. All’avvicinarsi dell’ultimo anno di liceo una parte di me non vedeva l’ora, ma l’altra aveva una fifa tremenda di cosa mi avrebbe portato il futuro. La lettura è sempre stata il mio amore più grande, immergermi nei libri era la cosa che più mi aiutava ad affrontare le difficoltà di tutti i giorni perché purtroppo non ero di certo la ragazza più popolare della scuola. Il primo giorno dell’ultimo anno di scuola era finalmente arrivato, mi sembrava ancora strano che dopo pochi mesi non sarei stata più costretta a vedere le mie odiose compagne come Lucy. «Ciao Kel, cosa hai fatto di bello ieri sera? Hai derubato di nuovo la bi-blioteca?» Quanto la odiavo, e soprattutto detestavo che ogni sua frase scatenasse sempre una risata fragorosa del resto della classe. «Sì, Lucy, certo», cercavo di non prendermela ma in realtà volevo sbatter-le la testa contro l’armadietto. «Lo sai che hanno aperto dei negozi nuovi in città? Non c’è bisogno che ti metti i vestiti di tua nonna.» «Se è per quello, neanche tu dovresti rubare i vestiti alle prostitute, non è educato.»

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«Come ti permetti…» Lucy s’interruppe all’improvviso e subito dopo ca-pii il motivo. «Che cosa succede qui?» La prof. Josh, insegnante di letteratura, era ap-pena entrata in classe, peccato questa volta magari sarei riuscita a strappa-re quel sorrisino idiota dalla faccia di Lucy. «Buongiorno, signora Josh.» «Tutti a posto, forza, che sta succedendo qui? Come mai siete tutte in pie-di? Signorina Loop, tutto bene?» Dopo aver annuito, mi avviai verso il mio posto. Lucy aveva il suo classi-co sguardo da non sai che cosa hai scatenato, ma le girai le spalle e mi misi ad ascoltare la lezione. La signora Josh era l’unica insegnante che adoravo a scuola; finite le le-zioni, mi fermavo sempre alcuni minuti per parlare delle nostre ultime let-ture o per ascoltare qualche suo consiglio riguardo a qualche libro nuovo che aveva letto di recente. Se non fosse stato per lei, non avrei mai scoperto alcuni generi di lettura che mi avevano aiutato e accompagnato durante il mio periodo scolastico. La campanella suonò e sobbalzai fuori dai miei pensieri per tornare alla realtà; mi avviai verso la porta d’uscita, quando la signora Josh mi fece cenno di fermarmi un attimo. «Sì, signora Josh, voleva dirmi qualcosa?» «Sì, cara», disse senza alzare lo sguardo da un biglietto che teneva in ma-no. «Hanno aperto una nuova libreria. Tieni, questo è il volantino, domani fa-ranno l’inaugurazione ufficiale. Tengono parecchi generi letterari, anche antichi, scommetto che troverai sicuramente qualcosa giusto per te», sorri-se porgendomi il bigliettino della libreria Haunted Library. “Che nome curioso”, pensai, e dopo aver salutato la signora Josh, mi av-viai verso l’altra aula attendendo con ansia la fine di quel primo giorno di scuola. Quando il suono della campanella sottolineò la fine della mattinata, ero felice di aver trascorso incolume, o quasi, la prima giornata. Tornando a casa guardai da fuori la nuova libreria che mi aveva consiglia-to la signora Josh. Era un locale al quanto bizzarro con un’insegna viola brillantata con appe-si alla porta fiori e strane scritte in una lingua mai vista. Provai a spingere la porta ma era chiusa e all’interno le luci erano spente. In quel momento mi ricordai che la professoressa Josh mi aveva detto che l’inaugurazione sarebbe stata il giorno seguente. Ma giacché ero lì, mi ap-poggiai al vetro coprendo con la mano il riflesso per dare una sbirciatina.

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Dentro c’erano dei grandi tavoli con dei drappi rosa e viola con appoggiati sopra dei libri sparsi e poi immensi scaffali pieni di libri; ogni tanto com-pariva una candela che evidentemente serviva per fare atmosfera. Era un locale a due piani collegati tra loro da una grande scalinata di le-gno. Non avevo mai visto una libreria così particolare, mi aveva molto in-curiosito, il giorno dopo sarei andata sicuramente all’inaugurazione. Casa mia era poco lontano dalla Haunted Library; quando entrai in casa, fui subito accolta dalla mia rumorosa famiglia. «Kelly, sei tu? Forza che si fredda.» Mia madre, Susy Spencer, una donna sempre sull’orlo di una crisi isterica, sposata da ventitré anni con Roger Loop, madre di due figli: io, e quell’esserino diabolico di mio fratello Jeff. «Sì, mamma, sono io, arrivo.» «Sì mamma sono io, arrivo», disse mio fratello cercando di imitare la mia voce, rendendola più stridula. «Jeff, non mi va che mi fai da pappagallo, torna a giocare con le tue figu-rine.» «Mamma ha ragione, non ti troverai mai un ragazzo, sei troppo acida.» Eravamo sempre allo stesso punto; i miei familiari in mia assenza parla-vano della mia vita privata, e alla prima occasione il mio mostruoso fratel-lino minore mi buttava addosso quelle parole come pugnali. Lui lo faceva per darmi fastidio, perché la sua piccola età lo induceva a comportarsi co-sì, ma per me era come buttare sale su una ferita aperta. Mangiai pochissimo e andai subito in camera mia. Quelle parole mi continuavano a girare in testa. Era vero: non avevo mai avuto un ragazzo, e fino a qualche mese prima non m’interessava molto se i ragazzi mi consideravano un maschiaccio, ma quando vidi Robert per la prima volta il mio auto-convincimento e la mia auto-stima svanirono in un baleno.

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Kate & Kevin Kate Quel pomeriggio incontrai Kevin, mio amico e compagno di sventura. E-ravamo amici dall’asilo e io lo avevo sempre difeso da tutti perché era mingherlino, con gli occhiali e frignone. Col tempo però era cresciuto molto, fino a superarmi di venti centimetri in altezza. Ormai nessuno osa-va sfidarlo, viste le spalle larghe e muscolose. Però eravamo rimasti amici, quasi fratelli. Era la persona a me più vicina. In effetti, non permettevo al-cun contatto a nessun altro oltre a lui. Kevin aveva la mia stessa età e al suo fisico prestante univa il fascino di lineamenti decisi e mascolini, capelli scuri e corti, occhi verdi e un’espressione di sfida stampata sul volto. Ma per me lui era sempre il ra-gazzino mingherlino che serrava i pugni anche con quelli più grandi. Sua madre faceva la prostituta, anche se tutti dicevano che stregava gli uomini con incantesimi e pozioni, e suo padre era morto quando lui era piccolo. Insieme facevamo una bella coppia di disgraziati per via di famiglie! Era bello, però, perché lui rappresentava il fratello che non avevo, con lui a-vevo compiuto gesti ribelli come imbrattare i muri della scuola, iniziare a fumare, salire sul cornicione del palazzo più alto e sfidare la sorte restan-do a mezza via tra il cemento e il vuoto. Avevamo sempre condiviso tutto, anche se di solito la diabolica ero io e Kevin semplicemente mi seguiva. Mi aveva sempre incoraggiata, sorretta, era la mia ombra, il mio braccio destro. Anche ora che lo stavo trascinando in quest’altra avventura. «Allora, hai deciso quando?» «Non ancora, devo accertarmi che mia nonna stia meglio, prima, e tu non devi venire per forza.» «Lo sai che voglio venire, ovunque tu vada io verrò con te!» Una bella responsabilità per me… «Sembri distratta, a cosa pensi, Key?» Dovevo dirglielo? Gli avevo sempre raccontato tutto, anche quando mi era venuto il ciclo, e ora mi sentivo quasi in imbarazzo. Come facevo a dirgli che avevo alzato una specie di bufera solo con la forza del pensiero?! Di lui mi fidavo, cie-camente, tanto da raccontargli il mio piano di fuga alla cieca ricerca di

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mio padre, ma questo proprio non riuscivo a dirglielo. Era troppo assurdo perfino ai miei occhi, troppo irreale. Era meglio verificare, prima. «Niente Kevin, pensavo… sai… ormai la scuola è finita. Tu perché non ti sei iscritto a nessun college? Avresti potuto avere una borsa di studio col football, andar via di qui, diventare qualcuno…» Kevin abbassò la testa per non guardarmi negli occhi. Avevamo già di-scusso a lungo a questo proposito, ma lui non voleva allontanarsi da me. A volte il suo attaccamento sembrava morboso! «Lo sai che non ti lascio.» «Ma mica parti per la guerra! E poi posso cavarmela benissimo anche da sola, lo sai.» Kevin non rispose e girò la testa dall’altro lato, come a non volersi far guardare in faccia. Ultimamente era cambiato, era più silenzioso e intro-verso. Spesso lo sorprendevo a osservarmi e quando gli chiedevo scherzo-sa «ehi, scemo, cos’hai da guardare?!», lui trasaliva e si arrabbiava. Nonna Sybil mi aveva detto che gli uomini crescendo a un certo punto smettono di usare il cervello e cominciano a utilizzare un altro organo di cui proprio non aveva voluto parlarmi… «Il cuore?» avevo cercato di in-dovinare allora, ingenuamente. E la mia arzilla nonnina in tutta risposta: «Sì, magari!» Alla fine avevo lasciato stare. Mia nonna, Sybil, amava gli indovinelli e i giochi di parole e a volte mi dava proprio sui nervi. Come Kevin in questo momento. Ma perché doveva rinunciare ad andare all’università solo per-ché aveva paura a lasciarmi sola, ma chi si credeva di essere? Io non ero una bambina, sapevo badare a me stessa, anzi spesso ero stata io a badare a lui. «La mamma oggi prepara delle frittelle, ti va di venire a trovarla?» «Ma certo!» Adoravo Lynn, nonostante la sua professione, nonostante fosse additata da tutti come una poco di buono e una strega. Per me era sempre stata solo una donna forte che a diciotto anni era già madre e vedova. A quell’età erano poche le possibilità di mantenere un bambino e conservare allo stes-so tempo l’onore. E quindi aveva messo in vendita la cosa più bella che aveva: il suo corpo. Forse alcuni, o meglio alcune, perché gli uomini era-no tutti suoi clienti, potevano biasimare la sua scelta, ma lei aveva rinun-ciato a tutto pur di allevare il suo bambino. Non potevo certo dire lo stesso di mia madre, la fuggitiva! L’odore di frittelle invadeva il sentiero e metteva l’acquolina in bocca. Kevin e sua madre vivevano in una… capanna… si poteva definirla così, al limite di una boscaglia. In disparte dal resto del paese. Era una casupola decadente, in legno e sassi, che stava ancora su per miracolo! Davanti a

