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il Punt Fatti, notizie e riflessioni da Masterimpresa.it – Scuola d’Impresa www.masterimpresa.it - www.ilpuntomagazine.net . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 » Così è se vi pare Ovvero l’importanza della bugia funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 » L’arte del riciclo con la plastica Il punto di fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 » Punto di equlibrio o punto di saturazione? Il punto di vista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 » Le aziende viticole e il web A che punto è l’impresa? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 » Innovazione di rete Il punto scientifico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 » Gaio Marzo è l’invenzione del catering Il punto letterario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 » Scorsese e l’arte della persuasione Match Point . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 » Speciale Falù: diario di bordo L’Appunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MARZO 2014 Anno VIII, Numero I Direttore responsabile: Agostino La Bella Redazione: Maria Assunta Barchiesi, Elisa Battistoni, Guendalina Capece, Silvia Ca- stellan, Glauco Conte, Marco Greco, Cristina Landi, Federica Lorini, Gianluca Murgia Progetto grafico, copertina e impaginazione: Silvia Castellan

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il Punt

Fatti, notizie e riflessioni da Masterimpresa.it – Scuola d’Impresa

 www.masterimpresa.it - www.ilpuntomagazine.net

                . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 » Cos ì è se v i pare Ovvero l’importanza della bugia funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6 » L ’ar te de l r ic ic lo con la p last ica Il punto di fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 » Punto d i equ l ibr io o punto d i saturaz ione? Il punto di vista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

14 » Le az iende v i t i co le e i l web A che punto è l’impresa? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

17 » Innovaz ione d i re te Il punto scientifico

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 » Ga io Marzo è l ’ invenz ione de l cater ing Il punto letterario

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

24 » Scorsese e l ’ar te de l la persuas ione Match Point

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 » Spec ia le Fa lù : d iar io d i bordo L’Appunto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MARZO 2014 Anno VI I I , Numero I Direttore responsabile: Agostino La Bella

Redazione: Maria Assunta Barchiesi, Elisa Battistoni, Guendalina Capece, Silvia Ca-stellan, Glauco Conte, Marco Greco, Cristina Landi, Federica Lorini, Gianluca Murgia

Progetto grafico, copertina e impaginazione: Silvia Castellan

   

   

   

   

   

   

   

   

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COSÌ È SE VI PARE ovvero, l ’ importanza de l la bugia funz ionale

i l Punto F isso , d i Agost ino La Be l la

Siamo sinceri: qualche volta (anzi, abbastanza spesso) è più brutale e aggressiva una verità sgradevole sbattuta in faccia o, peggio, esibita in pubblico, di una bugia utilizzata come comportamento strategico. E in effetti, tra le varie tipologie di bugie, quella “diffamatoria” occupa una posizione certamente non domi-nante: molto più spesso i “diffamatori” utiliz-zano aspetti della realtà collegati a fattori strettamente personali che i “diffamati” avrebbero preferito non fossero mai rivelati. Ma cos’è esattamente una bugia? Tecnica-mente, dal punto di vista della comunicazio-ne, possiamo definirla come la proiezione verbale di una immagine della realtà, consa-pevolmente alterata al fine di condizionare la risposta cognitiva, emotiva e comportamenta-le degli altri. Tale immagine può essere com-pletamente inventata, oppure elaborata attra-verso i ben noti processi di generalizzazione, cancellazione e distorsione dei fatti. Questa definizione ci aiuta a distinguere tra compor-tamenti teatrali, come quello del bambino che brandisce un pezzo di legno fingendo che sia una spada, e comportamenti ingannevoli, co-me quello degli adulti che vogliono far sì che gli altri credano vero ciò che essi sanno benis-simo essere falso. Il bambino non pretende di convincere nessuno (anche lui sa bene che ha in mano un pezzo di legno), ma desidera con-dividere una sua rappresentazione mentale che, a seconda dei casi, lo diverte, lo com-muove, lo emoziona: quindi, non sta menten-do. La bugia è il livello più evoluto delle ma-nifestazioni ingannevoli presenti in tutto il mondo animale. Il primo livello è quello del comportamento mimetico, che è stato pro-

grammato geneticamente in alcune specie per determinare automaticamente una risposta a determinate caratteristiche ambientali: non c’è in questo caso nulla di cognitivo o intenziona-le, anche se sempre di inganno si tratta. A un livello superiore di complessità e di im-pegno delle facoltà cognitive troviamo com-portamenti, anche in questo caso genetica-mente programmati, che scattano quando l’animale riconosce il verificarsi di una parti-colare situazione: esempio tipico è il fingersi morto in caso di pericolo, comune a molte specie anche inferiori. Al terzo livello trovia-mo comportamenti ingannevoli di natura on-togenetica, sviluppatisi cioè con l’apprendi-mento; un esempio riportato in letteratura è quello di un cane che finge di voler uscire per far alzare il padrone e impossessarsi così della sua poltrona preferita.

