Il complesso concentrazionario di Auschwitz-Birkenau · Auschwitz, in realtà, è un campo diverso...

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1 Il complesso concentrazionario di Auschwitz-Birkenau di Fabio Maria Pace * * * * Premessa Nella coscienza dell’umanità Auschwitz rappresenta il simbolo più potente della barbarie nazista, il paradigma assoluto della brutalità e della violenza del regime hitleriano. L’ingresso di Birkenau, con la torre e il binario, il cancello dello Stammlager, 1 con la sua cinica iscrizione, sono le immagini che ognuno collega alla tragedia della deportazione e dello sterminio, anzi alla realtà del Lager in quanto tale. Lo stesso nome del campo è diventato quasi sinonimo del nazismo e della guerra, venendo ad indicare il radicale spartiacque della storia e della cultura che essi rappresentano: si parla così di un “prima” e di un “dopo Auschwitz” come di due fasi separate della civiltà umana. Un punto di non ritorno, dunque, e una frattura nel corso millenario della storia sono rappresentati da un nome e da un luogo: Auschwitz. Tutto ciò è comprensibile e giustificato: Auschwitz fu il Lager più grande, quello che provocò il maggior numero di vittime, la più spaventosa macchina di morte che l’umanità abbia conosciuto; e proprio da Auschwitz si sono levate le voci più alte della testimonianza e della riflessione, voci che tutti conoscono e che sono patrimonio condiviso della nostra cultura, da Primo Levi a Elie Wiesel, da Viktor Frankl a Jean Améry. Si è così arrivati, almeno nella percezione comune, a identificare Auschwitz con il Lager e ogni Lager con Auschwitz, in una sintesi estrema, tanto efficace sul piano simbolico quanto ingannevole su quello storico e quindi potenzialmente fuorviante per chi voglia accostarsi alla conoscenza di questo luogo in modo corretto. Auschwitz, in realtà, è un campo diverso da tutti gli altri e non solo per le dimensioni o il numero delle vittime, ma per la complessa vicenda storica che ne ha plasmato la struttura, sia durante la guerra sia, per altri versi, dopo. E’ quindi nella storia che occorre “leggere” il campo, rinunciando alle omologazioni sbrigative e, fin dove possibile, sottraendosi alle suggestioni, pur importanti, che letterati, artisti, filosofi e teologi hanno alimentato. E l’analisi storica impone un primo dato fondamentale: Auschwitz è il luogo dove sono stati sterminati gli ebrei dell’Europa occidentale (e, in parte, della Polonia), è il luogo dell’assassinio di massa del popolo ebraico. Lo documenta con tragica evidenza il dato delle vittime: secondo stime recenti, esse sono 1.000.000-1.200.000, di cui 1.000.000-1.100.000 ebrei, una percentuale che supera il 90 per cento. 2 Non si vuole con questo proporre una

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Il complesso concentrazionario di Auschwitz-Birkenau

di Fabio Maria Pace∗∗∗∗

Premessa

Nella coscienza dell’umanità Auschwitz rappresenta il simbolo più potente della barbarie

nazista, il paradigma assoluto della brutalità e della violenza del regime hitleriano. L’ingresso

di Birkenau, con la torre e il binario, il cancello dello Stammlager,1 con la sua cinica

iscrizione, sono le immagini che ognuno collega alla tragedia della deportazione e dello

sterminio, anzi alla realtà del Lager in quanto tale. Lo stesso nome del campo è diventato

quasi sinonimo del nazismo e della guerra, venendo ad indicare il radicale spartiacque della

storia e della cultura che essi rappresentano: si parla così di un “prima” e di un “dopo

Auschwitz” come di due fasi separate della civiltà umana. Un punto di non ritorno, dunque, e

una frattura nel corso millenario della storia sono rappresentati da un nome e da un luogo:

Auschwitz.

Tutto ciò è comprensibile e giustificato: Auschwitz fu il Lager più grande, quello che provocò

il maggior numero di vittime, la più spaventosa macchina di morte che l’umanità abbia

conosciuto; e proprio da Auschwitz si sono levate le voci più alte della testimonianza e della

riflessione, voci che tutti conoscono e che sono patrimonio condiviso della nostra cultura, da

Primo Levi a Elie Wiesel, da Viktor Frankl a Jean Améry. Si è così arrivati, almeno nella

percezione comune, a identificare Auschwitz con il Lager e ogni Lager con Auschwitz, in una

sintesi estrema, tanto efficace sul piano simbolico quanto ingannevole su quello storico e

quindi potenzialmente fuorviante per chi voglia accostarsi alla conoscenza di questo luogo in

modo corretto.

Auschwitz, in realtà, è un campo diverso da tutti gli altri e non solo per le dimensioni o il

numero delle vittime, ma per la complessa vicenda storica che ne ha plasmato la struttura, sia

durante la guerra sia, per altri versi, dopo. E’ quindi nella storia che occorre “leggere” il

campo, rinunciando alle omologazioni sbrigative e, fin dove possibile, sottraendosi alle

suggestioni, pur importanti, che letterati, artisti, filosofi e teologi hanno alimentato.

E l’analisi storica impone un primo dato fondamentale: Auschwitz è il luogo dove sono stati

sterminati gli ebrei dell’Europa occidentale (e, in parte, della Polonia), è il luogo

dell’assassinio di massa del popolo ebraico. Lo documenta con tragica evidenza il dato delle

vittime: secondo stime recenti, esse sono 1.000.000-1.200.000, di cui 1.000.000-1.100.000

ebrei, una percentuale che supera il 90 per cento.2 Non si vuole con questo proporre una

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macabra contabilità della morte né un’assurda gerarchia del dolore, ma indicare il dato storico

fondamentale, alla luce del quale dev’essere inquadrata l’intera storia del campo (che pure,

come si vedrà, non si esaurisce nella prospettiva del genocidio ebraico).

L’ideologia nazista e gli ebrei

Nell’ideologia nazista il razzismo è l’elemento fondamentale: come il mondo animale è diviso

in specie, così l’umanità lo è in razze e in ciascun ambito esistono il più forte e il più debole,

il primo destinato a imporsi, il secondo a soccombere. Le razze superiori (in primo luogo gli

“ariani”) sono quindi per natura chiamate a dominare su quelle inferiori, il cui destino è di

essere sottomesse e schiave. In questo quadro gli ebrei rivestono un ruolo particolare: essi

associano infatti alla “negatività razziale” una malefica potenza demoniaca. Le due

prospettive, quella “biologica”, di impianto (pseudo)scientifico, e quella “demonologica”, di

ascendenza religiosa, si intrecciano costantemente nell’antisemitismo hitleriano. Gli ebrei

sono dunque una razza inferiore, anzi una vera e propria “antirazza” (Gegenrasse): dei

parassiti nocivi, che attaccano e ammorbano le razze superiori. Batteri, quindi, che solo le

società razzialmente integre possono sconfiggere, come solo un organismo sano debella la

malattia. E, va sottolineato, un batterio non si può “curare”, contrariamente all’organismo che

aggredisce: non esiste terapia, l’unica soluzione è distruggere, annientare. A questa “verità

scientifica” Hitler affianca una concezione apocalittica del rapporto tra ariani ed ebrei, carica

di ambigue ascendenze religiose: «L’opposizione delle due razze tende a un conflitto finale di

estensione planetaria (...) L’antisemitismo hitleriano è di natura razzista-apocalittica,

un’associazione la cui stranezza dev’essere sottolineata. Il termine razzismo evoca lo

scientismo, i cui connotati sono l’obiettività e il distacco (...) L’apocalisse invece evoca la

figura del profeta, la passione metafisica, nutre l’odio esistenziale, l’angoscia della salvezza o

del nulla...».3 Hitler fonde così in una sintesi totalizzante l’immagine dell’ebreo-batterio e

quella dell’ebreo-demone-antricristo, unendo il subumano e il sovrumano: il risultato è una

dottrina assurda, ma internamente coerente e carica d’un enorme potenziale di violenza. Ad

essa il capo del nazismo si mantenne sempre incrollabilmente fedele, dai primi scritti e

discorsi, alle farraginose pagine di Mein Kampf, al “testamento” redatto poche ore prima di

morire. Un’ideologia insensata e priva di valore, senza dubbio, ma capace di definire

un’articolata visione del mondo e una chiave di lettura - a modo suo esauriente ed efficace -

della storia, della società e dello stato. E’ innegabile che da premesse di questo tipo la

persecuzione degli ebrei discenda come conseguenza logica necessaria e, per molti versi,

