Il corpo come teatro delle emozioni

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Ciò che ha destato l’interesse e ha indirizzato lo studio verso l’argomento della tesi, è stata la constatazione dell’enorme potere espressivo della comunicazione non verbale, osservata nell’interazione fra un gruppo di adolescenti, affetti da sindrome Down, in contesti ludici e di vita quotidiana.

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Quaderni del volontariato 33

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a cura di Angela Fanelli

Il corpo come teatro

delle emozioni:

la partitura della comunicazione

multimodale nel palcoscenico

terapeutico

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CesvolCentro Servizi Volontariatodella Provincia di Perugia

Via Sandro Penna 104/106Sant’Andrea delle Fratte06132 Perugiatel.075/5271976fax.075/[email protected]@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il patrocinio della Regione Umbria

Progetto grafico e videoimpaginazioneChiara Gagliano

© 2009 CESVOL

ISBN 88-96649-00-8

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I quaderni del volontariato, un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nel-l’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifi-co nell’area della pubblicistica del volontariato.

L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temidi interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio diesperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato orga-nizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusionedi argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quel-li presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle temati-che sociali.

La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzio-ni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alleassociazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria colla-na editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti edalle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale.

I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto perchiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi distudio ed approfondimento.

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INTRODUZIONE 9

CAPITOLO ILA COMUNICAZIONE UMANA 13

1.1 La comunicazione come attività complessa 131.2 Gli approcci teorici alla comunicazione 131.3 Il processo comunicativo 191.4 Le funzioni di base della comunicazione 28

1.4.1 La funzione proposizionale 291.4.2 La funzione relazionale 301.4.3 La funzione espressiva 31

CAPITOLO II LA COMUNICAZIONE NON VERBALE 32

2.1 Definizione di comunicazione non verbale (CNV) 322.2 Lo studio scientifico dei sistemi di CNV 342.3 L’evoluzione dei sistemi di CNV 422.4 Le funzioni della CNV 432.5 Rapporto tra comunicazione verbale e non verbale 64

2.5.1 La contrapposizione tra verbale e non verbale2.5.2 Autonomia e interdipendenza semantica tra i sistemi

non verbali 672.6 Rappresentazione corticale dei sistemi

verbali e non verbali 702.6.1 Verbale/non verbale:

un’asimmetria di funzioni? 702.6.2 Modelli di indipendenza funzionale 712.6.3 Interdipendenza e coordinamento

interemisferico tra il sistema verbale e i sistemi non verbali 72

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Indice

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CAPITOLO IIILA CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI NON VERBALI 75

3.1 I lessici del corpo 753.2 Le classificazioni dei segnali non verbali di

segnalazione e significazione 813.3 Il sistema vocale 843.4 I gesti 87

3.4.1 La cherologia: il dizionario dei gesti 933.4.2 Il gestionario 93

3.5 La postura 963.6 Il sistema prossemico 973.7 Il sistema aptico 99

3.7.1 Aptologia: il dizionario del contatto fisico 993.7.2 Il tocconario 1023.7.3 Chi, dove e quando toccare: le norme d’uso 103

3.8 Lo sguardo 1033.8.1.Optologia: la fonologia degli occhi 1063.8.2 l’occhionario 110

3.9 Il viso 1123.9.1 Le facce performative 113

CAPITOLO IVNEUROPSICOLOGIA DELLA MIMICA EMOTIVA 115

4.1 Le espressioni facciali delle emozioni 1164.2 Processi di codifica e riconoscimento dei volti 121

4.2.1 Meccanismi strutturali e semantici dell’elaborazione della mimica emotiva: evidenze empiriche mediante rivelazioni ERPs 126

4.3 Vie corticali di riconoscimento dei volti 1284.3.1 Specificità corticale nel decoding dell’espressione

facciale delle emozioni 132

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Indice

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CAPITOLO VLA PARTITURA DELLA COMUNICAZIONE MULTIMODALENEL PALCOSCENICO TERAPEUTICO 134

5.1 Che cos’è la partitura 1345.2 Come si scrive la partitura 1365.3 A cosa serve la partitura 1385.4 La partitura nel contesto teatrale 138

5.4.1 La compagnia teatrale “Elisa di Rivombrosa” 1395.4.2 Analisi dei dati 150

Conclusioni 155

Ringraziamenti 159

Bibliografia 161

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Introduzione

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“Collera, vergogna, odio e amorenon sono fatti psichici nascosti

nel fondo della coscienza diun’altra persona (...) esistono su

questo viso e in quei gesti, nonsono celati dietro di essi”

Merleau-Ponty, 1961-1964

Ciò che ha destato l’interesse e ha indirizzato il mio studio verso l’ar-gomento della tesi, è stata la constatazione dell’enorme potere espres-sivo della comunicazione non verbale, osservata nell’interazione fra ungruppo di adolescenti, affetti da sindrome di Down, in contesti ludici edi vita quotidiana. In questi soggetti infatti, la dimensione dell’espres-sività non verbale rappresenta un canale privilegiato di comunicazione,canale attraverso cui dare spazio ai propri stati d’animo e all’espressio-ne dei sentimenti. Dagli studi, presi in esame emerge infatti che tra le funzioni dellacomunicazione non verbale, quella espressiva, appare rilevante, inquanto mezzo attraverso cui è possibile manifestare gli stati emotivo-affettivi e in ultima analisi esprimere le emozioni. Considerare dunque,il canale non verbale, come chiave d’accesso alle emozioni, assumenotevole importanza, in particolar modo nella pratica clinica. Il logope-dista, per la peculiarità del proprio agire professionale, si può trovarecoinvolto in situazioni comunicative e relazionali complesse e difficol-tose anche per il fatto che il linguaggio dei pazienti può risultare gra-vemente destrutturato. La mancanza di una risonanza comunicativanon pregiudica soltanto lo scambio interattivo, ma, può mettere in crisiil rapporto di empatia e di fiducia tra terapista e paziente. L’obiettivoprimario, di questo lavoro, è dunque, quello di analizzare le potenzia-lità comunicative ed espressive del linguaggio non verbale. Per rag-giungere questo scopo, in primo luogo, è necessario capire cosa siintende per “comunicazione non verbale” e in un particolar modo,comprendere se è possibile rintracciare delle analogie strutturali con illinguaggio verbale.

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Introduzione

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In altre parole è necessario andare ad indagare se esiste e se è possibi-le individuare un lessico e una grammatica dei vari sistemi di comuni-cazione del corpo, come è stato possibile per il linguaggio verbale. Nelprimo capitolo si illustrano le caratteristiche peculiari e le funzioni dibase della comunicazione umana. Nel secondo capitolo si definisce ilconcetto di comunicazione non verbale secondo le teorie più recenti, sivanno a rintracciare i primi studi scientifici sull’argomento; l’evoluzio-ne delle competenze comunicative nello sviluppo della specie; si defi-nisce la funzione della comunicazione non verbale come mezzo privi-legiato per esprimere gli stati emotivi e come mezzo potente per gene-rare e definire le relazioni interpersonali. Inoltre, si tratta del rapportotra i sistemi di comunicazione verbale e non verbale, della loro indipen-denza o interdipendenza, e viene affrontata la complessa materia del-l’implementazione neuronale. Il terzo capitolo tratterà dei compositisistemi di classificazione dei segnali non verbali e dell’elaborazione dei“lessici” corporei, cioè della realizzazione di una sorta di dizionario ditutti i segnali e dei rispettivi significati. Più in particolare, verrannodescritti i dizionari delle varie modalità espressive: dei gesti(Cherologia), del contatto fisico (Aptologia) e degli occhi (Optologia),e la relativa analisi semantica.Il secondo obiettivo di questo lavoro, è quello di andare ad indagare inche modo le emozioni si esprimono attraverso i segnali non verbali, edin particolare vengono prese in esame le espressioni facciali. Il quarto capitolo è interamente dedicato alla neuropsicologia dellamimica emotiva, per capire cos’è un’ “espressione facciale”, che tipo difunzione assume, come è possibile esprimere un’emozione mediante ilvolto, come è possibile comprenderne il significato e quali correlaticorticali contribuiscono all’elaborazione della mimica facciale.Partendo dal presupposto che i sistemi della comunicazione non verba-le sono organizzati come un vero e proprio “linguaggio verbale” com-posto da un impianto lessicale, ordinato in livelli grammaticali-sintatti-ci, il terzo e ultimo obiettivo, è quello di individuare questi livelli attra-verso uno strumento capace di rilevarne le caratteristiche analitiche e lacomplessità strutturale. In un’ottica in cui la comunicazione è un com-plesso sistema multimodale dove gesti, sguardi, espressioni facciali eposture interagiscono tra loro e contribuiscono a trasmettere il signifi-

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Introduzione

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cato finale dell’atto comunicativo, lo strumento rintracciato è la“Partitura della comunicazione multimodale” secondo il modelloproposto da Isabella Poggi ed Emanuela Magno Caldognetto. Il quintocapitolo sarà dedicato alla descrizione di questo sistema, utilizzato pertrascrivere, analizzare e classificare i segnali di tutte le modalità pro-dotte in un frammento comunicativo. Ho identificato come luogoemblematico di sintesi, come palcoscenico delle emozioni e spazio incui si realizza in tutto il suo potere la comunicazione multimodale, ilcontesto del teatro. Il teatro come luogo in cui l’empatia si realizza attraverso la capacitàdi esperire ciò che l’altro prova; di replicare come proprie, azioni, emo-zioni e sensazioni vissute da altri. Come afferma infatti G. Rizzolatti nel suo libro “So quel che fai”:“Qualche tempo fa Peter Brook ha dichiarato in un’intervista che conla scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze avevano cominciato acapire quello che il teatro sapeva da sempre. Per il grande drammatur-go e regista britannico il lavoro dell’attore sarebbe vano se egli nonpotesse condividere, al di là di ogni barriera linguistica o culturale, isuoni e i movimenti del proprio corpo con gli spettatori, rendendoliparte di un’evento che loro stessi debbono contribuire a creare. Su questa immediata condivisione il teatro avrebbe costruito la propriarealtà e la propria giustificazione, ed è a essa che i neuroni specchio,con la loro capacità di attivarsi sia quando si compie un’azione inprima persona sia quando la si osserva compiere da altri,verrebbero adare base biologica”. Lo studio per la tesi ha richiesto la mia presenza in un contesto teatra-le e per questo ho avuto la possibilità e l’immenso piacere di essereaccolta come osservatrice alla preparazione del prossimo spettacolodella compagnia teatrale “Elisa di Rivombrosa”, composta da 16ragazzi Down e da un gruppo di attori impegnati in questo compito. Il tema portante di questo spettacolo è l’amore, declinato in tutte le pos-sibili e infinite varianti: dalla sofferenza alla pena d’amore, dalla feli-cità all’innamoramento, passando attraverso la passione e l’affetto.Tutti questi stati d’animo vengono rappresentati dai ragazzi utilizzandola tecnica delle improvvisazioni: ecco perché questo particolare conte-sto ha dato ampio spazio all’espressività individuale di ognuno, evitan-

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Introduzione

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do ogni tipo di finzione; inoltre ha permesso a me, di cogliere i fram-menti comunicativi ed espressivi più spontanei di ciascuno. L’obiettivodi analizzare attraverso uno strumento di valutazione, la comunicazio-ne non verbale delle emozioni, si realizza applicando lo strumento della“Partitura della comunicazione multimodale” al contesto teatrale, dovecorpo ed emozioni vanno in scena.

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La comunicazione umana

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CAPITOLO I

LA COMUNICAZIONE UMANA

Pensieri di luce

Luce che filtra nell’acqua.Raggio di sole che illumina il mare.

Faro che taglia l’ariaCome il canto di una sirena.

Mattino freddo e gelidoChe porta con sé una luce che scalda.

Il calore del mio intimoChe scalda l’anima.

Mare che si infrange.Abisso che si apre.

Effetto luce che riscalda il cuore.Luce dei miei occhi

Che guardano lontanoVerso orizzonti incantati

Senza malinconia.

Dal libro “Pensieri di luce” di Marilisa Grifani

La comunicazione (in quanto atto comunicativo) può essere definitacome “uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti,dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolez-za, in grado di far condividere un determinato significato sulla base disistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazionesecondo la cultura di riferimento” (Anolli, 2002).

1.1 LA COMUNICAZIONE COME ATTIVITÀ COMPLESSA

“Il soggetto umano è un essere comunicante, così come è un esserepensante, emotivo e sociale. La comunicazione non va pertanto consi-derata semplicemente come un mezzo e uno strumento, bensì come una

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dimensione psicologica costitutiva del soggetto. Egli non sceglie se èessere comunicante o meno, ma può scegliere se e in che modo comu-nicare” (Anolli, 2002).A tal proposito quattro definizioni sono da ritenersi essenziali:- La comunicazione è un’attività eminentemente sociale: per definizio-

ne, infatti, si ha comunicazione soltanto all’interno di gruppi o comu-nità, in quanto il gruppo rappresenta una condizione necessaria e unvincolo per la genesi, l’elaborazione e la conservazione di qualsiasisistema di comunicazione. A sua volta, quest’ultimo alimenta,influenza e modifica in modo profondo la vita stessa del gruppo. Inquesta prospettiva la comunicazione è alla base dell’interazionesociale e delle relazioni interpersonali.

- La comunicazione è partecipazione: essa infatti prevede la condivi-sione di significati e di sistemi di segnalazione, nonché l’accordosulle regole sottese a ogni scambio comunicativo. Per sua natura, lacomunicazione si fonda su processi di condivisione e negoziazionefra i soggetti comunicanti, di conseguenza, essa ha una matrice cul-turale, in quanto rappresenta un esito degli accordi e delle convenzio-ni culturalmente stabilite all’interno di una data comunità, e possiedeuna natura convenzionale in quanto assume una funzione attiva nel-l’elaborazione e modifica delle medesime convenzioni sociali e cul-turali.

- La comunicazione è un’attività eminentemente cognitiva: essa è instretta connessione con il pensiero e con i processi mentali superiori,in quanto manifesta in maniera ostensiva e pubblica le proprie idee(conoscenze, credenze, interessi, emozioni ecc.) a qualcuno diversoda sé. Pensiero e comunicazione si articolano in modo reciproco, poi-ché per comunicare occorre che i soggetti siano capaci di rendereesplicito il proprio pensiero e la propria intenzione, nella consapevo-lezza di prendere parte a uno scambio comunicativo con qualcunaltro.

- La comunicazione è strettamente connessa con l’azione: in quanto,qualsiasi atto comunicativo si colloca alla base di una sequenza discambi interpersonali fra due o più partecipanti, all’interno di un pro-cesso di influenza reciproca.

La comunicazione rappresenta un’attività umana sofisticata, comples-

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sa e articolata, costitutiva dell’identità dei soggetti partecipanti e delleculture di riferimento. È naturale allora che essa abbia costituito l’og-getto di studio scientifico da parte di numerose discipline, quali lamatematica, la filosofia, la semiotica, la sociologia, l’etologia, l’antro-pologia, la linguistica e la psicologia.

1.2 GLI APPROCCI TEORICI ALLA COMUNICAZIONE

L’argomento viene affrontato secondo diverse prospettive e punti divista differenti, che analizzano e affrontano la realtà della comunicazio-ne, facendo riferimento ad assunti teorici e a criteri distinti. I principa-li fra questi sono:

- Approccio semiotico: la comunicazione come significazione e comesegno

Secondo questo punto di vista, occorre affrontare innanzitutto in chemodo avviene il processo di significazione, inteso come la capacità digenerare significati e come la proprietà fondamentale di ogni messag-gio di veicolare un senso e un significato condivisi tra i soggetti, attoridella comunicazione. Questo processo di significazione, da un lato, fariferimento al referente (gli oggetti e gli eventi su cui comunicare); dal-l’altro, fa riferimento a un codice, cioè ai sistemi impiegati dagli attoriper comunicare fra loro.Ogden e Richards (1923) propongono questa versione del diagrammadella significazione:

referenza

simbolo referente

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Esso pone in relazioni tre aspetti diversi:

1. l’Espressione: consiste nell’immagine acustica o iconica di un ogget-to o evento (ad esempio, la stringa di suoni /c-a-n-e/);

2. la Referenza: consiste nella rappresentazione mentale di un determi-nato oggetto o evento (ad esempio l’idea, il concetto di “cane”);

3. il Referente: dato dall’oggetto o evento nella sua realtà fisica (adesempio, “un cane chiamato Dik”).

Occorre definire ora che cosa si intende per segno; al riguardo esisto-no due principali accezioni:A) il segno come equivalenza: secondo De Saussure (1916) il segno è“l’unione di un’immagine acustica (il significante o espressione; peresempio, la stringa di suoni: /c-a-n-e/) e di un’immagine mentale” (ilsignificato o contenuto; nel nostro caso, il significato di cane).Il segno è inteso in termini di equivalenza, poiché vi sarebbe una cor-rispondenza piena e stabile fra espressione e contenuto, regolati da unarelazione di identità. Il segno, così concepito, presenta un carattere:

* Arbitrario: cioè convenzionale in quanto legato a una data cultura enon motivato dalla realtà a cui fa riferimento; infatti, non vi è nientedella parola “luna” nelle stringhe sonore/l-u-n-a/;

* Oppositivo: ossia, un dato segno è se stesso non per le proprietà posi-tive segno, in quanto si oppone a tutti gli altri segni di un certo siste-ma linguistico; per esempio, /pera/ si oppone a /vera /o, /cera/ ecc.

- il segno come inferenza: secondo Pierce (1868) il segno è “qualcosache per qualcuno sta al posto di qualcos’altro”. In quanto tale, il segno assume la funzione di rimandare a qualcosa didiverso da sé (funzione di rimando). Sulla base del rapporto con il referente, Pierce individua tre tipi disegni:* le icone: caratterizzate da una relazione di somiglianza con le pro-

prietà del referente;* gli indici: caratterizzati da un rapporto di contiguità fisica con l’og-

getto o con l’evento cui si riferiscono;* i simboli: per i quali la connessione con il referente è stabilita per

contiguità ed è appresa, quindi risulta arbitraria;

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Il segno come inferenza consente di spiegare lo scarto fra ciò che èdetto e ciò che è implicito in ciò che è stato detto; infatti, in linea diprincipio, “un soggetto comunica di più di quanto dica” (Anolli, 2002).

- Approccio pragmatico: comunicazione come interazione fra testo ilcontesto

La pragmatica si occupa dell’uso dei significati, ossia dei modi in cui isignificati sono impiegati dai comunicanti nelle diverse circostanze.Per sua natura, essa pone in evidenza la relazione fondamentale frasegni e interpretanti, basata su uno scambio comunicativo contingente.In particolare, la pragmatica esamina i rapporti che intercorrono fra untesto e il contesto in cui esso è manifestato. L’attenzione è spostata dall’analisi della struttura del sistema di comu-nicazione all’atto concreto di comunicazione. Per definizione, parlan-do di uso dei significati, la pragmatica prende in esame i processiimpliciti della comunicazione, i quali comportano rilevanti processiinferenziali necessari per inferire dal contesto ciò che il testo dice,anche se non lo dice espressamente.Il punto di vista pragmatico pone in evidenza, anzitutto, la comunica-zione come “azione fra due o più partecipanti”, come “fare” e come“processo dinamico”.In questa direzione Austin (1962) ha proposto la teoria degli atti lingui-stici, con l’obiettivo di attirare l’attenzione proprio su questi aspetti.Egli ha posto in evidenza che “dire qualcosa è anche, fare sempre qual-cosa” e ha individuato tre tipi di azione che compiamo simultaneamen-te quando parliamo:- Atti locutori: cioè atti “di dire qualcosa”, si tratta di azioni che si com-

piono per il fatto stesso di parlare e comprendono gli atti fonetici, gliatti fatici e gli atti retici;

- Atti illocutori: cioè atti “nel dire qualcosa” che si compiono attraver-so il parlare medesimo e che corrispondono alle intenzioni comuni-cative del parlante;

- Atti perlocutori: cioè atti “con il dire qualcosa” che consistono nellaproduzione di determinati effetti da parte del parlante sul sistemadelle credenze, sui sentimenti ed emozioni, nonché sulla condottadell’interlocutore.

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Approccio sociologico: comunicazione come prodotto della società

La sociologia della comunicazione fornisce un punto di vista interessan-te e fecondo di idee nei riguardi della comunicazione, in quanto sottoli-nea la prospettiva sociale e istituzionale nell’analisi dell’azione sociale,del soggetto e dell’interazione. Negli ultimi trenta o quaranta anni si èassistito in sociologia alla cosiddetta “svolta comunicativa”con il conse-guente passaggio dalla teoria dell’azione alla teoria della comunicazione(Bovone, 2000). Il pensiero di Goffman è quello che fra tutti rappresenta maggiormen-te la svolta innovativa nello studio sociale della comunicazione. Eglifocalizza la sua attenzione sullo studio dei fenomeni comunicativi dellavita quotidiana che erano ignorati dalla sociologia tradizionale, ed ela-bora una “sociologia delle occasioni” e delle “situazioni trascurate”come studio delle circostanze in cui hanno luogo le esperienze quoti-diane e ricorrenti. In particolare, egli sceglie come luogo emblematicodi interazione, la conversazione, nella quale si combinano “comunica-zioni verbali” e “mosse non verbali”. Poiché la conversazione è una“situazione sociale”, a Goffman interessa verificare in che modo ladimensione sociale influenza l’organizzazione della conversazione egli scambi comunicativi che in essa hanno luogo. Esistono dunquedelle regole precise entro cui inquadrare le proprie sequenze comuni-cative ed esse consentono di definire il significato e la struttura dell’in-terazione e della comunicazione in corso. Tali regole organizzano, peresempio, il modo di iniziare e di terminare uno scambio comunicativo,il comportamento adeguato in relazione allo spazio, al tono della voceecc. La scelta delle regole è determinata dal “frame”, vale a dire dallacornice (o contesto) entro cui si realizza lo scambio comunicativo. Il“frame” consente, pertanto, ai partecipanti di sapere in ogni momentoche cosa stia accadendo o quale sia la condotta da seguire.

- Approccio psicologico: comunicazione come relazione Le scienze psicologiche hanno aperto un altro punto di vista nello stu-dio della comunicazione. Esse hanno esaminato come la comunicazione entri nell’esistenza delsingolo individuo, dei gruppi e delle istituzioni non solo attraverso i

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processi di significazione, di trasmissione delle informazioni e di con-nessione interpersonale, bensì anche come dimensione intrinseca chefonda ed esprime l’identità personale e la posizione sociale di ogni sog-getto. Bateson (1972) ha osservato che gli individui non solo “si met-tono in comunicazione”, né semplicemente “prendono parte alla comu-nicazione” ma “sono in comunicazione” e attraverso la comunicazionegiocano se stessi e la propria identità. Dal punto di vista psicologico“essere in comunicazione” significa che nella e mediante la comunica-zione le persone costruiscono, alimentano, mantengono, modificano larete delle relazioni in cui sono immerse e che esse stesse hanno contri-buito a tessere.In questa prospettiva la comunicazione non è un processo semplice masi articola su più livelli: vi è il livello della comunicazione (i contenutiche si scambiano) e il livello della meta-comunicazione (la comunica-zione che ha come oggetto la comunicazione stessa). In questo proces-so l’attenzione si sposta dalle informazioni e dai contenuti trasmessi,alla relazione interpersonale che si crea fra due o più interlocutori nelmomento stesso in cui si instaura una relazione comunicativa. La comunicazione diventa, pertanto, il tessuto che crea, mantiene,modifica e rinnova i legami di qualsiasi tipo fra i soggetti. Infatti, ogniqualvolta un soggetto comunica qualcosa ad un altro, egli definisce nelmedesimo tempo se stesso e l’altro, nonché la natura e la qualità dellarelazione che li unisce. La comunicazione è la dimensione psicologicache produce e sostiene la definizione di sé e dell’altro. In maniera piùo meno esplicita, in ogni atto comunicativo ciascuno di noi è come sedicesse: “ecco come sono, ecco come mi vedo, ecco come mi presen-to; e contemporaneamente: ecco un individuo, ecco come tu sei secon-do me; e ancora: ecco il tipo di relazione che ci lega”.

1.3 IL PROCESSO COMUNICATIVO

La comunicazione nasce nel momento in cui l’individuo entra in rap-porto con altri individui.La condizione necessaria perché sia in atto un processo comunicativoè questa: un sistema, chiamato mittente, ha lo scopo che un altro siste-

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ma, o destinatario, venga ad avere una certa conoscenza o significato,e per realizzare questo scopo emette un segnale (uno stimolo fisico per-cepibile), che viene prodotto e percepito secondo una determinatamodalità ed è collegato a quel significato attraverso un sistema dicomunicazione (Poggi, 2006).

Lo scopo di comunicare

Non si può parlare di comunicazione in presenza di una qualsiasi acqui-sizione di conoscenze: è necessario, “perché ci sia comunicazione, unoscopo di qualcuno di far sapere qualcosa a qualcun altro”, non sempli-cemente che l’altro venga sapere qualcosa. Secondo questa definizio-ne, dunque, diversamente da quella dei modelli semiotici (Eco, 1975) edella “pragmatica della comunicazione” (Watzlawick, 1967) l’esistenzadi uno scopo di comunicare è condizione necessaria della comunicazio-ne. Tuttavia, la nozione di “scopo” è una nozione molto astratta e gene-rale definita come “qualsiasi stato regolatore, cioè qualsiasi stato nonrealizzato nel mondo che determina un’azione di un sistema”(Castelfranchi, Parisi 1980).In questa accezione di comunicazione, dunque, lo scopo di comunica-re non necessariamente deve essere deliberato e cosciente, come ingenere avviene nel linguaggio verbale; ciò renderebbe troppo restritti-va la definizione stessa.I processi comunicativi si possono distinguere, dunque, per tipo discopo comunicativo e per livello di consapevolezza.Lo scopo di comunicare può essere interno o esterno, cioè rappresen-tato o meno nella mente dell’individuo che comunica. Uno scopo dicomunicare interno può essere cosciente, inconscio o tacito.Quando parliamo, o quando scriviamo, il nostro scopo di comunicare èin genere intenzionale e cosciente; non solo è rappresentato, cioè scrit-to, nella nostra mente, ma è anche meta-rappresentato (“non solovoglio farti sapere qualcosa, ma so di voler farti sapere”). Nella comunicazione verbale lo scopo di comunicare è quasi sempreintenzionale e cosciente. Quando invece la comunicazione è attuata conaltri tipi di segnali, spesso lo scopo di comunicare è inconscio, ovveroè presente ma il soggetto non riconosce a se stesso di averlo.

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Vi è infine uno scopo di comunicare interno e tacito, come per esem-pio, quando si accompagna il discorso con segnali non verbali, adesempio, alzare le sopracciglia per enfatizzare il discorso o cambiarepostura quando si cambia argomento; in questo caso, tali segnali, ven-gono prodotti dal soggetto senza che lui se ne accorga e senza la con-sapevolezza di voler comunicare, tuttavia essi rappresentano dei segna-li alquanto comunicativi.In altri casi, lo scopo di comunicare è uno scopo esterno, cioè non rap-presentato nella mente di chi comunica. Ne sono un esempio gli arte-fatti (la spia della benzina che avvisa di essere in riserva e il cui scopodi comunicare è rappresentato nella mente del costruttore della macchi-na), le funzioni comunicative biologiche (il rossore, con cui chi si ver-gogna riconosce di essere in difetto) oppure divise, mode, simboli distatus (il camice del medico, il velo islamico) che sono segnali gover-nati da finalità sociali, il cui scopo è posto sull’individuo dal suo grup-po sociale.

Il mittente

Chi parla può essere mittente in diversi modi, a seconda di quanto, siassume la “paternità” dello scopo di comunicare; può essere un anima-tore, che pronuncia parole che non necessariamente ha pensato inprima persona, come per esempio, un attore che recita un copione; unautore, che pianifica e costruisce il discorso; oppure un mandante che,pur non avendo materialmente cercato di parole, è responsabile delsenso generale del discorso formulato dall’autore.

Il destinatario

È necessario innanzitutto distinguere il destinatario da un semplicericevente; quest’ultimo infatti può non coincidere con il destinatario, inquanto può ricevere l’informazione da parte del mittente ma non è a luiche si ha lo scopo di comunicare. Si può immaginare infatti che A e Bstanno parlando in una stanza; A dà informazioni a B; ma nella stessastanza è presente anche C che riceve l’informazione data da A ma nonè colui a cui A voleva comunicare. Solo B è il destinatario, mentre C èun mero ricevente perché non è a lui che A comunica.

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I segnali

Il segnale è uno stimolo fisico, percepibile con i sensi, che è collegatoad un significato sia nella mente del mittente che in quella del destina-tario.Può fungere da segnale:- un’azione di un organismo (un gesto, un grido, una frase), di un grup-

po (una manifestazione di piazza) o anche di un oggetto (la spia dellabenzina che si accende);

- un oggetto prodotto da un’azione (un libro, un film);- un oggetto usato per/nel compiere un’azione (il distintivo del poliziot-

to, la maschera del rapinatore);- una parte di un oggetto (il verde del semaforo) o di un organismo (la

barba di un uomo);- un aspetto di un oggetto (la fluorescenza degli stop di una macchina),

di un organismo (il rossore di una persona imbarazzata) o di un grup-po;

- una non azione (il silenzio).Ogni segnale è uno stimolo prodotto da movimenti muscolari o carat-teristiche morfologiche del mittente che può essere percepito dai sensidel destinatario.Le parole sono segnali prodotti dei nostri organi fono-articolatori che sipropagano tramite onde acustiche e sono percepiti con l’udito; gesti edespressione del viso sono segnali ottici prodotti dai muscoli del corpoe della faccia e percepiti visivamente; le carezze sono prodotte con lemani e recepite dai recettori tattili del corpo.

La modalità

Il modo in cui un segnale è prodotto dal mittente e percepito dal desti-natario rappresenta la modalità del segnale. Possiamo distinguere unamodalità produttiva e una recettiva.Parliamo di modalità recettiva (o sensoriale) quando prendiamo in con-siderazione gli organi di senso con cui il destinatario riceve il segnale;si parla invece di modalità produttiva (o motoria) quando ci riferiamoagli organi del corpo del mittente che lo producono. Ma questi due sensi di modalità non sono sempre in un rapporto biuni-voco: quando il mittente parla, ad esempio, l’interlocutore lo sente e lovede parlare, cioè usa la modalità uditiva e quella visiva, ma se in quel-

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la uditiva percepisce i suoni che il mittente produce con la bocca, nella modalità visiva percepisce i gesti, l’espressione della faccia, le posturedel corpo e i movimenti della bocca. Dunque gli esseri umani utilizza-no per la comunicazione tante modalità recettive quanti sono i lorosensi (udito, vista, tatto, olfatto e persino il gusto); ma si possono usarealtrettante modalità produttive quanti sono gli organi di produzione deisegnali; infatti ciascuna parte o sottoparte del corpo produce il suo spe-cifico sistema di segnali (la testa produce i movimenti del capo; la fron-te aggrottamenti e corrugamenti; la regione degli occhi produce tutti isegnali dello sguardo; la bocca produce parole con toni diversi, smor-fie, fissati, sorrisi; spalle, braccia e mani producono gesti, e infine iltronco e le gambe producono posture e movimenti di collocazione nellospazio).

Il significato

Comunicare vuol dire trasmettere a qualcuno significati, cioè cono-scenze. Ma quanti e quali sono le conoscenze che si possono comuni-care?.Secondo Poggi (2006), tutte le volte che comunichiamo diamo agli altriconoscenze di tre tipi: sul mondo, sulla nostra identità e sulla nostramente.

A. Informazioni sul mondo: il mittente può dare conoscenze su eventidel mondo, ossia su azioni o proprietà di entità concrete o astratte, ani-mate o inanimate. Si possono comunicare eventi concreti e reali, come“quel rapace sta volando”, ma anche affermazioni generali (“i rapacisono uccelli”) o eventi immaginari (“gli asini volano”). Si può comunicare inoltre sul tempo e sul luogo in cui tali eventi acca-dono (“ieri”, “domani”, “in cucina”). Nelle conoscenze di formato pro-posizionale ogni conoscenza è formata da un predicato e dai suoi argo-menti, dove il predicato può essere una proprietà, statica o dinamica, diun singolo argomento (“Giulia è bionda”) o una relazione fra due o piùargomenti (“la casa è tra il fiume e il bosco”). Gli argomenti invece stabiliscono a chi o a che cosa si vuole attribuireuna determinata proprietà o relazione. Per quanto riguarda i predicatinei sistemi di CNV alcuni gesti e persino alcuni sguardi possono comu-

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nicare proprietà e relazioni. Fra i gesti simbolici italiani, ad esempio,alcuni menzionano azioni (“tagliare”, “camminare”) altri proprietà fisi-che o mentali (“magro”, “testardo”), altri ancora relazioni (“se l’inten-dono”), tempi (“ieri”) e quantità (“due”, “molto”). Fra gli sguardi,stringere le palpebre comunica la proprietà “piccolo, sottile”, spalanca-re gli occhi la proprietà opposta, cioè “grande”. Per quanto riguarda gliargomenti nei sistemi di CNV con un gesto o uno sguardo “deittico” sipuò indicare con le mani o con gli occhi un luogo o un oggetto nel con-testo circostante.

B. Informazioni sull’identità del mittente: tutte le volte che un sogget-to si trova in presenza di un altro, che il soggetto lo voglia o no, l’altro“si fa un’idea” di chi gli sta di fronte, cioè acquisisce percettivamente,o inferisce, conoscenze sulla sua identità: sesso, età, radici etniche eculturali e personalità. Il suono della voce, l’accento, la forma del visosono dunque segnali che portano conoscenze sul mittente della comu-nicazione: segnali governati, in genere, da scopi biologici e sociali che,colui che comunica, produce senza volerlo e senza accorgersene, addi-rittura, a volte, contro la sua volontà (Magli 1995; Lavater, 1772).Questi segnali sono un marchio, un’etichetta, una bandiera del mitten-te e servono al destinatario, anche se il mittente non vorrebbe lasciarlitrapelare, perché forniscono le informazioni di sfondo con cui interpre-tare ciò che il mittente comunica. Ma oltre a questa identità “oggetti-va”, impostata dalla natura e dalle radici del mittente, vi è l’identità cheindica come lui vorrebbe apparire nei confronti degli altri; Goffman ladefinisce “un’autopresentazione”, cioè l’immagine che colui che parlavuole dare di se stesso.

C. Informazioni sulla mente del mittente: mentre il mittente comunicasugli eventi del mondo esterno, comunica anche il perché intende par-larne, cosa ne pensa,che cosa sente riguardo a quegli eventi: cioè dainformazioni sui suoi stati mentali: scopi, conoscenze, emozioni, rela-tivi a ciò di cui sta parlando (Poggi, 2003). Riguardo alle conoscenze, il mittente fornisce due tipi di informazioni:- informazioni sul grado di certezza delle credenze che sta comunican-do: nei sistemi di CNV, per esempio, per esprimere sicurezza si può

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fare il gesto di aprire le mani, a palme in su, per mostrare che ciò chesi dice “è di fronte a tutti”, “è del tutto evidente” o al contrario alzan-do le sopracciglia o scuotendo il capo tentennando, si esprime dubbioo incertezza su ciò che si dice;- informazioni “metacognitive”, che indicano da quale fonte (percezio-ne, memoria, inferenza, comunicazione) arrivano le credenze che ilmittente sta comunicando. Un gesto come schioccare il pollice e ilmedio significa “sto cercando di ricordare”; oppure piegare due voltel’indice e il medio delle due mani, a palme in avanti, all’altezza del visosignifica “virgolette” e cioè: “prendo le distanze dalle parole che stodicendo”. Anche gli sguardi forniscono informazioni metacognitive;guardare in basso a sinistra prima di rispondere a una domanda vuoldire “sto ricordando”; guardare in alto “sto cercando di ragionare”.

Nel comunicare, il mittente informa anche sugli scopi della frase, deldiscorso e della conversazione.