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Il livello più evoluto è quello raggiunto dall’uomo, per il quale la menzogna è un’azione comunicativa complessa che impli-ca un notevole impegno mentale, emotivo, re-lazionale e sociale. È anche un’azione fre-quente tanto che filosofi e studiosi delle scienze umane hanno approfondito in modo sistematico l’ambito della menzogna: da Ari-stotele e Platone ad Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino, a Niccolò Machiavelli, a Thomas Hobbes fino agli studiosi di oggi. È un campo che da sempre ha appassionato la mente umana. Da secoli ci domandiamo per-ché, conoscendo la verità, diciamo il falso. Dal punto di vista etico prevale in assoluto il rifiuto della bugia. Nella Metafisica, Aristote-le afferma: «Il falso e il vero non sono nelle cose, come se il bene fosse vero e il male senz’altro falso, ma nel pensiero». Nell’Etica Nicomachea la distinzione è ancora più netta: «Di per sé la bugia è turpe e biasimevole, mentre la verità è bella e lodevole». La since-rità, per Aristotele, è quella virtù che consiste nella disposizione a essere veridici su se stes-si, ossia a sembrare quello che si è: l’uomo veridico è «autentico com’è, sincero sia nella vita, sia nelle parole». Nelle sacre scritture la menzogna è rifiutata senza discussioni («non renderai falsa testi-monianza»), anche se la questione si presenta più sfumata nel pensiero di Agostino d’Ippo-na, che dedicò ben due opere al tema (il De mendacio e il Contra mendacium, rispettiva-mente del 395 d.C. e 420 d.C.). Agostino pro-pone una classificazione delle menzogne, in ordine di gravità decrescente: 1. la menzogna religiosa (per convertire qualcuno); 2. la men-zogna maligna attiva (per fare danno a qual-

cuno senza giovare a nessuno); 3. la menzo-gna maligna passiva (per godere dell’inganno e trarne giovamento); 4. la menzogna pura (per il solo piacere di ingannare); 5. la men-zogna motivata dal desiderio di piacere (men-zogna sociale, per ravvivare la conversazio-ne); 6. la menzogna benevola innocente (per beneficiare qualcuno nei beni materiali senza danneggiare nessuno); 7. la menzogna neces-saria per salvare la vita a qualcuno (ad esem-pio sottraendolo dalle mani di un assassino); 8. la menzogna necessaria per la purezza (per salvare la castità). In questi otto generi di bu-gie, «chi mente pecca tanto meno quanto più sale verso l’ottavo livello e tanto maggior-mente quanto più scende verso il primo». Secondo Kant non si ha mai, in nessun caso e per nessun motivo, il diritto di mentire, cioè di limitare soggettivamente l'accessibilità del-la conoscenza; questa tesi è giustificata da ra-gioni che concernono il rapporto della cono-scenza con il diritto, «poiché la verità non è un possesso sul quale si possa concedere il di-ritto all'uno e ricusarlo all'altro; ma special-mente perché il dovere della veridicità non fa distinzione fra persone verso cui sia possibile avere questo dovere e persone nei cui con-fronti sia possibile distaccarsene, bensì è un dovere incondizionato, che vale in tutte le si-tuazioni». Neanche il mentire a fin di bene può essere giustificato, poiché è impossibile essere totalmente sicuri che ciò che scaturirà dalla bugia sarà buono: ciò implicherebbe in-fatti una infallibile capacità di previsione (in contrasto peraltro con il moderno “principio di razionalità limitata”). Tuttavia è fin troppo facile trovare esempi in cui la bugia, al di là di qualunque riflessione

« . . .è f in t roppo fac i le t rovare esempi in cu i la bu-g ia , a l d i là d i qua lunque r i f less ione f i losof ica , è senz’a l t ro “buona”: pens iamo a co lu i che s i au-toaccusa d i un at to che non ha commesso per ev i tare r i tors ion i su numerose a l t re persone; o immagin iamo d i ment i re a un s icar io che cerca un innocente per ucc ider lo . »  

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filosofica, è senz’altro “buona”: pensiamo a colui che si autoaccusa di un atto che non ha commesso per evitare ritorsioni su numerose altre persone; o immaginiamo di mentire a un sicario che cerca un innocente per ucciderlo. Difficile trovare riprovevoli queste “menzo-gne”. E se in particolare la prima può ancora essere discussa sul piano dell’opportunità, da-ta l'evidente difficoltà teorica di un confronto tra perdite di vite umane basato sulla quantità, la seconda è non solo moralmente lecita, ma addirittura in tale circostanza l’opposto (dire cioè la “verità”) verrebbe considerato un comportamento da vigliacchi. Con questi ar-gomenti il filosofo francese Benjamin Con-stant contestava la tesi Kantiana; e non c’è dubbio che, aperto un varco nel principio as-soluto di verità, tutto diventa discutibile, tanto da far affermare a Elias Canetti (Nobel per la letteratura 1981): «Odio l'eterna disponibilità alla verità, la verità per abitudine, la verità per dovere. La verità dev’essere un temporale: quando ha purificato l'aria, se ne vada (...) Non la si foraggi, non la si misuri; la si lasci crescere nella sua terribile pace». D’altra parte la bugia “utilitaristica”, giustifi-cata cioè dal fine, è stata ampiamente teoriz-zata; molto prima di Machiavelli, nella Re-pubblica di Platone, Socrate, sollecitato da Glaucone, sostiene che i governanti hanno il diritto di dire il falso allo scopo di «ingannare nemici o concittadini nell' interesse dello Sta-to». Platone sosteneva anche che il bugiardo è superiore a chi dice sempre la verità, poiché il primo ha sempre una doppia opzione. Su questo punto concorda Oscar Wilde ne L’importanza di chiamarsi Ernesto: «Ciò che la gente chiama falsità è semplicemente un metodo grazie al quale possiamo moltiplicare le nostre personalità». Il corrispondente da Washington dell’Evening Standard Jeremy Campbell ha scritto un interessante libro (La grande bugia, Garzanti, 2002) in cui sostiene che «l’umanità non avrebbe mai potuto sop-portare l’estenuante cammino che l’ha portata alla sua attuale posizione privilegiata sulla scala evolutiva se avesse seguito una dieta scarna ed esigua come quella rappresentata dalla verità». Se non vogliamo mentire a noi stessi dobbia-mo riconoscere che delle bugie - utilitaristi-che, cortesi o pietose che siano - non possia-

