Il Convento Dei Cappuccini in Cerro Maggiore

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A Cerro Maggiore, nella plaga legnanese, nell'altomilanese, sin dal 1582 esiste un convento di cappuccini fondato, con la benedizione di s. Carlo Borromeo, dal mercante cerrese Pompeo Legnano e dalla moglie Margherita Besozza. Nel 1964 nasceva nell'importante centro milanese un'utile rivista dal titolo: Cerro Maggiore, che si propone d'illustrare i vari aspetti della vita cittadina, sia d'attualità (attività comunale, iniziative di industria e commercio, problemi del lavoro, igiene, cultura, arte, ecc.) e sia storici.

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P. METODIO DA NEMBRO

Il convento dei Cappuccini

in Cerro Maggiore

Edizioni "Lux da Cruce " )

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PRESENTAZIONE

COLLANA:

« Luoghi e figure {rancescane»

N.l

A Cerro Maggiore, nella plaga legnanese, sin dal 1582esiste un convento di cappuccini fondato, con la benedi-zione di s. Carlo Borromeo, dal mercante cerrese PompeoLegnano e dalla moglie Margherita Besozza. L'anno scorso(1964), ad opera del sindaco pro]. Strobino, nasceva nel-l'importante centro milanese un'utile rivista dal titolo: Cer-ro Maggiore, che si propone d'illustrare i vari aspetti dellavita cittadina, sia d'attualità (attività comunale, iniziative diindustria e commercio, problemi del lavoro, igiene, cultura,arte, ecc.) e sia storici.

Poiché il vecchio edificio conoentuale, ormai cadente, trail 1963 e il 1964 fu sostituito con uno nuovo, l'occasionesembrò opportuna per stendere, del vecchio convento, unarapida sintesi storica mediante un seguito d'articoli che ap-parvero sulla stessa rivista. E ora tali articoli con qualcheritocco vengono riuniti nel presente volumetto perché, sepure non condotti in forma strettamente scientifica con lenote e i riferimenti necessari, nondimeno tengono presentile superstiti fonti storiche e si valgono della bibliografia es-senziale (una nota bibliografica è in fondo al volume).

Va aggiunto che il volume è il primo d'una serie illustran-te luoghi, figure, eventi [rancescani specialmente della mona-Con approvazione ecclesiastica e dei Superiori dell'Ordine

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stica provincia dei cappuccini lombardi. Con un program-ma soprattutto d'indole storica e agili monografie condottecon vero senso critico, tale collana mira a raccogliere notiziee dati che possano servire per una eventuale ed auspicatastoria della stessa monastica provincia.

Quest'anno (1965) è il quarto centenario dell'ingressodi s. Carlo Borromeo nell'archidiocesi ambrosiana. Sotto gliauspici di Lui, che è il patrono della monastica provinciacappuccina di Lombardia e che inoltre fu, in vita, suo stra-ordinario benefattore, diamo il via al presente volumettorelativo al convento di Cerro Maggiore contenti se, in qual-siasi modo ciò avvenga, esso recherà una nuova testimo-nianza francescana.

L'EREDITA DEL MERCANTE

I.

1. - Conventi cappuccini del milanese

I religiosi cappuccini incominciarono a stabi-lirsi sul territorio dell'antico Ducato di Mììano apartire dal 1535,fìdando nella comprensione e cor-dialità delle buone popolazioniambrosiane. Neiprimi mesi di tale anno il p. Giovanni da Fano sipresentò con un suo compagno all'ultimo duca diMilano, Francesco Sforza II che morì il primonovembre di quello stesso anno, e gli chiese « peramar di Dio un luogo, ove potesse accomodare al-cune stanzette per abitarvi e lodare il Signore».Il Duca - continua il cronista p. Salvatore daRivolta - « gli mirò fìsamenteambìdue senza par-lare, e considerando l"abito rozzo, tutto rappezzato,essi discalzi, scarni, e così estenuati dall'asprezzadelle penitenze e dei disagi che pativano, voltosiai Cavalieri che gli erano d'intorno disse tuttostupefatto: - Non mi piace tanta estremità divivere ».

Erano quelli i primi tempi eroici della riformacappuccìna, sorta nel 1525dal vigorosoalbero fran-cescano, e la Milano i religiosi erano, si può dire,tuttora ignoti; nondimeno p. Giovanni da Fano 01;..

L'autore

Milano, 17 settembre (festa delle S. Stimmate), 1965.

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tenne dal Duca (« che come signor Catolico desi-derava l'accrescersi del culto divino») un puntod'appoggio fuori Porta Vercellina in una cappellasolitaria presso l'Olona che dal popolo er.achia-mata ({San Giovanni alla Vedra» (Vedra, corru-zione, a quanto pare, di ({vipera», in quanto l'et-fige venerata rappresentava s. Giovanni con aipiedi una vipera). Qui i Cappuccini rimasero circaotto anni, poi si trasferirono a S. Vittore all'Olmoo S. Vittorello, dentro le mura, e più tardi, qualcheanno dopo la morte di s. Carlo Borromeo, avreb-bero costruito anche il convento di Porta Orien-tade, dedicato alla Concezione Immacolata dellaVergine Madre di Dio e reso famoso dal Manzoni.

Altri conventi del milanese, sorti prima di CerroMaggiore, furono quelli di: Monza (539), dedi-cato a s. Martino e pure ricordato dal Manzoninel suo immortale romanzo a proposito del rifugioe poi del ratto di Lucia; Abbiategrasso (548), co-struito su una preesistentecappella di s. Giulio edivenuto poi celebre per una Madonna col Bam-bino che era dipinta sull'esterno della chiesettae che cominciò proprio allora a far grazie prodi-giose; Varese (1560), sorto da prima nella castel-lanza di Casbeno e più tardi illustrato dal D. A-guggìarì che costruì le famose cappelle del SacroMonte; Lodi (564), voluto dalla comunità citta-dina che indusse un certo Bonadeo della Valle acedere il terreno necessario; Cardano (1571), sor-to per diretto interessamento di s. Carlo Borro-meoche si era recato sul luogo in visita pastoralee ne costato l'opportunità. Altri conventi, concre-tatìsì per interessamenti vari ma sempre benedet-ti e caldeggiati da s. Carlo Borromeo, 'sorsero a:Melzo, (573) accanto a un importante santuariodella Madonna costruito per voto cittadino e pureillustrato da grazie straordinarie; Casalpusterlen-go (574), anche qui unito al santuario mariano

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di s. Salvario dopo che, se dobbiamo credere alcronista, da vario tempo si vedevano processionidi cappucini muovere verso il preesìstente santua-riocon in mano ceri accesi; Melegnano o, comesi diceva allora, Marignano (1577), fatto costrui-re dalla famiglia Visconti che rìsìedeva in quellalocalitàalie porte di Milano ; Merate (1579) inBrianza, sorto pure dietro interessamento di s.Carlo Borromeo in luogo solitario dove erano sta-ti sepolti, da vari decenni, degli appestati.

2. - Un mercante e un notaio

A Cerro Maggiore il convento dei Cappuccinisi realizzò grazie a un seguito di favorevoli circo-stanze che trovarono il loro punto d'incontro perimpensati interventi. Un vecchio mercante diCerro, a nome Pompeo Legnano, cercava un'occa-sione per impiegare merìtorìarnente i suoi averi,non avendo figli maschi, e a tal effetto aveva giàfatto costruire, fuori del villaggio e in direzionedi Legnano, una piccola chiesa o cappella dedica-ta al mistero della Visitazione e, accanto ad essa,({una casetta per abitazione del cappellano chevoleva mettervi». Nello stesso tempo i religiosicappuccini desiderav.ano avere nella zona un pun-to d'appoggio per un duplice scopo e cioè: assiste-re spiri tualmen te i fedeli con la loro predìcazìonee altri buoni uffici, e poi trovare un al,loggio si-curo nel lungo viaggio (a piedi) tra Milano e Gal-larate-Varese che spesso era compiuto, come èagevole immaginare, in condizioni penosissime.

E' a questo punto (e siamo nel 1582) che inter-venne il notaio milanese Antonio Rinaldi, cheera benefattore dei Cappuccini già da lunga data.Essendo egli amico del mercante cerrese e cono-scendo il reale bisogno dei religiosi, agì con i suoibuoni uffici sull'animo del Legnano suggerendo gli

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l'idea di un convento da costruìrsì accanto allacappella della Visitazione. La ragione addotta dalnotaio era che il cappellano col tempo sarebbescon;pa~so, mentre i religiosi avrebbero continua-t<?l assistenza alla cappella in un tempo indefi-mto.

~'idea del convento venne accolta dal mercan-te, Il quale anzi incaricò l'amico ad allacciare i~ec~~sa:nrapporti con i religiosi. Subito il RinaldiII:YltOl Cappuccini a visitare il luogo e frattantogra por~eva,. per la richiesta autorizzazione delloOrdinario diocesano, diretta istanza a s. CarloBorromeo che fu ben lieto di dare il suo consensoe ~a.sua. benedizione ripromettendosi larghi fruttispìritualì dal~a presenza dei religiosi. In tal modo,m POChImesi, tutto fu combinato.

.Superiore. ~ella monastica provincia lombardadel .Capp~ccml e~a allora il notissimo p. Mattia~ellmtam da Salo, profondo teologo e celebratis-simo oratore in tutta Italia, grande amico di s.Ca~l~ dal q~aleaveva già avuto lettere commen-d~tIzle.per Il re di Francia e H Nunzio apostolicod; Parigi allorchè 'si era recato nella grande na-zl.onein qualità di commissario per stabilirvi l'Or-dme. cappuccmo l{ 1575-1578): autore, inoltre, disyanate opere spirituali come la Pratica dell'ora-~tO~e mentale che ebbe una 'quarantina di edizioniitaliane e traduzioni in francese, tedesco e latino.Pad~e Mattia, all'invito del Rinaddì, visitò il luogode?t;n~to al convento con i padri definitorie fab-bnClen,. -~ ne restò oltremodo soddisfatto ralle-grandosì m. cuor suo del pensiero avuto dal buonmercante; m seguito egli s'interessò per avere an-che un altro tratto di terreno destinato all'ortoconventuale.

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3. - Padre GiambattistadQj Milano

ottenuto lo spazio sufficiente,l'anno dopo (1583),con solenne processione che mosse dalla parroc-chia di Cerro e attirò molta gente anche dai pae-si circonvicini, fu innalzata una croce sul limitedell'area destinata al convento e, inoltre, ({postagiù la prima pietra fondamentale con le solite ce-rimonie, d'ordine di s. Carlo arcivescovo di Mila-no» che delegò al sacro rito un suo sostituto. Ilfatto riuscì solenne e memorabile anche per i di-scorsi di circostanza che furono pronunciati. Mapoichè l'inizio della costruzìone urgeva e, d'altraparte, occorreva un religioso che presiedesse ailavori affinchè le norme di povertà e umiltà, pro-prie dell'Ordine cappuccino, non fossero mano-messe, il superiore provinciale destinò subito 'aCerro Maggiore il p. Giambattista da Milano, no-to predicatore e soprannominato, con addolcimen-to del cognome, il Caldarinetto; questi, trasferi-tosi tosto a Cerro, prese dimora nella piccola casadel cappellano, contigua alla chìesetta della Vi-sitazione e già fatta costruire, come si è detto, dalsignor Pompeo Legnano.

Padre Giambattista, religioso zelante e attivo,con la sua fervorosa predicazione e la sua vita e-semplare si creò rapidamente un largo prestigionella zona, stimato e venerato non solo a CerroMaggiore, S. Vittore Olona e Legnano, ma anchea Rescaldina, Cislago, Parabiago e altri centripopolosi dei dintorni. Prima d'incominciare lafabbrica del convento, egli provvide a raccogliereil materiale necessario ({come pietre, calcina, sab-bia e legnami» e, se pure il vecchio mercante be-nefattore e fondatore pagava di sua borsa la mag-gior parte di tali materiali da costruzione, al lorotrasporto provvedevano gratuitamente ({i poveri

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massari di Cerro, S. Vittore e d'altre terre vicineil tutto per amor di Dio con alle grezza grande .~grande rervore » - come nota H cronista.

Ad animare trasportatori e costruttorì erasempre il p. Giambattista che si sottoponeva agravi fatiche corporali, pur continuando un in-tenso ministero spirituale. Per il suo buon esem-pio ~ per la stima da lui acquisita all'Ordine cap-pUCCInOnella plaga di paesi rurali e cittadinedelimitata da Rho, Saronno e Gallarate, egli fuH primo ufficiale superiore del nuovo conventodestinatovi dal capitolo provinciale celebrato ~Cremona nel 1584, poco tempo prima che s. Car-lo morisse.

4. - Vari benefattori

La costruzione di questo primo conventino ri-spondente in pieno alle severe norme di austeritàe povertà allora vigenti nell'Ordine, fu rapida-mente condotta a termine. Iniziati i lavori nellaestate del 1583, in alcuni mesi vennero approntate19 celle o piccole stanze, povere e modeste alcunialtri ambienti più comodi per gli infermi il refet-torio con la cucina e la minuscola caneva, il coroper i frati dietro l'altar maggiore della chiesinaun altro piccolo coro laterale. La stessa chiesett~o piuttosto cappella, fatta costruire dal signor Le-gnano, si rivelò di troppo modeste proporzioni e« fu allungata la metà da frati, e ciò fu l'anno1586. n, dopo che vi si era già stabilita una regolarefaml~1ia o comunità religiosa composta di ottopadrì e quattro fratelli.

Va notato che il mercante fondatore e cioè ilcerrese signor Pompeo Legnano, venne' a mortepoco dopo l'inìzìo dei lavori e, poichè così avevastabilito per testamento, fu sepolto nella chieset-ta da lui costruita. La sua opera, alla quale egli

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provvide con chiare disposizioni, continuò alacre-mente dietro interessamento di sua moglie e cioè,come scrive il cronista, « Madonna Maddalena Be-sozza, che fece fare la maggior parte del monaste-ro a sue spese, conforme alla pia intenzione delmarito defunto, da cui era stata lasciata usutrut-tuaria sino alla morte di leì ».

Al resto della fabbrica si provvide con le offer-te, oltre che dei buoni Cerresi, di {(alcuni gentil-uomini che avevano beni in quei contorni, e inparticolare della signora Margarita SimonettaGallarata (sic ) }}che possedeva immobili a Se-driano; essa, « come devota e amorevole benefat-trice della nostra Religione, fece farl'ancona (ico-na), il tabernacolo, calice e paramentì per l'altaree per celebrare la santa Messa, e nel suo testamen-to lasciò al convento di Cerro cinquecento scudiper accomodarlo, e ciò perchè sin da quel tempotrattavano i frati di rinnovarlo per esser mal fab-bricato. Lasciò parimente a questo convento lasuddetta Signora tutti gli suoi quadri belli, che a-veva in casa, che non erano pochi, e tutta la bian-cheria, e altre cose ancora ».

Altri benefattori, in quei primordi, furono duesignori Crivelli, l'uno a nome Giambattista cheabitava a S. Vittore, e l'altro chiamato Francesco,residente a Cerro: il primo mandò materiale dacostruzione, l'altro {(vivendo fece fabbricare lacappella piccola dedicata al Padre San Francesco,et a S. Fermo, con una bella ancona e con para-menti, e voleva farla dipingere, ma prevenuto dal-la morte lasciò per testamento erede l'ospedale diCerro, con obbligazione che gli Deputati di quellodessero ogni anno una certa elemosina ai fratidi questo luogo n. Degno di menzione anche unbenefattore di Cislago, certo signor Pompeo Qua-drio, il quale mandava « abbondanti elemosine ainostri frati nei loro bìsognì ».

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5. - Sepolta in chiesa

Anche i religiosi, compatibilmente con le lororegole, cercavano non sala di rendere « la lìmosìnaspirituale» ai loro benefattori, ma anche di mo-strarsi rìconoscentì in altri modì. Così risulta che,alla richiesta della signora Maddalena Besozza diessere sepol ta per devozione nella chiesa del con-vento, il defìnìtorìo provìncìale benignamente ac-condiscese. Il documenta relativa, del maggio1584, è riportato dal cronista alla lettera e meritadi essere conoscìuto. Esso fu steso dal p. Urbanoda Milano, che era vicario provinciale perchè il su-periore provincìale, Giacama Giussani da Milanodetto il Caldarino ed eletto l'anno prima nel set-tembre (« in questa capitolo w si trovò san Carlo,e mangiò in refettorio, e dopo pranzo all'altare fe-ce un bellissimo ragionamento in lode della Reli-gìone nostra, e poi solennemente benedisse tutti irratì »), era morto santamente dopo un disastrosaviaggio a piedi da Como a Milano sotto piogge di-luvianti.

« Noi infrascritti - dice il documento - fraUrbano da Milano Cappuccino e Provinciale nellaProvincia di Milano, e Pildppo da Milano, Dionigida Milano, e Angela da Milano Diffinitori del Ca-pìtolo dell'anno presente, attesa la richiesta fat-taci dal signor Giovanni Antonio Rinaldi per lasignora Maddalena Besozza Legnana d'esser se-polta dopo la morte nella nostra chiesa di Cerro, eessendo anca tale l'amorevolezza sua versa di noidimostrataci non solo in avercì donato .il sito didetto luogo, e fatto frabricar quasi tutto Il Mona-stero a sue spese, ma ancor nella fedel protezionedella Religione e quotidiane elemosine fatte al sud-detto luogo nostro, essa merita gli sia compiaciu-ta in sì onesta domanda.

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({Pertanto abbiamo determinato in comun con-senso nostro di condiscendere a suoi prieghi. Invirtù donque della presente concediamo alla so-detta signora Maddalena che doppo morte senzaalcuna resistenza possa esser sepolta nella chiesanostra di Cerro, o cemeterìo, dove più gli piacerà.Per fede di cìòabbiamo fatto fare la presente, sot-toscritta di nostra mano, e soggellata con il sog-gello maggiore del nostro Officio. Data nel nostroluogo di S. Vittorello di Milano.il 31 maggio 1584 ».

Il documento è autenticato dal notaio pubbli-co Giuseppe Daverio.

6. - {(Aria buona e temperata»

Il convento, costruita rapidamente nella suastruttura essenziale, venne poi completandosì perl'interessamento dei vari superiori Iocalì. Così, giàsi è veduto ch'e la primitiva chiesetta fu raddop-piata nel 1586 dal p. Giambattista da Milano, pri-mo superiore ufficiale, e in seguito venne ad ag-gìungersì la cappella di s. Francesco e s. Fermo.Nel 1597 i relìgìosì, sia purecan 'qualche impunta-tura, poterono ottenere dagli eredi del signor Pom-peo Legnano « un pezzo di giardino versa Levante,per essere il luogo troppo angusta da quella parte,e per essere la strada pubblica contigua al caro e al-la cappella piccola senza muraglia». Nel 1610 ilsuperiore locale, p. Cirillo da Maggiora, innalzòuna nuova e più comoda sacrestìa « con l'anditoche va alla cappella». Insomma, ogni superioreaggiungeva e migliorava,

Intorno al 1616 il cronista con giudizio relativoalla posìzìone del convento e alla sua vita scrive-va: ({E' questo luogo d'aria buona e temperata,ha buone cerche, ma lontane. Si servono nellaterra di Legnano di medici, medicine e barbiere(flebotamo ), essendovì un luogo pio che fa la ca-

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rità di quanto bisogna per gli infermi. D'ordinariovi abitano dieci o dodici frati, e è luogo di passag-gio per andare a Gallarate e a Varese ».

Ma, fosse per troppa fretta nella costruzioneimperizia o cedimento del terreno, esso già si tro~vava in condizioni precarie di stabilità minaccian-do rovina, e il superiore locale, p. Raffaele da Mi-lano, andava raccogliendo il materiale necessarioper ripararlo.

7. - Buoi da trasporto

In relazione alla raccolta di tale materiale ilcronista riporta due fatti ch'egli ritiene miracolo-si e che rìtrascrìveremo non tanto per la graziae aiuto soprannaturale ch'essi suppongono, ma perl'intima freschezza e semplicità con cui sono nar-rati.

« L'anno 1616 - nota il cronista - mentre ilP. Rafael di Milano, predicatore, era Guardianodi Cerro, minacciando rovina il monastero già fat-to in fretta e con poca cura, s'andava radunandomateria per ripararlo, e già s'era ammassata granquantità di pietre cotte tutte in una pila nel giar-dmo, una sopra l'altra, per dar luogo a quelle chedi mano in mano si conducevano. Avvenne che unmassaro del signor Giovanni Crivelli da S. Vitto-re, chiamato Andrea Rovedi, avendone condottoun ~arro, mentre avvicinato alla pìla stava per di-scarìcarle, in un subito ruinosamente caddero tut-te le pietre di essa addosso gli bovi e caddero in-sieme due huomìni, che vi erano sopra ordinando-le, di maniera che si tennero per morti involti inquella gran massa giontamente con gli animaliche non si vedevano. Trovandosi presente il Padr~fra Cipriano da Milano sacerdote, che era vicariodel convento, a quel spettacolo miserando feceun'elevazione di mente al Signore e al Padr~ San

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Francesco pregando ànstantemente a non permet-tere con la morte degli huomìnì il danno del po-vero massaro con la perdita de suoi animali. Loistesso fecero ancora altre persone, ch'erano pre-senti a quel fatto. Piacque al Signore di esaudirglipreservando gli huomìnì e i bovi che, scoperti, u-scirono salvi et illesi, meravigliandosi ognuno ebenedicendo Iddio per questo singolar segno etaffetto dell'infinita benignità sua, e partirono tut-ti più che mai pieni d'affetto e di cuore ad adope-rarsi sempre nel servizio del Serafico Padre SanFrancesco aiutando i suoi poveri figli Cappuccini »..

L'altro episodio, sulla linea del precedente, toc-cò a un contadino di Cerro mentre pure si occupa-va nel recar materiale al convento.

« L'anno medesimo 1616 conduceva parimentiper la fabrica del convento Galeacio de Rossi,massaro di Cerro, una rovere grossissima sopradi un suo carro, e nel dargli volta, la ponta dellarovere trovò una pianta di gelso vicina in manie-ra che il calce di essa sdruciolò sopra di un bove,che la tirava, e lo fracassò tutto in modo che ilpovero animale non si poteva più muovere. Affan-nato il padrone, che sicuramente temeva di per-derlo, pregava il Padre San Francesco et i frati,che l'aiutassero; condotto il bove a casa al meglioche fu possibile per poterlo medicare, ma preve-nendo con l'orationi il rimedio, andarono posciai Padri a vederlo e lo ritrovarono sano, con alle-grezza grande del padrone che non finiva con tut-ti gli altri di meravigliarsi, di benedir Iddio colSerafico nostro Padre, e di promettere più animo-samente l'opera sua in favore dei tratì »,

Altri episodi miracolosi avvennero, dietro rac-comandazione a s. Francesco, in altri villaggi cir-convicini, ed è fuori dubbio che tutto ciò contri-buì a creare larga stima ai Cappuccini di Cerro.

