Il destino della Bellezza. La Bellezza nella prospettiva delle scienze umanistiche

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Atti della Conferenza Internazionale dell’Università Ortodossa San Tichon di Mosca in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano.

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Il destino della BellezzaLa Bellezza nella prospettiva

delle scienze umanistiche

Conferenza Internazionale, Università San Tichon (Mosca, 1-19 aprile 1)

in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

a cura di Alessandro Rovetta e Marija Desjatova

edizioni di pagina

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Indice

Saluto del rettore dell’Università San Tichon 9

Arciprete Vladimir Vorob’ev

Prolusione. La teologia della bellezza 1

Metropolita Ilarion di Volokolamsk

Messaggi augurali 1

Mons. Paolo Pezzi, Ambasciatore Antonio Zanardi Landi, Ministro Lorenzo Ornaghi, Prof. Franco Anelli

Il destino della Bellezza

Stefano Alberto La bellezza come superamento del dualismo moderno

Aleksandr Saltykov Il concetto di bellezza nella cosmologia biblica 39

Tat’jana Kasatkina Il mondo lo salverà la bellezza 1

Marco RossiLa bellezza dell’Incarnazione nella pittura medievale in Italiafra tradizione orientale e occidentale 3

Alessandro Rovetta Il divenire della forma come esperienza della bellezza nell’opera di Michelangelo

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Indice

Natal’ja Vaganova “Il cadavere della bellezza” cento anni dopo 91

Konstantin Rubinskij La poesia creata dai bambini: ricerca dell’immagine del bello 11

Ignacio Carbajosa «Ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza» (Sap , ). La bellezza della sapienza nella Bibbia 111

Anton Nebol’sin La bellezza nell’Apocalisse e dell’Apocalisse 13

Adriano Dell’AstaSi può ancora parlare di arte e di bellezza dopo Auschwitz e la Kolyma? 133

Francesco BraschiIl bello come categoria teologica e morale in alcuni scritti di sant’Ambrogio di Milano 13

Georgij ZacharovLa figura della Luce Trinitaria nell’opera di san Gregorio Nazianzeno: aspetti teologici ed estetici 1

Costantino Esposito Che cosa ci fa conoscere la bellezza 1

Aleksandr Filonenko La bellezza e il ritorno della realtà: nuove possibilità di una teoestetica 11

Konstantin Sigov Nuove forme di bellezza nell’opera di Valentin Sil’vestrov 193

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Indice

Stefan Vanejan Spazio e liturgia. Aspetti dell’ambiente sacro 1

Ol’ga Januskjavicene Possibilità di sostegno pedagogico per far emergere la bellezzadell’immagine di Dio nell’uomo 11

Svetlana DivnogorcevaLa cultura pedagogica della famiglia ortodossa in Russia nel contesto degli ideali della bellezza 19

Uberto Motta Tra esperienza e desiderio. Il tema della bellezza nella Commedia di Dante 9

Elizaveta Materova Alla ricerca della perfezione: la poesia del Rinascimento carolingio 9

Timofej Voronin La concezione del bello nel mondo artistico di Žukovskij e di Puškin 1

Maria Cristina Gatti La bellezza sub specie linguistica 9

Irina Celyševa Gli aggettivi di valutazione estetica dal latino alle lingue romanze 9

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Per affrontare il tema evocato da questa celebre frase tratta dal roman-zo L’idiota, parto dall’analisi di una citazione, anch’essa molto nota, dai Fratelli Karamazov, che è incentrata proprio sulla bellezza

Infatti – a differenza della frase di Vladimir Solov’ëv – la frase di Dostoevskij posta a titolo del mio intervento non tratta innanzitutto della bellezza ma della salvezza del mondo.