mo fare a meno. Sono loro, infatti, che ci permettono di “sopravvivere” in situazioni particolarmente difficili o imbarazzanti. Le bugie stanno alla base della società e delle re-lazioni sociali. Cosa sono, in fondo, le “buone maniere”? Se incontriamo un conoscente e lo troviamo improvvisamente invecchiato, stan-co, con le borse sotto gli occhi e una pancia prominente, è corretto dirgli «stai una schi-fezza», o non è più opportuno il tradizionale «ti trovo bene»? L’uso di questo tipo di “bu-gia sociale” è considerato di fatto segno di buona educazione e di sensibilità verso gli al-tri. Le bugie sono utilizzate anche a fini educati-vi, per rinforzare attitudini e comportamenti virtuosi (come ad esempio le lodi ai primi passi, ai primi accenni di discorso, ai primi scarabocchi dei bambini piccoli) o per repri-mere («...se non fai il bravo arriva l’uomo ne-ro!»). In altri casi le bugie costituiscono distorsioni, esagerazioni o falsificazioni della realtà a fini di impression management, cioè o per na-scondere lati della nostra personalità che pre-feriamo non far trapelare, o per apparire più interessanti e attraenti non solo agli occhi de-gli altri ma in qualche caso anche ai nostri. Tutti desiderano in qualche misura proiettare un’immagine di sé socialmente desiderabile: per questo spesso i sondaggi di opinione non funzionano, neanche quando sono anonimi, poiché il primo destinatario dell'inganno è il bugiardo stesso. La bugia può avere scopi di difesa rispetto a una potenziale sanzione per un comportamen-to non conforme a canoni etici e/o socialmen-te accettabili, come quando ci si costruisce un alibi per sottrarsi a una pena o, più semplice-mente, per nascondere al partner un tradimen-to. In alcuni casi la bugia è totalmente inconsa-pevole, è rivolta a noi stessi prima che agli al-tri, e consiste nel negare o rappresentare in modo alterato realtà troppo brutali o dolorose per essere sopportate e che quindi la nostra mente cancella o seppellisce nell’inconscio. Un fenomeno dello stesso tipo avviene spesso anche a livello di gruppi sociali che a volte (in genere sotto l'influenza di un leader) mettono in atto meccanismi di selezione delle infor-mazioni, ignorando quelle potenzialmente de-

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stabilizzanti. Si tratta di un autoinganno, con il quale accettiamo un calo dell’attenzione in cambio del sollievo dall'ansia e dallo stress. Tuttavia, ignorare i problemi li lascia irrisolti. Esiste poi la vastissima casistica delle opera-zioni di framing, che non costituiscono vere e proprie bugie ma che, tramite accorte omis-sioni e/o opportune enfasi su particolari detta-gli, cercano di influenzare la disposizione o l’inclinazione mentale con cui un individuo esamina un fatto o un messaggio. Il concetto è attribuito al lavoro di Erving Goffman, e in particolare al suo Frame analysis: An essay on the organization of experience del 1974. Goffman usava questo termine per definire «schemi di interpretazione» che permettono a individui o gruppi di «collocare, percepire, identificare e classificare» eventi e fatti, in tal modo strutturando il significato, organizzando le esperienze, guidando le azioni. Il framing è usato con disinvoltura dai media e soprattutto in politica. Gli specialisti di queste tecniche sono spesso definiti spin doctor (il termine viene dal baseball: si definisce spin l’effetto che la palla acquista quando viene colpita di taglio, producendo una traiettoria curva e non rettilinea in grado di mettere in difficoltà il battitore) e si presentano di solito come con-siglieri per la comunicazione, capi ufficio stampa, portavoce o campaign manager; il lo-ro compito è quello di formulare messaggi in grado di mostrare il lato migliore di qualsiasi situazione in cui siano implicati i loro clienti, fornendo alla pubblica opinione versioni, non tanto false quanto “aggiustate nella forma”, di eventi e notizie.

Forse le bugie più riprovevoli sono quelle vol-te a mettere in cattiva luce altre persone, sia per trarne vantaggi personali (ad esempio screditando un potenziale rivale) sia, peggio ancora, per pura malvagità e per il semplice gusto della diffamazione e dell’inganno. Ma esistono anche “bugie etiche”, quando esse abbiano il fine di proteggere qualcuno, ri-sparmiandolo da inutili dolori e dispiaceri, o magari salvaguardando la sua incolumità da potenziali minacce. Possiamo concludere che, tranne alcuni casi perversi, le bugie sono in grado di svolgere una importante funzione sul piano individuale e sociale. E se occorre evitare che la menzo-gna diventi una strategia e uno stile di vita (con il rischio di innescare un circolo perverso dal quale non è più possibile uscire: menzo-gne sempre più grandi e gravi, usate per co-prire le precedenti) occorre anche tener pre-sente che per la sincerità e l’inganno vale quanto sosteneva Gregory Bateson, secondo cui «esiste sempre un valore ottimale oltre il quale ogni cosa diviene tossica: l’ossigeno, il sonno, la psicoterapia e la filosofia. Qualsiasi variabile biologica ha bisogno di equilibrio». A tutti noi spetta il compito di trovare, tra i due estremi della sincerità assoluta e della bu-gia perpetua, il punto di equilibrio che ci salva dallo stress e ci assicura, oltre al benessere psicologico, il mantenimento di un buon si-stema relazionale.

