Il Criterio Della Gerarchia Delle Resistenze_9

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Il criterio della gerarchia delle resistenze nel progetto dei telai in zona sismica Prof. Liborio Cavaleri Introduzione Il termine “gerarchia” si riferisce ad una organizzazione i cui componenti sono ordinati per livelli di importanza. Col termine “gerarchia delle resistenze” ci si vuole riferire ai componenti di una struttura ordinati per livello di resistenza. Tale ordine se garantito con opportuni criteri assicura un buon comportamento in zona sismica come verrà meglio chiarito nel seguito. Il problema è analogo a quello affrontato nello studio, ad esempio, delle sezioni in c.a. inflesse in cui il buon comportamento della sezione (elevata duttilità) è garantito dal fatto si possa raggiungere la tensione di snervamento nell’acciaio teso prima della tensione di picco del calcestruzzo compresso: il progetto della sezione deve assicurare una gerarchia tra la resistenza del calcestruzzo (gerarchicamente più in alto) e quella dell’acciaio (gerarchicamente più in basso). Si è avuto modo di osservare che una struttura in zona sismica può essere progettata per un livello di resistenza inferiore a quello necessario nel caso in cui ai materiali costituenti è richiesto un comportamento elastico sotto le azioni di progetto, a patto di garantire una adeguata duttilità globale intesa, nel senso più ampio del termine, non solo come capacità di elevate deformazioni oltre il limite elastico ma anche come capacità di dissipare energia senza sostanziali perdite di rigidezza e di resistenza. Il vantaggio di garantire una tale duttilità è quello di contenere le dimensioni degli elementi strutturali che in questo caso possono disporre di resistenze di picco ridotte. Il problema, che riguarda qualunque tipologia strutturale, è come garantire livelli di duttilità adeguati. Focalizzando l’attenzione sulle strutture intelaiate, bisogna osservare che, a causa della azione sismica, queste possono essere interessate da diversi meccanismi di collasso, in relazione alle proporzioni tra gli elementi strutturali. Ciascuno di tali meccanismi è caratterizzato da un diverso livello di duttilità e non tutti sono associati a livelli di duttilità adeguati. Pertanto nella progettazione è fondamentale che il proporzionamento degli elementi strutturali venga effettuato in maniera da non attivare quei meccanismi di collasso che, non garantendo la duttilità globale richiesta, renderebbero la struttura inadeguata al terremoto di progetto. Nella figura seguente si mostra ad esempio un telaio multipiano a più campate che per effetto di azioni laterali è interessato da due diversi meccanismi di collasso. a) b) fig.1 Nel primo il collasso avviene per formazione di un numero elevato di cerniere plastiche in corrispondenza delle estremità delle travi ed in corrispondenza della base dei pilastri, mentre nel δ u H δ u ϕ ϕ Hp ϕ*

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Il criterio della gerarchia delle resistenze nel progetto dei telai in zona sismica

Prof. Liborio Cavaleri

• Introduzione Il termine “gerarchia” si riferisce ad una organizzazione i cui componenti sono ordinati per livelli di importanza. Col termine “gerarchia delle resistenze” ci si vuole riferire ai componenti di una struttura ordinati per livello di resistenza. Tale ordine se garantito con opportuni criteri assicura un buon comportamento in zona sismica come verrà meglio chiarito nel seguito. Il problema è analogo a quello affrontato nello studio, ad esempio, delle sezioni in c.a. inflesse in cui il buon comportamento della sezione (elevata duttilità) è garantito dal fatto si possa raggiungere la tensione di snervamento nell’acciaio teso prima della tensione di picco del calcestruzzo compresso: il progetto della sezione deve assicurare una gerarchia tra la resistenza del calcestruzzo (gerarchicamente più in alto) e quella dell’acciaio (gerarchicamente più in basso). Si è avuto modo di osservare che una struttura in zona sismica può essere progettata per un livello di resistenza inferiore a quello necessario nel caso in cui ai materiali costituenti è richiesto un comportamento elastico sotto le azioni di progetto, a patto di garantire una adeguata duttilità globale intesa, nel senso più ampio del termine, non solo come capacità di elevate deformazioni oltre il limite elastico ma anche come capacità di dissipare energia senza sostanziali perdite di rigidezza e di resistenza. Il vantaggio di garantire una tale duttilità è quello di contenere le dimensioni degli elementi strutturali che in questo caso possono disporre di resistenze di picco ridotte. Il problema, che riguarda qualunque tipologia strutturale, è come garantire livelli di duttilità adeguati. Focalizzando l’attenzione sulle strutture intelaiate, bisogna osservare che, a causa della azione sismica, queste possono essere interessate da diversi meccanismi di collasso, in relazione alle proporzioni tra gli elementi strutturali. Ciascuno di tali meccanismi è caratterizzato da un diverso livello di duttilità e non tutti sono associati a livelli di duttilità adeguati. Pertanto nella progettazione è fondamentale che il proporzionamento degli elementi strutturali venga effettuato in maniera da non attivare quei meccanismi di collasso che, non garantendo la duttilità globale richiesta, renderebbero la struttura inadeguata al terremoto di progetto. Nella figura seguente si mostra ad esempio un telaio multipiano a più campate che per effetto di azioni laterali è interessato da due diversi meccanismi di collasso.