Ecco, invece, quello che afferma Dostoevskij nei Fratelli Karamazov quando parla direttamente della bellezza:

La bellezza è una cosa spaventosa e terribile! Spaventosa perché indefinibi-le, e non la si può definire perché Dio ha posto soltanto degli enigmi. Qui è dove tutte le rive convergono, dove convivono tutte le contraddizioni. Io, fratello, sono molto ignorante ma ci ho pensato a lungo. C’è una quantità spaventosa di misteri! L’uomo sulla terra è oppresso dai troppi enigmi! Ri-solvili, se ne sei capace, e uscirai asciutto dall’acqua. La bellezza! Io poi non riesco affatto a sopportare che un uomo, perfino superiore quanto a cuore e di grande intelligenza, parta dall’ideale della Madonna per finire con l’idea-le di Sodoma. E mi fa ancor più spavento chi ha già nell’animo l’ideale di Sodoma eppur non nega quello della Madonna per il quale il suo cuore arde, e arde davvero, veramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, è vasto l’uomo, fin troppo vasto, io lo restringerei. Lo sa il diavolo che cos’è, infine! Quello che alla mente pare una vergogna, per il cuore è tutta bellez-za. Forse che la bellezza si trovi a Sodoma? Credimi, per la stragrande mag-gioranza degli uomini la bellezza è rinchiusa proprio a Sodoma. Eri al cor-rente di questo mistero o no? Ciò che è terribile è che la bellezza non è solo spaventosa, ma anche misteriosa. Qui il diavolo lotta con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo. E peraltro, la lingua batte dove il dente duole1.

1 F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, parte I, libro II.

Tat’jana Kasatkina*

Il mondo lo salverà la bellezza

* Presidente della Commissione per lo studio dell’opera di F.M. Dostoevskij presso l’istituto di Letteratura Mondiale dell’Accademia Russa delle Scienze.

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Tat’jana Kasatkina

Occorre notare che Dostoevskij ha sempre scritto la parola Sodoma con la maiuscola – siamo nel campo dei problemi di testologia – e que-sto non è rispettato, ad esempio, nell’edizione integrale delle sue opere in 3 volumi. È un dettaglio fondamentale perché, iniziando a scriverla con la minuscola, finiamo subito per comprenderla in senso metaforico, mentre per Dostoevskij, come sempre, non c’è alcuna metafora.

Quasi tutti i filosofi russi che hanno analizzato il brano in questione si sono arroccati sulla convinzione che il personaggio di Dostoevskij stia parlando di due tipi di bellezza. E alla stessa conclusione giunge l’autore di un recentissimo studio, che afferma: «In queste riflessioni Dmitrij contrappone due tipi di bellezza: l’ideale della Madonna e l’ideale di sodoma»3.

Si sostiene, quindi, che Dostoevskij parli della bellezza e della sua imitazione – della sua falsificazione – e che lo faccia (operazione molto spesso attribuita allo scrittore) prendendo in prestito la voce del suo personaggio; che si riferisca alla donna vestita di sole e alla meretrice che cavalca la bestia, e così via. Di fatto, allo scopo di spiegare il testo, sono state identificate e, sostanzialmente, applicate al testo stesso delle cop-pie (apparentemente analogiche) di metafore. E anche il testo in sé è stato ridotto a un susseguirsi di metafore, poiché i filosofi si sono avven-turati nella sua interpretazione senza prima sottoporla a una vera lettu-ra, cioè a quell’analisi filologica che deve necessariamente precedere l’analisi filosofica, ogniqualvolta si tratti di svolgere una riflessione di carattere filosofico su un testo letterario. Hanno inteso che si stesse par-lando di qualcosa che già conoscevano. Questo testo, invece, richiede una lettura precisa, matematica, e, se lo leggiamo così, capiamo che Dostoevskij con le parole del suo eroe sta dicendo una cosa assoluta-mente diversa dalle disquisizioni dei filosofi.

E. Novikova, «Mir spaset krasota» F.M. Dostoevskogo i russkaja religioznaja filosofi-ja konca XIX - pervoj treti XX vv. («Il mondo lo salverà la bellezza» di Dostoevskij e la filosofia religiosa russa fine XIX - inizio XX sec.), in T.A. Kasatkina (a cura di), Dosto-evskij i XX vek v 2 tomach (Dostoevskij e il XX secolo in tomi), Mosca , t. 1, pp. 9-1.

3 Ju.A. Romanov, Fenomen krasoty v interpretacii Dmitrija Karavazova (Il fenomeno della bellezza nell’interpretazione di Dmitrij Karamazov), in Dostoevskij i sovremennost’. Materialy XXIV Mežnarodnych Starorusskich ctenij 2009 goda (Dostoevskij e la moderni-tà. Materiali dalla XXIV Conferenza Internazionale a Staraja Russa, 9), Velikij Novgorod 1, p. 9.