Agostino La Bella

«E se occorre ev i tare che la menzogna d ivent i una strateg ia e uno st i le d i v i ta , occorre anche tener presente che per la s incer i tà e l ’ inganno va le quanto sosteneva Gregory Bateson, secondo cu i “es is te sempre un va lore ot t ima le o l t re i l qua le ogn i cosa d iv iene toss ica : l ’oss igeno, i l sonno, la ps icoterap ia e la f i losof ia . Qua ls ias i va-r iab i le b io log ica ha b isogno d i equ i l ibr io .”»

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L’ARTE DEL RIC ICLO CON LA PLASTICA I l punto d i fuga, di Guendal ina Capece

Riciclare carta e cartone, legno, plastica, me-talli e vetro non solo consente di risparmiare enormi quantità di materie prime, ma soprat-tutto riduce l'uso di energia e di emissioni no-cive nell’atmosfera facendo sì che l’ambiente ne benefici. Al fine di sensibilizzare i cittadini di tutto il mondo alla raccolta differenziata e al riciclo delle materie utilizzate per il packaging, sono diventati sempre più frequenti iniziative inte-ressanti di utilizzo dei materiali. In questo numero de Il Punto vedremo diversi esempi di cose fatte con la plastica riciclata, soprattutto con le bottiglie dell’acqua. Quest’ultime, infatti, sono utilizzate sempre più spesso come materia prima di progetti di riciclo e recupero creativo. Alcune realizza-zioni si addentrano anche nel mondo del de-sign, proponendo oggetti originali, sostenibili e a volte anche utili. A Rio de Janeiro nel 2012 si è tenuta la Con-ferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, o Rio+20. Obiettivo della Confe-renza è stato il rinnovo dell’impegno politico per il piano di sviluppo sostenibile. I punti

chiave hanno riguardato l’economia verde, la lotta alla povertà e le condizioni quadro istitu-zionali per una crescita economico-sociale so-stenibile. Simbolo della conferenza è stata una scultura rappresentante due enormi pesci rea-lizzata interamente con bottiglie di plastica situata nella suggestiva spiaggia di Botafogo con il Pan di Zucchero sullo sfondo (Fig. 1). A Hong Kong per celebrare il Festival di Me-tà Autunno (festa che risale a molti secoli fa, quando gli agricoltori erano soliti ringraziare il dio della Luna per i raccolti abbondanti),

                     

Fig. 1

«A l f ine d i sens ib i l izzare i c i t tad in i d i tu t to i l mondo a l la racco l ta d i f ferenz iata e a l r ic ic lo de l le mater ie ut i l i zzate per i l packag ing, sono d iventat i sempre p iù f requent i in iz ia t ive in teressant i d i u t i -l izzo de i mater ia l i . »

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che si celebra il quindicesimo giorno dell’ottavo mese del calendario cinese, è stata realizzata da quattro designer locali l’opera ispirata alla luna chiamata Rising Moon. La sua particolarità è che è costituita da settemila bottiglie di plastica riciclata, illuminate da lu-ci LED (Fig. 2). La grande “lanterna”, che si illumina alternando le varie fasi lunari, è alta dieci metri e larga venti, ed è situata nel Vic-toria Park. Il progetto è ispirato ai concetti dell’importanza del riciclo e del rispetto dell’ambiente. Particolare anche l’interno del-la struttura strutturato su tre livelli, visitabili, che permettono di ammirare la particolare realizzazione dell’opera godendo inoltre di una vista suggestiva del parco dall’alto. Nel 2010, in occasione della Taipei Interna-tional Flora Exposition (Taiwan) è stato rea-lizzato il primo padiglione al mondo costituito interamente con bottiglie di plastica (Fig. 3). L’Esposizione, centrata sul tema dell’utilizzo consapevole delle risorse, ha dettato le “rego-le” per la realizzazione di un edificio di nove piani di duemila metri quadrati che fosse so-stenibile, riciclabile e smontabile, utilizzando un milione e mezzo di bottiglie di plastica.

Ci sono poi numerosi esempi di alberi di Na-tale realizzati con bottiglie e plastica riciclata. Uno dei più suggestivi è stato realizzato nel 2010 ad Haifa, in Israele, dove vivono pacifi-camente cristiani, musulmani ed ebrei. L’albero alto dieci metri e illuminato da luci LED è costituito da cinquemila bottiglie di plastica usate (Fig. 4). Commissionato all’artista Hadas Itzcovitch, quest’ultimo ha scelto proprio il numero cinquemila per ricor-dare i cinquemila ettari di alberi incendiati all’inizio di dicembre dello stesso anno sul Monte Carmel. L’artista voleva così sensibi-lizzare i cittadini al riciclo della plastica e al rispetto dell’ambiente.

Il riciclo combatte anche la crisi economica. Un esempio imponente è l’albero di Natale di Kaunas, in Lituania, realizzato con quaranta-mila bottiglie di plastica riciclate (Fig. 10). Il merito è dell’artista Jolanda Smidtienė, che da anni si occupa degli addobbi della città e che con la sua creatività ha regalato ai cittadini un albero alto quindici metri, illuminato di verde per ricordare un vero abete, che in questo pe-riodo di crisi il comune non si sarebbe mai potuto permettere. Interessante esperimento di design la poltrona gigante costituita da 2500 bottiglie di plastica realizzata dall’artista ungherese Gyula Varnai, non nuova a creazioni eco-ispirate. La poltro-na è stata esposta nel parco Galeria, un centro commerciale a Budapest (Fig. 5). E sempre a proposito di design i Bubble Chandelier realizzati dallo studio newyorkese

