"Il cosidetto rimbalzo del gatto morto"

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Via Melchiorre Gioia n° 168 20125 Milano Questo report è stato prodotto da NUS Consulting Group e ha scopo solamente informativo. Le previsioni economiche e di mercato e dei prezzi contenute nel documento sono basate su nostre valutazioni alla data del presente documento e sono soggette a cambiamenti senza preavviso. Nessuna parte di questo documento può essere copiata, fotocopiata o duplicata in nessun modo e per nessuno scopo o distribuita a nessuna persona diversa dagli impiegati, direttore o destinatari autorizzati senza un consenso scritto da parte di Nus Consulting Group. News Flash Il cosidetto “Rimbalzo del gatto morto” 09 ottobre 2015

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Via Melchiorre Gioia n° 168

20125 Milano

Questo report è stato prodotto da NUS Consulting Group e ha scopo solamente informativo. Le previsioni economiche e di mercato e dei prezzi

contenute nel documento sono basate su nostre valutazioni alla data del presente documento e sono soggette a cambiamenti senza preavviso.

Nessuna parte di questo documento può essere copiata, fotocopiata o duplicata in nessun modo e per nessuno scopo o distribuita a nessuna

persona diversa dagli impiegati, direttore o destinatari autorizzati senza un consenso scritto da parte di Nus Consulting Group.

News Flash Il cosidetto “Rimbalzo del gatto morto”

09 ottobre 2015

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Durante il periodo estivo i prezzi del petrolio sono diminuiti costantemente raggiungendo i loro minimi in

agosto: $38.50/barile per il WTI e $43.5/barile per il Brent. Il calo dei prezzi è stato causato innanzitutto

dalla presa di coscienza da parte del mercato dell’eccesso di offerta presente rispetto alla domanda (pari

a circa da 1.5 a 2.5 mbp/g) e dal fatto che nessuno dei principali fornitori internazionali (Stati Uniti, Russia,

o Arabia Saudita) aveva intenzione di tagliare la produzione. I prezzi si sono ripresi bruscamente all’inizio

di settembre e, fino ad ora, si sono mossi in un range abbastanza ristretto: il WTI fra i $44-$47 al barile e

il Brent fra i $47-$50 al barile. Il primo elemento catalizzatore di questa ripresa sono stati i dati del

Dipartimento Americano per l’Energia (EIA) che mostravano come la produzione petrolifera avesse toccato

il suo picco per poi iniziare a diminuire. Alcuni giorni fa i prezzi benchmark hanno superato i range sopra

menzionati a causa dell’intervento dell’esercito russo (sia per via aeree sia per via navale) nel conflitto

siriano. Ora con i prezzi del petrolio del 25% superiori rispetto ai minimi recenti, ci si chiede sempre più

spesso se questa recente ripresa sia sostenibile o sia una situazione temporanea causata dagli speculatori

che cercano di coprire le loro posizioni corte.

Più in generale ci si sta chiedendo se si tratta del cosiddetto “dead cat bounce” che tradotto in italiano

significherebbe “il rimbalzo del gatto morto” che è una frase che circola negli ambienti di trading da diversi

anni che indica un rimbalzo tecnico che non interrompe la tendenza ribassista primaria, è un rimbalzo che

va sempre contestualizzato e che potrebbe anche essere esteso e violento ma sempre frazionale rispetto

al movimento che l'ha generato.

Nell’ultima settimana non è cambiato molto sui mercati per quanto riguarda i fondamentali. È vero che la

produzione petrolifera USA ha subito un calo marginale, scendendo dal picco di 9.61 all’inizio di giugno

ad un minimo di 9.09 nell’ultima settimana di settembre. Tuttavia i dati sono risultati inaffidabili e, a nostro

avviso, inconcludenti. Infatti ieri la EIA ha pubblicato i dati produttivi relativi alla prima settimana di ottobre

e la produzione è aumentata di 76.000 bp/g fino a 9.17 mbp/g. Inoltre, nonostante il modesto recente

declino della produzione statunitense, le scorte USA continuano ad aumentare. Lungo la prima settimana

di ottobre le scorte petrolifere commerciali USA si sono attestate a 461 milioni di barili, circa 100 milioni di

barili al di sopra del livello dello scorso anno, quantità mai viste in 80 anni di registrazioni.