- scopo della frase o dell’atto linguistico: informa sul performativo,cioè sull’intenzione comunicativa dell’atto che il mittente sta compien-do. Si può esprimere con un verbo performativo (ordino, supplico), conl’intonazione, o ancora con espressioni facciali o sguardi performativi:per dare un ordine per esempio “si aggrottano le sopracciglia tenendoil mento in su e il viso eretto”;- struttura informazionale della frase: in ogni atto di comunicazionec’è una parte data e una parte nuova: la parte data sono le credenze giàcondivise con l’interlocutore, la parte nuova sono quelle che il mitten-te vuole comunicare in quel momento. L’interlocutore deve quindisapere cosa c’è di nuovo e che cosa c’è di dato in ciò che sta dicendoil mittente; così in genere è utile sottolineare la parte nuova (che alcu-ne teorie linguistiche chiamano “comment”) con un veloce innalza-mento delle sopracciglia, con un gesto batonico o con un’intonazioneenfatica;- struttura del discorso: in un discorso le frasi sottendono una strutturagerarchica, che l’interlocutore deve ricostruire; e alcuni segnali dannoinformazioni proprio su tale struttura: cambiando postura, per esempio,viene segnalato il cambio di argomento;

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- struttura della conversazione: la conversazione è un atto di collabo-razione e comunicazione reciproca in cui le persone a turno produconoatti comunicativi concatenati; perché proceda fluida i partecipantidevono coordinarsi comunicandosi reciprocamente la presa di turno eil “back-channel”, ovvero il canale di ritorno che permette di capire sel’intervento dell’uno è stato percepito, capito, approvato dall’altro.Questi due elementi di coordinazione reciproca sono permessi o facili-tati da tutta una serie di segnali senza parole: alcuni servono per “chie-dere il turno” (alzare la mano, protendere il busto socchiudendo labocca come per prendere il fiato) o “per passarlo ad altri” (indicare conil palmo in su il prossimo interlocutore); altri segnalano al mittente chesi sta “seguendo ciò che dice” (annuire con il capo) o che “non si capi-sce” (aggrottare le sopracciglia chinando la testa di lato) o che “nonsiamo d’accordo con lui” (scuotere il capo).

Durante la comunicazione, infine, il mittente esprime, oltre alle sueconoscenze e ai suoi scopi, anche le emozioni che sta provando riguar-do a ciò su cui comunica: può servirsi di “parole emotive” (gioia, odio-so, spaventarsi) o di intonazioni ed espressioni facciali dedicati proprioa esprimere emozioni.

- I sistemi di comunicazione

Un sistema di comunicazione è una serie di regole per mettere in cor-rispondenza segnali e significati. Il nostro corpo è depositario di moltisistemi di comunicazione. Prendendo spunto da Hockett (1960), un’importante linguista deglianni ’60 e Thorpe (1971), uno studioso di comunicazione animale,Isabella Poggi (2006) classifica i sistemi di comunicazione in base adun certo numero di parametri:

* Rapporto con gli altri segnali: in base al primo parametro, ognisegnale di un sistema di comunicazione può essere autonomo, perchési può usare solo mentre si parla (ad esempio i gesti batonici) oppurenon-autonomo, cioè si può usare anche senza parlare (ad esempio igesti simbolici);* Costruzione cognitiva: la costruzione cognitiva dei segnali di un

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sistema, dipende se essi siano rappresentati o meno, e in che modo,nella memoria a lungo termine dei suoi utenti. È codificato un segnalecollegato stabilmente ad un significato specifico, che forma con essouna coppia “segnale-significato” rappresentato una volta per tutte nellementi del mittente e del destinatario; una serie di segnali codificaticostituisce un lessico (Parisi, Antinucci 1973) come per esempio i gestisimbolici. È un segnale creativo, invece, quello inventato in manieraestemporanea per comunicare un significato per cui non è già codifica-to in memoria alcun segnale. Ne sono un esempio i gesti iconici e leonomatopee originali, cioè nuovi suoni vocali inventati per imitare isuoni sconosciuti della natura o della tecnologia;* Naturale e culturale: fra i segnali codificati alcuni sono innati, cioèrappresentati nella memoria del mittente per via biologica, quindi sonouniversali (ad esempio per esprimere esultanza si scuotono le bracciain alto), altri sono codificati su base culturale, cioè esistono, e hannoquel particolare significato, solo in una determinata cultura e i bambi-ni li imparano da piccoli (per esempio l’atleta che esprime esultanzacon l’indice e il medio aperti a “V”);* Motivato e arbitrario: questo parametro indica il rapporto fra i segna-li e i significati. Pertanto un segnale è motivato quando segnale e signi-ficato, anche prima e anche senza essere legati da una regola di corri-spondenza codificata, hanno tra loro una relazione non casuale; insostanza, c’è una “buona ragione” per cui quel segnale ha proprio quelsignificato: una ragione di somiglianza, di composizionalità o di deter-minismo meccanico. Vi è somiglianza tra segnale e significato neglisegnali iconici (ad esempio il gesto di muovere l’indice e il medio a“V” davanti alla bocca significa “sigaretta” o “fumare”). Un altro casoin cui il significato può essere “indovinato” a partire dal segnale ancheper chi non l’ha mai visto o sentito prima, ha a che fare con un tipicomeccanismo della lingua, la composizionalità, che consiste nel ricava-re sempre dagli stessi elementi di numero finito un infinito numero dipossibili combinazioni (ad esempio il termine “ivato” riferito ad unoggetto significa “comprensivo di IVA”). Un’ultima relazione noncasuale tra segnale e significato sia ha per determinismo meccanicoquando l’apparenza percettiva del segnale è determinata da meccani-smi fisiologici collegati al significato (ad esempio, il gesto di esultan-

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za di scuotere le braccia in alto deriva dall’intensa attivazione fisiolo-gica dell’emozione di esultanza, che induce a energici movimenti diapertura, Anolli 2002). Il segnale, invece, è arbitrario quando il suosignificato non è collegato al segnale né per somiglianza né per qual-che altro meccanismo che permette di inferire il significato dal segna-le senza conoscerlo (ad esempio il gesto della “mano a tulipano”, ditachiuse a mazzetto e mano che va su e giù in Italia significa “ma chevuoi?” e in Tunisia vuol dire “aspetta”);*Olofrastico e Articolato (segnali-frase e segnali-parola): “ogni attocomunicativo è costituito da un contenuto proposizionale (ciò che ilmittente vuole far fare, far dire o far sapere al suo interlocutore) e daun performativo (l’intenzione del mittente nel comunicare, il tipo diazione sociale che compie verso l’altro, l’atteggiamento in cui si poneverso di lui e ciò che vuole che faccia” Poggi, Pelachaud 2000).Dunque un segnale è olofrastico (olos dal greco significa “intero”) seda solo porta il significato di un intero atto comunicativo, comprensivodi performativo e di contenuto proposizionale (ad esempio il gesto distendere e piegare le dita della mano a palmo in su che significa “vieniqui”). Un segnale è articolato se veicola solo parte di un atto comuni-cativo, ad esempio solo il suo performativo o solo una parte del suocontenuto proposizionale (ad esempio il gesto di muovere avanti eindietro di fronte alla bocca l’indice e il medio divaricati, con il palmoverso il mittente, significa “fumare” o “sigaretta”) .“In base alle definizioni fin qui fornite, due condizioni sono necessarieperché sia in atto un processo comunicativo: che un mittente abbia loscopo di far avere una conoscenza a un destinatario; e che per questoscopo produca un segnale che reputa collegato a quella conoscenza sianella propria mente che nella mente del destinatario” (Poggi, 2006).

1.4 LE FUNZIONI DI BASE DELLA COMUNICAZIONE

Secondo Anolli (2003) la comunicazione umana è caratterizzata daalcune dimensioni basilari: la funzione proposizionale, la funzionerelazionale e la funzione espressiva. Si tratta di “metafunzioni”, poichéciascuna di esse raccoglie sotto di sé altre funzioni specifiche.

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1.4.1 LA FUNZIONE PROPOSIZIONALE

Grazie a questa funzione, la comunicazione “serve a elaborare, orga-nizzare e trasmettere conoscenze fra i partecipanti. Tali conoscenzesono raccolte, organizzate e veicolate sotto forma di proposizioni. La totalità delle conoscenze disponibili nella memoria a lungo terminedi un individuo, è detta conoscenza dichiarativa”. Essa svolge:- una funzione referenziale, in quanto consente una rappresentazione

adeguata della realtà in base alla propria esperienza, e permette diriferirsi a oggetti e a eventi del mondo circostante;

- una funzione predicativa, poiché consente di attribuire proprietà equalità agli eventi o altri oggetti in esame.

Parlare di funzione proposizionale della comunicazione, significa rico-noscere la rilevanza del linguaggio per la specie umana, poiché essoconsente di organizzare e di comunicare il pensiero. “Il linguaggio,infatti, rende comunicabile il proprio pensiero, in quanto gli fornisceuna forma comprensibile agli altri. Esiste infatti, una stretta interdipendenza fra pensiero e linguaggio inquanto concettualizzazione, significazione e comunicazione si interse-cano reciprocamente: i concetti sono traducibili in significati comuni-cabili e, a loro volta, i concetti sono compatibili con le informazionielaborate dai differenti sistemi di rappresentazione mentale, da quellapercettiva a quella motoria, a quella linguistica”. Grazie a tale interdi-pendenza, è possibile parlare di ciò che si vede, di ciò che si sente e diciò che si prova. “Questo passaggio dai sensi al senso, ossia al signifi-cato, consente di tradurre in forme proposizionali, l’esperienza percet-tiva, affettiva e immaginativa”. Inoltre, il linguaggio consente l’elaborazione, l’organizzazione e la tra-smissione delle conoscenze poiché, in quanto sistema di simboli, ècaratterizzato in modo intrinseco dalla composizionalità, ossia dal fattodi essere costruito ricorsivamente, grazie a unità componibili (Bara,1999; Jackendoff, 1999). La composizionalità del linguaggio compor-ta una serie di proprietà quali:- la sistematicità: ogni linguaggio è regolato da una struttura sintatticae gli enunciati di un dato linguaggio sono componibili solo seguendo leregole sintattiche previste da quella lingua;

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- la produttività: il linguaggio permette di generare e di comprendereun numero infinito di significati, in grado, a loro volta, di generare e dicomprendere un numero infinito di enunciati;- la possibilità di dislocazione: la referenza spaziale o temporale cui undato enunciato si riferisce può essere diversa da quella in uso durantel’enunciato medesimo. Ad esempio nella frase “ci vediamo martedìprossimo davanti all’università” (enunciato detto al bar), il referentespaziale non è “bar”, anche se la frase viene pronunciata in questo con-testo, ma è “università”. In questa prospettiva, il significato costituiscela chiave di volta per comprendere gli aspetti proposizionali dellacomunicazione, poiché i significati non sono realtà discrete e unitarie,al contrario sono dinamici e componibili, nel senso che si possono ana-lizzare, smontare nelle loro parti, ricomporre e comparare fra loro.

1.4.2 LA FUNZIONE RELAZIONALE

Oltre a svolgere la funzione proposizionale, la comunicazione è depu-tata a realizzare la funzione relazionale, poiché la rete delle relazioni incui un soggetto è inserito, è costruita, alimentata, rinnovata e modifica-ta dalla comunicazione. Essa, lungo tutto l’arco dell’interazioneumana, partecipa a generare e sviluppare, mantenere e rinnovare, modi-ficare, restaurare ed estinguere una relazione fra due o più persone.L’efficacia relazionale della comunicazione dipende dalla stretta con-nessione fra interazione e relazione che, tuttavia, hanno significatidistinti. “L’interazione consiste in un evento circoscritto in termini tem-porali e spaziali, nonché in uno scambio comportamentale direttamen-te osservabile fra i partecipanti. Essa può consistere in uno sguardoreciproco, in un saluto, in una conversazione al telefono, in una riunio-ne. Per relazione, invece, s’intende una sequenza regolare e continuadel medesimo tipo di interazione che genera nel tempo prevedibilità, ecome risultato produce la formazione di un modello interattivo fra ipartecipanti medesimi. Interazione e relazione dunque, sono in strettainterdipendenza reciproca: “le singole interazioni sono in grado di con-fermare e rafforzare, attenuare, modificare o smentire una certa relazio-ne; d’altra parte la relazione suscita aspettative, genera credenze e pre-visioni, stabilisce regole e vincoli in grado di influenzare l’interazione

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in corso, in una determinata direzione piuttosto che in un’altra”. In conclusione si può affermare che l’aspetto relazionale della comuni-cazione è in grado di generare e rinnovare le relazioni fra gli individuied è alla base “dell’intersoggettività dialogica”, ovvero della negozia-zione dei significati e della condivisione di scopi.

1.4.3 LA FUNZIONE ESPRESSIVA

La funzione espressiva della comunicazione è intesa come la modalitàper manifestare i propri pensieri, sentimenti, emozioni e stati d’animo.La comunicazione, infatti, è alla base della creatività umana nelle suediverse forme: pittorica, architettonica, musicale ecc... .La creatività comunicativa si fonda su alcuni aspetti basilari quali:- “la novità delle forme espressive e della combinazione degli aspetti

comunicativi: ciò che non era mai stato comunicato prima, ora diven-ta oggetto di comunicazione linguistica (come un poema), iconica(come un quadro), sonora (come una sinfonia)”;

- “la sensibilità soggettiva delle manifestazioni artistiche, poiché ilcomunicatore è in grado di rendere pubblico ciò che c’è di piùprofondo dentro di sé”;

- “la comprensibilità delle modalità espressive, poiché, pur trattandosidi forme innovative di comunicazione, sono comprese da altri ed èpossibile trovare in esse importanti e precisi percorsi di senso e disignificato”;

- “la partecipazione, intesa come risonanza cognitiva ed affettiva delleespressioni creative; grazie a questo processo di sintonia la comuni-cazione espressiva può generare un fenomeno unisono di condivisio-ne e di concordia delle menti”.

Anolli sostiene che la funzione espressiva attribuisce “sapore” allacomunicazione e consente di sfruttare in maniera ottimale le risorsepsicologiche e sociali che l’individuo ha a disposizione.

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CAPITOLO II

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

Amore

La notte brilla per l’amore,le stelle hanno una potenza

che si sente dentro.L’amore è una luce che si vede

Dietro al Sole,è un uccello azzurro che vola.

L’amore torna a far festa Ma non sempre le sue stelle

Brillano in cielo

Dal libro “Incanto di parole” di Fabrizia Lopilato

Al fine di dare una definizione univoca dell’espressione “comunicazio-ne non verbale” risulta opportuno specificare il significato dei termini“comunicazione” e “non verbale” data la molteplicità dei loro signifi-cati.

2.1 DEFINIZIONE DI COMUNICAZIONE NON VERBALE

Ognuno degli autori, che ha studiato la comunicazione non verbale(CNV), ha fornito una definizione peculiare di questo termine. Secondo Argyle (1992) la comunicazione non verbale, definita anche“comunicazione corporea” (bodily communication), riveste un ruolocentrale nel comportamento sociale dell’uomo e ha luogo ogni voltache una persona influenza un’altra attraverso l’espressione del volto, iltono di voce o uno qualsiasi delle seguenti modalità espressive: espres-sione facciale, sguardo e dilatazione delle pupille, gesti e altri movi-menti del corpo, postura, contatto fisico, comportamento spaziale,abbigliamento e aspetto esteriore, vocalizzazioni non verbali, odore.

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Ognuno di questi segnali può essere suddiviso in una quantità di ulte-riori variabili; lo sguardo, per esempio, presenta diverse fisionomie:guardare mentre si ascolta, guardare mentre si parla, sguardi reciproci,durata delle occhiate, ecc... . Queste sottocomponenti sono oggetto diaccurate ricerche empiriche volte ad indagare quali effetti hanno que-ste variabili sull’efficacia della relazione comunicativa. Secondo l’au-tore questi segnali possono essere intenzionali, o non intenzionali; nelsecondo caso possiamo parlare di “comportamento non verbale” o, inaltri casi, di “espressione di emozioni”. Argyle inoltre afferma che“sfortunatamente è molto difficile decidere se un particolare segnalenon verbale si propone di comunicare o no: in molti casi infatti essisono una miscela di segnali intenzionali (diretti a un fine) e segnali nonintenzionali (semplici risposte comportamentali o fisiologiche). Peresempio, le espressioni facciali dell’emozione sono costituite in partedall’espressione spontanea dell’emozione (cioè, dal comportamentonon verbale) e in parte da tentativi di controllarle, di conformarsi alleregole sociali, o di nascondere l’emozione vera (comunicazione nonverbale)”.Secondo Anolli (2002) la CNV, oggi chiamata anche “comunicazioneextralinguistica” comprende un insieme alquanto eterogeneo e disper-so di fenomeni e di processi comunicativi che vanno dalle qualità pro-sodiche e paralinguistiche della voce, alla mimica facciale, ai gesti, allosguardo, all’elemento prossemico (la prossemica è la scienza che stu-dia lo spazio e le distanze come fatto comunicativo; lo studio, cioè, sulpiano psicologico, dei possibili significati delle distanze materiali chel’uomo tende ad interporre tra sé e gli altri), al sistema aptico (intesocome contatto fisico tra i soggetti coinvolti nella comunicazione e defi-nisce inequivocabilmente il loro grado d’intimità), alla competenzacronemica (intesa come la concettualizzazione e l’uso del tempo, neicomportamenti comunicativi da parte dei membri di una determinatacultura: il ritmo del parlato, i turni di parola nel dialogo [turn talking],la lunghezza delle pause in relazione al contesto e il senso di puntua-lità) per giungere fino alla postura, all’abbigliamento e al trucco. Secondo Bonaiuto e Maricchiolo (2006) “non verbale” significa sem-plicemente “tutto ciò che non è parola”, in pratica tutto ciò che non èlinguaggio verbale.

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Dunque se per comunicazione si intende un interscambio dinamico, uninviare e ricevere informazioni e pensieri, un condividere e costruiresignificati, la CNV può essere definita come “una trasmissione di con-tenuti, una costruzione e condivisione di significati che avviene a pre-scindere dall’uso delle parole”. Alcuni autori, infatti, come ad esempioGreene (1980), alla distinzione linguistica tra “comunicazione verbale”e “comunicazione non verbale” contrappongono quella fra “comunica-zione che fa uso di parole” e “comunicazione che non ne fa uso”.Isabella Poggi (2006), si riferisce alla CNV usando il termine “le paro-le del corpo” e ne fornisce una definizione piuttosto curiosa; afferman-do che tutti noi siamo “poliglotti” perché parliamo non solo con l’ap-parato fono-articolatorio, ma anche con le mani, con gli occhi, con ilviso, con i movimenti e le posture del busto e delle gambe, con il con-tatto fisico e le distanze che mettiamo fra noi e gli altri. Secondo l’au-trice è tutto il corpo che comunica, a volte i suoi messaggi si cumula-no, si ribadiscono, si confermano a vicenda (come quando si dice “tuttoil suo corpo esprimeva la sua gioia”), ma altre volte si contraddicono,l’uno smentisce l’altro, e li sentiamo stridere, (come quando “dici chemi ami ma sento che mi respingi”, oppure “mi sgridi, ma in modobonario”). Secondo Michela Balconi (2008) i differenti i sistemi diCNV possono essere collocati all’interno della categoria della comuni-cazione extralinguistica, intesa come insieme di sistemi di segnalazio-ne che, in aggiunta al verbale, contribuiscono a definire il significato“modale” della comunicazione, qualificandola. Alcuni di questi sistemisono stati più ampiamente esplorati, costituendo un ambito di indagineavanzato, come nel caso della comunicazione mimica, soprattutto inrelazione alle funzioni di comunicazione delle emozioni a essa conna-turate; altri, al contrario, presentano un insieme di conoscenze ridotte ealquanto frammentate, come nel caso dei sistemi cinesici.

2.2 LO STUDIO SCIENTIFICO DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE

Come è stato sottolineato da diversi studiosi della CNV, sia in trattati(Argyle, 1992), sia in approfondimenti specifici di psicologia sociale(DePaulo, Friedman 1998), non esiste una vera e propria teoria generle della comunicazione non verbale, o unica disciplina che si occupa osi è occupata dello studio dei suoi aspetti e delle sue funzioni.

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Lo studio della CNV ha, infatti, origini e radici diverse che si ritrova-no in varie discipline scientifiche le quali, nel corso dello sviluppo, sisono occupate, dello studio dell’uomo e della sua comunicazione e reazioni. Pertanto in ambito scientifico si sono sviluppate diverse posizioni teo-riche degne di attenzione.

- La concezione innatista

Nel 1872 Charles Darwin scriveva “L’espressione delle emozioni nel-l’uomo e negli animali”. Il volume, fra l’altro, discuteva le origini bio-logiche e innate della comunicazione non verbale. Mentre per quantoriguarda il linguaggio verbale, possiamo ritenere appurata l’influenzadella componente culturale quale fattore costitutivo del linguaggio(sebbene per alcuni autori elementi innati siano imprescindibili;cfr.Chomsky, 1970), per quanto riguarda i comportamenti comunicativinon verbali questa influenza non è del tutto scontata. Il lavoro diDarwin è stato fondamentale per aver apportato diversi stimoli allo svi-luppo della ricerca sulla CNV ed è stato il primo studioso a mettere inrisalto l’apporto determinante di alcuni comportamenti sociali, per losviluppo della specie. Il comportamento sociale, negli animali maanche nell’uomo, include infatti, segnali non verbali, che si esprimonoutilizzando condotte cinestesiche e mimiche che coinvolgono il corpoe comportamenti adattivi biologicamente e socialmente rilevanti, qualila difesa collettiva del territorio, il procacciamento del cibo, l’intimità,l’affiliazione, l’attrazione e l’accoppiamento, la dominanza del gruppo,l’allevamento della prole ecc. A questo proposito, alcuni studiosi hannosupposto l’esistenza di un sistema generale di regole che governano isegnali non verbali; una sorta di grammatica universale del comporta-mento sociale non verbale umano, come quella ipotizzata da Chomskyper il linguaggio parlato. Secondo tale prospettiva, gli uomini dispon-gono di un repertorio di segnali, frutto di adattamenti filogenetici cheregola e modula le loro relazioni e in ultima analisi ne influenza la coe-sistenza sociale. La prospettiva biologica, facendo riferimento ai lavo-ri di Darwin, sostiene che le espressioni non verbali, sia nella manife-stazione delle emozioni che nell’espressione dei comportamenti comu-nicativi non verbali, non solo avrebbero origine innata e dunque non

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sarebbero influenzati dall’esperienza individuale, ma assumerebberoconnotazioni universali comuni alle varie culture e tra specie animalidiverse.

- Il modello neuroculturale

Questa teoria è fondamentalmente ancorata alla concezione darwinianadell’innatismo (la comunicazione è presente fin dalla nascita e scarsa-mente appresa) e dell’universalità (a parte casi ridotti di differenziazio-ni, è presente con modalità simili tra le culture) della comunicazionenon verbale (Ekman, 1994). In quanto ereditata dai primati, essa pre-serverebbe solo alcune delle funzioni svolte in origine, non essendoattualmente più legata alle funzioni di mantenimento della sopravvi-venza, ma sarebbe piuttosto deputata alla regolazione dei rapporti traindividui della stessa specie. Di particolare importanza è la funzioneancora attiva di espressione e comprensione delle emozioni, in quantoelementi che fungono da regolatori della condotta sociale (Izard, 1994).Secondo tale teoria le componenti culturali e apprese svolgerebbero unruolo significativo unicamente nella fase di regolazione del comporta-mento per la sua manifestazione in un contesto pubblico, attraversol’applicazione di regole denominate da Ekman “regole di esibizione”(display rules) che possono modificare la manifestazione non verbaledelle emozioni attraverso quattro modalità: intensificazione delleespressioni, attenuazione, inibizione o soppressione, mascheramento osimulazione (Ekman, 1994). Tuttavia l’elemento critico di tale approc-cio è costituito dall’eccessiva importanza attribuita alle componentiinnate, fatto che ne limita grandemente il potenziale esplicativo, datal’estrema varietà di modalità specifiche di produzione e di comprensio-ne all’interno di ogni gruppo culturale.

- Il modello culturale

Secondo la prospettiva culturalista, “ciò che è mostrato dal volto e dalcorpo è scritto dalla cultura”. Questo aforisma sintetizza correttamentela posizione antropologica, secondo cui l’origine di una buona parte deicomportamenti non verbali, utilizzati dagli uomini soprattutto a finisociali, è appresa nel corso dell’infanzia al pari della lingua parlata epresenta variazioni sistematiche da cultura a cultura.

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L’enfasi è posta sui processi di differenziazione, che conducono aforme non verbali uniche ed esclusive proprie di ciascun popolo e instretta relazione alle culture di riferimento. La maggior parte degli studiantropologici, con l’obiettivo di dimostrare l’origine culturale di moltisegnali sociali non verbali, ha preso in esame culture e tribù indigenenon del tuo “civilizzate”, nel senso occidentale del termine. Questo perché è difficile ai giorni nostri isolare le unicità culturali alloscopo di studiarne le differenze, dato l’alto grado di osmosi delle tradi-zioni da una cultura all’altra. Questa tendenza alle omogeneità è dovu-ta a diversi fattori: la diffusione dei mass media, la velocità e la facilitàdelle vie di comunicazione non solo fisiche, ma anche virtuali che avvi-cinano anche i paesi più distanti, la configurazione di società multiet-niche con il conseguente incremento di gruppi e famiglie multirazziali,la tendenza occidentalizzante e globalizzante che sta pervadendo l’u-manità nelle sue manifestazioni economiche e culturali. Sebbene visiano già evidenze empiriche a carattere scientifico nella seconda metàdell’800 (De Jorio, 1832) sul gesticolare dei napoletani), i primi studiantropologici sulla CNV risalgono prevalentemente alla prima metà del’900, quando comunque certe differenze e specificità culturali eranoancora facilmente percepibili. Efron (1941) cominciò a esaminare la comune credenza che gli italianie gli ebrei gesticolassero in misura maggiore rispetto agli nordeuropei.Egli, a seguito del fenomeno delle massicce immigrazioni verso il NordAmerica, studiò le comunità italiane ed ebree negli Stati Uniti e notò,come questi utilizzassero il linguaggio non verbale allo stesso modo dipopoli d’origine, dimostrando così l’influenza culturale su tali espres-sioni.Birdwhistell (1970) porta all’estremo l’analogia tra CNV e lingua, asse-rendo che i movimenti non verbali, che egli chiama cinesici, hannoforme determinate e invarianti, ma che il loro codice è cultura-specifi-co; egli afferma che ogni segnale non verbale ha di per se poco o nes-sun significato e che ne assume uno solo in determinati contesti cultu-rali. All’interno di questo approccio funzionale, uno dei contributi piùinteressanti e sicuramente quello di Hall (1968): egli, introducendo iltermine “prossemica”(relazione dell’uomo con lo spazio fisico) analiz-za le differenze culturali della distanza interpersonale dimostrando che

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essa può assumere significati notevolmente differenti, a volte addirittu-ra opposti, secondo la cultura. Infatti, mentre i Nord americani ocomunque tutte le culture di origine anglosassone, permettono di entra-re nel proprio spazio intimo solo alle persone con cui hanno un rappor-to più confidenziale, gli arabi o quasi tutti i popoli di origine medio-rientale, sopportano senza troppi fastidi contatti fisici, anche prolunga-ti, con estranei. Hall spiega ciò, oltre che con le condizioni ambientaligeografiche (la continua pressione esercitata dal deserto costringe que-sti popoli a vivere solo in certe zone e ad accettare come necessariaquesta alta densità di popolazione), con la differenza culturale, basatasulla concezione diversa che hanno i due popoli dell’Io. I Nord ameri-cani e gli occidentali in genere riconoscono l’Io come un tutt’uno dianima e corpo: dunque tutto ciò che entra in contatto con il propriocorpo è come se invadesse tutta la persona. Gli arabi identificherebbe-ro l’Io con l’anima, quindi con qualcosa che sta “dentro” il corpo, men-tre considerano quest’ultimo, come facente parte dell’ambiente ester-no: dunque non giudicano il contatto fisico con l’altro come una viola-zione del proprio spazio o come una minaccia alla propria persona.Ciò dimostra che esistono parecchie differenze tra popoli orientali eoccidentali nei segnali non verbali: infatti, non soltanto le due aree cul-turali danno significati sociali diversi allo stesso comportamento nonverbale, ma possono utilizzare comportamenti diversi con lo stessosignificato sociale. La forte valenza culturalista assunta da tale prospet-tiva impedisce tuttavia in molti casi di cogliere l’aspetto universale dimolti significati condivisi anche tra culture differenti.

- La prospettiva dell’interdipendenza tra natura e cultura

Sia la prospettiva innatista, sia quella culturalista si sono dimostrateparziali e unilaterali nell’enfatizzare un unico punto di vista. Oggi èdiventata dominante fra gli studiosi la prospettiva dell’interdipendenzatra natura e cultura nell’origine e nella conformazione della CNV. Le strutture nervose e i processi neurofisiologici condivisi in modouniversale a livello di specie umana, sono organizzati in configurazio-ni differenti secondo le culture di appartenenza. La CNV si fonda sucircuiti nervosi specifici deputati all’attivazione, regolazione e control-lo dei movimenti sottesi alle diverse forme della CNV (dalla mimica

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facciale ai gesti, alla paralinguistica, all’aptica ecc.). Intervengono aquesto riguardo sia il sistema piramidale (che comprende l’area moto-ria e l’area premotoria) sia il sistema extrapiramidale (situato nel corpostriato e nel tronco encefalico) ad attivare, a gestire e a controllare l’e-norme quantità e varietà dei movimenti nelle loro diverse configurazio-ni in termini di estensione, di precisione, di intensità, di plasticità ecc.I sistemi piramidale ed extra piramidale agiscono in modo coordinatoe sincrono attraverso circuiti funzionalmente interconnessi e meccani-smi interdipendenti, che facilitano o che inibiscono, l’attività dei moto-neuroni, per l’esecuzione e gli aggiustamenti progressivi dei movimen-ti volontari, nonché per l’influenza sulle reazioni motorie automatiche(riflessi miotattici) che accompagnano tali movimenti. In quest’attività nervosa si integrano processi elementari automatici, diordine inferiore, con processi volontari e consapevoli, di ordine supe-riore. Pertanto, la CNV pur essendo vincolata da meccanismi automa-tici di base, non esula dal controllo dell’attenzione e della coscienza edè soggetta a forme più o meno consistenti di regolazione volontarianelle sue espressioni. Questa plasticità della CNV pone le condizioniper le possibilità di apprendimento di alcune delle sue diverse forme.Per alcune di esse, come i gesti, si possono avere forme di apprendi-mento assai simili a quelle che si realizzano per il linguaggio; per altrel’apprendimento, pur essendo presente, è meno consistente (come lamimica facciale). Anche per i diversi sistemi di significazione e disegnalazione della CNV si attivano importanti processi di condivisioneconvenzionale all’interno di ogni comunità di partecipanti. Le predi-sposizioni genetiche sono declinate, di volta in volta, secondo linee eprocedure distinte e differenziate che conducono a modelli comunica-tivi diversi e molto distanti fra loro sul piano dei sistemi non verbali diinterazione. È sufficiente pensare alla grande distanza culturali fra laCNV dei giapponesi è quella delle popolazioni latine.

- Il modello cognitivo

Secondo tale approccio solo una parte delle competenze comunicativesarebbe di origine innata. Si tratta dell’insieme di competenze che con-tribuiscono alla costruzione del piano intenzionale e della capacità diformulare rappresentazioni circa le credenze, mentre le altre competen-

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ze di alto ordine, come la capacità di interpretare la mente altrui, sareb-bero acquisite solo successivamente nel corso dello sviluppo (Bara BG,1999). Inoltre, è possibile rilevare come la compromissione di alcunecomponenti linguistiche non influenzi la capacità di utilizzare la comu-nicazione rispetto ai sottosistemi comunicativi che la caratterizzano,segnalando una sostanziale indipendenza di due livelli. In termini evolutivi ciò sarebbe supportato da differenti fasi di acquisi-zione delle competenze linguistiche ed extralinguistiche. Tuttavia, anche in questo caso è possibile individuare elementi di criti-cità nella prospettiva teorica, in particolare per quanto concerne il pro-cesso di “sintesi” dei sistemi verbale e non verbale a favore di unasostanziale autonomia e indipendenza dei due domini. Infatti, la rileva-zione di una differenziazione tra i sistemi neurali sottesi alle compo-nenti linguistiche ed extralinguistiche appare non sufficiente per ipotiz-zare l’esistenza di un percorso evolutivo totalmente indipendente tra idue sistemi.

- Il modello sociologico

L’approccio sociologico allo studio della CNV prende ampiamentespunto dalle ricerche antropologiche ed etnografiche e, a sua volta,influenza le indagini in campo psicologico. I sociologi partono dall’as-sunto che certi segnali non verbali hanno funzioni importanti nel gesti-re diverse regole sociali. Secondo l’orientamento sociologico, infatti,esistono delle regole che governano gli stili di comportamento e lesequenze di eventi in contesti e situazioni particolari. Ogni cultura,infatti, ha regole diverse circa il comportamento da assumere in diver-se situazioni chiamate dagli studiosi di questo approccio “contesti com-portamentali”, in cui la CNV assume un ruolo fondamentale nel rego-lare le condotte sociali. Secondo i sociologi, infatti, tutti i segnali nonverbali, possono essere spiegati sulla base di queste regole sociali, cheessendosi sviluppate all’interno della storia culturale di una società inquanto ad essa funzionali, possono essere spiegate dimostrando quanto e come esse siano state utili a determinati gruppi.Un altro approccio sociologico, l’interazionismo simbolico, pone l’at-tenzione sui significati soggettivi che vengono assegnati ai segnali nonverbali dalla cultura e da determinati gruppi. Goffman (1969) sostiene

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che gli individui utilizzano particolari comportamenti, come l’adozio-ne di abbigliamento e accessori o l’esecuzione di gesti provvisti di uncerto significato, come autopresentazione, vale a dire per comunicareagli altri una determinata immagine di sé; questo è possibile in quantoesistono degli atti non verbali dotati di particolari significati cultural-mente definiti e pubblicamente condivisi. Goffman, inoltre, sottolineacome, all’interno di una stessa cultura, lo stesso segnale non verbalepossa trasmettere significati differenti in contesti sociali diversi, comein una rappresentazione di ruoli. Questo approccio “teatrale” o “dram-maturgico” alle relazioni sociali è stato esplicitamente adottato e svi-luppato da Goffman più chiaramente nel suo primo lavoro “La vitaquotidiana come rappresentazione”.

- Il modello psicologico

L’approccio psicologico allo studio della CNV si distingue i 2 orienta-menti fondamentali: quello della psicologia sperimentale e quello dellapsicologia sociale. Lo studio sistematico della CNV, in psicologia spe-rimentale, si sviluppa rapidamente nei primi decenni del ’900 seguen-do l’interesse della psicologia della Gestalt per i principi di organizza-zione della percezione. Sin dagli anni ’20 alcuni ricercatori avevanostudiato le espressioni facciali delle emozioni, le vocalizzazioni e igesti spontanei rispetto a quelli simulati. L’obiettivo era quello di indi-viduare i processi cognitivi sottostanti e, oltre alla produzione di segna-li non verbali da parte del comunicante, si poneva l’attenzione anchesulla percezione e l’interpretazione degli stessi da parte del ricevente.Gli psicologi sperimentali si proponevano di verificare se le espressio-ni facciali delle emozioni fossero coerenti, o riconoscibili da altri, overidiche rispetto allo stato emotivo sottostante. Nonostante la rileva-zione di attendibilità e validità di tali studi, queste ricerche presentava-no ambiguità concettuali e metodologiche che furono in seguito conte-state agli studiosi di questo orientamento. Per esempio, non era faciledistinguere l’espressione di gioia da quella di felicità, inoltre, questiesperimenti si basavano soprattutto sullo studio di processi interindivi-duali ed enfatizzavano i processi cognitivi interni rispetto all’importan-za dei fattori contestuali. L’approccio psicologico-sociale, invece, sot-tolinea come i fattori contestuali possano avere un peso sui diversimodi in cui le espressioni non verbali possono essere “giudicate”.

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La ricerca in psicologia sociale mostra come la semantica, il contesto ei processi di attribuzione giochino un ruolo fondamentale nelle inter-pretazioni delle espressioni non verbali. Anche la psicologia clinica siè occupata dell’analisi della CNV: raramente però i clinici hannoaffrontato l’argomento in modo sistematico. Bateson (1976) ha attri-buito un ruolo importante alla CNV nella sua “teoria sulla schizofre-nia”. Egli rifacendosi anche ai suoi studi sui livelli di apprendimento,ipotizza come possibile causa della schizofrenia l’esposizione a situa-zioni di doppio legame in ambito familiare. Il doppio legame indicauna situazione in cui, tra due individui uniti da una relazione emotiva-mente rilevante, la comunicazione dell’uno verso l’altro presenta unaincongruenza tra il livello del discorso esplicito (quello che viene detto)e il livello implicito (come possono essere i gesti, gli atteggiamenti, iltono di voce), e la situazione sia tale per cui il ricevente il messaggionon abbia la possibilità di decidere quale dei due livelli, che si contrad-dicono, accettare come valido, e nemmeno di far notare a livello espli-cito l’incongruenza. Tale esposizione comporterebbe nello schizofreni-co l’incapacità di saper valutare correttamente i legami tra comunica-zione esplicita ed implicita adoperati dalle persone “normali”.