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quasi automatica. Si sarebbe così tentati di vedere nel genocidio l’esito inevitabile e

programmato d’un processo avviato nel momento stesso in cui Hitler giunse al potere. Così in

realtà non fu e allo sterminio si arrivò per tappe, fasi e decisioni successive, lungo un

itinerario tutt’altro che lineare, anzi spesso confuso, contorto, a tratti perfino irrazionale. A

condizionarlo e a definirlo in modo decisivo furono gli eventi della guerra: «Sebbene

l’assassinio di massa degli ebrei fosse la logica conseguenza delle teorie naziste [...] - nota

Yehuda Bauer - questa logica conseguenza si prospettò solo dopo il 1941».4 Quella per

Auschwitz, come è stato scritto, è certamente una strada tortuosa.5

La prima fase del KL Auschwitz (1940-1941)

Nelle prime settimane del 1940 funzionari delle SS e di polizia fecero ripetuti sopralluoghi

per valutare se un gruppo di ex-caserme polacche, situato presso la cittadina di Oświęcim, nel

distretto di Kattowitz (Katowice) annesso, dopo la smembramento della Polonia, alla

provincia tedesca della Slesia, potesse divenire un campo di quarantena per detenuti polacchi

da inviare poi nei Lager del Reich. Himmler cercava in quei mesi, specie nelle zone di

frontiera, luoghi adatti alla costruzione di campi per gli oppositori politici; inoltre, le autorità

locali di polizia segnalavano pressantemente che le prigioni dell’Alta Slesia erano

sovraffollate e non potevano far fronte ai nuovi arresti in massa che il rafforzarsi del

movimento di resistenza rendeva necessari. Dopo un sopralluogo dell’ispettore dei campi

Richard Glücks e altre ispezioni, si decise di realizzare il campo, anche se gli edifici erano

fatiscenti, la zona malsana e la falda freatica scarsa: c’erano infatti ottime infrastrutture, l’area

era vicina a un importante nodo ferroviario e risultava facilmente isolabile. Il 27 aprile

Himmler decise di istituire il campo, che assunse il nome tedesco della cittadina, a lungo

dominio asburgico: nacque così il KL6-Auschwitz, lo Stammlager (“campo originario”,

“campo-base”). Pochi giorni dopo (4 maggio) il comando fu affidato a Rudolf Höß, già

“capoblocco” (Blockführer) a Dachau e all’epoca “responsabile della custodia preventiva e

protettiva” (Schutzhaftlagerführer) nel KL-Sachsenhausen; sua fu probabilmente l’idea di

installare sul cancello d’ingresso del campo la cinica scritta Arbeit macht frei, già presente a

Dachau e in altri campi («un motto che circolava fin dalla fine del XIX secolo negli ambienti

politici dei nazional-popolari tedeschi»7). Il 20 maggio 1940 furono portati da Sachsenhausen

nel nuovo campo 30 criminali comuni tedeschi, destinati, secondo la prassi abituale dei Lager,

a funzioni ausiliarie: saranno la longa manus delle SS e tra i peggiori aguzzini dei prigionieri.

I primi detenuti veri e propri arrivarono il 14 giugno: 728 oppositori politici polacchi

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provenienti dal carcere di Tarnów, in prevalenza studenti. Gli arrivi si susseguirono senza

posa nelle settimane successive: a fine anno erano registrati 7.879 internati. In teoria, il campo

era nato come luogo di quarantena e smistamento ma in breve tempo divenne anche una

struttura di detenzione permanente. Gli internati erano in questa prima fase quasi tutti detenuti

politici polacchi, in prevalenza aderenti degli ex-partiti democratici, intellettuali, sacerdoti,

insegnanti. Il numero degli ebrei era ridottissimo e comunque venivano arrestati per motivi

politici e non razziali. Non a caso si è parlato di “fase polacca” della storia del Lager.

I prigionieri (Häftlinge) erano sottoposti a un trattamento brutale e degradante sin dal primo

momento. Arrivavano in camion o più spesso in treno; in questo caso, un binario secondario

della stazione li conduceva nei pressi del campo; qui ricevevano un numero che da allora

avrebbe sostituito il loro nome. Costretti a denudarsi, erano rasati, lavati, riforniti di indumenti

a strisce, di tela grezza, spesso logori e infestati dai pidocchi, il tutto tra insulti e percosse. Nel

primo periodo erano anche fotografati di fronte e lato, come in uso nella polizia, ma poi, per la

scarsità di materiale fotografico, questa prassi fu abbandonata (alcune foto possono essere

viste oggi nei locali del museo). Sulla casacca venivano cuciti due pezzi di stoffa: uno

indicava il numero (segnato anche sulla cucitura esterna dei pantaloni), l’altro, a forma di

triangolo, specificava in base al colore la categoria dell’Häftling, secondo un sistema unitario

adottato nei campi fin dal 1937-38. Tra i detenuti era istituita una rigida gerarchia, al vertice

della quale c’erano i tedeschi del Reich non ebrei, poi i non ebrei di altre nazionalità e infine,

al gradino più basso, gli ebrei. I nuovi arrivati, superate le procedure di registrazione, erano

sottoposti ad isolamento (quarantena), per prevenire, almeno teoricamente, la diffusione di

malattie infettive. Era un periodo terribile, nel quale il prigioniero apprendeva in fretta e sulla

sua pelle le dure regole del Lager, trovandosi alla completa mercé delle SS e dei Kapos. Tra

botte, ingiurie, sporcizia, sovraffollamento e brutalità d’ogni genere gli Häftlinge vivevano la

loro drammatica “iniziazione”: qualcuno non resisteva e preferiva il suicidio. Non migliori

erano le condizioni quando i detenuti venivano immessi nelle squadre di lavoro: dieci ore al

giorno di fatica improba (all’inizio soprattutto per la costruzione del Lager, poi - come si dirà

- per imprese industriali), con sveglia alle 4.30, appelli spesso lunghissimi, l’uscita in squadre,

accompagnata grottescamente dall’orchestra, maltrattamenti pressoché continui. Ai lavori più

duri, quelli nel cantiere edile e nelle cave, pochissimi riuscirono a sopravvivere. Al rientro,

l’appello serale si protraeva talora per ore, specie se c’erano stati decessi nel corso della

giornata (il numero dei prigionieri veniva verificato più volte: i “conti” dovevano sempre

tornare alla perfezione). Chi compiva anche la più insignificante infrazione del regolamento

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era punito in modo durissimo, con bastonate, esercizi ginnici sfiancanti o l’arresto. La

prigione del campo era ricavata nel blocco 11: celle buie e umide, in alcune delle quali si

poteva solo stare in piedi ammassati come animali, vitto ulteriormente ridotto, torture

indescrivibili. Venivano anche decise condanne a morte: in questo caso il prigioniero era

costretto a spogliarsi, a uscire nel cortile che separa i blocchi 10 e 11 e lì ucciso (spesso con

un colpo di pistola alla testa). Il blocco 11 era anche sede del tribunale speciale di polizia di

Kattowitz; vi erano condotti i polacchi arrestati dalla Gestapo che venivano sommariamente

giudicati e uccisi. Temutissima era anche l’assegnazione alla compagnia di punizione

(Strafkompanie), dove il lavoro era ancora più duro, specie nelle cave di ghiaia: ancora oggi si

vedono le fosse dalle quali si estraevano sabbia e ghiaia utilizzate per le costruzioni. A causa

dell’altissima mortalità e della necessità di eliminare i cadaveri per evitare malattie,

nell’agosto 1940 venne installato nell’ex-bunker delle munizioni il primo crematorio di

Auschwitz (Krematorium I), costruito dalla ditta specializzata “Topf und Söhne” di Erfurt

(che operò anche in vari altri KL).

Nel frattempo si preparava una svolta decisiva per la storia di Auschwitz: la maggiore impresa

privata del Reich, il gigante chimico IG Farben, ricercava il sito adatto per uno stabilimento

che producesse gomma sintetica (Buna) e, dopo lunghe discussioni e incertezze, nel novembre

1940, decise per la Slesia, scegliendo Dwory, un sobborgo di Auschwitz. Probabilmente la

disponibilità di manodopera offerta dal KL non giocò un ruolo significativo nella scelta:

decisive furono piuttosto la disponibilità in zona delle materie prime (carbone, calce, acqua),

la presenza di infrastrutture adatte allo stoccaggio e al trasporto delle merci e le cospicue

sovvenzioni dello stato per la creazione di strutture produttive nei territori annessi dell’est.