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casa c’era un orto curatissimo e rigoglioso. L’interno però era caldo e ac-cogliente, su un lato un enorme camino riscaldava la casa in inverno; alle pareti c’erano molti quadri, ma soprattutto miei disegni che Lynn si faceva incorniciare da un suo “amico” falegname. «Buongiorno, tesoro, come sta tua nonna?» «Molto meglio dopo la pomata che mi hai dato!» «È stata una bella caduta, e poi alla sua età! Ti ho preparato anche una ti-sana antigonfiore!» Mentre facevamo merenda con le frittelle, un rumore assordante ruppe la quiete della casetta. Fui la prima a scattare e correre verso la porta, seguita da Kevin e Lynn. In mezzo al cortile era stato lanciato un bidone pieno di rifiuti che si erano rovesciati ovunque. Maledetti! La gente era cattiva, non capiva… ma da dove veniva tutta quella cattiveria? Da dove veniva quell’odio feroce nei confronti di una donna tanto dolce… solo perché era forte? Solo perché era riuscita a esse-re indipendente? Con rabbia afferrai una scopa appoggiata a un muro e cominciai a spazzare con furia. Lynn era rimasta impietrita, ma Kevin era scappato. O era andato in cerca dei bastardi. Non lo sapevo, mi ero appena accorta che era sparito. Spazzai e spazzai, ma i rifiuti erano sparsi ovun-que, scatolette sporche di cibo, resti di animali morti, cartacce… era di-sgustoso! Con un moto di stizza lanciai via la scopa e all’improvviso ac-cadde di nuovo… Il gesto fatto con la mia mano aveva prodotto una forza che in un attimo ammucchiò tutti i rifiuti in un angolo. Sconvolta, rifeci il gesto nel verso opposto e tutto quello che era stato ammucchiato si sparpagliò di nuovo ovunque. «Oh, mio Dio!» sentii esclamare da Lynn, che probabilmente mi stava fis-sando terrorizzata. Non ebbi il coraggio di voltarmi, non volevo vedere il terrore nello sguar-do della mia amica. Rifeci il gesto ancora una volta, i pensieri concentrati ad ammucchiare di nuovo tutto quel disastro, e anche questa volta tutti i rifiuti si ammucchiarono in un angolo. Ormai non avevo più dubbi, ero io che li spostavo, che impartivo loro degli ordini o chissà cosa. Quel che era certo era che con un semplice gesto avevo spostato tutto lo sporco. Allora mi concentrai sul bidone, che in un attimo fu in piedi. Tutto ciò era pazzesco! «Scusa, ma devo andare a casa», sussurrai a Lynn, la quale con gli occhi

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sgranati fissava il bidone che si era mosso da solo.«Non dire a nessuno di quello che è successo!» mi ordinò. «La gente non vuole quello che non capisce, e la cattiveria è ovunque.» «Sì», sussurrai d’un fiato sconvolta, e scappai via.

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Kelly & Robert Kelly Era quasi la fine di Maggio quando lo vidi per la prima volta, ormai man-cava poco alle vacanze estive. Si era appena trasferito qui dalla Florida, era in cortile a far amicizia con qualche ragazzo della sua età e in quel momento una brezza leggera gli scompigliò il perfetto ciuffo castano fa-cendogli fare quella buffa espressione che mi colpì dritta al cuore. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto, molto solare, il suo sorriso contornato da due perfette e carnose labbra erano la cosa più emozionante che avessi mai visto. I suoi occhi verdi erano cosi penetranti che non po-tevo fare a meno di distogliere lo sguardo quando casualmente incrociava il mio. Mi ero innamorata all’istante. L’unico problema era che a lui non era successa la stessa cosa. «Ciao, io sono Robert, ma tutti mi chiamano Rob, ti dispiace se mi siedo vicino a te? Sai, sono nuovo e non conosco nessuno.» Non riuscivo ad aprire bocca; con tutti i posti che c’erano, doveva sedersi proprio vicino a me? «Sì, certo, prego siediti, non c’è problema», lo dissi in un tono un po’ troppo agitato, mi ci volle molto autocontrollo per tornare calma. «Io vengo dalla Florida, mi sono trasferito qui qualche giorno fa, non ho potuto concludere l’anno scolastico lì perché mio padre è stato trasferito con urgenza qui a San Francisco, è un marine. Fortunatamente non me la cavo male a scuola, quindi non hanno fatto nessuna storia a farmi termina-re l’anno in un altro posto.» Sentivo il suono delle sue parole ma non ero molto concentrata sul conte-nuto. Non mi ero mai sentita così. Dopo quel giorno, Rob e io facemmo amicizia. Parlavamo molto. Era una persona sensibile come me, per questo riusciva a capire certi miei pensieri o stati d’animo. Era perfetto per me, però lui mi vedeva come amica e nul-la di più. Quando, infatti, si accorse di Lucy, non aveva occhi che per lei. Difficile non farlo: Lucy era perfetta, bionda occhi chiari fisico da Barbie, anche il cervello, però, per questo non capivo cosa ci trovasse una persona profonda come il mio Rob nel manichino biondo. Purtroppo lui ne era in-namorato e all’inizio dell’estate facevano già coppia fissa.

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La tristezza che provai in quei giorni era infinita, però non potevo allonta-narmi da lui, non ne ero capace, e poi Rob contava molto sulla mia amici-zia. Tutto filava liscio tra di noi, fino a quel giorno. «Ciao, Kiki», solo lui mi chiamava così; non ne capivo il motivo, ma era un nome così bello detto con la sua splendida voce. «Che fai oggi? Andiamo a fare un giro?» Come avrei voluto gettargli le braccia al collo e stringerlo, però non pote-vo, non era mio. Stava con lei e per quanto fosse difficile per me, dovevo dividerlo con la persona che più odiavo a scuola. «Ciao Rob, cosa avevi in mente?» «Non so, potremmo andare a fare una passeggiata giù alla baia, inizia a fare caldo.» «Ok dai, ci sto.» Ero entusiasta, ma dovevo fargli una domanda fondamentale. «Passiamo a prendere anche Lucy?» In realtà volevo solo che lei non ve-nisse, ma non potevo essere troppo esplicita. «No, Lucy ha le prove per la coreografia della partita di domani», disse un po’ rammaricato, mentre io sprizzavo felicità da tutti i pori. «Potremmo andare direttamente finito scuola, che dici?» chiese girandosi gli occhiali da sole tra le mani. «Certo, va benissimo. Quindi andiamo?» Il mio sorriso ampio e fiero mi avrebbe fatta scoprire, ma in quel momen-to volevo solo stare con lui. La baia era il mio posto preferito; verso le prime ore del pomeriggio i rag-gi del sole colpivano le zone della spiaggia più nascoste e le sfumature di colore che si potevano vedere in quelle occasioni lasciavano a bocca aper-ta tutti quelli che avevano la possibilità di godersi lo spettacolo. «Allora, Kiki, pronta per l’estate? Che farai di bello in questi mesi di as-senza dai libri?» Sorrise spostando leggermente la testa di lato per guarda-re me che camminavo al suo fianco. «Chi ha parlato di assenza di libri? Non io! Ne avrò tantissimi di nuovi da leggere, così tanti che arriverà di nuovo l’inizio della scuola e io non me ne sarò neanche accorta.» «Il mio topo di biblioteca», disse ridendo, aumentando di qualche centi-metro in più la nostra distanza. «Tu, invece, signor “faccio tutto io”, che programmi hai per l’estate?»

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«BÈ, prima di tutto spero di trascorrere delle giornate con la mia cara a-mica Kiki, sempre se non è troppo presa dai libri», disse dandomi un pic-colo colpetto sulla spalla. «Ehi…» dissi facendo finta che mi avesse fatto male, ma in realtà adoravo quando mi toccava anche solo per gioco. «Poi naturalmente trascorrerò del tempo con la mia Lucy, e poi magari i-nizierò con gli allenamenti di nuoto. Ormai sono un paio di mesi che abito qui, forse è ora di riprendere le vecchie abitudini.» Lucy… Lucy… bastò il suo nome per farmi rattristare. Forse non ero una buona amica per lui. Non riuscivo a stargli acconto sen-za sperare che tra di noi ci fosse qualcosa in più, e questo di certo non era il comportamento di una vera amica. Purtroppo Rob mi capiva subito e si accorgeva quando qualcosa in me cambiava. «Kiki, tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?» «No no, figurati, sono solo un po’ stanca, oggi è stata una mattinata pesan-te a scuola.» «Vuoi che torniamo a casa?» NO! Volevo gridare! Ma sapevo che era l’unica cosa giusta da fare. «Sì, è meglio, altrimenti mi passa la voglia di studiare», dissi fingendo un sorriso convinto, guardandolo negli occhi. Evidentemente ero troppo presa da lui, così tanto che in un secondo in-ciampai nel grosso masso situato a pochi centimetri da me e finii distesa per terra, con un dolore fortissimo alla gamba. Che cosa avevo combinato? «Kiki, Kiki, stai bene? Ehi, Kiki, rispondimi.» Non riuscivo a parlare eppure sentivo, sentivo tutto chiaramente: il rumore delle foglie che vibravano sugli alberi per volontà del vento, il rumore dell’acqua che s’incontrava con gli scogli e lui, la sua voce, la sua mera-vigliosa voce. Alzai leggermente la testa e appoggiai le mie labbra alle sue. Non so cosa mi fosse preso, ma era quello che volevo fare da sempre, e all’improvviso sentii le sue parole, ma non con la sua voce, un suono di-verso, più lontano… il suo pensiero. “Perché ora? Perché non un mese fa? Ora non posso, ora c’è Lucy.” Tornai in me e tolsi le mie labbra dalle sue, anche se fu molto difficile. Lo guardai negli occhi, non sapevo cosa dire e soprattutto non capivo se quello che avevo sentito l’avesse detto veramente o era frutto della mia immaginazione. «Rob, scusami, io…» Mi mise un dito sulla bocca per farmi zittire.

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«Kelly, io ti voglio bene, molto. Sei la prima persona che ho conosciuto qui e mi sei piaciuta da subito in tutti i sensi. Ora però le cose sono cam-biate: non si tratta più solo di noi, c’è un’altra persona e non posso ferir-la… Anche perché sono innamorato di lei.» Non feci altro che annuire, era troppo doloroso parlare. Mi aiutò ad alzarmi e mi accompagnò a casa. La caviglia mi faceva male, ma nulla di rotto. Ci salutammo come sempre, come se non fosse successo nulla. Però non potevo cancellare quell’emozione e soprattutto non riuscivo a togliermi dalla mente il suo pensiero. Come avevo fatto a sentirlo? Forse aveva parlato, ma non me ne ero accorta. L’estate arrivò e Rob e io ci vedevamo sempre meno, fino a limitarsi solo al saluto. L’avevo voluto io. Iniziai a rispondere meno alle sue telefonate e a rifiuta-re quasi sempre i suoi inviti. Fino a dirglielo chiaramente. «Ciao, Kiki, tutto bene? Sono due settimane che non ci vediamo. Ti va se passo a trovarti? La caviglia come sta?» «Ciao… Sì, tutto bene, grazie. Rob, ascolta: ho molto da fare, ti chiamo io, ok? Voglio preparare una specie di relazione in preparazione degli e-sami e mi devo documentare su molte cose. Sarò molto impegnata.» Ero fredda, faceva male dire quelle parole a lui, ma dovevo. Era la cosa più giusta. Rob non rispose subito. Dopo alcuni secondi di silenzio si limitò solo a dire: «Ok, Kiki, come vuoi. Ci sentiamo, o forse no, decidi tu. Sappi solo che ti voglio un gran bene.» Quelle ultime parole mi fecero tornare alla realtà della mia stanza, era solo un ricordo. Una lacrima percorse il mio viso. E presa dalla sofferenza che accompagnava quegli attimi, mi abbandonai al cuscino cercando di non pensare più, sperando di togliere il suo volto dai miei occhi.