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II.

MEMORIE DEL PRIMO SEICENTO

1. - Restauri con P. Cirillo da Maggiora

Raccolto, da p. Raffaele da Milano nei due an-ni della sua guardìania 0616-1618), il materialenecessario, i lavori di restauro furono intrapresidal suo successore nel superiorato e cioè p. Cirilloda Maggiora (Novara), destinato a Cerro dal ca-pitolo provinciale celebrato il 31 agosto 1618 nelconvento dell'Immacolata Concezione a Porta O-rientale in Milano. Il nuovo superiore giunse aCerro un tardo pomeriggio del settembre, dopoaver a lungo ciabattato 'Sulle malagevolì stradedella zona.

Padre Cirillo (1575-1650) era un noto predicatoreche suscitava grandi entusiasmi nei suoi uditori,non a motivo di arte e rettorica, ma perchè lascia-va libero corso al fervore del suo spirito ottenendocon ciò sincere conversioni. Negli ultimi anni del-la sua vita egli avrebbe svolto un efficacissimo -a-postolato in Val Chiavenna (all'imbocco della Val-tellina e allora dipendente dai cosiddetti signoriGrigioni,svizzeri), tra i numerosi protestanti cheedificava con la sua vita austera e penitente edanche con la grazia e soavìtà della sua conversai-

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zione; ma già nel duplice superiorato sostenut?a Cerro Maggiore 0610, 1618) si fece co~os~ere e s~~-mare in un vasto raggio all'intorno, richiesto piuvolte sui pulpiti della zona dove il popolo ,accorre-va numeroso, soggiogato dalla spontaneità e dal-la forza del suo dire. Ciò riuscì di grande, va:ntag-gio anche per i lavori di restauro perche risultache il buon superiore, nel ritornare al conventodopo le sue fervorose predicazioni, era talvolta .ac-compagnato da qualche lavoratore che ~ffrIvaspontaneamente i suoi servigi, ovvero seguito daqualche nuovo carro di materiale necessario allaprosecuzione dei lavori.

In tal modo il convento fu interamente ~e~tau~rato, questa volta però con più calma e perrzia : lmuri che minacciavano di rovinare, venner? rin-forza:ti ovvero demoliti e rifatti; il piccolo chlO~trofu meglio sistemato sul fianco destro della c~Iesae in esso si rifece il pozzo, che aveva sofferto mfil~trazioni; fu ingrandito H coro e la nuova porta d~esso, praticata a tramontana! venne a trovarsipresso il muro che recingeva Il convento a nord,ombreggiato dai grandi noci che so.rge:rano sul ter-reno contiguo e confinante e quindi soggetto .~deteriorarsi facilmente per la grande un:ndlta: Cl?indurrà più tardi un superiore (p. Fedenco da MI-lano) ad acquistare quel tratto di terreno e a spo-stare la cosiddetta {(cinta », ricavandone un nuovopezzo di giardino. Anche il m~ro di cinta, chefiancheggiava la strada proveniente d~l borgo ~passante accosto al convento, venne nfatto; ml~zialmente costruito con sassi e mota; aveva P~Isofferto per gli alberi dell'orto (specialmente fI-chi, susini e peschi) che gli sorgevano troppo aridosso. Abbellimenti furono inoltre apportati allapiccola chiesa.

La mattina del 2 luglio 1619 la campanett~ de~convento già prima dell'alba aveva fatto udire 1

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suoi squilli argentìnì sul borgo di Cerro, sui campiumidi di rugiada, sui boschi che come macchie o-scure punteggiavano la pianura; e ben presto alconvento e adiacenze fu un gran raccogliersi difedeli non solo di Cerro, ma anche dei paesi cir-convìcìnì, che s'accostavano ai Sacramenti e poibivaccavano all'ombra di qualche albero, a consu-marsi allegramente la colazione al sacco. Era lafesta titolare della chiesetta conventuale, la Visi-tazione, scelta per la reinaugurazione ufficiale delconvento, rimesso a nuovo. Archi di verde, festoni,drappi a vari colori secondo il gusto del tempo,quadri devoti in edicole posticce tra un mareggia-re di lumi, cantilene di rivenduglioli ed anche dimendicanti e vocio confuso dai mille timbri e daisentimenti più diversi, gonfiantesi o smorzantesicome le onde del mare. Le solenni funzioni termi-narono nella variopinta processione disnodantesiper le vie del borgo tra canti devoti e, come siesprime Paolo Arcarì, {(la tremenda dolcezza dellecampane lomb arde che piomba dall'alto sul cuoresenza difesa ».

2. -' Un superiore, cronista provinciale

A p. CiriHo da Maggiora il 21 maggio 1620 suc-cesse come superiore del convento p. Aurelio daMilano, della nobile famiglia De Carparii, puredestinato a tale compito dal capitolo provinciale,celebratosi a Milano nella data surriferita. Que-st'ultimo religioso merita un accenno per la parti-colare attività da lui svolta.

Padre Aurelio era stato per diversi anni segre-tario e compagno del noto p. Francesco Tornìellìda Novara (+ 1640), rivelatosi non solo ottimo reli-gioso, dotto professore di scienze sacre, celebratopredicatore e prudente superiore nelle sei volte incui resse la monastica provincia dei Cappuocini

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milanesi, ma anche letterato di gusto e schiettopoeta latino che nel canto trasfondeva il ricco eprofondo sentimento della sua anima contempla-tìva (qualche titolo delle sue composizioni: 1) Af-iectus seraphici animae contemplantis PaJssionemet vulnera Christi Jesu; 2) Liber sententiarum deDeo, rythmis expositus ; 3) Corona perpetuo »er-n/ens... e musterus praecipuis in Virginem; ed al-tri). Fu probabilmente da questo superiore chep. Aurelio ebbe l'Incarico di cronista provinciale.

Venuto a Cerro, nel triennio del suo governo0620-1623) egli non lasciò ricordo particolare, sesi eccettua forse qualche rifinitura al convento eil solito servizio di ospitalità, predicazione, even-tuali assistenze ad infermi e collaborazione colclero diocesano. Nondimeno, nella sua qualità dicronista, egli continuò ad appuntare sul grossomanoscritto in foglio, tuttora superstite, notizieinteressanti e, a quanto sembra, diverse pagine vi-vacissime le scrisse proprio a Cerro Maggiore. Sitratta di avvenimenti accaduti tra il 1620 e il 1622nelle parti più diverse del mondo e di cui il croni-sta fissava eco nel suo zìbaldone che, se pure re-ca il titolo di « Libro cronologico del convento de'frati cappuccini della Concettione in Milano», inrealtà appare come una finestra sul mondo, al-meno fino a quando fu portato innanzi dal p. Au-relio. Come esempio riporteremo qui le pagine, com-pletamente inedite, relative ai gravi fatti di Val-tellinaaccaduti a partire dal luglio del 1620 conil cosiddetto Sacro Macello 09 luglio 1620). stu-diato da Cesare Cantù, e i vari scontri successivitra protestanti e cattolici. Ovviamente la sensibi-lità con cui noi oggi guardiamo a quegli avveni-menti è un'altra, anche tenuto conto del clima diecumenìsmo scaturito dal Concilio Ecumenico Va-ticano II; ma è interessante vedere quel che nepensasse un milanese contemporaneo.

« In questo tempo - scriveva p. Aurelio dall'asolitudine della sua cella nel convento della Visi-tazìone in Cerro Maggiore - essendo li poveriOatholìcì di Valtellina tìraneggìatì dallì suoi Si-gnori Grigioni heretici, e dallì Predicanti nella vi-ta e nella robba travaglìatì per la loro fede catho-lìca con pensiero di fargli apostatare dalla verafede con tali mezzi, et adherire alla loro falsaSetta, con haver sino congiurato d'ammazzarli tutti,non potendo haver il loro intento, come in effettosi è scoperto dalle lettere rittrovate di tal congiu-ra, et dalle mine fatte alle chiese de Catholici, etprovisioni di guerra rittrovate nelle case de Predi-canti, per il che non potendo più i poverelli soste-nere tante persecutioni, si risolsero per divina in-spìratìone alcuni di loro di liberarsene con l'agiutodel Signore, et del Re Catholico».

[Sacro Macello]

E così prese l'armi con alcuni pochi soldati conanimo intrepido come tanti Machabei in giorno diDomenica, che fu alli 19 di luglio, assaltarono lechiese, et case de Heretici, et gli amazzarono tuttiin Tirano, Teglio, Sondrio, Morbegno, Travona,Caspano, nella Valle di Poschiavo e Malengo, ab-bruggiando molte Terrette (ossia: 1« piccole ter-re »), non perdonando se non alle donne, et fi-glioli con speranza della conversione, il che per ilfelice successo si è conosciuto manifestamentequesta esser stata opera di Dio, qui iacit mirabi-lia truuma solus, per li casi miracolosi in tal attìo-ne successi.

Li capi principali di tal impresa furono gl'in-frascritti: il signor Giovanni Giacomo Robustel-li, Cavaliere; il signor Dottor Francesco Venusta;il signor Capitano Giovanni Antonio Guizzardi;

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il signor Azzo Busca, et il signor Carlo da 'Eelliosuo fratello.

Et il tutto successe felicissimamente senza of-fensa d'alcun Catholico, anzi sparando gl'hereticidi Sondrio delle moschettate, et archìbugiate con-tro li Catholici, cadevano le palle in terra senzaoffender alcuno, con stupor di tutti.

Fu poi da tutti li Catholici della Valle elettoper suo capo e Governatore d'essa il signor Cava-liere Robustelli, al quale tutti giurarono fedeltà,il quale subito fece publicar il Calendario Grego-riano, et osservare, dando ordine alle cose neces-sarie al governo d'essa Valle ».

[Reazione degli eretici]

« Ma il Demonio odiando tanta sua rovina etbene della Chiesa santa, sollevò quelli Heretici didentro quelle Valli Bragaia, et Agnedina, de qualine uscì buon numero, e con impeto grande assali-rono li Catholici che spaventati se ne fuggironoda Morbegno e Sondrio, et essi pigliorono Dubino,Manbello e Travona, contro de quali alcuni Catho-lici presero animo. cioè il signor Gioanni Guizzar-di da Ponte, capitano della mìlìtìa, et se gli orrpo-sero amazzandone da trecento in circa. noi stan-chi si ritirorno vicino al Forte di Fuentes per es-ser difesi, non potendo sostenere la loro furia etrabbia.

Alla fine di luglio altri heretici discesero dallaValle di Poschiavo e Malengo (« Malenco »), epresero Sondrio essendo fuggiti tutti li catholiciper spavento, e se ne impadronirono, trovando an-co esposto il Sant.mo Sacramento nella chiesamaggiore, dove entrato un heretico stese il brac-cio per voler gettarlo a terra, et miracolosamenteli cascò il brazzo, del che spaventato con gli altriprovedette che fosse con riverenza levato da un

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prete che s'era nascosto, nè mai più hebbero ardi-re di far insulto alla chiesa, nè al Sant.mo Sacra-mento; altri miracoli successero in detto tempo,quali non scrivo per non haverli havutì authen-tici ».

[I cattolici contrattaccano]

« Nel princìpio d'Agosto poi venne soccorso dicavaleria mandata dal Governatore di Milano inaiuto de poveri Catholici, afflitti e spaventati esenza speranza di potersi più agiutare e rimettere:che perciò abandonorono le terre, et i ponti, et essacavaleria guidata dal Capitano Chiappano, che intutto erano cinquanta, confidato nel Signore die-dero l'assalto alli sudetti heretici che in quel pontovolevano prendere Morbegno, che in numero erano800, accomodati in tre squadroni: e furono rotticon la morte di molti di loro, e feriti con il loroColonello esperto nella guerra, poi seguirono lavittoria inanimiti, et ogni notte i nostri amazza-vano di quelli heretici. Et il sabbato di notte alli8 d'Agosto venendo la Domenica i Catholici conla cavaleria assalirono il Ponte di Travona da gliheretici custodito, et lo presero alle tre hore dinotte con la morte di cento di loro, et dodici pri-gioni, per la qual perdita spaventati abbandona-rono Travona e Caspano, e se ne fuggirono; e ciòinteso da gli altri heretici che occupavano Sondrio,spaventati sacchegiorono le case de catholici ab-bandonate, et se ne fuggirono con il bottino. Sidice che amazzorono quattro Monache del Conventodi Sondrio, ch'erano restate a dietro per la vec-chiaia o infermità, essendo fuggite l'altre, et riti-ratesi in Como, ricevute da quel Reverendissimo,et mantenute con gran charità.

Alcuni delli sudetti heretici s'erano retirati etfortificati in Novate et alla Riva di Chiavena, don-

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de furono scacciati dal Generale della Cavaleria .che v'andò con molte barche cariche di soldati ~ben armate, et quivì si fortificarono benissimo conuna Piattaforma e Cannoni d'artiglieria e buonaguardia de soldati».

[Cappuc'cini in Valtellina]

{(Doppo il sudetto successo, desiderando primal'Ill.mo Monsìgnor Noncio di Sua Santità alli Sviz-zeri e Grigioni residente in Lugano, poi Monsì-gnor Reverendissimo Vescovo di Como Filippo Ar-chinto,. il signor Prevosto della Scala et il signorCavaghere Robustelli, tutti divotissimi et affetti o-natìssìmì della Religione nostra Gapuccina, che ipoveri Catholici della Valtellina fossero innanimiti,ammaestrati, fortificati et cathechizati nella santafede catholica, tutti insieme fecero grandissima in-stanza con lettere al nostro Padre Provincialeacciò vi mandasse de Predicatori per consolare etcorroborare con la predicatione quei poveri catho-lici, et inanimirli a perseverare nella santa fedeCatholica, Apostolica e Romana; e così il Padreper sodisfare al pio desiderio delli sudettì signori,bra~oso anch'egli della salute dell'anime e propa-gatìone della santa fede, vi mandò tre Padri Pre-dicatori con i loro compagni: primo il Padre fraMatheo da Milano, guardiano di Monza· il Padrefra Agostino da Nicco,guardiano di Piz~ighetone;il Padre fra Tobia da Milano, guardiano di Melzo,quali furono distribuiti conforme al bisogno diquel paese: il Padre Matheo a Sondrio il PadreAgostìno per l'altre terre circonvicine et il PadreTobia a Teglio e Tirano: i quali si p,artirono daCo~o ~lli 16 d'Agosto per quella volta, dove gionticominciarono ad affaticarsi fedelmente per la sa-lute delle anime con la predìcatìone et confessio-ne, insegnando anco la dottrina chrlstiana a pie-

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coli et a grandi, cathechizando li convertiti, nonsparagnando a fatica alcuna e stenti, dove pati-rono molti disagi per amor del Signore in modotale che doi di loro vi lasciarono la vita, come sidirà al suo luogo».

[Turchi in Puglia]

Altri fatti e notizie continua ad appuntarep. Aurelio sul suo zibaldone; così subito sotto rife-risce una bravata dei Turchi nell'agosto 1620:{(Nell'istesso anno e mese il Turco ad ìnstanza deVenetiani agìutato et favorito da essi, se n'andòcon 60 galere in Puglia, e smontato in terra presela città di Manfredonia, la sacheggiò tutta, et I'ab-brucciò doppo haver preso il castello a patto, etamazzato i figliolini piccoli da 4 anni in giù, e tuttii vecchi, e fatto prigioni da trecento anime, e me-natili via per schiavi con la monitione del Castelloch'era grandissima; anco da essi Turchi furonopresi doi o tre de nostri frati restati nel conventoper infermità et vecchiaia, e gli altri fuggiti ».

3. - Un futuro generale dell'Ordine

Dal 1627 al 1630 il convento di Cerro Maggiorefu retto da p. Sempliciano da Milano, della nobilis-sima famiglia Visconti che nella seconda metà delsecolo XIII (1277) si era impadronita di Milano ene aveva poi tenuta la signoria sino al 1447.Furonoalmeno una decina i discendenti di quesa antica epotente famiglia che si fecero cappuccini, e il pi~celebre di essi fu il nostro p, Sempliciano, resosiillustre per virtù, dottrina e straordinaria attivitàapostolica, prima ancora che per il supremo go-verno dell'Ordine cappuccino.

Egli entrò tra i cappuccini sui vent'anni, dopo

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aver già studiato a Pavia, e tosto si abbandonò constraordinario trasporto alla preghiera e alla morti-ficazione passando l'anno di noviziato, a quantopare, a Monza nel convento di s. Martino. D'in-gegno aperto e facilmente notato per la sua dili-genza, dopo gli anni del chierìcato (che costituivaquasi un secondo noviziato) i superiori vollero chesi applicasse agli studi filosofici e teologici nei qualiriuscì mirabilmente tanto che, dopo l'ordinazionesacerdotale, gli fu tosto affidato l'insegnamento conil titolo di « lettore », che press'a poco equivalevaa quello odierno di professore.

Se non che i lettori che godevano larga stima,spesso erano contemporaneamente anche superioridei rispettivi conventi, come si sa con certezza delnostro p. Semplicianoche nel 1632 si trova supe-riore e lettore a Lodi, e nel 1634 superiore e lettorea Pavia.

Cerro Maggiore, a giudicare dai lunghi anni suc-cessivi, dovette essere una delle prime guardianiedel p. Visconti e, per quanto si è detto 'sopra, in taltempo probabilmente ospitò anche un corso di stu-denti, forse stabiliti dopo la sistemazione del1618-1619oppure giunti nel 1627 con il loro lettore-superiore, come talvolta accadeva 'allora non solonella monastica provincia ambrosiana, ma anchein altre province dell'Ordine cappuccino. Comun-que, se accogliamo questa ricostruzione della vitadel p. Sempliciano, possiamo dire che l'umile con-vento della Vìsìtazìone, sorto in Cerro per inizia-tiva del pio mercante Pompeo Legnano e di suamoglie Maddalena Besozza, servì di trampolino dilancio al futuro generale dei Cappuccini. Infatti,dopo varie prelature nella monastica provincia diMilano, nel 1643 fu eletto defìnìtore e procuratoregenerale in Roma (ministro generale in questo ca-pitolo fu il Venerabile Innocenzo da Caltagirone,taumaturgo ammirato che tra l'altro fu accolto in

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Vienna da Ferdinando III al suono di tutte lecampane) rìeletto defìnìtore generale nel 1650 efinalment~ scelto a reggere tutto l'Ordine il 2 giu-gno 1656. . . ,

Uomo insofferente di riposo, la sua attività nonconosceva limiti. In Lombardia, mentre teneva corsiassai apprezzati di teologia oppure ~overrr~va lanumerosa Provincia monastica, esercitava Instan-cabilmente il sacro ministero, come del resto piùtardi a Roma dove era pure assai impegnato es-sendo procuratore dell'Ordine e consultore delS. Officio: le maniere nobili e dolci, la voc~ ~ortee armoniosa, la dottrina, il fervore dello spirito el'esposizione avvincente ren~evan? ~a ~sua,elo~ue?-za fruttuosa e ricercata. Egli predicò SI puo dire mtutte le principali città d'Italia, sempre a~i~ato dagrande zelo e conducendo vita esemplarissìma.

Eletto generale, dovette tosto. intrapre~dere lavisita pastorale a tutte le monastiche provmce del-l'Ordine ponendosi in cammino sulle v~~ d'Europae incontrando certo, negli ìntermìnabìli viaggi apiedi, stenti e disagi, ma anche rallegrandosI ne~trovarsi tra religiosi virtuosi e accolto, come SIcostumava a quel tempo; « da' popoli cristiaI~.i, dacavalieri, patrìzì, vescovi e perfino regnanti congrandi onorì ». Ma in questo suo tour europe<?,giunto a Bordeaux in Francia, cadde amr.nala~o e Ilmale latente si rivelò così avanzato che Il chìrurgogiudicò necessario un intervento. Padre Sempllc:a-no sopportò coraggiosamente la dolorosa operazio-ne ma ne risentì in seguito tale debolezza chedo~ette interrompere la sacra visita e, ritorr:atoa Roma riunì il capitolo generale per I'elezìonedei nuov'i superiori (26 maggio 1662). Ritiratosi inseguito a Milano, l'ex generale si .stabilì nel con~vento della Concezione a Porta Orientale e non SIoccupò in altro che in devoti esercizi 'per prepa-rarsi alla morte. Morì non molto dopo m concettodi grande virtù.

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4. - La peste del Manzoni

Al tempo della grande peste, descritta dal Man-zoni nel suo immortale romanzo, superiore del con-vento fu il p. Cipriano da Milano che forse dalunghi anni abitava a Cerro ovvero vi si era tro-vato a più riprese perché vi figura come vicariogià nel 1616, quando accadde l'episodio dei buoitravolti dalla {(pila di pietre », come si è già ricor-dato. Di questo religioso le cronache sfortunata-mente ci hanno lasciato ben poche memorie. Vero-similmente prestò servizio agli appestatì, ma nonsi hanno particolari.

Le cause del tremendo contagio pestilenzialesono risapute: scarso raccolto specialmente nel1629 con povertà, miseria e conseguenti malattienel povero popolo, e poi l'esercito alemanno Ci fa-mosi Ianzichenecchì) che, scendendo dalla Valtel-lina per raggiungere Mantova attraverso il ducatodi Milano, disseminò largamente il morbo. Casi dipeste si ebbero già nel 1629, ma l'anno seguente ilcontagio scoppiò con inaudita violenza. Come eraavvenuto al tempo di s. Carlo, l'assistenza prestatadai cappuccini e il numero delle vittime avute pertale servizio furono ragguardevoli; se il Manzoniricorda solo alcuni religiosi come p. Felice Casatida Milano, p. Cristoforo (Picenardi da Cremona),p. Michele Pozzobonelli da Milano, in realtà almenoUn centinaio di religiosi fu interessato, in Milano efuori, e· molti di essi coraggiosamente si sacri-ficarono.

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Tale servizio, del resto, era tradizione costantenell'Ordine cappuccino, rormatasì anche per l'aper-ta imposizione delle prime Costituzioni (1536) checosì si esprimevano: ({Et perchè a quelli che nonhanno amore in terra è dolce, ìusta et debita cosamorir per chi morì per noi in croce, si ordina chenel tempo de la peste li Frati servino, secundo di-sponeranno li loro vicarii; li quali in sìmìl caso sisforzeranno di haver aperti l'occhi de la discretacharità »,

Tra le vittime del contagio del 1630-1631 figu-rano religiosi non solo di Milano, Como, Cremona,Pavia, Novara, Varese, Crema e altri grossi centrio città del Ducato, ma anche provenienti da nume-rosi villaggi e borghi milanesi, come Proserpio, Cas-sano, 'Melzo, la Brusada, Melegnano, Gallarate,Introbio, Lissone, Verano, Valsolda, Giussano, ealtri. È certo che i diversi conventi della monasticaProvincia ambrosìana offrirono, nella luttuosa cir-costanza, numeroso personale in servizio degli ap-pestati; risulta, infatti, che non solo nei luoghidove sorgevano i conventi, ma anche in altre loca-lità, in aiuto al clero dìocesano o in sua sostitu-zione, accorsero i religiosi prestando l'ufficio di piisamarìtanì, somministrando i conforti spirituali ecercando anche di sollevare materialmente, comeavveniva nel Lazzaretto a Milano, i colpiti dalmorbo.