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Il mondo lo salverà la bellezza 3

Innanzitutto, bisogna notare che la bellezza viene definita dai suoi “antonimi”: è una cosa spaventosa, terribile. Perché spaventosa? Nel testo troviamo la risposta: «Perché è indefinibile» (peraltro, definire una cosa attraverso i suoi antonimi è un modo geniale di sottolinearne l’indefinibilità). La bellezza descritta dal personaggio di Dostoevskij non può essere interpretata allegoricamente come hanno fatto i nostri filosofi. L’unico simbolo adeguato a rappresentarla è la famosa Iside velata: spaventosa e terribile proprio perché non la si può definire.

C’è tutto dunque, in questa bellezza; in essa convivono tutte le con-traddizioni, le rive opposte convergono, e una tale pienezza dell’essere non è definibile in termini di distinzione, di reciproca opposizione tra due parti di un intero, in termini di bene e male. La bellezza è spaven-tosa e terribile per il fatto di provenire da un altro mondo, presente, contro ogni speranza, nel mondo a noi dato e manifesto; è una cosa propria del mondo precedente alla caduta del peccato originale, prece-dente al pensiero analitico e alla percezione del bene e del male.

Tuttavia, per qualche ragione gli ideali «di Sodoma» e «della Madon-na» di cui parla Dmitrij Karamazov vengono ostinatamente intesi come due tipi di bellezza opposti l’uno all’altro, estrapolati in modo assoluta-mente incomprensibile da qualcosa che è indefinibile (che, cioè, lette-ralmente, non ha limiti e, di conseguenza, non è nemmeno soggetto a divisione), da qualcosa che si identifica in una convergenza, in un’unità inscindibile di tutte le contraddizioni, un luogo in cui le contraddizioni coesistono, e cioè smettono di essere contraddizioni...

Una simile violazione della logica non si addice affatto a un pensato-re rigoroso come Dostoevskij o come – notiamolo – i suoi personaggi: non siamo davanti a due bellezze, definite e contrapposte tra loro, ma a due modalità con cui l’uomo entra in rapporto con l’unica bellezza. Per Dostoevskij l’ideale della Madonna e l’ideale di Sodoma – e di questo troviamo piena conferma nel romanzo stesso – rappresentano due modi di guardare la bellezza, di percepire la bellezza, di desiderarla.

L’ideale si trova nell’occhio, nella mente e nel cuore di chi è davanti alla bellezza; essa poi si consegna a chi ha di fronte senza difendersi e con un’abnegazione tale da permettergli di dare alla sua originaria in-determinatezza una forma che corrisponda a quell’ideale. Permette che la si veda nel modo in cui chi le sta davanti è in grado di vederla.

Credo che quanto detto non sembri convincente. Siamo troppo abi-

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tuati al fatto che non siano le nostre capacità di percezione a contrap-porsi, ma proprio i tipi di bellezza, come ad esempio l’angelo biondo dagli occhi azzurri che si contrappone alla diavolessa dagli occhi infuoca-ti, secondo un immaginario diffuso già dai romantici.

Ma se per definire cosa sia l’ideale di Sodoma noi ci rivolgessimo al testo di partenza (che Dostoevskij non nomina mai invano), allora sco-priremmo che a Sodoma non si recarono uomini depravati e tentatori, demoni: a Sodoma giunsero gli angeli, ricettacoli e prototipi del Signo-re, e proprio Loro i sodomiti – l’intera città – bramavano “conoscere”.

Persino la Madonna – ricordiamo il Cantico dei Cantici: «terribile come un vessillo di guerra», «avvocato», «muro incrollabile» – non è affatto riconducibile a un solo tipo di bellezza. La sua pienezza, la sua capacità di riunire in sé «tutte le contraddizioni», è messa in luce dal grande numero di soggetti e varianti tipologiche delle icone che raffigu-rano i diversi aspetti della Sua bellezza. Una bellezza che opera nel mondo e lo trasfigura.