 Fig. 3

 Fig. 4

 Fig. 2

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Souda sono costruiti unicamente con botti-gliette di PET riciclate che vengono tagliate e modellate per dare vita a forme quasi organi-che, che ricordano delle cellule (Fig. 9). Il progetto è realizzato in partnership con l’organizzazione no-profit Sure we can, che si occupa dell’assistenza e del soccorso ai senza tetto della metropoli americana: gli ospiti del centro collaborano alla raccolta delle botti-gliette e ricevono poi direttamente una parte dei proventi della vendita dei lampadari. E avreste mai pensato di poter realizzare un’intera casa con le bottiglie di plastica? A 125 km da Salvador, in Brasile, una donna di settantotto anni, Maria Ponce, ha costruito la sua “casa incantata” vicino a una strada, destando la curiosità e l’ammirazione di tutti coloro che passano da quelle parti. Le pareti sono interamente costruite con bottiglie di plastica infilate su bastoncini di bambù e di-pinte a mano e il tetto, sempre costruito con bottiglie, è rivestito con una lamiera zincata per impedire le infiltrazioni dell’acqua duran-te le piogge (Fig. 6). L’interno è ancora più particolare con i pavimenti rivestiti di tappi di plastica. La raccolta delle bottiglie è durata un mese e mezzo, mentre la costruzione circa tre mesi di lavoro. Un altro esempio di architettura eco-

sostenibile arriva da Puerto Iguazu, Argenti-na. La Casa de Botellas della famiglia di Al-fredo Santa Cruz è interamente costruita con bottiglie di plastica come dice il nome stesso (Fig. 6). Il progetto Bottle School non è solo riciclo creativo, ma è una vera e propria esigenza nella città di San Pablo Laguna nei pressi di Manila, nelle Filippine. Il progetto, realizzato dalla MyShelter Foundation in collaborazione con la Pepsi, nasce dal fatto che ogni anno nel paese mancano circa settemila classi, carenza dovuta non solo alla crescente popolazione di studenti, ma anche al fatto che le aule vengo-no danneggiate periodicamente dai forti tifoni che colpiscono la zona. Tra gli obiettivi della Fondazione proprio la diffusione

dell’architettura sostenibile che utilizzi mate-riale ricavato in loco cercando di risolvere i due grandi problemi del paese: la cattiva ge-stione dei rifiuti e la mancanza di scuole. Le bottiglie di plastica da 1,5 e 2 litri che com-pongono la muratura sono montate secondo una struttura reticolare e l’elemento volume-trico principale che costituisce il muro è l’aria contenuta nelle bottiglie stesse. Le bottiglie sono tenute insieme da una malta ricavata dal tradizionale impasto di paglia e foglie di mais con acqua e argilla. Non potevano mancare le imbarcazioni co-struite con le bottiglie di plastica. La prima è un kajak costruito da un giovane argentino, Federico Blanc, con lo scopo di sensibilizzare i bambini delle scuole di Villa Elisa (Argentina) all'importanza del riciclo (Fig. 7). Tom Davies, neozelandese nativo delle Fiji, ha realizzato una vera e propria barca con bot-tiglie di plastica da 600 millilitri. Lo scafo mi-sura 4,5 metri ed è largo 1,4. Tutte le bottiglie  

Fig. 6

 Fig. 6

 Fig. 5

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sono state incollate insieme attraverso una speciale schiuma, posta alla base. Anche que-sta realizzazione, oltre al riuso ha lo scopo di raccogliere le bottiglie di plastica che inqui-nano le spiagge. David Rotschild, erede della dinastia di ban-chieri britannici, ha invece compiuto la tra-versata oceanica da San Francisco a Sydney a bordo del Plastiki, un catamarano con lo scafo interamente costruito con bottiglie di plastica, circa dodicimila. Anche la moda è stata influenzata da iniziati-ve di riciclo creativo. La celebre stilista ed eco-designer britannica, Michelle Brand, ha realizzato un vero capolavoro: un vestito da sposa chiamato Green With Envy, per cui ha utilizzato 2220 basi di bottiglie di plastica ri-

ciclata, 6512 tappi di plastica e 13880 etichet-te (Fig. 8). Un altro esempio di abito realizzato con og-getti di plastica riciclata è quello costituito da ciotole e piatti fondi che completano l’effetto con un particolare cappello. Ma anche se non siamo artisti o architetti pos-siamo utilizzare le bottiglie di plastica da rici-clare (sempre che non decidiamo di bere l’acqua del rubinetto!) per realizzare davvero moltissime cose: gioielli (Fig. 11), centrotavo-la, portacandele, fiori... e tutto ciò che la fan-tasia ci suggerisce!

Guendalina Capece

 Fig. 7

 Fig. 8

«Ma anche se non s iamo ar t is t i o arch i te t t i poss i -amo ut i l i zzare le bot t ig l ie d i p last ica da r ic ic lare (sempre che non dec id iamo d i bere l ’acqua de l rub inet to !) per rea l izzare davvero mol t iss ime cose: g io ie l l i , centrotavo la , por tacande le , f ior i . . . e tut to c iò che la fantas ia c i sugger isce ! »  

      Fig. 9 Fig. 10 Fig. 11

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PUNTO DI EQUILIBRIO O PUNTO DI SATURAZIONE?