Ciò è provato per i conventi di Rho, Abbiate-grasso, Cardano, Verano, Varese (per ricordare ipiù vicini), e ciò valse certamente anche per CerroMaggiore. Allo scoppiar del flagello, commissario

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della monastica Provincia era p. Cherubino da Mi-lano, superiore del convento della Concezione aPorta Orientale e uomo insigne per dottrina evirtù religiose il quale, al primo determinarsi delbisogno, mostrò con l'esempio come dovevano com-portarsi i religiosi provvedendo tosto di personaleil Lazzaretto e poi, d'accordo col ministro provin-ciale che era il p. Bassano Bìgnami da Lodi, ricor-dando ai religiosi quale doveva essere il loro com-pito in tale circostanza.

In tal modo anche la peste, se recò un turba-mento entro i conventi scompaginando molte fa-miglie religiose, divenne però occasione e motivoper uno straordinario apostolato che contribuì adaccostare maggiormente i religiosi al buon popoloarnbrosìano.

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s. Carlo Borromeo patrono della

monastica provincia dei cappuccini

lombardi e, in vita, suo straordinario

benefattore.

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IIL

}ULTIMO PERIODO DEL DOMINIO SPAGNOLO

(1632-1713)

Dopo l'agitato biennio della peste il conventoritornò nella sua consueta solitudine, adatta allapreghiera e allo studio. La famiglia religiosa si ri-costituì al completo, con p. Antonio da Lodi persuperiore, a seguito del capitolo celebrato a Mi-lano il 23 gennaio 1632, nel quale fu riconfermatoministro provinciale p. Bassano Bignami da Lodi.

1. - Superiori milanesiì'

Cappuccini.

Di p. Antonio da Lodi mancano notizie, mentretalunì dati biografici affiorano per il suo successorenella guardiania, p. Felice da Como (635), che fureligioso osservante e predicatore fruttuoso, spessosuperiore conventuale col particolare incarico diattendere alle costruzioni; egli morì nel 1671, dopouna vita di austerità e di penitenze continuatesino alla più tarda vecchiaia.

Un fatto merita di essere sottolineato in questotempo perchè può forse testimoniare della cre-scente importanza del convento cerrese, e cioè i

L'effige di S. AntDniD nel taberruicolo

praticato. nel vecchio. « muro. di cinta »

sullo. sfondo del boschetto lungo. via

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numerosi superiori non solo milanesi, ma propria-mente di Milano, che si susseguono nel suo go-verno. Negli anni che vanno dal 1643 al 1662 espessissimo in seguito, religiosi nativi della capitalelombarda reggono il convento così che, su un pe-riodo di 73 anni, oltre 50 vedono come superioreun religioso della città. lE tra essi figurano indi-vidui eminenti, cospicui per dottrina e santità, comep. Giuseppe nobile Lampugnani da Milano (1643,1648) dotato di uno straordinario spirito di pre-ghier~ e di mortificazione, predicatore sti:n~toeuomo di grande carità sì da ottenere nel ministerosegnalate conversioni (+ 1673); p. Cherubino daMilano (1655 1658), già superiore del convento del-la Concezion~ a Porta Orientale e commissario diprovincia durante la peste, religioso di solida ~irtùe ardente di zelo per la salvezza delle amme :p. Alessìo nobile Tosi da Milano (1668) che per ol-tre 40 anni visse un'aspra vita di penitenza (por-tava continuamente sul petto una croce di ferro,tutta a punte, che gli lacerava le carni) pur dedi-candosi a largo ministero apostolico, « gentilissimoe piacevolissimo con gli altri» mentre straziava sestesso per amor di Dio e la conversione dei pecca-torìc+ 1680).

tQuesti ed altri uomini ci assicurano che il con-vento di Cerro godeva considerazione nella mona-stica provincia dei Cappuccini milanesi. Sarto conlo scopo di offrire un alloggio ai religiasi di pas-saggio, ben presto la zona popolosa, ricca, a~tiv~,esigente in fatto di predìcazìone impose un criteriodi controllo e di scelta nella costituzione della fa-miglia religiosa: è solo così che si spiega, ad esem-pio, il cospicuo numero di predicatori che passòper il convento mentre, secondo le idee correnti aquel tempo, non erano molti i sacerdoti nell'Ordineche venivano promossi alla predicaziane, ritenutaoltremodo impegnativa sia per doti naturali, comeper un'adeguata preparazione.

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2. - M aestri e novizi

Altre prove esistono a dimostrare che i1 con-vento andò progressivamente acquistando impor-tanza. Nel 1665 vi era destinato carne superiorep. Marco da Oleggio, venerando religioso che perquasi tutto il tempo della sua vita fu maestro deinovizi nonostante che, a motivo della sua dottrina,della parola facile e chiara e del suo amore al mi-nìstero apostolico, tosse stato promosso predicatoree di fatto esercitasse attività apostolica con larghiconsensi e frutti di bene.

Con lui verosimi1mente si stabilì a Cerro unodei due noviziati della monastica provincia, perchérisulta che egli fu contemporaneamente superioree maestro dei novizi. Del resta il convento, conl'ampio orto e farse un tratto di bosco in direzionedi Legnano, sorgeva allora abbastanza discosta dalpaese di Cerro che salo posteriormente andò ingran-dendosì e quindi accorciando le distanze con ilsolitaria cenobìo dei Cappuccini.

Forse con le nuove esigenze sarte dalla presenzadi un gruppo di gìovanì va messo in relazione l'in-grandimento del giardino in direzione dell'attualecimitero cerrese. Essa risale al 1679 e si deve all'in-teressamento del p. Federica da Milano, come natail cronista contemporaneo nella sua incerta grafiache, nondimeno, dà notizie preziose. « L'anno 1679- scrive - essendo Guardiana il Padre Federicada Milano, Predicatore, (si) fece l'accrescìmentodel giardino, che è tutto il sito, che comìncìa dallaporta del cara sino alla cinta, dove vi è la prospet-tiva grande, che la fece dipingere I'Ill.mo signorMarchese Castelli, carne pure quell'altra in facciaalla sudetta parta. Chi sia poì stata il benefattoreche habbì dato il sito, ìo non l'ha potuto sapere ».

Padre Marco da Oleggio nella sua non lunga

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permanenza a Cerro (morì due anni dopo e. ci.oènel 1667 a Novara) lasciò un ricordo inobliabìledi preghiera e di penitenza, oltre che di dolcezz~quasi materna: austerissimo con. se stesso, ~ra distraordinaria carità con gli altn, campresI.I bar~ghesi « in cui vedeva l'immagine di .Dia })e al qualicercava in tutti i modi di giovare, SIa con la parolae sante ammonizioni e sia con l'azione. In 'partl~colare usava carità squisita con gli ammalati. Egliesercitava i suoi novizi, carne è giusta, n~lla mor-tificazione, ma li precedeva con l'esempìo; nell~tentaziani da cui erano afflitti spessa si valeva deldoni carismatici a lui concessi 'talché , « panen~aloro la mano sul capo, li lìberava ». Nelle malattiepoi li serviva « con amore di madre .}).. .

Il noviziato, anno di prova in CUI SI espenrnen-tava l'aspra vita dei Cappuccini lombardi, era cer-tamente dura: ma uomini carne p. Marca da Oleg-gìo lo mitigavano con la loro carità e umana com-prensione.

Castigliani, nato sui primardi del Seicento e segna-Iatosì per l'eccellente ingegno, la ricca dottrina,l'intensa predicazione e i diversi uffici di superiore,maestro dei navizi e definitare di provincia. La suapraduziane letteraria rispecchìa le varie mansionida lui sostenute, il che prova l'impegno con cui siaccingeva ai vari compiti assegnatiglì dall'abbe-dienza. Frutto della sua esperienza di educatare emaestro dei navizi è l'opera assai ricca di spiritua-lità religiosa dal tìtolo : Il giovane Cappuccinobrevemente instrutto con alcuni ammaestramenti(Milano 1646). L'asceta, non chiusa in se stessa maprotesa verso gli altri per l'ansia di bene che lariarde, effonde il suo spirito ne Uammonitore fe-dele. Opera piena di spirituali e preziosi ricordi(Milano 1647). Il predicatare, che è singolarmenteportato verso il mistero Eucaristica ed è propaga-tore assidua della devozione delle Quarantare cheun secalo prima aveva già trovato un apostolo in-stancabile nel milanese p. Giuseppe da Ferno, pub-blica il densa volume di Sermoni divoti e affettuosiper l'orazione delle 40 ore (Milano 1653): sona 40discorsi, seguiti da 3 istruzioni sul metodo e l'or-dine da usare nel celebrare la grande devozioneeucaristica (nella prefazione p. Zaccaria dice diessere vecchia e malferma in salute).

Un autore devotissìmo della Vergine Madre diDia, di cui attese a diffandere il culto con la pennae dal pulpito, fu p. Ignazia da Carnago (Tradate),uomo veneranda per virtù e dottrìna fiorito nellaprima metà del Seicento (+ 1650), anche se le sueopere videro la luce solo più tardi a richiesta, comepare, dei fedeli che avevano già udita la sua parolainfiammata. La prima di tali opere devozìonalì èla Città di rifugio a' mortali che contiene le dioo-ziani dell' altissirma Signore Madre di Dio e Vergineimmaculata (Milano 1655), un libro di preghiere ed'esempi devoti tolti dai santi Dottorì che scrissero

3. - Figure di scrittori

Immerso in un verde riposante, solitario, tran~quìllo, l'asceterìo cappuccinesco cerrese era assaiadatta agli uomini di studio. Il ~anve~to possedevala sua bìblìoteca con le opere del santi Padri, auto-ri ascetici e qualche valume di storìa.: ma. all'occor-renza data la non grande distanza da Milano, po-tevan~ servire anche le meglio rifornite bibliotecheconventuali cittadine, e cioè quella di s. Vittore al-I'Olmo e quella della Concezione a Porta Orientale.

Nell'elenco dei religiosi che trascorsero qualchetempo a Cerro Maggiore in questo periada~ figu:ana?accanto a nati predicatori, anche talunì scrittorispirituali, forse di non grand~ origìnalìtà .ma pursempre degni di ricordo, Il primo dì CUI SI ha: n?-tizia è p. Zaccaria da Milano, della nobile famiglia

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della Vergine. Seguirono: Manuale de' servi diM aria madre di Dio per praticare le devozioni versola medesima Signora (Milano 1656), indirizzato atutti fedeli, ma in particolare a sacerdoti e religiosie arricchito di meditazioni; Delle eccellenee dellaBeata Vergine Maria (Milano 1656), che è un librodi considerazioni sui privilegi mariani; Paradisospirituale o vita de' religiosi e singolarmente de'frati minori (Milano 1663), dove si discorre dellavita religiosa, delle virtù ad essa proprie e dellaperfezione evang-elica in generale; Torre sacra so-pra la ferma pietra dell'autorità della divina Scrit-tura a alorui tlell». oran madre di Dio (Milano 1673),Dure relativa ai privilegi della Vergine e pubblicatada un signor Carlo Carnago che doveva essere unnarente del p. Tgnazio in quanto porta lo stessocognome.

Altri due scrittori. e cioè i padri Antonio daGallarate e Alessandro da Busto Arsizio, furonosnoerìori del convento di Cerro. rìsnettìvamente nel1682 e 1711; il mimo, della famiglia Masera, fudefìnitore e ministro provinciale, uomo di dottrinache si dedicò a larga nredicazione e pubblicò Di-scorsi sacri (Novara 1693), editi una seconda voltaa Milano accresciuti. e La voce del saio sulle viedella salute (Milano 1695), commenti oratori allasacra Scrittura; l'altro, della famigliaCresui chediede all'Ordine cappuccino un ministro generale,e cioè p. Giamtiìetro Crespi da Busto 0638-1700),fu apostolo ìnraticato delle sante Quarantore nub-blicando, su tale tema, dei Sermoni devoti etaffettuosi, utili non solo ai predicatori, ma a tuttii fedeli per la lettura facile e piana.

a~venimen~i, raccolto nella pace campestre,acco-glìendo amìcalmente chi domanda ospitalità o l'ele-mosina, facendo sentire la sua presenza all'intornoin circostanze di feste e di altre predicazioni so-prattutto richiamando all'ideale francescano di pe-nitenza, di preghiera, d'intimità con Dio di frater-na comprensione verso gli uomini. '

Se d'ordinario era il fratello questuante o qual-che padre predicatore che s'incontrava sulle stradedella zona, non mancavano circostanze in cui amotivo di processioni, funerali od altro, era la fami-glia religiosa al completo che 'Simoveva. Così, in ungiorno di quaresima del 1681, tutti i religiosi conil superiore, che era p. Gabriele da Milano, si reca-rono a Busto Arsizio per prender parte ai funeralidel confratello p. Giampietro nobile Recalcati daMilano (1618-1681), che vi era morto in concettodi santo.

L'illustre religioso, che per essere figlio unico equindi unico erede dell'antica e ricca famiglia mi-lanese aveva, all'entrare in convento, « legato»ottantamila scudi d'oro all'ospedale di Milano efatte altre beneficenze, era ben conosciuto non soloper le sue straordinarie virtù, ma anche per la suaardente predicazione e molti erano gli episodi diuniversale commozione e strepitose conversioni chesi ra?c~ntava.no. di lui; uomo di grande preghiera,a Iuì SI attrlbuìvano anche fatti miracolosi. Nel1681 i superiori l'avevano mandato a predicare ilquaresimale a Busto Arsizio, dove si stava detenni-nando, per la sua efficace parola uno dei solititrionfi della grazia. '

.Ma nella solennità di s. Giuseppe 09 marzo),salito sul pulpito, recitò il panegirìco del grandePatriarca, di cui era devotissimo, poi inaspettata-mente prese congedo dagli uditori dicendo: « Nelgiorno di s. Giuseppe io vestii l'abito religioso:nello stesso giorno feci la mia professione religiosa

4. - Come una pagina dei « Fioretti»

Passano gli anni, mutano gli uomini, il con-vento continua a vivere i suoi giorni privi di grandi

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consacrandomi a Dio con i voti solenni e perpetui;più tardi ancora nello stesso giorno celebrai la miaprima Messa. Oggi, festa di S. Giuseppe del 1681,io ho celebrato la mia ultima Messa e pronunciatala mia ultima predica: tra pochi giorni io saròmorto. E ora inginocchiatevi perchè voglio darvila mia benedizione ».

Fu proprio come egli disse. Infatti, mentre i re-delicommentavano ancora l'accaduto, si sparse lavoce che il p. Giampietro Recalcati era stato assa-lito da gagliardissima febbre; inutili riuscironotutti i rimedi escogìtatì ed anche le preghiere in-nalzate a Dio per la sua guarigione, e la sua mortesi annunziò imminente. Quando gli fu recato ilViatico santissimo, se pur sfinito si alzò dal lettoe, messosi il cingolo al collo come una fune di peni-tenza, si prostrò a terra in adorazione. Morì il 30marzo 1681 invocando i santissimi nomi di Gesù,Maria e Giuseppe e, appena spirato, apparve alsignor Prevosto di Busto con il volto luminoso eraggiante come un sole e disse: « Vado alla gloriaceleste! ».

Le sue esequie per la fama di santità e gli stessiepisodi miracolosi che accompagnarono la sua mor-te, riuscirono solennissime. Il corteo funebre mosseper le vie del borgo, aperto dalla croce alla qualeseguivano i « fratelli dìsciplinanti » e altre confra-ternite locali con gli abitanti di Busto; dietro veni-vano, pregando, le famiglie religiose dei conventidi Cerro Maggiore e di Cardano, poi altri 50 sacer-doti con tutto il capitolo di Busto e altro clero;intorno alla bara poi camminavano « dodici fan-ciulli vagamente adorni in figura di angeli » e die-tro ad essi seguivano ben « cinquecento VerginiOrsoline del borgo con tanti forestieri che il loronumero fu giudicato più di seimila. La processionesfilò per tutto il borgo e sembrava più una solennetraslazione di reliquie, che una funzione mortuaria.

Le campane di tutte le chiese squillavano e, alcomparire del feretro lungo le vie, tutti si prostra-vano a terra. Nel vasto tempio, ornato a lutto, lafolla non capiva e venne ascritto a miracolo ilfatto che non avvennero ìncidentì ».

La bara fu poi tumulata in chiesa, davanti allabalaustrata dell'altar maggiore, nella sepoltura delPrevosto e del Capitolo; a otto mesi dalla morteil corpo del p. Giampietro fu trovato incorrotto,flessibile e fresco, come se fosse ancora vivo. Allasua intercessione furono attribuite molte grazie.

5. - Un'occasione mancata

All'aprirsi del secolo decimo ottavo, e cioè nel1700, era superiore del convento di Cerro il p. Cri-stoforo da Como, della nobile famiglia Muggiascae imparentato con il conte Ciceri, che era « il teuda-tario di Cerro », come si esprime il cronista. Il con-vento, che forse sentiva la vecchiaia ovvero, perinsorgenti bisogni, si rivelava piccolo e sprovvedutodegli ambienti necessari all'accresciuto numero deireligiosi, aspettava sempre la mano caritatevole diqualche superiore per rinnovarsi e adeguarsi allenuove necessità.

L'attivo superiore comasco, eletto nel Capitolocelebrato a Milano il 15 maggio 1699, avvertì subitola ristrettezza dell'infermeria e di altri ambienti e,trovati buoni benefattori, innalzò i ponti in legnoe si diede a fabbricare (nel punto di sutura tra ledue ali a oriente e a mezzogiorno) la cosiddettastanza della comunità, la canova, le scale e, sopra,a stendervi una buona gettata dalla quale emersero« le infermerie et altre camerette ». Le stanze del-l'infermeria, situate sull'angolo del fabbricato eprotese verso il borgo tra pergolati e pioppi svet-tanti, si arricchirono singolarmente d'aria, di verdee di sole: il che era giusto perché, secondo la tradi-

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zione francescana, agli infermi si doveva ogni ri-spetto e sollievo.

M~ il dinamico superiore meditava ben altro.La chìesetta era rimasta quella del 1586 modesta epiccola (circa un quarto dell'attuale) 'mentre lapopolazione che accorreva per le confessioni e lesolenni funzioni ai giorni di festa, era largamenteaum~ntat.a ..Già sorgevano nella zona le prime for-me di artìgìanato e un relativo benessere si annun-zi~v~ per tutti gli abitanti, a dispetto dell'esoso do-mimo spagnolo e della miseria e del disordine daesso portato.

Padre Cristoforo, esplorate le intenzioni delconte Ciceri e ventilata la sua idea anche in altriambienti, pensò ~he era giunto il momento oppor-tuno per dotare Il convento di una chiesa più ade-guata alle nuove necessità, più consona al climadi rinnovamento che si annunziava per il nuovo se-colo. Fortunatamente il conte Ciceri non solo eraentrato. in quest'ordine di idee, ma ({essendo eglimolto rICCOe senza figliuoli - nota il cronista _havea promesso di farla fare quasi tutta a suespese », Già la notizia era corsa per Cerro e neipaesi circonvicini sollevando favorevoli commentigià si er~ co~tituitc: un comitato e buona quantitàdì materiale mcommciava ad affluire al convento:quando ({conforme al solito - soggiunge con certaamarezza il cronista - un Vicario Provinciale in-torbidò il tutto, et non si fece, restando moltosco~solato il sudetto Ill.mo Signor Conte, perchédesiderava molto lasciare simile memoria al suofeudo ».

6. - I Riformati a CiSilago

Dobbiamo ora riferire un episodio che a talunopotrà sembrare meno devoto, ma che inteso a do-vere si giustifica non solo per I'esìstenza di una

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bolla pontificia che proibiva di moltiplicare i con-venti in una stessa zona, ma anche perché i reli-giosi cosiddetti mendicanti vivevano realmente del-le elemosine dei fedeli e non era giusto aggravarele povere popolazioni oltre il necessario. Si trattadella fondazione (maturata intorno al 1705) di unconvento di francescani riformati in Cislago, cheera zona di questua non solo dei Cappuccini diCerro, ma anche degli Osservanti rrancescanì diLegnano. Riferiamo l'episodio, che ovviamente eb-be strascichi a Roma, con le stesse parole delcronista.

« Circa l'anno 1705 il sig. Marchese D. CesareVisconti tentò di fabricare un convento per li PadriRiformati in Cislago, terra di suo feudo e cerca(vale a dire « luogo di questua ») del convento diCerro. Il motivo per cui detto Signore volea unatal fabrica, era perché un di lui Ascendente (ante-cessore) sino dall'anno 1512 aveva con suo testa-mento incaricato i suoi eredi che doppo sua morteerigessero nella detta Terra di Cislago due conventia proprie spese, uno per i Frati dell'istituto diS. Bernardino, e che questo fosse fabricato su lostesso modello di quello di S. Bernardino, che stasopra Pallanza, l'altro per le Monache di S. Chiara.Appena seppesi l'idea del Sig. Marchese, se gliopposero ed i Padri Osservanti di Legnano, e noialtri Cappuccini, e poscia doppo anche i Padri Con-ventuali di Saronno per il gran danno che dettonuovo Convento averebbe apportato alle loro ri-spettive cerche, e per non esservi la dovuta distanzarichiesta nelle Bolle Pontificie. Saldo però il so-detto Sig. Marchese nel suo ideato pensiero, névolendo in veruno modo cedere, e forse anche acca-lorato da Padri Riformati per il gran vantaggioche di detta fabrica ne speravano, mise avanti laSagra Congregazione la lite, la quale per lo spazio

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di più di dodici anni arrecò non poco disturbomassime a noi Cappuccini».

Come finì l'incresciosa questione? Il cronistaè preciso e non manca di riferir l'epilogo, pur ri-mandando per i documenti relativi all'archivio delconvento provincializio di Milano. Scrive egli:« Finalmente certificata la Sagra Congregazionedell'incompatibilità di poter erigersi nella sodettaTerra nuovo Convento per il grave pregiudizio, chene averebbero sentito i Conventi, che di già si ritro-vavano ivi all'Intorno, ne proibì onninamente ladi lui costruzione, e solo permise, che i Padri Rifor-mati potessero avere in Cislago un semplice Ospi-zio, che li potesse servire di ricovero in tempo dicerca, o di viaggio; e così terminò la gran lite, ele scritture, che alla medesima appartengono, ri-trovansi nel nostro archivio di Milano nel luogoove sono quelle del Convento dell'Immacolata Con-cezione, e sono segnate col numero 36».