L’affermazione di Mitja è estremamente significativa: «Forse che la bellezza si trovi a Sodoma? Credimi, per la stragrande maggioranza degli uomini la bellezza è rinchiusa proprio a Sodoma». Dal punto di vista linguistico, le parole sono scelte con grande cura: la bellezza non si trova, non risiede a Sodoma. E Sodoma non costituisce la bellezza. La bellezza a Sodoma «è rinchiusa» – cioè imprigionata, è tenuta segregata nel carcere di Sodoma dagli sguardi degli uomini. Proprio in questo mistero che Mitja comunica ad Alëša è celato il cuore dell’interesse di Dostoevskij per la figura della santa meretrice. «Tutte le contraddizioni convivono». E la bellezza prigioniera a Sodoma non può assumere alcun altro sembiante.

In tutto ciò vi è qualcosa di essenziale.In Dostoevskij la parola Sodoma appare sia in Delitto e castigo che

nell’Idiota, nei punti più significativi della storia. Marmeladov la pro-nuncia descrivendo il luogo in cui abita la sua famiglia – «Proprio una Sodoma, la più orribile, ...mmm... sì» –, come anticipando il racconto

Ct. , 1. Pensiamo ad esempio a Sonja e Lizaveta in Delitto e Castigo, o a Sofja nell’Adole-

scente. F.M. Dostoevskij, Delitto e castigo, parte I, capitolo II.

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della prostituzione di Sonja: la trasformazione della vita di Sonja ha origine nel fatto che la sua famiglia dimora a Sodoma.

Nel romanzo L’idiota il generale Epancin ripete: «Questa è Sodoma, Sodoma», quando Nastasja Filippovna, per dimostrare al principe che non vale abbastanza per lui, prende per la prima volta i soldi dall’uomo che cerca di comprarla. Ma prima di questa esclamazione il generale aveva già capito dalle parole di Nastasja Filippovna che anche la figlia Aglaja era coinvolta nella compravendita – benché l’avesse solennemen-te negato all’inizio del romanzo, costringendo il principe a scrivere a Ganja nell’album: «Io non mi presto a mercanteggiamenti». Anche se non è lei l’oggetto del commercio, è con lei che mercanteggiano, e que-sto segna l’inizio del suo ritrovarsi a Sodoma: «Ma tu, Ganecka, ti sei fatto sfuggire Aglaja Epancina, lo sapevi o no? Se tu non avessi mercan-teggiato con lei, ti avrebbe senz’altro sposato! Dovreste fare tutti così: frequentare o le donne oneste, o quelle disoneste. Bisogna scegliere al-trimenti ci si confonde...»9. Ma se Nastasja Filippovna cerca di abbas-sarsi davanti ad Aglaja, questa, nonostante il desiderio di umiliare la rivale, non crede fino in fondo che Nastasja Filippovna le sia inferiore e per questo la considera una rivale. All’inizio entrambe appaiono come oggetti di un commercio, alla fine come oggetti di scelta, e in questa gara in cui, per definizione, non possono esserci vincitori (come posso-no vincere degli oggetti?) a vincere non sarà certo Aglaja...

Durante l’ultima Conferenza studentesca su Dostoevskij, lo scorso aprile, una relatrice ha dato un giudizio significativo su Nastasja Filip-povna, affermando che «è depravata perché tutti ne fanno oggetto di mercanteggiamento». Io penso che questo perché sia molto appropria-to.

La donna che in Dostoevskij è portatrice di bellezza è spaventosa e colpisce proprio per la sua indefinibilità. Nel rapporto con il principe, che non la tratta come una merce, Nastasja Filippovna «non è così», mentre con Rogožin, che la presume tale e la mercanteggia, lei «è pro-prio così»1. Nel romanzo questi «è così-non è così» sono le definizioni principali di Nastasja Filippovna – della bellezza incarnata... e dipendo-

F.M. Dostoevskij, L’idiota, parte I, capitolo XVI. Ivi, parte I, capitolo VII.9 Ivi, parte I, capitolo XVI.1 Ivi, parte II, capitolo III.

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no esclusivamente dallo sguardo di chi la osserva. Dobbiamo notare la totale indefinitezza e indefinibilità di queste, cosiddette, definizioni.