2.3 L’EVOLUZIONE DEI SISTEMI DEI CNV

Il problema collegato alla questione dell’evoluzione dei sistemi dicomunicazione non verbale è relativo alla continuità/discontinuità nel-l’acquisizione delle competenze non verbali rispetto alle forme comu-nicative presenti nei primati. Nel corso del tempo si sono succeduteipotesi alternative. Di particolare interesse è il modello proposto daBurling (1993) che suppone una forma di continuità evolutiva tra spe-cie umana e primati per le componenti extralinguistiche e al contrario,una discontinuità sul piano linguistico. In altri termini, la comunicazio-ne non verbale umana avrebbe molte caratteristiche comuni con quelladi primati, in particolare per quanto concerne:- la gradualità di segnali, con una conversione sistematica senza conti-nuità (sorriso e smorfia, ad esempio);- lo scarso apporto dell’apprendimento (determinazione genetica dialcune componenti come il sorridere),

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- la condivisione informativa (ovvero l’equivalenza semiotica di buonaparte dei sistemi di comunicazione non verbale tra uomo e primati);- la ridotta controllabilità volontaria di alcuni segnali non verbali(come, ad esempio, le componenti vocali). Complessivamente, a fronte di una unicità e specificità delle caratteri-stiche comunicative tra le specie, è possibile individuare elementi dicontinuità rispetto al non verbale, con particolare riferimento alle fun-zioni di espressione e regolazione delle emozioni e, più in generale,della struttura sociale (Tomasello M.,Call J.,1997).A favore di una sostanziale discontinuità si pongono, invece, i modellidi Chomsky (1986), secondo cui il linguaggio è una forma di comuni-cazione evoluta e specifica della sola specie umana e di Lieberman(1991) che fonda la non comparabilità delle due comunicazioni sullabase delle differenze sostanziali esistenti tra apparato fonatorio dell’uo-mo e quello di altre specie. Una discontinuità cognitiva viene postula-ta dal modello di Bara, secondo cui le evidenti differenziazioni rispet-to al contributo e allo sviluppo corticale impedirebbero di stabilire unacontinuità effettiva tra comunicazione umana e dei primati. In questaprospettiva le funzioni linguistiche ed extralinguistiche opererebberoindipendentemente l’una dall’altra con fasi di apprendimento differen-ziate. Queste ultime, in particolare, sarebbero istanziate per prime esupportate da aree cerebrali distinte da quelle sottostanti al linguaggio.

2.4 LE FUNZIONI DELLA CNV

Secondo Anolli (2003) la CNV, pur facendo riferimento a referenti pre-cisi e definiti, fornisce una rappresentazione spaziale e motoria dellarealtà, ma non una rappresentazione proposizionale (intesa come “lafunzione proposizionale della comunicazione” che serve per elaborare,organizzare e trasmettere conoscenze fra i partecipanti; conoscenze chesono raccolte, organizzate e veicolate sottoforma di proposizioni, costi-tuite a loro volta da un predicato e dai suoi argomenti), che sarebbeinvece esclusiva del linguaggio verbale e del linguaggio dei segni. Di conseguenza, la CNV risulta poco idonea a definire e a trasmettereconoscenze; concetti e idee astratte (come, per esempio, “eventualità”,“libertà”, “verità” ecc...) sono pressoché impossibili da rappresentare

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attraverso i segni non verbali; ma anche eventi o oggetti concreti(come, per esempio, “duomo”, “capanna”, “foglia”) sono abbastanzadifficili da trasmettere facendo ricorso solo ed esclusivamente ai segna-li non verbali. È altrettanto difficile pensare di rappresentare aspettiqualitativi degli oggetti o degli eventi (come, per esempio, “vecchio”,“lucido”, “intrigante”) attraverso questa unica modalità. Questa condi-zione è dovuta al fatto che la “CNV presenta un grado limitato di astra-zione, pur essendo convenzionalizzata”. Ecco perché secondo Anolli, laspecie umana, al pari di altre specie animali, fa ricorso in maniera con-tinua e sistematica alla CNV, per ragioni essenzialmente relazionali.Infatti, alla CNV è affidata in modo predominante la componente rela-zionale della comunicazione. È necessario ricordare infatti, che lacomunicazione è costituita da una componente proposizionale cheinforma su “che cosa” viene comunicato, cioè sui contenuti e le cono-scenze condivise con l’interlocutore, e da una componente relazionale,che stabilisce “come” un’informazione viene comunicata. Questa fun-zione prioritaria assunta dalla CNV si esplica nei seguenti modi:A. I segnali non verbali concorrono a generare e a sviluppare un’in-terazione con gli altri; il contatto visivo, il sorriso, il tono della voceo una sequenza di gesti possono favorire l’avvio di uno scambio comu-nicativo e di una conoscenza anche fra estranei; in funzione delladisponibilità psicologica reciproca, tale avvio può proseguire nel corsodel tempo e diventare un rapporto più profondo di vicinanza e di inti-mità;B. I segnali non verbali risultano fondamentali nel mantenere e rinno-vare le relazioni nel corso del tempo; una volta stabilita la relazionecon un’altra persona infatti, essa va alimentata in continuazione attra-verso gli scambi comunicativi. “Una relazione non può vivere nelvuoto ma va costantemente sostenuta con segnali che confermino erafforzino il tipo di relazione in atto fra due o più persone, sia essa didominanza o di amore o di cooperazione”;C. Inoltre, i segnali non verbali sono particolarmente efficaci nel cam-biare una relazione in corso; infatti non è detto che un certo tipo direlazione debba rimanere immutata nel corso del tempo. Il cambiamen-to psicologico delle relazioni passa in modo prevalente attraverso ilcambiamento dei segnali non verbali che alimentano e regolano le rela-

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zioni stesse. Infatti, la modificazione dei gesti, dello sguardo, delle qua-lità della voce ecc. è conforme e proporzionale con la modificazione diun certo tipo di relazione. “Per esempio, nel passaggio da una relazio-ne di sottomissione a una di dominanza, in numerose specie animali,compresa quella umana, i segnali non verbali di potere, di forza e diaggressione, attivati dai neurotrasmettitori (come l’aumento dell’adre-nalina e la riduzione dei cortisolo), indicano un nuovo assetto socialedei ranghi degli individui”;D. Infine, anche l’estinzione di una relazione, di norma, è gestita eregolata dalla CNV. In questa condizione si assiste a una riduzione pro-gressiva o ad una interruzione repentina dei contatti, a una presa didistanza fisica, a una diminuzione degli aspetti affettivi.L’autore inoltre, afferma, che i sistemi non verbali sono in parte appre-si dalla propria cultura di appartenenza e sono, a loro volta, modifica-bili nel corso del tempo. È possibile, infatti, intervenire sulle modalitàcomunicative non verbali e procedere ad una vera e propria “educazio-ne al non verbale”, finalizzata a migliorare le capacità di gestione dellarelazione, come avviene già in teatro e nello spettacolo o nel training dipolitici e manager. Essa riguarda infatti l’impostazione della voce edella gestualità, la regolazione della mimica facciale, dello sguardo edella postura.La comunicazione non verbale, che risulta fondamentale sul piano rela-zionale, interviene anche in diversi ambiti psicologici, all’interno deiquali svolge particolari funzioni:A. La manifestazione delle emozioni: la CNV svolge un ruolo impor-tantissimo nell’esprimere le emozioni. La voce, la mimica facciale, losguardo, i gesti, la postura, la distanza fisica ecc. convergono insiemeagli aspetti linguistici per manifestare una data esperienza emotiva, infunzione di un determinato contesto di interazione. Questo medesimoquadro di segni non verbali consente di operare di opportune inferenzeper procedere all’attribuzione di una certa emozione all’interlocutore(Anolli, 2002; Belelli, 1995);B. La manifestazione delle relazioni di intimità: in questo tipo direlazioni la distanza interpersonale diventa molto ridotta, aumentano lafrequenza e l’intensità dei sorrisi, dei contatti oculari e corporei, lo spa-zio prossemico si riduce e la voce diventa flessibile, modulata e calda;anche il ritmo degli scambi diventa maggiormente sincronizzato.

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Tutti questi aspetti generano e incrementano il livello di armonia fra idue partner. Di norma, esiste una notevole differenza di genere poiché,se è la donna a comportarsi in modo amichevole e a prendere l’inizia-tiva dell’interazione, i suoi segnali non verbali sono percepiti come piùcompromettenti sul piano sessuale, rispetto ai medesimi segnali realiz-zati da un uomo. Anche quando una relazione di intimità si deteriora ediventa conflittuale, la CNV, segnala questo cambiamento: i partnerfanno ricorso a segnali non verbali stilizzati e stereotipati, spesso for-malizzati, improntati alla distanza, alla rigidità, all’incomprensione e acercare di evitare di assumersi le proprie responsabilità comunicative;C. La manifestazione della relazione di potere: la CNV nella specieumana, come per altre specie animali, assume una funzione essenzialenella definizione, nel mantenimento e nella difesa della relazione didominanza. Innanzitutto è l’aspetto esteriore, quindi l’abbigliamento,l’altezza e la dimensione corporea, che suscita la percezione di potere.Un chiaro segnale non verbale di dominanza è rappresentato dallapostura espansiva e rilassata, con la disposizione asimmetrica degli artisuperiori e inferiori, mentre invece chi è in posizione di sottomissionetende a mantenere una configurazione rigida e simmetrica, collegatacon uno stato di tensione e di ansia. Chi è sottomesso esibisce il sorri-so in modo più frequente, e nei momenti chiave della conversazionetende a distogliere lo sguardo; chi è dominante invece, mantiene un’e-spressione facciale più seria, con il mento proteso in avanti, guarda piùa lungo l’interlocutore, mentre parla tende ad articolare in modo piùchiaro le parole, la sua voce presenta un ritmo veloce, un volume abba-stanza elevato e un tono basso, nella conversazione interviene più spes-so, tiene il turno di parola per una porzione di tempo più lunga, inter-rompe più frequentemente gli altri e fa prevalere il suo ritmo di eloquio.Anche la territorialità è un segno non verbale importante di potere. Chi è dominante segnala la sua posizione mediante un uso attento dellospazio: egli dispone di uno spazio personale più ampio che rende pocoaccessibile gli altri. Ad esempio nelle aziende, chi è dominante lavora in un ufficio piùgrande e meglio arredato, nel corso delle riunioni occupa la posizionefocale, fa ricorso a una serie di segnali visibili (dall’auto aziendale aiquadri appesi alle pareti ecc.) per confermare la sua posizione di domi-nanza.

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Grazie a questa serie di segnali non verbali, la relazione di potere puòessere mantenuta in termini impliciti, come qualcosa di scontato e diacquisito, che non può essere messo in discussione;D. La comunicazione persuasiva: questo tipo di comunicazione ha loscopo di influenzare e modificare lo stato mentale (credenze, valori,atteggiamenti ecc.) degli altri. Essa svolge una funzione basilare per laformazione della rete di rapporti all’interno di un gruppo, poiché servea mantenere l’identità del gruppo, a impedire movimenti di devianza, ainfluenzare i processi di decisione. L’efficacia della comunicazionepersuasiva consiste nella capacità di cambiare gli atteggiamenti deidestinatari dell’atto comunicativo, in condizioni di assoluta libertà enon di costrizione. Questo processo è notevolmente influenzato dall’impiego di una seriedi segnali non verbali: “ Chi guarda di più l’interlocutore, lo tocca lie-vemente ogni tanto, non si tiene distante da lui e veste in modo conven-zionale o elegante ha maggiore probabilità di ottenere condiscendenzae di avere successo nella sua azione di comunicazione persuasiva”.Secondo Bonaiuto e Maricchiolo (2003) i comportamenti non verbali,assumono diverse funzioni all’interno dell’interazione sociale. Essi sono impiegati sia per inviare messaggi, sia per interpretarli; ancheper la CNV esiste quindi una codificazione da parte del mittente e unadecodificazione da parte del ricevente. Purtroppo però, a differenza della comunicazione verbale, nella CNVnon esistono, codici stabiliti e universalmente condivisi che regolariz-zino i due processi di codificazione e decodificazione. Ciò porta, nellacomprensione dei messaggi, ad un’ambiguità potenzialmente maggio-re rispetto a quella che si potrebbe verificare tra due parlanti nel corsodi una conversazione. I due autori, prima di elencare le innumerevolifunzioni assunte dalla CNV, si sono soffermati ad analizzare la diatribainerente all’intenzionalità comunicativa dei segnali non verbali: il que-sito che si sono posti è il seguente: “I comportamenti non verbali pos-sono essere considerati realmente comunicativi?”. Per rispondere aquesta domanda essi hanno esaminato tutta la letteratura al riguardo ehanno riportato i dati ottenuti: alcuni studiosi del settore, sostengonoche tutti i comportamenti non verbali potrebbero essere consideraticomunicativi.

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Altri studiosi, invece, sostengono che solo i comportamenti realizzaticon “l’intenzione” di comunicare, possono essere considerati comuni-cativi. Entrambi questi punti di vista sono stati criticati da altri autori, iquali hanno sostenuto che, affinché un comportamento non verbale siaconsiderato comunicativo, è necessario dimostrare che esso venga utiliz-zato sia per trasmettere sia per ricevere informazioni: essi hanno utiliz-zato i concetti di “codificazione sistematica” e “decodificazione appro-priata”. Per quanto riguarda l’intenzione comunicativa, infatti, è diffici-le stabilire esattamente se una persona che esegue un determinato com-portamento non verbale intende comunicare qualcosa e che cosa. Il mit-tente, d’altronde, può essere consapevole o meno, ossia, può o menoavere l’intenzione di comunicare, ma il suo comportamento non verba-le può comunque assumere dei significati indipendentemente dalla suavolontà. Sembra, dunque, più indicato non parlare di separazione tracomportamento comunicativo e non comunicativo, bensì accettare laproposta di Ricci Bitti (1987) di un continuum, detto “scala di specifi-cità comunicativa”, a un estremo del quale troviamo i comportamentistrettamente “comunicativi” e all’altro i comportamenti puramente“espressivi”. La comunicazione non verbale, infatti, può anche andarecontro le reali intenzioni espresse dal decodificatore. Per esempio, negli studi di Bull (1987) sugli atteggiamenti e le emozio-ni degli ascoltatori espresse attraverso la postura, durante un’interazionecomunicativa, è stato dimostrato che alcune posture sedute, caratteristi-che della noia, includono, rilassarsi all’indietro, lasciar cadere la testa sulcollo o appoggiarla a una mano e allungare le gambe. Però una personadell’uditorio può mostrare, al parlante o a un altro osservatore, questicomportamenti senza nessuna consapevole intenzione di comunicare ilsuo stato di noia; anche se, questo può essere il messaggio che il par-lante o l’oratore riceve. D’altra parte, un ascoltatore può anche tentaredi sopprimere questi segnali “spia” cercando di apparire il più attentopossibile e tuttavia potrebbe non riuscire a sopprimere uno sbadiglio“accidentale”. Al parlante, dunque, l’ascoltatore potrebbe anche comu-nicare di essere annoiato dal discorso, a dispetto delle sue miglioriintenzioni di non esserlo e/o di non comunicarlo. Inoltre, non sempre lepersone sono realmente consapevoli di quali segnali, verbali o non ver-bali, utilizzano per formarsi un’impressione sul tipo di atteggiamento odi emozioni che caratterizzano la persona con cui stanno interagendo.

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Questa concezione è suffragata anche dagli studi sulla dilatazione dellapupilla. Questo segnale infatti, indica uno stato di eccitazione e di inte-resse; le pupille delle donne tendono a dilatarsi di fronte a immagini diuomini attraenti o di madri con i propri bambini; le pupille degli uomi-ni, invece, tendono a dilatarsi alla vista di immagini di donne attraenti èstato dimostrato che quando gli uomini guardano immagini di donneattraenti che hanno le pupille dilatate, le loro pupille tendono a dilatarsimaggiormente rispetto a quando guardano immagini delle stesse donneche non abbiano le pupille dilatate. Gli stessi uomini, inoltre, dichiaranodi non notare alcuna differenza tra le due immagini. Dunque, inconsape-volmente, gli uomini sono più attratti da quelle donne che danno lorol’impressione di essere interessate a loro; ciò implica che la dilatazionedelle pupille è un segnale non verbale utilizzato inconsapevolmente siada parte del “codificatore” sia del “decodificatore”, per la comunicazio-ne e l’interpretazione delle intenzioni altrui e per la creazione dell’im-magine dell’altro. Inoltre, questo segnale, essendo una risposta automa-tica del sistema nervoso, non è sotto il diretto controllo della volontà,dunque non può neanche essere considerato una forma di comunicazio-ne intenzionale.Anche Argyle (1992) afferma che “sfortunatamente è molto difficiledecidere se un particolare segnale non verbale si propone di comunica-re o no: ci sono comunicazioni che sono motivate, senza però una pre-cisa consapevolezza dell’intenzione. Un criterio è quello di vedere se ilsegnale è modificato o no in funzione delle condizioni (per esempioquando si telefona invece di comunicare de visu), o se il segnale vieneripetuto anche quando non ha alcun effetto. Un altro criterio è quello diverificare se l’emittente varia o no il suo segnale, allo scopo di provo-care la risposta corretta del destinatario”. In molti casi, però, i segnalinon verbali sono una miscela di “espressione spontanea e intenziona-lità comunicativa”. D’altra parte, l’autore sostiene che “la distinzionetra segnali consci e inconsci è una questione di grado e vi possono esse-re gradi intermedi di consapevolezza”. Tornando a parlare delle funzio-ni della CNV, Bonaiuto e Maricchiolo (2003) affermano che i segnalinon verbali, vengono utilizzati dalle persone soprattutto durante le inte-razioni sociali. Ciò significa che la CNV assume funzioni importantinelle varie situazioni interattive, tant’è che essa può essere considerata

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un “linguaggio di relazione”. La loro ricerca, dunque, si è focalizzataampiamente sul ruolo della CNV nell’interazione sociale, che secondogli autori, si esplica attraverso le seguenti funzioni:- caratterizzazione delle relazioni interpersonali;- presentazione di sé;- persuasione, dominanza, potere e status;- differenziazione individuale di personalità e di genere;- espressione e riconoscimento delle emozioni;- comunicazione di atteggiamenti interpersonali;- CNV nel linguaggio verbale.Questa classificazione prende spunto dalle descrizioni e dagli approfon-dimenti di Argyle (1992), di Bull (2002), di De Paulo e Friedman (1998)i quali però non hanno fatto riferimento ad alcun tipo di criterio classifi-catorio esplicito.

A. Caratterizzazione delle relazioni interpersonali: infatti il ruolodei segnali non verbali, nel definire il tipo di relazione interpersonaleche si realizza durante le interazioni sociali, assume un’importanzacentrale. Ekman e Friesen (1969), ad esempio, parlano del comporta-mento non verbale come di un “linguaggio di relazione” utilizzato persegnalare i cambiamenti di qualità nello svolgimento dei rapporti inter-personali. La CNV è fondamentale, dunque, non solo nel generare esviluppare le relazioni con gli altri, ma anche nella percezione dall’e-sterno delle relazioni stesse. Alcuni studi hanno dimostrato che se sichiede a degli osservatori, di giudicare il tipo di rapporto che esiste tradue persone che interagiscono in un video, i loro giudizi cambiano,risultando più o meno vicini all’autopercezione dei partecipanti all’in-terazione, a seconda del mezzo utilizzato per osservare l’interazionestessa. Lo studio ha dimostrato infatti, che quando gli osservatori esprimeva-no giudizi sull’interazione, osservandola solo attraverso il video, senzaaudio e senza trascritto del verbale, questi giudizi correlavano positiva-mente con i punteggi di valutazione sulla relazione, dati dagli stessiinteragenti, a fine interazione. Le correlazioni erano più basse in casodi osservazione attraverso il solo trascritto verbale della conversazione,in caso di osservazione attraverso il video e il trascritto e in caso diosservazione attraverso il video e l’audio.

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Ciò significa che gli indici non verbali hanno una rilevanza notevo-le, anche maggiore di quella degli indici verbali, nell’influenzare lapercezione e il giudizio sul tipo di rapporto che esiste tra due perso-ne. Altri studi hanno dimostrato che l’osservatore può cogliere il tipodi rapporto che c’è tra una persona e il suo interlocutore anche senzavedere quest’ultimo, vale a dire guardando solo il comportamentonon verbale del primo, durante l’interazione. Ad esempio, i bambini sono molto sensibili nella percezione del tipodi rapporto (amicizia, inimicizia, estraneità) che la madre intrattienecon un’altra persona, semplicemente guardando i segnali non verba-li della madre che interagisce con il suo interlocutore. La coordina-zione dei movimenti tra le persone, è un altra importante caratteristi-ca delle relazioni interpersonali: il processo secondo cui, duranteun’interazione, parlante e ascoltatore sembrano muoversi in armoniaviene detto “sincronia interazionale”. Tale fenomeno sembra essereuna caratteristica specifica delle interazioni intime e familiari di tipoquotidiano. Un concetto simile è la “congruenza posturale”: duranteinterazioni familiari e amichevoli, le persone adotterebbero posturesimili; questo sta a significare la similarità delle opinioni e dei ruolidelle persone; mentre una “non congruenza posturale” suggeriscedivergenze marcate tra le persone, sia negli atteggiamenti che nellostatus sociale.Alcuni studi, addirittura, distinguono tra “postura speculare” (in cuila parte sinistra del corpo di una persona è in posizione identica allaparte destra dell’altra e viceversa) e “postura identica” (il lato destrodi una persona è uguale al lato destro dell’altra e il sinistro è ugualeal sinistro), dimostrando che nei rapporti più positivi, le postureassunte dagli interagenti sono principalmente di tipo speculare piut-tosto che identico. Inoltre, da parte di osservatori esterni, le intera-zioni dove sono presenti posture speculari piuttosto che identiche onon sincrone, vengono percepite come indice di buoni rapporti tragli interagenti. Anche il concedere, durante una conversazione, feed-back costanti al parlante da parte dell’ascoltatore, circa il suo livel-lo di attenzione e di interesse, ma anche di accordo/disaccordo, for-nisce indicazioni eloquenti sul tipo di relazione esistente tra i due. Ilfeedback continuo da parte dell’ascoltatore, essendo rappresentato

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per la maggior parte da segnali non verbali (cenni del capo, vocalizza-zioni, gesti ect...), rappresenta una funzione importante della CNV.Infatti, in presenza di molti feedback da parte dell’ascoltatore, aumen-ta, dal punto di vista di un osservatore esterno, la percezione di positi-vità del rapporto, mentre dal punto di vista degli stessi interagenti, siaccresce il grado di soddisfazione della relazione. La soddisfazionenella relazione è un predittore importante dell’abilità delle persone ariconoscere il significato dei messaggi inviati dal proprio interlocutoreattraverso gli indicatori non verbali. Molti studi, svolti in contesti matri-moniali, hanno dimostrato che le coppie felici e con maggior grado disoddisfazione nella relazione, riconoscono più facilmente i segnali nonverbali del proprio partner, rispetto alle coppie infelici oppure con bassipunteggi di soddisfazione del rapporto. Sembrerebbe dunque che ladecodifica della CNV possa essere impoverita oppure ostacolata dall’in-soddisfazione della relazione;

B. Presentazione di sé: il linguaggio del corpo, rivela anche gli atteg-giamenti personali verso la propria immagine e partecipa alla presenta-zione di sè agli altri. La metafora di Goffman (1969) dell’uomo comeattore che interpreta una “parte” mostrando al “pubblico” l’immaginemigliore di sé, illustra bene questo tipo di funzione comunicativa. Una questione importante da considerare quando si parla di comporta-menti non verbali che trasmettono indici di presentazione di sé è, quan-to e in che modo le impressioni di sé che si vogliono trasmettere aglialtri siano più o meno consapevolmente controllate. Secondo il sensocomune, le persone considererebbero la maggior parte degli indici nonverbali, come espressioni incontrollate di reazioni spontanee. Ma ciònon è ritenuto del tutto vero da molti ricercatori: De Paulo (1992), peresempio, sostiene che nelle interazioni sociali, le persone esercitano uncerto controllo sui loro comportamenti non verbali, come nel caso incui gli adulti, molto spesso, tendono a controllare le proprie emozionidavanti agli altri. Il grado in cui le persone controllano le impressionidi sé che trasmettono agli altri, varia, come notato da Leary (1995),passando attraverso i seguenti stadi:- “l’oblio dell’impressione”, quando le persone sono completamenteincuranti e non coscienti delle impressioni che suscitano negli altri;

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- “un’analisi preattentiva dell’impressione”, quando la consapevolezzadelle reazioni degli altri sopraggiunge senza un vero e proprio proces-so di attenzione;- “la consapevolezza dell’impressione”, quando le persone pongonoattenzione alle impressioni di sé che stanno trasmettendo;- “la focalizzazione sull’impressione”, quando le persone sono comple-tamente concentrate sulle impressioni di sé che trasmettono agli altri.Le persone che si trovano interamente in quest’ ultimo stadio, sono sologli attori, i truffatori e/o le persone “comuni” in particolari situazioniinterattive (come, ad esempio, i colloqui di selezione o i primi incontri,in cui l’impressione che si vuole trasmettere di sé diventa fondamenta-le per l’esito successivo dell’interazione stessa). Ma, nella maggior partedei casi, i segnali non verbali comunicano messaggi sulla presentazione disé in condizione di bassa consapevolezza. I comportamenti non verbaliriguardanti la presentazione di sé, variano notevolmente e significativa-mente con il variare delle caratteristiche delle persone cui sono indirizza-te, ma anche in base alle situazioni e alle circostanze in cui un soggetto sitrova. Ad esempio, quando si deve chiedere aiuto a un estraneo, si tendemaggiormente a imitarne la postura oppure a sorridere più frequentemen-te o a guardare negli occhi il potenziale soccorritore, allo scopo di farebuona impressione sull’altro e provocare un atto benevolo da parte sua. Non sempre, comunque, è facile realizzare una regolazione efficace deicomportamenti non verbali allo scopo di trasmettere impressioni di séall’altro. Ci sono infatti alcune eccezioni: qualche volta le persone nonsanno quali siano i comportamenti non verbali più utili per trasmettereinformazioni su se stessi, e anche quando lo sanno, non sempre sonocapaci di produrre deliberatamente questi comportamenti, né di inibirecomportamenti inefficaci per i loro obiettivi (De Paulo, Friedman,1998). Alcuni problemi nella regolazione dei comportamenti non ver-bali sono dovuti alle caratteristiche particolari di tali indicatori. Ad esempio, non è facile monitorare il tono della voce o le espressionidel viso, dato che le persone non possono guardare il proprio viso oascoltare la propria voce nello stesso modo in cui lo fanno gli altri.Altre incertezze nella regolazione dei propri messaggi non verbali pos-sono essere originate da caratteristiche fisionomiche o espressive pro-prie della persona: ad esempio, un viso dalle caratteristiche fisiche

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infantili diventa svantaggioso quando lo scopo della persona è quellodi apparire severa e rigorosa. Esistono poi degli indicatori non verbalidinamici che è quasi impossibile utilizzare “a comando”, quando ecome si vuole. Per esempio, Ekman (1985) ha notato che il sollevamen-to e la tensione insieme di entrambe le sopracciglia, che si verificanoquando si è impauriti, sono per molte persone impossibili da simularequando non sono realmente spaventate. Inoltre, contribuiscono al suc-cesso espressivo non verbale, anche la motivazione e la sicurezza: unlivello moderato di motivazione può essere utile nell’alimentare losforzo e l’attenzione necessaria a produrre performance non verbaliconvincenti. La questione della regolazione deliberata dei comporta-menti non verbali, porta dunque inevitabilmente ad analizzare anche il“fenomeno dell’inganno”, che si verifica nel momento in cui un sog-getto vuole comunicare, anche attraverso altri canali, informazioni sudi sé che non sono vere. Nell’inganno, la CNV assume un ruolo premi-nente, in quanto molti degli indicatori che possono svelarlo, sono ditipo non verbale. Lo stesso Freud (1970), ad esempio, sosteneva che“tutto il corpo (ogni poro) è capace di svelare ciò che è tenuto nascostodalla bocca”. Il comportamento non verbale riveste infatti un ruolo par-ticolarmente importante nella valutazione della menzogna, in quanto losi ritiene più spontaneo e più difficile da dissimulare o fingere: così nelcaso in cui si ricevano messaggi verbali in contraddizione con quellinon verbali, si tende generalmente a considerare più affidabili i secon-di. Tuttavia, alcune strategie, sia verbali sia non verbali, possono esse-re utilizzate ai fini della “copertura” della menzogna da parte dell’emit-tente. Un esempio può essere quello di ridurre o intensificare le emo-zioni in modo esagerato; oppure si può falsificare un’espressione emo-tiva simulando uno stato d’animo non realmente provato oppure neu-tralizzarne l’espressione per non mostrare nulla di quanto si sente. Chi mente, a volte, quando si accorge di essere sospettato, controllameglio il proprio comportamento non verbale e vocale. Molti studihanno infatti mostrato che chi dice una bugia produrrebbe significati-vamente meno gesti delle mani e movimenti del corpo di quando inve-ce dice la verità. Ekman (1985) sostiene che, se da una parte, quando simente, diminuiscono i movimenti maggiormente visibili e controllabi-li del corpo, dall’altra, quando si dice una bugia, si verificherebbero in

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chi mente dei micromovimenti, soprattutto del viso e dei muscolisovraoculari, i quali rivelerebbero la menzogna.

C. Persuasione, dominanza, potere, status: la funzione di persuasi-vità della CNV è legata al fenomeno della menzogna. Infatti, menten-do, si cerca di convincere gli altri di qualcosa che non è vero, e perpoterlo fare è importante che lo stile comunicativo utilizzato sia di tipopersuasivo. Persuadere il proprio interlocutore non significa solo con-vincerlo eventualmente su ciò che è falso, come nel caso della menzo-gna, ma anche esercitare su di lui una certa influenza sociale o una“dominanza comunicativa”. Dominare, nell’interazione comunicativa,significa, influenzare la condotta degli altri, portare gli individui a svol-gere un compito o ad accettare un’idea, secondo le proprie preferenze.Infatti, durante un’interazione, un soggetto con uno stile comunicativopersuasivo, assume un ruolo dominante, quindi centrale rispetto aglialtri partecipanti. Lo stato di leadership esercitato, si manifesta attra-verso una serie di tipici indicatori non verbali: innanzitutto, l’apparen-za fisica, in termini di altezza, costituzione e abbigliamento, giocano unruolo predominante; inoltre gli individui di status più elevato, si impe-gnano maggiormente in contatti fisici rispetto a soggetti di status infe-riore, utilizzano maggiormente il proprio spazio personale, utilizzanodelle “intrusioni fisiche” (incluso il toccare o colpire gli altri), assumo-no posture più “aperte” e rilassate, sorridono di meno, tendono a guar-dare maggiormente gli altri mentre loro stessi parlano, piuttosto chementre ascoltano e accompagnano il loro discorso utilizzando dei gestifinalizzati ad enfatizzarlo. Queste osservazioni sono supportate da nume-rosi studi che hanno analizzato alcuni discorsi tenuti da politici (Heritage eGreatbatch, 1986; Atkinson, 1984 ; Bull, 1986; Ghiglione, 1989; Ancora,Argentin, Ghiglione e Dorna, 1990).

D. Differenziazione individuale e di genere: comunicare aspetti dellapropria personalità, ha un’importanza considerevole nelle interazionisociali, ma anche intuire l’identità degli altri è determinante per capirecome bisogna interagire: i segnali non verbali possono essere una risor-sa da cui trarre informazioni sull’identità personale e sociale del nostrointerlocutore (Argyle, 1992).

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D’altra parte esiste anche un consistente numero di differenze di gene-re nel comportamento non verbale, le quali possono essere utilizzateper ricavare informazioni sull’identità di genere degli altri (Bull, 2002).Le donne sono, in generale, più brave degli uomini nel decodificare e,quindi, interpretare gli indici non verbali e codificano in modo piùchiaro i propri messaggi non verbali, vale a dire che sono anche piùespressive e il loro comportamento non verbale è più facilmente inter-pretabile. Esse, guardano maggiormente le altre persone, sorridono dipiù, preferiscono distanze interpersonali minori e utilizzano movimen-ti del corpo distintivi (Bull, 2002). Tali comportamenti non verbali caratteristici, hanno un’importanzaspecifica nel trasmettere informazioni circa l’identificazione sessualedelle persone. Ad esempio, il modo di tenere le braccia (l’angolo frabraccio e avambraccio è minore di 135 gradi nella donna) quando sicammina oppure il modo di trasportare gli oggetti (ad esempio, i librisul fianco nell’uomo, sulle braccia nella donna), oppure i tipi di gesti,sembra che servano come segnale di identificazione di genere. Le dif-ferenze tra uomini e donne nella CNV sono state generalmente inter-pretate come una funzione dei loro ruoli nella società. Le abilità didecodifica nella donna possono essere dovute alla sua posizione diinferiorità nella società. Dato questo basso potere sociale, le donnedevono stare più attente ai messaggi contenuti nei comportamenti nonverbali degli altri e contemporaneamente devono sviluppare modi piùsottili per esercitare un’influenza sociale. Allo stesso modo, cioè inquanto atteggiamenti di sottomissione, può essere interpretato il mag-gior uso del sorriso, dello sguardo e una minore distanza interpersona-le da parte della donna. Un’altra interpretazione delle differenze digenere nell’utilizzo della CNV sostiene che le donne sarebbero stateeducate a essere più compiacenti nei riguardi degli altri. Tuttavia le dif-ferenze di genere nella codifica/decodifica della CNV non sono spiega-bili solo in termini di potere o di socializzazione dei ruoli sessuali, per-ché anche tra i neonati, le femmine guardano significativamente più alungo un adulto rispetto ai maschi. Inoltre, non esistono soltanto delledifferenze di genere nell’utilizzo dei segnali non verbali. Le personedifferiscono molto anche individualmente, ad esempio nel grado in cuitrasmettono informazioni attraverso indicatori non verbali: alcuni sonoaltamente espressivi, altri meno.

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Sono stati identificati (Jone, 1960) due pattern distinti di espressivitàche si riferiscono rispettivamente a coloro che “internalizzano” leespressioni non verbali (internalizers) e a coloro che invece le “ester-nalizzano” (externalizers). I primi mostrano conduzioni galvanichedella pelle molto alte, un comportamento sobrio e vengono giudicaticalmi e posati nelle loro relazioni sociali; i secondi hanno più bassaconduzione galvanica, tendono ad essere più loquaci e animati,mostrando maggiore attività motoria. In accordo a ciò, le espressioninon verbali degli externalizers sono più facilmente riconoscibili rispet-to a quelle degli internalizers. Infatti, osservatori esterni riescono conmaggiore precisione a interpretare le emozioni trasmesse dalle espres-sioni facciali degli externalizers. Oltre che nella codifica, esistono delledifferenze individuali anche nella decodifica degli indici non verbali.Ciò è importante nelle relazioni sociali in quanto, se le persone non rie-scono a decodificare i segnali non verbali appropriatamente, l’impor-tanza del significato di tali segnali come forma comunicativa, “potreb-be essere limitata ad alcune porzioni della popolazione” (Bull, 2002).Alcuni indici non verbali di disapprovazione, ad esempio, potrebberorisultare inutili su individui non sensibili a un tale tipo di comunicazio-ne. In questo caso, la CNV perderebbe ogni potere comunicativo e lasua importanza come sistema di comunicazione dipenderebbe dallecapacità percettive e di decodifica di colui che riceve il messaggio. Peridentificare queste differenze individuali nelle abilità di decodificasono stati effettuati diversi strati attraverso la somministrazione del testPONS (Profile Of Non verbal Sensitivity, Rosenthal, 1979). Questistudi hanno dimostrato che esistono delle differenze nella decodificadella CNV rispetto all’età (la sensibilità non verbale è maggiore negliadulti rispetto ai bambini), al genere (le donne sono più sensibili che gliuomini), alla psicopatologia (i pazienti psichiatrici sono meno sensibi-li delle persone “normali”), alla cultura. In quest’ ultimo caso, alcunericerche svolte negli Stati Uniti, hanno trovato una differenza tra ame-ricani e non americani: questi ultimi risulterebbero meno sensibili, conpunteggi comunque molto alti. Un altro importante aspetto individualeè la personalità. Tra i primi studi sulla personalità e lo stile espressivo,figurano quelli di Allport (1961), il quale distingueva i comportamentiespressivi, dall’espressione delle emozioni.