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La strega Kate. Tutto era calmo. Un uccellino cantava da un albero poco lontano, un leg-gerissimo venticello muoveva appena le fronde e faceva ondeggiare i miei capelli. Era un’estate calda, anzi torrida. Ma lì, nella pace del mio piccolo paradi-so, la temperatura era perfetta. Gli alberi mi facevano ombra con i loro fu-sti massicci, e la radice che spuntava dal suolo mi faceva da sedia, con la schiena appoggiata contro il tronco, immersa nella natura, disegnavo. Or-mai la strana creatura che popolava i miei sogni aveva quasi preso com-pletamente forma sul foglio, quando di colpo, con un ultimo strillo, l’uccello che mi stava intrattenendo con il suo canto volò via spaventato. La brezza si arrestò di colpo… Cosa stava succedendo? Con i sensi all’erta, osservai gli alberi circostanti. Ora che prestavo attenzione sentivo un lieve tonfo, come di passi che si avvicinavano. Passava poca gente in quel punto del sentiero, perciò rimasi in allerta. Do-po qualche minuto un uomo sbucò tra due alberi, e sobbalzai spaventata. Subito dopo, però, mi resi conto di quanto ero stata stupida e arrossii del mio urlo quando mi accorsi che il nuovo arrivato era “il ragazzo delle mie fantasie proibite”… Sorpreso, lui si fermò e sorrise. Era una mia impres-sione o anche il mio salice sembrò trattenere il respiro? Il sorriso era quasi diabolico, di una bellezza disarmante. Sentii una fitta allo stomaco. «Tutto bene, ragazzina?» Ragazzina! A me ragazzina? Ero già pronta a rimetterlo al suo posto, ma il mio sguardo incrociò gli occhi color carbone dello sconosciuto, e le parole taglienti che avevo in mente mi morirono in gola. «Ehi, sei muta?» mi ribeccò Mr-Sorriso-Diabolico ridendo. «Sì», riuscii a spiaccicare. «Avevo bisogno di riempire la borraccia, per questo mi sono avvicinato alla riva», mi spiegò lui mostrandomi la bottiglia vuota. Ma dove diavolo erano andate a finire le mie parole? Mi si era paralizzata la lingua? Con disinvoltura, il ragazzo mi superò, ma mi passò talmente vicino che mi sfiorò un braccio. Subito un brivido mi percorse la schiena mentre mi ve-niva la pelle d’oca in tutto il corpo. Tutto ciò non era normale. Io ero Kate

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la selvaggia, l’impertinente, quella che riusciva a zittire il prossimo con una breve frase, la coraggiosa, l’impavida; nessuno era mai riuscito a la-sciarmi senza parole, tanto meno i ragazzi. Di solito mi sbavavano dietro, soprattutto perché trattavo tutti i rappresentanti dell’altro sesso con supe-riorità e distacco. Questo, insieme con i biondi capelli lunghi, gli occhi azzurri contornati da folte ciglia nere e il fisico minuto ma atletico, mi a-vevano sempre reso un bocconcino appetibile, ma la mia lingua biforcuta e i miei modi a volte bruschi li tenevano a distanza. «Ma cosa c’è qua, un album?» Ma cosa stava facendo? Stava scuriosando tra i miei disegni! Questo era troppo, non riuscii più a sopportare oltre. Cercai di strappargli di mano l’album, ma lui ridendo lo alzò sopra la mia testa. Accidenti se era alto, mi sovrastava completamente. «Ridammelo», mi lamentai. «SUBITO!» aggiunsi subito dopo dura. «Oh, ma come sei permalosa, bambolina, stavo solo dando un’occhiata. Sono disegni molto belli. Sei brava.» Intanto si era seduto sulla mia radi-ce. «Sì, grazie, ora restituiscimelo subito…» e sparisci avrei voluto aggiunge-re, ma chissà perché, non ci riuscii. Mi sentivo quasi soggiogata da lui, come se non avessi più la mia volontà. «Ti sento ostile. Ok, hai ragione, forse sono stato un po’ sfrontato, mea culpa!» e con gesto affascinante si appoggiò la mano destra sul cuore mentre allargava l’altro braccio con gesto di resa. Quel ragazzo mi sconvolgeva come mai nessuno nella mia vita, mi faceva sentire piccola e debole. Non mi ero mai sentita, come spiegarlo, in imba-razzo! E ora mi sentivo le guance in fiamme. «Stavo andando via», e questa volta riuscii a strappargli l’album di mano. «Peccato! Comunque io sono Logan, piacere.» Fissai qualche secondo la mano che lui mi stava porgendo, poi mi scossi e arrossii di nuovo perché ero rimasta lì come un’idiota e Mister-Sono-Perfetto ormai sicuramente si era convinto che ero un po’ ritardata. «Kate!» risposi, cercando di recuperare, assumendo il mio tono da ragazza superiore che seccava tutte le avance, e ignorando deliberatamente la ma-no tesa. Ancora una scossa elettrica e mi sarebbero caduti tutti i capelli. «Ti va se ci rivediamo domani, esattamente qui sotto questo vecchio sali-ce… così…» «Così?» «Niente, stavo pensando che ti si addice molto questo posto, ha un che di magico, e anche tu mi dai quest’impressione. Ti avevo quasi scambiata per una ninfa dei boschi prima, sembri far parte della natura, è il tuo po-

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sto, il tuo ambiente. Lascia stare… non so come spiegarlo…» Alle sue parole non riuscii a restare indifferente: che perspicacia e sensibi-lità; forse lo avevo giudicato male, ma comunque l’ascendente che aveva su di me non mi piaceva per niente. Perciò mi sbrigai ad andare via, la-sciandolo seduto sulla mia radice, e sentendomi il suo sguardo addosso fino a che non arrivai sulla strada principale.

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La conferma dei poteri Kelly. Un altro giorno iniziò ed eravamo solo all’inizio della scuola. Sembravano già mesi, invece erano solo pochi giorni. Robert era lì nel cortile e Lucy era con lui, fu la prima cosa che vidi entra-ta nel cancello della scuola. Ormai Robert e io non ci parlavamo più, no-nostante l’amicizia che ci avesse legato nei mesi precedenti. Cercai di passargli vicino facendo finta di non averlo visto, ma alzai lo sguardo nel momento sbagliato. Mi stava guardando. I suoi occhi seguivano ogni mio passo, sarei voluta sparire, avrei voluto fermare tutto per un attimo, solo il tempo di guardarlo senza sentirmi mo-rire. Per alcuni istanti tutto sembrò immobile non capivo cosa fosse successo; stavo impazzendo? Chiusi gli occhi e li fregai con la mano. Quando li aprii tutto era perfetto, come prima; forse avevo bisogno sola-mente di riposo. In classe, Robert e Lucy erano seduti insieme, qualche posto davanti al mio. Non riuscivo a togliere lo sguardo da loro, dalle loro mani che si stringe-vano sotto il banco. Ogni volta era una pugnalata al cuore. Le lacrime mi riempirono gli occhi era troppo per me. Lo amavo, ma lui non corrispon-deva i miei sentimenti e per di più amava un’altra ragazza. Ed ecco, in quel momento sentii di nuovo quel suono, molto simile alla voce di Robert ma più lontana: “Adesso mi alzo e le vado a parlare. Non può ignorarmi così. È la mia migliore amica, o forse è la parte fondamen-tale della mia vita… No, io amo Lucy. Kelly è solamente la mia cara ami-ca. Devo darle tempo. Non posso farle del male. Però non ci riesco. Non posso non pensare a lei. Mi manca tutto di quello che facevamo insieme.” E in quel momento si girò a guardarmi con gli occhi pieni di tristezza. Oddio, stavo impazzendo. Cos’erano quelle voci che sentivo? Era solo quello che avrebbe voluto sentire il mio cuore? Però sembravano così reali.

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La campanella suonò di nuovo e finalmente anche quella giornata finì. Passai vicino al banco di Robert prima che lui si alzasse e sentii di nuovo la sua voce: Ti prego: voltati, guardami. Mi girai di scatto e lui assunse uno sguardo di sorpresa, come se si fosse avverato quello che sperava in quel momento. Ma cosa mi stava succedendo? Corsi fuori dal cancello della scuola e feci un grosso respiro. Ora stavo meglio. Voci sparite. Forse era solo stanchezza o l’ossessione per lui, però non volevo pensarci. M’incamminai verso casa e vidi la scritta della Hunted Library da lontano. Molte persone guardavano la vetrina. Era il giorno dell’inaugurazione, me ne ero scordata. Cercai di farmi spazio tra la folla ed entrai. Dentro era tutto molto suggestivo. Come avevo immaginato il giorno pre-cedente, le candele erano accese e creavano un’atmosfera misteriosa ma calda allo stesso tempo. Al piano di sotto c’erano i tavoli che avevo visto sbirciando. I libri si potevano consultare, sfogliare, leggere anche, stando seduti nel locale. Infatti, di tanto in tanto comparivano delle poltrone, molto comode a prima vista, dove ci si poteva accomodare e immergersi nella lettura. Al centro della stanza c’era un grande bancone di legno e marmo con die-tro delle scaffalature piene di boccette e polverine. “Forse servono per qualche magia”, pensai divertita. Lungo tutte le pareti comparivano alti scaffali pieni di libri dai più classici come Orgoglio e pregiudizio a libri mistici tipo Come interpretare il futu-ro. Dietro il bancone, una grande scalinata di legno portava al secondo piano che più che altro assomigliava a un corridoio ovale circondato da una rin-ghiera e affacciandosi si poteva vedere chiaramente il piano di sotto. Camminavo avanti e indietro scorrendo i nomi di quei libri mai sentiti, quando una voce mi sorprese alle spalle facendomi sobbalzare: «Posso aiutarla?» disse la persona che mi trovai davanti, una signora sulla cin-quantina, rossa di capelli. Indossava una specie di camiciotto color prugna legato ai fianchi con un cinturone. Emanava un profumo particolare, quasi ipnotico. Solitamente rispondevo di no a quella domanda, ma in quel momento pen-sai fosse la scelta migliore farsi aiutare. «Salve, sì, io sto cercando un libro particolare, qualcosa che non ho mai letto prima. Che mi prenda così tanto da farmi dimenticare i pensieri quo-tidiani.»