La bellezza è indifesa davanti a chi la guarda, nel senso che è l’osser-vatore a stabilire la forma del suo manifestarsi concreto (perché la bel-lezza non si rende manifesta se non c’è chi la vede).

La donna si mostra agli occhi dell’uomo così come questi la vede: «Un uomo può insultare col suo cinismo una prostituta che si vende per poco» – Dostoevskij ne era convinto. Svidrigajlov si accende proprio per la verginità dell’innocente Dunja. Fëdor Pavlovic prova libidine quando vede per la prima volta la sua ultima moglie, simile alla Madon-na: «“Allora quegli occhietti innocenti mi avevano trafitto l’anima come una lama”, aveva detto in seguito, con la sua tipica risatina disgustosa»11. Si capisce dunque perché anche l’ideale della Madonna, se custodito in un’anima soggetta al trionfo dell’ideale di Sodoma, diventi spaventoso: diventa l’oggetto della lussuria per eccellenza.

Quando invece l’ideale della Madonna ostacola la passione sensuale, allora esso diventa oggetto di negazione diretta e di scherno. In questo senso la scena, riferita da Fëdor Pavlovic a Alëša e Ivan, acquista un enorme significato simbolico:

Ma ecco te lo giuro davanti a Dio, Aleša, io non ho mai offeso la mia picco-la strillona! Forse solo una volta, ancora nel primo anno di matrimonio: quanto pregava! Osservava soprattutto le feste della Madonna e allora mi scacciava lontano da sé nello studio. Penso, “adesso le faccio passare questo misticismo!”: «Vedi – le dico – vedi ecco la tua immagine, eccola, guarda, io la tolgo [facciamo attenzione proprio a come parla Fëdor Pavlovic: è come se in quel momento strappasse da Sofja la sua immagine vera, la spogliasse della sua immagine]. Guarda, tu la consideri miracolosa, ma ecco io ci spu-to sopra davanti a te e non mi succederà nulla!». Come lei mi vede, “Signo-re” penso “ora mi uccide”, ma lei balza soltanto in piedi, tira su le braccia e poi all’improvviso si copre il volto con le mani [come cercando di difendere l’immagine profanata], rabbrividisce tutta, cade sul pavimento e si accascia1.

È significativo che Fëdor Pavlovic non consideri tali le altre offese, sebbene la storia del suo matrimonio con la moglie Sofja sia letteralmen-te la storia dell’incarcerazione della bellezza a Sodoma. Per di più qui

11 F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, parte I, libro I.1 Ivi, parte I, libro III.

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Dostoevskij mostra come l’incarcerazione esteriore diventi interiore, come dall’oltraggio si generi una malattia che deforma il corpo e l’animo di colei che è portatrice della bellezza.

Non avendo ricevuto nessuna rimunerazione, Fëdor Pavlovic non faceva cerimonie con la consorte e, approfittando del fatto che lei era, per così dire, colpevole davanti a lui, e che lui l’aveva quasi tolta dal cappio e approfittando inoltre della sua fenomenale sottomissione, calpestò i più elementari princi-pi del decoro matrimoniale. In casa, proprio sotto gli occhi della moglie, si radunavano donne di facili costumi e si organizzavano orge. [...] In seguito l’infelice giovane donna, tormentata fin dall’infanzia, fu colpita da una qual-che malattia nervosa femminile, di quelle che di solito si riscontrano in cam-pagna nel popolino, tra le contadinottte che, a causa di questa malattia, vengono chiamate strillone. Questa malattia le causava terribili crisi isteriche che, alle volte, le facevano perfin perdere l’uso della ragione13.

E il primo attacco di questa malattia, come abbiamo visto, si era ve-rificato proprio con la profanazione dell’immagine della Madonna...

In forza di quanto detto, non possiamo separare l’incarnazione dell’i-deale della Madonna nel romanzo né dalle contadine strillone, che era-no considerate indemoniate, né dalla mentecatta Lizaveta Smerdjakova. Non possiamo separarla neanche da Grušenka, «la regina dell’insolen-za», la primadonna «infernale» del romanzo, che «un tempo, la notte singhiozzava ricordando il suo offensore, quand’era sottile sottile e ave-va sedici anni»...