Sollecitato da Göring, amico di Carl Krauch, presidente del consiglio d’amministrazione della

IG Farben, Himmler mise da parte le sue riserve (voleva che i detenuti dei KL fossero al

servizio solo delle imprese SS) e il progetto fu approvato. Il 1° marzo 1941 lo stesso Himmler

visitò per la prima volta Auschwitz, dimostrando così il suo interesse per i nuovi sviluppi che

si prospettavano e dando importanti direttive: il Lager avrebbe messo a disposizione della IG

Farben 10.000 detenuti per la costruzione dello stabilimento, ogni richiesta dell’impresa

avrebbe avuto priorità assoluta, si sarebbero fatti lavori di ampliamento dello Stammlager per

portarne la capienza a 30.000 detenuti. Definì inoltre stretti rapporti di collaborazione tra IG

Farben e SS. La IG Auschwitz, formalmente fondata il 7 aprile 1941, fu la prima impresa

privata che utilizzò il lavoro schiavo degli Häftlinge: dai circa mille iniziali si arrivò a oltre

11.000 nel 1944. In complesso furono 35.000 i detenuti costretti a lavorare per il gigante della

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chimica: di essi oltre 25.000 morirono. I lavori di costruzione peraltro procedettero molto a

rilento, soprattutto perché le prestazioni lavorative dei prigionieri erano scarsissime: va tenuto

conto che ogni giorno andavano e venivano a piedi dal Lager (7 km per tragitto), con sveglia

alle tre e rientro spesso assai tardi. La direzione del gruppo pensò allora di allestire un “suo”

Lager dove sorgeva il villaggio di Monowitz, spianato dalle ruspe, a 300 metri dal cantiere.

Nacque così Auschwitz III - Monowitz, inizialmente chiamato “Lager Buna”: i primi 2000

detenuti vi furono trasferiti a fine ottobre 1942. Anche qui le condizioni di vita erano pessime,

con baracche più piccole di quelle dello Stammlager, alimentazione scarsissima, angherie e

punizioni: l’aspettativa di vita era in media di tre mesi. La IG Auschwitz funse da modello per

ulteriori collaborazioni tra SS e industria: «Dal 1942 in poi si insediarono nei pressi del Lager

di Auschwitz acciaierie, stabilimenti industriali chimici e metallurgici, nonché imprese per la

produzione di beni di consumo, tutte per poter sfruttare, secondo l’esempio costituito dalla IG

Farben, la forza lavoro a basso costo degli Häftlinge [...] In prossimità delle varie imprese

private, o sulle aree stesse, furono erette baracche, di modo che si costituì rapidamente, in

aggiunta ai Lager gestiti direttamente dalle SS, una rete di più di 30 Lager complessivi

esterni, ovvero satelliti del campo di concentramento principale, quello di Auschwitz».8 Nel

1944 erano circa 42.000 i detenuti impiegati nei vari stabilimenti insediati nella zona del

campo.

La seconda fase del KL Auschwitz (1941-1945)

Nell’estate 1941 avvennero ad Auschwitz fatti decisivi per il futuro del campo. Il 28 luglio

una commissione speciale (comprendente il medico Horst Schumann, tra i maggiori

responsabili dell’azione “T4”9) selezionò 574 prigionieri malati, conducendoli poi nel centro

per l’”eutanasia” di Sonnenstein, presso Dresda, dove vennero uccisi col gas. Tra il 3 e il 5

settembre, circa 600 prigionieri sovietici e 250 polacchi malati furono gassati nei sotterranei

del blocco 11, la prigione del campo, utilizzando l’acido cianidrico contenuto nello Zyklon-B,

un prodotto usato nel Lager per eliminare i parassiti: fu la prima gassazione omicida effettuata

ad Auschwitz (e una svolta decisiva nella tecnica di messa a morte).10 Nel blocco 11 tuttavia

non c’era impianto di ventilazione e occorreva attendere a lungo prima di rimuovere i

cadaveri: si pensò allora di utilizzare l’obitorio del Krematorium I, munito di disareazione

forzata (e dove si potevano cremare i corpi senza doverli trasportare). Si praticarono tre

aperture nel soffitto per introdurre lo Zyklon-B e si resero stagne le porte: le gassazioni, dopo

una prova in autunno, iniziarono nel gennaio 1942 su prigionieri russi; in febbraio fu la volta

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del primo gruppo di ebrei, provenienti da Beuthen. Il crematorio I non fu tuttavia utilizzato a

lungo perché la sua ubicazione rendeva impossibile mantenere segrete le operazioni omicide.

Si scelse così nel marzo 1942 di spostare le uccisioni col gas nel nuovo campo di Birkenau: in

autunno, infatti, si era deciso di costruire a circa due km dallo Stammlager, in località

Brzezinka (ted. Birkenau), un nuovo enorme campo per prigionieri sovietici; il progetto

originario prevedeva una capienza di 50.000 persone, ma successivi piani, elaborati in corso

d’opera, la portarono a 150.000 (più tardi a 200.000).

Nel marzo del 1942 a Birkenau ebbero inizio le operazioni di sterminio di massa. Con i lavori

ancora in corso, una cascina della zona fu adattata a camera a gas (denominata Bunker 1, o

“casina rossa” dai polacchi); più tardi, in giugno, una seconda cascina (il Bunker 2, o “casina

bianca”) si aggiunse alla prima. I primi deportati provenivano dai ghetti ebraici dell’Alta

Slesia e furono quasi tutti sterminati. I treni si fermavano su una deviazione della ferrovia a

circa 800 metri dal campo, la cosiddetta Judenrampe: qui i deportati erano divisi per sesso e

sommariamente esaminati da medici e funzionari delle SS, che dovevano decidere chi fosse

idoneo al lavoro e chi no. Questa “selezione” iniziò ad essere praticata regolarmente nel mese

di giugno. I “non idonei” erano portati in camion (o avviati a piedi) verso i Bunker: una volta

uccisi, si seppellivano i loro corpi in fosse comuni. Più tardi (in settembre) furono riesumati e

bruciati; da lì in avanti si utilizzò regolarmente questo sistema11. Un apposito “gruppo

speciale” di detenuti ebrei (Sonderkommando) era incaricato di svuotare e pulire le camere a

gas e seppellire (o bruciare) i cadaveri. Il Bunker 1 aveva una capienza di circa 500 persone, il

Bunker 2 di circa 800: tra il marzo 1942 e la primavera del 1943 vennero uccisi in queste

strutture migliaia di ebrei provenienti da quasi tutta Europa: Slovacchia, Francia, Olanda,

Belgio, Jugoslavia, Norvegia, Austria, Germania. Il Bunker 1 cessò di essere usato nella

primavera del 1943 e venne poi smantellato;12 il 2, che pure smise di operare nello stesso

periodo, fu nuovamente utilizzato nell’estate del 1944 per lo sterminio degli ebrei ungheresi.

Venne poi demolito.

Il 17-18 luglio 1942 Himmler visitò per la seconda volta il campo e ordinò a Höß di

incrementare il ritmo delle uccisioni. Ormai la sorte degli ebrei era definitivamente segnata, la

“soluzione finale” doveva procedere con la massima rapidità ed efficacia: in gennaio, la

tristemente nota “Conferenza di Wannsee” aveva deciso che da est a ovest l’Europa sarebbe

stata “passata al rastrello” per deportare gli ebrei verso la morte.13 Birkenau era il centro di

questa gigantesca impresa genocida: i convogli arrivavano ormai ogni giorno da tutta l’Europa

occupata. Occorrevano strutture adatte per attuare questo crimine immane: tra il 14 marzo e il

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25 giugno 1943 entrarono così in funzione quattro grandi impianti per lo sterminio di massa, i

crematori II, III, IV, V. I primi due, simmetrici, erano disposti ai lati della strada principale del

campo; analogamente simmetrici, ma più isolati rispetto all’ingresso, il IV e il V. La struttura

dei quattro crematori era diversa: i primi due sorgevano su due piani, con lo spogliatoio e la

camera a gas sotterranei e le sale dei forni al piano terra; negli altri due tutto l’edificio era al

livello del suolo. Tutti erano isolati con recinzioni e mimetizzati con alberi e cespugli per

essere sottratti agli occhi degli Häftlinge. Nei crematori II e III una scala conduceva le vittime

in una grande sala sotterranea, dove trovavano panche e ganci numerati per i vestiti; si diceva

loro che avrebbero fatto una disinfezione e una doccia. Una volta nude, entravano nella

camera a gas, munita di finte docce: un locale enorme, che poteva contenere oltre 1.500

persone. Le SS versavano attraverso aperture del tetto lo Zyklon-B che, in circa 20 minuti,

sortiva il suo letale effetto. Si attivavano allora gli impianti di ventilazione per disperdere il

gas, quindi gli uomini del Sonderkommando provvedevano a recuperare i cadaveri e a portarli

con un montacarichi al piano superiore, dove c’erano i forni; prima di bruciare i corpi,

estraevano i denti d’oro e tagliavano i capelli delle donne.14 Negli altri due crematori, la

procedura era analoga, anche se le camere a gas (tre in ognuno, più piccole di quelle dei

crematori II e III) e gli spogliatoi non erano sotterranei, ma al livello del suolo, così come i

forni. In ogni crematorio potevano essere uccise circa 1.000 - 1.200 persone per volta.