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La signora mi guardò e sorrise. «Vedi, cara, noi qui abbiamo una teoria: ossia che è il libro che sceglie il lettore e non il contrario. Dai un’occhiata in giro e vedrai che sarà lui a trovare te.» Sorrise e si al-lontanò. Rimasi un po’ perplessa ripensando alle sue parole “è il libro che sceglie il lettore”. Che cosa assurda. Come il resto del negozio, del resto. Camminai avanti e indietro per una decina di minuti davanti a quel muro di libri, finché a un tratto non successe qualcosa di strano. Un libro, nell’ultimo scaffale in alto, era illuminato da un raggio di sole che penetrava dalla piccola finestra tonda posta in cima alla stanza. Il libro emanava uno strano bagliore, ma non riuscivo a capire da dove derivasse. Presi la scala e la appoggiai allo scaffale, salii in cima e presi in mano il libro. Lo strano luccichio che produceva derivava da un simbolo di acciaio pre-sente sulla copertina, che con l’esposizione al sole lo faceva brillare. Il libro non aveva nessun titolo, solo due grosse “K” una di fronte all’altra, tipo un’immagine allo specchio, e unendosi formavano un rombo nel mezzo. Lo aprii per sfogliare le pagine e fui immediatamente invasa da una strana sensazione, come se il libro mi avesse chiamata, come se mi appartenesse da sempre. Possibile che quella strana signora avesse ragione? Un libro può scegliere il suo lettore? Fatto sta che per me fu così. Scesi al piano di sotto e mi diressi al bancone della cassa stringendo il mio libro. Quando fu il mio turno, porsi il libro alla signora che mi sorrise compia-ciuta. «Hai visto, cara, che hai trovato qualcosa? Nessuno esce da qui senza il suo libro.» La signora teneva in mano il libro, lo girava avanti e indietro come se stesse cercando qualcosa. «Strano, non c’è il prezzo. Credo sia un pezzo unico, perché è la prima volta che lo vendo. Facciamo così, siccome oggi è il primo giorno ufficiale che siamo aperti, se compri un’altra cosa, questo libro te lo regalo.» Per un attimo restai un po’ allibita, ma poi vidi dietro la signora un sac-chettino rosso appeso e le chiesi cosa fosse. «Questo, ragazza mia, è un amuleto. Contiene polvere magica, polvere di

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luna che secondo gli antichi stregoni porta fortuna a chi lo indossa.» «Allora prendo anche quello.» «Perfetto, allora il libro consideralo un mio regalo. Mi raccomando l’amuleto va sempre tenuto al collo. Non dimenticartelo.» Mi infilai l’amuleto al collo sotto la maglietta, presi il libro sotto braccio, salutai la signora e tornai verso casa. Mangiai poco e di corsa quella sera, ero troppo curiosa di sapere cosa con-tenesse il libro. Non c’era una trama, né un titolo sulla copertina, però mi sentivo comun-que molto attratta da quello che conteneva, pur non conoscendone la natu-ra. Mi misi sul letto, pronta per iniziare questo nuovo viaggio, ma a un tratto sentii un rumore provenire dalla finestra. Restai in ascolto ancora seduta sul letto, forse mi ero sbagliata; invece, ec-co di nuovo quel tintinnio. Andai verso la finestra e lo vidi: giù in giardino, con le mani piene di sas-solini pronti per essere lanciati contro la mia finestra, c’era Robert. Non sapevo cosa fare, ero molto combattuta. Il mio cuore voleva saltare diret-tamente dalla finestra e andargli incontro, stringerlo, baciarlo, per colmare la distanza di quei mesi, mentre la mia testa faceva sì che la mano stesse tesa sulla finestra, pronta ad aprirla e a continuare con la farsa di quei me-si, quella che mi faceva restare lontana da lui. Aprii la finestra, mi affacciai e gli feci un cenno con la testa. «Che c’è, Robert? Perché tiri i sassi alla mia finestra? Niente di meglio da fare?» «Kelly, puoi scendere un attimo? Per favore.» Sembrava molto serio. Non riuscii a trovare una scusa per non scendere, quindi mi limitai a farlo. Lui era lì di fronte a me, bello come sempre. Aveva una maglietta azzurra che gli faceva risaltare l’abbronzatura dell’estate appena trascorsa, ed era lì in piedi, con le mani nelle tasche, gli occhi bassi e con il piede disegna-va mezzi cerchi per terra nell’attesa che io uscissi. Quando si accorse che ero lì, unì le mani, pronto per iniziare un discorso che non iniziò. “Devo parlarle. Non posso perderla, non ce la faccio. Io non riesco a sta-re senza di lei.” Ecco di nuovo quella voce. Non riuscivo a muovermi. Questa volta ero sicura, l’avevo sentito. Erano sue quelle parole, però non le aveva detto a voce alta. Erano i suoi pensieri. Ma come potevo sentirli? Cosa mi stava succedendo? E soprattutto: cosa mi stava per dire Robert?

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«Kelly, io ti devo parlare. Sono stato malissimo in questi mesi senza di te, è come se una parte di me non ci fosse più.» “Devo dirle la parte più importante, non posso aspettare.” «Kelly, io ti amo. Sono stato stupido a non accorgermene prima. Non è Lucy che voglio. Voglio te. Ti prego, dimmi che non è cambiato niente, dimmi che non è troppo tardi.» “Dimmi che anche tu mi ami, ti prego.” Scossi il capo, forse non avevo capito bene: Robert mi amava? Il ragazzo che tanto desideravo era qui per me? Non riuscivo a parlare, non sapevo cosa dire per paura di rovinare tutto. «Kelly?» mi disse quasi tremando e si avvicinò a me, mi accarezzò la guancia e delicatamente mi spostò la ciocca di capelli che copriva il mio viso. «Kelly, ti prego, di’ qualcosa.» Alzai lo sguardo e lo vidi a pochi centimetri dal mio naso. Certo che lo amavo, era la cosa più bella che avessi mai visto e senza di lui mi sentivo persa. Non dissi nulla, non trovavo le parole giuste. Gli buttai le braccia al collo e lo baciai con tutta la passione e l’amore che provavo per lui. Non ci credevo: lui era con me, era mio. Poi notai il sacchettino rosso che avevo appeso al collo: aveva funzionato, il mio desiderio era stato esaudi-to. Potevo sentire il suo cuore battere veloce appoggiato a me. Non volevo staccarmi da lui, non ancora. Lo portai su in terrazza, dove andavo ogni volta che avevo bisogno di staccarmi dal mondo; non riuscivo a credere che avrei condiviso il mio posto segreto con lui. Restammo lì a parlare e a tenerci per mano, uno a fianco all’altro, le no-stre teste appoggiate una con l’altra. Era una sensazione fantastica, non riuscivo a non essere pazza di gioia. Ed ecco che di nuovo il mondo si fermò, il vento non soffiava più e Rob era immobile come una statua, una bellissima statua di marmo; sentivo la sua mano dura nella mia. Tutto era perfettamente fermo, le macchine in strada, la gente immobiliz-zata. Ma cosa stava succedendo? Di nuovo? Forse era tutto un sogno. Sì, sicu-ramente era così. Chiusi gli occhi con forza li tenni chiusi per qualche se-condo e quando li riaprii tutto era tornato alla normalità. «Kelly, è bellissimo qui. Sto provando delle emozioni pazzesche.» “È la serata più bella della mia vita e tu sei fantastica.” Ero frastornata, sia da quello che era successo poco prima, sia dalle sue

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parole. Questa volta non mi ero sbagliata: per un attimo tutto aveva smesso di muoversi a parte me; il tempo per un breve istante si era come bloccato. Ma come poteva essere vera una cosa del genere? E poi, come era possibi-le che io riuscissi a sentire i pensieri di Rob? Forse ero malata, forse stavo per morire. Nulla aveva una spiegazione. “E se non mi volesse più? Se si fosse accorta che non mi ama davvero? Se la storia di Lucy l’avesse fatta allontanare troppo da me? Oddio, non rie-sco neanche a pensarci. Lei è troppo importante per me. È come una ca-lamita per una bussola, senza non serve a nulla.” Sentendo i suoi pensieri, trasalii. Come poteva pensare certe cose? Lui era tutto quello che avevo sempre desiderato. Non potevo e non volevo stare senza di lui. Mi voltai e lo baciai di nuovo e di nuovo. “Ti amo, Kelly.” «Kelly… ti amo», e ci baciammo ancora. Purtroppo, però, la notte ci divise; era tardi e il giorno seguente c’era scuola. Chissà come ci saremmo comportati davanti agli altri, davanti a Lucy. Chissà se durante la notte sarebbe cambiato qualcosa in lui, se si sarebbe pentito. Prima di lasciarmi mi tirò verso di sé e mi strinse forte. «Domani affronteremo tutto insieme. Non m’importa degli altri. Voglio solo te. Se anche tu vuoi questo.» “Legge nel pensiero anche lui?”, pensai. Invece era solo il mio Rob che mi conosceva più di qualsiasi altro. «Ok, a domani allora.» «Buona notte, Kiki», e mi baciò dolcemente.

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Ma cosa mi succede? Kate. «Nonna!» «Sybil!» Ma dove era finita la nonna? Ogni tanto spariva per ore intere… ma dove si era cacciata? «Ciao Kay…» «Hey Kevin, da dove salti fuori?» «Ultimamente non ti si vede più, sei sparita!» «Non dire sciocchezze, sono sempre qua…!» Che fastidio mi dava a volte, mi stava sempre addosso! «Ho fatto qualcosa di sbagliato, mi eviti?» «Ma che ti stai inventando? Non è vero!» Non sapevo nemmeno io perché ero così sulla difensiva. Mi sentivo infa-stidita perché avrei voluto starmene un po’ da sola e pensare a… Distolsi subito il pensiero da lui sentendomi avvampare. Kevin aveva veramente un’espressione sconsolata ora, e provai tenerezza e una grande ondata di affetto per quel ragazzone che sembrava un cucciolo indifeso a volte. «Non capisco perché, ma mi sembra che dall’incidente a casa mia tu mi eviti… e mia madre non vuole neanche sentirne parlare. Cosa è successo mentre rincorrevo quei bastardi?» Era vero, lo avevo un po’ evitato; la verità era che mi sentivo in colpa a tenergli nascosto il mio “segreto”, ma nello stesso tempo non riuscivo a parlargliene. Forse inconsciamente cercavo di proteggerlo. Inoltre il mio allontanamento era anche dovuto al fatto che volevo che si staccasse da me, che pensasse al suo futuro. Lui era intelligente, bravo a scuola, non capivo proprio perché si era intestardito così a non volersi se-parare da me. Forse se avesse saputo di un’altra presenza nella mia vita, magari sarebbe partito più tranquillamente, e non avrebbe più dovuto preoccuparsi per me. «Sai, ho conosciuto un ragazzo…» cominciai allora a raccontare. Ma subi-to mi bloccai, colpita dalla reazione di Kevin: aveva fatto un salto, come se fosse stato colpito da qualcosa, e stava sbiancando.