i l Punto d i V is ta , d i G iu l iano Armano

Premessa L’obiettivo di questo contributo è analizzare alcune dinamiche pertinenti la ricerca. Antici-po che non ho alcuna pretesa di generalità o di verità, ma scrivo esclusivamente in ossequio a un principio, diciamo così “estetico”, elencato da Borges in uno dei suoi scritti e che riporto di seguito: «Se la realtà non ha il minimo ob-bligo di essere interessante, a quest’obbligo non possono sottrarsi le ipotesi». Senza igno-rare la consapevolezza (ereditata dai sofisti greci) che tesi opposte sono quasi sempre so-stenibili, purtroppo con la stessa apparente ra-gionevolezza, vorrei dare uno spunto ai letto-ri, con l'intenzione di mostrare come dietro l’ovvio ci siano prospettive diverse che aspet-tano soltanto di essere prese in considerazio-ne. È mia intenzione partire dal luogo comune se-condo il quale i ricercatori sono persone ge-niali ma distratte, e affermare invece che la realtà è ben diversa. Chi questa realtà la vive lo sa bene. Infatti, la comunità degli universi-tari, al pari delle altre, ospita individui con ca-ratteristiche spesso ortogonali al citato luogo comune. Naturalmente qui non c'è nulla da mostrare o dimostrare: in questo senso il re è

già nudo. Mi limiterò quindi a inquadrare il fenomeno secondo criteri di valutazione che possano risultare utili per meglio comprender-lo. Alla ricerca di questi criteri ho deciso di adot-tare degli “invarianti attitudinali”, da associa-re alle persone che popolano il mondo univer-sitario. Dato però che di invarianti ce ne sono tantissimi (il laborioso / il pigro, l’arrivista / il remissivo, l’analitico / il sintetico, il generoso / l’avaro, il sociale / l’asociale, e così via), re-stringere l'attenzione a pochi utili invarianti, il più possibile indipendenti tra loro, è non solo opportuno ma strettamente necessario. Ho trovato la giusta ispirazione partendo dal libro semiserio di Francesco Attena, dal titolo Psicopatologia della carriera universitaria. La sua analisi, caratterizzata da lucidità, iro-nia e grande capacità di trasmettere con pochi tratti contenuti spesso non banali, fornisce un’interessantissima chiave interpretativa del mondo variegato dell'università da una pro-spettiva psicologica. In questa sede ho deciso di effettuare brutali semplificazioni del suo pensiero, che coraggiosamente riassumo. L’autore individua quattro tipi principali, il

«È mia in tenz ione part i re da l luogo comune se-condo i l qua le i r icercator i sono persone genia l i ma d is t rat te , e a f fermare invece che la rea l tà è ben d i -versa.»  

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neofita, il narcisista, il disso-ciato e l’involuto, presentati come sindromi e volti a inqua-drare i passi che un ricercatore percorre durante la sua specifi-ca carriera. Ne individua anche sottotipi, il classico, lo spre-giudicato e il critico, definiti con l’evidente obiettivo di te-ner conto delle caratteristiche specificatamente personali. Va notato che non tutte le combi-nazioni tipo-sottotipo sono considerate lecite (per esem-pio, non si dà il caso di narcisi-sta critico o di dissociato spre-giudicato, per motivi che forse saranno più chiari al lettore in seguito). Per brevità evito di riportare un ulteriore livello di caratterizza-zione individuato e descritto invece dall’autore. Con questo impianto, diciamo così, categorico Attena cerca di dar conto di ogni possibile va-riante di ricercatore così come lo incontria-mo… nel suo ambiente naturale. La suddivi-sione in tipi e sottotipi permette all’autore di dare una risposta implicita a un quesito for-mulato nell’introduzione del suo libro e rela-tivo all’effettiva causa della standardizzazione professionale. Il quesito posto recita testual-mente: «sono le particolari caratteristiche di una data professione che attirano e seleziona-no individui a essa costituzionalmente predi-sposti (ipotesi innatista)? Oppure è la sub-cultura caratteristica di tale professione che spinge gli individui ad assumere una partico-lare configurazione caratteriale (ipotesi am-bientalista)?». Tutto fa pensare che Attena vo-vo-

glia conciliare le due ipotesi, innatista e ambientalista, sugge-rendo però l'importanza assunta dal tempo, nella fattispecie le varie fasi della carriera, nel pro-cesso di modellazione progres-siva degli aspetti caratteriali “innati”. Identificazione degli invarian-ti attitudinali utilizzati nel corso di questa analisi Come ricercatore di sistemi di elaborazione delle informazioni il mio interesse non è di tipo psicologico, bensì (faccio di ne-cessità virtù) sul sistema, i suoi punti di equilibrio e le sue di-

namiche. In particolare voglio cercare di capi-re se c’è un comportamento emergente che ri-sulta dall'interazione tra i vari gruppi di ricer-catori che operano nell’università, dove per comportamento emergente intendo una situa-zione nella quale un sistema esibisce proprietà non immediatamente deducibili a partire dalle leggi che governano le sue componenti prese singolarmente e per gruppo un insieme di ri-cercatori identificati in funzione del loro inva-riante attitudinale predominante. Prima di arrivare all’identificazione di tali gruppi mi permetto di osservare che non cre-do possibili radicali cambiamenti di una per-sona nel tempo, in particolare durante la sua carriera. In altri termini, secondo me le forze che muovono le persone (che le agiscono, di-rebbero gli psicologi), con modi e forza diver-si nel corso della vita, sono sostanzialmente le stesse. Fatta questa necessaria precisazione,

« . . .sono le par t ico lar i carat ter is t iche d i una data profess ione che at t i rano e se lez ionano ind iv idu i a essa cost i tuz iona lmente pred ispost i? Oppure è la sub-cu l tura carat ter is t ica d i ta le profess ione che sp inge g l i ind iv idu i ad assumere una part ico lare conf iguraz ione carat ter ia le?»  