a) b) fig.1

Nel primo il collasso avviene per formazione di un numero elevato di cerniere plastiche in corrispondenza delle estremità delle travi ed in corrispondenza della base dei pilastri, mentre nel

δu

H

δu

ϕϕ

Hp ϕ∗

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secondo il collasso avviene per formazione di cerniere plastiche alle estremità dei pilastri del primo interpiano. Si osservi che per garantire lo spostamento ultimo δu, nel primo schema, a fronte di una rotazione ϕ complessiva del telaio pari a δu/H si richiede una rotazione ultima delle cerniere plastiche alle estremità delle travi (la rotazione è calcolata tra le due sezioni che delimitano la zona critica) approssimativamente uguale; nel secondo schema invece, il raggiungimento dello stesso spostamento ultimo richiede una maggiore rotazione delle cerniere localizzate nei pilastri pari a δu/Hp. Il rapporto fra le duttilità locali richieste, a parità di dimensioni dei pilastri, sarà approssimativamente dato dal rapporto tra H ed Hp. Nel caso di fig. 1-a nell’ipotesi che gli interpiani siano approssimativamente uguali e che gli spostamenti di interpiano in campo plastico (δp) ed elastico (δy) si mantengano uguali, la duttilità globale si può scrivere come:

py

pyst n

nnµ=

δδ+δ

avendo indicato con n il numero di piani e con pµ la duttilità richiesta a ciascuno dei pilastri.

Nel caso di fig. 1.b, sotto le stesse ipotesi la duttilità globale si può scrivere

n

11

n1

nn

n

n

n Ip

y

yyp

y

p

y

y

y

pyst

−µ+=

δδ−δ+δ

+=δ

δ+

δδ

δ+δ=µ

avendo indicato con Ipµ la duttilità del pilastro di primo piano.

Per ottenere la stessa duttilità gloabale deve verificarsi l’uguaglianza dei secondi membri, cioè

I I Ip p p I

p pp

1 n 1 H1

n n n n H

µ − µ µ−µ = + = + ≅ = µ

Tale equazione suggerisce che all’aumentare del numero di piani, poiché (n-1)/n tende ad 1, per ottenere la stessa duttilità globale, il primo meccanismo richiede una duttilità del pilastro di primo piano n volte inferiore al secondo con conseguente inferiore richiesta di duttilità in curvatura. Dal punto di vista della capacità dissipativa si osservi che a parità di spostamento in testa il primo meccanismo attiva un maggior numero di cerniere plastiche quindi ha maggiore capacità di dissipare energia. Peraltro tali cerniere, non essendo interessate da sforzo normale, hanno elevate capacità dissipative. Una ridotta capacità di dissipare energia si tradurrebbe peraltro in un incremento della richiesta di duttilità globale in spostamento per fissato livello della resistenza di progetto. I confronti sopra effettuati riguardano due meccanismi di collasso flessionale tuttavia meccanismi di collasso per taglio (fragili) potrebbero attivarsi prima ancora di quelli per flessione con drastica riduzione della duttilità e della capacità dissipativa della struttura. Inoltre la formazione delle cerniere plastiche alle estremità delle travi e dei pilastri presuppone che i nodi, interessati da sollecitazioni anche maggiori, esibiscano un comportamento elastico. Per quanto sopra, al fine di potere ridurre le resistenze di progetto a vantaggio di un dimensionamento contenuto degli elementi strutturali, il progetto stesso delle strutture in zona sismica deve essere effettuato seguendo specifiche regole che si traducono in

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- evitare l’attivazione di meccanismi di collasso fragili, in cui la crisi degli elementi strutturali avviene per taglio

- evitare l’attivazione di meccanismi di collasso poco duttili e poco dissipativi (meccanismi locali o meccanismi globali che coinvolgono la plasticizzazione di pochi elementi come nel caso del meccanismo di piano soffice riportato in Fig.1)

- forzare il sistema affinché si formino meccanismi di collasso che richiedendo una ridotta duttilità locale in curvatura e garantiscono una elevata capacità di dissipazione (grazie al fatto che si plasticizzano molti elementi come per il meccanismo riportato in Fig. 1-a)