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«Tutto bene, Kev, stai bene?» «Dove l’hai conosciuto?» «Al fiume, ma come sei pallido! Siediti, ti porto qualcosa..» «Non mi serve niente!» Mi bloccai all’istante infuriata. Ma cosa aveva? Quel tono rabbioso non l’aveva mai usato con me. Il silenzio che seguì fu imbarazzante. Si insinuò tra noi come un’ombra nera e ci separò. Sentii una terribile sensazione di addio, come se sapessi che nulla sarebbe tornato come prima tra noi; c’era qualcosa in sospeso, lo sentivo, ma non capivo cosa. mi appoggiai al fornello e mi osservai atten-tamente i piedi, mentre Kevin osservava fuori con lo sguardo che lancia-va fulmini. Il silenzio sembrò durare ore, ma forse furono pochi minuti, prima che Kevin quasi correndo uscì dalla porta e sparì… dalla mia vita. “Kate trattieniti, fa un respiro profondo, va tutto bene, sei una ragazza for-te, ce la fai anche da sola.” Niente, il pianto esplose come se si fosse rotta una diga. Da troppo tempo lo trattenevo, erano anni che non versavo una lacrima e ora scendevano dai miei occhi come fiumi. Tutto il peso della mia vita esplose nel mio petto, e cominciai a singhiozzare rumorosamente. I singhiozzi mi scuote-vano tutto il corpo, le lacrime erano inarrestabili. Mi accucciai sul pavi-mento e abbracciandomi le ginocchia, cominciai a dondolarmi su me stes-sa. Questo era il momento che più avevo temuto; non avevo mai voluto pensarci, ma inconsciamente il terrore di essere abbandonata ancora una volta mi aveva accompagnata per tutti quegli anni. Kevin era la persona per me più importante in quel momento, anzi l’unica persona su cui avessi mai potuto contare. La nonna era vecchia e sempre più assente. Ormai vi-veva nel suo mondo di semipazzia. Ma non potevo trattenerlo, non potevo urlargli di rimanere con me, lui aveva diritto a crearsi una sua vita. Io in-vece no. Mi sentivo bloccata in me stessa. Non avevo mai avuto uno sco-po, andavo avanti per inerzia non sapendo cosa fare di me. Era come se avessi un destino prestabilito, ma non avendo ancora ricevuto istruzioni, me ne stavo qui ad aspettare. Ma qual era questo destino? Cosa volevano da me? Cosa dovevo fare? Lo sconforto non mi abbandonava, mi sentivo sola come poche volte nella mia vita, quasi come quando dalla cucina aveva sentito mia madre litigare con la nonna. «Non puoi lasciarla qua! Ho quasi settant’anni, come vuoi che mi prenda cura di una bambina piccola?»

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«Kathrine è autosufficiente! Ti manderò dei soldi appena troverò lavoro.» «Ma portala con te, non puoi lasciarla così!» La risata fragorosa della mia cosiddetta madre mi aveva ferita più dell’abbandono, più della paura di restare sola da un momento all’altro se la nonna moriva, più di tutto ricor-davo la risata di scherno e totale indifferenze per ciò che mi riguardava «Ma ti immagini, me e Simon su una Harley con una marmocchia al se-guito! Non posso tenerla. E poi così non sarai sola, vecchia rimbambita che non sei altro.» Ovviamente la nonna mi aveva tenuta, e cresciuta, per fortuna non era morta lasciandomi sola al mondo a sei anni, ma il vuoto dentro di me era rimasto. Lì sul pavimento della cucina, finalmente piansi per la perdita della ma-dre, che non era mai più tornata indietro. E piansi per l’assenza di un pa-dre, o di una figura di riferimento. Il pianto mi sfinì, lasciandomi senza forze e con un terribile mal di testa.

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CAPITOLO 2

Il libro speciale Kelly. Non riuscivo a dormire. Ero ancora sognante, ripensando alle magie suc-cesse quella sera. Mi misi il cuscino sul viso e mi buttai all’indietro sul letto. Ero troppo elettrizzata per leggere, quindi misi il libro nuovo sul comodino; ma anche per dormire. Mi limitai solamente a pensare alle me-ravigliose labbra di Robert. Il mattino dopo mi svegliai di soprassalto. Non potevo aver sognato tutto. Accesi il cellulare in cerca di prove e poco dopo ricevetti un suo messag-gio: “Tra dieci minuti passo a prenderti. Ciao splendore.” Non era un sogno, era successo davvero. Io e Rob ci eravamo baciati e ci amavamo, faticavo a crederci. Iniziai a saltellare per la stanza finché non mi accorsi che Jeff era sulla porta. «Sei pazza? Cosa fai, balli?» «Sì, piccolo mostro, ballo», e prima di uscire, passandogli vicino gli diedi un sonoro bacio sulla guancia. «Che schifo! Mamma, Kelly mi ha baciato!» Era lì fuori ad aspettarmi, appoggiato con la schiena e il piede a un albero. Era come se fosse la prima volta che lo vedevo, ero quasi in imbarazzo. Ma poi sentii di nuovo i suoi pensieri: “Quanto ci mette… ma perché sono così agitato, è Kelly, è sempre lei.” A quel punto non potei non ridere e uscii dal cancello. «Ciao.» «Ciao», e si staccò goffamente dall’albero. Mi avvicinai a lui e mi prese le mani; in quel momento la mia agitazione sparì. Era lui, era Rob, di cosa dovevo aver timore? Ci baciammo e ci in-camminammo verso scuola.

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Appena arrivati, tutti ci guardarono, mi sentivo così a disagio, ma Rob strinse più forte la mia mano nella sua, e quello mi diede una carica im-mensa. E fu lì che provai per la prima volta quello che avevo sospettato in quei giorni. Avevo veramente dei poteri? L’avrei sperimentato. Mi con-centrai, feci delle mie emozioni la mia carica e desiderai con tutto il cuore che il mondo si fermasse, in modo da poter oltrepassare il vialetto della scuola senza essere osservati. Aprii gli occhi ma non successe nulla. Forse avevo immaginato tutto, o forse avevo bisogno di emozioni più vive, più sconvolgenti. Riprovai, pensai alle sensazioni provate la sera prima, a quello che avrei fatto trovandomi Lucy davanti; riaprii gli occhi. Aveva funzionato. Era tutto fermo. Un uccellino posato su un albero pronto per volare da qualche parte era fermo immobile con le ali spiegate. I miei compagni sembravano tutti con il fermo immagine, proprio come Robert. Ma durò poco; dopo qualche minuto tutto era tornato alla normalità. Non riuscivo a crederci, avevo veramente dei poteri. Ma com’era possibi-le? Ero così felice che ci riprovai e questa volta il tempo si fermò per qualche istante in più. Forse avevo esagerato con le emozioni. Avrei do-vuto imparare a gestire questa mia nuova capacità. Feci tornare tutto alla normalità e proseguii con sicurezza verso le aule. Ero speciale, non riuscivo a crederci. Forse era tutto causa di una tempesta elettromagnetica o qualcosa del ge-nere, però qualsiasi fosse il motivo, io avevo qualcosa che gli altri non a-vevano, e mi sentivo alle stelle. Purtroppo la festa durò poco, davanti alla classe di Biologia c’era lei: Lucy. Era fuori di sé, aveva l’aria da mastino a digiuno da qualche mese. “Cosa ci troverà in lei? È una persona insignificante, non è neanche bel-la. Io invece ho un fisico pazzesco… Oddio, mi si è rotta un’unghia.” Re-stai a bocca aperta per un attimo, non solo perché avevo avuto la conferma che Lucy avesse una nocciolina al posto del cervello, ma anche perché per la prima volta ero riuscita a sentire i pensieri di qualcun altro che non fos-se Robert. «Ascolta, Lucy ne abbiamo già parlato, non c’è bisogno di fare così, non è colpa di nessuno, sono cose che succedono», gli disse Robert con tutta calma. «Eh no, non è vero che non è colpa di nessuno. Non ha fatto altro che pro-varci e stare in mezzo ai piedi questa sfigata.» «Lucy, ti prego di mantenere il controllo e di non offendere soprattutto», ma Rob non riuscì a calmarmi. «Sfigata a chi?» e in un attimo mi ritrovai per terra con i capelli di Lucy

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tra le mani. Non era da me fare certe cose, però che soddisfazione colpire il volto im-macolato della bionda. Dovettero divederci. Lucy si rialzò da terra con i capelli tutti arruffati e un bel livido sotto l’occhio, era isterica. Ma prese le sue amiche sotto braccio e farfugliò qualcosa che capii solo grazie ai suoi pensieri: “Tienitelo, tanto ero stufa, ne trovo cento migliori di quello”, e se ne andò in classe; fortunatamente non avevamo la stessa lezione. La mattina passò tranquilla e finite le lezioni, Robert mi accompagnò a casa. Aveva allenamento di nuoto nel pomeriggio, quindi ci saremo visti la sera. Non avevo fame, così presi una merendina e mi diressi in camera mia. Ero sola. I miei possedevano un negozio di fiori a due isolati da casa e non c’erano quasi mai, mentre Jeff era a scuola il pomeriggio. Mi misi sul letto a ripensare a tutto quello che mi stava succedendo in quei giorni e poi una luce mi colpì il viso. Il mio libro, appoggiato sul comodino, brillava; il so-le lo aveva raggiunto anche in camera mia. Poiché avevo il pomeriggio libero, decisi che era arrivato il momento di iniziare la nuova lettura.

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Che strano libro! Kate. Correvo, correvo forte. Dovevo far presto. Ecco la radura. Un tempio di-roccato. Ecco ciò che cercavo. Mi sentii sollevata. Non ero sola, sentivo dei respiri al mio fianco. Ma c’era buio. Non riuscivo a vedere niente e non capivo perché fossi lì. A un certo punto un pensiero mi turbò: ero in pericolo! Uno squillo lontano ruppe la quiete e mi svegliai in una pozza di sudore. Avevo dormito sul pavimento. Corsi a prendere il telefono e alzai la cor-netta. «Ciao piccola, sono Esther, volevo avvertirti che Sybil è qui, prima che chiami la polizia. Ha dimenticato di avvertirti!» «Grazie, Esther.» Più passavano i giorni e più cose si dimenticava mia nonna. I medici la definivano “demenza senile dovuta all’età”. Fortunatamente non andava mai in giro sola. Esther era la sua cara amica e le faceva sempre compa-gnia. Riagganciai e feci un respiro. Mi sentivo meglio. Il pianto della sera pre-cedente mi aveva liberata da un peso e ora mi sentivo leggera. In più c’era un pensiero che mi rendeva particolarmente entusiasta, anche se non l’avrei mai ammesso. Con cura mi lavai e pettinai i capelli, il mio punto forte: era una chioma folta e lucente. Applicai una leggera passata di fard sulle guance e una matita nera per contornare gli occhi. Scelsi una t-shirt vintage e dei jeans scoloriti e poi mi guardai allo specchio. Alla vista del mio sguardo indie-treggiai; sembravo un po’ una guerriera. Il blu dei miei occhi diventava sempre più intenso, con dei riflessi viola che mi rendevano una strega agli occhi di tutti. Ma cosa facevo? Da quando in qua mi preoccupavo così tanto del giudizio di un altro essere umano? In ogni caso non riuscivo più a staccare gli occhi da quello sguardo, i ri-flessi viola mi tenevano immobile. Imbarazzata, mi allontanai dallo spec-chio. Ma cosa mi stava capitando? Avevo la sensazione che dentro di me qualcosa stesse cambiando, un’energia nuova mi pervadeva. Ero una stre-ga, almeno così sembrava! Riuscivo a spostare oggetti col pensiero, pro-