Lo sterminio di massa degli ebrei, iniziato ad Auchwitz, come si è visto, nel marzo del 1942,

procedette con intensità crescente nei mesi successivi: arrivi continui di convogli da tutta

Europa (dall’Italia a partire dal 23 ottobre 1943) fecero di Birkenau il luogo del più

spaventoso crimine della storia. Il culmine fu toccato nell’estate 1944 con la deportazione

degli ebrei ungheresi: in sei settimane ne furono uccisi oltre 400.000. Si arrivò ad assassinare

6.000 persone in un solo giorno. A metà maggio, per facilitare le operazioni omicide fu

costruita una nuova rampa ferroviaria, che portava i treni direttamente dentro il campo, a

poche decine metri dalle camere a gas. E’ quella che ancora oggi si vede e che sostituì la

Judenrampe.15 Anche la “selezione” avvenne da allora dentro il campo, in uno spazio a lato

della nuova rampa.

Nel corso del 1943 prese avvio anche una delle pratiche più ignobili e atroci che si siano

svolte ad Auschwitz (e in molti altri campi): l’uso dei detenuti come cavie per esperimenti

“scientifici”. Fu così che nel Lager arrivarono specialisti di discipline mediche diverse e

poterono effettuare ricerche e sperimentazioni, che significarono per centinaia di detenuti -

uomini, donne e bambini - indescrivibili sofferenze e, nella maggioranza dei casi, la morte. In

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particolare, Carl Clauberg e Horst Schumann studiarono metodi di sterilizzazione di massa,

sottoponendo donne e uomini a vere e proprie torture, Johann Paul Kremer analizzò gli effetti

della denutrizione sull’organismo, facendo letteralmente morire di fame le sue cavie umane,

Josef Mengele fece tragici esperimenti su coppie di gemelli, prevalentemente bambini, altri

criminali inocularono nei detenuti agenti patogeni per testare vaccini o sperimentarono su di

loro nuovi farmaci.16

A fine luglio del 1944 la Sezione politica del campo (Politische Abteilung) iniziò a bruciare la

documentazione più compromettente: l’esercito sovietico si stava avvicinando e si volevano

eliminare, come già fatto nei campi dell’Aktion Reinhard,17 le tracce dei crimini commessi. A

partire dal 14 ottobre cominciò lo smantellamento delle strutture di sterminio; il 7 una rivolta

del Sonderkommando aveva già messo fuori uso il crematorio IV. Tra l’estate 1944 e il

gennaio 1945 migliaia di detenuti furono trasferiti in campi di concentramento ad ovest: molti

morirono di fame, malattie e stenti. Le operazioni di sterminio cessarono a inizio novembre

1944: si costituì allora un’apposita “squadra di demolizione” (Abbruchkommando), per

smontare, pezzo dopo pezzo, i crematori II e III;18 le fosse impiegate per bruciare i corpi

quando i crematori erano oberati di “lavoro” vennero svuotate e spianate, così come quelle

che avevano raccolto ceneri e ossa delle vittime (le si coprì anche con zolle erbose e vi si

piantarono alberi). Il Krematorium I (quello dello Stammlager) fu trasformato in rifugio

antiaereo: si abbatté la ciminiera, si otturarono le aperture da cui si versava lo Zyklon-B, si

smontarono i forni. Il 17 gennaio 1945 vi fu l’ultimo appello generale: restavano 31.894

prigionieri a Birkenau e Auschwitz I e 35.118 tra Monowitz e i vari sottocampi. Il giorno

dopo iniziò l’evacuazione generale del campo: in cinque giorni 58.000 detenuti furono avviati

in vagoni bestiame aperti o a piedi verso l’interno del Reich in una terribile “marcia della

morte”, che costò la vita a migliaia di loro per il freddo o perché fucilati dalle SS quando non

riuscivano più a marciare. Restarono nel complesso di Auschwitz circa 9.000 Häftlinge,

perlopiù malati. Il 20 gennaio le SS fecero saltare con la dinamite quel che restava dei

crematori I e II, il 26 toccò al V.

Il 27 gennaio 1945 i primi soldati dell’Armata Rossa raggiunsero il campo: trovarono 7.000

prigionieri, in gran parte moribondi.

Gli italiani ad Auschwitz

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Gli italiani deportati ad Auschwitz furono in grande maggioranza ebrei, ma non mancarono

anche internati per motivi politici: da ricerche tuttora in corso pare che si sia trattato di alcune

centinaia di persone, rimaste nel campo per un breve periodo e poi smistate verso altri Lager.19

Subito dopo l'8 settembre i nazisti iniziarono ad applicare anche in Italia le drastiche misure

della loro politica antiebraica. Gli atti che segnarono l'avvio della persecuzione delle vite in

Italia (quella dei diritti era iniziata assai prima) non furono tuttavia coordinati a livello

centrale, ma si trattò di iniziative spontanee di singoli reparti delle SS o di operazioni degli

organismi locali di polizia e di sicurezza. Il primo avvenne a Merano, da dove il 16 settembre

partì un convoglio con 22 ebrei diretto al campo di Reichenau, presso Innsbruck; il 23

settembre a Meina, sul lago Maggiore, 17 ebrei, uomini, donne e bambini, furono trucidati e i

loro corpi gettati nel lago.20 La prima grande azione antiebraica coordinata a livello centrale

avvenne a Roma il 16 ottobre 1943:21 la tragica retata nell’antico ghetto della capitale portò

alla deportazione verso Auschwitz di 1023 ebrei, di cui solo 17 sarebbero sopravvissuti. Dal

mese di novembre in poi, in accordo anche con la polizia di Salò, iniziarono retate nelle

maggiori città italiane.22 Gli ebrei arrestati, dopo un passaggio nelle carceri, venivano dirottati

verso Fossoli o la Risiera di San Sabba, ma trasporti diretti partirono anche dalle grandi città.

Complessivamente dall’Italia raggiunsero Auschwitz 23 convogli, di cui 19 dalla Risiera.

Riportiamo una breve testimonianza di Shlomo Venezia. Shlomo, nato a Salonicco, fu

arrestato ad Atene e arrivò a Birkenau nell’aprile 1944 Qui entrò a far parte del

Sonderkommando. La sua testimonianza è quindi assai significativa perchè proviene da uno

dei pochissimi sopravvissuti di queste unità speciali che operavano nei crematori:

E' venuto il capo che era una brava persona, mi dà in mano una forbice grande da sarto e mi dice: «Tu dovrai

tagliare i capelli alle donne» e le donne erano tutte quelle che uscivano morte, non quelle ancora in vita, quelle

venivano rapate diversamente. Dopo che ci hanno assegnato i compiti, quando hanno aperto la porta di una

camera a gas, non era come la prima sera, era il sotterraneo, la sala dove la gente si svestiva. Quando veniva la

gente, la prima cosa che diceva il tedesco era: «Achtung, Achtung», con quella voce che ti entrava dentro le ossa.

C'erano in quella stanza degli attaccapanni e ognuno di questi aveva un numero. Il tedesco diceva a tutti di

appendere la loro roba e di ricordarsi il numero del proprio attaccapanni così da ritrovarla quando sarebbero

usciti dalla doccia e di non creare confusione. La gente così era convinta di andare a fare la doccia e, infatti, c'era

una grande stanza con tante docce finte. Alcuni cercavano di andare per primi in modo da finire prima, per

esempio le donne con i bambini piccoli. Questi andavano e si mettevano sotto la doccia e cominciavano a

strofinarsi. Non c'erano finestre, ma l'acqua non veniva mai. La gente continuava ad entrare completamente nuda.