Il progetto, eseguito nell’ottica del raggiungimento di una elevata duttilità con le regole sopra riportate, prende il nome con terminologia anglosassone di Capacity Design o progetto con il criterio della gerarchia delle resistenze. La gerarchia, come accennato in premessa, è quella che si stabilisce quando si impone che un certo tipo di collasso (più favorevole ai fini della duttilità globale) debba precedere quelli meno favorevoli. Al progetto in elevata (alta) duttilità si contrappone il progetto a bassa duttilità che a fronte di un un minor controllo sui meccanismi di rottura (che ragionevolmente implica una minore capacità di duttilità), richiede per la struttura una maggiore resistenza. • Criteri di progetto nel rispetto della gerarchia delle resistenze Le regole sopra discusse sono valide per i telai in generale. Ovviamente ci saranno delle particolarizzazioni a seconda che si operi per telai a struttura in c.a. o per telai a struttura metallica in relazione alla specificità del materiale. Per un telaio ordinario non controventato bisogna comunque garantire

1. che si formino cerniere plastiche prevalentemente nelle sezioni interessate da un basso livello di sforzo normale e quindi inizialmente alle estremità delle travi e successivamente alla base dei pilastri del primo interpiano. Si garantisce così che la richiesta di duttilità locale sia comunque ridotta e che il meccanismo di collasso quello in fig.1-a)

2. che gli elementi non collassino per taglio prima che si formino le cerniere plastiche impedendo alla struttura di esibire un comportamento duttile (riguarda sia le travi che i pilastri)

3. che i nodi rimangano integri affinché sia garantito il raggiungimento dei momenti plastici delle travi

Nel seguito vengono analizzati gli obiettivi 1-2-3 sopra riportati e i metodi per perseguirli avendo cura di indicare contemporaneamente quali siano le regole normative che derivano per i telai in c.a. Si vedrà in sequenza:

1) Come è possibile evitare il collasso per taglio degli elementi strutturali: prima delle travi e poi dei pilastri;

2) In quale relazione devono stare le resistenze dei pilastri e quelle delle travi affinché si formino le cerniere sulle estremità delle travi

3) Come i tamponamenti influenzano i meccanismi di collasso e come eventualmente intervenire

Successivamente, con particolare riferimento alle strutture in c.a., si vedrà come si progettano i nodi e come si ancorano le armature di estremità degli elementi strutturali affinché si eviti lo sfilamento dell’armatura o la rottura del nodo prima che si attivi il meccanismo di collasso prescelto. Momentaneamente si tralasceranno le specificità relative ai telai in acciaio. Gerarchia fra la resistenza a flessione e la resistenza a taglio nelle sezioni di estremità delle travi

Si osservi che l’azione laterale si combina con l’azione dei carichi verticali producendo nelle travi una distribuzione dei momenti, ottenibile sovrapponendo gli effetti, come indicato nella figura 2

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La richiesta di prestazione in termini di momento prima considerata richiede una adeguata resistenza a taglio. Le sezioni di estremità delle travi devono essere in grado di assorbire almeno il taglio che vi nasce quando queste sono chiamate ad esibire i massimi momenti alle estremità. Nella condizione più pericolosa tali momenti sono equiversi e pari ai momenti ultimi.

fig.2 Tenuto conto del principio di sovrapposizione degli effetti tale taglio massimo (Vtu) si ottiene semplicemente sommando al taglio che nasce per effetto dei momenti ultimi alle estremità (situazione più pericolosa) a quello dovuto ai carichi verticali (fig.2) cioè

lt(sin)Mrt)des(Mrt

VcvVtu++= (4)

Se poi si vuole garantire che meccanismi fragili di taglio non possano verificarsi prima che si verifichino quelli per flessione bisogna inserire un opportuno coefficiente di amplificazione. Con riferimento alle strutture in c.a. bisogna rilevare che il momento ultimo delle sezioni in c.a. potrebbe essere superiore rispetto a quello calcolato, a causa dell’incrudimento dell’acciaio. Per tenere conto di tale effetto e per far si che si abbia un margine di sicurezza rispetto all’attivazione di un meccanismo di taglio, il taglio resistente richiesto Vtu* viene ottenuto come:

lt(inf)Mrp(sup)Mrp

Vcv*Vtu Rd+γ+= (5)

in cui γRd è un coefficiente di amplificazione ed assume il valore 1.2 in classe di duttilità alta (CDA) e 1 in classe di duttilità bassa (CDB). L’operazione deve essere ovviamente ripetuta per sisma da destra a causa del diverso momento ultimo che potrebbero avere le travi quando si inverte il segno del momento sollecitante con conseguente incremento del taglio da utilizzare per le verifiche.

