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ECUMENISMO Eco dei Barnabiti 1/2014 10 «A vete tutti compreso che il mio viaggio non è stato soltanto un fatto singolare e spirituale: è di- ventato un avvenimento che può avere una grande importanza a livel- lo storico. È un anello che si unisce ad una tradizione secolare e che, for- se, rappresenta il punto di partenza di nuovi grandi avvenimenti, che pos- sono essere altamente benefici per la Chiesa e l’Umanità». Così si era espresso salutando la folla dei fedeli in piazza San Pietro Paolo VI, “pelle- grino di fede e di pace”, al suo ritor- no dal pellegrinaggio apostolico in Terra Santa nei giorni 5 e 6 gennaio 1964. Era il primo viaggio in aereo di un Papa, il primo di un Successore di Pietro a Gerusalemme in particolare, dove era avvenuto lo straordinario storico incontro col Patriarca ecume- nico di Costantinopoli, Atenagora I, il primo tra i capi delle due Chiese dal- lo scisma del 1054, incontro peraltro già desiderato da Giovanni XXIII. La documentazione è raccolta nel pre- zioso volume Tomos agapis. Vatican Phanar 1958-1970 (Roma-Istanbul 1971) che, al dire del Metropolita Melitone di Calcedonia, «racconta per tappe e attraverso i testi ufficiali, la storia dell’amore tra i Troni di Ro- ma e di Costantinopoli, amore ritrova- to in Cristo», ma è pure stata captata, provvidenzialmente, anche dai micro- foni della Rai. Al dire di Atenagora, è avvenuto “un abbraccio di anime”. un grande momento di Dio Lo storico incontro ha avuto luogo il 5 gennaio 1964, alle 21,30, nella sede della Delegazione apostolica di Gerusalemme. Atenagora, profonda- mente commosso fino alle lacrime, disse a Paolo VI: «Ci è stato fatto il dono di questo grande momento; noi perciò resteremo insieme, cammine- remo insieme». E Paolo VI rispose: «Siamo solo degli umili strumenti. Più siamo piccoli e più siamo strumenti. Questo significa che deve prevalere l’azione di Dio… Siccome questo è un vero momento di Dio, dobbiamo viverlo con tutta l’intensità, tutta la rettitudine e tutto il desiderio…», “di andare avanti”, aggiunse Atenagora. Accennando ad alcuni punti dottrina- li divergenti, in particolare al primato, Paolo VI assicurò il Patriarca: «Nessu- na questione di prestigio, di primato, che non sia quello stabilito da Cristo. Ma assolutamente nulla che tratti di onori, di privilegi. Vogliamo quello che Cristo ci chiede e ciascuno pren- de la sua posizione; ma senza alcuna ambizione di prevalere, d’avere glo- ria, vantaggi. Ma di servire… Le diver- genze di ordine dottrinale, liturgico, disciplinare, dovranno essere esami- nate a tempo e luogo. Ma ciò che fin d’ora può e deve progredire, è questa carità fraterna, ingegnosa nel ritrovare nuove forme in cui manifestarsi». Il 6 gennaio 1964, solennità della Epifania del Signore, Paolo VI ha reso la visita ad Atenagora nella sede del Patriarcato greco ortodosso di Gerusa- lemme, sul Monte degli Ulivi. La lettu- ra in greco e in latino del capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, ha fatto toc- care con mano il profondo significato di quelle parole: «Padre, …abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia… consacrali nella verità. La tua parola è verità…», e ha fatto comprendere fisi- camente l’incongruenza della separa- zione, l’offesa che essa infligge alla IL CORAGGIO DEI PASSI PROFETICI A 50 anni dall’incontro di Paolo VI con Athenagoras I a Gerusalemme (5-6 gennaio 1964) «Segno e preludio di eventi futuri» Rievocazione delle principali figure, tappe ed avvenimenti che hanno segnato cinquant’anni di sofferto cammino ecumenico. Gerusalemme 1964 - Paolo VI in preghiera nel Santo Sepolcro lo storico abbraccio a Gerusalemme nel 1964 tra il patriarca Atenagora e il papa Paolo VI