Ma se la storia di Sofja è quella dell’imprigionamento della bellezza a Sodoma, con Grušenka si tratta invece della scarcerazione della bellezza da Sodoma. È significativa l’evoluzione della percezione che Mitja ha di Grušenka, e lo vediamo attraverso gli epiteti e le definizioni usate nei suoi confronti. Inizia col chiamarla carogna e bestia, dice che ha sinuo-sità da scellerata, che è una tigre, che ucciderla sarebbe poco. In seguito, durante il viaggio a Mokroe, la definisce dolce creatura, regina dell’ani-ma mia (e usa appellativi che, in genere, si riferiscono direttamente alla Madonna). Ma a un certo punto troviamo una espressione di tutt’altro genere, qualcosa di assolutamente fantastico: «fratello Grušen’ka»1.

13 Ivi, parte I, libro I.1 Ivi, parte IV, libro XI.

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Ripeto ancora che la bellezza si trova al di fuori di quella regione in cui inizia la distinzione tra bene e male: nella bellezza è presente il mon-do ancora indiviso, intero, il mondo prima del peccato originale. E pro-prio rendendo manifesto questo intatto mondo primordiale, colui che vede la vera bellezza salva il mondo.

Nella riflessione di Mitja la bellezza è una, onnipotente e indivisibile, come quel Dio contro cui combatte il diavolo, ma che, a sua volta, non combatte contro di lui: Dio permane, il diavolo attacca; Dio crea e il diavolo cerca di sottrargli il creato. Ma il diavolo stesso non ha mai cre-ato nulla, e questo significa che tutto il creato è bene e che, al massimo, come la bellezza, può essere rinchiuso a Sodoma...

Tornando alla citazione tratta dal romanzo L’idiota, notiamo che nor-malmente noi la ricordiamo in modo un po’ diverso, nella forma in cui la riprese Vladimir Solov’ëv: «La bellezza salverà il mondo»1. È una trasformazione simile a quella che a cavallo tra i due secoli i filosofi operarono sulla frase «qui il diavolo lotta con Dio» che, come tutti ri-cordiamo, diventò: «qui il diavolo e Dio lottano», e addirittura «qui Dio lotta col diavolo». Ma Dostoevskij dice precisamente che «il mondo lo salverà la bellezza»1, e forse la strada più semplice per capire quello che voleva dire è confrontare le due frasi per prendere coscienza della loro diversità.

Che cosa comporta a livello di senso l’inversione di tema e rema? Nella frase di Solov’ëv la salvezza del mondo è vista come una proprie-tà della bellezza. La sua frase ci dice che la bellezza è salvifica. Dosto-evskij non dice niente del genere, dice invece che il mondo sarà salvato dalla bellezza, cioè da una delle proprietà immanenti al mondo stesso. La prerogativa della bellezza non è quella di salvare il mondo ma quella di permanere in esso inesorabilmente ed è in questa immanenza ineso-rabile della bellezza nel mondo che è riposta la sua sola speranza.

La bellezza, quindi, non è una forza trionfante che incombe sul mon-do con funzione salvifica. No, la bellezza è qualcosa che è già presente nel mondo ed è poi proprio in virtù di questa sua presenza che il mondo sarà salvato.

1 V.S. Solov’ëv, Krasota v prirode (La bellezza nella natura), in «Voprocy filosofii i psichologii» (Problemi di filosofia e psicologia), n. (19).

1 Dostoevskij, L’idiota, parte III, cap. V.

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La bellezza – come Dio – non lotta ma permane, e la salvezza giun-gerà al mondo attraverso lo sguardo dell’uomo che saprà scorgerla in tutte le cose, che smetterà di rinchiuderla, di imprigionarla a Sodoma.

Nei taccuini dei Fratelli Karamazov lo starec Zosima parla di questa permanenza della bellezza nel mondo affermando che «il mondo è un paradiso [e che] le chiavi le abbiamo noi»1, e ancora che «l’uomo è circondato dal mistero di Dio, dal grande mistero dell’ordine e dell’armonia»1.