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“L’espressività rappresenta la facilità con cui i sentimenti e le emozionidelle persone possono essere letti dai loro comportamenti non verbali,quando non cercano di comunicare deliberatamente i propri sentimentiagli altri.” Dunque, il modo di utilizzare il proprio corpo per comunica-re, trasmette informazioni sulla propria identità anche a livello di tratti ecaratteristiche di personalità;

E. Espressione e riconoscimento delle emozioni: una delle principalifunzioni della comunicazione non verbale è quella di esprimere emo-zioni. I segnali non verbali emessi in modo spontaneo e costante mani-festano con molta efficacia gli stati emotivi di una persona e sonomolto più espliciti delle parole (Mehrabian, 1972): nonostante i tenta-tivi di controllo o di dissimulazione delle emozioni, infatti, i segnalinon verbali possiedono, rispetto al linguaggio, una maggiore efficaciacomunicativa e veridicità grazie alla loro maggiore visibilità, e inoltrepossono essere controllati consapevolmente in misura minore rispettoalle parole. “Inoltre, se la comunicazione delle emozioni fosse affidataesclusivamente al sistema verbale, esse non avrebbero la possibilità diessere espresse in modo completo, in quanto anche le emozioni comu-nicate verbalmente possono assumere significati differenti a secondadel comportamento non verbale che accompagna l’enunciato (Anolli,2002)”. Ci sono però canali che rivelano meglio di altri le emozioni: ilvolto, in particolare le espressioni facciali e lo sguardo, non essendodirettamente controllabili dall’emittente, possono essere considerati ipiù importanti veicoli per l’espressione degli stati emotivi. Un altrocanale, difficilmente controllabile, che, quindi può rivelare meglio leemozioni è la voce. Segnali ben visibili di uno stato di nervosismosono, ad esempio, il tremolio della voce e l’abbassamento del tono;l’imbarazzo è contrassegnato da un rallentamento nella pronuncia deglienunciati, pause più frequenti e più lunghe tra una locuzione e l’altra,diminuzione del tono e del volume della voce. Le emozioni più comu-ni, comunque, sono espresse dall’intero complesso dei segnali non ver-bali. In generale però, le espressioni facciali delle emozioni sono quel-le che sono state più studiate e che hanno suscitato maggiore interesse,specialmente per quanto riguarda il dibattito sul loro carattere univer-sale/culturale, in modo particolare per le emozioni di base (gioia, tri-stezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa) descritte da Ekman (1972).

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Secondo il modello neuroculturale delle espressioni emotive (Ekman,1972), queste possono essere modificate attraverso l’apprendimento dinorme culturali che regolano le modalità di espressione delle emozioninei diversi contesti sociali. Queste regole sono chiamate da Ekman“display rules” (regole di esibizione). Esistono, dunque, quattro modicon i quali un’emozione può essere modificata: attenuazione (riducendo-ne l’intensità), amplificazione (esagerandone l’intensità), nascondimen-to (adottando un’espressione neutra), sostituzione (mostrando un’espres-sione diversa rispetto a quella che si sta provando). Il modo in cui leemozioni sono modificate nei diversi contesti sociali viene appreso cul-turalmente. Ad esempio, i giapponesi, generalmente sostituiscono emo-zioni negative con espressioni di gioia quando interagiscono con altrepersone della stessa cultura, mostrandole invece, quando si trovano dasoli; mentre gli occidentali non nascondono segnali di sentimenti nega-tivi alla presenza di altre persone, anzi a volte tendono a esagerarli. Le espressioni facciali possono essere distinte anche in base al lorocarattere spontaneo o controllato. Da alcuni studi condotti su pazientiaffetti da paralisi dei movimenti facciali volontari, è risultato che ilsistema corticale media il comportamento volontario, mentre il sistemasottocorticale regola il comportamento involontario. Dunque, i com-portamenti corticali varierebbero da cultura a cultura (secondo ledisplay rules di Ekman), mentre i comportamenti sottocorticali sareb-bero universali (come le espressioni delle emozioni di base). I duesistemi, però, non agirebbero separatamente, bensì simultaneamente,ognuno influenzando a suo modo il pattern finale di contrazionemuscolare del viso durante l’espressione delle emozioni. Il modello neuroculturale ha rilevanti implicazioni sul significato chesi attribuisce alle espressioni facciali degli interlocutori. Se queste fos-sero soltanto innate, consentirebbero di comunicare in modo univoco echiaro le emozioni. Tuttavia, poiché è possibile apprenderne il control-lo attraverso le display rules, non è sempre facile capire se alcuneespressioni siano spontanee o simulate, genuine o false. Alcuni studi,comunque, come ad esempio quelli di Ekman e Friesen (1982) hannomostrato che, almeno in alcuni casi, è possibile identificare delle diffe-renze tra espressioni genuine e false. Per quanto riguarda i sorrisi, peresempio, quelli veri si distinguono da quelli falsi per le parti del viso

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che vengono attivate (angoli della bocca, zigomi e sopracciglia nel sor-riso vero; solo i primi nel sorriso falso) per la tempistica (il sorriso falsoappare troppo presto o troppo in ritardo e dura di più), per la forma (ilsorriso falso tende ad essere più asimmetrico di quello vero). Fridlund(1997) ha proposto un’alternativa al modello neuroculturale di Ekman,nei termini di ciò che egli chiama “behavioural ecology” (ecologiacomportamentale). Secondo tale modello, le espressioni facciali nonhanno un significato proprio, ma dipendono dai contesti sociali e sonomanifestazioni di intenzioni sociali. Secondo la behavioural ecologynon esistono né emozioni fondamentali, né espressioni fondamentalidelle emozioni, ma soltanto comportamenti, i quali sono manifestazio-ni di intenzioni sociali e sono influenzati dal contesto.

F. Comunicazione degli atteggiamenti interpersonali: anche perquanto riguarda gli atteggiamenti, i canali non verbali sembrano dotati dimaggiore efficacia comunicativa rispetto al linguaggio. Argyle (1992)sostiene che “gli indici non verbali influenzano i giudizi sugli atteggia-menti, molto più degli indici verbali, che svolgerebbero soltanto unafunzione di intensificatori, cioè rafforzerebbero la natura percepita delmessaggio”. In alcuni esperimenti è stata studiata la percezione degliatteggiamenti di amicizia e di ostilità. I primi sono stati codificati dallepersone attraverso un tono di voce caldo e dolce, un sorriso aperto, unosguardo reciproco, una maggiore vicinanza e contatto fisico, una postu-ra rilassata e aperta nei confronti degli altri; per trasmettere non verbal-mente atteggiamenti di ostilità, invece, i partecipanti alla ricerca hannoutilizzato voce dura e stridente, fronte aggrottata, sguardo accigliato,mostrando i denti e assumendo una postura tesa; invece gli atteggia-menti neutri sono stati espressi attraverso un tono di voce piatto,espressione del viso indifferente e sguardo vacuo e immobile. Tutti questi indicatori non verbali, sono risultati anche significativa-mente più efficaci rispetto al contenuto verbale nel trasmettere i rispet-tivi atteggiamenti interpersonali. Oltre alla dimensione amicizia/osti-lità, Argyle (1992) ritiene che esista un’altra dimensione di atteggia-menti nei confronti dei propri interlocutori, che può essere comunicatanon verbalmente: la dimensione dominanza/sottomissione, vale a diresuperiorità/inferiorità.

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Sono state condotte alcune ricerche con l’obbiettivo di studiare i segna-li non verbali di atteggiamenti di inferiorità e superiorità. Gli stiliimpiegati dai partecipanti alla ricerca, per trasmettere atteggiamenti disuperiorità, sono stati principalmente, un’espressione severa con testaalta; gli atteggiamenti neutri sono codificati con sorrisi sottili e posizio-ne dritta della testa; atteggiamenti di inferiorità sono codificati con sor-risi nervosi, testa bassa e movimenti veloci e continui nel corpo. Anchein questo caso, gli indicatori non verbali risultano essere più potentirispetto al contenuto verbale nella trasmissione e nel riconoscimentodei relativi atteggiamenti. In altri studi più approfonditi, è stato notatoche i segnali non verbali sono maggiormente presi in considerazionedai decodificatori per l’interpretazione di atteggiamenti interpersonali,soprattutto quando sono incoerenti con il contenuto del messaggio ver-bale: in questi casi, il messaggio di atteggiamento trasmesso attraversocanali non verbali prevale sul contenuto del messaggio verbale;

G. CNV nel linguaggio verbale: il linguaggio e i segnali non verbalipur essendo considerati come aspetti differenti, all’interno di uno stessoprocesso comunicativo dipendono e interagiscono l’uno con l’altro.Secondo questa prospettiva la comunicazione è vista come un “fenome-no multimodale”, cioè comprensiva di indici, verbali e non verbali, checaratterizzano lo scambio fra due o più interlocutori e che partecipanoalla costruzione del significato dell’atto comunicativo. Condon e Ogston(1966) affermano che “il corpo del parlante si muove in stretto coordi-namento con il suo parlato”, chiamando questa coordinazione self-syn-chrony (autosincronia); essa riguarda i movimenti di tutte le parti delcorpo, che accompagnano e sono connessi al parlato, come ad esempio,i movimenti ampi delle braccia che coincidono con accenti enfatici deltono della voce. Una prima funzione che gli aspetti non verbali posso-no assumere nella comunicazione, è quella referenziale. Essa è la fun-zione preminente della comunicazione, in generale, e consiste nelloscambio di informazioni tra gli interlocutori su un oggetto detto anche“referente”. Nonostante il canale privilegiato per questa forma di tra-smissione sia quello verbale, anche gli elementi non verbali possonoadempiere a tale funzione. Sherer (1980), sottolinea che i segnali nonverbali assumono una funzione referenziale sia, quando essi stessi

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“stanno per” un referente (come nel caso dei gesti simbolici che posso-no sostituire del tutto la comunicazione verbale, in quanto il loro signi-ficato è codificato in modo univoco entro una stessa cultura, sono diret-tamente traducibili in parole e hanno una funzione comunicativa espli-citamente utilizzata e riconosciuta come tale, ad esempio, mettere l’in-dice sulla bocca significa “silenzio”) sia, quando vengono utilizzati inco-occorrenza con il parlato, in questo caso il comportamento non ver-bale può sostenere, modificare, chiarire e completare il discorso. Ne sono alcuni esempi, le pause, usate per conferire importanza a undiscorso o per segnalare un momento di riflessione su ciò che vienedetto, i movimenti del capo, come scuotere vigorosamente la testa peraccompagnare le parole enfatiche “molto” o “grande”, i cambiamentidi postura che accompagnano durante una conversazione i cambiamen-ti di argomento, i gesti delle mani che vengono pianificati contempora-neamente all’enunciato e sono sincronizzati con le unità linguistiche.Ma anche lo sguardo nella conversazione è un elemento importante; inmolti studi infatti è stato dimostrato che “il parlato e la direzione dellosguardo risultano essere parti di un sistema comportamentale integra-to”. Un parlante, in una conversazione, deve eseguire contemporanea-mente diversi compiti cognitivamente impegnativi, tra cui pianificare eformulare le espressioni verbali, monitorare i propri interlocutori attra-verso segnali visibili che mostrano la comprensione di ciò che vienedetto. Quando la fluidità del parlante nel trasmettere le informazioni èridotta dal carico cognitivo, i cambiamenti nello sguardo possonoriflettere, momento per momento, il maggiore o minore sforzo di ela-borazione: in particolare, quando le esigenze di pianificazione del par-lato, sfruttano maggiormente le risorse cognitive, i parlanti distoglie-ranno lo sguardo dall’ascoltatore per ridurre gli stimoli visivi che siaggiungerebbero al carico del trasferimento dell’informazione.Un’altra funzione della CNV in relazione al linguaggio verbale è quel-la metacomunicativa, che riguarda il modo in cui il messaggio deveessere interpretato. Tale funzione consiste nel qualificare l’atto dicomunicazione stesso, vale a dire una comunicazione inerente allacomunicazione. Spesso infatti, quando si parla, non s’intende dire ciòche è trasmesso verbalmente con determinate parole o frasi, ma si chie-de all’interlocutore di “leggere tra le righe” di ciò che si sta dicendo:

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ciò significa che se il ricevente vuole capire quale sia realmente ilsignificato del messaggio trasmesso, deve interpretarlo tenendo contodi alcuni segnali non verbali co-occorrenti all’enunciato verbale. Così,una frase di rimprovero pronunciata con un sorriso può assumere unsignificato più mite; oppure, un divieto accompagnato da una strizzatad’occhio, è da interpretarsi come un permesso. In questi casi, è eviden-te che la CNV, assume un significato opposto al messaggio che si stainviando con le parole; e a volte questa sorta di contraddizione serveall’emittente per inviare informazioni all’altro sul proprio atteggiamen-to nei suoi confronti o sul tipo di relazione che vuole instaurare con lui.Inoltre, nello scambio comunicativo esiste una serie di regole che i par-tecipanti all’interazione dovrebbero rispettare per rendere efficace lacomunicazione. I segnali non verbali svolgono un’importante funzionedi regolazione dell’interazione e di controllo del flusso della conversa-zione. Essi veicolano, innanzitutto la turnazione, cioè i passaggi delturno conversazionale, come ad esempio l’interruzione dell’uso deigesti da parte del parlante che può essere usato per cedere il turno, macontribuiscono anche ad assolvere una funzione di feedback perentrambi gli interlocutori, come ad esempio alcuni cenni del capo chesottolineano interesse per la conversazione e fungono da rinforzo per ilparlante.

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2.5 RAPPORTO TRA COMUNICAZIONE VERBALE E NON VERBALE

Secondo Argyle (1992) esistono alcune ovvie e importanti analogie frail linguaggio e la comunicazione corporea. Entrambi sono modi dicomunicazione ed è molto difficile separare questi due sistemi, dalmomento che la comunicazione verbale è così strettamente legata aigesti, agli sguardi, alla qualità della voce. L’obiettivo che si pone l’au-tore è quello di individuare in che misura la CNV possiede le caratteri-stiche proprie di un linguaggio. Per rispondere a questa domanda, egliha analizzato alcuni degli aspetti chiave che contraddistinguono il lin-guaggio descrivendo fino a che punto siano condivisi con la CNV.· vocabolario: le lingue possiedono un vasto vocabolario di parole daisignificati generalmente condivisi, i segnali NV possiedono un vocabo-lario molto più ridotto; quello più esteso è quello di gesti. Inoltre lamaggior parte delle parole ha un significato arbitrario, mentre i segna-li NV sono prevalentemente iconici, cioè molto simili a ciò che rappre-sentano; i segnali non verbali che più si avvicinano al linguaggio sonoi gesti simbolici;· Dualità del modello: in tutte le lingue esistono due livelli di organiz-zazione: i suoni e le parole; i suoni sono fondamentalmente privi disignificato, ma possono combinarsi in una varietà di modi al fine di for-mare le parole. Le parole hanno un significato e a loro volta possonoessere variamente combinate a formare delle frasi (Lyons, 1972). La comunicazione corporea degli esseri umani non possiede questodoppio livello di organizzazione, piuttosto un certo numero di segnalidi significato simile vengono usati insieme, ad esempio vicinanza,sguardo, sorriso.· Sintassi: le lingue hanno delle regole grammaticali, in base alle qualile parole vengono ordinate in combinazioni e sequenze, al fine di tra-smettere un messaggio. Tuttavia, anche i segnali non verbali possono,essere combinati in una varietà di modi, veicolando significati più com-plessi: - gli animali combinano espressioni facciali e posturali, con la direzio-ne dello sguardo e la posizione spaziale, indicando chi è il destinatarioprescelto;- emozioni e atteggiamenti interpersonali sono di solito espressi da uninsieme armonioso di segnali attraverso l’espressione del volto, il tono

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della voce e così via. Infatti se viene presentato un modello incoerente,l’intero segnale viene considerato strano o buffo;- la presentazione di sé di solito implica un messaggio complesso,unacombinazione di segnali quali l’aspetto esteriore, la postura e l’orienta-mento spaziale, che pongono in rilievo particolari aspetti della perso-nalità del soggetto.· Significato: “il linguaggio, non è semplicemente un complicato tipodi comportamento vocale, esso ha un significato”, ossia comunica delleinformazioni a un’altra persona. “È vero che le espressioni hanno unaspetto illocutorio, cioè hanno la funzione di influenzare in qualchemodo il comportamento dell’interlocutore. Tuttavia, possono agire sol-tanto grazie al significato che comunicano”. La maggior parte dellaCNV non ha un significato in questo senso. Gli studiosi di semiotica,tuttavia, mettono in risalto che i segni hanno due tipi di significato:denotazione e connotazione. Essi denotano una classe di soggetti o dieventi e connotano l’insieme astratto di idee che definisce questa clas-se; la connotazione dipende infatti dal legame di un segno con altrisegni all’interno del sistema di comunicazione. Così, un gesto cheesemplifica un grosso pesce, rappresenta la classe del grande pesce einsieme connota questo determinato tipo di animale. La connotazioneimplica dei legami con gli altri concetti e agisce spesso in termini diopposizione (grande-piccolo) e di gerarchie di classi (il pesce come unaparte del regno animale). Inoltre, secondo Argyle, nella comunicazionecorporea vige il “principio dell’antitesi”, in base al quale un segnoassume il suo significato in contrapposizione ad un altro: ne sono unesempio i gesti per dire “sì” e “no” e l’espressione facciale di “disto-gliere lo sguardo” per indicare sottomissione, con il suo opposto “losguardo diretto” per segnalare un’azione di minaccia.· Il significato dipende dal contesto: il significato delle parole moltospesso dipende dal contesto, infatti intere frasi possono risultare ambi-gue se non è chiaro il modo in cui devono essere interpretate. Per ren-dere chiaro il significato di una frase ambigua occorre che sia specifi-cata la sua struttura profonda; per rendere chiaro il significato di unsegnale non verbale ambiguo occorre che siano mostrate le sequenze dieventi e la struttura della situazione. Ad esempio se una persona alza ilproprio dito, il significato di questo segnale dipende dal fatto che essa

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sia un arbitro ad un incontro di cricket, o un offerente a una venditaall’asta, o in qualche altra situazione, e dalla posizione di questo attonella sequenza complessiva dell’atto comunicativo.· Parti del discorso: i linguaggi gestuali hanno chiare somiglianze coni linguaggi verbali. I nomi, che designano oggetti o persone, possonoessere comunicati con gesti indicatori o illustratori. I verbi, che signifi-cano azioni, possono essere comunicati con le azioni stesse. Gli avver-bi sono rappresentati dal modo in cui queste azioni vengono compiute,le preposizioni (dentro, sotto, ecc.) con i gesti. Queste parti del discor-so possono essere messe insieme in sequenze che rappresentano le frasie possono essere dunque sostituite, anche da segnali non verbali.Secondo Anolli (2003) ogni atto comunicativo è prodotto dal mittentee interpretato dal destinatario, sulla base di una molteplicità di sistemidi significazione e di segnalazione. Infatti insieme al codice linguisti-co, chi comunica fa contemporaneamente riferimento a una serie coe-rente e unitaria di sistemi non verbali di significazione e di segnalazio-ne, come quello vocale, cinesico, prossemico e cronemico. Ognuno diquesti diversi sistemi contribuisce alla generazione e all’elaborazionedel significato di un atto comunicativo, producendo una specifica “por-zione di significato” che partecipa alla configurazione finale del signi-ficato stesso. Questa condizione è stata interpretata secondo due impo-stazioni sostanzialmente antitetiche: da un lato quella proposta dallapsicologia tradizionale, ritiene che esista una distinzione dicotomica fraciò che è linguistico e ciò che non è linguistico in un’ottica di antitesie di contrapposizione; dall’altro, l’impostazione elaborata più recente-mente, prevede un processo di integrazione e di interdipendenzasemantica fra i diversi sistemi di segnalazione, pur conservando ciascu-no la propria autonomia.

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2.5.1 LA CONTRAPPOSIZIONE FRA VERBALE E NON VERBALE

Nella psicologia tradizionale, la scoperta dell’importanza degli aspettinon verbali nella comunicazione, ha coinciso con l’ipotesi di unadistinzione dicotomica fa fra ciò che è linguistico e ciò che non lo è.Secondo questa teoria, la comunicazione è considerata come la sommafra le componenti verbali e quelle non verbali, ritenute entrambe auto-nome e non connesse in alcun modo fra loro. All’interno di questa pro-spettiva alcuni studiosi, fra i quali Birdwhistell (1970), hanno sottoli-neato il contributo essenziale delle componenti non verbali nella comu-nicazione e hanno sostenuto che il 65% del significato di un messaggioè veicolato proprio da queste componenti. Il non verbale, assumerebbequindi, un ruolo predominante nella determinazione del significato diun atto comunicativo, e la parte di significato prodotta da questo, sareb-be di gran lunga superiore a quella veicolata dal verbale. Al contrario,altri studiosi come Rimè (1984) hanno difeso la tesi opposta e hannoaffermato che il non verbale incide molto poco sul piano del significa-to, mentre interviene maggiormente sul piano affettivo ed emozionale.In questo senso “il non verbale è inserito dentro al linguaggio e costi-tuirebbe unicamente una sorta di coloritore del verbale. Il non verbaleaggiungerebbe soltanto sfumature di significato al linguistico che man-terrebbe così un valore primario ed esclusivo nella determinazione delsignificato In questa prospettiva la CNV avrebbe soltanto una funzionedi ancella rispetto al linguaggio”. Questa contrapposizione fra i sistemidi significazione e di segnalazione nella determinazione del significatodi un atto comunicativo, ha permesso di studiare in modo più approfon-dito le discrepanze esistenti fra il verbale e il non verbale; Anolli haindividuato delle differenze secondo tre assi fondamentali:· Funzione denotativa/Funzione evocativa: secondo questa distinzio-ne il codice linguistico esplica una funzione prettamente denotativa, inquanto è in grado di trasmettere informazioni e conoscenze sul mondoin modo preciso e definito; inoltre esso ha una funzione propriamentesemantica, in quanto designa e veicola i contenuti della comunicazio-ne; in altre parole il linguaggio ha il compito di informare su “che cosaviene detto”. Al contrario il non verbale svolge una funzione esplicati-va o connotativa, in quanto è caratterizzato dal fatto di essere sponta-

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neo e poco controllato dal soggetto; esso ha il compito di informaresulle modalità in base alle quali i contenuti sono veicolati, cioè sul“come viene detto”.· Arbitrario/Motivato: in base a questa distinzione il segno linguisti-co, in quanto combinazione di un significante (rappresentazione iconi-ca o acustica di un oggetto o di un evento, come la stringa di suoni/l-u-n-a/) e di un significato (rappresentazione mentale di quell’oggetto o diquell’evento come il concetto di “luna”) è considerato un segno arbi-trario, perché l’associazione tra significato e significante deriva da unaspecie di “accordo sociale” convenzionale: ad esempio nella lingua ita-liana, per convenzione (e non per una legge di natura) al “concetto” di“luna” corrisponde il significante /l-u-n-a/. Al contrario gli elementidella CNV hanno un valore motivato, in quanto esiste un rapporto disimilitudine fra l’unità non verbale e quanto viene espresso. Per esem-pio, un urlo di dolore esprime lo strazio di questa emozione, e tanto piùlo strazio e forte quanto più l’urlo diventa lacerante. Tuttavia, questadistinzione dicotomica è stata messa in dubbio dallo studio sull’“iconi-smo fonosimbolico” secondo cui i suoni di una lingua, oltre al caratte-re di arbitrarietà, hanno anche un valore motivato (Dogana, 1990). È sufficiente pensare alle onomatopee, come ad esempio “sussurrare,tintinnare, tamburellare”, nelle quali la stringa sonora è in stretta rela-zione all’oggetto o all’evento cui il suono si riferisce.· Digitale/analogico: secondo la psicologia tradizionale il codice lin-guistico è considerato digitale, perché ogni fonema è caratterizzato daun insieme di tratti distintivi che lo definiscono e lo collocano in oppo-sizione a tutti gli altri fonemi. Al contrario, gli aspetti non verbali hannoun valore analogico, in quanto presentano variazioni graduate in modoproporzionale e “analogo” a ciò che intendono esprimere: ad esempio,tanto più un’emozione di gioia cresce, tanto più i gesti di soddisfazionee il sorriso che l’accompagnano, diventano ampi e distesi. Sotto questoprofilo, dunque, gli aspetti non verbali sarebbero più spontanei, “natura-li” e immediati, rispetto agli aspetti verbali. Tuttavia, in questa prospet-tiva, non si tengono in considerazione le variazioni culturali sottese allaproduzione e alla comprensione della CNV.

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2.5.2 AUTONOMIA E INTERDIPENDENZA SEMANTICA TRA I SISTEMI NON

VERBALI

Oggi prevale una concezione in base alla quale gli aspetti verbali e nonverbali si integrano in modo armonico, coerente e unitario, nel determi-nare il significato di un atto comunicativo, grazie al processo della sin-tonia semantica e pragmatica. Infatti, ognuno dei sistemi di segnalazio-ne e di significazione (quali il sistema linguistico, quello prosodico eparalinguistico, quello mimico e gestuale, quello prossemico e aptico)partecipa alla costruzione del significato finale di un determinato attocomunicativo contribuendo, in modo autonomo, con la propria compo-nente specifica, a determinarlo e a definirlo. Questa unitarietà è resa possibile dal processo di sintonia semanticae pragmatica (Ssp) che coordina in modo convergente e coerente, idiversi sistemi di comunicazione, facendo in modo che ogni atto comu-nicativo si presenti in modo armonioso e unitario, grazie alla fusionemomentanea delle diverse parti del messaggio, le quali concordano leune con le altre. Questa fusione avviene sia a livello orizzontale (fra glielementi del medesimo sistema di significazione e di segnalazione), siaa livello verticale (fra gli aspetti che appartengono ai diversi sistemi disignificazione e di segnalazione) [Anolli, 2003]. In questo modo, i contributi provenienti dai diversi sistemi comunicati-vi sono assemblati e convogliati in modo sincrono nella produzione diun dato messaggio. Entra in azione anche un processo di interdipenden-za semantica che costituisce l’esito della sintonia semantica e pragma-tica: essa garantisce la coerenza del significato dell’atto comunicativo econduce alla definizione del significato modale. Con questo termine siintende “il significato predominante e ricorrente di un determinato attocomunicativo in una situazione convenzionalmente stabilita all’internodi una data comunità (Anolli, 2003)”. Inoltre grazie all’interdipendenzasemantica il soggetto ha la possibilità di attribuire pesi diversi alle sin-gole componenti dell’atto comunicativo; può quindi, accentuare il valo-re di una certa componente, dando ad essa prevalenza, o di attenuarequello di un’altra. Per esempio, nel pronunciare una frase di rimprove-ro, un soggetto può aumentare la durata delle pause per dare solennitàa quanto sta dicendo, oppure può fare un gesto di ammiccamento deltipo: “non posso non fare questa osservazione”.

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Nel medesimo tempo, la sintonia e l’interdipendenza semantica con-sentono al parlante di giungere ad un’attenta calibrazione situazionaledel suo atto comunicativo: essa consiste nel produrre un “messaggiogiusto al momento giusto”, ovvero un messaggio in linea con il conte-sto comunicativo. Interdipendenza, sintonia semantica e calibrazionesituazionale sono alla base dell’efficacia comunicativa. Quest’ultima può essere considerata come un “indice di sintesi delvalore comunicativo di un messaggio e consiste nella capacità di indi-viduare un percorso comunicativo che massimizzi le opportunità e cheminimizzi i rischi contenuti all’interno di un’interazione. La massimizzazione è associata a una comunicazione in grado diaumentare la fiducia, la credibilità e la forza di attrazione del comuni-catore; la minimizzazione è associata invece all’evitamento di condi-zioni comunicative imbarazzanti, come una gaffe o un messaggio inop-portuno (Anolli, 2003).

2.6 RAPPRESENTAZIONE CORTICALE DEI SISTEMI VERBALE E NON

VERBALE

Un obiettivo generale posto alla neuropsicologia rispetto alla distinzionetra comunicazione verbale e comunicazione non verbale riguarda la for-mulazione della complessa architettura cognitiva e dei singoli processisottesi a questi sistemi di segnalazione e di significazione (Balconi,2006).

2.6.1 VERBALE/NON VERBALE: UN’ASIMMETRIA DI FUNZIONI?

Allo stato attuale delle conoscenze, la localizzazione di specifiche fun-zioni implicate nei sistemi non verbali risulta prematura. Ciò è dovutoal fatto che individuare una corrispondenza biunivoca fra le funzioni diinput e di output e i relativi correlati neurali, risulta poco praticabile afronte della complessità dei processi in esame. Inoltre, i sistemi nonverbali di segnalazione rappresentano un insieme molto vario ed etero-geneo. Una serie di studi, con pazienti destri e sinistri ha rilevato la pre-senza di una specializzazione emisferica destra per le componenti nonverbali (extralinguistiche) della comunicazione (Cutica I., Bucciarelli

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M., Bara BG., 2006). Tuttavia, il modello tradizionale dell’asimmetriaemisferica fra le funzioni verbali e quelle non verbali, in base al qualeè valida l’equazione “verbale = emisfero sinistro e non verbale = emi-sfero destro” appare oggi in parte superato. Da un lato infatti, è possi-bile rilevare che l’emisfero sinistro può supportare alcune funzioni nonverbali, e dall’altro è stato osservato che l’emisfero destro è in grado disvolgere anche funzioni eminentemente linguistiche. A livello neuro-psicologico, il superamento del modello tradizionale è stato dimostratoda alcuni studi condotti sul linguaggio dei segni (LS). È stata infatti, rilevata una compromissione delle funzioni di compren-sione e di produzione del LS, in seguito a lesioni delle aree corticalidell’emisfero sinistro deputate al linguaggio, e ciò induce a ritenere chetale emisfero sia idoneo a svolgere il controllo di alcune funzioni nonverbali che hanno un preciso valore simbolico. La presenza di una dop-pia dissociazione tra i disturbi prassici (relativi alla pianificazione eall’esecuzione di atti motori complessi implicati nel LS) in cui l’emi-sfero sinistro è dominante, e disturbi afasici (relativi esclusivamentealle funzioni linguistiche) confermerebbe ulteriormente la specificitàdell’emisfero sinistro per i sistemi non verbali, almeno per quello cine-sico. D’altra parte, una serie di ricerche ha sottolineato la funzione lin-guistica svolta dall’emisfero destro rispetto all’elaborazione di parole.Attraverso un’indagine PET è stata rilevata l’attivazione della cortec-cia posteriore destra per la lettura di stringhe di lettere di non parole edi stimoli simili a lettere, rispetto alla condizione di controllo (visionedi un punto) (Peterson SE, Fox PT, Poster MI,1988). Più in generalel’emisfero destro sarebbe deputato all’elaborazione della forma delleparole (Marsolek CJ. M 1995).

2.6.2 MODELLI DI INDIPENDENZA FUNZIONALE

I modelli di indipendenza funzionale si propongono di spiegare in chetermini va intesa la specializzazione emisferica sinistra: infatti, se da unlato, la superiorità dell’emisfero sinistro per i compiti verbali, è statadimostrata e confermata in ambito neuropsicologico da numerosi studi,dall’altro occorre chiarire se “la sua specializzazione sia legata esclusi-vamente a specifici processi linguistici (come la rappresentazione uni-laterale della fonologia e delle proprietà sintattiche) o se, al contrario,

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la dicotomia verbale/non verbale sia connessa con una specializzazio-ne più profonda e più estesa, attribuibile alle competenze simbolichedell’emisfero sinistro rispetto a quello destro” (Balconi, 2006).Tre ipotesi hanno cercato di illustrare questa distintività:- innanzitutto, si è ritenuto che la superiorità dell’emisfero sinistro siagenerale, in quanto sistema di elaborazione simbolica. Il modello del sistema simbolico ipotizza che l’insieme dei comporta-menti non verbali non sia presieduto da un sistema separato, ma piut-tosto sia originato da un unico sistema che opererebbe in parallelo. Daquesto punto di vista la specializzazione emisferica sinistra per i pro-cessi simbolici non è ristretta ai simboli verbali ma riguarderebbeanche l’uso di quelli non verbali;- la seconda ipotesi prevede una dominanza dell’emisfero sinistro perquanto concerne l’organizzazione dei movimenti sequenziali; secon-do questa teoria sia le forme verbali che le forme non verbali di comu-nicazione comportano la presenza di azioni motorie, entrambe gestiteda un sistema di controllo. Un danno a questo sistema, provocherebbedeficit a entrambe le forme;- la terza ipotesi sottolinea il ruolo centrale della dicotomia fra emoti-vo e cognitivo, considerati come aspetti distinti, attribuibili rispettiva-mente all’emisfero destro e a quello sinistro. La specializzazione destraper le proprietà emotive non consente, tuttavia, di rendere conto più ingenerale delle competenze non verbali di natura non emotiva, checaratterizzano la comunicazione non verbale.

2.6.3 INTERDIPENDENZA E COORDINAMENTO INTEREMISFERICO FRA ILSISTEMA VERBALE E I SISTEMI NON VERBALI

Nello studio della rappresentazione emisferica dei sistemi verbale enon verbale di segnalazione, merita attenzione il problema circa la loroindipendenza funzionale, in relazione alle modalità di rappresenta-zione delle informazioni. L’ipotesi classica si è concentrata sulla distin-zione fra le differenti modalità di rappresentazione del significato: visarebbe una modalità linguistica, propria dell’emisfero sinistro (secondola quale le informazioni sarebbero rappresentate in un formato linguisti-co o verbale) e una modalità non linguistica, specifica dell’emisferodestro (secondo cui le informazioni sarebbero rappresentate in un forma-

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to diverso da quello linguistico, quindi non verbale, per esempio, perquanto riguarda le immagini, in un formato visivo-spaziale). In base aquesta teoria, i due emisferi avrebbero la possibilità di cooperare nel-l’attribuzione del significato, benché a svolgere un ruolo prioritario, sial’emisfero dominante per quella specifica modalità di rappresentazionedell’informazione. In questo modo viene confermata l’ipotesi di unainterdipendenza tra i sistemi verbali e non verbali di segnalazione, nellaproduzione e nella definizione dei significati di un atto comunicativo.Una seconda questione, riguarda l’effettiva possibilità di organizzazio-ne e di coordinamento tra i due emisferi. Infatti, “se l’emisfero sini-stro è preposto principalmente a elaborare le informazioni in una moda-lità verbale (analitico e temporale) mentre quello destro informazioninon verbali (olistiche e spaziali), come è possibile che si realizzi lacomunicazione come processo unitario? E in che modo possono esserecoordinate delle azioni di risposta?” Tutto ciò è possibile perché gliemisferi interagiscono in modo flessibile secondo un processo dinami-co e variabile: innanzitutto, l’interazione tra i due emisferi, resa possi-bile grazie alle strutture del corpo calloso, non avviene soltanto in ter-mini di semplice trasferimento delle informazioni da un emisferoall’altro, ma anche come aumento della capacità di elaborazione,soprattutto nei casi in cui il processo sia particolarmente complesso edè necessario trattare simultaneamente molte informazioni in brevetempo. Inoltre, la presenza di sub-processi separati, ma tra loro integra-bili, può costituire un’alternativa funzionale all’attivazione di un unicoprocesso complessivo (Banich MT., 1997). Occorre ora stabilire come,effettivamente, operino i sistemi di coordinamento delle informazioni.Al riguardo sono state proposte tre ipotesi, lungo un continuum:- posto ad un estremo c’è il modello della dominanza emisferica,secondo il quale, in funzione dei diversi compiti, uno solo dei due emi-sferi presiede alla regolazione dell’attività complessiva, mentre l’altrosvolge le operazioni per cui è preposto;- il modello dell’alternanza, al contrario, suppone che ci sia un “misce-lamento” nell’attività di due emisferi, ovvero che essi operino con fun-zioni di metacontrollo simultaneamente, per cui ciascun emisferodominerebbe un aspetto specifico del processo;- posto all’altro estremo invece, si colloca il modello dell’unicità inte-

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remisferica, secondo cui entrambi gli emisferi contribuirebbero allarealizzazione dell’intera prestazione, anche se in maniera differente.“Pertanto il prodotto finale dell’integrazione interemisferica derivereb-be dalla calibrazione delle operazioni mentali gestite in parallelo dal-l’emisfero sinistro e da quello destro” (Banich MT, Nicholas CD .,1998).

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CAPITOLO III

LA CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI NON VERBALI

Lacrime

Goccioline di pioggiaTristezza nel mio cuore.

Grandine che batteCome la malinconia di un amore

Consumato.Bollicine d’acqua congelata e fredda

Che sono in meNel mio cuore triste e solo.

È così buio dentro di meE cammino verso te dal mio profondo.

Speranza che cerca rifugio E si perde.