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vocare bufere, e ora anche questo sguardo ipnotico. All’improvviso un pensiero mi attraversò la mente. Da quando avevano cominciato a manifestarsi le mie capacità… o meglio… i miei poteri, an-cora non sapevo come definirli, avevo volontariamente deciso di ignorarli, di fingere che non esistessero. Invece avrei dovuto svilupparli, provare a gestirli, a capirli. Perché non ci avevo pensato prima? Mi ero spaventata, lasciandomi influenzare dai pregiudizi. A quel punto volevo sapere. Ma a chi potevo chiedere? Forse mia nonna sapeva qualcosa, magari si erano già manifestati prima nella mia famiglia, forse le mie antenate erano stre-ghe. Ma la nonna non c’era, e ormai la sua memoria non riusciva più a di-stinguere tra la realtà e la sua immaginazione. Meglio andare a frugare su in soffitta. Lì venivano lasciati vecchi oggetti, foto che immortalavano vecchi ricordi. Andai a prendere una scatola; aprii la botola, tirai un respi-ro profondo e salii. Ero un po’ angosciata, non ero mai salita lassù. La soffitta era bassa e solo su un lato si riusciva a stare in piedi. Da due piccole finestre entravano fa-sci di luce. Non c’era la confusione che mi ero immaginata, solo tanta polvere. Su un lato erano ammucchiati dei sacchi, in un angolo i miei gio-chi e Vicky, la mia bambola preferita! L’avevo completamente dimentica-ta, eppure le avevo voluto bene per molto tempo! Vari peluches era sparsi un po’ ovunque; una bacchetta magica con la punta a forma di stella colpì la mia attenzione, e per poco non scoppiai a ridere da sola. Avevo dieci anni e Kevin e io ci eravamo mascherati per Halloween. Io mi era travesti-ta da strega e lui da zombie. Al pensiero sorrisi. Nascosto dalla penombra, c’era un baule. Mi avvicinai per guardarlo da vicino. Era in legno con le chiusure in ferro, sul coperchio erano dipinti dei fiori, ormai scoloriti. Era completamente ricoperto dalla polvere, pro-babilmente mia nonna non lo apriva da anni. Non era chiuso a chiave per fortuna, quindi lo aprii con circospezione, sperando che non ci fossero to-pi o altri animaletti. Ero quasi emozionata. All’interno però il baule era quasi vuoto. Presi la scatoletta in cima e ne studiai il contenuto. Doveva essere appartenuta a mia madre. C’erano una serie di lettere e una foto di un ragazzo alto e biondo, che fissava l’obiettivo con sguardo impertinente. Era in piedi su una superficie rocciosa, sullo sfondo un lago. Dietro la foto c’erano scritto: Mike-1989. Che fosse mio padre? Rimisi le lettere e la fo-to nella scatoletta e la misi da parte per leggere le lettere con calma in se-guito. Forse avrei trovato qualche indizio per ritrovare mio padre. Oltre alla scatolina, c’erano altre foto ingiallite. Ecco la nonna e il nonno, che non avevo mai conosciuto. La foto era in bianco e nera e malridotta dal tempo. Sorridevano intimiditi alla strana macchina che li ritraeva, erano

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giovani ma davano un’idea di antico, di un’epoca ormai estinta. Sul fondo del baule c’erano un paio di libri. Il primo era una copia della Bibbia, con la copertina marrone, quasi completamente staccata dal resto del libro. Il secondo era un libricino con un simbolo in rilievo sulla copertina. Dall’aspetto sembrava molto più nuovo dell’altro. Presi il piccolo libro e lo portai verso la finestra per osservarlo meglio alla luce del sole. Ma ap-pena lo esposi al fascio di luce, il simbolo emanò un tale bagliore che mi accecò e d’istinto lo lasciai cadere sul pavimento. Ma che libro strano. Sembrava avere una sua propria personalità. Me ne sentii attrarre da subi-to e decisi di portare anche il libro in camera per sfogliarlo e capire perché sentissi quella strana sensazione nel tenerlo in mano. I sacchi contenevano vecchi abiti dimessi. Non avevo scoperto nulla. De-lusa, recuperai il magro bottino che avevo trovato e tornai di sotto. Acci-denti, ma come potevo fare? Mia nonna non poteva aiutarmi, mia madre era sparita e neanche per idea l’avrei chiamata, mio padre… nessuno ave-va mai voluto parlarmi di lui, era un argomento tabù in casa, perciò non ne sapevo nulla. Dalle informazioni che avevo recuperato qua e là sembrava fosse straniero, forse europeo. Poteva essere, visti i miei capelli biondi. Mi osservai di nuovo allo specchio pensierosa: “Ma cosa dobbiamo farne di te, Kate?” chiesi a me stessa. Ora era venuto il momento di uscire e raggiungere il mio angolo preferito. Album e carboncino ed ero fuori. L’aria era più fresca del solito. Un nuvolone nero aveva già coperto il sole per metà. Il sentiero era deserto. Raggiunsi la mia radice preferita, sotto il salice, e mi sedetti. Contrariamente al solito, però, i miei occhi scrutavano gli alberi in cerca della figura familiare. Poi, arrabbiata con me stessa, a-prii l’album e cominciai a tracciare qualche schizzo senza sapere bene co-sa disegnare. Nel frattempo i miei pensieri tornavano mio malgrado al vi-so regolare, agli occhi neri come la notte, al sorriso sconvolgente. Non riuscivo proprio a concentrarmi su niente, a parte Logan. Che cosa aveva mai che mi sconvolgeva così? Tutto in lui mi metteva in guardia: era bel-lo, ma in modo quasi diabolico, niente a che vedere con la bellezza sem-plice e pulita di Kevin, al suo sorriso dolce quando mi prendeva in giro. Logan mi sconvolgeva dentro, nel profondo, nell’intimo. Non mi ero mai presa una cotta fino a quel momento, ero sempre stata fredda e distaccata con i ragazzi che per lo più mi lasciavano indifferente. L’unica differenza era il mio Kevin, e al pensiero mi venne un groppo in gola. Eppure dove-vo allontanarlo, per il suo bene se non altro. Lui doveva pensare a se stes-

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so e al suo futuro. Dovevo lasciarlo libero. Siccome avevo tracciato solo uno scarabocchio sull’album, lo chiusi e decisi di esercitarmi. Chissà se sarei riuscita di nuovo a sollevare il vento. Mi alzai in piedi e mi concen-trai. “Vento!” pensai. Aspettai qualche minuto, ma non accadde nulla. Cercai di ricordare esattamente come avessi fatto la volta precedente. Al ricordo dei tre malviventi la rabbia tornò di nuovo, ma niente vento. «Devi incanalare tutta l’energia nel tuo corpo, e poi concentrarla sul tuo obiettivo!» La voce tanto attesa mi fece sobbalzare dallo spavento e dalla vergogna. Sbucava ogni volta come dal nulla. «Di cosa parli?» gli chiesi fingendo di non capire. «Del tuo potere!» rispose Logan come se fosse la cosa più normale del mondo. «E tu come fai a saperlo?» L’intensità della mia voce si era alzata di un tono all’idea di essere stata smascherata. «Ti ho intravisto l’altra volta, quando hai scatenato il vento contro i tre uomini.» Non sapevo più cosa pensare. Come faceva a essere così tranquillo? Io stessa ero sbalordita da quello che ero riuscita a fare! All’improvviso mi venne un’idea. Fissai il ramo di un albero che era vici-no a Logan, poi con un gesto fulmineo del braccio destro lo feci spezzare e cadere a pochi metri da lui. Questa volta lui sussultò e io scoppiai a ride-re. Finalmente ero riuscita a spaventarlo. «Streghetta!» mi disse lui avvi-cinandosi. Scappai, canzonandolo. Ma lui mi raggiunse subito e mi afferrò per i fianchi. Il sorriso mi morì in gola, sostituito da un turbinio di emo-zioni al tocco di quelle mani forti. Mai in vita mia qualcuno mi aveva mozzato il fiato in quel modo; mi sentivo debole, mi tremavano le gambe. Con dolcezza, Logan mi fece roteare in modo da ritrovarci uno di fronte all’altra ma senza lasciarmi andare. “Ecco, ora mi bacia”, pensai. Il cuore mi batteva così forte che potevo sentirlo. Lo fissai e lui fissò me già avvi-cinando le labbra alle mie. Ma d’un tratto Logan si immobilizzò. Cosa era successo? Perché si era fermato? Perché non faceva niente? Distolsi lo sguardo con disappunto e imbarazzo e lui sobbalzò come se fosse stato li-berato da una morsa d’acciaio. «I tuoi occhi…» sussurrò. Non capì subito. «Il viola sembra muoversi, roteare, mi sentivo ipnotizzato e non riuscivo a muovermi !» Mi lasciò andare. Che fosse spaventato da me? Non poteva essere! Mi allontanai da lui. «Dove stai andando?» mi chiese. «Perché non continui il tuo allenamento. Posso darti una mano, se vuoi.»

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«Ma sembravi così spaventato! Non so nemmeno io cosa sia, sono apparsi all’improvviso, o forse li ho sempre avuti e me ne sono accorta solo ora! Il punto è che non so neanche cosa sono, sono spaventata, non posso dirlo a nessuno perché lo so già che ne avrebbero paura e non capirebbero. Come te poco fa. Ma in fin dei conti è un dono, io posso spostare gli oggetti sen-za toccarli, forse posso scatenare il vento e ora i miei occhi ipnotizzano chi mi sta di fronte. Tra un po’ dovrò nascondermi per non essere bruciata su un rogo!» Che senso di liberazione! Le parole mi erano straripate dalla bocca, e fi-nalmente avevo confessato quello che mi stava accadendo. Logan non dis-se nulla, si limitò ad avvicinarsi e ad abbracciarmi, accarezzandomi i ca-pelli per tranquillizzarmi.