Alla fine, quando erano entrati tutti fino all'ultimo e c'erano circa 1.500 persone, queste cominciavano a

sospettare. Dicevano: «Dobbiamo fare la doccia, l'acqua non arriva, le persone sono tutte pigiate». I primi ad

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arrivare ormai avevano capito che qualcosa stava per succedere e volevano uscire, ma appena si avvicinavano

venivano presi a frustate dal tedesco. Infine chiudevano la porta, simile a quella dei frigoriferi dei macellai, una

doppia porta con al centro lo spioncino per vedere l'interno. Il tedesco che stava fuori aveva la possibilità di

accendere la luce e per lui questo interruttore era come un gioco, perché poteva vedere la reazione delle persone

che restavano all'improvviso al buio e per loro era come essere già morte. Quando riaccendeva la luce, quelli

tiravano un sospiro di sollievo e così andava su e giù, finché arrivava il solito furgoncino con la croce rossa ai lati

e veniva il tedesco che, dal retro della costruzione, apriva la botola che era camuffata dall'erba quando non c'era

la neve e metteva dentro questo gas velenoso che si chiama Zyklon B. Dopo dieci minuti tutti quelli che stavano

dentro erano asfissiati e si mettevano all'opera quelli che erano addetti. Io dovevo tagliare i capelli. Il mio amico

che faceva il dentista aveva avuto una pinza e uno specchietto come i dentisti, però doveva aprire le bocche ed

estrarre i denti d'oro (…) Altre volte mi hanno chiesto, per esempio, se qualcuno sia mai rimasto vivo nella

camera a gas. Era difficilissimo, eppure una volta è rimasta una persona viva. Era un bambino di circa due mesi.

All'improvviso, dopo che hanno aperto la porta e messo in funzione i ventilatori per togliere l'odore tremendo del

gas e di tutte quelle persone - perché quella morte era molto sofferta - uno di quelli che estraeva i cadaveri ha

detto: «Ho sentito un rumore». Normalmente quando uno muore, dopo un po' finché non si assesta, il corpo ha

dentro dell'aria e fa qualche rumore. Abbiamo detto: «Questo poverino, in mezzo a tutti questi morti, comincia a

perdere il lume della ragione». Dopo una decina di minuti lo ha sentito di nuovo. Abbiamo detto: «Tutti fermi,

non vi muovete», ma non abbiamo sentito niente e abbiamo continuato a lavorare. Quando ha sentito di nuovo,

ho detto: «Possibile che senta solo lui? Allora fermiamoci un po’ di più e vediamo cosa succede». Infatti,

abbiamo sentito quasi tutti un vagito da lontano. Allora uno di noi sale sui corpi per arrivare laddove veniva il

rumore e si ferma dove si sente più forte. Va vicino e, insomma, là c'era la mamma che stava allattando questo

bambino. La mamma era morta e il bambino era attaccato al seno della mamma. Finché riusciva a succhiare stava

tranquillo. Quando non è arrivato più niente si è messo a piangere - si sa che i bambini piangono quando hanno

fame. Il bambino era quindi vivo e noi l'abbiamo preso e portato fuori, ma ormai era condannato. C'era l'SS tutto

contento: «Portatelo, portatelo». Come un cacciatore, era contento di poter prendere il suo fucile ad aria

compressa, uno sparo alla bocca e il bambino ha fatto la fine della mamma. Questo è successo una volta in quella

camera a gas. Ci sono tanti racconti, ma io non racconto mai cose che hanno visto gli altri e non io.23

Cosa si può vedere oggi

Il campo si trova nella cittadina di Oświęcim, a circa una cinquantina di chilometri da

Cracovia.

L’ingresso al complesso di Auschwitz-Birkenau è gratuito. Per i gruppi è obbligatoria la visita

guidata; sono disponibili anche guide che parlano italiano e che, negli scorsi anni, hanno

frequentato corsi di aggiornamento con i migliori specialisti, alcuni dei quali svolti in Italia.

Birkenau dista circa tre km dallo Stammlager e si può facilmente raggiungere a piedi o con un

pullman che ogni ora collega i due campi (dal 15 aprile al 31 ottobre).

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Orari di apertura del campo: dal 16 dicembre al 29 febbraio dalle 8 alle 15, in marzo e dal 1°

novembre al 15 dicembre dalle 8 alle 16, in aprile e ottobre dalle 8 alle 17, in maggio e

settembre dalle 8 alle 18, dal 1° giugno al 31 agosto dalle 8 alle 19.

Il numero di telefono del museo è: +33 8432022 – 8432077; qualsiasi altra informazione è

reperibile nel ricco sito Internet del museo: http://www.auschwitz.org.pl (in polacco, inglese,

tedesco).

Dei tre campi che costituivano il complesso di Auschwitz due soli sono aperti alla visita:

Auschwitz I, lo Stammlager, e Auschwitz II - Birkenau, il centro dello sterminio; non esiste

invece più il campo di Auschwitz III - Monowitz. Tutto il complesso fa parte del Museo

Statale di Auschwitz-Birkenau, istituito dal parlamento polacco il 2 luglio 1947.

Auschwitz I (Stammlager)

Ad Auschwitz I la maggior parte dei blocchi è visitabile: sono chiusi solo i pochi che

ospitano archivi e uffici. L’ingresso avviene attraverso un padiglione moderno, ricavato

nell’edificio che ospitava i locali di immatricolazione dei detenuti: vi si trovano un ufficio

informazioni, dove è possibile prenotare le visite guidate, un bar, uno sportello di cambio, una

piccola libreria (un’altra si trova all’esterno, nei pressi dell’ingresso).

Si accede al campo attraverso il cancello con la triste massima “Il lavoro rende liberi” e,

proseguendo dritto, si lasciano a sinistra i blocchi che ospitano l’archivio e una parte

dell’amministrazione e a destra il piccolo spiazzo dove suonava l’orchestra del campo,

accompagnando l’uscita dei gruppi di prigionieri diretti al lavoro. Superato il primo viale

perpendicolare e la seconda fila di blocchi, si raggiunge a destra un gruppo di baracche, vicino

al muro di cinta, nelle quali è stata allestita tra il 1947 e il 1955 un’esposizione dedicata alla

storia del campo: il blocco 4 è dedicato allo sterminio, il 5 alle “prove materiali dei crimini”,

il 6 alla “vita del prigioniero”, il 7 alle condizioni di vita e sanitarie nel Lager. Pur risentendo

di un’impostazione inevitabilmente antiquata, alcune parti dell’esposizione sono di grande

interesse: in particolare, nel blocco 4, è esposto un dettagliato plastico del Krematorium II di

Birkenau, utile per farsi un’idea precisa del modo in cui avveniva il processo di messa a

morte. Impressionante, nello stesso blocco, una vetrina contenente una parte dell’enorme

quantità di capelli trovati alla liberazione del campo; nello stesso locale, in una vetrina più

piccola, sono esposti oggetti prodotti con i capelli. Reperti commoventi si trovano anche nel

blocco 5: protesi, scarpe, scodelle, valigie (molte con i nomi e gli indirizzi dei proprietari) e

abiti di bambini. Meno interessanti e precise le esposizioni delle baracche 6 e 7. Merita invece

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assolutamente una visita il blocco 11, l’ultimo della stessa fila di baracche. E’ la ex-prigione

del Lager, luogo di sofferenza e di morte; nello scantinato di questo blocco ebbe luogo a

inizio settembre 1941 la prima gassazione di massa con il Zyklon-B. Si visitano le buie e

umide celle di punizione (terribili quelle in cui si era obbligati a stare in piedi, al buio

completo, praticamente senz’aria) e si possono vedere su alcune pareti graffiti fatti con le

unghie dai prigionieri. Un mazzo di fiori e una lapide in una cella ricordano il sacrificio del

sacerdote polacco Maximilian Kolbe. A sinistra del blocco 11 si apre il cortile delle

esecuzioni, chiuso in fondo dal cosiddetto “muro della morte”, dove migliaia di detenuti

furono uccisi: oggi è luogo di commemorazione e cerimonie ufficiali. Il blocco 10, che limita

il cortile dall’altro lato, fu sede di esperimenti “medici” sui detenuti. Le finestre sono sbarrate

perché gli internati non potessero vedere quanto accadeva nell’adiacente cortile.