Dal libro “Pensieri di luce “di Marilisa Grifani

3.1 I LESSICI DEL CORPO

Allo stato attuale, in letteratura sono presenti diverse classificazionidella CNV, in quanto non solo si rivolgono ad ambiti disciplinari distin-ti, ma hanno anche criteri classificatori differenti. Nonostante questo, ilpresupposto che le unisce è quello di effettuare una ricerca sull’immen-so patrimonio comunicativo del corpo umano, con lo scopo di indivi-duarne il lessico, cioè l’insieme di tutti i segnali di un sistema con i lororispettivi significati, e individuarne l’alfabeto, cioè trovare quegli ele-menti che, in molteplici combinazioni, danno luogo a tutti i segnalipossibili. L’obiettivo finale delle diverse classificazioni esistenti è dun-que quello di realizzare un dizionario dei segnali non verbali, cioè una

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lista di “voci lessicali” di cui, per ognuna, si può descrivere il segnale(lo stimolo fisico, percepibile con i sensi) e definirne il rispettivo signi-ficato. Nel costruire un dizionario, per ogni sistema di comunicazionenon verbale è necessario analizzarne la “semantica” e la “fonologia”.Trovare la semantica vuol dire enucleare il significato e gli usi di unsegnale di quel determinato sistema di comunicazione; trovare la fono-logia significa individuare gli elementi minimi che, combinati insieme,compongono ogni segnale di quel sistema di comunicazione. Un primo problema che si pone nel realizzare un dizionario dei sistemidi comunicazione non verbale è quello di riuscire a “trovare le paroledel corpo”, ovvero partire dai diversi tipi di segnali non verbali esisten-ti e ricavarne il loro specifico significato. Questo compito risulta abba-stanza difficile, essenzialmente per due motivi principali:- in primo luogo, non è semplice persino nelle lingue verbali individua-re le parole (cioè i segnali) nel flusso continuo del discorso e quindieffettuare una “segmentazione della catena parlata”, ciò risulta assaipiù difficile nella CNV, in quanto è ancora più delicato enucleare ungesto fra i movimenti che accompagnano il parlato, o capire in qualepreciso istante un’espressione facciale di attesa si trasforma in una didelusione;- inoltre, le espressioni verbali sono per definizione sotto il controllo dellacoscienza, mentre molto spesso un gesto, ad esempio, viene eseguitosenza una reale intenzionalità comunicativa. Isabella Poggi (2006) pro-pone una strategia di tipo deduttivo, che permette di trovare una soluzio-ne a questi problemi; il metodo da lei proposto è quello di chiedersiinnanzitutto quali sono, in linea di principio, i significati che un soggettoha lo scopo di comunicare al suo interlocutore e poi, per ognuno dei signi-ficati ipotizzati, vedere quanti e quali segnali ne sono portatori nei diver-si sistemi di comunicazione. Il contenuto semantico di un segnale nonverbale pertanto, può essere individuato in base al tipo di informazioneveicolata, e ne vengono identificati tre tipi:- informazioni sul mondo e sulla realtà esterna: ossia su azioni o pro-prietà di entità concrete o astratte, animate o inanimate, in formato pro-posizionale;- informazioni sull’identità del mittente, acquisite percettivamente oinferite dall’interlocutore in base al sesso, l’età, le radici etniche e cul-

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turali, la personalità del mittente o in base all’autopresentazione, ovve-ro all’immagine che il mittente vuol dare di sé;- informazioni sulla mente del mittente, che riguardano le sue cono-scenze, i suoi scopi e le sue emozioni. Un secondo problema si pone nell’individuare la semantica dei segna-li non verbali ed è dovuto ad alcune caratteristiche proprie del lessicoquali i fenomeni della sinonimia (più segnali per un solo significato),dell’omonimia e della polisemia (un segnale per più significati). Questiaspetti vanno a inficiare l’efficacia dell’atto comunicativo, in quantocompromettono la stabile corrispondenza segnale-significato. Tuttavia,si può dimostrare che anche un segnale non verbale, così come le paro-le, pur essendo polisemico possiede un suo preciso significato che “nonvaria all’infinito anche nei possibili infiniti contesti”. Infatti in tutti isignificati che un segnale può assumere, c’è un nucleo semanticocomune, ossia una parte di significato che ricorre in tutti i possibili con-testi; in altre parole esiste “un legame semantico fra i significati che ilsegnale acquista in essi” (Allwood, 2003). Il legame fra due o più signi-ficati (a,b,c) di un segnale polisemico può essere di due tipi: compo-nenziale o inferenziale.- Il legame componenziale si instaura fra due o più significati (a,b,c...)che hanno in comune uno stesso componente semantico (x), cioè unpezzo o una parte di significato, a cui ciascuno di essi aggiunge com-ponenti diversi: a significa x+y, b significa x+z, c significa x+k. Ad esempio il gesto simbolico in cui gli indici tesi in parallelo con ipugni a palme in giù si avvicinano e si allontanano, nel significato piùcomune è parafasato come “se l’intendono”: questo gesto comunicaquindi un legame furtivo, nascosto, fra due persone. Tuttavia a volteviene parafasato come “c’è del tenero”, che ancora implica un legamenascosto fra due persone, ma con in più il significato di un legameaffettivo. Si può concludere quindi, che questo è un gesto polisemico,poiché ha 3 significati in parte diversi, ma questi hanno tutti in comu-ne alcune componenti semantiche: l’idea di un legame, nascosto, fradue fatti o persone.- Un legame inferenziale invece presuppone che il significato b puòessere inferito dal significato a, c si può inferire da b, e così via. È que-sto il caso dei significati indiretti.

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Infatti le parole e le frasi di una lingua, così come gli altri segnali non ver-bali, oltre al loro significato letterale, possono avere anche uno o più signi-ficati indiretti (Castelfranchi, Parisi 1980; Poggi, Magno Caldognetto,1997). Il significato letterale di un segnale è quello che gli si può attri-buire in base alle regole lessicali e sintattiche del sistema di comunica-zione cui appartiene. Il significato indiretto deve essere necessariamen-te inferito dal significato letterale, ovvero non può essere, per definizio-ne, compreso semplicemente grazie alla conoscenza delle regole lessica-li e sintattiche. Ad esempio, la parola “mare” letteralmente significa“distesa di acqua salata in quantità illimitata”; ma nella frase “ho versa-to un mare di lacrime” si può inferire che “ho versato moltissime lacri-me”. Il significato indiretto può essere idiomatico, quando l’inferenzadal significato letterale a quello indiretto, è in qualche modo obbligata,ed è la stessa in tutti i contesti (ad esempio nell’espressione “un maredi lacrime” il significato indiretto “moltissime lacrime” è sempre quel-lo e non varia a seconda dei contesti) oppure creativo, quando dal signi-ficato letterale si possono trarre inferenze diverse, e quindi significatidiversi a seconda dei contesti (nell’espressione “il tappeto di conoscen-ze nella mia mente” il significato è stato inventato estemporaneamen-te, e per capirlo, il destinatario deve fare un’inferenza che non ha maifatto). Anche i segnali non verbali come gesti, sguardi, espressioni facciali,possono avere significati indiretti, cioè inferibili dal loro significato let-terale. Il gesto di applaudire in certi casi è utilizzato ironicamente: dalsuo significato letterale di approvazione e lode si inferisce cioè unsignificato opposto, di critica o rimprovero. Inoltre nei segnali non ver-bali, un legame inferenziale collega il significato letterale non soltantoa quello indiretto, che da esso deriva, ma anche a quello definito “signi-ficato originario”, cioè quello da cui a sua volta il significato letteralederiva. Il significato letterale di un segnale non verbale, infatti, o moltospesso ha origine da un’azione fisica, un’azione che in primo temponon aveva un valore comunicativo (Poster, Serenari, 2001; Serenari,2001; Poster, 2003). Ad esempio l’innalzamento delle sopracciglia, checomunica sorpresa (Ekman, 1979), deriva probabilmente dall’azionefisica di aprire molto gli occhi per vedere di più, per acquisire più infor-mazioni.

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Quest’azione, che mira ad una più ampia comprensione, fa inferire checi sia qualcosa di sorprendente, qualcosa che non si sa, che esige spie-gazioni. Così l’azione non comunicativa di cercare di veder meglio, siritualizza e diventa azione comunicativa, acquistando il significato di“mostrare sorpresa”. Molti segnali del corpo, dunque, hanno tre signi-ficati diversi, ma inferenzialmente collegati: il significato letterale,quello indiretto che da esso è inferibile e infine un significato primiti-vo, spesso un’azione non comunicativa (Poster, 2003) da cui quello let-terale è nato.In conclusione si può affermare che “tutti questi significati possonoessere ricondotti ad un comune nucleo semantico, in quanto collegatiper via componenziale o inferenziale, di conseguenza l’unità semanti-ca fra i diversi significati di una parola o di un segnale non verbale, ela sistematicità dei rapporti fra segnali e significati, rimane integra egiustifica la possibilità di costruire dei lessici delle parole del corpo”(Poggi, 2006).L’esistenza di significati indiretti e di inferenze, permette di spiegareanche altri fenomeni quali la sinonimia nei segnali non verbali delcorpo. Per esprimere perplessità, incredulità o disaccordo, ad esempio,si possono usare comportamenti opposti delle sopracciglia, aggrottan-dole o sollevandole. Letteralmente, aggrottare significa incomprensio-ne, mentre innalzare le sopracciglia significa sorpresa; se invece si con-sidera il significato indiretto attraverso un legame inferenziale, entram-bi i significati comunicano: “non accetto completamente ciò che dici”.Infatti, nella sorpresa, innalzando le sopracciglia, il soggetto esprimeincredulità, quindi indirettamente comunica che non crede a ciò che staaffermando o facendo il suo interlocutore; d’altra parte, mostrare di noncapire aggrottando le sopracciglia come per “cercare di vederemeglio”, è spesso un modo cortese che il soggetto utilizza per esprime-re disaccordo. Ecco perché questi due segnali delle sopracciglia, appa-rentemente opposti, possono entrambi significare non totale accettazio-ne di ciò che l’altro sta dicendo: a livello del loro significato indirettodunque possono addirittura essere sinonimi.Un ulteriore questione su cui porre attenzione, riguarda la natura univer-sale o culturale dei lessici: il quesito al quale si vuole trovare risposta èinfatti quello di capire se le corrispondenze fra segnale e significato sono

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innate e quindi inscritte nel patrimonio genetico di ogni individuo, oppu-re sono convenzionali e acquisite con l’apprendimento dalla propria cul-tura di appartenenza. Secondo Poggi (2006) nei sistemi di comunica-zione non verbali come le espressioni facciali, lo sguardo e il contattofisico, queste corrispondenze sono per la maggior parte innate e quindiuniversali. Questa ipotesi deriva dall’osservazione che in ogni sistemadi comunicazione, si possono distinguere due tipi di regole: le regolesemantiche e le regole interazionali o norme d’uso. Le regole semanti-che stabiliscono la corrispondenza tra segnali e significati, in base alleregole lessicali e sintattiche di quel sistema di comunicazione (adesempio, se si vuole comunicare il significato “ti saluto”, è necessarioscuotere la mano, a palmo verso l’interlocutore, da destra a sinistra);queste regole stabiliscono dunque “come comunicare un determinatosignificato”. Le norme d’uso invece stabiliscono se un certo significa-to può o non può, deve o non deve essere comunicato in una certa situa-zione, quindi decidono se e quando comunicare un determinato signi-ficato è prescritto, proibito o permesso (ad esempio stabiliscono che, sesi incontra una persona che si conosce, si applica la regola per il signi-ficato “ti saluto”, se si incontra una persona che non si conosce, non siapplica la regola per il significato “ti saluto”). Da ciò si deduce che inun sistema di comunicazione non verbale, le regole semantiche sono ingran parte universali, quindi si può affermare che esiste un lessico uni-versale degli sguardi, dei gesti, delle espressioni facciali; la variazioneculturale riguarderà piuttosto le norme d’uso, che stabiliscono se equando un determinato segnale può o non può essere utilizzato in quel-la particolare cultura. Ad esempio un occhio languido, uno sguardoseduttivo o un guardare dall’alto in basso, in tutto il mondo sono pro-dotti nello stesso modo e hanno lo stesso significato; ma se in una cul-tura considerare qualcuno con sufficienza è molto insultante e in un’al-tra, mostrarsi troppo scopertamente innamorati è reputato sconvenien-te od osceno, in quelle culture quei tipi di sguardo saranno fortementedisapprovati e sarà molto più raro vederli. In ultima analisi è necessa-rio capire in che modo si costruiscono i “lessici delle parole del corpo”(Poggi, 2006). Costruire un lessico richiede un lavoro estensivo, checonsiste nella raccolta delle entrate lessicali e nell individuare la strut-tura generale di quel lessico, e un lavoro intensivo, necessario per for-nire un’analisi semantica di ogni entrata lessicale.

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Quest’ultima viene effettuata utilizzando il metodo Chomskiano dei giu-dizi del parlante, basato sull’intuizione linguistica del parlante nativo:infatti, per ogni entrata del lessico si danno giudizi di accettabilità (ci sichiede in quali contesti quel tipo di segnale non verbale sia accettabile ein quali no), di ambiguità (se possiede più significati e quali) e di para-frasi (se e quali altre voci di un lessico, della stessa o di altra modalità,hanno lo stesso significato; (Parisi, 1979; Poggi, 1983). Questo è unmetodo molto economico, perché la ricerca può essere condotta da unricercatore anche sulla base dei suoi soli giudizi e delle proprie intui-zioni comunicative; è anche molto efficiente, perché permette di ana-lizzare aree di lessico molto vaste e di condurre un’analisi approfondi-ta dando infine il quadro della competenza comunicativa di quel ricer-catore; ed è anche molto rilevanti dal punto di vista scientifico, perchéanche una singola competenza costituisce un sistema coerente di rego-le comunicative. Dopo aver analizzato in modo introspettivo, le vocidel lessico indagate, il ricercatore può verificare su dati reali le sueintuizioni. Ad esempio, con un’indagine empirica, somministrando alparlante di un determinato gruppo sociale o culturale, interviste o que-stionari sulle entrate del lessico e sui loro significati (Morris, 1979;Serenari, 2004), oppure con una ricerca osservativa, analizzando in det-taglio materiali reali audio e videoregistrati e cercando di capire e con-fermare con il contesto il significato dei vari segnali (Kendon, 1995-2004; Muller, 2004; Brookes, 2004).

3.2 LE CLASSIFICAZIONI DEI SEGNALI NON VERBALI DI SEGNALAZIONE

E SIGNIFICAZIONE

Tra le classificazioni sui sistemi non verbali di significazione e disegnalazione, riferendoci alle concezioni più recenti, possiamo identi-ficarne essenzialmente tre.La prima risale al 1998 ed è una classificazione adattata da Mastronardiche prende spunto dalle ricerche svolte da diversi autori, tra i qualiEkman e Friesen (1969) e si avvicina a quella classica di Argyle (1972).Gli elementi della comunicazione non verbale, in questa classificazio-ne, sono disposti idealmente secondo una scala che procede dall’altoverso il basso e si sposta dal generale al particolare: ovvero dai segna-

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li più manifesti (aspetto esteriore e comportamento spaziale), quindipiù facilmente percepibili da parte dell’interlocutore, a quelli meno evi-denti, più mutevoli (movimenti del volto, segnali vocali).

Conformazione fisicaAspetto Esteriore Abbigliamento

Distanza InterpersonaleComportamento spaziale Contatto corporeo

OrientazionePosturaMovimenti di busto e gambe

Comportamento cinesico Gesti delle maniMovimenti del capoSguardo e contatto fisico

Volto Espressione del voltoSegnali vocali verbali

Segnali vocali Segnali vocali non verbaliSilenzio

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Anolli (2002) invece, distingue due livelli fondamentali: il piano voca-le che comprende la componente verbale, paralinguistica (relativaall’aspetto prosodico e alle qualità vocali) ed extralinguistica (che siriferisce alle caratteristiche anatomiche del parlante e al modo in cuiregola il proprio apparato vocale) e quello non vocale relativo al siste-ma cinesico che include i movimenti del corpo (gesti, postura, prosse-mica e aptica) del volto (sguardo) e degli occhi (mimica facciale).

Verbale LINGUISTICO

VOCALE Paralinguistico (Prosodico – Qualità vocali)

Extralinguistico NON LINGUISTICO

NON VOCALE Cinesico

a) MIMICA FACCIALE

b) SGUARDO

·Direzione dello sguardo·Durata·Reciprocità·Fissazione Oculare

c) GESTI E POSTURA

·Gesticolazione(gesti iconici)·Pantomima·Emblemi(gesti simbolici)·Gesti Deittici·Gesti Motori·Linguaggio dei Segni·Postura del corpo

d) PROSSEMICA E APTICA

· ·Territorialità·Contatto Corporeo·Distanza Spaziale

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In ultima analisi Isabella Poggi (2006), parla di Gestionario, per indi-care il dizionario dei gesti, di Tocconario per indicare il dizionario deltoccare, e di Occhionario per indicare il dizionario dello sguardo.Nonostante i criteri classificatori siano differenti, ognuna delle tassono-mie precedentemente illustrate, ha lo scopo di descrivere le diversetipologie dei segnali non verbali, le caratteristiche specifiche di ognu-na, le funzioni, nonchè le variazioni culturali e le norme d’uso cheregolano tali sistemi.

3.3 IL SISTEMA VOCALE

Durante una conversazione, i parlanti fanno uso, oltre che di messaggiverbali, anche di una serie di elementi non propriamente linguistici chesono in parte indipendenti dalle parole pronunciate. Argyle (1992) alriguardo, ha proposto una suddivisione tra segnali vocali connessi aldiscorso (prosodici, di sincronizzazione e di disturbo dette anche nonfluenze) e segnali vocali indipendenti dal discorso (suoni emotivi,segnali paralinguistici, che esprimono cioè emozioni ed atteggiamentiinterpersonali, qualità personale della voce e della pronuncia). Facendo riferimento a questa distinzione, Anolli e Ciceri (2002) defini-scono l’atto fonopoietico come “la sintesi degli aspetti vocali verbali edegli aspetti vocali non verbali”. La componente vocale verbale (o lin-guistica) comprende:- la pronuncia di una parola o frase (fonologia);- il vocabolario quindi il lessico e la semantica la grammatica;- la grammatica (morfologia e sintassi);- il profilo prosodico (che specifica se una frase è affermativa, interroga-

tiva o esclamativa);- la prominenza, ovvero il rilievo enfatico o l’accentuazione di un ele-

mento.La componente vocale non verbale, invece determina la qualità dellavoce di un individuo; pertanto essa va intesa come la sua “improntavocalica”, rappresentata dalle caratteristiche extralinguistiche e para-linguistiche della voce. Per caratteristiche extralinguistiche, si intendel’insieme delle caratteristiche anatomiche permanenti ed esclusive del-

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l’individuo; esse sono suddivise in caratteristiche organiche (la specifi-ca configurazione anatomica e le dimensioni dell’apparato fonatoriodell’individuo) e in caratteristiche fonetiche (le modalità con cui egliimpiega il suo apparato fonatorio, come ad esempio la voce nasalizza-ta o palatalizzata).Le caratteristiche paralinguistiche invece vengono definite come l’in-sieme delle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pro-nuncia di qualsiasi enunciato e che possono variare in modo contingen-te da situazioni a situazione. Esse sono determinate da diversi parame-tri:- il tono: è dato dalla frequenza fondamentale (Fo) della voce ed è

generato dalla tensione delle corde vocali (più esse sono tese, più iltono è acuto; più sono distese, più il tono è basso). Esso varia frequen-temente, fornendo colore ed espressione al discorso e determinando,attraverso tali modificazioni, il “profilo di intonazione” del discorso.

- l’intensità: corrisponde all’energia con la quale vengono prodotti isuoni, in quanto è determinata dalla pressione sottoglottica e dallafunzione di risonanza esercitata dagli organi del vocal tract; essa èdirettamente proporzionale all’ampiezza delle vibrazioni delle cordevocali.

La sua funzione principale è quella di segnalare l’accento enfatico, concui il soggetto intende sottolineare un determinato segmento linguisti-co dell’enunciato rispetto agli altri.- il tempo: determina la successione dell’eloquio e delle pause; essocomprende diversi fattori come la durata (il tempo necessario per pro-nunciare un enunciato, comprese le pause), la velocità di eloquio (ilnumero di sillabe al secondo, comprese le pause) la velocità di artico-lazione (il numero di sillabe al secondo escluse le pause) e la pausa,intesa come sospensione del parlato, che viene distinta in pausa piena(cioè riempita da vocalizzazioni del tipo mmh,ehm ecc.) e pausa vuota(che corrisponde ai periodi di silenzio).Merita infatti particolare attenzione, nello studio del sistema vocale disignificazione e di segnalazione, il silenzio. Infatti, in quanto assenzadi parola, esso costituisce un modo strategico di comunicare e il suosignificato varia in base alle situazioni, alle relazioni e alla cultura diriferimento.

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In generale, il valore comunicativo del silenzio è da attribuire alla suaambiguità, poiché può essere l’indizio di un ottimo rapporto e di unacomunicazione intensa, oppure il segnale di una pessima relazione e diuna comunicazione deteriorata. Ecco perché il silenzio può assumereuna connotazione sia positiva sia negativa sotto diversi aspetti:- i legami affettivi: il silenzio può unire due persone in una profonda

condivisione o può separarle attraverso sentimenti di ostilità e di odio;- la funzione di valutazione: il silenzio può indicare consenso e appro-

vazione o segnalare dissenso e rimprovero;- la funzione di attivazione: il silenzio può indicare una forte concen-

trazione mentale o può segnalare, al contrario dispersione e distrazio-ne.

Data la sua natura ambigua, il silenzio è governato da standard socialidefiniti “le regole del silenzio”. Esse stabiliscono dove, quando, comee a quale scopo viene utilizzato; in generale si può affermare che ilsilenzio è associato a situazioni sociali in cui la relazione tra i parteci-panti è incerta, poco conosciuta, vaga o ambigua, l’interazione stessaquindi indica che è prudente non esporsi troppo. Il silenzio assume unimportante significato nelle relazioni asimmetriche in termini di gestio-ne del potere e della dominanza sociale: le persone in una posizione disubordinazione stanno maggiormente in silenzio ad ascoltare rispettoalle persone con uno status sociale più elevato. Inoltre una funzioneimportante del silenzio, soprattutto se associata ad altri segnali non ver-bali, è quella di attirare l’attenzione. Quando una persona sta in silen-zio all’inizio del proprio turno conversazionale, impegna gli altri a con-centrarsi sul suo discorso. Ciò può avvenire soprattutto nei discorsi inpubblico dove l’oratore utilizza la strategia del silenzio interrompendobruscamente la sua conversazione e proponendo un netto distacco, alloscopo di generare sorpresa e di attirare l’attenzione. In funzione dellasua complessità, esistono, infine, delle differenze culturali nell’attribu-zione di significato al silenzio e nel suo utilizzo. In generale, le cultureoccidentali (maggiormente individualiste) comunicano attraverso rapi-de successioni di turni conversazionali, con una conseguente riduzionedei periodi di silenzio, il quale viene considerato come una “minaccia”alla gestione dell’avvicendamento di turni. Nelle culture orientali (piùcollettivistiche), i parlanti possono invece utilizzare lunghissime pause

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di silenzio come segno di riflessione e saggezza: il silenzio diventa inquesto modo un indicatore di armonia, fiducia, confidenza e intesa trai parlanti (Anolli, 2002).

3.4 I GESTI

Le definizioni di “gesto” fornite dalla letteratura sono molteplici. Alcuniautori evidenziano l’aspetto di intenzionalità comunicative del gesto:Morris (1990), per esempio, definisce gesto “qualunque azione che inviiun segnale visivo a uno spettatore ed è rivolta a trasmettere un’informa-zione”. Vi sono invece autori che non sono d’accordo nel ritenere l’in-tenzionalità, un elemento discriminante del gesto poiché nell’interazio-ne l’emittente può produrre un comportamento non verbale significativoindipendentemente dalla sua consapevolezza o intenzione (Ekman eFriesen, 1969; Poggi, Magno Caldognetto, 1977). Bonaiuto, Gnisi eMaricchiolo (2002) affermano che gesti delle mani e/o delle braccia,sono movimenti generalmente realizzati all’interno della semisfera chesi trova di fronte al parlante, costruita dall’incrocio di tre coordinate, l’o-rigine delle quali si colloca indicativamente al centro del petto della per-sona. Le tre coordinate o assi che costituiscono questa semisfera sono:a) parlante-esterno; b) destro-sinistro; c) alto-basso. Questo spazio diventa per il parlante, metaforicamente, lo spazio deldiscorso. Isabella Poggi (2006) definisce il gesto come “qualsiasi movi-mento fatto con le mani, le braccia o con le spalle”, e sostiene che ungesto è comunicativo quando la forma e il movimento delle mani hannolo scopo di comunicare, dunque quando si forma una coppia segnale-significato.Per quanto riguarda invece le classificazioni, Ekman e Friesen (1969)sono gli autori di una delle più storiche e note; gli autori prendono inesame tre criteri principali:- l’uso (usage) del gesto, si riferisce alle circostanze esterne che posso-no inibire, causare, o qualificare il significato del gesto stesso, in baseal tipo di relazione con il parlato, al grado di consapevolezza di chi locompie, all’intenzionalità di comunicare, al feedback esterno che ilgesto può ricevere e al tipo di informazione veicolata;- l’origine (origin), si riferisce alla natura intrinseca del gesto, ovvero

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se esso sia una risposta specifica e innata della specie umana a stimoliesterni, o se viceversa, sia appreso all’interno di specifiche culture ecomunità;- la codificazione (coding) del gesto è la corrispondenza del segno conil proprio significato: “può essere di natura intrinseca, quando il gestosta per qualcos’altro, estrinseca, quando la forma del gesto coincidecon il suo stesso significato”. Un’altra classificazione è quella di McNeill (1992), secondo il quale èerrato considerare la componente gestuale come un canale espressivoindipendente da quello verbale: di conseguenza i due canali non posso-no essere analizzati separatamente. Il criterio utilizzato dall’autore,dunque, riguarda la diversa collocazione del gesto all’interno deldiscorso; egli distingue il repertorio gestuale in “gesti proposizionali”,detti anche “gesti appartenenti al processo di ideazione”, in quanto rap-presentano diversi tipi di referenti linguistici, (oggetti concreti, rappre-sentazioni mentali o collocazioni spaziale) e “gesti non proposiziona-li”, chiamati anche “gesti caratterizzanti l’attività discorsiva”, in quan-to accompagnano la conversazione e partecipano alla costruzione dellacoesione del discorso. Bonaiuto, Gnisci e Maricchiolo (2002), facendoriferimento alla tassonomia di McNeill, classificano i gesti in base allegame che intrattengono con il discorso; distinguono quindi i “gesticonnessi al discorso”, eseguiti durante la conversazione, dai “gesti nonconnessi al discorso”, che non hanno nessuna relazione con questo, néstrutturale né di contenuto. Tuttavia in ognuna delle classificazioni elaborate in letteratura, ci sonoalmeno quattro tipi di gesti che ricorrono in maniera evidente:* Gesti deittici (dal greco dèicnumi = indicare): sono movimenti com-piuti con l’indice o con la mano aperta, per indicare un oggetto, una per-sona, una direzione o un evento;* Gesti iconici (dal greco èicon = immagine): consistono nel raffigurarenell’aria la forma di un oggetto, di un animale o di una persona, o nell’i-mitarne i movimenti tipici .Tali gesti sono stati definiti anche “illustrato-ri” da Ekman e Friesen (1972) o “gesti ideativi” (Hadar e Butterworth,1997). In questa categoria McNeill (1992) ha distinto fra i “gesti iconi-ci” quando si riferiscono a realtà concrete e i “gesti metaforici” quandofanno riferimento a concetti astratti.

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I gesti iconici hanno la funzione di rendere più preciso e completo ilsignificato di un enunciato, poiché forniscono importanti informazionidi natura spaziale, per illustrare concetti e situazioni. Ad esempio, se lafrase: “Tutte le volte che andavo a Milano in centro, mi colpiva ilDuomo con le cento guglie e in cima la Madonnina”, viene accompa-gnata da movimenti simmetrici in progressiva espansione, ascendenti ediscendenti di entrambe le mani (che raffigurano il Duomo) e termina-no con un gesto ascensionale della mano destra (che raffigura laMadonnina), viene fornita una rappresentazione spaziale di ciò che sista dicendo. I gesti iconici, accompagnano il discorso in modo sistema-tico e sincronizzato, e di solito non sono ridondanti rispetto ai signifi-cati espressi dalle parole, ma aggiungono porzioni rilevanti di signifi-cato per la determinazione del senso dell’enunciato nella sua globalità.Ciò è dimostrato dal fatto che, se il parlante interrompe all’improvvisoil discorso perché si accorge di fare un errore,interrompe simultanea-mente anche il gesto che lo accompagna. Di conseguenza, “gesto ediscorso sono generati dalla medesima rappresentazione di ciò che sicomunica, manifestano la medesima intenzione comunicativa, sonopianificati dal medesimo processo e sono realizzati in modo sincronicoin riferimento a un dato contesto d’uso” (Agliati, Vescovo, Anolli,2005).* Gesti simbolici o emblematici: sono movimenti in grado di esprime-re un significato facilmente traducibile in parole o frasi. Ad esempio,l’indice e il medio a V avanti e indietro davanti alla bocca, significa“fumare” o “sigaretta” oppure la mano che si muove su e giù con le ditariunite (la “mano a tulipano”), significa “ma che vuoi?”. Sul pianosemiotico, essi costituiscono delle “unità segmentate”, in quanto impli-cano azioni motorie discrete e complete per poter trasmettere il signifi-cato di loro pertinenza: per esempio, il gesto OK può veicolare il suosignificato di approvazione soltanto se il “segmento” motorio (il con-tatto fra l’indice e il pollice) è completato e presente. Un gesto simbo-lico può essere facilmente riconoscibile in quanto le sue caratteristicheprincipali sono: è un gesto autonomo, che si può usare anche in assen-za del parlato; è codificato, cioè rappresentato stabilmente nella mentedi chi lo usa, ed è rappresentato come una voce di un lessico gestuale,cioè come una regola di corrispondenza fra una certa forma di movi-

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mento delle mani e un significato; è culturalmente codificato, perché ècondiviso solo dai parlanti di una determinata cultura e si impara perimitazione; ad ognuno di essi, corrisponde nella cultura in cui è usato,una “traduzione verbale”, a differenza di quanto avviene per i gesti“batonici”, gli sguardi, le posture o le espressioni facciali, che hanno unpreciso significato ma non dispongono di una traduzione canonica;* Gesti batonici: sono movimenti delle mani eseguiti dall’alto in basso,allo scopo di enfatizzare e scandire il parlato;* Pantomime: “sono gesti che consistono nella rappresentazione moto-ria e nell’imitazione di azioni, scene o situazioni” (Anolli, 2002).Possono essere semplici o complessi e di durata variabile. Di norma,non accompagnano il discorso, non sono convenzionalizzati e a livellosemiotico sono caratterizzati dalla globalità e dall’analiticità, in quantola pantomima è scomponibile in una sequenza di azioni motorie distin-te. Bartolo e Della Sala (2004) definiscono le pantomime (dal greco:“rappresentare imitando”) come “gesti che simulano l’uso di un ogget-to pur non avendolo in mano, ma tenendo conto delle sue caratteristi-che fisiche”. Ad esempio, per simulare l’uso delle forbici attraverso unapantomima, la maggior parte delle persone tenderebbe ad allungare ebattere fra loro l’indice e il medio della mano, come se queste due ditasi fossero magicamente trasformate in lame che stanno tagliando qual-cosa; eppure questo gesto non rappresenta una pantomima in quantoconsisterebbe nella sostituzione di una parte del corpo (la mano e ledita) all’oggetto (forbici), mentre invece la corretta esecuzione di unapantomima richiede di comportarsi “come se si avesse l’oggetto inmano”; in questo caso il gesto esatto sarebbe quello di fingere di infi-lare il pollice e l’indice nei due anelli e poi produrre i tipici movimen-ti di avvicinamento e allontanamento degli stessi fra loro. Una pantomima può in parte ricordare un gesto simbolico; infatti essasi esegue senza tenere in mano alcun oggetto. Tuttavia, se fosse davve-ro assimilabile ad un gesto simbolico, i pazienti che non sono in gradodi simulare l’uso di un oggetto non dovrebbero neppure essere in gradodi compiere gesti simbolici. Dall’osservazione di alcuni pazienti inseguito ad ictus cerebrale, sono emerse doppie dissociazioni tra lacapacità di compiere gesti simbolici, la capacità di produrre pantomi-me e l’uso effettivo degli oggetti: questi casi clinici evidenziano chia-

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ramente che queste tre capacità sono indipendenti l’una dall’altra.Infine, è necessario soffermarsi sull’analisi dei processi e dei meccani-smi che intervengono nel momento in cui un soggetto esegue una pan-tomima: in primo luogo è indispensabile che esso abbia a disposizionele informazioni relative all’oggetto ma anche al suo uso; tuttavia que-ste non sono sufficienti, perché è necessario mettere insieme e integra-re le due conoscenze. Ecco perché la produzione delle pantomime richiede l’intervento dellamemoria di lavoro, in quanto sistema che sopraggiunge nell’esecuzio-ne di quelle prove che prevedono il monitoraggio e l’integrazione,momento per momento, delle informazioni in entrata;* Gesti motori (o percussioni): sono movimenti semplici, ripetuti insuccessione e ritmici (come il tamburellare con le dita) che possonoaccompagnare il discorso o essere prodotti da soli. Rientrano a far partedi questa categoria anche i “gesti di autocontatto” che, di norma, svol-gono una funzione automanipolatoria in condizioni di ansia, di tensio-ne fisica o psichica e che comportano la ripetizione del medesimo tipodi movimento (per esempio, grattarsi la nuca).Oltre a questa classificazione, i gesti possono essere distinti anche inbase ad un certo numero di parametri che si incrociano fra loro:* Contenuto semantico: in base a questo parametro si possono distin-guere i gesti a seconda che diano informazioni sul mondo (ad esempioi gesti iconici e deittici); sull’identità del parlante (ad esempio il gestosimbolico di scuotere il pugno per proclamare “sono comunista”) osulla sua mente (ad esempio il “gesto di Wittgenstein) che significa“chi se ne frega” e seguito attraverso il dorso della mano che scivolaripetutamente sotto il mento leggermente alzato;* Tipo di scopo: può essere individuale, se è uno scopo interno dell’in-dividuo (ad es. dare indicazioni a gesti a chi sta cercando un luogo adesso sconosciuto), biologico, se esprime emozioni primarie (come apri-re le braccia per la sorpresa) o sociale se è governato da norme sociali(ad esempio mettersi la mano davanti alla bocca nel tossire rappresen-ta un gesto di cortesia);* Livello di consapevolezza: può essere conscio, se il parlante mentreesegue il gesto ne è completamente consapevole (ad esempio nei gestisimbolici), inconscio, se eseguito inconsapevolmente, oppure tacito, se

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il gesto viene eseguito senza che il parlante se ne accorga (come nelcaso dei gesti batonici);* Costruzione cognitiva: in base a questo parametro i gesti possonoessere codificati, se memorizzati stabilmente in un lessico gestuale,come se costituissero un linguaggio a parte e a volte autonomo dal par-lato (ne sono un esempio le lingue dei segni utilizzate dalle personesorde, i gesti simbolici ma anche i gesti batonici, perché quando lamano sale verso l’alto indica il “comment”, cioè la parte nuova dellafrase), oppure creativi, cioè inventati estemporaneamente sulla base dipoche regole di inferenza condivise (ad esempio i gesti iconici poichécon le loro forme, posizioni e movimenti rappresentano oggetti e azio-ni, o i gesti deittici). Un gesto creativo, nasce quando è necessario“costruire” un nuovo referente, cioè quando ci si riferisce a qualcosa dicui non si è mai parlato prima. Ci sono due modi per costruire un refe-rente: attraverso l’indicazione, quando il referente è presente nell’im-mediato contesto spazio-temporale, oppure dando un nome al nuovoreferente attraverso i gesti; ciò vuol dire estrarre una o più caratteristi-che distintive di quel referente e rappresentarle con le mani. Le caratteristiche distintive devono rispondere a due requisiti: esserespecifiche, quindi distinguibili da altre e facili da mimare. Così, per dareun nome con un gesto, si può imitare la forma dell’oggetto (per riferirsia una “chitarra” si può disegnare nell’aria il suo profilo), rappresentarele azioni che si collegano ad esso (per riferirsi ad un “volatile” si posso-no battere le mani come ali), mimare le azioni che si fanno con esso (percomunicare il significato di “sale” si strofinano pollice, indice e mediocome se lo si spargesse sul cibo) o indicare il luogo in cui in genere quelreferente si trova (per “montagna” si indica lontano e verso l’alto).Quando invece il referente è un concetto astratto (come “menzogna” o“democrazia”) oppure un oggetto concreto che pur essendo percepibile,non si può rappresentare con le mani (come “vento”, “caldo”, “rumore”),è necessario lanciare un “ponte” fra astratto e concreto (Galantucci,2005), ovvero riuscire a comunicare il significato del referente, attraver-so una serie di regole di inferenza che connettono l’astratto e il concre-to (ad esempio per rappresentare “democrazia” un soggetto può rappre-sentare l’antitesi della democrazia cioè la dittatura, resa attraverso lafigura di Mussolini di cui si possono mimare le pose e le movenze tipi-che con i pugni sui fianchi e il mento sollevato).

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3.4.1 LA CHEROLOGIA: IL DIZIONARIO DEI GESTI

La cherologia (dal greco chèir = mano) del Gestionario italiano ha loscopo di creare un alfabeto dei gesti descrivendone la fonologia e lasemantica. Per individuare la fonologia dei gesti, Stokoe (1978), unodei pionieri nello studio scientifico delle lingue di segni, ha introdottola nozione di “parametri formazionali” del segno: questi rappresentanodei criteri di classificazione in base a cui è possibile analizzare tutti isegni di un lessico dei gesti. In un particolare sistema di gesti ogni para-metro può assumere un certo numero di valori, per cui in quel sistema,ogni gesto è caratterizzato univocamente dalla combinazione dei valo-ri che assume rispetto ai diversi parametri. I parametri formazionali delgesto sono:- la forma della mano - l’orientamento

- il luogo

- il movimento che è un parametro molto complesso e articolato in sot-toparametri fra cui direzione, durata e tensione muscolare.Ad esempio nel gesto che significa “se l’intendono”, la forma dellamano è rappresentata dagli indici delle due mani tese, l’orientamento èa palme in giù, con il metacarpo verso l’ascoltatore, il luogo è rappre-sentato dallo spazio neutro della persona, il movimento è dato dagliindici paralleli che si avvicinano e si allontanano ripetutamente.