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ECUMENISMO

Eco dei Barnabiti 1/201410

«A vete tutti compresoche il mio viaggionon è stato soltanto

un fatto singolare e spirituale: è di-ventato un avvenimento che puòavere una grande importanza a livel-lo storico. È un anello che si uniscead una tradizione secolare e che, for-se, rappresenta il punto di partenzadi nuovi grandi avvenimenti, che pos-sono essere altamente benefici perla Chiesa e l’Umanità». Così si eraespresso salutando la folla dei fedeliin piazza San Pietro Paolo VI, “pelle-grino di fede e di pace”, al suo ritor-no dal pellegrinaggio apostolico inTerra Santa nei giorni 5 e 6 gennaio1964. Era il primo viaggio in aereo diun Papa, il primo di un Successore diPietro a Gerusalemme in particolare,dove era avvenuto lo straordinariostorico incontro col Patriarca ecume-

nico di Costantinopoli, Atenagora I, ilprimo tra i capi delle due Chiese dal-lo scisma del 1054, incontro peraltrogià desiderato da Giovanni XXIII. Ladocumentazione è raccolta nel pre-zioso volume Tomos agapis. VaticanPhanar 1958-1970 (Roma-Istanbul1971) che, al dire del MetropolitaMelitone di Calcedonia, «raccontaper tappe e attraverso i testi ufficiali,la storia dell’amore tra i Troni di Ro-ma e di Costantinopoli, amore ritrova-to in Cristo», ma è pure stata captata,provvidenzialmente, anche dai micro-foni della Rai. Al dire di Atenagora, èavvenuto “un abbraccio di anime”.

un grande momento di Dio

Lo storico incontro ha avuto luogoil 5 gennaio 1964, alle 21,30, nellasede della Delegazione apostolica diGerusalemme. Atenagora, profonda-mente commosso fino alle lacrime,disse a Paolo VI: «Ci è stato fatto ildono di questo grande momento; noiperciò resteremo insieme, cammine-remo insieme». E Paolo VI rispose:«Siamo solo degli umili strumenti. Piùsiamo piccoli e più siamo strumenti.Questo significa che deve prevalerel’azione di Dio… Siccome questo èun vero momento di Dio, dobbiamoviverlo con tutta l’intensità, tutta larettitudine e tutto il desiderio…», “diandare avanti”, aggiunse Atenagora.Accennando ad alcuni punti dottrina-li divergenti, in particolare al primato,Paolo VI assicurò il Patriarca: «Nessu-na questione di prestigio, di primato,che non sia quello stabilito da Cristo.Ma assolutamente nulla che tratti dionori, di privilegi. Vogliamo quelloche Cristo ci chiede e ciascuno pren-de la sua posizione; ma senza alcunaambizione di prevalere, d’avere glo-

ria, vantaggi. Ma di servire… Le diver-genze di ordine dottrinale, liturgico,disciplinare, dovranno essere esami-nate a tempo e luogo. Ma ciò che find’ora può e deve progredire, è questacarità fraterna, ingegnosa nel ritrovarenuove forme in cui manifestarsi».Il 6 gennaio 1964, solennità della

Epifania del Signore, Paolo VI ha resola visita ad Atenagora nella sede delPatriarcato greco ortodosso di Gerusa-lemme, sul Monte degli Ulivi. La lettu-ra in greco e in latino del capitolo 17del Vangelo di Giovanni, ha fatto toc-care con mano il profondo significatodi quelle parole: «Padre, …abbiano insé stessi la pienezza della mia gioia…consacrali nella verità. La tua parola èverità…», e ha fatto comprendere fisi-camente l’incongruenza della separa-zione, l’offesa che essa infligge alla

IL CORAGGIO DEI PASSI PROFETICIA 50 anni dall’incontro di Paolo VI con Athenagoras I

a Gerusalemme (5-6 gennaio 1964)«Segno e preludio di eventi futuri»

Rievocazione delle principali figure, tappe ed avvenimenti che hanno segnato cinquant’anni disofferto cammino ecumenico.