Mrt(des)Mrt(sin)

Vu

Vu

lt

Vcv

lt

Vcv

+

Carichi vert. + sisma da sinistra

generica trave

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In CDA la verifica a taglio nelle zone critiche (estese 1.5 volte l’altezza della trave) si effettua ipotizzando una inclinazione di 45° della biella compressa del traliccio di Ritter-Morsch. Gerarchia fra le resistenze a flessione delle travi e dei pilastri

Le resistenze delle travi e dei pilastri nelle sezioni di estremità devono stare in un certo rapporto perché le cerniere plastiche si formino sulle travi. Si osservi che l’azione laterale si combina con l’azione dei carichi verticali producendo nelle travi in corrispondenza ai nodi una distribuzione dei momenti del tipo indicato nella figura 3

fig. 3 I momenti di calcolo sui pilastri (valutati con l’analisi elastica con spettro di risposta opportunamente abbattuto con il fattore di struttura) risultano in genere equiversi così come i momenti sulle travi a causa della inversione del diagramma dei momenti prodotta dall’azione laterale. Per l’equilibrio al nodo, la somma dei momenti sui pilastri uguaglia la somma dei momenti sulle travi.

2Mt1Mt2Mp1Mp +=+ (6) A fronte dei momenti di calcolo ciascuna sezione di estremità delle travi avrà un momento resistente superiore o al più uguale al suo momento di calcolo. Per l’evento sismico di progetto (più intenso dell’evento sismico usato per il calcolo elastico in quanto quest’ultimo si ottiene a partire dallo spettro del primo abbattuto attraverso il fattore di

+ =

effetto dei carichi verticali

effetto delle forze sismiche

Mt1+Mt2

Mrt1 +Mrt2

combinazione degli effetti

Mp1<Mrp1

Mp2<Mrp2

Mrt2

Mrt1Mp1

Mp2

Mt1Mt2

Carichi vert. + sisma da sinistra

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struttura q) le sollecitazioni tendono ad aumentare rispetto a quelle ottenute dal calcolo elastico fino a raggiungere i momenti ultimi (Fig. 3 bis).

Fig. 3 bis Affinché, all’estremità delle travi possano raggiungersi i momenti ultimi e le sezioni possano plasticizzarsi prima che sui pilastri, è necessario che sui pilastri si generino momenti che gli possano fare equilibrio e che tali momenti siano inferiori ai momenti resistenti delle sezioni dei pilastri. Se tale circostanza è vera la equazione seguente deve risultare verificata

( ) 2Mrp1Mrp2Mrt1Mrt2pM~

1pM~ +≤+=+ (7)

avendo indicato con 2pM

~ed1pM

~ i momenti sui pilastri equilibranti i momenti plastici (resistenti)

sulle travi. Dividendo primo e secondo membro della eq. 7 per Mp1 Mp2+ si ottiene

( )Mrt1 Mrt2Mp1 Mp2

Mp1 Mp2 Mp1 Mp2

++ =+ +

ɶ ɶ

(8)

Se si pone ( )Mrt1 Mrt2

*Mp1 Mp2

+= α

+ (9)

Dalla eq. 8 e dalla eq. 9 si ottiene

( )2Mp1Mp*2pM~

1pM~ +α=+ (10)

La eq.10 suggerisce che se si amplificano i momenti dei pilastri provenienti dal calcolo elastico attraverso il coefficiente α∗ dato dal rapporto fra la somma dei momenti resistenti sulle travi e la somma dei momenti di calcolo dei pilastri e si progettano le sezioni delle estremità dei pilastri per tali valori dei momenti si ottiene l’obiettivo cercato.

Carichi vert. + sisma da sinistra

Carichi vert. + sisma da sinistra

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I momenti resistenti Mrt1 ed Mrt2 potrebbero subire incrementi a causa del comportamento incrudente dell’acciaio in campo plastico; un ulteriore problema è legato al fatto che le sezioni dei pilastri potrebbero pervenire alla plasticizzazione in istanti diversi, cioè potrebbe capitare che il pilastro inferiore si plasticizzi prima di quello superiore o addirittura prima delle travi pur mantenendosi vera la eq. (7). Ciò significa che il verificarsi della eq.(7) non garantisce in assoluto che le travi si plasticizzino prima dei pilastri. Tale circostanza si può verificare quando il rapporto tra il momento ultimo ed il momento di calcolo delle travi non è uguale come indicato nella seguente figura

Fig.4 Se ad esempio Mrt1=Mt1 e Mrt2=1.3 Mt2 Si ha ( )

3.1*2Mt1Mt

2Mt3.11Mt2Mt1Mt2Mrt1Mrt <α=

++=

++

(11)

Quando l’estremità della prima trave si plasticizza, qualunque incremento di momento ∆M al nodo si distribuisce fra pilastro superiore, pilastro inferiore e la trave che non sono plasticizzati e se supponiamo che, finché non si plasticizza il prossimo elemento, il rapporto fra i momenti rimane costante (equivalente a dire che non si altera il rapporto di rigidezza fra due elementi non plasticizzati), cioè

tcos2zMt1zMp

2Mt1Mp == (12)

la plasticizzazione nei pilastri allora precederà quella nella trave, infatti per z=α* il pilastro p1 sarà plasticizzato mentre la trave t2 ancora non lo sarà essendo α*Mt2<1.3 Mt2=Mrt2.