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Il bacio Kate. «Ciao, Kevin.» Ero quasi tesa a salutare il mio amico. Ci eravamo incontrati per caso al mercato del paese. Dovevo comprare della verdura per la nonna e lui vendeva le prelibatezze dell’orto di Lynn. Il suo sguardo si illuminò nel vedermi e mi sorrise. Buon caro e tenero Kevin. Anche se ero sparita, lui aveva sempre un grande sorriso per me. «Ma dove sei stata?» Abbassai lo sguardo. Quasi mi sentivo in colpa, anche se non avevo fatto nulla di male. Kevin mi era mancato moltissimo in quelle settimane, spesso avevo pen-sato di andare da lui, per fare la pace e per tranquillizzarlo. Sapevo che lui stava male quando non gli parlavo. Che cosa dovevo fare? Lasciare che mandasse a monte la sua vita per me? La sua devozione alla nostra amici-zia era incredibile! «Come va con…» Non terminò la frase, ma capii al volo a chi si riferisse. E l’imbarazzo tornò. Ma accidenti, cosa stava succedendo? Lui era quasi un fratello, ci eravamo sempre detti qualsiasi cosa, e ora non riuscivo a dire niente. In fin dei conti, cosa potevo dirgli? “Ho incontrato un’altra persona. Logan e io ci incontriamo ogni santo giorno per sviluppare insieme le mie doti da strega”? “Non riusciamo ne-anche a baciarci altrimenti io lo ipnotizzo”? Come potevo spiegare la rela-zione con Logan se neanche io sapevo bene cosa fosse. Lui era diventato indispensabile per me. Come l’aria. Grazie al suo appoggio e al suo soste-gno stavo imparando ad accettare i miei poteri… e a gestirli. Ormai questa “relazione” assorbiva quasi tutto il mio tempo e le mie ener-gie. Ogni giorno passavamo ore e ore insieme, per la maggior parte del tempo a esercitarci. Era bello passare il tempo con lui, anche se non riu-scivo a stare rilassata. Tutti i miei nervi erano tesi quando gli ero vicina. «Perché non andiamo alla stazione, oggi?» gli occhi speranzosi di Kevin mi strinsero il cuore. «Oggi pomeriggio non posso…» ecco l’avevo deluso di nuovo. Lo si ca-piva dalla mascella serrata «Perché non vieni da me, domani sera?» Il volto gli si illuminò di nuovo. «Certo!» accettò subito.

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«Ora devo andare, Kev. Allora a domani.» «Sì, a domani!» Che sguardo deciso! Kevin sembrava avere qualcosa in mente, sicuramente mi avrebbe parlato del nostro litigio. Scossi la testa per scacciare le preoccupazioni. Due ore dopo ero con Logan. «Perché ci tieni tanto ad aiutarmi con i miei poteri?» «Li trovo affascinanti… tu sei affascinante… e poi devi prepararti», mi disse. «E per cosa?» lo presi in giro. «Sicuramente se hai questi poteri è per un qualche motivo, anche se al momento non sappiamo quale sia. E quando lo scoprirai, è meglio che tu sia pronta!» Non faceva una piega! «Tu sei speciale, hai qualcosa che nessuno ha.» «Ma cosa dici, sono una strega, ne sono esistite tante nel passato.» «Non credo alla storia delle streghe. La maggior parte erano poveracce, emarginate da usare come capri espiatori. Non ho letto da nessuna parte di streghe in grado di spostare oggetti senza toccarli, di provocare effetti me-teorologici incredibili, di ipnotizzare con lo sguardo. Da quello che so, le streghe sanno preparare pozioni… incantesimi… nulla a che fare con quello di cui sei capace tu. I tuoi poteri servono per combattere… il tuo destino sarà quello!» Un’ombra di tristezza passò sul suo bel volto. Eravamo seduti una accanto all’altro e il mio braccio sfiorava leggermente il suo. Un impulso improvviso mi scosse. Mi alzai e gli presi il viso tra le mani. Chiusi gli occhi. Lo sentii alzarsi a sua volta e con delicatezza ap-poggiare le mani sui miei fianchi per attirarmi a sé. Il tocco leggero mi provocò un brivido lungo la spina dorsale. Mi sentivo un po’ indifesa con gli occhi chiusi, ma non volevo rischiare di rovinare quel magico momen-to. E poi sentii una lieve pressione alle labbra, poi una carezza, finché l’emozione del momento mi rese ancora più audace e lo abbracciai. Ma lui mi stava allontanando. Aprii gli occhi confusa e solo allora mi accorsi che sulla terra incombeva una bufera. Oltre la cupola protettiva del salice, la pioggia scrosciava e il vento ululava tra i rami. E intanto che le mie emozioni rallentavano, anche la tempesta si acquietò. Mi guardai intorno sconvolta. Avevo provocato io la pioggia? «Ah, ah, ah!» Ma cosa aveva da ridere? «Logan, non è divertente!» «Ecco perché insisto che impari al più presto a usare i tuoi poteri, o al prossimo bacio potresti rovesciare nel mondo un’altra calamità naturale!»

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La ricerca Kelly. Non era il solito libro, fatto di capitoli e sottocapitoli, avrei dovuto imma-ginarlo. Al suo interno c’erano disegni e segni che sicuramente erano le lettere di qualche strana lingua. Poi all’improvviso lessi quella frase: “Il tempo ormai è giunto. Le prescel-te sono in volo”. Prescelte? Forse parlava di qualche strana leggenda, questo misterioso li-bro. Lasciai la pagina aperta e presi sulle ginocchia il mio Mac. Avrei cer-cato il significato di quello strano simbolo, ci sarà pur qualcosa su Google a riguardo, pensai. “Simbolo maya per indicare l’unione fraterna fra tre persone di sangue diverso ma legate come veri fratelli”. Questo fu il risultato della mia ri-cerca. Mi portai le mani incrociate dietro alla nuca e mi stravaccai sulla sedia. “Che cosa bella”, pensai. “Tre persone, nate da genitori diversi, provenienti da chi sa quale parte del mondo, legate così tanto da sembra-re veri fratelli.” Ripresi il mio libro e andai avanti cercando di trovare qualche altro indi-zio. C’era un disegno raffigurante una luce e al di sotto tre figure femmi-nili: “Erano tre ragazze forti d’animo, ognuna con una dote particolare. Sen-sibilità, aggressività e tenacia erano i loro punti di forza. Divise erano forti, insieme erano invincibili. Nel corso dell’antichità ricomparvero va-rie volte, nonostante il loro corpo terreno cessasse d’esistere: il loro spi-rito vagava in cerca delle future candidate. Accompagnavano i nuovi cor-pi dalla nascita ma si manifestavano solo al momento opportuno. I loro nomi erano: Katrina, Kallista e Karima. I poteri di cui sono dotate… ” Il libro si interrompeva lì, aveva delle pagine mancanti. “Peccato”, pensai, “mi aveva incuriosito molto.” Il libro riprendeva con una specie di mappa che rappresentava nel centro un tempio. Mi sembrava di averlo già visto da qualche parte, però non gli diedi troppa importanza. Nelle pagine seguenti il libro ricominciò a parla-re delle tre: “Ritornano ogni volta che il mondo ha bisogno della loro presenza. Quel-

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lo che combattono si manifesta sempre in modi diversi; quando l’incolumità dell’umanità è messa a dura prova, sono costrette a interve-nire”. Ancora pagine mancanti; non credevo che il libro fosse usato, la copertina era talmente integra e immacolata che credevo fosse nuovo, ma forse non era così. Le pagine intatte davano di nuovo delle indicazioni per raggiungere il tempio: “Ciò che pensiamo difficile, in realtà non lo è! Basta pensare fortemente di volere e quello che desideriamo sarà nostro”. Non potei non sorridere a quella frase; in fin dei conti a me era successo così. Non riuscivo a togliermi dalla mente quanto appena letto e soprattutto il tempio raffigurato nel libro; nella mappa comparivano solo delle località che non esistevano più. Il percorso che portava al tempio, visto disegnato, rappresentava la lettera ψ dell’alfabeto greco che è tradotta con il suono “psi”. Era una cosa strana, sembrava che ci fossero tre sentieri diversi ma ognuno dei quali portavano allo stesso punto d’arrivo, il tempio. “Il luogo d’origine delle prescelte è il tempio. Quando arriva il momento per loro di venire allo scoperto, ricevono la chiamata e sanno inconscia-mente di doversi recare nel luogo sacro, o altrimenti può anche succedere che si ritrovino casualmente nel luogo d’incontro. Ed è lì che viene perfe-zionato il loro addestramento”. Il libro continuava così la descrizione. Non riuscivo a non pensare al tempio e alle prescelte, così riaccesi il Mac. Dopo una breve ricerca trovai il monumento indicato nel mio libro. Era il tempio di Arkedia una piccola isola nelle acque messicane. Il posto esisteva davvero! Possibile che quanto scritto nel libro fosse suc-cesso veramente? E soprattutto: c’era una remota possibilità che potesse succedere di nuovo? Che le prescelte fossero di nuovo tra noi? E le strane cose che mi stavano succedendo in quei mesi potevano essere collegate? Dovevo avere delle risposte. Sarei andata ad Arkedia; se ero legata in qualche modo a quella strana leggenda, l’avrei scoperto! Robert aveva in programma di andare a trovare i nonni in Florida di lì a poco, così avrei avuto tutto il tempo per andare a scoprire cosa nasconde-va quella piccola isola. Avevo già programmato tutto nella mente. Mia zia Jennifer, sorella di mia madre, viveva in Messico, a Cancùn, sarei andata da loro.

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La partenza Kelly. Nei giorni a seguire cercai tutte le informazioni possibili riguardo al tem-pio e all’isola di Arkedia. Andai in tutte le biblioteche della zona, approfittai dei ritagli di tempo in cui Rob e io non ci vedevamo per fare delle ricerche più accurate. Ero decisa, le due settimane seguenti le avrei dedicate alla scoperta del segreto che nascondeva il tempio. Il sabato salutai Robert con molta passione, lui non sapeva della mia av-ventura. Avevo detto a Rob e alla mia famiglia che sarei a andata sola-mente a trovare gli zii, visto che era circa un anno che non andavo, ma in realtà avevo tutto programmato. Dopo aver accompagnato Robert al suo imbarco, con destinazione Florida, tornai a casa a finire la mia valigia; nel giro di qualche ora sarei stata in volo per il Messico. Dopo le mille rac-comandazioni dei miei genitori e il pianto di mia madre, come se stessi partendo per la guerra, salii sul mio aereo. Ero finalmente sola. Tirai fuori il mio libro e ricontrollai tutto il piano. Ar-rivai a casa degli zii la domenica e fino al giorno seguente non avrei potu-to iniziare la mia missione. Allo zio Sam e alla zia Jennifer avevo detto che l’escursione che avrei fatto il giorno seguente mi serviva per una ri-cerca scolastica e, visto che era lì nei paraggi, volevo approfittarne. Natu-ralmente acconsentirono. Mia cugina Sue, loro figlia, frequentava l’università di belle arti a Parigi, per loro volontà. Ci tenevano molto a tut-to quello che era cultura e istruzione, quindi erano molto entusiasti della mia idea. Il lunedì mattina all’alba ero già al molo con destinazione l’isola di Arkedia. Quando arrivai sull’isola, non fu facile farsi capire dalla gente della zona per avere le giuste indicazioni per il tempio: non parlavo né spagnolo né messicano. Una ragazza che studiava a Washington, e quindi capiva la mia lingua e la mia richiesta, si offrì di accompagnarmi a metà strada, do-po di che mi sarei dovuta orientare da sola, perché Maria andava dalla par-te opposta alla mia. Quando la ragazza mi lasciò sola, camminai per circa

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un’ora ritrovandomi sempre nello stesso punto, ma poi finalmente trovai la strada giusta per il tempio, ne ero sicura. La mappa del libro parlava di un grande albero a forma di ipsilon e io c’ero passata davanti un attimo prima. Non riuscivo a pensare a cosa avrei trovato una volta arrivata, però sentivo dentro una forza e un’energia mai sentita prima. Il sentiero non era pulito, di tanto in tanto c’erano dei grossi cespugli che ostacolavano il passaggio e lo stesso era per le chiome folte e selvagge di alcuni alberi. Ad un certo punto, però, fui costretta a una scelta. La strada si divideva in tre nuovi sentieri. Non sapevo che fare. Poi mi ricordai di aver letto e visto nel libro che c’erano tre strade che portavano al tempio e ognuna delle prescelte sapeva quale prendere, perché per ogni ragazza corrispondeva un sentiero. “Io non sono una delle prescelte”, pensai, però decisi di seguire l’istinto e presi la via centrale. Inizialmente non c’erano grandi ostacoli lungo il mio cammino, però all’improvviso mi accorsi che la strada man mano che scendeva il sole si oscurava sempre più, con il rischio, di lì a poco, di non riuscire più a per-correrla. Così decisi di usare il mio piccolo potere. Fermai il tempo in quel momento, cosicché il sole potesse restare fermo in quella posizione e il-luminare il mio cammino finché ne avessi bisogno. Era la prima volta che riuscivo a gestire il mio potere così a lungo. Non so per quanto tempo camminai, forse minuti o forse ore. Ero stremata, anche per la concentrazione che necessitava fermare il tempo. Ed ecco in lonta-nanza una grande sagoma che, passo dopo passo, diventava sempre più nitida. Finalmente ero arrivata, il tempio di Arkedia era di fronte a me. Lasciai che il tempo riprendesse la sua normale attività. Il tempio emanava una strana energia, chissà se la percepivo solo io o era semplicemente l’effetto suggestivo del luogo. In quel momento, tornata alla realtà con i pensieri, mi accorsi di non essere sola.