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IV.

AUSTRIACI E FRANCESI

Nel 1713 con il trattato di Utrecht concluso traFrancia, Ol~nda, Spagna, Russia, Inghilterra, Por-togallo e Savoia, si poneva fine alla guerra per l~successione al trono di Spagna e cessava pure Ilmalaugurato dominio spagnolo. ir:, Italia ?he, al-meno per Milano, era stato tra 1 piu nefastI, facen-do scemare la popolazione di quasi una meta, mor-tificando industrie e commerci e apportando nelloantico Ducato la più squallida miseria. Mil~noco~suo territorio secondo il criterio di « vendita delpopolì » in u~o non solo allora, passò alla. Casad'Austria che, se pure straniera, favorì l~ ripresaindustriale ed anche una certa elevazione delpopolo.

1. - I coni e tabernacolo

L'eco dei mutamenti politici giunse molto atte-nuata a Cerro Maggiore e ancor più al conyento,dove la vita continuò a svolgersi secondo Il suosolito ritmo di preghiera e di studio e dove, se pursi viveva con i piedi sulla terra anche per l'espe-rienza della predicazione, gli avvenimenti umam

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erano veduti sub specie aeternitatis. Nel 1713 erasuperiore del convento p. Alessandro da Busto cheresse la comunità religiosa per 3 anni (1711-1714)e cedette poi, con il capitolo provinciale del 28 set-tembre 1714, il governo a un altro bustocco e cioèp. Carlo da Busto, al quale si devono importantimigliorie e nuove costruzioni nel convento.

Secondo il cronista, p. Carlo trovò comprensionee appoggio nel ministro provinciale, che era suocompatriota e cioè il p. Angelmaria da Busto, ecompletò il quadrato del piccolo chiostro elevandodi un piano l'ala del fabbricato posta a levante eriannodando con ciò l'infermeria, costruita nel1700, alla chiesetta. Lo scopo della costruzione fuquello di ricavar nuove celle o « dormitorio », comesi esprime il cronista: « si fece il dormitorio sem-plice, che riguarda al levante verso la porta batti-tori a ». Così il convento acquistava nuovi localiforse per nuove esigenze di scuola e studentato oaumentata famiglia e, in pari tempo, assumeva laforma tipica del convento cappuccino che disegna-va quasi un quadrato perfetto, con il giardino ariquadri, il pozzo nel mezzo e gli agili porticati tor-no torno lungo i quali correvano festoni di glicini.

Ma nel governo di p. Carlo più importanti fu-rono, almeno dal punto di vista artistico, i lavorinella chiesetta conventuale, compiuti da fra Fran-cesco da Cedrate e dai « suoi compagni », come an-nota il cronista, e cioè: fra Giulio Antonio daVarese, Giuseppe Antonio da Montalbotto e Alessioda Cornate. La monastica provincia ambrosiana deiCappuccini contava allora alcuni fratelli artigiani-artisti che passavano da un convento all'altro oc-cupandosi in lavori di legno e d'intarsio per le ne-cessità delle varie chiese, come: tabernacoli, iconi,balaustre e cancellate, confessionali, banchi, bus-sole e porte e cose del genere. La produzione diquesti artisti religiosi milanesi, che lavorarono an-

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che al di fuori della Lombardia come nelle Marche,è poco conosciuta, ma non fu senza gusto e sensoartistico; i cìmelì, oggi superstiti, sono scarsissìmie spesso anche anonimi; nondimeno, tenuto contodell'intrinseco valore di quest'arte popolare impa-rentata, per congeniale ispirazione, con quella piùgrande del Maggiolini, del Fantoni e di altri, essaandrebbe meglio studiata.

A Cerro i quattro religiosi ebanìstì appronta-rono il nuovo tabernacolo, che avrebbe fatto spicconella futura chiesa, più grande e più luminosa;rifecero l'icona dell'altar maggiore e quella piùpiccola dell'altare laterale; e inoltre attesero aqualche altro lavoro minore. Dopo di che il quar-tetto, con la benedizione del superiore e i ringra-ziamenti di tutta la comunità religiosa, prese ilvolo per altro convento Iascìando, scintillanti dilegni policromi, di lacche ambrate, d'avori e altriintarsi, i frutti della loro fatica nell'umile e soli-taria chìesetta della Visitazione.

2. - Superiori della zona

Con l'avvento degli Austriaci si nota nel go-verno della famiglia religiosa un tatto interessante,se pure non si debba ritenere fortuito, e cioè ilprevalere di superiori nativi della zona e special-mente di Busto, con sensibile diminuzione dei su-periori provenienti da Milano. È forse da vederein ciò un progressivo affermarsi del contado perla sensibile elevazione dei suoi abitanti? Difficiledire, pur essendo innegabile che con la sparizionedel borioso e inane governo spagnolo che facevaleva sulla nobiltà quasi in forma esclusiva, la si-tuazione andò protondamente mutando nella cam-pagna.

Nel periodo che va dal 1713 alla soppressione(1810) un solo religioso nativo di Milano tenne il

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governo completo del convento, vale a dire p. Bar-tolomeo da Milano (1760) che, d'altronde, fu uomostimato per la sua dottrina e la sua prudenza, piùvolte superiore in conventi cittadini, definitore pro-vinciale nel 1766 e apprezzato predicatore. Larga-mente prevalsero, invece, i religiosi bustocchi inquanto la cittadina industriosa, che pure contavaun convento di francescani, diede in questo periodoall'Ordine cappuccino numerosissime vocazioni.Così, oltre a p. Carlo da Busto che abbiamo giàincontrato e che ricompare superiore a Cerro nel1720, si segnalano: p. Pietro Martire da Busto chegovernò il convento cerrese in tre distinti periodi0716, 1726, 1734); p. Girolamo da Busto (743)che tenne la guardiania in numerosi altri conventie fu religioso assai cospicuo per virtù; p. Egidioda Busto che passa superiore a Cerro Maggiorepure tre volte (1749, 1768, 1773); p. Cristoforo daBusto (1785), uomo di grande carità e zelante pre-dicatore; e altri.

Notevole anche il numero dei religiosi prove-nienti da altre località del contado milanese, comep. Eusebio da Gallarate (723), Francesco Feliceda Mezzana (1737), Giambattista da Legnano(738), Antonio da Sumirago (740), Federico daCarate (765), Giuseppe Maria da Gallarate (766),Carlo Maria da S. Macario (779), Vittore da Va-rese (782),Quirico da Cardano (788). Singolareil fatto che, nell'ampio elenco, non figuri nessunreligioso nativo di Cerro Maggiore; ma era normae saggio principio di pedagogia religiosa che nonsi collocassero, nel patrio convento, non solo supe-riori, ma neppure semplici religiosi.

Se pure mancano notizie dettagliate e più pre-cise, in generale i superiori erano dei buoni predi-catori, attivi nel ministero e pronti a servire lazona, talvolta anche provenienti da lontani' campidi missione, come il Congo, ovvero da lungo eser-

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Chiostro del nuovo convento. Al lavoro è p. Onofrio da Briosco

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La linea semplice ed elegante della nuova

facciata della chiesa riportata al primitivo schema gotico > lombardo (1957)

cizio di carità in ospedali; impegnati a mantenerela regolare osservanza con quel senso di austeritàche era proprio dell'Ordine cappuccino, sapevanoperò che l'ospitalità era sacra e che il conventoinizialmente era nato per offrire un ricovero aireligiosi vìandantì : perciò, quando qualche ospitegiungeva attraverso i piani ondulati della zona,sporco di polvere o di fango, e bussava alla portachiedendo alloggio per amore di s. Francesco, lafraterna allegria si riverberava sul volto dei ceno-biti e il nuovo arrivato si trovava in una caldaatmosfera d'affetto.

3. - Due personaggi illustri

Vari religiosi, passati in questo periodo da CerroMaggiore, meriterebbero singolare menzione; ma,rimandando alla fine del capitolo la figura delp. Felice Azzimonti da Busto che appartiene aitempi della soppressione napoleonìca, qui dediche-remo alcuni accenni ai padri Giuseppe da Canno-bio e Candido da Varese, che vi trascorsero diversiperiodi di tempo e vi furono anche come superiori.

Giuseppe da Cannobio governò la comunità re-ligiosa del convento di Cerro nel 1745; ricercatopredicatore, fece udire la sua ardente e forbitaparola in molte città d'Italia e si mostrò uomopieno di zelo, instancabile nel ministero. A Luccanel 1735 un suo discorso, pronunciato nell'auladel senato, ebbe per titolo: L'intera idea dell'otti-mo governo d'una cristiana repubblica, e fu ivipubblicato; a Perugia nel 1737 fu messa alle stampeuna sua Orazione panegirica di s. Margherita daCortona; a Milano, l'anno dopo, era pubblicatal'Orazione panegirica del b. Giuseppe da Leonessa,il celebre missionario cappuccino che nel 1587 aCostantinopoli fu dai Turchi appeso al supplizio evenne poi liberato dal suo Angelo custode termi-

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nando la sua vita in Italia dopo anni di predica-zìone popolare. Giuseppe da Cannobio è però notasoprattutto come storico e annalista generale del-l'Ordine cappuccino, subentrata nell'uffìcìo al p. Sil-vestro Draghetta da Milano (1676-1736) e autore,tra l'altra, di una Vita del b. Giuseppe da Leonessa(Milano 1737), di una Vita di s. Fedele daJSigma-ringa che ebbe varie edìzionì e bene illustra ilmartire cappuccino massacrata dagli eretici dellaSvizzera il 24 aprile del 1622, e infine di un'Appen-dice al torno II! degli Annali dell'Ordine dei FF.Min. Cappuccini, tradotta dal latina e accresciuta(Milano 1744), opera ricca di biografie , avveni-menti, storìe edificanti e svariate notizie riguar-danti l'Ordine cappuccino, Egli aveva pure messamanO' a un quarta volume degli Annali, ma nonsi sa fina a qual punta conducesse innanzi il la-vara, rimasta manoscritto. Nel 1750, essendosi co-stituita la nuova monastica provincia dei Cappuc-cini di Alessandria che includeva anche la localìtàdi Cannobio, p. Giuseppe optò per quest'ultima.

L'altra religiosa, e cioè p. Candida da Varese,apparteneva alla nobile famiglia Perabò ed ebbeun altro fratello cappuccino più nata di lui, valea dire p. Francescantania Perabò da Varese, men-tre un sua fratello, rimasta nel secolo, fu sindacadi Milano. P. Candida fu superiore del conventodi Oerro dal 1746 al 1749 e, dopo numerose altreguardianie in diversi conventi, fu capo di tutta lamonastica provincia dei Cappuccini ambrosìanì(1768-1771), uomo di grande spirito di preghiera,dotto, zelante. Sua fratello, p. Francescantania, erapiù anziana di lui; per malti anni insegnò fìlosofìae teologia, rivelando ingegna profondo e acuta,larga dottrina, facile comunicativa; superiore con-ventuale più volte e poi ministro provinciale, sidistinse in particolare come oratore sacra, torbìtoe fruttuosa; l'ediziane dei due volumi delle sue

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prediche (Prediche e discarsi del P. Francescanto-nia da Varese ex-pravinciale cappuccino della Pro-vincia di Milano, Bassano 1773) fu curata dap. Candida che stese la dedica e la prefazione.Nondimeno il merita farse più grande dei due pa-dri Perabò, e specialmente del p. Francescantonio,fu di aver indotto il fratello Carla Perabò, sindacodi Milano, a un'opera di grande vantaggio per ilgrassa barga di Melegnano, dove sorgeva un con-vento cappuccino sin dal 1577. L'importante .cen-tra, quasi alle parte di Milano, a levante era fian-cheggiata da paludi che ammorbavano l'aria cau-sando malattie agli abitanti; pregata dai fratelli,il sindaca Perabò con grande spesa e sei mesi dilavoro le fece prosciugare trasformando il terrenaacquitrinoso in prati verdeggianti, con grande sol-lìevo della popolazione.

4. - Sorçe la nuava chiesa

La chiesetta del convento, se pur arricchita del-la campana che _faceva udire la sua voce, quasiumana, sulla zona all'intorno, era rimasta sup-pergiù la vecchia e umile cappella degli inizi, fattacostruire dal mercante di Cerro, Pompeo Legnano,e di poco ingrandita nel 1586 da p. Giambattistada Milano. Di qui i numerosì progetti per un com-pleta ritacìmento, tra i quali abbiamo ricordatoquella del 1700 naufragata per I'inopportuno inter-vento del vicario provinciale. Ma con il cresceredelle esigenze non sala di rinnovamento e di decoro,ma anche di capienza per l'aumenta della popola-zione nella zona, il progetto rimaneva sempre al-I'orizzonte e un giorno avrebbe pur dovuto trovareuna soluzione.

Manca una sicura documentazione circa il tem-po in cui avvenne la costruzione della nuova chie-sa che ancor oggi ammiriamo, con la sua semplice

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e aggraziata linea archìtectonìca, tipica. anche dialtre chiesecappuccine ma sempre spaziosa e lu-minosa, i quattro altari laterali pure indovinatiarchitectonicamente, la sua facciata modestamen-te sobria ma non priva di eleganza; manca pureil nome dell'architetto che, nondimeno, è da rìcer-carsì in qualche religioso di talento costruttorio,il quale veniva ufficialmente incaricato delle « fab-brìche » dal capitolo provinciale e agiva di con-certo con i padri fabbricieri.

Poichè il p. Valdemiro Bonari, ricercatore at-tento anche se non infallibile, ne I conventi e icappuccini tiell'antico Ducato di Milc:no (Crem~1893) fa risalire la nuova chiesa a « CIrca la metadel secolo XVIII)} e, proprio a cavallo delle duemetà del secolo, p. Egidio da Busto rimase supe-riore del convento per sei anni continui 0749-1755) cosa inaudita in tal tempo e solo giustifica-bole ~on un motivo assai grave, si può verosimil-mente a tale periodo riportare la nuova costruzio-ne. Del resto, anche se si dovesse spostare di qual-che anno, l'impresa si riv.ela sempre notev?le nonsolo per lo sforzo economico e la somma dì preoc-cupazioni mancando fondi sicuri, ma pure per ~risultati ottenuti in quanto l'area intera fu quasiquadruplicata, ingrandito il presbiteri~ e .ap~~t~sui lati da due « corettì », i due altari prìmìtìvìportati a cinque e resi più capaci e ~unzior:ali, in-fine dietro l'altar maggiore fu aggiunto Il coro,completamente rifatto sulla linea del tradizionalecoro cappuccinesco.

L'attrezzatura interna di banchi, cancellate,confessionali e cose del genere, si dovette compie-re in prosieguo di tempo dai vari superiori che sisuccedettero al governo della famiglia religiosa;così pure i necessari dipinti che, se pur no~ nUI?e~rosi, vennero ad affrescar le pareti. Tra gli artistisi ricorda Donato Mazzolenì che lavorò a lungo

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nella zona, come a Legnano, Gallarate, Rho e Sa-ronno e al quale si doveva l'affresco della lunettasulla facciata, raffigurante il mistero della Visita-zione, raschiato nel 1939 dal pittore Buslenni diMeda per essere consunto e sostituito con l'attua-le. Al Mazzoleni apparterrebbe pure l'affresco del-l'Addolorata, esistente nel « coretto » di destra, eforse qualche altro dipinto.

5. - n ({re saçrestomo w e i giacobini francesi

Gli ultimi anni del dominio austriaco nel secoloXVIII vennero funestati dalla politica di Giusep-pe il d'Austria 0765-1790), il così soprannomina-to «re sagrestano » per la sua mania di voler legi-ferare in campo religioso atteggiandosi a riforma-tore, ma in realtà perseguitando la Chiesa convessazioni tiranniche e talora ridicole che deter-minarono agitazioni e torbidi tra i 'sudditi e incep-parono l'esercizio del culto e della vita religiosa. Co-sì, già sotto il suo dominio, la monastica provinciadei cappuccini di Milano soffrì varie tribolazionicome il controllo regio sulla preparazione dei can-didati al sacerdozio, l'assegnazione di compiti nonadatti allo spirito dell'Ordine, l'imposizione di par-rocchie come al convento dell'Immacolata Conce-zione di Porta Orientale a Milano, la presenza diun economo regio al capitolo provinciale,control-li nella predicazione e nell'esercizio del culto, ealtre.

Frattanto in Francia si andava preparandola rivoluzione che scoppiò violenta nel 1789 e poiaccese focolai di gìacobinìsmo in tutta l'Europa.Echi di tali avvenimenti d'oltralpe si ebbero anchein Italia e più propriamente a Milano e suo terri-torio con il rincrudirsi della già sospettosa 'politi-ca austriaca. Ma nel 1795 ecco piover di Francianon solo idee rivoluzionarie, ma un vero e proprio

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esercito agguerrito e discretamente fanatico cheoccupò Milano scacciandone gli Austriaci. Se nonche il possesso dei gìacobìnì non fu pacifico perchètre anni dopo (1799) rìcomparvero gli Austriaci,decisi con le armi in pugno ad eliminare per sem-pre i rivoluzionari e i loro fautori.

Pareva che i Francesi avessero riportato persempre le loro coccarde in Francia, ma un annodopo, il 14 giugno del 1800, Napoleone Bonapartecon nuovo esercito di Francesi piombava sui sol-dati austriaci del generale Melas a Marengo, pres-so Alessandria, sconfiggendoli e in tal modo inau-gurando il dominio francese in Italia, durato com-plessivamente 15 anni: repubblica cisalpina dal1800 al 1805; regno d'Italia dal 1805 al 1815. Do-po di che, almeno a Milano, tornarono gli Austraci.

Qui non abbiamo riassunto che alcune date,senza dubbio indicative e diremmo incandescenti,ma ben lontane dal darei tutta la realtà di eser-citi in cammino oppure affrontantisi in campoaperto, di devastazioni, incendi, distruzioni, ucci-sioni, massacri che sempre accompagnano tali av-venimenti. Se è vero che, almeno il regno d'Italiasegnò per Milano (sua capitale) un periodo diqualche splendore intellettuale e materiale, nonbisogna però dimenticare che idee nefaste allareligione e alla Chiesa furono innalzate alla di-gnità della cultura o, meglio, pseudocultura crean-do smarrimenti e perdita di fede. Ovviamente nonsi vuol negare che il fermento di pensiero e d'azio-ne, stimolato dal nuovo clima venuto di Francia,non apportasse in seguito i suoi frutti con la scom-parsa di vieti privilegi di classe, il nascere dellospirito di libertà e il determinarsi di un più sin-cero amore al popolo, di cui si cerca una reale ele-vazione economica e culturale; ma 'Ciò si potevaottenere anche senza tante devastazioni, tanta a-moralità e anticlerìcalìsmo, senza l'oppressione

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della Chiesa e la soppressione degli Ordini religio-si: quest'ultima, tra l'altro, ebbe conseguenze gra-vi perchè disperse preziosissimicimeli storici, pro-fanò conventi e chiese e lasciò molte popolazionidisorientate e prive d'assistenza religiosa.

6. - Ultimi anni e soppressione

Mentre si annunciavano i prodromi degli avve-nimenti che caratterizzarono la fine del seco-lo XVIII e i primordi del successivo, era superioredel convento di Cerro il p. Quirico da Cardano chegovernò la famiglia religiosa dal 1788 al 1791 edebbe ad affrontare, col suo tipico sorriso di cam-pagnolo milanese, i vari sopralluoghi dei funzio-nari austriaci, sempre sospettosi di tradimenti.A lui successe, nel 1791, il celebre p. Felice Azzi-monti da Busto Arsizio che, in questo suo primogoverno cerrese, durò in carica per cinque anni,già segnalandosi per spirito d'iniziativa e straor-dinaria carità; egli doveva poi, tra il montare del-le difficoltà e l'incalzare di avvenimenti inelutta-bili, reggere nuovamente il convento dal 1799 al1805,quando veniva scelto, per Ia sua capacità e lasua prudenza, a superiore dell'ormai morente pro-vincia; dei Cappuccini ambrosiani.

Fu l'antìclerìcalìsmo stizzoso e gretto della sud-detta repubblica cisalpina che preparò il terrenoalla soppressione del convento di Cerro e di moltialtri del territorio milanese: nè, contro di ciò,valse la stima che godevano i religiosi tra la popo-lazione ovvero il loro prudente strani arsi alle vi-cende politiche, od anche la scuola elementareaperta regolarmente nel convento negli ultimi an-ni di Giuseppe II, se pure saltuariamente era esi-stita anche prima. Con l'avvento dei francesi coc-carde rosse erano comparse anche nella zona e, incerti ambienti, con sempre maggiore insistenza ci

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si domandava a che servissero i religiosi nel nuovoclima, sacro alla dea ragione, e perchè non venis-sero soppressi (forse in omaggio alla libertà reli-giosa! ). Ma la ragione vera, presupposto il motivoreligioso, era un'altra e venne presto a far capo-lino: infatti con l'ìncameramento e la vendita deiloro beni ({l'erario pubblico se ne sarebbe larga-mente avvantaggìato ».

Con l'elevazione di Napoleone Bonaparte a ira-peratore (18 marzo 1804) si sperò in un mutamen-to di rotta nei riguardi della Chiesa e della reli-gione; ma si trattò di un brevissimo respiro per-chè, non molto dopo, il desposta emerso con la ri-voluzione scatenò la persecuzione contro il vecchioe inerme Pio VII sino a tarlo arrestare in Romae dar ordine che fosse trascinato in Francia per poiconfinarlo a Savona, dove subì dura prigionia sinoal 1812. Tutta la cristianità fu allora dolorosamen-te sorpresa e capì quanto fosse pericoloso fidarsidi un dominio dispotico che presto o tardi l'orgo-glio accieca e, mentre per una gloria effimera fascorrere a torrenti il sangue dei popoli, giunge aestremi inconcepibili di violenza. Tale il regno delBonaparte, tragico periodo di lutti e di mortiper l'intera Eurona anche se, nei manuali discuola e da gente interessata, si continuerà a pre-sentarlo sotto luce di grandezza.

La soppressione del convento verosimilmenterisale al 1810 ed è da collegarsi all'applicazione deldecreto generale di soppressione degli Ordini reli-giosi, emanato dal Bonaparte. Ma, già prima diarrivare a tale estremo, la vita della comunità re-ligiosa fu precaria perchè dal 1805 al 1810 non siconosce neppure il nome dei superiori. Cornunouela scuola, il cui titolare dovette restare il p. FeliceAzzimonti anche se nel frattempo governava tut-ta la vasta provincia monastica che includeva granparte dell'Italia settentrionale, continuò ad aprire

l le sue aule accoglienti ai ragazzi del borgo e deidintorni; e fu appunto tale fatto che salvò la chie-sa, almeno per qualche tempo, sottraendola al de-manio e poi, alla scomparsa del Bonaparte, facen-do nascere la speranza che un giorno potesse rì-prìstinarsi anche il convento.