3.4.2 IL GESTIONARIO

Inoltre, le informazioni semantiche contenute nel Gestionario possonoessere suddivise in base a:* Formulazione verbale: per ogni gesto simbolico infatti vi è una tra-duzione verbale che lo accompagna o lo parafrasa;* contesto: indica il contesto in cui più tipicamente un determinatogesto viene usato (il gesto “se l’intendono” viene di solito utilizzato fradue persone);* sinonimi: indicano i gesti che hanno più o meno lo stesso significato(il sinonimo del gesto “c’è del tenero” viene effettuato con il pollice el’indice aperti e curvi che ruotano ripetutamente sul polso);

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* significato: è la definizione vera e propria che mira a enucleare ilsignificato comune agli usi del gesto in contesti diversi;* classificazione grammaticale: è possibile distinguere gesti olofrasti-ci e articolati, cioè “gesti-frase” e “gesti-parola”, a seconda che abbia-no il significato di una frase intera o solo di una parte di frase (ad es.muovere l’indice e il medio a V vuol dire “fumare”, cioè porta il signi-ficato di una sola parola, mentre battere le mani ha il significato di unafrase intera, “ti lodo”);* classificazione Pragmatica: i “gesti-frase” vengono classificati, inbase al loro specifico performativo, come gesti di domanda (ad esem-pio il gesto “ma che vuoi?”), richiesta (il gesto “vieni qui”), minaccia(l’indice teso mosso su e giù, “guai a te!”), lode (l’applauso, “bravo!”);* classificazione semantica: fra i gesti simbolici, molti danno informa-zioni sul mondo: animali (“cavallo”, “asino”), oggetti (“forbici”, “siga-retta”), azioni (“camminare”), proprietà fisiche e mentali (“magro”,“stupido”), tempi (“ieri”), quantità (“due”). Altri gesti danno informa-zioni sulla mente del parlante: sul grado di certezza delle conoscenze(“no”, “sono perplesso”); sulla fonte delle conoscenze comunicate(“cerco di ricordare”); sul performativo dei propri atti di comunicazio-ne (“attenzione”, “chiedo scusa”); sui legami logici tra le frasi deldiscorso (“quindi”); sulla presa di turno (“chiedo la parola”); sulleemozioni (“vittoria” per esprimere esultanza, “che vergogna”). Infine,un gesto simbolico dà informazioni sull’identità del parlante: mettersila mano sul cuore significa “sono nobile”;* figure retoriche nei gesti: secondo questo parametro i gesti si posso-no suddividere in gesti metaforici (ad es. battersi la mano sul petto, colpalmo in giù e le dita che si toccano vuol dire “mi sta qui”, cioè lette-ralmente “non lo digerisco”) gesti iconici, ad esempio il gesto diapplauso inteso sia in senso letterale per approvare e lodare, ma anchein senso ironico per esprimere, al contrario, un sarcastico elogio, cioèuna critica, una forte disapprovazione; gesti che utilizzano la figuraretorica dell’iperbole, cioè dell’esagerazione (ad es. per comunicare“sono triste” l’indice striscerà la guancia dallo zigomo in giù, come raf-figurando una lacrima che scende, e quindi il pianto), gesti che utiliz-zano la figura retorica della sineddoche (ad esempio per intendere “pri-gione” si rappresentano le sbarre con le cinque dita della mano davan-ti alla faccia).

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L’applicazione dei meccanismi retorici ai gesti, ha due importanti fun-zioni per il lessico: da un lato contribuisce al cambiamento storico delsignificato dei gesti, perché l’operare di una figura retorica fa cambia-re il significato del gesto, al punto che il nuovo significato soppianta ilvecchio; d’altra parte, in alcuni gesti coesistono il significato letteralee quello retorico (come nel gesto di applauso che mantiene, insieme alsuo significato di lode, quello di critica). La coesistenza di due signifi-cati, in parte collegati, in uno stesso gesto costituisce la polisemia deigesti e cioè la duplicità di significati.I gesti presentano rilevanti variazioni culturali, soprattutto in riferimen-to agli emblemi e al linguaggio di segni. Morris (1979) ha studiato letipologie di gesti emblematici in quaranta regioni dell’Europa occiden-tale, e ha notato che pochissimi di questi sono in comune tra le diversepopolazioni; neppure i cenni del capo per dire sì o per dire no sono uni-versali. Infatti, mentre nelle regioni settentrionali dell’Europa si scuoteil capo in avanti (in senso verticale) per dire sì, e di lato (in senso oriz-zontale) per dire no, in alcune regioni della Bulgaria avviene il contra-rio e in alcune regioni dell’Italia meridionale si dà un colpo della testaindietro per dire no (come succedeva nell’antica Grecia). Il gesto dellamano a borsa (la mano si muove su e giù con il palmo in alto e con ledita che si toccano sulle punte), sconosciuto in Inghilterra ha un signi-ficato di interrogazione e di perplessità nell’Italia meridionale, signifi-ca buono in Grecia, lentamente in Tunisia, paura nella Francia meridio-nale e molto bello presso alcune comunità arabe. Anche per i gesti ico-nici esistono notevoli differenze culturali. Gli italiani del sud fannoampio uso di “gesti fisiografici, dotati di un elevato valore pittoricodescrittivo, mentre gli ebrei di lingua yiddish impiegano i gesti ideo-grafici per sottolineare la direzione del pensiero, collegando una fraseall’altra: si tratta di gesti contenuti e di estensione limitata” (Efron,1941).

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3.5 LA POSTURA

La postura rappresenta la posizione del corpo consapevolmente oinconsapevolmente assunta dal soggetto in relazione al contesto o e alsuo interlocutore. In ogni cultura esistono molti tipi di postura anche sele principali sono: eretta, distesa, rannicchiata, in ginocchio. Specifichenorme culturali definiscono quali sono le posture adeguate ad ogni cir-costanza il contesto sociale (per esempio in chiesa o in moschea siassume la postura in ginocchio). Esiste una relazione tra postura, ruoloe atteggiamento interpersonali. Ad esempio, Mehrabian (1972) ha tro-vato che il significato della postura si delinea lungo le dimensioni didominanza-sottomissione e rilassamento-tensione. Egli ha descrittouna serie di elementi che indicano il “rilassamento posturale”: posizio-ne asimmetrica degli arti, inclinazione obliqua o reclinata, rilassamen-to delle mani e del collo. Tali segnali vengono generalmente utilizzati nei confronti di persone distatus sociale inferiore: questa posizione viene considerata infatti“dominante”. Al contrario, in situazioni in cui ci si trova a contatto conpersone di status superiore, nei confronti delle quali si assume un atteg-giamento di subordinazione, la postura sarà più tesa e rigida tipica dellesituazioni di “sottomissione”. In altre situazioni, invece, la postura rigi-da, eretta con le mani sui fianchi e il capo all’indietro esprime domi-nanza; così come gli inchini, lo sguardo e il capo abbassati indicanoinvece sottomissione o riverenza. La postura è stata studiata anche inrelazione allo stato emotivo. Ekman e Friesen (1969) sostengono chela postura sia indicativa dell’intensità dell’emozione provata, più chedel tipo di emozione: infatti, mentre l’espressione del volto trasmetteun maggior numero di informazioni su espressioni specifiche, la postu-ra del corpo comunica l’intensità dell’emozione. La postura sarebbedunque un segnale non verbale più spontaneo, meno sottoposto al con-trollo volontario e cosciente, rispetto al volto. Sarbin e Hardyck, inve-ce, studiando il rapporto tra stato emotivo e postura, hanno messo inevidenza una specifica correlazione tra il tipo di postura e alcune spe-cifiche emozioni fondamentali. A sostegno di tali argomentazioni sipuò notare come la postura possa essere strettamente connessa al tonomuscolare.

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La funzione tonica sarebbe un mezzo peculiare di espressione e dicomunicazione di affetti di emozioni: nell’“imbarazzo” o nell’“ansia”,abitualmente il soggetto riferisce di “essere in tensione” o di “sentirsibloccato”, e a ciò fa realmente riscontro uno stato generale di ipertoniamuscolare. Al contrario, nella “tristezza” si riscontra una rilassamentodel tono muscolare.

3.6 IL SISTEMA PROSSEMICO

Con il termine “Prossemica”, si intende la branca della psicologia chestudia la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio e delladistanza nei confronti degli altri e dell’ambiente circostante. Ogni indi-viduo infatti necessita di creare e mantenere dei rapporti interpersona-li con gli altri, la vicinanza spaziale costituisce dunque una premessapsicologica e fisica indispensabile. Nello stesso tempo, la distanza fisi-ca permettere ad ognuno di definire e di proteggere la propria riserva-tezza e il proprio spazio personale. Inoltre la gestione della propria “ter-ritorialità” (Anolli, 2002) assume risvolti e significati psicologici nelcorso degli scambi comunicativi: il proprio spazio personale rivela infat-ti non solo lo status sociale, il sesso e la personalità di ogni individuo,ma anche il tipo di relazione e il rapporto di dominanza o di sottomissio-ne intrattenuto con l’interlocutore. Hall (1969) ha distinto quattro formediverse di distanza interpersonale, ognuna delle quali delimita un’areaattorno a ciascun individuo, entro cui è permesso entrare, solo, seguen-do alcune regole socioculturali, di volta in volta determinate dal conte-sto e dal tipo di relazione che si instaura con l’interlocutore:· distanza intima: (da 0 a 45 centimetri circa, a seconda della culturadi appartenenza) è la distanza propria dei rapporti di intimità, comequelli fra partner o tra madre e bambino. È la distanza in cui si può toc-care, sentire l’odore dell’altra persona, avvertire l’intensità delle sueemozioni, e parlare sottovoce;· distanza personale: (da 45 centimetri a un metro circa): è l’area invi-sibile che circonda in maniera costante il corpo; è una sorta di “bollainvisibile” che circonda ogni individuo, nella quale è sgradita l’intru-sione degli altri e la cui distanza varia da interazione a interazione. È propria delle relazioni fra amici ed è la distanza in cui è possibile toc-carsi, vedere l’altro in modo distinto, ma non sentirne l’odore;

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· distanza sociale: (fra 1 e 3,5-4 metri) è la distanza caratteristica dellerelazioni formali è impersonali; rappresenta il territorio in cui l’indivi-duo sente di avere libertà di movimento, prova un senso di agio e nepossiede il controllo (può essere la propria casa, l’ufficio o il clan degliamici); in questa distanza non è presente il contatto fisico con l’altro,ma vengono attivati soltanto gli apparati visivo e uditivo; · distanza pubblica: (oltre 4 metri) è la distanza tipica delle situazionipubbliche e ufficiali come, ad esempio, in un comizio in cui l’oratoresi trova sul palco; è la distanza entro la quale, rispetto all’interlocutore,è principalmente attivato l’apparato visivo e solo in parte, anche quel-lo uditivo (se è presente l’amplificazione del suono attraverso deimicrofoni).Naturalmente, queste distanze non sono così rigide e universali poiché,non soltanto risentono delle variazioni culturali (ad esempio le popola-zioni europee settentrionali, quelle asiatiche e quelle indiane, sonocaratterizzate da una “cultura della distanza”: in esse infatti la distanzainterpersonale è maggiore rispetto alle popolazioni arabe, sudamerica-ne e latine che invece sono caratterizzate da una “cultura della vicinan-za”) ma anche delle caratteristiche socio-ambientali del contesto in cuiavviene l’interazione, non sempre nelle relazioni interpersonali siinstaura la distanza ad esse adeguata; ad esempio, ci si può trovare adistanza intima, anche con persone con cui non si ha nessun tipo di rap-porto; ciò avviene, di norma, in un contesto “pubblico” come l’ascen-sore, oppure all’interno di un autobus, in cui si è costretti ad assumereuna distanza intima o personale con degli sconosciuti. Tale distanzaravvicinata, è comunque abbastanza tollerata, poiché segue principi enorme sociali tipiche di quelle particolari situazioni e quindi social-mente condivise. Inoltre, esistono degli espedienti per ristabilire, anchesolo a livello psicologico, la distanza ritenuta consona; ad esempio evi-tando il contatto visivo, che rappresenta un modo per aumentare ladistanza psicologica con l’altro e impedirgli di percepire le proprieemozioni e i propri stati d’animo.Ricci Bitti e Costa (2003), hanno analizzato l’organizzazione spazialee le distanze che si instaurano all’interno di una triade di amici. Se latriade è formata da due ragazze e un ragazzo, è il ragazzo che si posi-ziona a lato delle due ragazze, quindi alla loro destra o alla loro sinistra

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ma non al centro, inoltre, mantiene con loro una distanza maggiorerispetto a quella che le ragazze tengono fra di loro; in questo modo essosottolinea la sua diversità di genere. Se la triade invece è composta dadue ragazzi e una ragazza, la disposizione più frequente è quella in cuila ragazza si colloca al centro e i ragazzi le si pongono a destra e a sini-stra.

3.7 IL SISTEMA APTICO

Con il termine “Aptica”, si intende il contatto fisico che si instaura fradue persone: esso rappresenta la forma più primitiva di azione sociale,che nasce da un’esigenza innata di rassicurazione e affetto. In base alladefinizione di Isabella Poggi, tale sistema di comunicazione è definito“non-residente”, in quanto tutto il corpo può essere soggetto e oggettodi contatto fisico. Il contatto fisico assume notevole importanza soprat-tutto nel periodo neonatale e dell’infanzia, in cui attraverso il tatto, ibambini comunicano con la propria madre, sia per ragioni fisiologiche(come l’allattamento) sia psicologiche (per rassicurazione); è da ciòche si sviluppa il processo di attaccamento. Ma mano che si cresce,diminuisce il bisogno di contatti corporei interpersonali, anche con lefigure genitoriali, e le azioni di contatto assumono via via significatidiversi, legati all’ambiente e alla specifica situazione comunicativaentro la quale vengono attuate.

3.7.1 APTOLOGIA: IL DIZIONARIO DEL CONTATTO FISICO

Per descrivere la “fonologia” del contatto fisico sono stati individuatiquattro parametri formazionali:* Parte toccante, ovvero la parte del corpo del Toccante che tocca ilToccato; può essere una “mano” nella carezza, un “piede” nel calcio, la“bocca” nel bacio. I valori trovati per questo parametro nel Tocconario(Poggi, 2006) sono 23;* Parte toccata, ovvero la parte del corpo del Toccato che viene tocca-ta; i valori individuati sono 32; luogo e Spazio toccato, di cui sono statiindividuati tre valori: un “punto” (nel caso di un calcio o di unoschiaffo), una “linea” (nel caso di una carezza) oppure un’“area”;

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* Movimento: si può distinguere un movimento 1 quello della parteToccante prima del contatto con il Toccato e un movimento 2 (duranteil contatto), che può essere o meno presente: ad esempio, in uno“schiaffo” dopo il contatto, la mano si allontana. Entrambi i movimenti sono articolati in sotto parametri:- la direzione: (4 valori), cioè il tragitto designato dalla parte toccantealla parte toccata;- la pressione: cioè la forza del movimento, semanticamente rilevanteperché distingue contatti amichevoli da contatti aggressivi, e dipenden-te a sua volta dalla tensione muscolare della parte toccante (4 valori) edall’impatto fra parti Toccante e Toccata (3 valori);- il tempo: cioè la lunghezza, la frequenza o la ripetizione del contattofisico tra parte Toccante e Toccata, che ha come dimensioni la durata (3valori), la velocità (3 valori) e il ritmo, con 5 valori: unico, quando ilcontatto è molto breve e non ripetuto (per esempio in uno schiaffo, unpugno, un bacio sulla fronte); singolo, quando il contatto persiste perun po’ e può essere ripetuto, ma in maniera continua (nell’accarezzare,strofinare o asciugare le lacrime dell’altro); ripetuto a scatti, quando ilcontatto si ripete due o più volte (come nel battere due volte sulla spal-la); stabile, se il contatto persiste a lungo senza staccare la parte toccan-te (come nel tenersi per mano o camminare a braccetto); continuo, se ilmovimento si ripete senza pause (come nel massaggiare o strofinare).

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TAB 1: Il toccare. Analisi del segnale

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3.7.2 IL TOCCONARIO

Anche per i segnali di contatto fisico, è possibile individuare e classi-ficarne i significati, e quindi farne un lessico. Nella ricerca condotta daIsabella Poggi, presso l’Università Roma Tre, per ognuno dei 104 “attidi tocco” individuati, sono state enucleate informazioni riguardanti:* il Nome o la Descrizione verbale: ovvero parole o espressioni dellalingua italiana che menzionano segnali di contatto fisico (come adesempio “bacio”, “schiaffo”, “carezza”);* la Parafasi verbale: cioè l’espressione verbale che accompagna l’attodi tocco (ad es., “asciugare le lacrime dell’altro” può essere accompa-gnato dall’espressione “su, non piangere”);* Significato letterale: corrisponde all’informazione semantica conte-nuta nel segnale di contatto fisico (ad es. una “carezza” significa “vogliodarti piacere e serenità”);* Significato Indiretto: corrisponde al significato che deve essere infe-rito da quello letterale (nella “carezza” il significato indiretto è “voglioche tu stia calmo”); * Significato originario: corrisponde al significato originario del segna-le di contatto fisico, ovvero quello che ha origine da azioni non comu-nicative (ad esempio “abbracciare” deriva probabilmente dal desideriodi circondare l’altra persona, quasi a incorporarla e renderla parti di sé);* Scopo sociale: esprime la disposizione sociale del Toccante verso ilToccato; vi può essere uno scopo aggressivo, quando l’atto di toccaremira a danneggiare l’altro, (ad esempio nello schiaffo) e tre tipi di scopipositivi, che si distinguono per la relazione di potere cui fanno appellonei confronti del Toccato: il contatto fisico è protettivo se offre aiuto oaffetto (ad es. il marito che “porge il braccio” alla moglie), affiliativose chiede aiuto o affetto (ad esempio la moglie che “si appoggia il brac-cio” del marito) oppure amichevole quando offre aiuto o affetto masenza implicare una differenza di potere (due amiche che “vanno abraccetto”).

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3.7.3 CHI, DOVE E QUANDO TOCCARE: LE NORME D’USO

Le norme d’uso stabiliscono se un determinato significato può, nonpuò, deve o non deve essere comunicato in una certa situazione; ovve-ro stabiliscono se e quando comunicarlo è prescritto, proibito o permes-so. Le norme d’uso del Tocconario dipendono da:* il tempo, ovvero in quale momento di un incontro faccia a faccia siproduce in genere il segnale di contatto fisico: all’inizio, alla fine odurante l’incontro;* il tipo di interazione, cioè gli scopi per cui i partecipanti interagisco-no, indicano come deve essere interpretato il segnale di contatto fisico;il contatto è affettivo, se usato per stabilire un tipo di interazione in cuicomunicare un affetto, sia positivo che negativo; il contatto è rituale, seè governato da norme cerimoniali o da regole di cortesia (ad esempioil “bacio sulla guancia” fra i presidenti di due stati) oppure è scherzo-so, se il contatto fisico è usato violando ostentatamente queste stesseregole per instaurare una relazione di familiarità e un clima giocoso (adesempio una “pacca sulla spalla”);* il grado di intimità, indica se il gesto di contatto fisico è usato fraamanti o amici, conoscenti o sconosciuti;* la relazione di potere fra Toccante Toccato, indica se il gesto si puòusare solo con persone di status inferiore, tra pari o anche con personedi status o superiore.

3.8 LO SGUARDO

Lo sguardo rappresenta uno dei più potenti segnali non verbali; infattiproverbialmente “gli occhi sono lo specchio dell’anima”, ma non solo,anche della mente, dell’identità del soggetto e persino uno specchio delmondo. L’occhio, infatti, costituisce una struttura nervosa molto impor-tante se si pensa che circa i due terzi delle fibre sensoriali (circa 3milioni) provengono dall’occhio e che fra i dodici nervi cranici, seisono coinvolti nell’attività oculare. A loro volta, i muscoli extra-cultu-rali, che sono tra i più innervati dell’organismo, possono scontrarsi cen-tomila volte al giorno senza affaticamento. Inoltre l’eccitazione dellecellule della fovea, che ha la dimensione di un millimetro e mezzo, si

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propaga in una regione cerebrale centomila volte più estesa. In base aquesta dotazione biologica, la percezione visiva diventa il segnalecomunicativo privilegiato. Isabella Poggi, definisce lo sguardo comeun sistema di comunicazione “residente” perché interessa una piccolaparte del corpo, cioè la regione degli occhi, comprese le palpebre, leciglia e le sopracciglia, e ne individua 5 funzioni fondamentali:- vedere: cioè utilizzare gli occhi semplicemente per immagazzinareinformazioni attraverso la percezione visiva; questa funzione ricettivapermette di acquisire informazioni sul mondo;- guardare: cioè vedere avendo l’intenzione di farlo ad esempio “scru-tare”, “dare uno sguardo” o “tenere d’occhio”;- sentire: in quanto la percezione visiva è anche un canale per provaresensazioni positive e negative, e piaceri estetici (Argyle, Cook, 1976)ad esempio l’espressione “rifarsi gli occhi” si riferisce a ad una vistapiacevole;In tutti questi casi gli occhi svolgono una funzione recettiva, cioè voltaad immagazzinare e acquisire informazioni dal mondo alla mente delparlante.- pensare: in quanto gli occhi aiutano i processi di pensiero, quando c’èla necessità di concentrarsi, gli occhi si alzano al cielo oppure si chiu-dono, quando invece si è assorti nei propri pensieri l’occhio vaga personel vuoto;- comunicare: gli occhi vengono mostrati allo scopo di far avere infor-mazioni agli altri (ad esempio l’espressione “fulminare con lo sguardo”è utilizzata per far capire all’altro che si è in disaccordo con ciò che hafatto o detto.Lo sguardo assumendo una notevole importanza durante la conversa-zione, in cui occupa la quota preponderante del tempo trascorso, serveper inviare e raccogliere informazioni, nonché per acquisire il feedbackdel partner. Chi parla, in genere guarda (circa il 40% del tempo totale)di meno rispetto a chi ascolta (circa il 75% del tempo) e senza contat-to oculare le persone non hanno l’impressione di essere in comunica-zione fra loro nel corso delle conversazioni quotidiane. Lo sguardoinoltre è una segnale efficace per gestire la regolazione dei turni: all’i-nizio del turno della conversazione, il parlante è portato a distogliere losguardo dall’ascoltatore; durante il turno, la direzione dello sguardo si

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sposterà sistematicamente a intervalli verso l’ascoltatore o lontanodallo stesso; quando il turno sta per finire, lo sguardo tende a essererivolto verso l’interlocutore e in questo modo si favorisce il passaggiodi turno senza pause. Sia per il parlante che per l’ascoltatore, lo sguar-do svolge la funzione di sincronizzazione (come strumento per evitaresovrapposizioni e per gestire l’avvicendamento dei turni), di monito-raggio (come dispositivo per controllare l’interazione) e di segnalazio-ne (come mezzo per manifestare le proprie intenzioni). Lo sguardo è unsegnale comunicativo efficace anche per generare e gestire un determi-nato profilo della propria immagine personale. Chi guarda il partner èpercepito come più attento e coinvolto di chi evita lo sguardo, dimostramaggiore competenza in termini di intelligenza, di intraprendenza eabilità nelle interazioni sociali, nonché di fiducia e di sincerità. Inoltre,lo sguardo serve a regolare il rapporto di vicinanza o di distanza con lealtre persone nella gestione dell’intimità; appare più frequente tra ifamiliari e tra le persone che si conoscono che non con gli estranei.Tuttavia, si evita maggiormente lo sguardo quando si parla di argomen-ti “intimi”. È soprattutto attraverso le variazioni e la frequenza deglisguardi che si trasmettono indizi relativi all’intensità delle emozioni: leemozioni positive, come gioia o tenerezza, sono caratterizzate da unamaggior frequenza di sguardi; mentre le emozioni negative quali ildisgusto o l’imbarazzo, richiedono un evitamento o uno spostamentodel contatto oculare. Attraverso lo sguardo è anche possibile comunica-re gli atteggiamenti interpersonali, come le relazioni di dominanza e distatus; ad esempio, i contatti visivi sono più frequenti negli scambi enelle interazioni cooperative piuttosto che in quelle competitive. Nelleinterazioni asimmetriche solitamente, chi si trova in una posizionesubordinata rispetto al proprio interlocutore ha maggiormente la ten-denza a evitare lo sguardo. Chi si trova in una posizione di potere, inve-ce, guarda più a lungo l’altro quando parla e molto meno quando inve-ce ascolta. La fissazione oculare è invece uno sguardo prolungato eduraturo fra due persone che può diventare motivo di disagio e puòessere percepito, in determinate situazioni, come un segnale di minac-cia e/o di pericolo. Al contrario, lo sguardo fisso reciproco è caratteri-stico delle situazioni di seduzione e di innamoramento; in questo modola fissazione oculare reciproca conduce a condividere la cosiddetta“intimità oculare” in uno scambio senza parole.

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Oltre alla fissazione, nella seduzione assume particolare importanzaanche lo “sguardo laterale”, soprattutto da parte delle donne, come gestonon verbale di interesse verso il partner. Esistono poi delle importantidifferenze culturali nell’utilizzo dello sguardo: i popoli nordeuropei e igiapponesi tendono a evitare di guardare in modo prolungato i propriinterlocutori; mentre nelle culture latine lo sguardo prolungato è segnodi sincerità e di interesse verso l’altro.

3.8.1 OPTOLOGIA: LA FONOLOGIA DEGLI OCCHI

Allo scopo di creare “un alfabeto dello sguardo”, Isabella Poggi (2006)ha analizzato 300 casi di sguardo in materiali videoregistrati, in modotale da individuarne i parametri formazionali, ognuno con un certonumero di valori possibili, che combinandosi insieme danno vita aimille sguardi che popolano la vita quotidiana. La regione del viso rile-vante per la comunicazione attraverso lo sguardo, comprende: soprac-ciglia, palpebre superiori e inferiori, occhi e occhiaie. Per ognuno diqueste parti o loro sottoparti, si considerano alcuni aspetti, movimentio tratti morfologici. Per quanto riguarda le sopracciglia si considera laloro parte interna, quella centrale e quella esterna. Esse sono importan-ti perché non solo esprimono emozioni come rabbia, sorpresa, preoccu-pazione, ma servono anche per enfatizzare il discorso fornendo infor-mazioni sul topic e sul comment della frase, o per far capire all’altro lapropria disapprovazione. In particolare l’abbassamento delle sopracci-glia, comunemente chiamato “aggrottare”, viene prodotto avvicinandole une alle altre verso l’interno. Tale abbassamento produce l’effetto dicomprimere la pelle e di formare brevi rughe verticali sopra al naso,nell’area chiamata glabella. L’aggrottamento delle sopracciglia vieneutilizzato principalmente nei seguenti contesti:- per mancanza di una conoscenza: nel caso in cui il parlante fa unadomanda, comunica al proprio interlocutore di non riuscire a capire ciòche dice oppure vuole comunicargli la sua disapprovazione;- per prestare attenzione: nel caso in cui si guarda attentamente qual-cosa, si cerca di ricordare qualcosa oppure si afferma con certezza ilproprio discorso;- per trasmettere emozioni quali preoccupazione, rabbia, minaccia eaggressività;

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Tuttavia ognuno di questi significati può essere ricondotto ad un unicoelemento che li accomuna; mancanza di conoscenze, attenzione edemozioni presuppongono infatti un elevato livello di “concentrazione”.Originariamente però, l’abbassamento delle sopracciglia può esserericondotto ad una funzione puramente fisiologica, ovvero quella di pro-tezione dagli attacchi degli agenti esterni (pioggia, polvere, luce ecces-siva o improvvisa ecc.), ogni qualvolta si verifichi una minaccia per gliocchi. Nei momenti di pericolo l’abbassamento delle sopracciglia nonè tuttavia una protezione sufficiente e perciò spesso, tale azione eaccompagnata da un’attivazione del muscolo orbicolare dell’occhio, unmuscolo che lo circonda completamente e che determina un innalza-mento delle guance, la formazione di rughe a “zampe di gallina” ai latidegli occhi ed una parziale o totale chiusura degli stessi. L’azione con-giunta delle sopracciglia e dell’orbicolare si traduce nello “strizzare”gli occhi, tipico di una faccia che si ritrae in previsione di un’aggres-sione fisica o a esposta ad una luce troppo intensa che ferisce gli occhi.L’innalzamento delle sopracciglia invece si produce sollevandoleentrambe, in maniera simmetrica. Il loro sollevamento assume quattrosignificati principali:- sorpresa: nel caso in cui ci si trova di fronte ad una situazione impre-vista ;- enfasi: nella conversazione, innalzare le sopracciglia, ha la funzionedi enfatizzare il “comment” della frase che corrisponde alla parte piùimportante del discorso su cui porre l’attenzione. In recenti ricerche èstato dimostrato che l’innalzamento delle sopracciglia è associatosoprattutto alla pronuncia di aggettivi e sostantivi che rappresentano leparti semanticamente più salienti di un discorso e che contribuisconomaggiormente a dare significato alla frase;- funzione avversativa: il sollevamento delle sopracciglia può accom-pagnare nel discorso, una parola pronunciata con funzione avversativa,come “ma”, “tuttavia”, “invece”, “al contrario”, ed ha lo scopo diavvertire l’ascoltatore a non trarre, da ciò che si è detto fino a quelmomento, le inferenze più prevedibili ma a concludere esattamentel’opposto;- perplessità o dubbio: per comunicare incredulità rispetto ciò che si stadicendo.

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In questo caso, l’elemento semantico che appare comune a tutti questisignificati è quello di un’informazione nuova e inattesa che non puòessere inferita dalle conoscenze precedenti. Tuttavia, l’aggrottamento el’innalzamento delle sopracciglia possono essere considerati come duesegnali simmetrici, altrettanto quanto i loro significati: esse infatti ven-gono sollevate quando è necessario aumentare la quantità delle infor-mazioni, al contrario, si avvicinano quando è necessario “aguzzare losguardo” e mettere più a fuoco per migliore la qualità della visione. E poiché la visione è subito metafora della comprensione, l’aggrotta-mento sta a significare non solo cercare di “vedere meglio” ma anchedi “capire meglio”, quindi più in generale necessità di concentrazione.Anche i movimenti delle palpebre, che determinano l’apertura e lachiusura degli occhi, sono significativi; esse infatti possono esserechiuse per indicare concentrazione, a “mezz’asta” nell’“ occhio langui-do” dell’innamorato oppure semichiuse per esprimere odio. Le occhiaie hanno un valore involontariamente espressivo; se infossa-te, infatti rivelano stanchezza o esaurimento fisico. Per gli occhi, invece, l’umidità può rivelare gioia o entusiasmo (“occhiche brillano”) oppure dolore (lacrime); l’arrossamento può svelarne ilpianto, cioè grande tristezza, o al contrario rabbia intensa (“occhi iniet-tati di sangue”). La pupilla dilatata invece è segno di eccitazione ses-suale o d’altro tipo; l’occhio che non mette a fuoco, mostra vaghezza eimprecisione. Quanto al comportamento spaziale degli occhi, la dire-zione dell’iride è importante in relazione alla direzione del capo e delbusto, nonché alla posizione dell’interlocutore. In caso di default (ilcaso “normale”) occhio, testa e busto sono tutti rivolti verso l’interlo-cutore; al contrario nell’espressione “guardare di traverso”, utilizzataper mostrare diffidenza, capo e busto sono rivolti nella direzione oppo-sta a quella degli occhi. Anche la durata dello sguardo è sicuramente importante poiché “iltempo per cui si può sostenere uno sguardo è determinato da regoleferre (Argyle, Cook, 1976), uno sguardo più lungo di pochi secondi èper forza uno sguardo d’amore o uno di sfida”.

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TAB 2: I parametri formazionali dello sguardo

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3.8.2 L’OCCHIONARIO

Per costruire un “lessico dello sguardo”, oltre all’analisi fonologica ènecessaria anche un analisi semantica, allo scopo di individuare chetipo di significati possono essere veicolati attraverso gli occhi. Leinformazioni semantiche contenute nell’Occhionario, si distinguono intre grosse classi di significati:* Informazioni sul mondo: attraverso gli sguardi infatti si può comu-nicare circa gli eventi del mondo esterno: cioè su entità (oggetti, perso-ne, animali, fatti e discussi), sulle loro proprietà e relazioni e sulla lorocollocazione nel tempo e nello spazio. Due principali tipi di sguardoveicolano questo tipo di informazioni: gli sguardi deittici e gli sguardiattributivi. I primi si riferiscono ad una persona, un oggetto o un even-to presenti nell’immediato contesto, hanno dunque lo scopo di indica-re il referente. Essi, tuttavia, rappresentano un modo di indicare più fur-tivo e nascosto rispetto al gesto di indicazione; infatti vengono utiliz-zati dal parlante, quando questo non intende rivelare troppo chiaramen-te, che sta indicando qualcosa o qualcuno. Ecco perché nello sguardodeittico la direzione dell’iride non è la stessa di quella del volto: il visoè rivolto verso l’interlocutore gli occhi invece all’oggetto o alla perso-na indicata. Gli sguardi attributivi, invece hanno una “funzione agget-tivale” (Poggi, 2006) ovvero informano e comunicano sulle proprietàfisiche del referente, in termini di dimensioni (ad esempio “strizzare gliocchi” per indicare oggetti piccoli o lontani e “spalancare gli occhi “per indicare oggetti grandi) e di quantità (ad esempio “strizzare gliocchi” può essere parafrasato come “poco”, al contrario “spalancare gliocchi” può essere parafrasato come “molto o tanto”) oppure sulle pro-prietà astratte del referente stesso (ad esempio “strizzare gli occhi” puòindicare un concetto specifico, “sottile” oppure un particolare o unasfumatura di un concetto);* Informazioni sull’identità del mittente: la comunicazione sulla pro-pria identità spesso è tacita e inconsapevole e può essere veicolata daitratti morfologici del viso (ad esempio le rughe svelano l’età, la plicapalpebrale indica l’appartenenza ad una determinata etnia), ma ancheda sguardi che esprimono i tratti di personalità del soggetto (ad esem-pio lo sguardo di una persona altezzosa è definito “dall’alto in basso”:

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cioè con il mento sollevato, tipico delle espressioni di dominanza, conuna direzione del viso diversa da quella degli occhi e con le palpebresemichiuse); * Informazioni sulla mente del mittente: durante la conversazione, leinformazioni inviate dal mittente all’interlocutore riguardano anche, lesue conoscenze, i suoi scopi, nonché le sue emozioni.- Conoscenze: il mittente può comunicare il grado di certezza delle sueconoscenze (“aggrottare le sopracciglia” indica certezza e serietàriguardo a ciò che viene detto) oppure informazioni metacognitive chesegnalano i suoi processi di pensiero (“alzare gli occhi al cielo” signi-fica fare inferenze, ragionare o escogitare soluzioni oppure “guardarenel vuoto” significa essere assorti nei propri pensieri);- scopi: gli sguardi informano sul performativo, ovvero sull’intenzionecomunicativa del parlante (ad esempio “alzare le sopracciglia con unbreve scatto all’indietro del capo” comunica l’intenzione di voler atti-rare l’attenzione dell’interlocutore, “ricambiare lo sguardo” significaaccettare una richiesta d’attenzione, “fare l’occhiolino” esprime accor-do e intesa con l’interlocutore), sulla struttura della frase (ad esempio“guardare fisso negli occhi” enfatizza la parte più importante della con-versazione, ossia il comment), sulla struttura del discorso (“innalzare lesopracciglia” accompagna le espressioni avversative ma, tuttavia, alcontrario) e sulla struttura della conversazione (“aprire di più gli occhi”viene utilizzato per richiedere il turno);- emozioni: ad esempio gli “occhi che brillano” esprimono felicità edentusiasmo, le “sopracciglia oblique” esprimono tristezza, gli “occhisbarrati” indicano terrore, gli “occhi abbassati” vergogna.