Mp1

Mp2

Mt1 Mt2

Mrt2

Mrt1 Mrp1

Mrp2

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Dunque, poiché per effetto dell’incrudimento dell’acciaio e pur valendo la eq. 7 si potrebbe pervenire alla plasticizzazione di un pilastro prima delle travi, è opportuno amplificare il coefficiente α∗. Le NTC ‘08, per le strutture intelaiate in c.a., propone di usare il seguente coefficiente di amplificazione α:

( )2Mp1Mp

2Mrt1Mrt* RdRd +

+γ=αγ=α (13)

in cui γRd è posto pari a 1.3 in CDA e 1.1 in CDB. I momenti resistenti delle travi che compaiono nella eq. 9 sono da considerare sempre equiversi in quanto tali sono i momenti plastici perché si formi il meccanismo in fig. 5.

fig.5 I momenti a denominatore (che derivano dal calcolo elastico) possono non essere in realtà equiversi differentemente da quanto indicato dalla fig. 2-3 (vedi fig.6). Tale circostanza dipende dal rapporto fra i carichi verticali e quelli sismici. Se i primi sono notevolmente elevati potrebbero impedire la inversione del diagramma dei momenti su una delle due travi convergenti al nodo.

fig. 6 Il problema è analogo per i pilastri superiore ed inferiore in cui per effetto dei carichi verticali i momenti potrebbero non essere equiversi. In tali condizioni le NTC ‘08, per il calcolo di

+ =

Mrt1

Mrt2

Mrt1+Mrt2

Mt1+Mt2

Carichi verticali

sisma da sinistra

carichi verticali + sisma

δu

H

ϕϕ

Mrt1

Mrt2

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α∗ (eq.9−13) propongono di mettere al denominatore il momento maggiore e sommare il momento minore al numeratore, coerentemente con il modo di scrivere le equazioni di equilibrio al nodo. Le NTC ’08, prendendo spunto dall’EC8, sintetizzano quanto sopra imponendo ad ogni nodo la verifica

RdMrpi Mrti≥ γ∑ ∑ Rd Rd1.3 in CDA; 1.1 in CDBγ = γ = (14)

A proposito del fatto che le equazioni relative alle relazioni tra i momenti nelle travi ed i momenti nei pilastri non garantiscono al 100% che non si raggiungano i momenti plastici nei pilastri prima che nelle travi. Bisogna dire che diverse sperimentazioni numeriche hanno mostrato che perché ciò sia garantito bisognerebbe utilizzare coefficienti di amplificazione dei momenti di calcolo nei pilastri che oscillano fra 2 e 3. Tale circostanza sembra un contro senso rispetto alle indicazioni dell’EC8 e della norma italiana. In realtà l’utilizzo di coefficienti di amplificazione ridotti viene compensato con la messa in opera di opportuna armatura di confinamento nelle zone critiche dei pilastri. Altre norme invece utilizzano dei coefficienti di amplificazione molto più grandi di quelli adottati dalla norma italiana (vedi ad esempio le norme Neozelandesi). Lo EC8 e le NTC ‘08 specificano che la gerarchia in questione deve essere verificata separatamente per i telai che contengono un determinato nodo (fig. 7-a) inoltre l’EC8 suggerisce di verificarla solo per quei pilastri con compito primario rispetto all’assorbimento delle azioni sismiche (fig. 7-b ). fig. 7-a fig. 7-b Il problema della gerarchia fra le resistenze delle travi e del pilastro è ininfluente all’ultimo piano. fig. 8 Con riferimento all’ultimo piano, il fatto che la cerniera si formi nei pilastri non altera la richiesta di duttilità in curvatura al pilastro del piano terra ne compromette la formazione delle cerniere