7. - P. Felice Azzimonti da Busto

Con la soppressione religiosa del 1810 e l'imme-diata perdita dei conventi di Milano, che furonotosto occupati dal demanio, il superiore della mo-nastìca provincia dei Cappuccini, e cioè il p. FeliceAzzimonti, comprese che s'iniziava un nuovo pe-riodo di storia. Lasciata in fretta la città ambre-sìana, venne a Cerro Maggiore, in veste talare, perassumere direttamente la responsabilità della scuo-la, di cui era titolare, ma anche con la segretasperanza di attuare quanto era prescritto dalleCostituzioni cappuccìne in simili frangenti, valea dire: riunire possibilmente i religiosi soppressi inuna o più case perchè potessero continuare a vi-vere la loro vocazione. Così, dopo l'intervento deldemanio, p. Felice stipulò particolari accordi conil compratore privato conservando non solo i lo-cali della scuola, ma anche altri ambienti in cuicollocò i confratelli; in tal modo anche la chiesaconventuale continò ad essere ufficiata rimanen-do aperta al culto.

Padre Felice, che doveva morire novantenne,lasciò a Cerro un inobliabìle ricordo di attivitàe di bontà che fu rievocato anche in anni recenti.Nato a Busto nel 1739 e fattosi cappuccino a 18anni, godette tra i confratelli larga stima per lasua dottrina, la sua prudenza, la sua comprensio-ne umana ed evangelica, il suo costante amorealle anime e alle opere di bene. A prescindere dal-le cariche esercitate nella monastica provincia

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milanese, valga il fatto che, quando dietro ordinedelle autorità civili del regno d'Italia fu raccoltoun capitolo cosiddetto universale perchè vi parte-ciparono tutti i padri vocali delle 6 monasticheprovince esistenti in detto regno, egli fu sceltoa pieni voti per capo della nuova vastissima pro-vincia.

Stabilitosi a Cerro dopo la soppressione, vi con-tinuò e potenziò la scuola conventuale esistente efu largo di altri aiuti alla popolazione. Nel 1810egli già contava 71 anni di età: eppure per altri19 anni egli dispiegò un'attività meravigliosa. Co-me riferisce il Bonari che potè interrogare vecchicerresi i quali l'avevano conosciuto direttamente,p. Felice predicava con parola ardente non solonella chiesa della Visitazione, ma anche in altrechiese della zona, si mostrava instancabile nel con-fessionale e abitualmente aiutava nella chiesaparrocchiale di Cerro, dove eresse devote congrega-zioni; fu inoltre uomo di straordinaria carità visi-tando infermi, poveri, tribolati, famiglie in discor-dia.

Poichè la monastica provincia era stata violen-temente disciolta dal potere civile, egli rimanevacostituzionalmente il superiore dei religiosi disper-si con i quali si manteneva in costante relazione.Sperava che, scomparso Napoleone, si potesse ri-costruire la monastica provincia, come avvenne inaltre parti d'Italia; ma la « cattolìca » Austria, cheritornò a Milano nel 1815 dopo la meteora napo-leonica, non permise che i Cappuccini di Lombar-dia rientrassero nei loro conventi, dai quali eranostati scacciati con la violenza. Così p. Felice Azzi-monti, che in vano aveva sperato giustizia per isuoi religiosi, aggiunse al suo amaro calvario di e-sule e perseguitato per l'ideale più puro della suavita, e cioè per la sua vocazione religiosa, anchequesta disillusione. Egli morì a Cerro nel 1829 e la

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sua salma, tra l'unanime cordoglio dei buoni cer-resi e di altri abitanti del contado, fu sepolta nel-la chiesa della Visitazione.

8. - Tributo di riconoscenza e d'affetto

La chiesa almeno nel suo corpo centrale, nonvenne mai adibita a usi profani, il che testimoniala fede dei proprietari che seppero pre~orre il lor~sentimento cristiano all'interesse, a differenza diquanto fecero altri acquirenti del demanio. L'exconvento invece, servì, lungo il secolo XIX, persvariati usi che è difficile ed anche inutile rileva-re. Va piuttosto notato che pungolo del tempoe incuria dei proprietari, unitamente ad altre con-dizioni intuibili resero la costruzione sempre piùprecaria nella s~a non grande solidità e so~o il ri-torno dei religiosi lo salvò da completa rovma, co-me vedremo più avanti. Qui terminiamo ricordan~do il commosso tributo d'affetto che nel 1890 l

Gerresi espressero alla memoria del p. Felice Azzi-monti da Busto e degli altri religiosi passati per ilconvento.

In tale anno, allorchè il proprietario adattò ilconvento ad abitazione civile e, pur conservandola chiesa aperta al culto, con tavolati separò lequattro cappelle laterali dalla navata e le adibì aduso profano, si rese necessaria la traslazio.ne dellesalme dei religiosi nel cimitero parrocchiale. Fuappunto in questa circostanza che, a dir così,. e-splose il fervido e memore affetto della popolazio-ne di Cerro verso dei religiosi vissuti qui, nel vetu-sto convento dove avevano pregato e fatto delbene amandd Dio, servendo al prossimo e santifi-cando se stessi. Nonostante che il convento fossestato soppresso già da 80 anni, « il popolo unanime- scrive il Bonari - volle eseguire questa trasla-zione con una magnificenza da non credere, non

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mai più veduta; carri tutti adornati con gusto divaghissimi fiori, profusione sterminata di cerei,concorso universale di popolo affollatissimo dalborgo e da' luoghi cìrconvicìnì : insomma tutto in-sieme riuscì uno spettacolo imponente, commo-ventissimo». Quel giorno i mesti rintocchi dellecampane del borgo assomigliarono piuttosto a: uncanto di gloria.

Per la tomba, raccolta e devota nella quietedel cimitero, il parroco di Cerro, don Agostino Mo-relli, dettò le bella iscrizione seguente:

« Qui riposano le ceneri - del M. R. P. Azzi-monti da Busto Arsizio - Provinciale de' PP. Cap-puccini - che beneficata in vita questa popola-zione - coll'istruzione e ogni genere di carità -legò in morte - quattro doti annue in perpetuo -a beneficio di povere spose. - E con esso - quiriposano i 'sacri avanzi - de' suoi fratelli di re-ligione - con somma venerazione - e grande con-corso di popolo - trasportati l'ottobre 1890 - daisepolcreti del loro convento - a uso privato tra-sformato.

Angeli tutelari di ,Questo popolo - dal cielocontinuate - la benefica vostra missione - con-fermandolo - nella fede e nelle cristiane virtù».

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V.

IL RITORNO DEI RELIGIOSI

A 87 anni dalla soppressione del convento e a68 dalla morte del p. Felice Azzimonti i Cappuc-cini, « per un evento al tutto provvidenziale», po-terono riacquistare il loro antico cenobio compran-dolo dagli ultimi proprietari, e cioè i signori Rossi,e in tal modo ripresero la loro vita di preghiera, distudio, di predicazione nella zona, di assistenza re-ligiosa agli ambitanti di Cerro e dei paesi cìrcon-vicini. La riapertura del convento rallegrò non so-lo le buone popolazioni dei dintorni, ma anche, evivamente, tutti i religiosi delle nuova monasticaprovincia cappuccìna di s. Carlo in Lombardiasorta, sui ruderi delle antiche province di Milanoe di Brescia, intorno al 1840.

Il superiore della monastica provincia era allo-ra p. Paolino da Verdello (1896-1899) che, dopoaver condotto la trattativa d'acquisto, provvidealle necessarie riparazioni e riadattamento man-dandovi un esperto fratello laico muratore di cuiè rimasto il nome: « Con non ordinaria fatica -dice la nota di cronaca - e mercè l'assiduo e ocu-lato lavoro del fratello laico fr. Romualdo da Bri-gnano, che nell'arte muratori a è ben addestrato,in poco tempo si riuscì a riadattare un simpatico

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conventino il quale, appunto perchè ruvidetto esemplice, concilia la devozione e invita al raccogli-mento chiunque lo mira».

1. - Si riaprono i battenti

Il lavoro di riadattamento durò qualche tempoperchè il proprietario, nell'adibìrlo ad abitazionecivile, aveva conservato i muri maestri, ma allar-gato le finestre, abbattuttì i tavolati che divideva-no le minuscole celle e inoltre ridotto in più scom-partimenti quegli ambienti che erano troppo vasti,come il refettorio, le aule scolastiche, la biblioteca,e altri. In tal modo il convento riassunse press'apoco il suo stato primiero e fu pronto ad essere abi-tato.

La famiglia religiosa vi entrò, senza strepìtì,nel 1897 e riprese l'attività e la vita propria di unconvento cappuccino. Solitario, ravvolto dal suo« muro di cinta », umile e povero negli ambienti, ilconventino si ripresentava come un angolo di pa-ce e quiete religiosa sugli ondulati piani degradan-ti verso l'Olona che si andavano punteggiando distabilimenti e svariate officine; nel febbrile lavo-ro delle industrie e i molteplici interessi e incentividi guadagno che ad esso si connettevano, rimane-va un punto di richiamo al destino oltremondanodell'uomo e cioè ai superiori interessi dell'anima.

La chiesa, rimessa a nuovo nelle sue 'linee sem-plici ed eleganti e nella sobria decorazione, venneriaperta ufficialmente al culto il 31 luglio 1898;ribenedetta con solenne funzione, essa apparve« bella, devota ed anche discretamente spaziosa»,adatta alla preghiera e invitante i buoni Cerresia sostarvì brevemente dopo il lavoro dei campi edelle officine. In seguito essa ebbe la nuova paladell'altar maggiore, dipinta da F. Brambilla e am-mirata per i suoi toni caldi e luminosi, il suo pia-

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cevole verismo, il suo ricco impasto cromatìco chenon nuoce all'espressione e alla religiosità dellascena.

2. - Echi di poesia

Il titolo del paragrafo promette forse troppo,mentre vogliamo riferirei a un indirizzo in rimache venne letto quando i religiosi ripresero uffi-cialmente possesso del convento. A dir vero, dipoesia ce n'è pochina, se pur si tratta di decasìlla-bi a rime baciate e arieggianti, nella loro struttu-ra, « La Battaglia di Maclodio» e ({La Passione»del Manzonì ; ma poìchè fu composto da un cerre-se e si collega strettamente al ripristino del vec-chio e glorioso convento così intimamente e lar-gamente inserito nella storia cittadina, lo vogliamoriportare. Sono sei strofe di otto versi ciascuna;le prime quattro indugiano sul ricordo storico deldel ritorno dei religiosi esprimendo sentimenti dicircostanza; le due ultime sono una preghiera al-Vergine Madre, patrona della chiesa e del conven-to, perchè sempre protegga religiosi e popolo:

.Per la venuta dei Religiosi Francescaniin Cerro M aJggiore

1) Degni Figli del grande Francescoche nel nome del Sommo SignoreRitornate con tenero amoreQuesto nostro paese abitar (sìc) :Ecco il popol che il Ciel ringraziandoVi riceve con intimo affetto,Che ogni grazia, ogni dono più elettoAma in oggi su voi d'implorar.

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2) Benedetto sia sempre il buon DioA cui il mondo sommesso obbedisce,Le cui opre sublimi compisceCon squisita paterna bontà;Benedetta sua gran Provvidenza,Che le voci dei vostri defuntiReligiosi fratelli congiuntiAscoltando con viva pietà,

3) Nuovamente fra noi vi conduce,Dopo tante svariate vicende,Per mostrar come tutto dipendeDa' suoi cenni, dal suo voler.Questo popol che vide con penaSui primordi del secol presente,Cui possiam salutare morente,Di voi tutti l'amaro partir;

4) Or v'accoglie con animo gratoCon accenti di gioia e di festa,Nè più altro a bramare gli restaChè son paghi i 'suoi voti e desir.Epperò nel comune tripudioRiuniti in devota armoniaUna prece alla Vergin MariaPer voi tutti vogliamo innalzar.

5) « Madre Santa che regni gloriosaPresso il trono di Cristo tuo Figlio,Dolcemente il mitissimo ciglioDeh Ti degna benigna inchinarSovra i figli del grande Francesco,Che tra noi hanno scelto dimora,Prova ad essi che sei la SignoraDel Cor sacro di Cristo Gesù .

. 6) Lor facendo gustar quella pace,Quelle interne soavi dolcezze,Cui non valgon le stesse amarezzeDella vita a distorre quaggiù:

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Chiostro del vecchio convento.Il religioso in primo piano è p. Donato da Malvaglio ben noto in Cerro

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Sulle orme del loro gran Padre,Tu li guida, rinfranca e avvalora,E concedi, che un dì noi ancoraLi possiamo seguire lassù».

3. - La cmmpana del convento

L'umile asceterio, stretto attorno alla sua ohìe-sa € immerso in una pace invitante, mancava peròdi una cosa importante e cioè la voce della campa-na, necessaria per annunziare le funzioni celebra-te in chiesa ed anche per segnare le tappe piùimportanti della vita conventuale, compresa I'uf-ficiatura divina. Il bisogno era assai vivo tanto che,ventilata l'idea, in brevissimo tempo gli abitantidi Cerro e S. Vittore Olona offrirono elemosinesufficienti a procurare una campana di 120 chili,mentre le Costituzioni cappuccine parlavano solodi una campanetta di 70 chili circa.

Il trasporto della campana da Legnano a Cer-ro Maggiore, la sua benedizione e collocazione die-dero luogo a una manifestazione di fede che metteconto ricordare. Ciò avvenne nel giugno del 1899,essendo superiore della monastica provincia cap-puccina di Lombardia p. Guglielmo da Bergamo(1899-1902) e delegato al rito della benedizione,dietro rescritto dall' Arcivescovo di Milano, mons.Domenico Gionni, prevosto di Legnano. Poichèdell'avvenimento esiste memoria stampata, cedia-mo senz'altro la parola al cronista oculare .

« Verso le 4 del giorno dei ss. Apostoli Pietro ePaolo (29 giugno), una folla di gente partiva perLegnano onde levare dalla stazione la campanae condurla in trionfo (sic) al convento dei cappuc-cini. A quelli di Cerro si unirono anche gli abitan-ti di S. Vittore, e questi ultimi, avendo un ben or-dinato corpo musicale, spontaneamente s'offerse-ro a suonare, felici. L'imponente corteo era prece-

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A ngolo pittoresco del vecchio convento conil campaniletto dell'orologio

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duto da due battistrada a cavallo, indi il corpomusicale, poi i due 'Carri fatti appositamente perquesto scopo, dipinti e ornati di fiori, destinati aportare la campana con gli accessori, tirati daquattro superbi cavalli, dono di Cerro. I suddetticarri furono fabbricati dal signor Antonio Agratì,che li volle inoltre decorare con miniature d'oro ed'argento. Distinte famiglie di Cerro vollero esse-re rappresentate con le loro 'Carrozzeed elegantipariglie; inoltre al corteo presero parte vari 'consi-glieri col Segretario Comunale.

All'arrivo a Legnano, annunziato dal corpo mu-sicale di S. Vittore, rolla grande si riversa per levie; si va alla stazione, si colloca la campana .sulcarro, si ritorna verso Cerro. Ma giunto sulla piaz-za di S. Magno, il corteo si ferma e il corpo bari-distico esegue una marcia. Mons. Prevosto escedalla 'Canonicain abiti prelatìzì e, mentre le 'Cam-pane della parrocchia suonano a festa, sale un bellandeau graziosamente offerto dalla Risp. DittaBernocchi, e a gran passi si avviano tutti al con-vento di Cerro. 'Quivi lo spettacolo era imponenteper il concorso di Cerresi e abitanti di S. Vittore.Monsignore sale su di un palco appositamente pre-parato nella piazza del convento e, assistito dalCoadiutore del paese, dal Curato e Coadiutore diS. Vittore, celebra la solenne funzione, a conclu-sione della quale si rivolge al popolo e pronunciacordiali e approprìate parole che commuovono tut-ti. « lo vedo - disse tra l'altro - aleggìar su Cerrogli 'Spiriti di s. Cornello e s. Cipriano, titolari dellaparrocchia, e inoltre lo spirito del gran PatriarcaFrancesco: uniti tra loro, essi invocano benedizionee pace su questa parrocchia». Ci fu poi la benedi-zione eucaristìca e, per tutta la sera, H corpo musi-cale continuò a rallegrare il paese.

Il 2 luglio successivo era la solennità della Vi-sìtazìone, titolare della chiesa del convento, e il

cronista continua: « Passarono due giorni e il 2 lu-glio, dopo 70 anni di silenzio, 'Si celebrò la carasolennità della Vìsitazìone che quest'anno cadevain domenica. Addobbi dì circostanza, presenza delp. Provinciale con tre definitori che vollero con-decorare la festa. Messa letta al mattino 'Conbuonnumero di comunioni; poi alle 9 il M. R. P. Epifanioda Saronno, definitore e guardiano del 'conventodel S. Cuore in Milano, cantava la Messa, assistitoda due Padri; sedici bravi giovani di Cerro si or-fersero spontaneamente ad accompagnare la Messacol loro canto. A sera si recitò il Rosario e, cantatadai suddetti giovani una bella Ave Maria, salivasul pulpito il noto predicatore p. Giovanni da Mi-lano, definitore provinciale, che con la sua prontae insinuante parola disse il panegirico della Ver-gine dimostrando 'CheI'Ebron è il calvario dellamisericordia, di riscontro al Golgota, calvario dirigorosa giustizia: la Vergine nella visita ad Eli-sabetta volleessereper gli uomini la Mater pulchraedilectionis, prima dì essere ai piedi della croce lagran Madre del dolore. Disse il suo grazie a tuttiper quanto avevano fatto per il decoro della festae l'acquisto della campana e, più ancora, per l'af-fetto che sentono verso i Cappuccini. Seguì la bene-dizione col bacio della reliquia.

Di popoloera stipata la chiesa, piene le cappellee vi era persino un buon numero di fedeli nei clau-stri del convento. Essi erano felici, contenti di tro-varsi in mezzo ai Cappuccini, lodavano Dio e face-vano ovazione ai frati, i quali, a tanta bontà eaffetto, rispondevano con umili grazie, con promes-sa di pregare per tutti ».

4. - Fogli sparsi

Nell'archivioconventuale l'ultimo periodo divita del vecchio convento è riassunto solo per ac-

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cenni in fogli e appunti propriamente « sparsi»e, con'seguentemente,'con grande scarsezza:<:li.noti-zie forse per essere storia troppo a noi VICmaov-ve~o,più verosimilmente, per mancanza di ~vve~-menti di rilievo. È la solita vita, condotta m soli-tudine e protetta contro il frastuono del mondo,dedita alla preghiera, allo studio e al ministero,secondo le tradizioni dell'Ordine. Ricorderemo, nel-l'incalzare degli anni, alcune date che ci sembranopiù degne di menzione.

Nel 1904,proveniente dal convento di Cremona,era destinato 'alla famiglia religiosa di Cerro fraFeliciano da Artogne, il santo fratello questuante(ben conosciuto nella zona) 'chedoveva abitare nelconvento di Cerro 42 anni continui 0904-1946), ecìoè sino alla morte, vivendo una intensissima vitadi mortificazione, di preghiera e di lavoro ed eser~citando una straordinaria carità, di cui son rìmastìmille episodi. I Cerresi di una certa età ricordanoancora l'umile fratìcello, piccolo di statura e conil volto scavato dalla penitenza ma dal sorrisobuono e fraterno in cui si riverberava la grande lucedell'anima ciabattare per le vie alla questua eper i suoi '« viaggetti di misericordia» a case biso-gnose della sua presenza e della sua parola, oppurebazzicare per la chiesa e alla porta del conventoallorché ne teneva la chiave come portinaio: leg-gero, vanente, più spesso pregando, talvolta con-versando amichevolmente. Ma di lui, figura tantoindimenticabile nella vita cappuccìna cerrese, par-leremo in una puntata a parte.

Nel 1905, prima che avesse a ritornare nellamissione del nord del Brasile, da lui fondata neglistati del Maranhào, Oearà e Para a partire dal1893,sostò qui p. Carlo da S. Martino Olear? ~ ireligiosi si strinsero intorno al venera~do mIss~o-nario che tenne nella chìesa un breve dìscorso ne-vocando il massacro di confratelli, suore cappuccìne

e cristiani perpetrato dagli indiani di Alto Alegrela mattina del 13 marzo 1901.La manifestazionefu commovente: il missionario, che parlava fami-liarmente dalla balaustra, a un certo momentointerruppe il suo dire e, nella visione di tante mortie devastazìoni sempre viva in fondo all'anima, scop-piò a piangere.

Una data riconferma la stima e l'affetto degliabitanti di Cerro verso i religiosi, specialmente nelricordo di figure scomparse che si mostrarono bene-fiche verso la popolazione. Nel 1911 a p. FeliceAzzimonti da Busto, di cui sopra abbiamo detto,venne intitolata una via del borgo, già conosciutacome il Vicolo del Freddo: testimonianza di vene-razione verso l'uomo che dal suo cuore trasse pal-piti di squisita carità per ogni forma di bisognoe di sofferenza.

Venne la prima guerra mondiale, la « grandeguerra» con il suo trambusto, le sue roventi pas-sioni, i suoi dissesti, le sue tristi partenze e i suoimancati ritorni. Anche la vita conventuale ne sof-fri, ridotta di personale e impegnata in più distrat-tivi ministeri; ma essa brillò di più larga luce dicarità nel conforto della fede e delle arcane spe-ranze nell'al di là recato in molte famiglie dura-mente provate dalla sventura. Risulta che il con-ventino di Cerro con la sua tranquillità e solitu-dine era spesso ricercato per chi, tra i cappellanimilitari e i religiosi in armi, nel periodo di licenzaricercava un angolo di pace e di quiete. Anche inseguito servì per luogo di raccoglimento e riposoa vecchi missionari e ad altri venerandi religiosi e,talora, vi si organizzarono corsi di esercizi spiri-tuali per categorie particolari, sia di religiosi, comeanche di altre persone. Il convento, con numerosufficiente di celle, la sua ampia ortaglia e le note-voli risorse provenienti dalla questua, si mostravaospitale accogliendo fraternamente chiunque bus-

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sasse alla sua porta, memore di quella finalità cheaveva presieduto alla sua fondazione.