Possiamo descrivere l’azione trasfigurante della bellezza in questo modo: quando una persona realizza la bellezza che ha in sé dà come un impulso a che anche gli altri che ha intorno si manifestino nella propria bellezza (è quello che significano le parole di Adelaida a proposito del-la bellezza di Nastasja Filippovna: «con tale bellezza si può capovolgere il mondo»19).

L’armonia (l’armonia è il paradiso – il mondo nella sua condizione perfetta – la bellezza del tutto) è allo stesso tempo il risultato e il punto di partenza di questa trasfigurazione reciproca. Se in una persona la bellezza si realizza – conformemente all’idea di bellezza propria della lingua greca che indica validità – significa che quella persona ha trovato il suo posto. Ma quando anche solo un uomo trova il suo posto, si inne-sca una reazione a catena per cui anche gli altri ritrovano il loro (perché quello che ha trovato il suo posto offre a tutti un’indicazione ulteriore per riconoscere il proprio; come in un puzzle, quando si fissa il posto di un pezzettino diventa molto più semplice procedere per trovare il posto degli altri) e inizia realmente – non simbolicamente – a vedersi l’impe-tuoso movimento di costruzione del tempio del mondo che si trasfigura. È esattamente quello che affermava Serafino di Sarov: «Salva te stesso e intorno a te si salveranno a migliaia».

Sostanzialmente il meccanismo della salvezza del mondo attraverso la bellezza è proprio questo. Perché – ripetiamolo – ognuno è bello quando è al suo posto. Quando si incontrano uomini così si desidera stare con loro e si desidera seguirli. A questo punto si può fare l’errore

1 F.M. Dostoevskij, Polnoe sobranie socinenij v 30 t. (Opera omnia in 3 voll.), Nauka, Leningrado 19-199, vol. XV, p. .

1 Ivi, p. .19 Dostoevskij, L’idiota, parte I, cap. .

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Tat’jana Kasatkina

di cercare di mettersi “sulla loro carreggiata”, mentre l’unica vera pos-sibilità di seguirli è quella di scoprire quale sia la propria.

Ma si può sbagliare in modo ancor più radicale. L’impulso dato dalla bellezza di chi ci circonda, di una persona che suscita in noi il desiderio della bellezza e la tensione a raggiungerla, può portare (e purtroppo que-sto accade molto spesso) non alla scoperta della bellezza in se stessi – alla messa in atto della bellezza da dentro sé e cioè alla propria trasfigurazione – ma al tentativo di appropriarsi dell’immagine esteriore di quella bellez-za che si è rivelata in un altro. In questo caso, quella tensione a donare la propria bellezza al mondo – tensione capace di creare armonia nel mondo e nell’uomo – si trasforma in un tentativo egoistico di impossessarsi della bellezza del mondo. E questo porta alla distruzione dell’armonia, all’op-posizione e alla lotta. È quello che vediamo accadere nel finale dell’Idiota.

Vorrei sottolineare ancora una volta che le cosiddette eroine «infer-nali» dei romanzi di Dostoevskij non sono strumenti dell’inferno bensì sue prigioniere. E a metterle in un inferno sono coloro che, al posto di dare se stessi in risposta all’inevitabile bellezza che immancabilmente si dona a loro (perché per Dostoevskij la modalità di esistenza della bel-lezza nel mondo è il dono di sé), cercano di appropriarsene, di imprigio-narla, e su questa strada entrano immancabilmente in conflitto con tut-ti quelli che cercano di fare lo stesso.

La scoperta della propria bellezza come risposta a una bellezza che si rivela è un cammino di sovrabbondanza, un cammino sul quale l’uo-mo diventa una sorgente di grazia per il mondo. Il tentativo di impos-sessarsi della bellezza di un altro è invece il cammino della miseria, della mancanza, sul quale l’uomo si trasforma in un buco nero che suc-chia la grazia dall’universo creato.

Per Dostoevskij la possibilità di scoprire la propria bellezza dipende dalla disponibilità a dare tutto.