δu

H

ϕϕ

δu

H

ϕϕ

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plastiche sulle travi. Qualora si formi la cerniera plastica sul pilastro il livello di duttilità della sezione risulta comunque non particolarmente ridotto dalla presenza dello sforzo normale essendo minimo lo sforzo normale all’ultimo piano. Ai fini del progetto della sezione di base del pilastro al piano terreno, non potendo essere ripetuta la procedura prima vista in quanto non ci sono delle travi a cui si può fare riferimento come per i nodi superiori, allora si usa il maggiore fra il momento proveniente dall’analisi ed il momento valutato con i criteri prima visti per il progetto della sezione di testa dello stesso pilastro. Si osservi che il momento ultimo dei pilastri dipende dal livello dello sforzo normale. Poiché la richiesta di prestazione per i pilastri non è direttamente derivata dalla analisi, non è disponibile un valore di sforzo normale associato. In tali condizioni è ragionevole fare riferimento ad uno sforzo normale proveniente dalla analisi ed in particolare al maggiore ottenuto per le combinazioni di carico sismiche. Gerarchia fra la resistenza a flessione e la resistenza a taglio nelle sezioni di estremità dei pilastri

La richiesta di prestazione in termini di momento prima vista richiede una adeguata resistenza a taglio. Se da una parte bisogna scongiurare la crisi delle sezioni di estremità dei pilastri per flessione prima che si verifichi nelle travi, è pur vero che le sezioni di estremità dei pilastri devono essere in grado di assorbire almeno il taglio che vi nasce quando questi sono chiamati ad esibire la massima capacità di prestazione in termini di momento.

fig. 9 Tale valore del taglio si ottiene semplicemente attraverso l’equilibrio alla rotazione del pilastro (fig.9) cioè

Hp

(inf)Mrp(sup)MrpVu

+= (15)

Con riferimento agli elementi in c.a., per tenere conto dell’incrudimento dell’acciaio in campo plastico, laddove si dovessero formare cerniere plastiche nei pilastri, circostanza possibile in relazione a quanto sopra detto a proposito della sequenza temporale con cui si possono formare le cerniere plastiche ai nodi, il valore del taglio di calcolo Vu deve essere opportunamente amplificato (Vu*). Le NTC ‘08 propongono di valutare Vu* come segue:

Hp

(inf)Mrp(sup)Mrp*Vu Rd

+γ= (16)

Mrp(sup)

Mrp(inf)

Vu

Vu

Hp

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In cui γRd è posto pari a 1.2 in CDA e 1 in CDB. Un nemico subdolo della duttilità globale: i tamponamenti L’efficacia del proporzionamento effettuato potrebbe essere alterata dalla presenza di tamponamenti che modificando il rapporto di resistenza fra i piani potrebbero generare i cosiddetti “piani soffici”. Un piano si dice soffice se ha una resistenza molto inferiore a quella esibita dai piani immediatamente vicini. Ad esempio nella fig. 10-a seguente è riportato un esempio di piano soffice determinato dalla assenza di tamponamenti al secondo interpiano fig. 10-a fig. 10-b In presenza di una tale situazione i piani più resistenti e più rigidi (quelli in cui sono presenti tamponamenti) non si deformano sufficientemente per attivare la formazione delle cerniere plastiche nelle travi. Il sistema allora non dissipa e comincia ad accumulare energia incrementando gli spostamenti laterali d’interpiano laddove l’edificio esibisce minore rigidezza. In corrispondenza al piano soffice, se gli spostamenti d’interpiano diventano elevati, la formazione di cerniere plastiche sui pilastri potrebbe precedere la formazione di tutte le altre creando dei meccanismi poco dissipativi che richiedono elevate duttilità locali (fig.10-b). In presenza di un capacità di duttilità inferiore alla richiesta di duttilità l’edificio collassa. La situazione più pericolosa si ha quando i piani soffici sono in basso dove il tagliante è maggiore. Nella situazione peggiore si può attivare un meccanismo di collasso come quello riportato in fig. 1-b. Per evitare un tale fenomeno bisogna riequilibrare il rapporto fra le rigidezze/resistenze nel passaggio da un piano al successivo e quindi che vengano incrementate le dimensioni degli elementi ai piani soffici. Bisogna quindi incrementare opportunamente le sollecitazioni di calcolo relative ai piani soffici che provengono dall’analisi che in genere non tiene conto della presenza dei tamponamenti. Un tale coefficiente può più semplicemente essere valutato facendo riferimento alle resistenze di piano (evidentemente correlate alle rigidezze).

δu

Hp ϕ∗

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Si faccia l’ipotesi che Vrw è la resistenza laterale dovuta ai tamponamenti e Vsd la resistenza laterale dovuta dei pilastri al piano considerato e che tale resistenza sia pressoché uguale a quella del piano superiore in una progettazione ordinaria in assenza di tamponamenti. Affinché la resistenza del piano inferiore (meno tamponato) sia uguale a quella del piano superiore (più tamponato) si devono incrementare le richieste di prestazione di un opportuno coefficiente (nel caso di Fig. 11 la resistenza dei tamponamenti al piano inferiore e nulla).