Nei blocchi che fronteggiano quelli appena menzionati sono ospitate le “esposizioni

nazionali”, create per iniziativa delle associazioni di ex-prigionieri e dei governi di varie

nazioni, che illustrano le vicende della deportazione nei diversi paesi d’Europa. Ritornando in

direzione dell’ingresso, si raggiunge per primo il padiglione italiano, nel blocco 21, che, pur

essendo opera di un insigne architetto (ed ex-deportato), Ludovico Belgiojoso, appare datato e

poco efficace sul piano informativo. Nello stesso blocco, al piano superiore, ha sede

l’esposizione olandese. Nei successivi, procedendo a ritroso, sono alloggiate le mostre degli

altri paesi: alcune, di realizzazione recente sono molto suggestive ed efficaci sul piano

documentario. Tra le migliori quella francese (blocco 20), quella ungherese (18), quella della

Repubblica Ceca (16), quella slovacca (stesso blocco). Di fronte ai blocchi 16 e 17 si apre la

piazza dell’appello, chiusa sull’altro lato dal grande edificio delle cucine. Procedendo lungo lo

stesso viale, perpendicolare a quello dell’ingresso, si raggiunge, nel blocco 13, il padiglione

dedicato alla persecuzione e allo sterminio delle popolazioni Sinti e Roma: realizzato di

recente, è di grandissimo interesse per la ricchezza della documentazione e l’efficacia

dell’allestimento. Poco oltre, superato un passaggio nella recinzione, si arriva al crematorio I,

che fu utilizzato come camera a gas per breve tempo nel 1942-43; trasformato in rifugio

antiaereo e infine smantellato, subì una radicale ristrutturazione dopo la guerra, volta a

ripristinarne (non senza errori) la configurazione originaria. Nei pressi, la forca che servì nel

1947 per l’impiccagione di Rudolf Höß.

Auschwitz II - Birkenau

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Diversamente dal “campo base”, Birkenau fu edificato dal nulla: comprendeva 300 baracche

su un’area di 175 ettari, per un totale di detenuti che, in alcuni momenti, arrivò a superare le

100.000 unità. Oggi rimangono solo 45 edifici in muratura e 22 baracche di legno. Si possono

cogliere le impressionanti dimensioni del campo salendo, prima di iniziare la visita, nella

torretta che sovrasta l’ingresso (originariamente la torre di guardia principale), sopra il binario

della rampa ferroviaria costruita nel maggio del 1944 (in precedenza i trasporti dei deportati

arrivavano alla Judenrampe). Il campo era diviso in settori, separati da recinzioni che in parte

sussistono ancora oggi. Originali sono le torrette che scandiscono il recinto esterno.

Entrando nel campo e percorrendo la via principale, Hauptstraße, che fiancheggia la rampa, si

ha alla sinistra (verso ovest) il settore “BI”, costruito nel 1942, diviso in due parti: la prima

(BIa) ospitava il campo femminile, la seconda (BIb) in origine quello maschile, poi, dal 1943,

una seconda sezione femminile. A destra della rampa si estende il vasto settore “BII”, diviso a

sua volta in sei sezioni: partendo dall’ingresso troviamo il campo della quarantena degli

uomini (BIIa), che conserva 19 baracche in legno, restaurate ma originali, quindi il “campo

per famiglie” degli ebrei provenienti dal Lager-ghetto ceco di Theresienstadt (BIIb), il campo

di transito per ebree ungheresi (BIIc); superato l’incrocio con la Lagerstraße A, il campo degli

uomini (BIId), il “campo per famiglie” riservato agli zingari (BII e) e l’ospedale maschile

(BIIf).

Al citato incrocio tra Hauptstraße e Lagerstraße A, presso il piccolo edificio della sezione

politica (Politische Abteilung), si svolgeva, nell’ultima fase del campo, la tragica “selezione”

dei deportati, che decideva del loro destino.

Percorrendo tutta la via principale, fino al termine della rampa ferroviaria, si possono vedere

le rovine dei crematori II e III, costruiti simmetricamente ai due lati della strada. In fondo si

erge il grande monumento commemorativo, realizzato nel 1967 e sede oggi delle celebrazioni

ufficiali. Superando il memoriale e procedendo verso destra, dopo i grandi impianti di

depurazione delle acque (Kläranlage), si raggiunge l’edificio detto Zentralsauna, dove, a

partire dalla fine del 1943, avevano luogo le procedure di immatricolazione dei deportati

immessi nel campo (prima si utilizzavano alcune baracche del settore BI). Recentemente

l’edificio è stato ristrutturato e può essere visitato: si vedono il locale dove i detenuti

ricevevano il tatuaggio con il numero di matricola, quello dove venivano rasati e le docce. Vi

sono anche grandi impianti per la disinfezione dei vestiti Nell’ultimo locale è stata allestita

una commovente esposizione di documenti e fotografie appartenuti ad ebrei uccisi ad

Auschwitz originari della regione. Di fronte al Zentralsauna vi è la zona detta Kanada II

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(Effektenlager), composta originariamente da trenta baracche in cui venivano immagazzinati

gli oggetti personali e i beni dei deportati, confiscati all’arrivo. Poco distante sono visibili le

rovine dei crematori IV e V. Più distaccati, verso ovest, i resti del Bunker 2, circondati da una

zona di fosse comuni, enorme cimitero per migliaia di vittime del Lager. Il sito originario del

Bunker 1 è esterno al campo ed è stato recentemente recuperato: in un prato recintato piccole

lapidi in più lingue ricordano le vittime della “casina rossa”.

Per riguadagnare l’uscita, si può percorrere la Lagestraße B, alla cui sinistra si trova il terzo

settore del campo (BIII), detto Mexico, che non venne mai completato, ma fu comunque

parzialmente utilizzato. In fondo alla Lagerstraße B si vede, fuori dal recinto del campo, il

grande edificio che ospitava il comando (Kommandantur), oggi utilizzato come parrocchia.

Tornando verso l’ingresso principale, si possono visitare le superstiti baracche della

quarantena, squallidi edifici in legno, in realtà stalle per cavalli, dove, su giacigli a castello,

dormivano fino a 400 detenuti, in condizioni igieniche terribili.

Come già segnalato, dal 2005 è stata recuperata anche la zona della Judenrampe, situata a

circa 800 metri dall’ingresso di Birkenau, vicino alla ferrovia, e raggiungibile con una piccola

strada.

***

Nota bibliografica24

- AA. VV. (a cura di Gadi Luzzatto Voghera e Ernesto Perillo), Pensare e insegnare

Auschwitz. Memorie, storie, apprendimenti, Franco Angeli, Milano 2004

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- Alessandra Chiappano, Fabio Maria Pace (a cura di), Shoah. Documenti, testimonianze,

interpretazioni, Einaudi Scuola, Milano 2002

- Danuta Czech, Kalendarium. Gli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz

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Fondazione Memoria della Deportazione e dell'ANED:

http://www.deportati.it/approfondimenti_AUSCHWITZ/Kalendarium.html (agosto 2007)

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- Otto Friedrich, Auschwitz. Storia del lager 1940-1945, tr. it., Baldini & Castoldi, Milano

1994; 1996

- Francesco Maria Feltri, Per discutere di Auschwitz. Le domande perenni, le tendenze della

ricerca, i problemi ancora aperti, La Giuntina, Firenze 1998

- Giovanni Gozzini, La strada per Auschwitz. Documenti e interpretazioni sullo sterminio

nazista, Bruno Mondadori, Milano 1996; 2006 (2)

- Ernst Klee, Willi Dreßen, Volker Rieß, “Bei tempi”. Lo sterminio degli ebrei raccontato da

chi l’ha eseguito e da chi stava a guardare, tr. it., La Giuntina, Firenze 1990

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- Philippe Mesnard, Carlo Saletti (a cura di), Sonderkommando. Diario da un crematorio di

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- Fabio Maria Pace, Auschwitz e lo sterminio degli ebrei, in Alessandra Chiappano I Lager

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Auschwitz-Birkenau, in AA. VV. (a cura di Alessandra Chiappano e Fabio Minazzi), Il

paradigma nazista dell’annientamento. La Shoah e gli altri stermini, Atti del quinto

seminario residenziale sulla didattica della Shoah, Bagnacavallo, 13-15 gennaio 2005Firenze,