Gerusalemme 1964 - Paolo VI in preghiera nel Santo Sepolcro

lo storico abbraccio a Gerusalemmenel 1964 tra il patriarca Atenagorae il papa Paolo VI

Parola di verità proclamata. Tra lacommozione generale, con affettuosacortesia e profonda consapevolezza,alla conclusione della visita Paolo VIha chiesto al Patriarca: «Santità, voglia-mo benedire insieme il popolo?». Mal-grado ogni impedimento benediconoe si tengono per mano con reciprocafiducia: un gesto che ha cambiato iprotocolli ed è diventato atteggiamen-to corrente e scontato. La forza delsimbolo d’amore si fa teologia e rea-lizza ciò che l’uomo è in grado di fa-re: benedire insieme, prendere atto evivere le parole dette da Cristo almondo, perché il mondo abbia in sé epienamente la gioia che Gesù ha nelPadre. Alla benedizione data insieme,si è aggiunto un altro segno di amorefraterno. Atenagora ha donato al Papaun prezioso engolpion, medaglionesospeso ad una catena, raffiguranteCristo Maestro. I greci presenti hannochiesto al Papa di indossarlo: la bene-dizione ha prodotto il suo primo effet-to. Paolo VI si è levato la stola e si èrivestito del simbolo della dignitàepiscopale in Oriente.Quattro mesi prima Paolo VI nel cor-

so della visita del 18 agosto 1963 allaBadia greca di Santa Maria di Grotta-ferrata aveva detto spontaneamente:«Cadano le barriere che ci separano!Spieghiamo i punti di dottrina che nonsono comuni, che sono ancora ogget-to di controversie, cerchiamo di rende-re comune e solidale il nostro Credo,cerchiamo di rendere articolata escompaginata la nostra unione gerar-chica, non vogliamo né assorbire, némortificare tutta questa grande fioritu-ra di Chiese orientali, ma la vorremmoreinnestata sull’albero unico dell’unitàdi Cristo… Preghiamo perché le etàprossimamente successive vedano ri-composta l’unità di quanti sono anco-ra autenticamente cristiani e special-mente l’unità con queste venerabilissi-me e santissime Chiese orientali».

l’inizio di un nuovo linguaggio: l’ora del coraggio cristiano

Grazie a quell’evento sigillato dal-lo storico abbraccio a Gerusalemme,è nata tra le due Chiese sorelle unafraterna amicizia, profonda e duratu-ra, che ha segnato tra loro l’inizio diun linguaggio nuovo e comune,quello degli Apostoli e dei Padri,quello cioè dell’esperienza più chemillenaria della Chiesa indivisa.

Il 7 dicembre 1965, memoria litur-gica di S. Ambrogio, «quasi in lui col-legando la Chiesa d’Oriente e d’Oc-cidente», come affermò Paolo VInell’omelia conclusiva della IX ses-sione del Concilio, il dialogo dellacarità espresso con forza evidente aGerusalemme, ha avuto come conse-guenza la reciproca soppressionedella sentenza di scomunica pronun-ciata il 16 luglio 1054 dai legati pon-tifici contro Michele Cerulario, pa-triarca di Costantinopoli, e di quellacomminata il 24 luglio dall’atto sino-dale del Patriarca.Paolo VI l’ha espressa nella Lettera

apostolica “Camminate nell’amore”col «vivo rincrescimento per le paro-le dette e i gesti compiuti in queltempo e che non possono essere ap-

provati. Desideriamo, inoltre, rimuo-vere e cancellare dalla memoria dellaChiesa e considerare del tutto sepoltanell’oblio la sentenza di scomunicapronunciata in quell’epoca».Nello stesso giorno anche Atena-

gora I, unito al suo Sinodo, col Tomospatriarcale letto nella cattedrale delFanar in Costantinopoli ha soppresso lascomunica: «Da questo momento e aconoscenza di tutti, l’anatema è toltodalla memoria e dal mezzo della Chie-sa per la misericordia del Dio delle mi-sericordie». Va precisato che le reci-proche scomuniche riguardavano lepersone, non le Chiese e non intende-vano rompere la comunione ecclesia-stica tra le sedi di Roma e Costantino-poli. Pure nella consapevolezza delledue Chiese che quel gesto altamente

storico «non è sufficiente a porre fine atutte le controversie, antiche o più re-centi, che sussistono tra la Chiesa cat-tolica romana e la Chiesa ortodossa, ri-mane forte la speranza che per operadello Spirito Santo saranno superategrazie alla purificazione dei cuori, alpentimento per i torti storici e alla fortevolontà di pervenire a una intelligenzae a un’espressione comune della fedeapostolica e di ciò che essa richiede».Questo atto coraggioso, conse-