Fig. 11 L’uguaglianza delle resistenze si traduce nella seguente equazione Vrw(sotto) + η Vsd =Vsd + Vrw (sopra) (17) in cui η è il coefficiente di amplificazione da determinare Risolvendo rispetto ad η si ha

sd

rw

VV

1∆+=η (18)

L’EC8, nella parte generale facendo riferimento ai telai in c.a., in acciaio e misti, propone la Eq. 18 per eliminare la possibilità che si creino piani soffici mentre le NTC ‘08 suggeriscono, con riferimento ai telai in c.a. semplicemente di incrementare del coefficiente 1.4 le sollecitazioni ai piani potenzialmente soffici e comunque verificare che la rigidezza complessiva dei tamponamenti non superi il 15% della rigidezza totale (tale controllo può essere effettuato piano per piano). Gerarchia fra la resistenza a flessione e la resistenza allo sfilamento delle armature nelle sezioni di estremità delle travi Può capitare, anche se non è opportuno, che le armature della trave vengano ancorate nel nodo trave pilastro. L’acciaio d’armatura, poiché nelle sezioni di estremità è necessario che si formino i momenti plastici, sarà plasticizzato. L’ancoraggio dovrà essere calcolato nell’ipotesi che nell’acciaio si sviluppi la tensione di snervamento opportunamente incrementata per tenere conto dell’incrudimento dell’acciaio. Solo in questo caso si potrà garantire che l’acciaio non si sfili quando nelle estremità delle travi si raggiungono i momenti plastici. Si osservi che per i pilastri il problema non sussiste perché l’armatura è in genere passante nel nodo. Per quanto sopra le NTC ‘08 richiedono che l’ancoraggio si calcoli ipotizzando che nell’acciaio nasca una tensione pari a 1.25 fyk.

Vrw

Vsd

Vsd

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Richieste di prestazione per i nodi

fig. 12 A causa dei momenti flettenti negli elementi collegati, il nodo potrebbe essere interessato da forze di taglio superiori a quelle prodotte nei suddetti elementi. E’ importante che tali forze siano compatibili con la resistenza del pannello stesso in cui sono ancorate le armature e che garantisce il trasferimento degli sforzi da un elemento strutturale all’altro. Si possono verificare due tipi di meccanismi:

1) meccanismo con formazione di biella compressa (l’azione di taglio è direttamente trasmessa al pannello di nodo anche attraverso una porzione di calcestruzzo compresso – si verifica quando, se si producono lesioni all’interfaccia nodo-pilastro o nodo-trave, tali lesioni si richiudono ad inversione delle azioni)

2) meccanismo con diffusa fessurazione diagonale (le tensioni tangenziali si trasferiscono al pannello di nodo esclusivamente per aderenza dalle barre di armature – si verifica quando l’armatura si snerva producendo nel calcestruzzo lesioni nelle sezioni di attacco delle travi o dei pilastri; ad inversione della azione la fessura non riesce a richiudersi a causa della eccessiva deformazione dell’acciaio e le tensioni di compressione si trasferiscono al nodo puntualmente attraverso l’armatura)

I nodi si distinguono in interni (fig. 12) ed esterni (fig.13). Approssimativamente nella condizione più gravosa il taglio V* nel pannello di un nodo interno è dato da V*= fs1As1+C2-Vc= fs1As1+ fs2As2 –Vc (19) Tenuto conto dell’incrudimento dell’acciaio approssimativamente si può porre V*= fs1As1+C2-Vc= fs1As1+ fs2As2 –Vc= γRd(As1+As2)fyd-Vc (20) Per quanto riguarda i nodi esterni tenuto conto delle forze in gioco (vedi figura seguente)

As1 fs1

As2 fs

Vc

C2

Vc

C2As1 fs1

As2 fs2

Vc

C2As1 fs1

As2 fs2

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fig. 13 il taglio di riferimento V* si ottiene come V*= C2-Vc= fs2As2 –Vc= γRd As2fyd-Vc (21) Il coefficient γRd che appare nella eq.20 e nella eq.21 assume il valore 1.2. Il pannello di nodo viene verificato con la forza sopra determinata. In particolare bisognerebbe verificare la biella di calcestruzzo compressa ed il calcestruzzo a trazione predisponendo opportuna armatura orizzontale e verticale in grado di prevenire la fessurazione. Nella determinazione della armatura verticale bisognerebbe contabilizzate anche le armature che provengono dal pilastro poste in posizione non di spigolo. La verifica del pannello di nodo è obbligatoria nel caso di strutture in CDA. Le sollecitazioni sul pannello di nodo producono mediamente la distribuzione tensionale descritta in Fig. 14

fig. 14

As2 fs

Vc

C2

V*

hj

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Le tensioni normali medie sono esprimibili in funzione dello sforzo normale N sul pilastro come

m j jN / h bσ =

essendo bj la profondità del nodo, mentre le tensioni tangenziali sono mediamente

m j jV* /h bτ =

La definizione del cerchio di Mohr consente di individuare la tensione principale di compressione (positiva) e la tensione principale di trazione (negativa):