La Giuntina, 2006, pp. 89-95

- Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Mursia,

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- Liliana Picciotto, Marcello Pezzetti (a cura di), Destinazione Auschwitz, libro e 2 CD-ROM,

Proedi Editore - CDEC, Milano 2000

- Jean-Claude Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, tr. it., Feltrinelli,

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- Laurence Rees, Auschwitz. I nazisti e la soluzione finale, tr. It., Mondadori, Milano 2006

- Carlo Saletti (a cura di), La voce dei sommersi. Manoscritti ritrovati di membri del

Sonderkommando di Auschwitz, tr. it., Marsilio, Venezia 1996

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- Carlo Saletti (a cura di), Testimoni della catastrofe. Deposizioni di prigionieri del

Sonderkommando ebraico di Auschwitz-Birkenau (1945), tr. it., Ombre Corte, Verona 2004

- Roberto G. Salvadori, Auschwitz perché. La realtà del male, Limina, Arezzo 2004

- Wolfgang Sofsky, L’odine del terrore, tr. it., Laterza, Roma-Bari 1995; 2004

- Sybille Steinbacher, Auschwitz. La città, il lager, tr. it. Einaudi, Torino 2005

- Enzo Traverso, Auschwitz: simbolo, nodo problematico e sintesi della macchina di morte

nazionalsocialista, in Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli (a cura di), I campi di sterminio

nazisti. Storia, memoria, storiografia, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 51-67

- Georges Wellers, Le camere a gas sono esistite. Documenti, testimonianze, cifre, tr. it.,

Euredit, Torino 1997

- Annette Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia, tr. it., Einaudi, Torino 1999; 2005

Sitografia25

http://www.auschwitz.org.pl

in inglese, polacco, tedesco; sito ufficiale del Museo statale di Auschwitz, propone schede

sulla storia del Lager e della città di Oświęcim, una guida per la visita al campo e utili

informazioni di ordine pratico; c’è anche una libreria on-line (in vendita libri e CD)

http://www.yadvashem.org

in ebraico, inglese, russo; nell'immenso e bellissimo sito dell'Istituto Yad Vashem di

Gerusalemme è consultabile un’ampia documentazione sul campo di Auschwitz; da segnalare

un’unità didattica intitolata “Learning and Remembering about Auschwitz-Birkenau”

(http://www1.yadvashem.org/education/lessonplan/english/auschwitz/Auschwitz.pdf) e le

pagine con le straordinarie foto dell’”Album di Auschwitz”

(http://www1.yadvashem.org/exhibitions/album_auschwitz/home_auschwitz_album.html)

http://www.ushmm.org

in inglese (ma con molte sezioni anche in francese e spagnolo); il grande sito del museo

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dell'Olocausto di Washington contiene moltissimo materiale sulla storia della Shoah e una

vasta sezione dedicata ad Auschwitz

(http://www.ushmm.org/wlc/article.php?lang=en&ModuleId=10005189)

http://www.remember.org

in inglese; “Cybrary of the Holocaust”: vasto sito dedicato alla Shoah, di impianto

prevalentemente didattico, con documenti, testimonianze (anche audio e video), immagini,

riproduzioni di opere d'arte e varie sezioni sul campo di Auschwitz, tra le quali di particolare

interesse sono: http://www.remember.org/auschwitz/ (visita virtuale di Auschwitz e Birkenau,

con immagini interattive) e http://remember.org/camps/birkenau/index.html (mappa

interattiva di Birkenau)

http://www.olokaustos.org

in italiano; sito dedicato alla storia della Shoah, con profili storici, articoli su tematiche varie,

documenti, schede biografiche, percorsi didattici

http://web.tiscalinet.it/alfabeto_auschwitz

in italiano; “Alfabeto di Auschwitz”, versione italiana di un sito americano (dedicato alla

memoria di Primo Levi); di semplice consultazione, diviso in voci, utile per la didattica

http://www.bbc.co.uk/pressoffice/pressreleases/stories/2004/12_december/03/auschwitz_prog

1.shtml

in inglese; sito del programma “Auschwitz: The Nazis and the Final Solution”, prodotto dalla

BBC nel 2005 e curato da Laurence Rees con la supervisione di David Cesarani e Ian

Kershaw, con sei schede sulla storia del campo (scaricabili in formato PDF) e una cronologia

http://www.pbs.org/auschwitz

in inglese; ricco sito che prende le mosse da un programma televisivo su Auschwitz curato da

Laurence Rees per la PBS, la TV pubblica americana (“Auschwitz: Inside the Nazi State”),

con molto materiale sulla storia del campo, una sezione didattica, mappe interattive (sul

campo, sulla guerra e sui ghetti), foto, modell e molto altro

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http://www.nizkor.org

in inglese; il sito Nizkor, nato in origine per combattere il negazionismo, contiene una

ricchissima documentazione sulla Shoah e materiale didattico; la sezione su Auschwitz

(http://www.nizkor.org/hweb/camps/auschwitz/) è disponibile anche in spagnolo

http://www.binario21.org/

in italiano; sito che prende il nome dal binario della staizione centrale di Milano da cui

partivano i convogli dei deportati (e dove prossimamente saranno realizzati una struttura

museale e un memoriale); contiene molto materiale utile e interessante: filmati, testimonianze

(commovente quella in video di Liliana Segre), saggi, ricerche e l’elenco degli ebrei deportati

dall’Italia e dal Dodecanneso

http://www.cdec.it sito del CDEC, Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano;

contiene materiali di carattere didattico, schede bibliografiche, una cronologia di Auschwitz

(scaricabile in formato PDF), la statistica degli ebrei italiani vittime della Shoah e notizie sulle

attività del centro

∗ Docente presso l'Istituto “Pasolini” di Milano, autore di numerose pubblicazioni sull’antisemitismo e la Shoah e collaboratore presso la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano. Il presente contributo è un estratto del saggio Auschwitz e lo sterminio degli ebrei, pubblicato nel volume di Alessandra Chiappano I Lager nazisti. Guida storico-didattica, La Giuntina, Firenze 2007; sarà pubblicato prossimamente dalla Fondazione ex-campo di Fossoli.

1 Il campo originario, al quale si affiancarono successivamente Auschwitz II - Birkenau e Auschwitz III - Monowitz. 2 Le cifre mi sono state fornite da Marcello Pezzetti, del quale è imminente la pubblicazione di uno studio sulla storia del campo. Di poco più basse quelle indicate da Franciszek Piper, Estimating the Number of Deportees to and Victims of the Auschwitz-Birkenau Camp, in «Yad Vashem Studies», 21 (1991), che parla, su un totale di 1.100.000 vittime, di circa 960.000 ebrei, 70-75-000 polacchi non ebrei, 21.000 zingari, 15.000 prigionieri di guerra sovietici, 10-15.000 appartenenti ad altre nazionalità. Si tratta, va detto, d’un calcolo difficilissimo per la lacunosità della documentazione (in gran parte distrutta dai nazisti), per le discordanti stime fatte dai testimoni, ex-detenuti o personale del campo, e per molte altre ragioni; tuttavia, come opportunamente nota Brunello Mantelli, «ciò che interessa, in questo caso, sono gli ordini di grandezza reciproci più che i dati assoluti» (I campi di sterminio, in AA. VV., Storia della Shoah, U.T.E.T., Torino 2005, vol. 2, p. 556, n. 25.