Intanto l'esempio dei religiosi aveva già susci-tato un manipolo di vocazioni all'Ordine, maturatein particolare dopo la grande guerra con i nomi dip. Ermanno Lavazza, p. Agostino Lazzati, p. Fi-lippo Lavazza, e altri, occupati in svariate attivitàcome missioni, cappellanie in ospedali, predicazio-ne, superiorità di conventi; già chierichetti, ingenerale, alle 'cerimonie celebrate nella chiesettaconventuale, sentirono la chiamata alla vita reli-giosa a contatto con i religiosi ed anche per quellasuggestività e atmosfera spirituale che il conventoemanava.

A partire dal 1931 il convento ospitò chìe-rici che si preparavano al sacerdozio. I superiori,per la sua posizione, l'adattarono a convento distudio per i giovani che, dopo l'anno di noviziato,riprendevano le fatiche studentesche: nella serenasolitudine, studio e preghiera acquistavano un nuo-vo mordente e meglio disponevano le giovani re-clute del santuario alla loro futura missione.

5. - Mons. Celestino Cattaneo

Negli ultimi decenni varie furono le figure ca-ratteristiche passate per il convento, come p. Do-nato da Malvaglio, instancabile nel ministero delleconfessioni nella zona, p. Urbano da ,Sesto S. Gio-vanni, di estrema affabilità con tutti, p. Arcangeloda Lìmbìate, che vi fu superiore dal 1940al 1943.Ma qui vogliamo ricordare l'arcivescovo missiona-rio mons. Celestino Catteno che trascorse a Cerroil suo ultimo decennio di vita 0936-1946), dopo ilsuo ritiro dall'Eritrea con le dimissioni da VicarioApostolicopresentate a Pio XI e dal Papa, che erasuo concittadino, accettate. TI convento di Cerrodivenne per lui la sua ( oasi cerrese », come egli

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\ la chiamava forse con allusione ai suoi intermina-bili viaggi per terre aride e desertìche durante lavita di missione.

L'attività del grande missionario sui più diversicampi di apostolato che, in qualche modo, si eranoestesi all'Asia, all'Africa e all'America, era inco-minciata nel lontano 1891 quando, a 27 anni, isuperiori l'avevano mandato nella missione dellaMesopotamia. Qui, tra l'altro, nel 1895-1896assi-stette, impotente e in continuo pericolo della vita,al massa-crodegli armeni perpetrato da Turchi eCurdi; in tale circostanza la sua missione di Ma-latia fu completamente distrutta (che trepidazionee che paura di notte, tra il crepitar delle fucilate el'avvampar delle fiamme, mentre era raccolto concentinaia di donne e bambini nella chiesa l). Poi,passata la bufera, dietro ordine dei superiori ri-tornò solo alla sua missione annientata con duelenzuoli, un materasso, una vecchia. coperta, duepiatti di latta e l'occorrente per la Messa, decisoa ricominciare. Fortunatamente un giovane av-vocato turco gli prestò una comoda e solida tendae, in tal modo, potè installarsi nel mezzo dell'ortodella missione, tra il mucchio di macerie residuodell'incendio. Scriveva il 14 luglio 1896 al supe-riore provinciale dei Cappuccini lombardi: « Daquattro mesi mi trovo sulle rovine della mia mis-sione, senza casa, senza chiesa, senza scuole econ una semplice tenda, di giorno calda come unforno, di notte umida e fredda. Quanti dispiaceri,caro Padre, quanti timori ! Da quante miserie so-no attorniato... davvero ci vuole qualcosa di piùdella pazienza di Giobbe». Da Malatia passò poia Orfa, dove svolgeva il suo ministero in quattrolingue: araba, turca, armena e francese; infinea Mardin. Questa prima sosta nel Medio Orientedurò 19 anni. Nel 1910p. Celestino da Desio erachiamato a Roma e fatto vicerettore e professore

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di ebraico nel collegio internazionale dei Cappuc-cini, inaugurato poco tempo prima.

Ma egli anelava all'apostolato nelle missionie, dopo solo sei mesi di permanenza nella CittàEterna, ottenne d'essere inviato nella missionebrasiliana dei Cappuccini lombardi iniziata, comesi è detto, da p. Carlo da S. Martino Olearo nel1893nello stato del Maranhào, Se non che, da pocoera sbarcato nel Brasile quando un telegramma; '"richiamava urgentemente a Roma per far partedel primo gruppo di Cappuccini lombardi che sirecavano missionari nell'Eritrea sotto la guida dimons. Camillo Carrara, che era stato superioredella provincia cappuccìna lombarda dal 1905 al1911. 'Questa prima esperienza erìtrea durò com-plessivamente 8 anni e in essa p. Celestino fu ilmissionario pioniere tra i primitivi Cunama, cheabitavano il bassopiano eritreo occidentale daBarentù a Tesseneì (durante il suo primo viaggioapostolico, in piena brughiera, si trovò ìnaspet-tatamentedi fronte un leone che, guardandolo,sembrava dire : « Che vieni a fare tu in questiluoghi deserti P »). Furono mesi di solitudine ag-ghiacciante, di pene fisiche e morali; tra l'altro,colto dalle febbri malariche nella brousse, venneriportato alla stazione missionaria in barella, perlunghi chilometri. In seguito ebbe altre incom-benze; nel 1919, in un periodo di riposo in Italiaper rimetersi in salute, si ritirò a Cerro occu-pandosi nel frattempo della causa di beatificazionedel b. Innocenza da Berzo, di cui era stato perbreve tempo confessore a Bergamo prima di par-tire per le missioni.

Poi, nel 1920, il generale dell'Ordine p. Giu-seppe Antonio da S. Giovanni in Persiceto lochiamò aRoma e gli diede incarico di recarsia fondare una nuova missione nell' Asia Minore.P. Celestino, abituato a obbedire da lunghi anni,

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\ partì con alcuni compagni, esplorò la zona affidata-gli e incominciò a organizzare le prime residenzemissionarie di Burdur e Usciac. Ma anche la mis-sione dell'Asia Minore o Anatolia doveva costi-tuire nella vita missionaria di mons. Cattaneo unadi quelle sanguinose pagine cui abbiamo già ac-cennato a proposito di Malattia. Infatti nel 1922la guerra feroce tra Greci e Turchi toccò il suodiapason travolgendo proprio i luoghi della mis-sione di p. Celestino: massacri umani, incendi,rovine di ogni genere, profughi morenti di fameper le strade insicure, infestate dai lupi. Da Smir-ne egli vide, spettatore accorato, passare ben600.000 profughi tra Greci e Armeni; il 26 luglio1922 scriveva a mons. Zucchetti: « L'immane disa-stro è tale che nessuno potrà mai a parole de-scriverlo; la storia credo non ne registri un altrosimile. Chi siano gli autori non si saprà mai...Anche il numero dei massacrati rimarrà ignoto atutti... Nell'interno tutti i cristiani sono partiti:quei che non potranno salvarsi per la via deldel mare e saranno costretti a internarsi, sonodestinati a morire o di fame o di rreddo ». E il17 ottobre successivo soggiungeva scrivendo alsuperiore provinciale di Milano: « Un mezzo mi-lione di cristiani, armeni e greci, hanno dovutolasciare l'Asia Minore, conforme l'ordine di Kemalpascià, e sono stati trasportati, la maggior parte,nelle isole dell'Egeo. Circa 80.000 maschi dai 18 ai55 anni sono stati deportati a Cesarea, la bellezzadi 750 chilometri all'interno. Senza cibo, senzavesti, a piedi, con l'inverno davanti che in questipaesi è molto rigido, sono destinati certamente allamorte. Povera missione dell'Anatolìa t ».

L'ultimo periodo di missione di mons. Cattaneo(dopo un biennio, 1923-1925,come visitatore dellemissioni cappuccìne nel Medio Oriente) fu ancoral'Eritrea, in qualità di Vicario Apostolico e cioè

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di superiore ecclesiastico della mISSIOnee vescovotitolare. Sarebbe lungo seguire questi suoi 11 annidi attività episcopale I( 1925-1936 ),condotta conalto senso del dovere, illuminata, lungimirante,intensissima, nonstante l'avanzata età. Essa furivolta ai nativi eritrei per i quali il Cattaneo aprìscuole, dispensari, residenze missionarie, costruìchiese, portò aH'indipendenza religiosa con la ge-rarchia indigena di rito alessandrino-etiopico; aimeticci, che vennero raccolti in istituti adatti, edu-cati, preparati alla vita con un titolo di studioovvero l'apprendimento di una professione; aiprimitivi Cunama stanziati tra il Gasc e il 8etit,che furono evangelizzati, difesi contro le razzie dialtre tribù, portati a un primo avvio di civiltà; atutta la popolazioneeritrea, alla quale diede il suogran cuore e le sue energie.

Con la riorganizzazione ecclesiastica seguitaalla guerra italo-etiopicamons.Celestino Cattaneo,ormai settanduenne, acciaccoso e sofferente, videche accorrevano nuove e più fresche energie e die-de le sue dimissioni. Ritornato in Italia, scelseil conventino di Cerro come luogo di riposo e dipreghiera. Pio XI, accogliendo la sua rinunzia, loaveva eletto arcivescovo titolare di Abasgia; ma,rivarcata la soglia del convento dopo tanti annidi missione, mons. Cattaneo non volle per sè al-cuna distinzione. Ridivenne, in certo senso, unsemplice frate come gli altri, contento della suaumile cella, della parca mensa comune, dell'am-biente di francescana semplicità. Secondo le suepossibilità e le sue forze, non mancò di esercitareun nuovo apostolato, modesto in apparenza, main realtà vasto e profondo sia a Cerro come neipaesi limitrofi, in forma pubblica e privata. Spe-cialmente negli anni tremendi dell'ultima guerraquante persone (madri, spose, sorelle, uomini an-ziani od anche giovanissimi) l'avvicinarono per

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I esporgli i loro crucci, le loro ansie, la loro pena !Egli confortava e prometteva il ricordo nella pre-ghiera. Così pure in occasioni di solennità e altrecircostanze si prestava volentieri a udire le con-fessioni, mentre spesso era invitato nei paesi del-la zona per pontificali, cresime, prime comunioni,venticinquesimi e altre occasioni.

Degno di ammirazione il suo spirito di pre-ghiera, manifestato si in maniera comm?v.entenella solitudine del convento cerrese. Il mìnìstroprovinciale, p. Guido da Curnasco, nell~ I:etterc:necrotoeico: scritta per la sua morte CaSISI espri-me: « come era bello, edificante vederlo pregareinnanzi al tabernacolo, in ginocchio, tutto com-posto, assorto in Dio ! Le sue giornate le trascor-reva così, in preghiera, col Breviario e .la coronadel Rosario in mano, passeggiando per Il claustroo per l'orto del convento, o per solitarie stradic-ciuole campestri, dalle quali non mai ritornavasenza aver prima fatto una visita ai poveri mortidel cìmìtero ».

L'arcivescovo mons. Celestino Cattaneo morìa 82 anni di età il 15 febbraio 1946, all'una e mezzodi notte, dopo che da tempo soffriva di attacchial cuore e dopo che dal dotto Pio Benetti gli erastata prestata amorosa assistenza. La sua salmarimase esposta per 5 giorni nella cappella di santoAntonio nella chiesa del convento, visitata e ba-ciata: dai fedeli di Cerro, S. Vittore, Legnano ealtri paesi circonvicini. I funerali riuscirono solen-nissimi con straordinario concorso di clero e difedeli.

6. - I resti mortali di Benito Mussolini

Lo stesso anno in cui moriva mons. CelestinoCattaneo (1946) nell'agosto, vennero depositatial convento i r~sti mortali di Benito Mussolini.

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Raccolti in una cassetta sigillata furono collocatiin assoluto segreto nella cappellina interna delconvento al primo piano. Ignoti a tutti, vi rima-sero fino a quando il governo italiano, calmatesile roventi passioni politiche, permise che fosserosepolti nel cimitero di Predappio vicina ai con-giunti. Il segreto si mantenne fitto grazie anchealla solitudine del convento. Un brano del librodi cronacaconventuale ragguaglia sugli antefattidella vicenda.

Riconsegna al governo italianodella salma di Benito Mussolini

({Nel pomeriggio del 29 agosto 1957il P. Pro-vinciale, p. Romano da Como, giunse al nostroconvento (di Cerro) accompagnato dall'ispettorecapo di pubblica sicurezza, dotto Vincenzo Agne-sina, e da due altri funzionari subalterni dellaquestura, per ritirare la cassa contenente i restidella spoglia mortale di Benito Mussolini. Taliresti vennero consegnati a noi il 25 agosto 1946dal M.R.P. Mauro, allora vicesegretario provin-ciale, per mandato del P. Provinciale di alloraM.R.P. Benigno da S. TIarioMilanese, a sua volt~interpellato dal cardo Schuster arcivescovo diMilano in nome e per conto del Governo Italiano.Tali resti vennero custoditi nella cappellina in-terna del nostro convento al primo piano, dappri-ma in una cassa sistemata a lato dell'altarino,ed in secondo tempo (precisamente nel 1950quando il P. Guardiano di allora fu costretto arinforzare la cassa di legno per ovviare alle esa-lazioni che si avvertivano nella cappellina) in unarmadio destinato per i paramenti sacri, semprenella medesima cappellìna.

All'atto della consegna erano presenti il Rev.P. Liberio, Guardiano in luogo, P. Diego, precet-

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tore in luogo, e P. Carlo da Milano che nel 1946aveva avuto i primi contatti con il cardoSChuster,chiamato appositamente dal M.R.P. Provinciale.Tali resti, a sua volta, il Governo Italiano li conse-gnava verso il mezzogiorno del giorno seguente,nel cimitero di Predappio, alla vedova Donna Ra-chele Mussolini e agli altri familiari. A quest'ulti-mo atto era presente anche P. Carlo da Milano.

Dell'avvenimento la stampa parlò largamente ».

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VI.

FRA FELICIANO DA ARTOGNE

A Cerro Maggiore e in tutta la plaga di paesie cittadine che va da Rho a Gallarate, molti ri-cordano ancora fra Feliciano, l'umile fratello que-stuante, « quasi un cosino da nulla » all'apparenza,ma che si presentava sulla soglia delle case se-reno, giulivo e talvolta gìocondamente scherzoso,che aveva sempre una parola buona, un gesto fra-terno, che dal volto e dagli occhi modesti, mentredomandava la carità o suggeriva un pensiero spi-rituale, riverberava l'intima Ietizia dell'anima.Chi l'ha veduto quando scalzo, con la barba ruvidae spettinata e la vecchia tonaca rattoppata, siprofilava nella via con la bisaccia sulle spalle ri-curve e il passo lento e strascicato, di ritorno dallaquestua; ovvero quando, nel sole del mezzogiornoche inondava la piazzetta del convento, scodel-lava, presso il grande paiolo nero, la minestra fu-mante ai poveri recitando ad ialta voce l'AngelusDomini; e ancora quando, nelle lunghe mattinatedella domenica dopo la santa Messa, faceva laVia Crucis nella chiesa deserta e sembrava chetutto il dolore del Calvario trasparisse dal suovolto scarnito dall'età e dalla penitenza, certa-

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Frate Feliciano M. da' Artogne vissuto ben 42 annia Cerro (1904. 1946): « quasi un cosino da nullaall'apparenza, ma verO giullare di Dio e tipica fi-gura [rancescana ».

mente conserva in fondo all'anima una figurache non dimentica più.

Egli visse nel convento di Cerro ben 42 annie cioè dal 1904 al 1946, esercitando gli uffici diquestuante, portinaio, sagrestano e occupandosiin altre incombenze proprie della vita conven-tuale: uomo che, attraverso la rinuncia e il sacri-ficio di sé, era pervenuto a un altissimo spiritod'altruismo e cioè di carità cristiana, attinta nellacostante preghiera e nel gioioso servizio di Dio.Perciò di lui daremo più larga rievocazione.

Un paese valligiano senza pretese con pratie campi e, sulla montagna che incombe, boschi dicastagni. La casa dei Ravelli è in disparte, isolata,semìnascosta tra gli alberi secolari, situata su unripiano elevato che domina l'ampio solco del fiu-me Oglio. Fra Feliciano vi nacque il 27 agosto 1871e, al fonte battesimale, ebbe il nome di Cecilio.

Era una famiglia alìantìca la sua, con lO fi-gli, il rosario serotino, il saldo principio della ras-segnata fiducia in Dio nelle immancabili prove ela sacra legge del lavoro compendiata nella frasedi s. Paolo: « Chi non lavora, non mangì », Ce-cilio sentì la prima cìhamata del Signore al con-vento tra i dieci e i dodici anni, concretatasì nel-l'anima forse con la visione della mite e umilefigura del questuante cappuccino che, a ogni sta-gione, vedeva passare sulla soglia di casa. Ma,giovane e mingherlino, per la fatica del questuantenon era ancora maturo e, quanto alla vocazionesacerdotale, neppure ci pensava essendo quasi a-nalrabeta e provando, dei libri, un sacro terrore. 0,forse, si trattava di un'idea tuttora vaga che, puresedimentando al fondo dell'anima, non riusciva aprodurre una decisione ferma e risoluta.

1. - Artogne in Valle Camonica

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Alla visita militare venne riformato perchètroppo piccolo di statura, e perciò non fece il sol-dato, rimanendo nella vecchia casa dei suoi men-tre papà e mamma, un dopo l'altro, scompari-vano ed anche i fratelli e le sorelle superstiti sisposavano, sciamando per altri lidi. A 29 anni egliviveva con due fratelli, sposati e con famiglia,col-tivando il terreno avito: giovane onesto, di chìe-sa, ma ritenuto di poche risorse, incerto del suoavvenire, piuttosto timido.

2. - Peripezie di una vocazione

Fu dopo compiuti i 29 anni che egli avvertì ilcruccio intimo di non sapersi decidere a seguirela chiamata di Dio; amava i fratelli e non osavamanifestar loro la sua vocazione, anche perchèsentiva che si sarebbero opposti ad essa con tutte leloro forze. Perciò si diede a pregare con più fervore,finchè gli venne in pensiero di aprirsi col parroco(per farsi coraggio, comparve innanzi al sacerdotecon un libro in mano dicendo: « ,Qui è scritto chebisogna seguire la propria vocazìone ») : ma loattendeva una delusione completa. Dopo che, inmaniera piuttosto ingarbugliata, ebbe esposto alparroco il suo disegno e s'aspettava una parolad'incoraggiamento, udì rispondersì : « Cosa vuoiche se ne facciano di te i frati? Resta alla tua casae fa del bene anche qui! ».

Ma il guaio era la voce in fondo all'animache non gli dava pace. Così attese qualche altrotempo pregando; poi una domenica, dopo aver-ci a lungo pensato, disse a un amico: « Avvisa imiei fratelli che sono andato dai frati, a Lovere ».La risoluzione, per lui quasi eroica, finalmente erapresa. Percorse un tratto di valle, giunse a Lovere,salì non senza trepidazione al convento e, dopoaver indugiato un poco davanti alla porta, diede

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una leggera stratta al campanello. Ma l'esito delsuo tentativo si poteva prevedere: contava quasitrent'anni, nessuno lo conosceva e si presentava,una domenica sera e senza alcun documento, achiedere di vestir l'abito religioso. BeHamente glifecero capire che occorreva, almeno, una testimo-nianza del parroco: il che fu anche un modo gen-tile per congedarlo.

Cecilio, rattristato, lasciò il convento e ripresela stradicciola che, scendendo a Lovere, lo dovevariportare ad Artogne. Era scoraggiato, avvilito:dopo quella fuga, quasi superiore alla sua forzamorale, trovare dai frati simile accoglienza! Eora, che fare? T'ornare dal parroco dopo che l'ave-va congedato a quel modo? Camminava piano,immerso nei suoi pensieri quando, sulla stradettasolitaria, fu raggiunto da un religioso, p. Ambro-gio da Milano, che pure scendeva al paese; eglis'avvide dello stato d'animo del giovane e conalcune battute si aprì la via al suo cuore facendosiraccontare la pena che lo affliggeva. Promise poidi aiutarlo consolandolo e regalandoglì una coro-na del rosario: « Intanto prega la Madonna, evedrai che Ella ti farà superare ogni dìffìcoltà ».

Riprese la sua vita tra il bosco e il campo, di-ventando più silenzioso, più appartato finchè,qualche tempo dopo, p. Ambrogio gli fece saperedi rivolgersi ormai sicuro al parroco per avere idocumenti necessari, e questa volta realmente liottenne. Ripartì per il convento la prima dome-nica di ottobre del 1900, senza salutare i fratelliche continuavano ad osteggiare la sua vocazione.Accolto al convento da p. Ambrogio, vi fu ammes-so; ma il superiore chiaro e tondo gli disse che,per il momento, doveva adattarsi a fare il dome-stico in attesa che la Provvidenza avesse a man-dare un altro a rìmpìazzarlo. Accettò, se pure amalincuore e con certa disillusione.

Nel pomeriggio di quella domenica, ripieno discampanii perchè solennità della Madonna delrosario, p. Ambrogio gli fece la proposta di ac-compagnarlo a Lovere e prender parte alla pro-cessione, a conclusione della quale egli avrebbetenuto il discorso. Così discese al paese e, al met-tersi in moto della processione, s'incolonnò tragli uomini vestendo egli tuttora il' suo abito diborghese. Ma allora accadde un fatto inaspettato.Mentre camminava lentamente recitando il rosa-rio, si sentì chiamare sommessamente per nomee, alzando gli occhi, scorse i due fratelli che glifacevano segno di uscir dalla processione perchèavevano bisogno di parlarglì. Al suo rifiuto, senzamolte cerimonìe si avvicinarono afferrando lo perun braccio e strascinandolo via. Fosse violenza deifratelli o debolezza da parte sua, quella sera egliritornò ad Artogne, accolto dalle cognate e dainipoti con gran festa. Ma si trovò presto a disagioper il rimorso di tradire la vocazione e, dopo unpaio di settimane, riprese la via del convento,pronto a sobbarcarsi anche all'ufficio di domestico,pur di restare.

In effetto il superiore fu irremovibile e per alcunimesi lo lasciò nei suoi panni borghesi obbligandoloa seguire, in tale condizione, il fratello questuanteche si spostava di paese in paese per raccoglierela carità dei fedeli. Un giorno, con cavallo e car-retto, dovette portarsi anche ad Artogne, accoltodai frizzi dei coetanei e dei parenti che lo canzona-vano per essere diventato il {(servo » dei frati. Ilsuperiore verosimilmente voleva saggiare la con-sistenza della sua vocazione; ma questa volta siera spinto un po' troppo innanzi non calcolandola resistenza del postulante. Fatto sta che, alcunigiorni dopo, Cecilio si presentò al superiore e disserisoluto: « Reverendo Padre, o mi dà modo di

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realizzare la mia vocazione concedendomi l'abito,o io ritorno a casa mia».