Fig. 15

22m mm2 2η

σ σ σ = + + τ

(22)

2

2m mm2 2ζ

σ σ σ = − + τ

(23)

per limitare le tensioni in compressione bisogna soddisfare

22m mm cdf

2 2ησ σ σ = + + τ ≤ η

(24)

essendo η un apposito coefficiente riduttivo. Elevando al quadrato primo e secondo membro e moltiplicando per la sezione trasversale di nodo si ottiene

mm j j j j cd j j cd

cd

b h V* b h f 1 b h f 1f

σ ντ = ≤ η − = η −η η

(25)

che equivale alla espressione di verifica proposta dalle NTC ’08 in cui ν è lo sforzo normale adimensionalizzato, la profondità del nodo bj va calcolata secondo i criteri specificati dalle NTC’08 ed η è un coefficiente dato da

(0,τm)

(τm,σm)

τ

σσζ ση

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ckj ck j

f1 ;f in MPa ; 0.6per nodi int .e0.48per nodiest.

250η = α − α = (26)

Sempre nel caso di strutture in CDA, per evitare la fessurazione bisogna limitare le tensioni di trazione in modo che non superino fctd. Tale risultato si può ottenere disponendo staffe in prosecuzione di quelle dei pilastri. Lo stato tensionale sul contorno del pannello di nodo, prodotto anche dal confinamento delle staffe, è rappresentato nella Figura seguente

Fig. 16 In questo caso le tensioni principali sono date da

22m staf m stafm ctdf

2 2ζσ + σ σ − σ σ = − + τ ≥ −

(26)

ovvero

22m staf m stafm ctdf

2 2

σ − σ σ + σ − + τ ≥ − −

(27)

Elevando al quadrato i due membri e semplificando si ha:

( ) ( )2 2

22m staf m stafm ctd ctd m staff f

2 2

σ − σ σ + σ + τ ≤ + + σ + σ

(28)

cioè

( )22m m staf staf ctd ctdf fτ ≤ σ σ + σ + ovvero

( )2m ctd ctd m

stafctd m

f f

f

τ − + σσ ≥

+ σ (29)

V*

hj

azioneconfinantestaffe

azioneconfinantestaffe

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Poichè in condizioni di snervamento delle staffe

sh ywdstaf

j jw

A f

b hσ = con hjw distanza tra le armature inferiori e superiori delle travi e Ash area totale di

tutti i bracci delle staffe, allora la disequazione (29) si può scrivere

( ) 2

j jsh ywdctd

j jw ctd cd

V* / b hA ff

b h f f

≥ −

+ ν (30)

La eq.(30) è prevista dalla normativa per limitare la fessurazione dei nodi in CDA. Solo nel caso di nodi esterni (o non interamenti confinati), sia in CDA che in CDB le NTC ’08 richiedono che la suddetta staffatura sia in grado di assorbire uno sforzo almeno pari a quello che è in grado di assorbire il calcestruzzo a trazione.

fig. 13 Nell’ipotesi che la sezione verticale del nodo sia approssimativamente quadrata, detto Ft lo sforzo di trazione nel calcestruzzo dovuto al taglio nel pannello di nodo si può scrivere

ctm jFt f h 2b= (31)

in cui h è l’altezza del pannello di nodo. Lo sforzo massimo assorbibile dalla staffe F’t è circa

st yd

hF' t n As f

i= (32)

in cui i è il passo delle staffe mentre nst è il numero di braccia delle staffe. Le staffe devono essere in grado di assorbire lo sforzo di trazione nel calcestruzzo, cioè la componente della loro resistenza lungo la direzione dello sforzo di trazione nel cls deve potere essere maggiore o uguale allo sforzo di trazione nel cls stesso

As2 fs

Vc

C2

As2 fs

C2

Vc

Ft V*

F't

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st yd ctm j

h 2n As f f h 2b

i 2≥ (33)

Tenuto conto che

( )2 ck3ctm ck

ff 0.3 f 0.3

3= ≅ (34)

In definitiva si ottiene

ck ckst

yk yk

f f1n As 0.045 1.15 0.05

bi f f≥ = (35)

che è proposta dalle NTC’08 nella sezione “dettagli costruttivi”.