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3.9 IL VISO

Il potere espressivo del volto è fra gli aspetti più studiati della comuni-cazione non verbale. La ricerca sull’espressività facciale ha indagatospecialmente l’espressione delle emozioni; fra gli studi più conclamativi sono quelli sulle emozioni primarie (gioia, tristezza, rabbia, paura,disgusto, sorpresa) per ognuna delle quali un programma neurale, inna-to nella specie umana, innesca i movimenti muscolari espressivi delvolto (Ekman e Friesen, 1978; Ekman, 1982). Inoltre, al viso si attri-buisce anche il potere di manifestare la personalità, ovvero le caratteri-stiche psichiche e mentali di ogni individuo; a ciò si rivolge lo studiodella fisionomica (Lavater, 1772; Magli, 1995). L’espressione faccialeperò, non rivela soltanto emozioni e personalità, ma è anche un poten-te segnalatore del suo performativo, ovvero dell’intenzionalità comuni-cativa del parlante, del tipo di azione sociale che compie verso l’altro,dell’atteggiamento con cui si pone nei suoi confronti e delle sue aspet-tative circa il comportamento altrui. Il performativo di ogni atto comu-nicativo contiene in genere sei tipi di informazioni (Poggi, Pelachaud,2000):a) lo scopo dell’atto comunicativo, che si identifica con una richiesta(quando si desidera che l’altro compi un’azione), con una domanda(quando si richiede un’informazione) o con un’ informazione (quandosi trasmette una conoscenza);b) nell’interesse di chi è l’azione richiesta o l’informazione data, adesempio “dare un ordine” è nell’interesse del Mittente, “dare un consi-glio” è nell’interesse del Destinatario;c) il grado di certezza delle conoscenze comunicate, ad esempio“dichiarare” indica la certezza di ciò che si sta affermando;d) la relazione di potere fra mittente e destinatario: in un “ordine”, ilMittente ha potere sul Destinatario (M >D), in una “preghiera” avvie-ne l’opposto (M < D), in un “consiglio” M si pone sullo stesso piano diD (M = D);e) il tipo di incontro sociale: cioè il livello di formalità della relazioneMittente-Destinatario e degli scopi del loro rapporto comunicativo;f) lo stato affettivo del Mittente: in un “ordine perentorio” il Mittenteprova un’emozione di rabbia, in una “supplica” prova tristezza.

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Tuttavia, non tutte queste informazioni sono rappresentate in tutti iperformativi: infatti soltanto l’informazione sullo scopo dell’attocomunicativo è sempre presente.

3.9.1 LE FACCE PERFORMATIVE

Nell’espressione del viso, si possono individuare un certo numero dielementi ricorrenti che combinandosi fra loro, danno luogo all’espres-sione dei diversi performativi:- la posizione del capo (eretto, inclinato ecc.);- le azioni muscolari nella regione della bocca (che possono produrre

risa, sorrisi e smorfie);- le azioni muscolari nella regione degli occhi (direzione dello sguardo,

innalzamenti e aggrottamenti delle sopracciglia).Vi sarebbe così un doppio livello di composizionalità (cioè un ristrettonumero di elementi che danno luogo a un gran numero di combinazio-ni): nel segnale e nel significato. Ma vi può essere anche una corrispon-denza fra elementi del segnale e del significato; in molti casi cioè, uncerto significato è espresso abbastanza sistematicamente da un partico-lare elemento del segnale facciale. Ad esempio in un “ordine perento-rio”, il Mittente mantiene la testa dritta, con il mento un po’ sollevato(come espressione di dominanza) e le sopracciglia aggrottate (comeespressione emotiva di rabbia e severità), nella “supplica”, invece ilcapo è un po’ inclinato lateralmente (come tipica espressioni di sotto-missione) e le parti interne delle sopracciglia sono sollevate.

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TAB 3: Le facce performative

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CAPITOLO IV

NEUROPSICOLOGIA DELLA MIMICA EMOTIVA

Amore per te

Ogni desiderio è una parola al cuore È un incanto di allegriaÈ un immenso di parole

È un amore dentro agli occhiBrillanti come stelle,

è una luce d’amore per te

Dal libro “Incanto Di Parole” di Fabrizia Lopilato

L’emozione non costituisce un costrutto unitario, piuttosto è rappresen-tabile come un sistema multidimensionale: essa, infatti, è intesa comeesperienza che include, modificazioni fisiologiche in risposta a deter-minati stimoli (un aumento del battito cardiaco, ad esempio), compor-tamenti osservabili che vanno dalle espressioni facciali ai segnali voca-li, cambiamenti interni, indicati come sentimenti o affetti, così comecomponenti cognitive, che includono pensieri e credenze (Balconi,2004). Tra le componenti espressive che contribuiscono alla comunica-zione delle emozioni, le espressioni facciali sono considerate comespecifici segnali comunicativi: esse costituiscono le componenti cen-trali dei comportamenti sociali di ciascun individuo e rappresentanostimoli significativi nella comunicazione umana. Inoltre, il volto costi-tuisce un canale privilegiato di socializzazione, in quanto possiede unelevato valore emotivo che consente di decifrare le intenzioni altrui. Inprimo luogo, dunque, è necessario indagare, in che modo è possibileesprimere un’emozione mediante il volto e comprendere il significatodi tale espressione; in altre parole, è utile studiare le modalità di produ-zione e comprensione della mimica facciale. In secondo luogo, unpunto critico è costituito dall’analisi della relazione tra emozione edespressioni facciali, ovvero circa il fatto che l’espressione faccialepossa costituire un indicatore accurato di un’emozione o, piuttosto,possa costituire espressione di qualcos’altro.

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4.1 LE ESPRESSIONI FACCIALI DELLE EMOZIONI

Indagini relative all’espressione facciale delle emozioni, secondo laprospettiva neuropsicologica, sono state condotte a partire dai lavori diDarwin (1872) che, con il suo contributo “Expression of emotion inman and animals” ha esplorato numerose questioni in merito allo svi-luppo delle espressioni facciali in termini filogenetici. Secondo la suaprospettiva, di tipo innatista, le espressioni facciali sarebbero caratte-rizzate da un alto grado di universalità e avrebbero la funzione di riflet-tere uno stato motivazionale o un’intenzione, utile alla sopravvivenza eall’evoluzione della specie; ecco perché tali espressioni sono state defi-nite come “inutili vestigia di abitudini ancestrali”. A partire dalla ripresa degli studi darwiniani è stata rilevata una rina-scita di interesse intorno alla mimica emotiva: in alcuni casi è stato pro-posto un approccio evolutivo (Tomkins, 1980; Plutchik, 1962); in altri,è stato approfondito il contributo di componenti cross-culturali, chepossono rendere conto della valenza universale di processi di compren-sione delle emozioni. A tal proposito la teoria neuroculturale di Ekman(1982) ha proposto un modello cerebrale di produzione delle espressio-ni facciali, su base innata. Il programma delle espressioni facciali prevede alcuni aspetti centrali,tra cui la presenza di un numero ristretto di emozioni di base (felicità, tri-stezza, sorpresa, collera, paura, disgusto, disprezzo) determinati geneti-camente, ciascuna delle quali avrebbe un particolare pattern, ovvero uncomportamento facciale caratteristico, una differente esperienzacosciente, specifiche basi fisiologiche e funzioni cognitive e psicologi-che distintive. Ekman, ha sottolineato inoltre, come ciascuna di esse atti-vi differenti percorsi di codifica a livello neurale, in quanto pattern dirisposta emozione-specifici del SNC (sistema nervoso centrale) e delSNA (sistema nervoso autonomico). Secondo questa ipotesi, nello stu-dio delle espressioni facciali vanno individuati due livelli distinti dianalisi: il livello molecolare, che concerne i movimenti minimi e distin-ti di numerosi muscoli, che consentono l’elevata mobilità ed espressi-vità del volto, e il livello molare, che riguarda la configurazione finalerisultante e che si manifesta nell’assumere una determinata espressionefacciale come corrispondente a una data esperienza emotiva.

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Facendo riferimento al livello molecolare, Ekman e Friesen (1978)hanno elaborato il Facial Action Coding System (FACS) come sistemadi osservazione e di classificazione dei movimenti facciali visibili(anche quelli minimi) in riferimento alle loro componenti anatomo-fisiologiche. Dopo anni di ricerca è stato possibile distinguere i movi-menti facciali, in 44 unità di azione (AU), mediante le quali sono statiindagati oltre 7000 movimenti mimici, in tutte le loro combinazioni.Inoltre, l’universalità delle espressioni facciali è stata dimostrata dallapresenza degli stessi pattern mimici per l’espressione delle emozioni,in differenti gruppi di soggetti appartenenti a culture molto diversi fraloro; d’altra parte, anche il processo di decoding presenta un ampiomargine di omogeneità nelle diverse culture.La teoria neuroculturale di Ekman rientra a far parte della prospettivacategoriale, in base alla quale, è possibile identificare emozioni discre-te e distinte le une dalle altre, ed è ragionevole supporre che il caratte-re universale dell’espressione facciale delle emozioni sia costituitodalla connessione tra precise configurazioni facciali e specifiche emo-zioni. Gli assunti principali del modello categoriale solo riassumibilinei punti seguenti:- ciascuna emozione è geneticamente determinata e discreta, poichécaratterizzata da un tipico comportamento mimico;- esistono emozioni di base, tra le quali sono ascrivibili la paura, la rab-bia, la tristezza, la gioia, il disgusto e la sorpresa;- tali emozioni sono perlopiù riconosciute all’interno delle principaliculture, poiché l’abilità di riconoscere un’emozione in un’espressionefacciale è una competenza innata;- il significato di un’espressione facciale è definito per natura ed è inva-riante rispetto ai molteplici contesti in cui ha luogo;- la comprensione di espressioni facciali distinte sottende l’esistenza diun sistema di segnalazione, risultante da un processo di adattamento eapprendimento dell’organismo ad eventi passati. Come sottolineato anche da Ellsworth (1991) la rilevazione di espres-sioni facciali distinte, supporta l’ipotesi dell’esistenza di sistemi e diprogrammi olistici per ogni emozione, sistema che non può essere a suavolta suddiviso in unità più piccole. Più in generale, i modelli discretiassumono che le espressioni facciali di alcune emozioni di base siano

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innate, come dimostrato dalla presenza di tali espressioni discreteanche in bambini molto piccoli. In aggiunta esiste un accordo consi-stente circa l’esistenza di sistemi di segnali facciali distinti e prototipi-ci che possono essere riconosciuti all’interno di una varietà di culturediverse, riconducibili essenzialmente ad almeno sei differenti emozio-ni (gioia, tristezza, sorpresa, disgusto, rabbia e paura). Il fatto che essesiano ampiamente riconosciute fa supporre che al loro interno, sianocodificate alcune informazioni significative e di tipo invariante.Secondo la prospettiva dimensionale invece, le emozioni non rappresen-tano unità discrete e separate, piuttosto esse sono diversificate l’una dal-l’altra, in termini di variazioni di un gradiente di intensità, secondo alcu-ne dimensioni continue, quali la valenza edonica (piacevolezza o spiace-volezza), la novità (o meno) degli eventi elicitanti, il livello di attivazio-ne, il grado di controllo dei medesimi, la compatibilità (o meno) con lenorme sociali di riferimento. Già Wund (1896) aveva avanzato l’ipotesisecondo la quale “i sentimenti” variano lungo tre dimensioni: gradevo-lezza/sgradevolezza, eccitazione/calma, tensione/rilassamento. Nella classificazione delle espressioni emotive, Woodworth (1938), attor-no agli anni quaranta, individuò un ordinamento scalare lineare secondosei gruppi di emozioni. Riprendendo questi studi, Schlosberg(1941,1952) elaborò una scala circolare, generata da tre assi o dimensio-ni: piacere/dispiacere, attenzione/rifiuto, livello di attivazione.Secondo questo approccio, le espressioni facciali non rappresentanosegnali di specifiche emozioni, piuttosto il focus dell’analisi è rivoltoal potenziale comunicativo che esse possiedono. L’elemento critico delmodello proposto da Russel (1997) è costituito infatti, dalla risposta deldecoder alle espressioni del volto, piuttosto che dai meccanismi di pro-duzione di quelle espressioni. Pertanto, un aspetto rilevante di taleapproccio è costituito dal significato emotivo inferito nella compren-sione della mimica, ovvero dal ruolo che svolge il processo di valuta-zione ad opera del decoder, nell’attribuire un significato all’espressio-ne facciale. Il giudizio del decoder è espresso in base al livello di atten-zione richiesto, al grado di piacevolezza espresso dalla mimica faccia-le, nonché dal livello di arousal presente (cioè lo stato di attivazionegenerale dell’organismo che comporta specifiche variazioni di alcuniparametri fisiologici).

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La prospettiva dimensionale delle emozioni rientra a far parte delle teo-rie dell’appraisal, secondo cui un’emozione, non sarebbe determinatada uno specifico evento, ma dalla valutazione che l’individuo fa dell’e-vento stesso sotto forma di significato individuale attribuito. Poiché le emozioni sono profondamente intrecciate con i processicognitivi, si può identificare l’appraisal con il processo di elaborazio-ne cognitiva degli stimoli che caratterizzano la situazione emotiva.Infatti, le emozioni, non compaiono in modo gratuito, all’improvviso,senza una ragione di essere, come accadimenti imprevisti e casuali,bensì sono la conseguenza di un’attività di conoscenza e di valutazio-ne della situazione, in riferimento alle sue implicazioni per il benesse-re dell’individuo e per il soddisfacimento dei suoi scopi, desideri, inte-ressi e aspettative.Pertanto, come ha posto in evidenza Frijda (1988), nelle sue “leggi delleemozioni”, le emozioni sorgono in risposta alla struttura di significato diuna determinata situazione. Esse non sono attivate dall’evento in sé, masono generate dai significati e dai valori che ogni individuo attribuisce aquell’evento. In particolare sorgono in risposta a situazioni valutatecome importanti per il soggetto; eventi che soddisfano i suoi scopi edesideri, attivano emozioni positive; eventi che sono ritenuti dannosi oche minacciano i suoi interessi, conducono a emozioni negative; mentreeventi inattesi e nuovi producono sorpresa e stupore.Collegato al precedente, l’approccio componenziale elaborato da Smithe Scott (1997), ipotizza che almeno alcune componenti della mimicafacciale possiedano un significato intrinseco; ovvero, le espressioniemotive possiedono una struttura sistematica, coerente e dotato disignificato. Tale approccio si colloca in una posizione intermedia tra imodelli categoriali neuroculturali e quelli dimensionali. Tale approcciosvolge infatti una funzione ponte tra i modelli categoriali e quelli dimen-sionali: si pone infatti in una posizione più “neutrale” rispetto all’esisten-za di un insieme ristretto di emozioni di base, e introduce il concetto diinsieme “sfocato” o “famiglia” di emozioni. Elemento costitutivo di taleapproccio, come nel precedente, è l’intento di considerare la mimica fac-ciale come un indicatore dei processi di valutazione o appraisal da partedel decoder. Smith e Scott, hanno individuato quattro dimensioni disignificato lungo le quali si organizzano le componenti mimiche: la pia-

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cevolezza dello stato emotivo, l’attività attenzionale associata allo statoemotivo, l’attivazione o arousal e il controllo del soggetto sulla propriacondizione (o agency). Ad esempio l’attività attenzionale associata allostimolo riflette la valutazione della novità della situazione e il grado diincertezza percepita dal soggetto circa la situazione emotiva.Le espressioni facciali possono essere considerate come sistemi disegnali che possiedono la funzione di facilitare le interazioni tra i mem-bri della specie e il più ampio rapporto con l’ambiente circostante. Inparticolare, esse possono essere intese come indicatori sociali, che defi-niscono la linea di azione che l’organismo intende perseguire in quelladeterminata situazione. Inoltre, la mimica facciale può essere definitacome strumento sociale che facilita la negoziazione delle interazioni,poiché diviene manifestazione della direzione assunta da una determi-nata relazione. In secondo luogo, essa rappresenta un messaggio ingrado di influenzare il comportamento altrui e assume un determinatosignificato in funzione dello specifico contesto sociale entro cui si rea-lizza e in stretta relazione agli interlocutori sociali cui essa si rivolge.Fridlund (1991) ha portato l’esempio di come i patterns comportamen-tali del sorriso sono maggiormente presenti nel caso in cui chi lo mettein atto si trovi all’interno di un contesto sociale rispetto alla condizio-ne di solitudine.l’approccio comunicativo, infatti sostiene che la mimica facciale assu-me un ruolo importante all’interno di un contesto interattivo, grazie allapropria valenza comunicativa. Essa possiederebbe cioè una funzionecomunicativa in sé manifestandosi insieme ad altre componenti quali lagestualità, le componenti vocali, lo sguardo. Anche Chovil ha sottoli-neato il ruolo sociale comunicativo della mimica facciale; le espressio-ni facciali infatti si manifestano generalmente e con maggiore frequen-za in situazioni sociali rispetto a situazioni non sociali. Ad esempio lapresenza di un ricevente aumenta la probabilità che abbia luogo unamodificazione della mimica emotiva, o, ancora, l’esibizione facciale èmaggiormente presente nelle interazioni faccia a faccia rispetto alleinterazioni a distanza. Nell’ambito della prospettiva comunicativa è inol-tre possibile individuare due differenti modelli: un primo approccio, defini-to “approccio dell’espressione emotiva” (Emotional Expression Approach,EEA) e un secondo approccio, definito approccio comunicativo sociale

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(Social Communication Approach, SCA). In particolare, il primo modelloha focalizzato i processi individuali e psicologici correlati alla mimica emo-tiva, dal momento che la mimica è definita come espressione di componen-ti emotive sottostanti: la relazione tra le emozioni interne e il comportamen-to facciale diviene pertanto elemento centrale di analisi. Per il secondomodello invece, la mimica facciale è rappresentabile come atto comu-nicativo che può fornire informazioni agli individui (o ai decoder). Inquesta seconda prospettiva l’interazione sociale diviene l’elementoessenziale al fine di comprendere il significato reale dell’espressionefacciale. I due modelli differiscono, inoltre, rispetto ai meccanismi sot-tostanti alla manifestazione di un’espressione. Da un lato per il model-lo EEA le espressioni mimiche si verificherebbero sia in caso di pre-senza che di assenza di un potenziale ricevente in grado di decodificar-li. Secondo il modello SCA, la mimica facciale è invece identificabilecome rappresentazione simbolica di un’ampia varietà di significati, chedevono essere rilevati all’interno di un contesto. Tuttavia, per entram-bi i modelli diviene centrale la relazione emittente-ricevente come ele-mento essenziale al fine di determinare le ragioni per cui un determina-to comportamento mimico abbia luogo.

4.2 PROCESSI DI CODIFICA E RICONOSCIMENTO DEI VOLTI

Il volto comunica una serie di informazioni circa gli individui. Alcunedi queste informazioni possono essere derivate visivamente, ovvero èpossibile accedervi unicamente sulla base di attributi fisici fisiognomi-ci, indipendentemente dall’identità dell’individuo (come per il genere,l’età, il sesso ecc.), mentre altre informazioni appaiono derivate seman-ticamente, ovvero vi si può accedere solo dopo che la produzione dellarappresentazione del volto sia stata confrontata con una precedente rap-presentazione immagazzinata, da cui è possibile riattivare informazio-ni biografiche relative all’individuo. La domanda relativa ai processisottostanti la percezione e il riconoscimento della mimica facciale, hadato origine allo sviluppo di modelli che evidenziano la presenza di dif-ferenze nell’organizzazione delle informazioni derivate dal volto, infat-ti combinazioni differenti delle componenti facciali sono in grado dicomunicare informazioni pertinenti rispetto al genere, l’età, la familia-rità, l’identità o l’espressione emotiva.

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Quindi, che tipo di informazioni derivano dal volto?. E come avvieneil riconoscimento dei pattern facciali?. La recente teoria di Goldman(2004) ha proposto una chiave di lettura cognitiva alla comprensionedei volti emotivi. Il modello da lui proposto detto modello simulativoprevede che gli individui, generalmente, mettano in moto un’attività disimulazione mentale per l’attribuzione di un’emozione al volto: ildecoder seleziona un significato da attribuire all’espressione faccialealtrui, soltanto dopo aver riprodotto o riattivato nella propria mente lostato emotivo percepito. Ciò presuppone che nella mimica facciale cisiano informazioni sufficienti a selezionare lo stato emotivo corrispon-dente e appropriato. Il decoder procede nel ricostruire un’emozione,riproducendola a sua volta; un successivo confronto tra espressioneosservata ed espressione simulata può condurre, in caso di diretta com-parabilità, alla conferma del correlato emotivo con la conseguente attri-buzione di quell’emozione al targhet.

1. Genera un’emozione ipotizzata

2. Produce un’espressione

3. Testa questa espressione facciale rispetto a quella del

4. Corrisponde?

5. Classifica il proprio stato emotivo coerente e attribuisce

questo stato al targhet

SI

NO

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Secondo il modello gerarchico funzionale di produzione e di compren-sione dei volti proposto da Bruce e Young (1998), dal volto è possibilericavare diversi tipi di informazioni: la sua struttura fisica che permettedi ricavare caratteristiche come l’età e il sesso, il grado di familiaritàdello stesso o l’analisi dell’espressione della mimica facciale. Dal volto,dunque, è possibile ricavare differenti tipi di informazioni, definite come“codici”. Tali codici non sono però componenti funzionali del sistema diprocessamento del volto, ma sono generati, e di conseguenza vi si puòaccedere, soltanto attraverso dei processi funzionali che consentono diattivare e collegare tra loro codici differenti. Specificatamente, nell’ela-borazione del volto sono presenti sette differenti tipologie di codici: ilcodice pittorico, strutturale, visivo, semantico, identità-specifico, relati-vo al nome e relativo all’espressione.

FIG 4: Il modello di elaborazione dei volti di Bruce e Young, 1998

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Il codice pittorico fornisce informazioni circa la luminosità dello sti-molo e gli elementi di contrasto; esso quindi restituisce un’immaginebidimensionale del volto. Esso però, da solo non può consentirne ilriconoscimento, ecco perché è necessario procedere a estrapolarne uncodice strutturale, in grado di rappresentare gli aspetti configuraziona-li del volto che permettono di distinguerlo da altri. Questo codice per-mette inoltre, il riconoscimento di volti familiari rispetto volti nonfamiliari. Ad esempio, le caratteristiche interne dei volti familiari assu-mono un ruolo privilegiato per il riconoscimento, mentre per i volti nonfamiliari sia le caratteristiche interne sia quelle esterne risultano essererilevanti in misura uguale. A partire da entrambe le tipologie di volti,familiari e non familiari, possiamo derivare non solo informazioni con-cernenti l’età e il genere, ma possiamo anche interpretare il significatodelle espressioni facciali. Analizzando infatti la forma o la postura dellecaratteristiche mimiche possiamo giungere a definire un individuocome felice, triste o arrabbiato. Secondo questo modello però il codicedell’espressione non risulta necessario e indispensabile per il riconosci-mento del volto: l’espressione facciale è considerata infatti una descri-zione prospettiva-specifica, variabile in funzione di differenti contestie pertanto elaborata da parte del sistema cognitivo in maniera separatarispetto agli altri livelli rappresentazionali, al fine di estrapolarne ilcontenuto emotivo. Il modello assume pertanto un’indipendenza fun-zionale tra il processo di elaborazione dell’espressione e gli altri pro-cessi, quali quello di definizione dell’identità del volto.Un elemento distintivo di questa teoria è il presupposto dell’indipen-denza funzionale di ciascun codice, grazie al contributo di evidenzeneuropsicologiche rilevate in soggetti con lesioni corticali. I risultati sperimentali pongono in luce infatti una chiara dissociazionetra riconoscimento del pattern visivo, dell’espressione e dell’identità.Tale distinzione evidenzia la differenza tra le componenti relative allastruttura dello stimolo, che definiscono l’identità dell’individuo e chesono stabili nel tempo, rispetto al riconoscimento dell’espressioneemotiva che invece rappresenta un elemento variabile nel tempo.Entrambe le componenti implicano l’attivazione dell’emisfero destro,seppure esse siano rappresentate in aree differenti dell’encefalo. Unesperimento realizzato da Etcoff, ha consentito di rilevare la specificità

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di alcune aree corticali in relazione a compiti di riconoscimento di voltie di emozioni. Nello specifico, i soggetti sperimentali sono stati suddi-visi in tre sottogruppi: due gruppi di soggetti cerebrolesi destri e sini-stri con specifico quadro clinico e specifica localizzazione della lesio-ne e soggetti normali (gruppo di controllo). Gli stimoli utilizzati inclu-devano volti femminili che esprimevano due distinte emozioni: gioia otristezza. Il compito attribuito ai soggetti prevedeva la classificazionedelle immagini in funzione del tipo di espressione (allegra o triste) odell’identità del soggetto indipendentemente dall’espressione. I risulta-ti sperimentali hanno consentito di rilevare la presenza di abilità cogni-tive e di percorsi cerebrali distinti per le due componenti, seppureentrambi mediati dall’emisfero destro. D’altro canto, alcuni studi diparticolare interesse sul piano neuropsicologico, hanno rilevato la pre-senza di uno specifico deficit correlato all’analisi di volti. Il disturboprosopagnosico prevede, infatti, che pur essendo preservata l’abilità diidentificare gli oggetti in generale, risulti compromessa la capacità dielaborare caratteristiche specifiche di volti familiari. Analisi piùapprofondite hanno consentito di rilevare, tuttavia, come alcuni aspettidel riconoscimento siano preservati, in quanto processi automatici cheavvengono indipendentemente dal contributo della coscienza. Ciò cheandrebbe perduto sarebbe piuttosto la consapevolezza del riconosci-mento delle proprietà dei volti. La distinzione tra le componenti consa-pevoli e inconscie nell’elaborazione dei volti viene regolata a livelloanatomico da due differenti vie cortico-limbiche, deputate a supporta-re distinti processi di analisi. Una prima via, la via ventrale, danneggia-ta nei soggetti prosopagnosici, sarebbe deputata al riconoscimento con-scio ed esplicito delle informazioni del volto, mentre una seconda via,quella dorsale, preservata nel disturbo prosopagnosico, garantisce l’at-tribuzione inconsapevole del significato emotivo al volto.

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4.2.I MECCANISMI STRUTTURALI E SEMANTICI DELL’ELABORAZIONEDELLA MIMICA, EVIDENZE EMPIRICHE MEDIANTE RILEVAZIONE ERP

La rilevazione mediante potenziali evocati evento-correlati (ERPs)sono divenuti un importante strumento nello studio dei processi sotto-stanti alla percezione e al riconoscimento del volto. È possibile che dif-ferenti componenti ERP volto-specifiche possano riflettere differentifasi di comprensione del volto, a partire dall’analisi percettiva e dallacodifica strutturale delle componenti del volto fino alla classificazionee all’identificazione degli stimoli facciali individuali. Tra le fasi di ela-borazione che caratterizzano la comprensione del volto quelle piùampiamente esplorate sono state: la fase strutturale (implicata nel rico-noscimento del volto) e quella semantica (implicata nell’attribuzionedel significato all’espressione facciale). Dagli studi di Holmes, Caldarae Eimer è emerso che le regioni cerebrali implicate in aspetti distintidell’elaborazione dei volti sono topograficamente separate, ed è statasupportata l’ipotesi circa la specificità funzionale dei meccanismi cere-brali responsabili dell’elaborazione del volto, grazie agli studi psicofi-siologici che hanno impiegato potenziali evento-correlati a lunga laten-za. Innanzitutto alcuni studi che hanno impiegato misure ERP hanno con-sentito di individuare correlati neurali specifici per l’identificazione delvolto, ovvero indicatori che mostrano una maggiore ampiezza (inten-sità di picco) per il volto rispetto a molti altri stimoli, come case, mac-chine, occhi ecc... .Per quanto riguarda il processo di codifica strutturale, è stato individua-to uno specifico marcatore ERP: l’effetto N170. Esso non risulta esse-re influenzato dalla familiarità del volto presentato piuttosto dall’orien-tamento dello stimolo. Alcuni recenti ricerche hanno mostrato che laN170 elicitata da volti capovolti, appare più ampia rispetto a quella eli-citata da volti orientati correttamente. Una possibile interpretazione ditale effetto è che l’aumento di ampiezza, nonché una maggiore latenzadi comparsa dell’indice N170, sia dovuto a una maggiore difficoltà dicodifica dei volti invertiti. Ciò è ipotizzabile in primo luogo partendodal presupposto che la codifica del volto sia basata su un processo diestrapolazione della gestalt complessiva, che nel caso di inversione delvolto, risulta essere distorta e in secondo luogo, in virtù del fatto che gli

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stimoli non orientati normalmente sono più complessi da elaborarerispetto a quelli normalmente orientati. Ovvero, procedure che modifi-cano i pattern facciali rispetto ai loro dettagli percettivi, dovrebberoinfluenzare la comprensione degli stimoli facciali, con un aumento del-l’ampiezza di picco della N170.È stata, inoltre, rilevata una dissociazione funzionale tra uno specificomeccanismo visivo responsabile della codifica strutturale dei volti e unmeccanismo di più alto livello responsabile dell’associazione della rap-presentazione strutturale del volto con le informazioni semantiche,come l’espressione delle emozioni (Holmes, Vuilleumier e Eimer,2003; Junghofer, 2001). Haxby e colleghi (2002) hanno proposto unmodello del sistema neurale umano in grado di mediare la percezionedel volto. Come nella prospettiva di Bruce e Young, il decoding faccia-le possiede una struttura gerarchica che distingue un sistema nucleareper l’analisi visiva dei volti e un sistema esteso che elabora il signifi-cato delle informazioni ottenute dal volto. Pertanto, il riconoscimentodi un volto individuale è ottenuto grazie alla comparazione della descri-zione strutturale ricavata dall’analisi percettiva, con le rappresentazio-ni precedentemente immagazzinate dei singoli volti (unità di riconosci-mento del volto). Quando tali unità sono attivate grazie alla loro con-vergenza con la descrizione strutturale, è possibile accedere ai nodi del-l’identità personali presenti nella memoria semantica, producendo l’i-dentificazione del volto. Per tale processo è stata rilevata la modulazio-ne di un effetto ERP a lunga latenza in risposta alla codifica semanticadel volto. In uno studio in cui sono stati rilevati ERPs in risposta a voltifamiliari e a volti e ad altri oggetti non familiari, si è rilevato come ivolti non familiari possono produrre una maggiore negatività tra i 300e i 500 ms (definito come effetto N400), seguita da una maggiore posi-tività circa 500 ms dopo la stimolazione (effetto P600). In virtù dellaloro responsività alla familiarità del volto, gli effetti N400 e P600 pos-sono essere rappresentativi dei processi coinvolti nel riconoscimento enell’l’identificazione dei volti. Nello specifico, essi rifletterebbero imeccanismi cerebrali coinvolti nell’attivazione delle rappresentazionidi volti immagazzinati e la successiva attivazione della memoriasemantica, contrariamente all’effetto N170 che sarebbe legato all’ana-lisi percettiva dello stimolo facciale.

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Da queste evidenze sperimentali si possono distinguere i profili ERPsche riflettono la dinamica dei pattern neurali coinvolti nella percezionedel volto (fase di decoding strutturale) con gli ERPs correlati alla com-prensione del volto (fase di decoding semantico).

4.3 VIE CORTICALI DI RICONOSCIMENTO DEI VOLTI

Allo stato attuale sono stati condotti importanti studi per esplorare l’ar-chitettura funzionale dei meccanismi neurali implicati nella codificastrutturale del volto nel sistema visivo. I risultati empirici suggerisconoche una singola visione del volto possa contenere sufficienti informazio-ni invarianti per consentire il riconoscimento anche in presenza di cam-biamenti modesti della posa o dell’espressione assunta. Precisamente èstata rilevata una specifica area, il giro fusiforme, attivata da stimoli fac-ciali rispetto stimoli non facciali. È stato ipotizzato che tale regioni siacoinvolta selettivamente in alcuni aspetti dell’analisi percettiva delvolto, come la codifica strutturale delle informazioni necessarie al suoriconoscimento. Recentemente Kanwisher (1997) hanno supposto chetale area possa essere interpretata come un modulo specializzato per lapercezione del volto e per tale ragione è stata denominata area fusiformedel volto (FFA, Fusiform Face Area). In alcuni esperimenti è stato rilevato che la FFA risponde in modo piùconsistente alla vista di volti intatti piuttosto che non intatti e alla visio-ne frontale di volti rispetto a quella dell’immagine di una casa.L’attivazione della FFA sembra anche dipendere dal livello di attenzio-ne rivolto agli stimoli facciali. Infatti, quando i volti cadono al di fuoridel fuoco attentivo, la sua attività risulta essere ridotta.

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Haxby e colleghi (2000) hanno elaborato un modello relativo ainetwork corticali implicati nell’elaborazione dei volti.

FIG 5: Sistema neurale di elaborazione dei volti (Haxby, 2000)

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All’interno del modello, si ipotizza che gli individui elaborino due dif-ferenti componenti a partire dal viso: da un lato, l’insieme delle carat-teristiche invarianti e strutturali, dall’altro gli aspetti modificabili delvolto, come l’espressione facciale, lo sguardo, i movimenti delle labbraecc... . A livello corticale, il modello appare di natura gerarchica, ed èsuddiviso in un sistema nucleare e in un sistema esteso. In particolare,il sistema nucleare è composto da tre regioni bilaterali della cortecciaextrastriata visiva occipitotemporale, che includono il giro occipitaleinferiore, il giro fusiforme laterale e il solco temporale superiore.Un’ulteriore aspetto analizzato dal modello di Haxby (mediante l’im-piego di rilevazioni PET) è costituito dalla distinzione tra le aree di atti-vazione in risposta alla codifica e al riconoscimento di volti. I patterndi attivazione rilevati durante i due processi mostrano una dissociazio-ne dei sistemi neurali coinvolti. Il riconoscimento dei volti, in partico-lare ha fatto rilevare l’attivazione della corteccia frontale destra, dellacorteccia cingolata anteriore, della corteccia parietale bilaterale inferio-re e del cervelletto. In particolar modo la corteccia prefrontale destrarisulta essere attivata unicamente per compiti di riconoscimento e nonper compiti di codifica. Un’ area particolarmente rilevante nell’elaborazione del volto è la cor-teccia orbitofrontale. Due differenti fonti confermano tale ruolo. Da unlato, ricerche condotte su soggetti con lesioni corticali hanno rilevatoche danni orbitofrontali sono associati alla compromissione della capa-cità di identificare la mimica emotiva. Dall’altro, alcuni studi PEThanno posto in evidenza che la corteccia orbitofrontale è attivata inrisposta alla presentazione di volti emotivi rispetto a volti neutri. Gli studi sulla mimica facciale generalmente si sono focalizzati sullapercezione statica del volto, mediante fotografie o riproduzioni dell’e-spressione stessa. Al contrario, altri approcci hanno supposto che unarappresentazione dinamica incrementi la possibilità di riconoscimento edi discriminazione rispetto a una rappresentazione statica. In aggiunta, la rilevazione di una dissociazione di effetti prodotti dadanni cerebrali o psicopatologie sull’abilità di riconoscere le emozioninelle espressioni facciali dinamiche o statiche, suggerisce il coinvolgi-mento di correlati neurali distinti. Infatti alcune ricerche hanno analizza-to come pattern codificati in modo dinamico o statico attivino network

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corticali differenti nel riconoscimento. In ambito clinico Adolphs e col-leghi (2003) hanno riportato il caso di un soggetto incapace di ricono-scere le emozioni primarie, ad eccezione della gioia, quando le espres-sioni venivano presentate in modalità statica o come singole etichetteverbali. Al contrario, egli era in grado di riconoscere correttamentetutte le emozioni primarie a partire da stimoli dinamici.Recenti acquisizioni hanno consentito di rilevare, inoltre, che la perce-zione di differenti espressioni facciali coinvolge regioni distinte delsistema nervoso centrale. In particolare, è stato evidenziato come lapercezione di volti esprimenti paura, attivi regioni sinistre dell’amigda-la. In secondo luogo, studi sulle lesioni corticali hanno fatto rilevareche la percezione di emozioni di diversa natura è associata a differentiregioni corticali. Lesioni bilaterali dell’amigdala compromettono lacapacità di riconoscere le espressioni facciali della paura, mentre man-tengono inalterate le abilità di decoding delle espressioni facciali dellagioia, del disgusto e della tristezza. L’amigdala, possiede una colloca-zione anatomica funzionale all’integrazione di stimoli esterocettivi edenterocettivi ed è in grado di modulare i processi di elaborazione sen-soriale, motoria ed autonomica. Essa inoltre riceve input olfattivi,gustativi e viscerali: questi ultimi forniscono informazioni rispetto alleproprietà positive e negative degli stimoli e circa il loro valore biologi-co. Negli esseri umani, lesioni dell’amigdala possono produrre unagenerale riduzione della risposta emotiva ed in particolare, un deficitselettivo nel riconoscimento delle espressioni facciali della paura. Glistudi consentono di porre in rilievo il ruolo cruciale dell’amigdala nelmettere in atto comportamenti di risposta specifici a situazioni diminaccia. Più in generale alcune ricerche hanno dimostrato che l’amig-dala gioca un ruolo importante nel riconoscimento delle emozioni apartire dall’espressione facciale (Adolphs, 1999). In aggiunta è statariconosciuta una funzione prioritaria all’amigdala nell’elaborazionediretta dell’arousal emotivo e della valenza dello stimolo. Alcuni datiscientifici, infatti, forniscono dettagli rilevanti circa una compromissio-ne nel riconoscimento della mimica emotiva della rabbia in soggetticon danno bilaterale dell’amigdala. Tale danno non comporta un defi-cit totale delle conoscenze relative all’emozione della paura, ma piut-tosto implica una compromissione circa la consapevolezza che la paura

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abbia un valore di primo piano tra le emozioni, fatto che può costituireun fattore rilevante nell’abilità di prevedere un danno potenziale, poi-ché la presenza di una risposta automatica di fronte a situazioni diminaccia può costituire un vantaggio rilevante per la salvaguardia del-l’individuo. Infine, l’attivazione dell’amigdala appare altamente corre-lata alla valenza emotiva dello stimolo. Ad esempio è stato rilevato unincremento di attività dell’amigdala sinistra associato alla valenza diespressioni negative come la tristezza e il grado di cambiamento dellavalenza negativa percepita appare proporzionale al grado di attivazio-ne dell’amigdala sinistra.