guenza del pellegrinaggio profetico edell’incontro a Gerusalemme di duegrandi, Paolo VI e Atenagora I, ha se-gnato l’inizio di una serie variegata diulteriori passi ecumenici, di incontri,di dialoghi teologici, volti a crescerenon solo nella carità, ma anche nellaverità, al fine di approdare, quando alSignore piacerà, alla meta dell’unitàpiena e visibile. Scrivendo al Papanell’anniversario dell’abolizione dellescomuniche (7 dicembre 1969), il Pa-triarca ha affermato: «È giunta l’oradel coraggio cristiano. Amandoci gliuni gli altri, professiamo l’antica fedecomune, avanziamo tutti insieme ver-so la gloria del santo altare comuneper compiere la volontà del Signore».

segno e preludio di eventi futuri

Cinquanta anni dopo quell’eventostraordinario, che ne è della speran-za dei due pellegrini Paolo VI e Ate-nagora I che in uno stesso slancio dispirito e di cuore, con «gli occhi fissisul Cristo risorto, fonte di unità e dipace», hanno pregato insieme alSanto Sepolcro «affinché questo in-contro divenga il segno e il preludio dieventi futuri per la gloria di Dio e l’il-luminazione del suo popolo fedele?».Come si è accennato, i gravi avve-

nimenti del 1054, segnati dalle reci-proche scomuniche, oggi vanno se-riamente rivisitati e considerati nonpiù come un fattore separatore. Ledue Chiese infatti assomigliano unpo’ a delle persone che parlano lin-gue diverse e, a motivo di ciò, hannobisogno di interpreti in grado di pro-porre una nuova traduzione. Occorrearrivare a pronunciare insieme, dicomune accordo, parole forti, libere,vere. Non è forse vero che il miraco-lo, come è avvenuto a Gerusalemme,risiede nell’imprevedibile di cui Diopermette la realizzazione attraversola mediazione di uomini che hannoil coraggio della profezia e di lasciar-

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lo storico abbraccio in un disegno diLuciano Minguzzi

si condurre dal Signore della storia edella Chiesa?

il dialogo della vita

Da quell’inizio sorprendente hannoavuto luogo tanti incontri, visite e pro-nunciamenti, sono stati prodotti nu-merosi documenti ecumenici elabora-ti soprattutto dalla Commissione mistainternazionale per il dialogo teologicotra la Chiesa cattolica romana e laChiesa ortodossa che non intendo quielencare né sintetizzare perché esi-genti di spiegazioni estese e non faci-li, data la loro complessità. Da partecattolica sono fondamentali i testiprodotti dal Concilio, quali Lumengentium, Unitatis redintegratio, DeiVerbum…, ma anche la Lettera apo-stolica Orientale lumen (25.05.1995)di Giovanni Paolo II e la sua Letteraenciclica Ut unum sint (2.05.1995),testi di grande spessore sui quali hogià avuto modo di esprimermi anchesull’Eco dei barnabiti. Ora intendomettere semplicemente in rilievo cheoltre il dialogo teologico e i docu-menti, che a volte rischiano di rima-nere lettera morta, occorre evidenzia-re anche il dialogo della vita delle no-stre Chiese in cammino verso l’unità.Come risulta dal Documento di Ra-

venna, sottoscritto il 13 ottobre 2007dalla Commissione mista internazio-nale per il dialogo teologico tra le dueChiese, si sta camminando, passo do-po passo, verso la meta, cioè «là doveesiste una comunità riunita per l’Euca-ristia, presieduta direttamente, o tra-mite i suoi presbiteri, da un vescovolegittimo, ordinato in base alla succes-sione apostolica, che trasmette la federicevuta dagli apostoli, in comunionecon gli altri vescovi e le loro Chiese».Grazie al Battesimo «siamo già in pro-fonda comunione spirituale, anche seancora imperfetta, una comunioneche gli uomini non possono distrugge-re, in quanto più forte della potenzadel peccato» (card. Kasper), tuttaviaemerge l’urgenza per gli uomini e ledonne del nostro tempo di vedere leChiese di Costantinopoli e di Romaavvicinarsi in maniera visibile, nellapienezza dell’unità. Il fatto che essenon possano condividere la comunio-ne sacramentale che le univa nel pri-mo millennio, non contravviene soloalla volontà di Gesù (Gv17,21), mamanifesta un grave ostacolo sia versol’impegno concreto nel mondo, sia

per la realizzazione effettiva dellamissione di predicare il Vangelo congioia. Il Concilio che lo ricorda in mo-do esplicito (cfr. UR 1), ma anche tut-to il Magistero successivo lo richiama,fino a papa Francesco.