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La confessione Kate. Logan aveva ragione, non potevo andare avanti così, avendo paura di me stessa e di quello che potevo provocare nel mondo. Quella sera mi sarei documentata. Tornando a casa mi fermai in biblioteca e cercai la sezione dedicata alle streghe. Purtroppo c’erano talmente tanti libri che quasi ri-nunciai. Poi mi diedi forza e cominciai a sfogliare quelli che mi sembra-vano più convincenti. Ne scelsi tre. Li mostrai alla bibliotecaria, che mi guardò con sospetto e uscii. Con passo deciso mi avviai verso casa. Questa volta volevo scoprire chi ero, e perché riuscivo a fare delle cose incredibili. Arrivata a casa, mi chiusi in camera, con i libri che avevo preso in prestito alla biblioteca. Mentre aprivo il libro più piccolo sulla stregoneria nel Medioevo, fui di-stratta da una luce che proveniva dal comodino. Che cos’era? Il cristallo di quarzo rosa non poteva emanare quel bagliore. A parte le foto e il libro trovati in soffitta, però, non c’era nient’altro. Ma un attimo… era proprio il libro che emanava quel luccichio! In un flash mi tornò in mente che era successa la stessa cosa in soffitta, ma il pensiero di Logan mi aveva tenuta lontano dal libro. Ora però mi sentivo di nuovo attratta in modo assurdo dal libro, come se fosse parte di me. Allora lo afferrai e cominciai a sfo-gliarlo. Era un libro di dimensioni medie, copertina scura, l’unica scritta consiste-va in uno strano simbolo in acciaio, probabilmente era proprio quello a farlo brillare. Il simbolo era familiare, l’avevo già visto da qualche parte, ne ero certa. Ma non mi venne in mente. Aprii il libro. Le pagine erano quasi nuove, rigide, e risaltavano subito simboli e disegni vari. Sembrava geroglifico, forse si trattava proprio di un’antica scrittura o di formule. Forse erano incantesimi. “Il tempo ormai è giunto. Le prescelte sono in volo”. Le prescelte? Il libro parlava di tre ragazze particolarmente dotate. In real-tà più che di ragazze parlava di una specie di guerriere che si reincarnava-no quando era necessario. Si erano incarnate varie volte dall’inizio dei tempi. All’origine i loro nomi era Karima, Kallista e Katrina. Forse erano delle dee o… non riuscivo a capire cosa fossero in realtà. Si reincarnava-

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no. Andai avanti nella lettura e il cuore accelerò i battiti quando lessi che ognuna aveva dei poteri. Il libro si fermava proprio in quel punto, non specificava i poteri, accidenti! Che cosa aveva a che fare tutto questo con me? Ah, ecco la risposta alle mie domande: “Ritornano ogni volta che il mon-do ha bisogno della loro presenza. Quello che combattono si manifesta sempre in modi diversi; quando l’incolumità dell’umanità è messa a dura prova, sono costrette a intervenire”. Per un attimo avevo quasi pensato di essere una prescelta. Mi misi a ridere imbarazzata. Ora stavo peccando di presunzione, forse. Eppure mi sentivo in subbuglio. Il libro proseguiva indicando un luogo, una specie di ritrovo sacro. Lì c’era un tempio ed era il luogo di nascita delle prescelte. Nel momento in cui dovevano agire, ricevevano una chiamata per riunirsi. Non riuscivo a crederci, c’era addirittura una cartina per raggiungerlo. Chissà quante povere credulone si erano messe in viaggio in cerca del tempio. Ma come si faceva a credere a un posto chiamato Arkedia? Era un’invenzione. La cartina era dettaglia e precisa, arrivati su quest’isola messicana la strada si divideva in tre diversi sentieri e ognuno era designa-to a una delle prescelte. Ora basta. Era tutto troppo assurdo. Erano coincidenze. Forse io ero solo un’aliena, o magari c’erano state delle trasmutazioni genetiche dovute all’inquinamento. Tutto poteva essere. Tutto. Misi via il libro e crollai dalla stanchezza. Mi sembrava di fluttuare in una nube sottile, non capivo se ero sveglia o dormivo, ma sentivo quasi l’umidità sulla pelle. Non riuscivo a trovare l’equilibrio, ero come sospesa su una nuvola. Tirai un urlo di terrore quando mi accorsi che alla mia destra c’era un lupo. E emersi dal dormi-veglia. Avevo letto troppo. Kevin arrivò poco prima delle sette. Era andato a prendere due pizze e delle bibite, aveva noleggiato un film e stava lì davanti alla porta impala-to. “Dai, entra!” Sembrava nervoso e sulle spine. «Oh, fantastico! Spinaci e ricotta, la mia preferita.» «Lo so.» Ma che cretino! «Lo so che lo sai! La mangio da diciannove anni!» Mangiammo quasi in silenzio. Cercai di tenere viva la conversazione, ma Kevin non mi aiutava affatto rispondendo a monosillabi. «Guardiamo il film?» chiese lui dopo. «No, prima mi dici quello che ti turba.» Lui sussultò. Già, proprio come

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pensavo. Kevin era un libro aperto per me! «Senti, Kate… è vero, volevo parlarti…» “Lo conosco troppo bene”, pensai soddisfatta. Kevin si avvicinò un po’ e mi prese le mani tra le sue, che erano gelate. Respirò a fondo, ma io percepivo perfettamente l’ansia che aveva. Era te-so, il viso contratto, il respiro corto. «Che cosa succede?» lo sollecitai spaventata. Lui si avvicinò un po’ di più e mi baciò. Fu un bacio dolce, tenero, che mi coinvolse con dolcezza. Sentivo odore di rose e gigli. Oh, cielo! Aprii gli occhi di scatto. Chissà cosa stavo scatenando. Ma mi trovai immersa solo in due occhi verdi. Che cosa stavo facendo? Ero innamorata di Logan, e anche lui mi ricambiava. Me lo aveva detto quel pomeriggio, e si era anche offerto di accompagnarmi alla ricerca del-le mie radici. Ormai Logan sapeva tutto, mi capiva, e non si era spaventa-to come la mamma di Kevin. Anche Kevin mi avrebbe allontanata se a-vesse saputo? Avrei mai potuto essere me stessa con lui? E se anche fosse stato così, potevo permettere che lui abbandonasse gli studi e l’opportunità di crearsi un futuro? No, non me lo sarei mai perdonato. E così, facendo uno sforzo enorme, lo spinsi via da me. Fu come pugnalarsi, sapevo che col mio gesto lo stavo ferendo a morte. Ero consapevole che così facendo lo stavo perdendo per sempre. Ci fissammo un attimo, poi lui parlò con voce rotta dall’emozione: «Te-mevo la tua reazione!» Volevo spiegare, ma Kevin mi interruppe subito. «No, stammi a sentire per favore, non ci metterò molto. Tu sai bene quan-to io tenga a te, fin da quando eravamo bambini e tu mi facevi sempre fare la parte della femminuccia. Abbiamo giocato insieme come fratelli, ab-biamo conosciuto il mondo insieme, e sofferto insieme le ingiustizie. Sei sempre stata la mia migliore amica, fino alla sera a casa tua, quando mi hai raccontato del ragazzo che avevi conosciuto. Da allora ho provato prima una rabbia feroce nei confronti di questa persona che neanche cono-sco, pensando che fosse semplicemente paura di perderti. Invece ho capito che era solo pura e semplice gelosia. Ho provato a ignorare i miei senti-menti, a ignorare il turbamento che il tuo profumo mi provocava, odian-domi per essere così vulnerabile, perché tu non eri una ragazza qualunque a cui sbavare dietro.» Fece una pausa per tirare un profondo respiro. Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, e continuai a fissare un punto nel pavimento senza nemmeno vederlo. Non mi sarei mai aspettata un discorso del genere dal mio Kevin, era un discorso “troppo da grandi”. Ma soprattutto non mi sa-rei mai e poi mai aspettata la mia stessa reazione al bacio, il coinvolgi-

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mento mentale ed emotivo. Nulla a che vedere con l’istinto animalesco che si era impossessato di me al contatto delle labbra di Logan. “Basta, Kevin”, supplicai mentalmente, disperata, “basta confondermi in questo modo!” «Kate, quello che volevo dirti è che io mi sono innamorato di te, mi di-spiace, e non riesco più a starti vicino come prima.» Ecco, ora aveva terminato. Avrei voluto che il tempo si bloccasse per far-mi riflettere tranquillamente. Non sapevo cosa dire, e non riuscivo a pen-sare. Sembrava che i miei pensieri andassero a un ritmo talmente forte da non riuscire ad afferrarli. Subito Kevin venne in mio soccorso, come sem-pre. Mi strinse tra le braccia e mi sussurrò con dolcezza: «Io non ti sto im-ponendo nulla, il mio non è un ultimatum. Se lo vorrai, continueremo a essere semplicemente amici come è sempre stato. Ma voglio che tu ci pensi, desideravo che tu almeno sapessi. Rifletti pure con calma, perché io, Kate, vorrei sposarti!» Trasalii. «Possiamo trasferirci insieme da qualche parte, ovunque tu voglia. Mi tro-verò un lavoro e frequenterò una scuola serale, oppure se mi sceglieranno alle selezioni di football, diventerò un giocatore professionista. Insomma, ce la caveremo. Tutto dipende da te. Pensaci. Le selezioni saranno di qui a una settimana. Possiamo incontrarci sul ponte di legno alle quindici, così io ti dirò come è andata e tu… insomma… tu mi dirai.» FINE ANTEPRIMA.CONTINUA...

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