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utile al lettore perché sappia che terrò ben in conto questo mio pregiudizio nel seguito, vor-rei ora provare a definire quali sono gli inva-rianti attitudinali più importanti che caratte-rizzano gli universitari. Osservando il mondo nel quale lavoro da ormai molti anni e riela-borando in maniera del tutto personale la clas-sificazione di Attena, ho deciso di adottare la seguente tipizzazione: pragmatico, narcisista e creativo. Va notato subito che definisco due nuovi tipi (pragmatico e creativo), mentre ap-parentemente ne mutuo uno (narcisista) dal libro di Attena. In realtà, in quest’ultimo caso l’interpretazione associata al medesimo ter-mine nei due contesti è molto diversa. Quindi procediamo con ordine a fornirne una breve caratterizzazione, narcisisti inclusi. Pragmatici. Il mondo è talmente ricco di pragmatici che non se ne può non tenere con-to in maniera esplicita. Individuare un prag-matico è molto semplice: non si domanda mai se la società e la struttura nella quale opera possono essere cambiate, ma si limita a cerca-re di capire e di agire in modo da adeguarsi al meglio alle regole del gioco, spesso cercando di trarne vantaggio. A mio avviso Attena dà conto della loro esistenza all’interno del mon-do universitario denotandoli come narcisisti classici o spregiudicati. Per incuriosire il let-tore, spero al punto da spingerlo a consultare la sorgente ma anche per una sorta di piacere personale, riporto la descrizione fatta da Atte-na di tali tipologie di ricercatori: «...il torna-conto [del tipo narcisista classico] consiste nella gratificazione che gli deriva dall’essere ammirato e rispettato. Il tipo spregiudicato […] è la classica eminenza grigia, il cui tor-naconto è solo e sempre il perseguimento dei propri interessi: prestigio, ma soprattutto soldi e potere». Dal mio punto di vista, invece, en-trambe le tipologie di ricercatori, pur presen-tando caratteristiche diverse, sono classifica-bili come pragmatiche. Narcisisti. Com’è noto, quello narcisistico è un disturbo della personalità caratterizzato da un deficit nella capacità di provare empatia verso altri individui. Questa patologia è carat-terizzata da una particolare percezione di sé del soggetto definita “Sé grandioso”. Credo

che a questo punto sia inutile andare avanti con la descrizione, dato che ogni lettore avrà probabilmente già trovato qualche calzante esempio di narcisista tra le proprie conoscen-ze personali. Si tenga conto inoltre che questa probabilità aumenta di molto in ambiente uni-versitario, che si comporta come un attrattore fortissimo per tale tipologia di individui. Nel-la mia personalissima categorizzazione mi adeguo alla descrizione appena fornita, men-tre pare di capire che, nella sua classificazio-ne, Attena abbia optato per descrivere tipolo-gie miste, con tratti al tempo stesso pragmati-ci e narcisisti. Creativi. I creativi possiedono la capacità di creare e/o inventare oggetti reali o oggetti del pensiero grazie all’utilizzo congiunto della fantasia e dell’innovazione. La creatività è spesso associata al cosiddetto pensiero diver-gente, inteso come capacità di produrre una gamma di possibili soluzioni o viste alternati-ve per un dato problema – in contrapposizione al pensiero convergente, in cui ci si focalizza su un’unica soluzione accettabile. Ovviamen-te ci si aspetta che un atto creativo riporti an-che l’impronta dell'originalità, ma anche in questo caso il pensiero divergente avrà un suo ruolo, poiché più ampia sarà la gamma di pos-sibilità che siamo in grado di produrre, più al-ta sarà la probabilità che una di esse dia prova di originalità. In effetti nel libro di Attena l’esistenza dei creativi non è messa esplicita-mente in evidenza. Per esclusione posso ipo-tizzare che una parte di essi sia riconducibile al neofita critico, destinato nel tempo a diven-tare dissociato critico. Esistono inoltre modi significativamente di-versi all’interno degli invarianti citati, di cui occorre a mio avviso tener conto. Con il fine

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di approssimare meglio la realtà, tentiamo dunque di identificare quali modi, cioè quali sottotipi, possono costituire un utile corollario degli invarianti attitudinali usati come riferi-mento. Questo esercizio intellettuale diventa relativamente facile se si adotta in via preli-minare una visione dicotomica – da cui, come informatico, sono ovviamente attratto. I modi, ovvero i sottotipi di invarianti atti-tudinali Per i pragmatici l’esercizio è molto semplice. Anche se tipicamente non ci sono evidenti differenze nel comportamento, le loro azioni possono però avere finalità molto diverse. A un estremo troviamo quelli che agiscono in accordo con una logica altruistica, subordi-nando cioè l’interesse personale a quello della struttura. All’altro troviamo gli opportunisti, che invece agiscono in accordo con l’euristica opposta. Va detto che alcuni di questi ultimi raggiungono talvolta la perfezione, mostrando un’etica sociale ma perseguendo in realtà i propri interessi. Passando ora ai narcisisti, a un estremo tro-viamo il narcisista passivo, che non fa nulla per mostrare di essere più intelligente di chiunque altro. In questo caso l’essere miglio-re degli altri è un assioma, e come tale non va dimostrato. La versione attiva del narcisista corrisponde invece a colui/colei in continua corsa con sé stesso per aumentare la differen-za rispetto agli altri in termini di conoscenze e attitudini per la scienza. Nonostante il fatto che la motivazione di questo modus operandi sia ovvia, per fortuna qui si instaura un effetto virtuoso: le conoscenze accumulata per mo-strare (a sé stesso/a) e dimostrare (agli altri) la propria superiorità aumentano progressiva-mente nel tempo, anche se poi non si può es-sere ottimisti sulla modalità con cui il narcisi-sta deciderà di dispensare tale conoscenza.