Nel Diario di uno scrittore del 1, infatti, descrive la frattura che caratterizza l’umanità proprio in questi termini: dare tutto porta alla trasfigurazione dell’umano mentre, quando sostiene che «comunque dare tutto non si può», l’uomo si fossilizza in una condizione d’esisten-za non trasfigurata. E già molto prima – nelle sue Note invernali su im-pressioni estive – aveva scritto:

Cercate di capirmi: sacrificare se stessi per gli altri, volontariamente, con piena coscienza e senza alcuna imposizione, è, a mio avviso, il segno dello

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Il mondo lo salverà la bellezza 1

sviluppo massimo della persona, della sua massima potenza, del sommo go-verno di sé, del raggiungimento di una volontà supremamente libera. Dare volontariamente la propria vita per tutti, andare in croce, al rogo, per tutti, è possibile solo al massimo grado di sviluppo della persona. Una persona molto sviluppata, completamente certa del suo diritto di essere persona e che non provi più alcuna paura per se stessa, non può fare nient’altro della sua stessa persona – non può farne cioè altro uso – se non darsi a tutti, affin-ché anche tutti gli altri possano essere altrettanto retti in se stessi e felici. È una legge della natura: è ciò a cui tende l’uomo normale.

Per Dostoevskij, il principio per cui si costruisce l’armonia e si rista-bilisce il paradiso sulla terra non è quello di rinunciare a qualcosa allo scopo di essere confacenti al tutto e non è nemmeno quello di conser-vare il proprio tutto insistendo su una piena affermazione di sé, ma è quello di dare tutto senza condizioni. E allora il tutto restituirà alla persona quel tutto che le è proprio e di cui fa parte anche la persona stessa che, per la prima volta, fiorisce completamente proprio in questo donarsi.

Notiamo come Dostoevskij descrive il realizzarsi dell’armonia di una nazione:

Noi saremo i primi a proclamare al mondo che non vogliamo ottenere la nostra riuscita attraverso l’oppressione delle nazionalità degli altri popoli, ma che, al contrario, vediamo la nostra riuscita solo nello sviluppo somma-mente libero e autonomo di tutte le altre nazioni e nell’unità fraterna con loro, un’unità che si completi vicendevolmente con l’innesto in noi di tutte le loro caratteristiche organiche e la consegna di alcuni rami coi quali offri-remo loro la nostra anima e il nostro spirito, imparando da loro e insegnan-do loro, e sarà così finché l’umanità – integratasi della comunione universa-le dei popoli fino a raggiungere l’unità generale – come un grande meravi-glioso albero irradierà di sé una terra felice1.

Vorrei sottolineare che questa descrizione, apparentemente poetica, è in realtà molto tecnica. Qui Dostoevskij descrive in modo preciso fino al dettaglio il processo attraverso cui il corpo di Cristo (che è «entrato interamente nell’umanità») si compone nell’unione dei diversi aspetti

Dostoevskij, Polnoe sobranie socinenij v 30 t. (Opera omnia in 3 voll.), cit., vol. V, p. 9.

1 Ivi, vol. XXV, p. 1.

Page 18: Il destino della Bellezza. La Bellezza nella prospettiva delle scienze umanistiche

Tat’jana Kasatkina

– eterogenei e spesso contrapposti gli uni agli altri – degli uomini e dei popoli. Per altro, sospetto che funzionino così tutte le descrizioni real-mente poetiche.

Un uomo che abbia realizzato la sua bellezza e sia circondato da persone ancora incompiute – da persone che non sono ancora diventa-te belle – si troverà inchiodata alla croce della loro imperfezione. È una crocifissione volontaria che si origina nell’impeto in cui si realizza il dono di sé, il dono della propria bellezza. Ma, allo stesso tempo, quell’uomo si troverà anche come rinchiuso in una gabbia a causa dei confini impenetrabili degli altri che pongono un limite al suo donarsi (lui si dona ma loro non sono in grado di accoglierlo), e questo rende la sofferenza della croce insopportabile.

Così – con un’iniziale approssimazione – possiamo dire che Dosto-evskij ci presenta un processo di trasfigurazione del mondo che è uni-tario ma composto di due movimenti interdipendenti che si ripetono innumerevoli volte nel corso del processo stesso abbracciando livelli sempre nuovi: la bellezza che si realizza nei singoli membri che compon-gono una comunione rende possibile l’armonia, e il realizzarsi dell’ar-monia del tutto rimette in libertà la bellezza stessa.