Probabilmente saranno stati i buoni uffici delp. Ambrogio; comunque questa volta il superiorecedette e lo rivestì dell'abito religioso pur badandoa ripetere: « Per ora ve lo concedo: ma tenetevipronto a ritoglierlo se la Provvidenza non ci man-da un nuovo domestico». Ma Dio, più buono delp. Guardiano, provvide un nuovo domestico e il9 febbraio 1901 Cecilio, a quasi trent'anni di età,faceva regolarmente la sua vestìzìone religiosaassumendo il nome di fra Feliciano da Artogne einiziando il noviziato canonico.

3. - « Non sapete tar nulla! »

nulla: 44 anni di ininterrotto lavoro avrebberoprovato il contrario.

Dopo essere stato qualche mese nel conventodel noviziato, sua prima destinazione fu Cremonaun convento di studentato dove rimase dal 1902ai1904sotto la guardiania del p. Francesco da Berzoe la direzione disciplinare del p. Camillo da Albi-no che fu, poco dopo, ministro provinciale (1905-1911) e in seguito Vicario Apostolico dell'Eritrea0911-1924). Qualche ricordo di lui si è conservatoanche in questo periodo come quando, essendo ca-novaio, alla pubblica mensa per disattenzione col-locò innanzi al superiore il boccale del vino vuoto,suscitando l'ilarità di tutta la famiglia religiosa,oppure quando, volendosi correggere un fratelloanziano che strappava sconciamente il pane coidenti, si ricorse all'espediente di correggere del di-fetto fra Feliciano che non ne aveva nè colpa nèpena.

Nell'estate del 1904,alcuni mesi prima che SpI-rasse il triennio della professione semplice, vennedestinato al convento di Cerro Maggiore, dove fudefinitivamente ammesso all'Ordine cappuccino il12 febbraio 1905,allorchè pronunciò i suoi voti so-lenni e perpetui. Dal convento di Cerro non si sa-rebbe più mosso sino alla sua morte, avendo in es-so la sua abituale residenza. Qui avrebbe servito eamato Dio per ben 42 anni sacrificandosi per a-mor dei fratelli; e di qui, specialmente nei lunghianni di questuante, avrebbe recata la letizia delbuon Dio anche sulle strade del mondo, a modosuo, donando, mentre chiedeva l'elemosina per ilconvento e per i poveri, una carità più grande conla sua parola semplice, il suo esempio, la sua sere-renità festosa e invitante.

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L'anno di prova passò rapidamente. La voca-zione si rivelò di buon metallo perchè, a testimo-nianza dei compagni di noviziato, fra FeUciano siapplicò con serietà alla preghiera, allo spirito dimortificazione, alla penitenza e al lavoro. Egli pro-fessò 1'11 febbraio 1902 con gioia profonda per ilsuo spirito e i suoi bravi propositi di santità. Maqui va ricordato un particolare di quel giorno so-lenne. Fra Feliciano dopo la funzione si recò,secondo l'uso, dal Padre Maestro per ringraziarlodi quanto aveva fatto per lui nell'anno di forma-zione religiosa; ed ecco ciò che udì ripetersi, siapure in maniera bonaria, dal Maestro con allu-sione alle sue poche risorse o apparenze fisiche eintellettuali: « Frate Felìciano, lo vedete anchevoi, siete sordo, miope e un cosino da nulla; nonpotete sostenere grandi fatiche e, quanto a uffici,non sapete far nulla per scarsa intelligenza. Cer-cate almeno di farvi santo »,

Certamente, la preoccupazione prima restavaquella della santità, scopo ropdamentale della vi-ta religiosa; ma non era vero che non sapesse far

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4. - L'ufficio di questuantegelo, ,~o~ ~ccusando alcuna alterazione nella voce;ma l Individuo era troppo agitato per capire il ge-sto, e fra Feliciano si allontanò.

questi non erano, tuttavia, che casi eccezionalimentre in generale era accolto con simpatia sti~mato dai parroci e desiderato dalle popola~ioniche l'ammettevano nelle loro case come un santofrate e si raccomandavano alle sue preghiere. Ri-spettoso e delicato con tutti, per tutti aveva unabuona parola, un sorriso, lasciando indimentica-bili esempi di dolcezza, cordialità, accondìscenza.Taluni fatti appaiono singolari, ma quadrano be-ne col suo carattere e aiutano a comprenderlo. Ungiorno, di buon mattino, si dirigeva allo stradonepolveroso che porta a Saronno, ove intendeva impe-gnare la Madonna per tutti quelli che si raccoman-daVa!lO alle sue preghiere. Al limite del paese, da-vanti a un'osteria, degli uomini intenti a bere loscorgono con la corona del rosario in mano e cosìun po' per ridere un po' per gradasseria e forse an~che, perchè no? per senso di cordialità lo fermanoe lo invitano a bere. Non è certo con~uetudine difra Feliciano bere a quell'ora, e perciò si schermi-sce : ~a quelli insistono, lo prendono per un brac-CIO,gli versano un bicchiere di vino dicendo: ({Be-vete, bevete, il vino piace anche ai frati... ». Allorail religioso prende il bicchiere fra le mani e dice:({.Per ?bbedienza, per amore di Nostro Signore Ge-su Cristo ! », e trangugia il vino. Gli uomini tac-ciono, non ridono più, toccati dall'atteggiamento edalle parole di fra Feliciano che si allontana nelsole col suo passo strascicato e la persona rìcurva,pregando; quella visione del frate penitente, uo-mo. di Dio che obbedisce e prega anche per loro,sara forse seme fecondo nel loro spirito.

Più spesso, però, gli episodi edìrìcantì si colle-gano direttamente col suo urrìcìo di questuante.{{Avevo otto o nove anni - racconta p. Alessìo da

Fu questo l'uffìcìo che occupò tutta la vita difra Felìcìano, anche se negli ultimi anni i supe-riori, per sollevarlo alquanto, affidarono la gravo-sa questua della campagna a un confratello piùgiovane riserbando a lui quella dei centri maggioricome Legnano, Busto e Gallarate e incaricandolo,quasi a compenso, della sagrestia e della porta delconvento.

La questua nel distretto di Cerro è assai fa-ticosa perchè bisogna propriamente passare di por-ta in porta chiedendo per amor di Dio e adattarsia tutti gli imprevisti che essa comporta. Fra Peli-ciano andava sempre allegro e modesto, contentodella fatica e contento anche delle umiliazioni chetalvolta gli era necessario sopportare. Riconoscen-te a chi dava, si mostrava calmo e sorridente an-che quando l'elemosina gli era negata o addiritturaveniva insultato e malmenato, cosa che non glimancò nei lunghi anni del suo vagabondaggio sul-le strade del mondo nel compimento del suo dove-re. Proprio in occasione della sua morte un signo-re scriveva di averlo, un giorno, {{'difeso e protet-to dalla malvagia brutalità di un energumeno chel'aveva malmenato e percosso », mentre egli insi-steva a scusarlo ({mostrando una non comune se-renità e compostezza d'animo, unite a francescanarassegnazione ». In altra occasione, entrando in uncascinale, un uomo lo accolse imprecando con que-ste parole: {{Togliti di qua, barbetta di Cristo;piega la schiena e lavora, se vuoi mangiare! ». Eglis'inginocchiò sull'aia mormorando umilmente ilringraziamento usato dai religiosi in convento ecioè: {{Sia per amor di Dio! ». Altra volta, colpitoda un tizio con una violenta guanciata, porse an-che l'altra guancia, proprio come insegna il Van-

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Nerviano - e fra Feliciano venne per la questuaal paese, nel cortile ove abitavano i miei genitori.Al suo apparire noi ragazzi lo attorniammo per chìe-dergli l'immaginetta ed egli, accontentandoci, ciparlava di Dio e della Madonna e ci raccomanda-va di essere sempre buoni. Suona il mezzogiornoe noi, nonostante l'appetito, ci indugiamo con lui.Allora una vecchietta, che già sta mangiando, sirivolge a fra Feliciano: « O buon frate, avrete cer-tamente fame». Il religioso risponde: « Sì, un po'di fame ce l'ho ... ». Quella vecchietta allora - oh,rustica semplicità! - prende una sedia, invita ilfratìoello ad accomodarsi, quindi gli passa la pro-pria scodella con relativo cucchiaio, perchè fini-sca quel tanto di minestra a cui essa rinuncia. FraFelìcìano, ubbidiente, senza il minimo segno di di-sgusto, prende la scodella e cucchiaio, siede in mez-zo a noi e beatamente trangugia quel povero avan-zo. Noi restammo lì a guardarlo muti di ammira-zione. Fra Feliciano predicava così». E possiamoanche aggiungere che s. Francesco l'avrà guarda-to con compiacenza perchè, per amor di Dio, siera proprio fatto povero coi poveri.

Ma come narrare tutti gli episodi capitatiglinel suo quotidiano andare, ìmprestì e incontri cheinrìoravano la sua vita di questuante e che rivela-no le varie sfumature della sua indole buona efraterna? A Gallarate s'imbatte in una colonna disaldati. L'ufficiale a cavallo, che andava innanzi,scorgendolo disse: « Sia lodato Gesù Crista! ». Alche fra Felicìano volgendo lo sguardo sorridenterispose: « Sempre sia lodato l ». E indicando i sal-dati che seguivano domandò: « Sona buoni?».« Tutti buoni ragazzi», rispose l'ufficiale. Allorafra Felìcìano si trasse in disparte e, al passaggiodella colonna, porgeva a ogni saldata una cara-mella ripetendo:({ Bravi! Bravi!».

Con la sua dolcezza e mansuetudine riuscì an-

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l che ad ammansire e mutare completamente unricca coltivatore che, farse in un gesto incontrol-lato di rabbia, l'aveva percosso: senza cambiare ilsua salita timbro gioviale di voce, fra Felicianodisse: « questa è per me, ma, ara, che mi date peri miei frati? ». L'uomo, vinta dalla potenza di quel-l'umiltà, comprese la sua enormità e le lagrime delsua pentimento bagnarono le mani del religiosache, in tal modo, aveva trovato un nuovo amico erìguadagnato un'anima a Dia.

« Per amare del Signare! ... »,e.cca il segreta dellainalterabile pace, della sua giovialità e letizia chetanta impressionavano.

5. - L'uomo della carità

Fra Feliciana batteva le strade non sala a ma-tivo di questua, ma anche per esercizio della cari-tà che ardeva nel sua cuore e che la portava in-stancabilmente a sacrificarsi per gli altri. Si hanotizia di veglie notturne di lui al cappezzale dimorìbondì a malati, di premurose visite a famiglieafflitte o colpìte da sventura, di aiuti d'ogni gene-re recati a poveri e bìsognosì, di viaggi a santuarimariani per raccomandare persone che avevanofiducia nelle sue preghiere. Quanta premura equanta affetta per i suoì « fratelli» e le sue « sa-relle » e cìoè tutticoloro che si trovavano in neces-sità! Assicura p. Alessìo da Nerviano, che fu il suaultima superìore : « Quante volte venne da me persignificarmi la situazione di miseria di qualche fa-miglia, a fine di ottenere il permessa di questuareper loro vitta e vestiario!». « L'amore divina -scrive Ida Spinelli - di questa povera creaturaaveva fatta un gigante. Fatiche, fame, fredda,mortìrìcazìonì, disagi, dolori fisici, tutta avevasofferto fra Felicìano « per amar del Signare»; eda quanti si confidavano in lui, gli narravano le

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proprie tristezze, egli con volto ispirato e con unsorriso giungendo le mani diceva: "Pazienza! ...Per amore del Signore! Pensate a quanto Egli hapatito per noi sulla Croce!"».

Si sa che a famiglie povere provvide medicina-li, oggetti di vestiario, commestibili; che trovò unposto di lavoro a capi famiglia disoccupati; chepazientemente affrontò ripulse e sopportò umilia-zioni pur di far giungere a segno una raccomanda-zione. Alla famiglia di un deportato in Germania,al tempo della guerra, per molto tempo recò quo-tidianamente il necessario; a quella di un operaiorimasto invalido a causa di un incidente provvidea far ricoverare i bambini in un istituto di assi-stenza. Noto, tra gli altri, l'episodio della farina.Quanto squallore in quella casa, quanto dolorenella voce di chi gli racconta la sua povertà. Ladonna tra le lagrime narrava quale fosse la mise-ria della famiglia, e fra Feliciano ascoltava a capochino. Poi disse in un 'Sospiro: « Sono povero an-ch'io come te, buona sorella! Accetta nel nome delSignore questa farina che la bontà di una cristia-na ci ha offerta! ». Poi se ne andò lasciando sultavolo il sacchetto contenente i venti chili di fari-na di frumento, che gli erano stati donati per ifrati, e se ne tornò al convento a mani vuote. Eglinon disse nulla a nessuno, ma dopo alcuni giorni,per combinazione, la donatrice della farina rico-nobbe il proprio sacchetto nella casa della benefi-cata e si commosse quando sentì come quella fa-rina da lei offerta a fra Feliciano per il convento,fosse andata a finire in quella casa. I1 fatto volòdi bocca in bocca ed i poverelli si rallegrarono perl'amore e la carità che il buon frate aveva verso diloro.

Si presentava con un sorriso sul volto e, in ma-niera quasi furtiva, faceva la sua carità, così che,mentre {{una mano si protendeva per chiedere,

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l'altra si apriva per donare». Specialmente allaporta del convento, con i poverelli del mezzogior-no, quanta fraterna comprensione e gioioso affet-to dimostrava! Ma egli era sempre pronto a qual-siasi ora. « Santamente geloso dei suoi poveri, lui,lui solo voleva approntare la loro minestra e peressi questuava il condimento che servisse solamen-te per loro ». Anche qui gli episodi sarebbero nume-rosi, ma non presentano, per quanto si sappia,sfumature particolari.

In realtà l'ufficio della portineria fu per fraFeliciano propriamente un continuato eserciziodella carità, nel quale egli rivelò stupendamentela luminosa bontà del suo spirito, accogliendo tut-ti fraternamente, donando non solo il pane o laminestra ma la sua buona parola, il suo sguardocompren~ivo e rasserenante, il suo consiglio, la s:uafiducia nella vita, la sua gioia. « Lui solo - dìcep. Alessio - seppe quante lagrime asciugò, quanticuori consolò, non con lunghe chiacchierate, macon le poche parole che sanno ~ire gli uom~~i. ~iDio». Perchè tra l'altro, fu di una sensìbìlìtàstraordinaria sia con i confratelli, come con gliestranei, pronto a soffrire lui per evitare agli. alt~incomodi o sacrifici, come è provato da moltì ept-sodi.

{{Noi - si legge nel fascicolo curato da AnnaliFranC'escani per la sua morte - lo vediamo inuna fredda mattina d'inverno, rattrappito presso~a porta del convento e con la corona del rosariofT'a le mani. E' ancora notte, nel cielo palpitanoancora le stelle, solo ad oriente una striscia latt~aannuncia il prossimo arrivo del giorno. Le operaie,che a cagione dei bombardamenti vanno gi~ al la-voro, lo scorgono nella luce incerta, ap~~gglato almuro come un mendicante. « Fra FehC1ano, chevi è successo? Che cosa fate quì " ». Sono appenale cinque, la chiesa è ancora chiusa; il frate 81

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posa un dito sulle labbra e scuote il capo: "Prego!".Ma qualcuna insiste, vuol sapere, ed egli allora,sottovoce, come vergognoso racconta: "Ho passatotutta la notte a Parabiago, vegliando un amico mor-to". Verso le tre del mattino i parenti del defuntogli hanno dato il cambio, ed egli invece di tratte-nersi, riposare e rifocillarsi, 'Comelo avevano invi-tato a fare, piano piano, in preghiera, si era in-camminato verso il convento, per giungere in tem-po alla prima Messa; ma è arrivato troppo prestoalle quattro e mezzo! E perchè avrebbe dovutosuonare la campanella e svegliare i confratelli giàtanto stanchi, che a quell'ora riposano ancora? E'tanto bello pregare nell'attesa che l'uscio dellachiesa si schiuda! "Ma fa tanto freddo, fra Felicia-no". Egli solleva al cielo 'quei suoi occhi buoni chesi illuminano: "Per amore del Signore !... ».

{{Per amore de Signore! ... », ecco il segreto del-la sua indomata energia di bene, della sua caritàinesausta,

6. - Il linguaggio del cuore

Fra Feliciano, religioso penitente e mortificatoosservantissimo dei suoi doveri, obbediente rom~nessun altro ai suoi superiori, umile, povero, estre-mamente caritatevole, trovò il segreto della suasanta vita nel continuo contatto con Dio attuatomediante la preghiera. Egli possedette veramentelo spirito di preghiera, proprio delle anime care aDio. lo stesso, che ebbi la:ventura di vivere con luialcuni anni, posso dire di essere rimasto profonda-mente colpito dal suo costante atteggiamento diuomo che parla interiormente con Dio. Tale fu laimpressione anche di altri confratelli, oltre che deiborghesi: {{l'era bun de preg'à », ecco la frase conla quale si volle, da taluno, riassumere tutta lasua vita.

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l Egli pregava in convento. Quando vi si trovavanelle domeniche e in altri giorni esercìtandovìl'ufficio di portinaio, per lui era un continuo anda-re e venire dalla chiesa, davanti al tabernacolo oall'altare della Madonna. Alla sera lo 'Si credevaa letto, e invece {{era là, nascosto in un angolodella chiesa, in profonda preghiera e tanto immer-'0 da non accorgersi di coloro che stavano ad os-servarlo »; e anche {{quando al mattino i fratiscendevano in coro al mattino, trovavano semprefra Felìcìano che già da tempo si intratteneva colSignore »,

Pregava fuori di convento. {{Era sempre con lacorona in mano anche e specialmente in viaggio.La corona era il suo conta-chilometri. E chi viag-giava con lui, doveva pregare con lui senza pen-sare a stancarsi. Lo attestano quegli uomini diCerro Maggiore che hanno accompagnato fra Fe-liciano alla questua, e la frase da loro usata è as-sai espressiva: "abbiamo detti rosari per fino atanto che campiamo! ..." ».

A Darfo, in casa di un suo nipote sacerdote cheera coadiutore della parrocchia, ne successe unacoi fiocchi. Si sa, una casa di coadìutore non hamolti ambienti, e c'erano altri ospiti. Ma per far po-sto allo zio frate, si fanno anche sacrifici. Perciòquella sera la perpetua, sorella del coadìutore enipote di fra Feliciano, cedette la proria stanzastendendo per sè una branda in cucina. Se nonche il religioso, invece di stendersi a dormire, prefe-rì passare tutta la notte su di una sedia. {{Quandome ne accorsi al mattino - diceva la nipote chenon aveva peli sulla lingua - lo avrei preso aschiaffi per avermi giocato un tiro simile. Diami-ne! la notte non è forse fatta per dormire? ». Mafra Feliciano mansueto avrebbe risposto: {{Digiorno in particolare si lavora: e quando allorapregare, se non la notte? Bisogna pur pagare ilpane dei benefattori ».

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Quest'ultima frase, se pur detta in altra circo-stanza, è di fra Feliciano e rivela, fra l'altro, unodei motivi del suo continuo pregare. Nel vecchioconvento, ora demolito, presso la portineria esiste-va una scaletta che portava al piano superiore ealla cella di fra Feliciano: a metà di essa, in unapiccola nicchia, era esposta una statuetta di s. An-tonio di Padova e molte volte il santo religioso siinginocchiava davanti ad essa restando lungo tem-po in preghiera. Una sera d'inverno, a tarda ora,n superiore lo trova in quella posizione e gli chie-de perchè rimanga lì, con quel freddo, nonostantela sua età. « Padre Guardiano - rispose - sto pa-gando il pane dei benefattori». Oh! caro fra Fe-,.. ,uciano r

Naturalmente, c'erano altri motivi nella suapreghiera, come il suo amore a Dio, il bisogno digrazie per tutta la Chiesa, i peccatori, i fedeli de-funti di cui fu devotissimo, i missionari sparsi nelmondo per la predicazione del Vangelo, e altri anco-ra; ma la frase dice il vivo sentimento di rìconoscen-n del suo cuore verso tutti coloro che in qualchemodo si mostravano a lui benefici ricompensandola sua fatica di questuante. ,Spesso anche, con li-cenza del superiore, visitava santuari marìani, co-me quelli di Saronno, di Rho, del Sacro Monte diVarese; e un giorno che il superiore gli chiese ilmotivo di tali peregrinazioni, rispose: « PadreGuardiano, devo pure pregare per tutti quelli chesi raccomandano alle mie povere preghiere, e sic-come le mie orazioni non valgono niente, voglioimpegnare la cara Madonna».

7. - Con DiO'

Quarantadue anni sono molti, ma tutto ha untermine nella vicenda terrena. Così anche la gior-nata cerrese di fra Felìcìano, tanto ricca di bene

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e così luminosa per esempi di virtù, conobbe il suotramonto rapido, quasi inaspettato. Infatti, se ac-ciacchi non erano mancati negli ultimi anni, nul-la però faceva prevedere che la sua scomparsa sa-rebbe stata tanto repentina.

L'uomo che nell'amore a Dio e ai fratelli non co-nosceva stanchezza e sosta, anche la mattina del 21marzo 1946, alle ore 8.30, si disponeva ad uscire dalconvento per la questua, come di consueto. Ma unimprovviso colpo apopletico gli paralizzava tuttala parte destra del corpo scagliandolo, come cosamorta, al suolo, annebbìandogli i sensi e toglien-dogli completamente la parola. Il medico del con-vento, dotto Pio Benetti, lo dichiarava subito gra-vissimo, con nessuna speranza di salvarlo. Gli ven-ne amministrata l'estrema Unzione e, negli 8 gior-ni successivi, i religiosi del convento ed anche mol-ti abitanti di Cerro Maggiore, S. Vittore, Legnanoe altre località pregarono fervorosamente il ven.P. Innocenzo da Berzo per la sua guarigione; maDio lo voleva in paradiso. Egli morì il 29 marzosuccessivo, alle ore 8.30, assistito dai confratelli edal nipote don Giuseppe Ravelli, curato a Darfo.Il suo fu propriamente un addormentarsi nel Si-gnore spirando con serenità angelica dopo che nel-l'agonia, sempre con la corona del rosario in ma-no, aveva baciato e ribaciato il Crocifisso.

La salma per tre giorni rimase esposta nellachiesa del convento, all'altare di S. Antonio, traun continuo affluire dì gente che lo toccava e ba-ciava con grande devozione. Le mamme portava-no i loro bambini, quasi per ottenere ad essi unaspeciale benedizione; e frattanto i ragazzi, raccol-te nei campi delle viole mammole, si affaccenda-vano a disporre gli umili fiori sulla salma del lorocaro fra Feliciano. Nella cassa vennero depostelettere su lettere, di richiesta, di preghiere, di ri-cordo; gli furono tagliati anche 50 centimetri del-

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la tonaca per devozione, e il furto fu così ben ma-scherato che i religiosi non se n'accorsero.