il cuore e il centro della Chiesa

L’Eucaristia è il cuore della Chiesa eil suo centro. L’assemblea eucaristica,luogo concreto della comunione ec-clesiale, non può avvenire che tra per-sone coscienti di condividere la stessafede. Nonostante gli storici gesti pro-fetici espressi in incontri e visite, no-nostante i dialoghi e gli scambi teolo-gici, in particolare dal 1993, il ristabi-limento dell’unità in pienezza visibilerichiederà ancora tempo e molta pa-zienza. Il p. Yves Congar ha tenuto aprecisare infatti che è saggio non farsidelle facili illusioni in proposito, néprevedere tempi ravvicinati al compi-mento della grande attesa, ma occor-re procedere con realismo, pazienzae speranza, occorre pregare, ascoltaree lasciarsi guidare, ben radicati nellafede in Gesù che sa bene come con-durre la sua Chiesa verso la meta dalui stesso ripetutamente desiderata.Le differenze teologiche che stanno

all’origine della rottura tra Oriente eOccidente all’inizio del secondo mil-lennio, sono tuttora in atto, soprattut-to quella relativa al Primato del Ve-scovo di Roma. Attualmente il movi-mento ecumenico nel suo articolatoinsieme fa ancora fatica, per tantimotivi, a superare le difficoltà causa-te da fattori anche non teologici, e arecepire gli impulsi dello Spirito San-to che l’hanno generato (cfr. UR 1), equesta remora non incoraggia affatto

i cristiani a riconoscere, con un cuoresolo e un solo pensiero, che la Chiesaè innanzitutto un corpo di comunio-ne e libertà e non di aridi vincoli le-gali, che la Chiesa riposa sul fonda-mento della Trinità e non su concettimondani di autorità e di potere. Bar-tolomeo I e papa Francesco lo stannofrancamente evidenziando.

il dialogo dell’amore

Una cosa è certa, ci consola e ci fasperare. L’incontro di Paolo VI e Ate-nagora a Gerusalemme ha inaugura-to il dialogo dell’amore. Lo stessoAtenagora, come Olivier Clément haricordato nei suoi famosi Dialoghicol Patriarca, ha rilevato che quell’in-contro ha contribuito a «sconfiggereil passato ancora così vicino e cosìpieno di antagonismi»; ha permessodi «rivedere le nostre differenze conuno sguardo pacificato», ma aggiun-geva che occorre «lavorare per ritro-vare la situazione del primo millennioin cui le differenze divenivano unadiversità feconda nell’unità dello stes-so calice». E ancora: «Cattolici e Or-todossi condividono lo stesso misteroecclesiale. Devono ora impegnarsi inun dialogo teologico di fondo, non inseguito, ma all’interno del dialogodell’amore. Sì, l’unione è adesso unapossibilità storica. Non preciso nes-suna data. Spero. Combatto. L’unio-ne può avvenire in maniera inattesa,come tutte le grandi cose, come il ri-torno di Cristo che ha detto che tor-nerà come un ladro… L’unione avver-rà senza dubbio a caldo. Lo Spiritonon è solo luce. È fuoco». Per Atena-gora, profeta dell’unità, il cristianesi-mo poteva diventare il fermentodell’unità umana e trasformare la cri-si della società se il senso orientaledella contemplazione si fosse unitoal senso occidentale della storia.Roma dal canto suo non è rimasta

inattiva. L’essenziale delle sue indica-zioni e dei suoi passi, che attendonosempre la convinta e fattiva recezionedi tutti i cattolici, rimane nei testi delConcilio che ha ridato al ministeroepiscopale la sua piena sacramentali-tà, ha ristabilito la responsabilità si-nodale comune del Papa e dei Vesco-vi per la guida della Chiesa, evitandocosì una ecclesiologia esclusivista. IlConcilio ha dato un grande contribu-to all’apertura della Chiesa di Romaalle altre Chiese e al Movimento ecu-