Osservando il mercato al di fuori degli Stati Uniti, i fondamentali sono altrettanto ribassisti. Secondo i report

recenti la produzione petrolifera russa a settembre ha toccato i 10.74 mbp/g (un nuovo record dell’era

post-sovietica) e l’Arabia Saudita ha continuato a pompare petrolio in eccesso per 10 mbp/g

(probabilmente mantenendosi stabile a 10.3 mbp/g) a settembre. Non solo, anche altri player importanti

hanno aumentato la loro produzione (per esempio la produzione irachena è aumentata di circa 3.0 mbp/g

nel 2014 a 4.0 mbp/g negli ultimi mesi) o intendono farlo (per esempio l’Iran ha in programma di

aumentare la produzione e vendere le scorte di petrolio grazie all’annullamento delle sanzioni a seguito

dell’accordo sul nucleare stretto con le P5+1). In base a quanto detto finora è chiaro che i mercati mondiali

(che affrontano in generale una crescita economica lenta o in rallentamento) restano fisicamente sovra

forniti e questa situazione continuerà nel futuro prossimo.

Sembra che il recente aumento dei prezzi dell’energia sia stato guidato da un insieme di fattori. In primo

luogo la convinzione che la produzione di petrolio shale dovrà diminuire significativamente nei prossimi

mesi. Questa teoria si basa su questo ragionamento: i finanziamenti per le società produttrici di petrolio

shale stanno rapidamente azzerandosi portando un crollo significativo del numero dei pozzi operativi e,

di conseguenza, la diminuzione materiale della produzione è dietro l’angolo. Quanto detto finora è vero,

tuttavia il risultato previsto è tutt’altro che scontato. È evidente che gli elevati livelli produttivi dell’OPEC (e

della Russia) stiano saturando il mercato, portando un calo dei prezzi e sottoponendo le società

indipendenti USA produttrici di shale ad una fortissima pressione. Non è chiaro però che i produttori

indipendenti statunitensi di shale andranno semplicemente in bancarotta. È però altresì probabile che altri

operatori più grandi e meglio finanziati (come le major integrate) potrebbero sfruttare questa opportunità

per acquisire i produttori shale più piccoli (o meno capitalizzati) ad un prezzo decisamente basso.

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Inoltre diversi produttori USA di shale hanno profondamente ristrutturato i loro costi e continuato a

implementare nuove e migliori tecnologie per il fracking, abbassando i loro punti di pareggio e quindi

potenzialmente attrezzandosi per resistere alla tempesta in corso. Noi crediamo che i livelli produttivi di

shale USA scenderanno ma che questa diminuzione sarà probabilmente meno vistosa rispetto a quanto

previsto sui mercati.

Inoltre qualsiasi diminuzione della produzione USA nei prossimi mesi probabilmente sarebbe compensata

da altri produttori internazionali (come l’Iran) e avrebbe vita breve poiché i produttori shale USA possono

riattivare i pozzi in pochi mesi.

Il secondo tema importante è l’aumento del rischio geopolitico che si è inasprito nelle ultime settimane,

incrementando così il rischio di una potenziale interruzione produttiva. Questo cambiamento deve essere

rispecchiato dai prezzi del petrolio. Alcune volte abbiamo affermato che i mercati energetici globali

soffrono di una forma di deficit dell’attenzione. In breve, l’incapacità di concentrarsi su più di un tema alla

volta. Per anni abbiamo evidenziato la presenza di diverse e continue tensioni geopolitiche provenienti

soprattutto dal Medio Oriente: la guerra fra Libia e Siria, la crescita e l’espansione dell’ISIS, il conflitto in