4.3.1 SPECIFICITÀ CORTICALE NEL DECODING DELLE ESPRESSIONI

FACCIALI DELLE EMOZIONI

Nell’elaborazione del volto e nella comprensione della mimica emoti-va sono stati individuati specifici correlati cerebrali, corticali e sotto-corticali. Evidenze sperimentali hanno sottolineato la presenza di sin-gole cellule volto-specifiche in primati non umani. Da tali studi è statopossibile rilevare un quadro sintetico dei pattern di attivazione neuralein risposta ai volti nelle regioni temporali del cervello, sottolineandocome cellule specifiche appaiono particolarmente responsive dell’iden-tità e dell’espressione del volto. In aggiunta, la rilevazione dell’attivitàdi singole cellule ha posto in luce l’indipendenza delle due componen-ti. Hasselmo, Rolls e Baylis, hanno esplorato il ruolo dell’identità e del-l’espressione nella risposta volto-selettiva dei neuroni nella cortecciavisiva temporale delle scimmie: alcuni neuroni appaiono rispondereall’identità indipendentemente dall’espressione del volto, mentre altririspondono all’espressione del volto indipendentemente dall’identità.Risultati scientifici specifici sono stati individuati anche per il voltoumano. Un numero crescente di ricerche ha esplorato le caratteristiche cogniti-ve e neuropsicologiche della comprensione di volti (Posameinter eAbdi, 2003). In particolare, alcuni studi PET con risonanza magneticafunzionale e mediante potenziali evocati evento-correlati (ERPs) hannoevidenziato la specificità corticale nella decodifica delle emozioni; glistudi ERP negli umani hanno fornito evidenze rispetto a tale specificità,

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sottolineando la sua distintività rispetto ad altri processi cognitivi,infatti è stato evidenziato che i volti esprimenti emozioni elicitano spe-cifici pattern di attività corticale. Ciò fornisce un supporto all’ipotesidell’esistenza di un meccanismo cognitivo dedicato e specifico per ilvolto. Benché molti studi ERP abbiano preso in considerazione compo-nenti endogene dell’ERP a lunga latenza, è possibile affermare che ilprocesso emotivo abbia luogo in tempi brevi. Ad esempio, è stata rile-vata una variazione d’onda (picco) positiva circa 100 ms dopo la pre-sentazione dello stimolo, strettamente legata alla valenza emotiva dellamimica facciale. Tale picco precoce pone in luce il fatto che la perce-zione emotiva può aver luogo pre-attentivamente e automaticamente.In aggiunta, alcuni recenti studi hanno rilevato una negatività distribui-ta posteriormente (con picco intorno ai 260-280 ms) che riflette un pro-cesso emozionale-specifico. È stato dimostrato infatti che i volti espe-rimenti emozioni (in particolare paura e gioia) producono una variazio-ne negativa più ampia intorno ai 270 ms rispetto a volti neutri nelle areecorticali temporali posteriori.

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CAPITOLO V

LA PARTITURA DELLA COMUNICAZIONE MULTIMODALE

Polvere di stella

Stella che illumini la notte e che riscaldi il mio camminoLasci una scia di ogni nuovo giorno

Stella che diventi calore di ogni sognoE che ricordi l’amore di ogni uomo.

Dal libro “Pensieri di Luce” di Marilisa Grifani

Fin qui sono stati analizzati i vari sistemi di comunicazione non verba-le, considerandoli separatamente l’uno dall’altro. Tuttavia la comunica-zione è un complesso sistema multimodale in cui “chi parla dice paro-le, ma fa anche pause, fa sentire silenzi e intonazioni, produce gesti,sguardi, espressioni e posture” (Poggi, 2006); ed è grazie ad una com-plessa interazione, che ognuno di questi segnali non verbali, contribui-sce e concorre in modo specifico e distinto, a generare e a comunicareil significato finale di ogni atto comunicativo.

5.1 CHE COS’È LA PARTITURA

Allo scopo di individuare in che modo, i significati, si distribuiscono nellediverse modalità comunicative, è necessario trascrivere una “partitura

della comunicazione multimodale” (Poggi, Magno Caldognetto, 1997),ovvero un sistema per trascrivere, analizzare e classificare i segnali di dueo più modalità prodotti in un frammento comunicativo, e rappresentarnei significati e le reciproche relazioni temporali e semantiche, propriocome una partitura d’orchestra.Ecco perché con una metafora musicale si può paragonare la comunica-zione multimodale ad una “sinfonia di suoni” in cui i vari “strumenti”sono rappresentati dai diversi segnali non verbali, modalità per modalità

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(“le note del violino o del flauto rappresentano i segnali dello sguardo,dei gesti e del toccare”), gli “accordi” fra gli strumenti, corrispondonoinvece alla partitura, che ci permette di individuare assonanze e dissonan-ze tra segnali simultanei di varie modalità. Ecco che origina e prende vitail “brano musicale”, come una melodia che si snoda nel tempo, come notesuccessive dello stesso strumento (un segnale non verbale) che forma altempo stesso accordi (con altri segnali di altri strumenti) e che, secondole leggi dell’armonia, si accompagnano, fanno da contrappunto e rispon-dono fra loro. In questa complessa sinfonia, si passa dunque da una “dimensione unica”,rappresentata dall’analisi segnale per segnale (cioè strumento per stru-mento), ad una “struttura bidimensionale”, attraverso l’analisi dei segna-li concomitanti nelle diverse modalità (che corrisponde alla trascrizionedella partitura.) Ma ogni “accordo” di più segnali, cioè ogni partitura,contribuisce a formare una “struttura tridimensionale”, in cui ogni azionecomunicativa è costituita da una gerarchia di scopi. Ciò significa che dalsignificato letterale di ogni atto comunicativo si giunge, per via inferen-ziale, ad uno o più sovrascopi, che rappresentano il mezzo per raggiunge-re, lo scopo finale e la meta dell’intero discorso multimodale.Ad esempio, analizzando il comportamento non verbale di una piccolaRom che chiede l’elemosina, si può facilmente fare un’analisi degli scopi,dei sovrascopi e della meta finale di un atto comunicativo:

Atto comunicativo

Meta: Fammi l’elemosina

ss: ho bisogno di aiuto ss: tu puoi aiutarmi

s1: Mi rivolgo a te s2: Sono triste s3: Ho meno potere di te s4: sono pronta a prendere ciò che mi darai

AC1: guarda il passante AC2: sopracciglia oblique AC3: capo reclinato CA4: mano a coppa

Legenda: AC = Atto Comparativo; s = scopo; SS = Sovrascopo

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In questa sequenza, la bambina guarda il passante (cioè comunica “mirivolgo a te”) con le sopracciglia oblique (“sono triste”), il capo lieve-mente reclinato (“ho meno potere di te”), e mostra la mano aperta acoppa (“sono pronta a prendere ciò che mi darai”). I significati lettera-li di questi atti comunicativi non verbali, mirano tutti attraverso i sovra-scopi che fanno inferire, al sovrascopo finale comune, la meta, di chie-dere l’elemosina.“Si passa così dalle parole, alle frasi e ai discorsi del corpo, perchéanche un frammento multimodale è una gerarchia di scopi, in cui ognigesto, ogni espressione o postura è un atto di comunicazione che, insie-me agli altri, attraverso un’intricata rete di scopi e sovrascopi, miraalla meta dell’intero discorso multimodale”.

5.2 COME SI SCRIVE UNA PARTITURA

L’analisi dei segnali della comunicazione non verbale, attraverso la tra-scrizione di una partitura, è un metodo introdotto da Isabella Poggi,(docente di Psicologia generale e di Psicologia della Comunicazionepresso l’Università Roma Tre) e da Emanuela Magno Caldognetto (CNRdi Padova Sezione di Fonetica e Dialettologia dell’ISTC). Le autrici hanno applicato questo metodo a scenari e protagonisti divario tipo, insegnanti e studenti, giudici e uomini politici, afasici, attoricomici e drammatici. Quante e quali modalità prendere in considerazione nell’esaminare unframmento con la “partitura” dipende dagli scopi della ricerca che si staconducendo, ma nella sua versione “classica” si scrivono e si analizza-no su righi paralleli i segnali di cinque modalità:· verbale (v): le parole e le frasi pronunciate;· prosodico-intonativa (p-i): ritmo del parlato, pause, l’intensità, accenti,

intonazioni;· gestuale (g): movimenti delle mani, delle braccia delle spalle;· facciale (f): movimenti del capo, sguardo, movimenti della bocca,espressioni facciali;· corporea (c): movimenti del busto e delle gambe, posture, orienta-

menti che movimenti nello spazio.

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Ogni segnale, di ogni modalità è sottoposto a cinque livelli di analisi:· descrizione del segnale (Ds); si descrive la lunghezza, l’intensità, lafrequenza fondamentale e le pause per i segnali prosodico-intonativi; pergesti, sguardi e posture si descrivono i valori assunti rispetto ai vari para-metri formazionali;· tipo di segnale (Ts); indica la tipologia del segnale utilizzato e la suaclassificazione, ad esempio, si può trattare di un gesto batonico, di unosguardo deittico, ecc.;· significato (S): di ogni segnale si scrive una “traduzione” verbale (adesempio la mano aperta con le dita ravvicinate e il palmo verso l’inter-locutore che si muove velocemente avanti e indietro significa “aspet-ta”). La formulazione verbale corrisponde al significato letterale del-l’atto comunicativo, cioè quello costituito dal suo performativo e dalsuo contenuto proposizionale; tuttavia ogni atto comunicativo sia ver-bale, che non verbale può avere, al di là del suo scopo letterale, uno opiù sovrascopi, cioè significati indiretti che possono essere inferiti solopartendo dal significato letterale. Ecco perché una partitura che con-templi un solo livello di significato non basta; è necessario una “parti-tura a due strati”, in cui analizzare ogni segnale dal punto di vista siadel significato letterale, che dei significati indiretti. Ecco perché daquesta riga in poi (S), di ogni modalità ci saranno due strati di analisi,I e II, rispettivamente per il livello letterale e quello indiretto;· tipo di significato (TS): ogni significato è classificato come informa-zione sul mondo, sull’identità o sulla mente del mittente;· funzione (F): indica la relazione semantica tra il segnale che si staanalizzando e il concomitante segnale verbale o altro segnale che siprende come punto di riferimento; essa può essere:- ripetitiva: se i due segnali hanno lo stesso significato (ad esempio ilparlante apre e lascia cadere pesantemente le mani aperte, per signifi-care “molto” e al tempo stesso pronuncia la parola “molto”);- aggiuntiva: quando un segnale aggiunge significato congruente conquello dell’altro segnale (ad esempio pronunciando la frase “un grandeterrazzo” al tempo stesso si disegna nell’aria una figura triangolare);- sostitutiva: quando il parlante sostituisce una parola, con un altro tipodi segnale non verbale (ad esempio dice: “a queste condizioni...” e poitaglia orizzontalmente l’aria come a dire “basta, io non ci sto”);

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- contraddittoria: il significato del segnale in questione contrasto conquello di un segnale concomitante;- indipendente: il segnale in questione non è in relazione con un altro,prodotto simultaneamente, perché due segnali fanno parte di due pianid’azione indipendenti.

5.3 A COSA SERVE LA PARTITURA

Trascrivere e classificare in modo così analitico frammenti brevissimidi comunicazione serve a diversi scopi di ricerca:- nella costruzione dei lessici dei vari sistemi comunicativi: una volta

analizzati numerosi frammenti infatti, si cercano le ricorrenze deisegnali: se il significato di un segnale è sempre lo stesso o è simile incontesti diversi, si può scrivere questa corrispondenza nel lessico;

- nella ricerca sui meccanismi di pianificazione del parlato: infattidurante una conversazione, un parlante produce segnali in diversemodalità: trascrivere una partitura permette di capire a che puntodella pianificazione comunicativa di un parlante, egli “decide” (nellamaggior parte dei casi in maniera tacita e inconsapevole) che unsignificato è così importante, tanto da volerlo comunicare contempo-raneamente in più modalità differenti, e quando invece comunicarloin un’unica modalità. Capire dunque le relazioni temporali di simul-taneità, anticipazione, successione fra i segnali e i loro rapporti dicongruenza o contraddizione, può essere utile per studiare la pianifi-cazione del parlato e la distribuzione dei significati tra modalitàdiverse;

- nell’analisi di frammenti di comunicazione di soggetti e tipi diversi diinterazione, così da differenziare ad esempio, stili di soggetti o cate-gorie di soggetti, o tipi di interazione comunicativa.

5.4 LA PARTITURA NEL CONTESTO TEATRALE

Luogo emblematico di sintesi, come palcoscenico delle emozioni espazio in cui si realizza in tutto il suo potere la comunicazione multi-modale, il contesto del teatro. Il teatro come luogo in cui l’empatia sirealizza attraverso la capacità di esperire ciò che l’altro prova; di repli-care come proprie, azioni, emozioni e sensazioni vissute da altri.

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5.4.1 LA COMPAGNIA TEATRALE “ELISA DI RIVOMBROSA”

Lo studio per questa mia tesi ha richiesto la mia presenza proprio in uncontesto teatrale e per questo ho avuto la possibilità e l’immenso pia-cere di essere accolta come osservatrice alla preparazione del prossimospettacolo della compagnia teatrale “Elisa di Rivombrosa” - un mondo

possibile per tutti” composta da 16 ragazzi Down (di cui 9 ragazze e 7ragazzi di età compresa tra 18 e 30 anni) che si avvalgono della dire-zione artistica di cinque attori professionisti del gruppo “Teatro stabile

di innovazione Fontemaggiore” di Perugia. Questo nome è frutto dellacreatività dei ragazzi stessi. Nel periodo in cui è stata fondata la compagnia, infatti, la fiction “Elisadi Rivombrosa”, era un appuntamento televisivo assolutamente da nonperdere, per ciascuno di loro. In fondo, tutte le ragazze si identificava-no nella bella Elisa e tutti i ragazzi nel suo bel principe azzurro il“Conte Ristori”, in una storia d’amore senz’altro non priva di ostacoli,ma sicuramente appassionante. Quindi il palcoscenico, diventa “unmondo possibile per tutti” in cui ognuno di loro può essere “Elisa” o ilsuo bel cavaliere, ognuno di loro può rivendicare il diritto di immede-simarsi in quel sogno di amore, bellezza e successo, ognuno di loro puòrecitare con il cuore ed esprimere gli stati d’animo e le emozioni piùprofonde. ...“Perché la vita non è una fiction, e la fiction non è vita, ma a volte èbello poterlo pensare e questo a teatro succede”... .La compagnia è stata costituita il 22 settembre 2007 a Perugia, nell’am-bito delle attività educative promosse dall’Associazione ItalianaPersone Down di Perugia (A.I.P.D.) per volontà non solo delle famigliedei ragazzi ma, in particolar modo dei ragazzi stessi che ne svolgonoall’interno dei ruoli di prim’ordine in quanto alcuni di loro sono statinominati Presidente, Vicepresidente, Consigliere ecc...affiancati daaltrettanti genitori. Lo scopo è quello di conoscersi, di condividere, di crescere insieme, dimettersi a disposizione degli altri e di ricevere emozioni vere dalla vita.Ma in realtà...tutto nasce quattro anni fa con l’avvio di un laboratorioteatrale, in seguito ad un corso di autonomia, una delle tante attivitàpromosse dall’A.I.P.D. di Perugia.

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All’inizio si erano formati due gruppi che lavoravano due volte a setti-mana in maniera separata. Il primissimo impatto degli attori con iragazzi era basato sulla conoscenza reciproca, sull’osservazione scru-polosa di ogni singolo ragazzo e delle dinamiche del gruppo ma soprat-tutto sull’imprevedibilità: non c’era nessun copione prestabilito, ognivolta il da farsi veniva deciso in base al contesto ma soprattutto in basealle dinamiche relazionali che si andavano instaurando. Il lavoro inizia-le era basato su se stessi, sul proprio corpo, sulle proprie infinite moda-lità espressive, per poter infine conoscersi di più e raccontarsi meglio.La forte valenza relazionale del teatro, inoltre, ha permesso a tutti lorodi padroneggiare un proprio spazio, all’interno del quale poter aprirsied essere ascoltati, rispettando ognuno i ritmi e i tempi degli altri. Dopo tanto lavoro e duro impegno, la fondazione della compagnia tea-trale “Elisa di Rivombrosa”, nel 2007, ha rappresentato un collante,rendendo possibile l’unione dei due gruppi iniziali e favorendo la giu-sta coesione e compattezza. L’unità del gruppo si basa su alcuni cardiniprincipali: il rispetto gli uni degli altri, l’affetto, l’empatia e la condivi-sione di emozioni, le responsabilità e i ruoli che ognuno di loro assumeall’interno della compagnia (in qualità di Presidente, Consigliere ecc...),che legittimano il gruppo stesso e li fanno sentire partecipi di un’unicarealtà.Lungo questo cammino sono nati e cresciuti capacità e talenti, i ragaz-zi hanno preso padronanza del palco e delle battute, hanno imparato itempi e i ritmi giusti, fino al sogno che diventa realtà: il grande debut-to al “Teatro Morlacchi” di Perugia con l’ultimo spettacolo “Esta teraest tota mea”, che rappresenta non soltanto il realistico tema dell’emi-grazione, ma anche un esaltante banco di prova per i sedici attori pro-tagonisti, che raccontano un po’ della propria vita reale, per sperimen-tare così concretamente, la possibilità di comunicare con il mondosenza difficoltà alcuna.Teatro e disabilità vanno in scena, per aprire una finestra sul mondo,che rappresenta un percorso di crescita autonoma e consapevole, dovetrovare autostima e mostrare tutte le capacità e le potenzialità di unmondo che sembra diverso solo a chi si ferma alle apparenze.Io ho avuto la possibilità di partecipare e condividere un po’ di questomondo, nella preparazione del loro prossimo spettacolo, di cui il titoloresta ancora un mistero.

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Ma in che modo viene ideato e preparato uno spettacolo nella compa-gnia “Elisa di Rivombrosa”?. Il contesto e il tema portante vengonostabiliti dagli attori del gruppo “Fontemaggiore”, i ragazzi poi, indivi-dualmente effettuano delle ricerche sul tema che hanno lo scopo di for-nire degli spunti utili; il resto è basato sull’improvvisazione, ovverosulla rappresentazione più spontanea e naturale di ogni singolo ragaz-zo, circa l’argomento proposto.Il prossimo spettacolo è così incentrato sull’amore, declinato in tutte lepossibili e infinite varianti: dalla sofferenza alla pena d’amore, dallafelicità all’innamoramento, passando attraverso la passione e l’affetto. Ecco perché questa realtà, priva di ogni tipo di finzione, ha dato ampiospazio all’espressività individuale di ognuno e mi ha permesso dicogliere i frammenti comunicativi più spontanei di ciascuno .L’obiettivo di analizzare attraverso uno strumento di valutazione, lacomunicazione non verbale delle emozioni, si realizza applicando lostrumento della “Partitura della comunicazione multimodale” al conte-sto teatrale, dove corpo ed emozioni vanno in scena.Nel frammento comunicativo-espressivo, da me preso in esame, adognuno dei ragazzi viene chiesto di improvvisare dapprima un “amoretriste”, che provoca sofferenza ma che si trasforma pian piano in unpericolo, in una minaccia di fronte alla quale si prova una tremenda“paura”. All’improvviso però, nel palcoscenico la musica cambia e siintravede all’orizzonte qualcosa di nuovo che suscita “sorpresa”: è dinuovo l’amore, ma questa volta, in una nuova veste: è l’“amore felice”,che fa stringere il cuore e fa brillare gli occhi.Dall’osservazione di tutte le improvvisazione dei ragazzi sulle 4 emo-zioni di base, ho scelto di analizzarne quattro, trascrivendone per ognu-na la rispettiva Partitura.

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La pena d’amore

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La paura

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La sorpresa

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L’amore

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5.4.2 ANALISI DEI DATI

1) Espressione della “pena d’amore”: nella modalità verbale, la ragaz-za, non pronuncia alcuna parola o frase, di conseguenza non è possibi-le analizzare neanche la modalità prosodico-intonativa. Nella modalitàgestuale, porta la mano sinistra a livello del cuore che è un gesto sim-bolico e letteralmente significa “Sto soffrendo, qui a livello del cuore”;è un informazione che indica il luogo in cui sente dolore quindi èun’informazione sul mondo (IMO), ma in particolare di luogo, e ha unafunzione aggiuntiva rispetto al contesto. Il significato indiretto di que-sto gesto però non si traduce in un dolore fisico al cuore, bensì piùprofondo, inteso come “sofferenza d’amore”, per questo è un’informa-zione sulla mente del mittente (IMM), in particolare sulle sue emozio-ni ed è assolutamente congruente al contesto, quindi svolge una funzio-ne ripetitiva. Nella modalità facciale il capo è inclinato lateralmente, lesopracciglia sono in posizione di default (normale) e gli occhi sonochiusi, ciò significa di nuovo “Sto pensando”, ma in particolare è segnodi concentrazione e riflessione sul proprio stato d’animo: entrambesono informazioni sulla mente del mittente (IMM), con funzioneaggiuntiva. Nella modalità corporea, la posizione è seduta su un fian-co, con il braccio destro che supporta tutto il peso del corpo, ciò a signi-ficare “La sofferenza è così talmente grande che mi fa cadere a terra,ed è necessario un appoggio”; è un’informazione sulla mente del mit-tente(IMM)che mostra un’emozione ed ha una funzione aggiuntiva.In questo caso, l’espressione dell’amore sofferente è rispecchiata intutte le modalità corporee non verbali e soddisfa a pieno il sovrascopocomunicativo (cioè la manifestazione di un dolore emotivo).

2) Espressione della “paura”: nella modalità verbale e prosodico-into-nativa, entrambe le ragazze non pronunciano alcuna frase, né parola.Nella modalità gestuale, la ragazza a sinistra tiene le braccia lievemen-te piegate con le mani semiaperte, poco distanziate tra loro e con ipalmi rivolti l’uno verso l’altro a livello del bacino. Ciò significa“Voglio fermare e non far avvicinare l’eventuale pericolo”, è un infor-mazione sulla mente del mittente (IMM) in particolare sul suo perfor-mativo (cioè sullo scopo o intenzionalità comunicativa). Nella moda-

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lità facciale le labbra sono leggermente aperte, le sopracciglia in posi-zione di default e lo sguardo è fisso, ad indicare “Mi rivolgo a te” (inquesto caso non risulta chiaro ciò a cui si riferisce la ragazza);è un’informazione sulla mente del mittente (IMM), in particolare sul perfor-mativo dell’atto comunicativo con funzione indipendente, in quantonon è in relazione con gli altri segnali prodotti simultaneamente. Nella modalità corporea, il busto si piega pesantemente in avanti comeper “difesa”: una IMM con funzione aggiuntiva.In questo secondo caso, le informazioni non verbali nelle varie moda-lità sembrano essere incongruenti tra loro, non confermando il sovra-scopo comunicativo. Infatti nella modalità gestuale e corporea la ragaz-za sembra voler allontanare l’eventuale pericolo o minaccia che desta-no paura, difendendosi da esso. Ciò però non è confermato dalla moda-lità facciale, in cui lo sguardo terrorizzato e le sopracciglia innalzateche avrebbero dovuto segnale paura, sono sostituite da uno sguardofisso e sopracciglia in posizione di default.

3) Espressione di “sorpresa”: in questo caso non è possibile analizza-re né la modalità verbale, né quella prosodico-intonativa, perché laragazza non pronuncia alcuna parola. Nella modalità gestuale, la manoè a forma di semiluna con il palmo rivolto verso l’occhio destro; ilbraccio è piegato verso l’alto, la mano poggia sulla fronte, in particola-re sul sopracciglio destro. È una tipologia di gesto iconico il cui signi-ficato letterale è quello di “delimitare il campo visivo”ed è un’ infor-mazione sulla mente del mittente (IMM), in particolare sul suo perfor-mativo o scopo comunicativo ed assume una funzione aggiuntiva. Il significato indiretto è quello di “concentrazione” per focalizzare l’at-tenzione su un determinato punto ed escludere tutto il resto: un infor-mazione sulla mente del mittente (IMM), di tipo metacognitivo, confunzione ripetitiva. Nella modalità facciale, il capo è eretto, le labbrachiuse, lo sguardo aguzzo e le sopracciglia aggrottate, segno letteraledi “incomprensione”, di “ non riuscire a capire cosa si scorge in lonta-nanza” (IMM con funzione aggiuntiva), e segnale indiretto che comu-nica “bisogno di concentrazione”, per porre particolare attenzione a ciòche non viene compreso: IMM con funzione aggiuntiva. In particolareè interessante notare la relazione di corrispondenza e congruenza, tra

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l’“aguzzare lo sguardo” e l’“aggrottamento delle sopracciglia” in quan-to l’uno implica l’altro ed entrambi comunicano un unico scopo: met-tere a fuoco l’immagine per migliorare la qualità della visione. Ma poi-ché la visione è subito metafora di comprensione, l’aggrottamento el’aguzzare lo sguardo non significano solo “voler vedere meglio” maanche “voler capire meglio”. In questo terzo caso i segnali non verbalinelle diverse modalità, disatendono il contesto e il sovrascopo comuni-cativo, cioè non rispecchiano l’espressione “canonica” dell’emozionedella “sorpresa”; sembra piuttosto che si limitino al livello immediata-mente precedente, cioè quello dell’espressione di “attesa” e di “ricercadi qualcosa o qualcuno”, che non appena appare, diventa motivo edespressione di meraviglia, le cui tipiche espressioni, si manifestanoattraverso l’innalzamento delle sopracciglia e gli “occhi sgranati”.

4) Espressione dell’amore: la parola “amore!” (modalità verbale)viene pronunciata con un’intonazione ascendente e picco intonativosulla sillaba “mo”, (modalità prosodico-intonativa) che sta a significa-re “è importante ciò che sto dicendo”. Nella modalità gestuale le manisono unite tra loro e aperte, con il palmo rivolto verso l’alto, al livellodel petto. Questo tipo di gesto, iconico, letteralmente significa “aper-to”, “evidente”, informazione sul mondo (IMO), in particolare su unaproprietà fisica con funzione ripetitiva, ma indirettamente significa“ciò che dico è del tutto evidente”, e nello specifico “ ti offro il mioamore”: IMM con funzione aggiuntiva. Nella modalità facciale, il voltoè rivolto in avanti verso l’interlocutore, le labbra semiaperte mostranoun ampio sorriso, gli occhi brillano, le sopracciglia sono innalzate e lepalpebre semiabbassate. Questo sguardo deittico letteralmente vieneinterpretato come “mi rivolgo a te” (IMM circa lo scopo dell’attocomunicativo, con funzione ripetitiva) e indirettamente la lucentezzadegli occhi rivela amore e innamoramento (IMM che rivela le emozio-ni del mittente ed ha funzione ripetitiva). Nella modalità corporea ilbusto è piegato in avanti come per dire “mi rivolgo a te”, IMM circa ilperformativo dell’atto comunicativo con specifica funzione ripetitiva.In questo tipo di espressione, l’amore, è rispecchiato in tutte le moda-lità corporee non verbali e soddisfa a pieno il sovrascopo comunicati-vo (cioè la manifestazione dell’innamoramento) così come è dimostra-to dalla congruenza sia dei segnali che dei significati da essi veicolati.

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Legenda: v = modalità verbale; p-i = modalità prosodico – intonativa;g = modalità gestuale; f = modalità facciale; c = modalità corporea; Ds= descrizione del segnale; Ts = tipo di segnale; S = significato; TS =tipo di significato; F = funzione; IMO = informazione sul mondo; IMM= informazione sulla mente del mittente

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Conclusioni

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CONCLUSIONI

La comunicazione non verbale rappresenta un canale comunicativoricco e complesso, la cui struttura incorpora componenti eterogenee, ei cui processi coinvolgono modalità espressivo comunicative differen-ti. I canali non verbali sono classificabili in diversi sistemi, che impli-cano: le qualità prosodiche e paralinguistiche della voce, la mimica fac-ciale, i gesti, lo sguardo, l’elemento prossemico (lo spazio e le distan-ze materiali che l’uomo tende ad interporre tra sé e gli altri), il sistemaaptico (inteso come contatto fisico tra i soggetti coinvolti nella comu-nicazione che definisce inequivocabilmente il loro grado d’intimità), lacompetenza cronemica (che riguarda la scansione temporale del lin-guaggio: ritmo del parlato, turni comunicativi [turn talking], lunghezzadelle pause in relazione al contesto) per giungere fino alla postura,all’abbigliamento e al trucco. Tra gli obbiettivi inizialmente definiti, che si proponeva il seguentelavoro, c’era quello di indagare l’esistenza di un livello lessicale per isegnali non verbali, partendo dall’ipotesi che la comunicazione nonverbale è costituita da un insieme di regole che permette di stabilire lecorrispondenze segnale – significato. Si sono presi in esame numerosi modelli di classificazione dei segnalinon verbali presenti in letteratura, si è fatto riferimento principalmenteal modello proposto da Isabella Poggi che ha studiato tre particolarisistemi di significazione non verbali: lo sguardo, il contatto fisico e igesti. Per ognuno di questi è stato descritto e analizzato il tipo di segna-le, in base ad una serie di “parametri formazionali”, cioè in base a deicriteri di classificazione che permettono di attribuire ad ogni parametroun specifico numero di valori possibili. In questo modo ogni segnale di un determinato sistema di comunica-zione è caratterizzato univocamente dalla combinazione dei valori cheassume rispetto ai vari parametri. Per ogni segnale è stato identificatoil corrispettivo significato, letterale o indiretto, e il tipo di informazio-ne veicolata distinta in conoscenza sul mondo, sull’identità o sullamente del mittente. Allo scopo di comprendere il rapporto tra emozio-ni e mimica facciale, si è presa in considerazione la prospettiva neuro-psicologica. Sono stati presentati diversi modelli interpretativi circa la

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Conclusioni

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definizione di “espressione facciale”, contrapponendo in particolarel’approccio neuroculturale, secondo cui le espressioni del volto rappre-sentano un veicolo diretto delle emozioni, in quanto geneticamentedeterminate e l’approccio dimensionale, secondo cui le espressioni fac-ciali non rappresentano segnali di specifiche emozioni, piuttosto dipen-dono dal significato emotivo che il “decoder” (cioè l’interlocutore)attribuisce o inferisce da quella precisa espressione, in quel particolarecontesto.Sono stati inoltre indagati specifici correlati neurali sottostanti allacomprensione della mimica emotiva, e si è evidenziata l’indipendenzafunzionale dei correlati corticali deputati all’elaborazione di patternemotivi. In quest’ottica i contributi più recenti, che hanno utilizzato latecnica dei potenziali evento correlati (ERPs) e la risonanza magneticafunzionale (fMRI), hanno consentito di ipotizzare la presenza di modu-li corticali dedicati al riconoscimento delle espressioni emotive.In ultima analisi, è stato identificato uno strumento capace di indagarele sottocomponenti e i diversi livelli comunicativi dell’espressione nonverbale delle emozioni, che si manifestano attraverso gesti, sguardi,espressioni facciali e contatto fisico. Lo strumento è quello della “Partitura della comunicazione multimoda-le” sistema di trascrizione dei rapporti tra i diversi segnali nelle cinquemodalità Verbale, Prosodico-Intonativa, Gestuale, Facciale e Corporea,sottoposti ad altrettanti cinque modelli di analisi: Descrizione del segna-le, Tipo di segnale, Significato, Tipo di significato e Funzione rilevatiattraverso l’analisi di un unico frammento comunicativo-espressivo.Ho voluto applicare lo strumento della partitura all’analisi comunicati-vo – espressiva delle emozioni (con relativa trascrizione) ad un conte-sto particolare ed originale, il contesto teatrale: cinque ragazze Down(P.O; M.R; S.C. e M.G.; G.R.), esprimevano, improvvisando il temadell’amore declinandolo secondo quattro emozioni di base: la tristezza,come sofferenza d’amore, la sorpresa dell’amore, la paura della perdi-ta e l’amore realizzato. Lo studio, naturalmente, non ha ambizione di rilevazione scientifica, néil tipo di strumento sarebbe in toto adatto allo scopo. Lo strumento cipermette di raccogliere una serie di osservazioni che potrebbero esserealla base di ulteriori indagini, in una prospettiva di maggiore rilevanzascientifica.

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Conclusioni

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Dall’osservazioni rilevate attraverso la trascrizione della partitura,secondo il modello di Isabella Poggi, preso in esame, emerge che:- l’espressione dell’amore sia nella variante triste, sia in quella felice èmanifestata secondo l’espressione “canonica” di questa emozione,coincidendo perfettamente con il sovrascopo del frammento multimo-dale (cioè con lo scopo finale, la meta ultima dell’atto comunicativonon verbale; in questo caso l’espressione di un amore felice e poi tri-ste); ma non solo, l’espressione dell’amore risulta, accentuata, esaspe-rata ed esagerata tanto da essere compresa in maniera evidente, chiarae manifesta fin da subito;- l’espressione di un’emozione diversa dall’amore, come, in questocaso, la sorpresa e la paura disattendono il contesto e il sovrascopocomunicativo, cioè non rispecchiano l’espressione “canonica” di que-ste emozioni; in particolare per quanto riguarda l’espressione della sor-presa, l’atto comunicativo non raggiunge il sovrascopo (cioè la mani-festazione della sorpresa stessa), ma si limita al livello immediatamen-te precedente, cioè quello dell’espressione di “attesa” di “ricerca diqualcosa o qualcuno”, che non appena appare, diventa motivo edespressione di sorpresa. Questo lavoro, ha utilizzato uno strumento attoalla rilevazione dei segnali comunicativi non verbali in un contesto ori-ginale, appunto quello della rappresentazione teatrale. Come già dettonon ha velleità di rilevazione scientifica, vuole porsi come un primomomento di conoscenza per ulteriori approfondimenti per rispondere aiquesiti che il lavoro stesso ha suscitato.Da questo primo background possono scaturire nuovi obbiettivi per unlavoro futuro. Si potrebbe, attraverso lo strumento della partitura met-tere a confronto l’espressione di una stessa emozione fra i diversi sog-getti, allo scopo di rilevarne gli universali strutturali e le declinazionipersonali. Il secondo obbiettivo potrebbe essere quello di effettuare unconfronto con un altro gruppo di attori comparabili per età,utilizzandolo stesso contesto teatrale, lo stesso tema, e stessa richiesta, cioè l’im-provvisazione sul tema delle emozioni e in particolar modo dell’amo-re, con l’intento di comprendere se l’espressione di un sentimento cosìforte, che dalle mie osservazioni appare manifestato in maniera eviden-te, si potrebbe dire “esagerata”, è una prerogativa dei ragazzi con sin-drome di Down o se, al contrario sia una manifestazione tipica di tuttii ragazzi di età adolescenziale.

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Ringraziamenti...

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Grazie...a mio fratello Alessandro e a tutti I suoi amici, vera fonte d’i-spirazione. È da loro che è partito questo mio lavoro e sono stati loro arenderlo possibile...con il loro affetto e la loro tenerezza unica...

Grazie...ai miei genitori e ai miei nonni, sempre attenti, disponibili epronti a darmi sostegno, soprattutto in questo ultimo periodo...

Grazie...alla Professoressa Paola Arcelli che ha seguito questo mio stu-dio con passione, come me e con tanta...tanta...dedizione; e grazie allaProfessoressa Castelli per la collaborazione...

Grazie...a Riccardo e Alessio per il “lungo” pomeriggio passato insie-me a scrivere...

Grazie...a tutte le compagne con cui ho condiviso questi tre indimentica-bili anni...ma in particolare a Filomena per la sua presenza costante...

Grazie...a Marilisa e Fabrizia...autrici delle poesie inserite all’inizio diogni capitolo; a tutte le famiglie dei ragazzi della compagnia teatrale eal gruppo della “Fontemaggiore” che mi ha permesso di seguire tutte leprove dello spettacolo...

Grazie al Cesvol di Perugia che mi ha dato la possibilità di realizzarequesta pubblicazione...

...Ed infine un Grazie...non meno importante degli altri, anzi...aQuintino...prezioso tesoro da custodire...

Angela

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