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Atenagora e Paolo VI: un dialogocarico di speranza

menico, affermando che Il Vescovo diRoma è chiamato a «presiedere nellacarità» e a garantire le legittime diver-sità delle Chiese particolari (LG 13), amanifestare l’unità dell’episcopato,della Chiesa, essendo il suo primato«un principio di unità della fede edella comunione» (LG 18). Questospiega il significato dei grandi gesticompiuti dalle Chiese di Roma e Co-stantinopoli in vista dell’unità dei cri-stiani, gesti che non nascondono il“mistero” della presenza di Pietro edi Paolo a Roma e la «presidenza nel-l’amore» che ne risulta, mistero pie-namente riconosciuto dall’Oriente apartire dal V secolo. Il patriarca Bar-tolomeo I ha affermato che «la verateologia non è difensiva, non ha pau-ra del dialogo, anzi, lo cerca e lo svi-luppa, perché la relazione tra ciò cheè tradizionale e ciò che riguarda l’at-tualità nei confronti del mondo con-temporaneo è la garanzia stessa dellavoro teologico».Paolo VI, recandosi per primo a

Istanbul nel luglio 1967, ha posto unautentico segno di avanzamento versola riconciliazione tra le due Chiese so-relle. Il seguito a quel pellegrinaggio,Atenagora ha visto aperta davanti a séla strada verso Roma dove giungerà il26 ottobre 1967, da fratello verso l’al-tro fratello, senza pretese legali o didominazione. «Questo nostro incon-tro – dirà Atenagora – sia gradito a Dioe costituisca un nuovo punto di par-tenza delle nostre Chiese verso di Lui el’una verso l’altra… Questa è l’ora del-l’amore”. E Paolo VI confermerà “l’uni-co desiderio di obbedire a ciò che loSpirito chiede alla Chiesa, in una spe-ranza più forte di tutti gli ostacoli: noiandremo avanti in nomine Domini». IlPapa ha impostato con l’Ortodossia undialogo profondo, vero e generoso chenon rimarrà senza frutto. È quantoemerge con evidenza dalla documen-tazione delle reciproche relazioni rac-colte nel citato Tomos Agapis, luogoteologico di riferimento.È inoltre nella memoria di tutti

l’evento del 14 dicembre 1975, quan-do Paolo VI al termine della celebra-zione nella Cappella Sistina nel deci-mo anniversario della eliminazionedelle scomuniche, dopo la lettura delmessaggio di Atenagora che lo defini-va «fratello maggiore, araldo ed emi-nente artigiano della pace, dell’amoree dell’unità dei cristiani», con un attosenza precedenti, improvviso e spon-

taneo ha baciato i piedi dell’inviatodel Patriarca Dimitrios I, il MetropolitaMelitone di Calcedonia, e l’ha abbrac-ciato. Un gesto autenticamente evan-gelico, di riparazione e di guarigionedella memoria, dalle conseguenzeecumeniche profonde e decisive.Atenagora ha sempre ribadito che

il ministero stesso del primato roma-no non è mai stato messo in dubbiodagli Ortodossi, ma solo alcune mo-dalità del suo esercizio. GiovanniPaolo II nella Ut unum sint proporràcon chiarezza di «cercare, evidente-mente insieme, le forme nelle qualiquesto ministero possa realizzare unservizio di amore riconosciuto dagliuni e dagli altri… in un dialogo frater-no, paziente, nel quale potremmoascoltarci al di là di sterili polemiche,avendo a mente soltanto la volontàdi Cristo per la sua Chiesa» (95-96).Il nodo da sciogliere o il punto su cuioccorre riavvicinarci è il modo diesercitare il ministero del primatopetrino. Ad esempio papa Francescoha istituito una commissione di ottocardinali ai quali ha affidato il com-pito di riflettere e di proporre un fun-zionamento più collegiale e sinodaledel primato. Ma già dalle prime affer-mazioni e dai primi gesti di France-sco “vescovo di Roma”, espressi lasera stessa della sua elezione, ilmondo ecumenico ha colto le sue

intenzioni, il suo spirito e lo stile im-prontato a rispetto e correttezza dirapporto fraterno con tutti. A proposi-to della conversione del papato silegga ad esempio il n. 32 della suaEsortazione apostolica Evangelii gau-dium [EG]: «Anche il papato e lestrutture centrali della Chiesa univer-sale hanno bisogno di ascoltare l’ap-pello ad una conversione pastorale».