Yemen, etc. Tutte queste problematiche sono esistite per un lungo tempo, tuttavia nessuna di queste ha

avuto un impatto concreto (per esempio un’interruzione) sulla fornitura di petrolio verso i mercati

internazionali. Quello che recentemente ha catturato l’attenzione dei mercati è stato però l’intervento

diretto della Russia nel conflitto siriano in corso. Il conflitto in Siria è una problematica immensamente

complicata che vede contrapposti il regime di Assad (Sciiti) contro i ribelli siriani (principalmente sunniti) e

l’ISIS (sunniti). In breve gli USA e l’Unione Europea hanno supportato i ribelli con l’obiettivo di rimuovere

Assad e umiliare l’ISIS; mentre l’Iran ha supportato Assad con l’obiettivo di mantenere il Governo e umiliare

l’ISIS. Questo era lo status quo prima che la Russia intervenisse con le sue forze aeree e navali iniziando a

bombardare e ad attaccare il Paese con i missili, presumibilmente colpendo sia i ribelli sia l’ISIS. L’obiettivo

russo sembrerebbe quello di supportare e mantenere la sua alleanza con Assad oltre a proteggere le sue

strutture militari in quell’area: il porto navale di Tartus (l’unico porto russo nel mediterraneo). Sebbene

l’intervento russo si sommi ad una situazione già complicata, non sembra (almeno finora) che la Russia

intenda fare un’incursione su vasta scala a supporto di Assad. Sembra più probabile che il ruolo russo si

limiterà ad interventi aerei e navali per far pendere la bilancia in favore di Assad e portare alla negoziazione

di una soluzione politica o ad uno stallo militare accettabile. Sebbene avere gli eserciti di Russia, USA e UE

in una zona così vicina sia motivo di preoccupazione, tuttavia sembra che le parti stiano cooperando a

livello militare per evitare un evento indesiderato a livello internazionale. La Siria non è un produttore di

petrolio, la sua rilevanza per i mercati energetici non è legata al conflitto interno quanto piuttosto al rischio

di “contagio” per le zone limitrofe.

In base a quanto detto sinora, a nostro avviso, la ripresa dei prezzi petroliferi non è una condizione

sostenibile rispetto al recente trend ribassista ma solo uno slancio temporaneo legato alla necessità degli

speculatori di coprire le loro posizioni corte seguendo le notizie considerate di supporto al mercato.

Concentrandosi esclusivamente sui fondamentali, il mercato continua ad avere offerta in eccesso e le

scorte petrolifere nel mondo hanno raggiunto picchi storici. Inoltre l’attività economica globale sia nei

mercati sviluppati sia in quelli emergenti è ancora al di sotto delle previsioni e questo implica che la

domanda continuerà ad essere sottotono e incapace di bilanciare gli attuali livelli dell’offerta.

Noi continuiamo a credere che le tensioni geopolitiche, soprattutto in Medio Oriente, siano un fattore di

rischio per i mercati. Tuttavia è importante sottolineare che la maggior parte di questi rischi sono presenti

sul mercato dall’inizio della primavera araba (2011). Il recente arrivo delle forze russe in Siria è motivo di

preoccupazione per i mercati energetici non perché abbia aggravato le tensioni del conflitto siriano ma

perché potrebbe contagiare un’area più ampia e quindi le zone limitrofe.

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Per ulteriori notizie in ambito energetico ed informazioni, resto a Vostra completa disposizione.

Con l’occasione porgo i miei migliori saluti.

Claudio Enriquez

Amministratore Delegato

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Questo report è stato prodotto da NUS Consulting Group e ha scopo solamente informativo. Le previsioni

economiche e di mercato e dei prezzi contenute nel documento sono basate su nostre valutazioni alla data del

presente documento e sono soggette a cambiamenti senza preavviso. Nessuna parte di questo documento può

essere copiata, fotocopiata o duplicata in nessun modo e per nessuno scopo o distribuita a nessuna persona diversa

dagli impiegati, direttore o destinatari autorizzati senza un consenso scritto da parte di Nus Consulting Group.

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