I funerali furono imponenti, sembrando quasiche « il fratino )}fosse recato al trionfo e non allatomba. Il 31 marzo, domenica, alle ore 9, in unachiesa stìpatìssìma, ebbe luogo l'ufficio da mortoe la Messa esequiale cantata dal nipote di fra Fe-liciano, don Giuseppe Ravelli. Il trasporto si svol-se alle 4,30 del pomeriggio, con la partecipazionedi numerosi conf'ratellì dei conventi di Milano,Bergamo e Crema, del Clero locale, associazioniparrocchiali e corpo musicale di Cerro Maggiore.« Una vera fiumana di popolo seguiva il feretro:gente accorsa da tutte le parti e molti in pianto.Lungo le vie, per le quali doveva passare il corteo,ogni casa era parata a lutto. Fu una partecipa-zione totalitaria che richiamò attorno all'umilefrati cella, che non aveva fatto che del bene, tuttele categorie di persone senza distinzione di idee odi partito. Tale attestazione plebiscitaria fu un e-loquente riconoscimento di quanto possa sul cuoredegli uomini l'irraggiamento evangelico della ca-rità e dell'umiltà ».

- Addio, fra Feliciano! Resta sempre, col tuoricordo, in fondo alle nostre anime e impetraci la«razìa di imitare il tuo esempio e cioè di essereumili e caritatevoli come te, di sapere, come te, pre-gare e amare Dio per poter ripetere, in ogni circo-stanza, come tu hai fatto: « Per tuo amore, Si-gnore! »,

VII.

IL NUOVO CONVENTO

Dopo il lungo secolare servizio di quasi 380 an-'li e le 'Svariate peripezie subite, il vecchio conven-to risentiva dell'età ed era, nonostante i saltuarirattoppi intervenuti, cadente, così da rendersi ina-bitabile. La ragione di tale condizione, secondo itecnici, era da rìcercarsì nel fatto che le muratu-re, legate insieme con l'argilla ricavata inizial-mente dagli scavi, erano talmente impregnate diumidità che non solo non reggevano più l'intona-CO, ma propriamente cedevano minacciando ro-vina.

Di qui la preoccupazione dei vari superiori chesi succedevano al governo delle famiglie, incertisul da farsi in quanto riparazioni più o meno am-pie non bastavano più, ma s'imponeva una verae propria ricostruzione.

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1. - Restauri alla chiesa

Per la chiesa, di assai recente costruzione (1750circa), tuttora solida ed elegante nelle sue lineeessenziali, poteva essere sufficiente un buon re-.auro, condotto con gusto e tale da conferire al

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sacro edificio nuova grazia e suggestività religio-sa, e tale via fu appunto seguita.

I lavori incominciarono nel 1957,sotto la guar-dìanìa del p. Liberia da Nembro, e furono carat-terizzati da larghezza di mezzi e sicuro intuito ar-tistico. All'interno della chiesa la vecchia decorarzione, che era di Paolo Zambellini (attivo in dìver-si conventi cappuccini della Lombardia come Bre-scia, Casalpusterlengo e Sovere), fu raschiata e,al suo posto, il maestro Villasco vi stese l'attuale,piacevole, sobria, intonata alle linee architectoni-che del sacro edificio. Il pavimento venne intera-mente rifatto con impiego di buona varietà dimarmi che splendono nelle tinte 'severe e che in-quadrano, al centro, il mosaico del buon Pastore,ìeratìco ma non senza vita.

Anche l'esterno della chiesa risentì dell'attivi-tà restauratrice messa allora in atto. La facciata,ricondotta al primitivo schema gotico -lombardo,apparve in elegantissime linee col rosone centrale,finestre e lesene coronate da cimase, il tutto inlaterizi speciali eseguiti dalle fornaci «Fratelli Ca-veada» di Cremona. Anche il massiccio portale diserizzo venne opportunamente a ìnserìrìsì nellanuova linea, mentre i piccoli archi di coronamen-to e lo zoccolo diedero alla facciata nuova vita.Sopra il portale l'affresco della lunetta, assai de-teriorato, cedette il posto ad un mosaico rappre-sentante la Visitazione, opera della ditta milane-se D'Agnolo Umberto.

Con il p. superiore successivo, p. Erasmo daTreviolo (1958-1961),i due «ccrettì » a fianco del-l'altar maggiore furono ampliati e quello di sini-stra, in particolare, acquistò eleganza nuova fat-ta di luminosità, di volume e di sobria decorazio-ne; i confessionali degli uomini ebbero nuova si-stemazione; dalle grandi finestre nuova luce giun-se allo stesso altare maggiore e presbiterio. In tal

modo la chiesa fu veramente rimessa a nuovo, trarsformata in un vivente edificio del culto, ricco disuggestività e di mistero e invitante alla preghiera.

2. - Cerro o Saronn'Ol?

Ancor prima dei restauri alla chiesa e poi ne-gli anni successivi si parlò di lasciare il conventodi Cerro Maggiore e costruirne, in suo luogo, unonuovo a Saronno. Il motivo era non solo lo statofatiscente del vecchio convento, che richiedeva u-na ricostruzione ab imis:, ma anche l'insistente ri-chiesta di mons. Benetti, prevosto di Saronno, af-finchè i Cappuccini aprissero una loro casa inquella sua parrocchia e popoloso centro.

Effettivamente, il dilemma si presentò in ter-mini concreti ai superiori della monastica provinciadei Cappuccini Iombardi che, per qualche tempo,rimasero incerti se accettare, o no, l'offerta di mons.Benetti. Quest'ultima, ovviamente, comportava loabbandono di Cerro perché non si poteva pensarea costruire contemporaneamente e, molto più, atenere aperti due conventi a sì breve distanza qual'èquella che intercorre tra Cerro Maggiore e Saron-no: motivi di questua, di personale, di regolareosservanza, di tradizione vi si opponevano.

Ma nell'incertezza, causata anche da nostalgiae rincrescimento di dover lasciare uno dei conventipiù antichi della provincia monastica, un elementonuovo ebbe ad emergere e a imporsi, e cioè l'affet-tuosa premura della buona popolazione di Cerroche, avuto sentore della cosa, manifestò il suo de-voto attaccamento ai religiosi e al loro vecchio con-vento ed anche espresse chiara volontà di aìutarnela necessaria ricostruzione, secondo quella tradi-zione dì simpatia e di stima che aveva già caratte-rizzato i secolari rapporti tra religiosie popolazione.Così, attraverso le misteriose fila della Provviden-

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za, si lasciò cadere I'idea di Saronno e si rivolsenuova attenzione a Cerro Maggiore, anche nelricordo di tante indimenticabili figure di santi relì-giosiche erano passate per il convento,

In conseguenza si fece strada il progetto dellaricostruzione e, a tal fine, veniva mandato a Cerroper un sopralluogo il fabbriciere della monasticaprovincia, e cioè il p. Angel Maria Nulli da Milano,il quale raccolse i rilievi tecnici del caso. In un pri-mo tempo si era ritenuto sufficiente un radicalerestauro che avesse a dare nuovo volto al convento,opportunamente rinforzandolo e rimodernandolo;ma i vari assaggi e tentativi furono praticamenteinutili perché l'edificio non teneva più e fu gioco-forza puntare su un'effettiva ricostruzione.

Sembrava che la soluzione del problema fosseormai matura e imminente e si aspettava che ilavori dovessero tra non molto incominciare, quan-do, sfortunatamente, venne a frapporsi ilcosid-detto « progetto Sondrio». Infatti, mandato il fab-briciere nella cittadina valtellinese per una visionedel luogo dove si meditava costruire un conventoche servisse per riunioni del Clero e in pari tempoconvogliasse le vocazioni all'Ordine della Valtel-lina, il superiore provinciale d'allora diede la pre-cedenza al nuovo progetto, mentre quello di Cerrovenne di nuovo rimandato.

per sì cospicua spesa, talché il progetto attrassenuovamente l'attenzione dei superiori maggiori.

Fu nella congregazione defìnitoriale dell'autun-~o 1961c~e i superiori della monastica provinciaripresero m esame la sistemazione .di « Cerro» ediedero il via alla ricostruzione del convento. Pur

, senza stabilire il definitivo impiego futuro dellanuova fabbrica, per il momento essi decisero di rì-fare.la. parte desti~ata ad a:bitazionedella religiosafamìglia : m seguito, se ntenuto necessario, conopportune aggiunte già contemplate nel progettoi~iziale~il conventopoteva essere adattato a « luogodì studìo » o a « casa di esercizi 'spirituali» dellaProvincia.

Nell'imminenza dell'inizio dei lavori non man-carono suggerimenti miranti a rendere concreta-me~te funzionaIe la nuova costruzione. Così i fe-delì 'che frequentano la chiesa, da tempo raccoman-davano che l'accesso laterale alla chiesa e ai co-retti fosse non solo mantenuto, ma reso più age-vole e che, i~?ltre, si studiasse la possibilità di per-mettere la VISlOnedel chiostro. Gli amici di s. Fran-cesco espressero il desiderio che 'si allestisse, all'in-gresso,un salone capace adatto per riunioni e con-ferenze ed anche per attività missionarie e assi-stenziali. Altri ancora suggerirono l'opportunità diun lar?,o spazio antistante per il parcheggio dellemacchine.

I! prog~ttista e direttore dei lavori, p. AngelMana Nulli, tenne conto di tutto ciò come si videa opera compiuta. Nondimeno, di m~ggiore impor-~anza ~uron? le due direttive generali, assurte aidee-guida dì tutta la costruzione, e cìoè : 1) con-servare, nel,l0 s~ile e nella misura, la semplicitàpropria dellOrdme, vale a dire francescana e cap-puccma ;. 2) creare all'interno quella funzionalitàdi S~:VIZI?he. viene imposta dai tempi moderni.Perciò antìchìtà e modernità, semplicità ed ele-

3. - Due direttive

Pur tranquilli nella loro povertà e contenti delloro lavoro, è evidente che i religiosi dellacomu-nìtà cerrese premevano perché si prendesse allafine una decisione; il nuovo superiore, p. Ezechieleda Rigosa, giuntovi col capitolo provinciale del1961,frappose i suoi buoni uffici e già stabiliva op-portuni contatti alla ricerca dei necessari fondi

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ganza, francescanità ed esigenze attuali, che nonsarebbero respinte da s. Francesco d'Assisi, maammesse e sublìmate in un più intenso, dinamico,rumorososervizio di Dio.

4. - Sorçe il nuovo conoento

Secondo la cronaca compilata dal superiore inatto e cioè p. Ezechiele da Rigosa, la demolizionedel vecchio convento fu incominciata il 20 marzo1963 e si protrasse per alcun tempo, mentre, con-temporaneamente, s'iniziavano gli scavi per la nuo-va costruzione che adottò un tracciato alquantopiù ampio di quello precedente. I religiosi, nel frat-tempo si raccolsero nella vecchia ala parallela aVia C~ppu0cini, che formò il trait-d'union tra ilvecchio edificio e il nuovo. La prima impresa,cheassunse i lavori, fu la ditta « Sala Aristide» diPalazzolo sull'Oglio che, sotto la direzione del pro-gettista p. Angel Maria Nulli da Milano e del suosostituto p. Agnelloda Ombriano, iniziava la costru-zione vera e propria sul finire della primavera.

Ma i lavori, condotti inizialmente con slancio,in prosieguo di tempo perdettero del lor~ mord:n~ee in alcuni periodi ristagnarono per dìffìcoltà Incui venne a trovarsi l'impresa. 8i pensava che, perl'inverno del 1963, un'ala del nuovo fabbricato sa-rebbe stata pronta per accogliere la famiglia reli-giosa; ma ciò non fu possibile ottenere e i religiosi,in letizia più o meno francescana, passarono «UI~ainvernatadi disagi, sempre allogati nella vecchìaala cadente, aperta ai quattro venti e quasi bar-collante per freddo e umidità». .

A parte la nota di colore appuntata dal crom-sta la lentezza dei lavori divenne preoccupantepe;ché l'inosservanza delle scadenze scombinava ipiani iniziali e creava nuovi problemi. Alla finel'impresa Sala, dopo ovvie tergiversazioni, accettò

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\ la liquidazione dei lavori incompiuti e fu sostituitacon l'impresa « 8tevenazzi Angelo» dì Cerro Mag-giore. Ciò avveniva dopo la Pasqua del 1964, aiprimi di aprile. Il lavoro, con maggior numero dioperai, prese subito un nuovo ritmo e, già nel mag-gio successivo, i religiosi potevano trasferirsi nellenuove celle, dando la possibilità all'impresa di ab-battere l'ultima ala del convento e rifarla ex novoper completare il disegno di costruzione program-mato.

Anche quest'ultima parte dei lavori fu condottarapidamente a termine, e ad essa si aggiunse poila sistemazione del piazzale, altri lavori dì rifini-tura e la costruzione a parte del cosiddetto « ru-stico » o ambienti destinati a deposito di provvistee attrezzi'. Con I'ìmpresa Stevenazzi, in questa con-clusiva parte dei lavori, collaborarono varie ditte,ciascuna per il suo particolare settore di attivitàe cioè: la ditta elettrotecnica « Signorelli» perl'impianto elettrico; la ditta « Montani» per quel-lo idraulico, la ditta 1«Frontìnì » per l'imbianca-tura dei vari ambienti e le necessarie verniciature.Aggiungeremoche, alla non indifferente ripulìturadi pavimenti, vetri, porte, finestre, mobili e cosedel genere, volenterose e carìtatevolì si prestaronole ragazze del convitto Dell'Acqua, come risultadalla« Cronaca» del convento.

5. - Un grrazie corduue

In tal modo, radicalmente rinnovato nelle suestrutture, il nuovo convento ha preso forma se-condo il classico stile cappuccìnesco, affiancato allachiesa e raccolto intorno al suo chiostrino gentile,dalle agili colonnette e rallegrato dal chiacchieriodella:fontana polìcroma e, alla stagione opportuna,dalle aiole fiorite. Pur nell'età del cemento armato,esso mantiene una sua atmosfera e grazia trance-

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scana, e di ciò tutti coloro che l'hanno visitato, sisono rallegrati, complimentandosi con i religiosi: /

Ma piu ancora, con le sue 25 celle o stanze, lparlatori, la biblioteca e gli altri ambienti, essorimane un'oasi di solitudine religiosa che ìnvìtéalla preghiera e alle ascensioni spirituali e, cdnl'annessa chiesa tanto raccolta e devota, richiamaagevolmente a Dio. Pur nello sviluppo edilizio dellazona, esso conserva il suo muro di cinta, il suoangolo di bosco, il suo silenzio, la sua quiete, la suapace, emulo, per quanto è possibile, dell'antico con-ventino fabbricato dal mercante cerrese accantoalla cappella della Visitazione.

Il termine ufficiale dei lavori con il relativodecreto di abitabilità risale al 2 dicembre 1964, a21 mesi dal giorno in cui il primo colpo di picconeaveva intaccato la vecchia costruzione per demo-lirla. Il nuovo complesso abitabile è stato accertatoal nuovo Catasto Edilizio Urbano il 25 gennaio1965. Dall'agosto del 1964 abita il convento la nuo-va famiglia religiosa presieduta dal p. Isaia daGerenzano.

La buona popolazione di Cerro Maggiore, comedi tutta la zona legnanese, mantenne la promessafatta a suo tempo e contribuì efficacemente allespese di costruzione che, a questi chiari di luna,non furono piccole. Il sindaco di Cerro, Prof. Stro-bino, e la giunta comunale appoggiarono e favo-rirono possibili esenzioni fiscali come l'esonero, perciò che riguarda il Comune, dal dazio sui materialidi costruzione 'e, nei riguardi della Provincia, l'eso-nero ventìcìnquennale dall'imposta sui fabbricati.

A tutti vada, da parte dei Cappuccini lombar-di, un grazie sentito, cordiale con la promessa diun costante fervido ricordo al grande Serafico diAssisi che ha promesso ampia benedizione a quellepopolazioni che ospiteranno i suoi frati, per i qualiegli reca al mondo il suo gioioso messaggio dellabontà divina e dell'ottimismo cristiano.

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,6. - Ieri e oggi

\ Quanti anni son trascorsi dal giorno in cuis. Carlo Borromeo, su preghiera del mercante Pom-peo Legnano e del notaio Antonio Rinaldi, auto-rizzava la fondazione di un convento di Cappuc-cini in Cerro Maggiore! Era il 1582,due anni primadella sua beata morte, e da allora, sotto lo sguardomaterno della Vergine nel mistero della Visitazio-ne, quanti religiosi sono passati per l'umile e quietoasceterio, amando Dio e il prossimo, pregando edesercitando il sacro ministero, santificando se stessie sacrificandosi per gli altri! L'atmosfera che cir-condava il sacro luogo era un appello ai destinieterni dell'uomo, voce arcana che moveva dal si-lenzio e dalla solitudine, ma che aveva la forza didare alle anime la pacìfìcazìone interiore, di farbrillare alle coscienze un ideale sublime, di persua-dere e convincere gli uomini immemori che solouna cosa ha veramente valore in questa vita, ecioè amare Dio, eterna luce, pace e amore dei no-stri spiriti, Dio che paternamente ci attende al dilà dei confini del tempo, nella sua beata eternità.

Oggi come ieri, perché, nel mutar dei tempi,delle civiltà e delle tecniche, la realtà profondadell'uomo rimane la stessa con le sue inquietudini,le sue paure, le sue preoccupazioni per il domani,le sue incertezze di fronte al mistero dell'al di là,il suo bisogno di luce, di redenzione, in una parolail suo bisogno di Dio. Il nuovo convento apre cer-tamente un altro periodo di attività, meglio ancoradi vita. Sia esso destinato a convento di studio ov-vero di esercizi spirituali, oppure ospiti la solitafamiglia religiosa, la sua consegna permane iden-tica a quella del passato e cioè far rivivere nelmondo, in maniera sempre più concreta, l'idealeevangelico e francescano. Sempre gli uomini avran-

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no bisogno di luce superiore, di pace, di richiamocostante e convincente al loro eterno destino, difiducia nella universale paternità di Dio. Che ilnuovo convento, con la sua solitudine, il suo climadi preghiera 'e la santità dei suoi abitatori, sia·sempre un punto d'attrazione verso l'alto, un'oasispirituale che richiama a Dio.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

[Salvatore da Rivolta], Fondatione de' Conventi della Pro-vincia di Milano de' FF. Minori del P. S. Francesco dettiCapuccini (ms. n. 427, conservato nella « Biblioteca Mano-scritti e Incunaboli » nel convento dei Cappuccini di VialePiave, 2, Milano), ff. 268-271.

[Aurelio da Milano?], Libro Cronologico del Convento deFrati Capuccini della Concettione in Milano (ms. 307, con-servato nella « Bibl. Manoscritti e Incunaboli », Viale Pia-ve 2, Milano), ff ..206-213.

Origine, costruzione ed ampliazione del Convento e Chiesade' Frati Minori Capuccini nell'insigne Borgo di Casalpu-sterlengo. Di più raguagliasi d'altre notizie spettanti allostesso (ms. 312, conservato nella « Bibl. Manoscritti e In-cunaboli » Viale Piave, 2 Milano).

Quadri dei Capitoli della Provincia Cappuccina di Milano(copia dell'originale esistente nell'archivio comunale diCremona), in Archivio Provinciale dei Cappuccini Lom-bardi, Viale Piave, 2 Milano.

Documenti vari, conservati nell'archivio del convento di Cer-ro Maggiore.

Cronaca del Convento di Cerro Maggiore, ms. conservatonell'arch. del convento.

Bombognini F., Antiquario della diocesi di Milano, 2 ed.,Milano 1828,38s.

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Page 59: Il Convento Dei Cappuccini in Cerro Maggiore

Bullarium Ordinis FF. Min. Capuccinorum II, Roma 1742.

Valdemiro da Bergamo, I conventi ed i Cappuccini Brescia-ni, Milano 189l.

- I conventi ed i Cappuccini dell'antico ducato di Milano.Parte I, I Conventi; Parte II, Biografie, Crema 1893-1898.

La Cava A. F., La peste di S. Carlo vista da un medico, Mi-lano 1944.

Metodio da Nembro, La missione dei Minori Cappuccini inEritrea, Roma 1953.

- I Cappuccini nel Brasile. Missione e custodia del Mara-nhiio, Milano 1957.

Descriptio geographica et statistica Provinciarum et Missio-num Ord. Min. Capuccinorum, Roma 1929.

Annali Francescani, 1942,164-168.Necrologio dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di

S. Carlo in Lombardia, Milano 1910.

Atti della Provincia dei FF. Min. Cappuccini di Lombardia,Milano 1934 ss.

Scintilla di Annali Francescani, maggio 1961.

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INDICE

PRESENTAZIONEI. - L'EREDITA' DEL MERCANTE

1. - Conventi cappuccini del milanese2. - Un mercante e un notaio3. - Padre Giambattista da Milano4. - Vari benefattori5. - Sepolta in chiesa6. - « Aria buona e temperata»7. - Buoi da trasporto

Il. - MEMORIE DEL PRIMO SEICENTOL - Restauri con P. Cirillo da Maggiora2. - Un superiore, cronista provinciale: Sacro

Macello - Reazione degli eretici - I catto-lici contrattaccano - Cappuccini in Valtel-lina - I Turchi in Puglia

3. - Un futuro generale dell'Ordine4. - La peste del Manzoni

III. - ULTIMO PERIODO DEL DOMINIO SPA-GNOLO (1632-1713)

1. - Superiori milanesi2. - Maestri e novizi3. - Figure di scrittori4. - Come una pagina dei « Fioretti»5. - Un'occasione mancata6. - I Riformati a Cislago

IV. - AUSTRIACI E FRANCESI1. - leoni e tabernacolo2. - Superiori della zona3. - Due personaggi illustri4. - Sorge la nuova chiesa5. - Il « re sagrestano» e i giacobini francesi6. - Ultimi anni e soppressione

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7. - P. Felice Azzimonti da Busto8. - Tributo di riconoscenza e d'affetto

V. - IL RITORNO DEI RELIGIOSI1. - Si riaprono i battenti2. - Echi di poesia3. - La campana del convento4. - Fogli sparsi5. - Mons. Celestino Cattaneo6. - I resti mortali di Benito Mussolini

VI. - ·FRAFELICIANO DA ARTOGNE.1. - Artogne in Valle Camonica2. - Peripezie di una vocazione3. - « Non sapete far nulla! »4. - L'ufficio di questuante5. - L'uomo della carità6. - Il linguaggio del cuore7. - Con Dio

VII. - IL NUOVO CONVENTO1. - Restauri alla chiesa2. - Cerro o Saronno?3. - Due direttive4. - Sorge il nuovo convento5. - Un grazie cordiale6. - Ieri e oggi

NOTA BIBLIOGRAFICA

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Lux de Croce - MILANO