il dialogo della verità

Preparato e introdotto dal dialogodella carità, il dialogo della verità, uf-ficiale e propriamente teologico inter-nazionale tra la Chiesa cattolica e laChiesa ortodossa nel suo insieme, haavuto inizio nel 1980, espressamentevoluto da Giovanni Paolo II in accor-do con Dimitrios I. In seguito, unaCommissione mista convocata perio-dicamente, ha elaborato importantidocumenti, dedicati in particolare al-la struttura sacramentale della Chie-sa. Il primo di essi ha per titolo: “Ilmistero della Chiesa e dell’Eucaristiaalla luce della Santa Trinità” (1982) esostiene che l’unità della Chiesa è in-tesa come unità di comunione secon-do il prototipo dell’unità trinitaria.In tempi più recenti parole e gesti si

sono moltiplicati. Vanno ricordati ildocumento di Balamand (1993) cherifiuta il proselitismo, l’enciclica Utunum sint (1995) e la Lettera aposto-lica Orientale Lumen (1995) di Gio-vanni Paolo II che testimoniano unachiara volontà di riavvicinamento edi convergenza, da parte della Chiesacattolica, ma anche il Documento diRavenna (2007) della Commissioneinternazionale mista nel quale le dueChiese sorelle riconoscono le diffe-renti forme di primato: locale, regio-nale, nazionale, universale: «Il prima-to a tutti i livelli è una pratica fondatasaldamente sulla tradizione canonicadella Chiesa», anche se «esistono vi-sioni differenti riguardo al modo incui esso debba essere esercitato e an-che rispetto alle sue fondamenta scrit-turali e teologiche». A partire da taleconstatazione, la modalità di eserci-zio del ruolo del Vescovo di Roma sa-rà il prossimo tema delicato che laCommissione dovrà approfondire edefinire con sincerità e prudenza, siaa proposito della continuità con gliantichi principi strutturali del cristia-nesimo, sia in risposta al bisogno diun messaggio cristiano unitario nel

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icona raffigurante gli apostoli Andrea e Pietro, dono del patriarcaAtenagora al papa Paolo VI

mondo di oggi. Giovanni Paolo II haaffermato: «Ciò che mi auguro con gliOrtodossi è la comunione, non la giu-risdizione».La guarigione delle ferite ha avuto

inizio non solo nei cuori, ma per pic-coli passi anche nelle strutture stessedelle due Chiese, con grande pazien-za. Il patriarca Bartolomeo I ha rifiu-tato le reazioni degli integralisti orto-dossi, frenando con coraggio e senzamezzi termini “l’isteria anti cattoli-ca”. La sua presenza a Roma in occa-sione delle esequie di Giovanni PaoloII e più ancora la decisione che hasorpreso il mondo, di assistere perso-nalmente all’inizio del ministero delPapa Francesco, stanno a dimostrarela sua visione e la convinta determi-nazione di procedere verso l’unità.

un nodo controverso

Quanto alla nota controversia rela-tiva all’aggiunta del Filioque al Credodei Concili di Nicea (325) e Costanti-nopoli (381) da parte della Chiesa la-tina nel 2° Concilio di Lione (1274), aproposito del procedere dello SpiritoSanto dal Padre «e dal Figlio», aggiun-ta che, secondo Nicolas Lossky, hacausato la vera separazione tra Orien-te e Occidente, la Chiesa cattolica hafinalmente tenuto a precisare che nonsi tratta di una differenza tale da cau-sare la divisione delle due Chiese, mapiuttosto di una dichiarazione com-plementare (card. Kasper). È da rico-noscere comunque che l’aggiunta delFilioque è avvenuta in maniera unila-terale e non canonica, da parte dei la-tini, cioè al di fuori di un Concilioecumenico. L’argomento esigerebbeun’ampia e documentata trattazione,ma non è certo questo l’ambito piùidoneo. Aggiungerò solo quanto haaffermato Giovanni Paolo II a proposi-to del Filioque nel discorso indirizzatoa Bartolomeo I il 29 giugno 1995: «IlPadre, quale fonte della Trinità, è lasola origine del Figlio e dello Spirito».Tutto ciò mostra che è possibile scor-gere nel futuro la ricerca di una pro-spettiva comune tra due metodi teolo-gici dagli approcci differenti.Oggi, riscoprendo il modo di fare