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3 Philippe Burrin, L’antisemitismo nazista, tr. it. Bollati-Boringhieri, Torino 2004, pp. 45-46. 4 Yehuda Bauer, Genocide. What is the Nazi’s Original Plan?, in “Annals of the American Academy of Political and Social Sciences”, n. 450 (1980), p. 45. 5 Il riferimento è al classico testo di Karl A. Schleunes, The Twisted Road to Auschwitz. Nazy Policy towards German Jews, University of Illinois Press, Urbana 1970. 6 Abbreviazione del termine tedesco Konzentrationslager (“campo di concentramento”). 7 Sybille Steinbacher, Auschwitz. La città, il lager, tr. it. Einaudi, Torino 2005, p. 24. Steinbacher segnala che alla fine del XIX secolo, Oświęcim, località di confine dell’impero austriaco era luogo di transito per migliaia di emigranti che cercavano lavoro come stagionali in Prussia (chiamati gergalmente Sachsengänger, “quelli che vanno in Sassonia”): è per questi migranti stagionali che vennero edificate inizialmente le baracche, come campo di sosta e di ricovero. Furono poi usate da profughi polacchi della zona di Teschen, assegnata nel trattato di Versailles alla Cecoslovacchia. Passarono in seguito all’esercito polacco (ibid., pp. 12-15). 8 Ibid., pp. 51-52. 9 Nome in codice del programma di eliminazione dei disabili, derivante dall’indirizzo berlinese dell’ufficio incaricato di dirigere le operazioni (Tiergartenstraße 4), cfr. Michael Tregenza, Purificare e distruggere. 1. Il programma “eutanasia”. Le prime camere a gas naziste e lo sterminio dei disabili (1939-1941), tr. it., Ombre Corte, Verona 2006. 10 Il Zyklon-B (Zyklon Blausäure, ovvero “Acido cianidrico Ciclone”), era un prodotto della Degesch di Francoforte sul Meno, composto da acido cianidrico liquido assorbito su supporto poroso inerte: si tratta di un gas con temperatura di ebollizione di circa 25-27 gradi Celsius, molto velenoso anche per gli esseri umani. Introdotto in un locale chiuso e affollato, la temperatura lo libera rapidamente allo stato gassoso e, avendo peso specifico inferiore all’aria, esso tende a salire avvelenando velocemente tutti i presenti; cfr. Giorgio Nebbia, L’ingegneria dello sterminio, in Till Bastian, Auschwitz e la “menzogna su Auschwitz. Sterminio di massa e falsificazione della storia, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 112; cfr. anche Jean-Claude Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, tr. it., Feltrinelli, Milano 1994, p. 26 e passim. 11 Beni, abiti e oggetti lasciati dai deportati sulla Judenrampe venivano raccolti e sistemati in un deposito situato tra Auschwitz I e Birkenau (Effektenlager, chiamato nel gergo dei detenuti Kanada, perché vi erano beni di ogni sorta, come si pensava accadesse anche in quel lontano paese). 12 Dopo la guerra venne costruita una casa dove sorgeva il Bunker 1; grazie alle ricerche di Marcello Pezzetti e all’impegno di Richard Prasquier, nel 2005 il luogo ha potuto essere identificato e la casa abbattuta; oggi tre lapidi commemorative ricordano le vittime della “casetta rossa”. 13 Il 29 novembre 1941 Heydrich convocò a Berlino per il 9 dicembre, in una villa sul lago Wannsee, una riunione per discutere della “soluzione globale della questione ebraica in Europa”; a causa dell’attacco giapponese a Pearl Harbour la riunione fu poi spostata al 20 gennaio. Erano presenti rappresentanti dei ministeri interessati alla “questione ebraica”, dell’amministrazione civile dei territori occupati dell’est, del partito, delle SS, della polizia e di altri organismi; della riunione esiste un verbale, scoperto nel 1947, redatto da Eichmann. Contrariamente a quanto spesso si crede, la riunione non “decise” lo sterminio degli ebrei, né lo “organizzò”: a quella data esso era già in atto in URSS e nel centro di sterminio polacco di Chełmno, era in avanzata preparazione, sempre in Polonia, nei campi della morte del Governatorato Generale e iniziava nella stessa Auschwitz. Si volle piuttosto coordinare l’azione dei molti organismi coinvolti, fare chiarezza sullo “stato della questione”, sancire il ruolo primario di Himmler (che Heydrich rappresentava) e dell’RSHA (Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich, organismo creato nel gennaio 1939 che inglobava i corpi di polizia dello stato e del partito) e, soprattutto, definire la sorte dei Mischlinge, persone di “sangue misto” (questione che occupò gran parte dei lavori). E’ tuttavia evidente dal verbale che tutti i presenti ebbero piena coscienza di quanto stava accadendo e sarebbe accaduto; cfr. Mark Roseman, Il protocollo del Wannsee e la “soluzione finale”, tr. it. Corbaccio, Milano 2002, pp. 92 e ss. 14 Il Sonderkommando era nel 1942 composto da 80 detenuti, ma il numero salì costantemente, fino ad arrivare a 400 all’inizio del 1944 e a quasi 900 durante lo sterminio degli ebrei ungheresi (quando le squadre lavoravano a turni giorno e notte). L’oro dei denti strappati alle vittime veniva fuso e inviato in lingotti alla Reichsbank; i capelli erano utilizzati da varie ditte per fare filati, filtri per l’industria, feltri e altri prodotti; le ceneri servirono come concime, materiale di riempimento nella costruzione di strade e isolante termico per gli edifici del campo; farina di ossa umane venne venduta dalle SS a una ditta che produceva concimanti (cfr. S. Steinbacher, op. cit., p. 93). E’ invece falsa la notizia, spesso riportata, che si fabbricasse sapone con il grasso residuato dalle cremazioni. I bagagli delle vittime venivano svuotati, il loro contenuto accuratamente assortito e accatastato in trenta baracche-magazzino realizzate alla fine del 1943 a Birkenau: nel gergo del campo erano chiamate Kanada II (il Kanada I era nei pressi della Judenrampe). Di queste operazioni si occupava un’apposita squadra di prigionieri, l’Aufräumungskommando (“squadra di sgombero”)

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15 La Judenrampe, dove pure arrivò la grande maggioranza degli ebrei deportati a Birkenau, è rimasta in stato di abbandono, tra rovi ed erbacce, per 60 anni; solo nel 2005 l’impegno di Marcello Pezzetti e l’iniziativa di Serge Klarsfeld e della Fondation pour la Mémoire de la Shoah ne hanno permesso il recupero. 16 Cfr. Robert Jay Lifton, I medici nazisti, tr. it. Rizzoli, Milano 1988; 2003. 17 Così venne chiamata, in onore di Reinhard Heydrich (ucciso il 27 maggio 1942 in un attentato della resistenza ceca), l’azione di sterminio degli ebrei polacchi del Governatorato Generale, attuata a partire dal marzo 1942 nei campi della morte di BełŜec, Sobibór e Treblinka. L’opera di riferimento sull’ Aktion Reinhard resta lo studio di Yitzhak Arad, Belzec, Sobibór, Treblinka: The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington Ind. 1987. 18 Le parti ancora utilizzabili furono inviate in altri campi: i forni finirono probabilmente a Groß-Rosen e Mauthausen. 19 Per il numero esatto di ebrei deportati cfr. Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Mursia, Milano 2002 (2). E' in corso una ricerca analitica sulle deportazioni dall'Italia promossa dall'ANED e dall'Università di Torino, coordinata da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia. I risultati saranno pubblicati nel corso del 2007. 20 Cfr. Marco Nozza, Hotel Meina, Il Saggiatore/Net, Milano 2005 21 Cfr. Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, Sellerio, Palermo 1993 22 Per una ricostruzione precisa delle strutture repressive operanti in Italia e delle varie operazioni di polizia che portarono all'arresto degli ebrei italiani vedi L. Picciotto, op. cit., pp. 858-866; 867-874; 884-889; 899-903; 921-939. 23 La testimonianza di Shlomo Venezia è inedita: a lui un sentito ringraziamento per avermela concessa. Nel gennaio 2007 è stato pubblicato in francese, a cura di Béatrice Prasquier e con prefazione di Simone Veil, un libro-intervista con Shlomo (ed. Albin Michel), intitolato, Sonderkommando. Dans l'enfer des chambres à gaz. L’edizione italiana è prevista per il prossimo ottobre. 24 La bibliografia su Auschwitz è sterminata: si segnalano qui soltanto alcune opere facilmente reperibili in biblioteca e in italiano, senza nessuna pretesa di esaustività. Notizie sulla storia del campo si trovano ovviamente anche nelle grandi trattazioni generali sulla Shoah (Poliakov, Hilberg, ecc.) e in lessici ed enciclopedie. 25 Esistono migliaia di siti dedicati alla Shoah e moltissimi riservano uno spazio al campo di Auschwitz. Qui si è voluto solo fornire un elenco essenziale, incentrato sulle grandi istituzioni e i maggiori centri di ricerca, che offrono su Internet molto materiale prezioso e utili informazioni. Purtroppo sono pochi i siti validi e affidabili in italiano: la maggior parte, come si può vedere, è in inglese. E’ appena il caso di dire che, specie nel lavoro didattico, Internet è certo una risorsa importante, ma va utilizzata con estrema cautela: la “rete” pullula di pagine inattendibili sul piano storico o, ancor peggio (e talora occultamente), di carattere negazionista.