teologia dei Padri d’Oriente e d’Occi-dente, che nel comunicare erano sem-pre preoccupati di farsi capire dai fe-deli nel trasmettere la dottrina certa, erimanendo alla loro scuola pedagogi-ca, si comprende che non occorre

toccare ancora il testo del Credo Nice-no-Costantinopolitano, ma piuttostodotarlo di un adeguato commento teo-logico perché possa essere compresoe confessato insieme, senza confusio-ne, da un Oriente e da un Occidentericonciliati. È ora di stabilire una au-tentica e attiva collaborazione soprat-tutto nel campo della catechesi, dellaformazione e dell’informazione. Neconseguirà una pastorale più attentaed efficace per tutti.

una pastorale di comunione

Concludendo, tengo a evidenziareuna proposta di Benedetto XVI, quel-la di sviluppare insieme «una pasto-rale fruttuosa di comunione», per po-

tere dire al mondo che «il Cristo nonè una istituzione, che Egli è, per co-loro che soffrono, valore, atto, tra-sformazione dei cuori nel senso delladolcezza, della semplicità, dell’umil-tà»; una pastorale di comunione gra-zie alla quale la fede cristiana potràrimanere nella nostra società secola-rizzata; una pastorale di comunionecapace di mettere l’uomo davanti aciò che pare non servire a niente, mache rischiara e dà senso al tutto, per-ché esistono ancora realtà segreteche non si possono spiegare, né ac-quistare, ma soltanto contemplare eammirare; una pastorale di comunio-ne che dovrebbe permettere all’uo-mo di percepire la sua esistenza co-me una celebrazione, come una festa

nella quale trovare e compiere gestidi unità e concordia nella verità; infi-ne una pastorale di comunione chedovrebbe consentire di fare rifletterela società e ricordarle la sua respon-sabilità e il significato dell’amore ve-ro, senza lasciarsi chiudere da fasci-nazioni vuote vacue che generanodiscordia e angoscia. Questo al finedi aiutarci a comprendere meglioche Dio dà senso alla vita dell’uomo.Ci si avvicina a Dio con la fede, mapiù ancora per il fatto che una pasto-rale di comunione possiede i mezziper sviluppare veri sforzi di crescitaspirituale, sia individuale che collet-tiva, nell’unità e nel rispetto della le-gittima diversità. Papa Francesco hascritto che «la diversità deve esseresempre riconciliata con l’aiuto delloSpirito Santo; solo Lui può suscitarela diversità, la pluralità, la molteplici-tà e, allo stesso tempo, realizzarel’unità… Quando siamo noi che vo-gliamo costruire l’unità con i nostripiani umani, finiamo per imporrel’uniformità, l’omologazione. Questonon aiuta la missione della Chiesa»(EG 131).A noi spetta scoprirla attraverso

tutte le forme della bellezza, dell’in-contro, degli scambi e del dialogopaziente nella verità e nella carità,senza attendersi risultati spettacolari,immediati e di massa. L’eco dei gesticompiuti da Paolo VI e Atenagora Icontinua a risuonare, a richiamare ea incoraggiare tutti, non solo gli ad-detti ai lavori.Papa Francesco dal 24 al 26 mag-

gio prossimo sarà pellegrino in TerraSanta con Bartolomeo I per rinnova-re, cinquant’anni dopo, lo storico ab-braccio del 1964 e segnare così unanuova tappa verso il ristabilimentodella piena comunione tra le dueChiese. «Vogliamo mostrare – ha af-fermato recentemente il Patriarca (LaCroix, 4 febbraio) – che i muri di se-parazione costruiti nel corso della sto-ria sono sul punto di cedere». Volesseil cielo! È essenziale pertanto conti-nuare a pregare e a porre gesti profe-tici, compresi quelli dei piccoli passiquotidiani possibili a tutti, suggeriti aciascuno dallo Spirito e assecondaticon umiltà fiduciosa, come segno epreludio di eventi futuri. Ciò che im-porta è seminare bene. Chi verrà do-po, vedrà e raccoglierà i frutti.

Enrico Sironi

ECUMENISMO

Eco dei Barnabiti 1/201414

Roma 26 ottobre 1967 - incontro traPaolo VI e Atenagora