Per i creativi l’analisi è ancora semplice. Per una sorta di legge di natura, il creativo tende a declinare il pensiero divergente su problemi difficili. Questo suo interesse particolare può essere reso operativo in vari modi, ai cui estremi troviamo la creatività ipercritica e quella brillante. Tipicamente l’ipercritico ec-cede nel ricorso al pensiero divergente, il che gli impedisce spesso di procedere concreta-mente alla ricerca della soluzione. Per contro, la versione brillante del creativo riesce ad esercitare in sinergia pensiero divergente e pensiero convergente, evitando quindi di ca-dere nelle indecisioni tipiche dell’ipercritico. Ora mi si conceda di assumere che ogni ricer-catore possa avere aspetti pragmatici, narcisi-sti e/o creativi in misura diversa, e che i sotto-tipi costituiscano in realtà un continuo che procede da un estremo all’altro (includendo anche lo zero, per significare l'assenza della proprietà). Sotto tali ipotesi ogni singolo ri-cercatore potrà essere associato a un punto nello spazio degli invarianti individuati. Ov-viamente, così come è improbabile che un ri-cercatore abbia componenti nulle lungo ogni direzione, è altrettanto improbabile trovare un tipo psicologico “puro” (cioè soltanto prag-matico, narcisista o creativo). In altri termini, anche facendo appello alla nostra personale esperienza, risulta ovvio che le persone reali presenteranno tipicamente un miscuglio tal-volta inestricabile dei tre invarianti attitudina-li. Ciononostante, con la finalità di rendere più chiaro il ragionamento, assumerò che ne esista comunque uno predominante, così da poter ripartire la popolazione dei ricercatori in accordo con tale assunzione. Dopo aver analizzato i tipi non resta che ana-lizzarne gli effetti, di cui si parlerà nel pros-simo numero de Il punto.

Giuliano Armano

« . . . tent iamo dunque d i ident i f i care qua l i modi , c ioè qua l i sot tot ip i , possono cost i tu i re un ut i le coro l lar io deg l i invar iant i a t t i tud ina l i usat i come r i fer imento.»  

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LE AZIENDE VIT ICOLE E IL WEB

a che Punto è l ’ Impresa? , d i Ado l fo Lagat to l la

Il campione Durante le attività svolte per la costruzione della banca dati dei vini (vedi articolo “Vino e computer, una guida preziosa all’acquisto”, Il punto 27), che doveva contenere le informa-zioni su ogni etichetta e le valutazioni che va-ri esperti avevano formulato su di essa, è stato necessario visitare i siti web dei produttori per reperire tutte le informazioni che, altrimenti, non sarebbero state complete: è molto raro, infatti, che esse vengano riportate in modo esaustivo ed esauriente. Le numerose visite effettuate hanno permesso di evidenziare una serie di comportamenti agiti dai produttori rispetto ai loro siti web, che sono stati catalogati e classificati attraver-so alcuni indicatori, semplici e omogenei. Si tratta di informazioni e dati estremamente significativi, viste le dimensioni del campione esaminato. Le etichette raccolte nella banca dati, infatti, sono circa 8.300, mentre le azien-de vitivinicole che le producono sono esatta-mente 3.206 (banca dati aggiornata a fine 2013). Le aziende si dividono in:

- Aziende (2.588) che hanno un proprio sito funzionante e che rappresentano l’81% del campione analizzato;

- Aziende (441) prive di un proprio sito e che rappresentano il 14%;

- Aziende (177) il cui sito è in costruzione, manutenzione o risulta non agibile e che rappresentano il 5%. Tra questi, 3 siti non sono stati visitabili perché il browser ha segnalato allarmi per possibili infezioni e alcuni sono in costruzione da più di tre anni.

«Cons iderando che s i ha a che fare con az iende per la maggior par te medio-p icco le , la percentua-le d i presenza su l web può essere cons iderata p iut tosto buona, sebbene, ch iaramente, ne vada ver i f i cato l ’uso che ne v iene fa t to . »  

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Considerando che si ha a che fare con aziende per la mag-gior parte medio-piccole, la percentuale di presenza sul web può essere considerata piuttosto buona, sebbene, chia-ramente, ne vada verificato l’uso che ne viene fatto, tenen-do presente che in moltissimi casi il sito web risulta finanzia-to dalla Legge Europea 1234/07. Procediamo, quindi, con l’ana-lisi dei risultati ottenuti. È possibile l’acquisto tramite Internet? Nella maggioranza dei casi la risposta al que-sito risulterà quanto meno ambigua, mentre in altre situazioni l’orientamento può essere ben definito. Soltanto il 18% dei produttori – in numero di 460 – indica la propria catena di distribuzione (specialmente se esportano), o i propri locali di vendita (spesso nella cantina stessa), o le enoteche. È ipotizzabile che costoro non effettuino ven-dite dirette tramite internet, poichè, sostan-zialmente, legati ai propri rivenditori e quindi ai prezzi da questi stabiliti. Esiste certezza invece sui produttori che di-chiarano esplicitamente la vendita tramite In-ternet, anche se con comportamenti e modali-tà differenti. Questi ultimi sono attualmente in larga mino-ranza, circa il 10% del campione. Tuttavia, nel corso delle indagini, si è potuta rilevare l’esistenza di un trend significativo verso un maggiore utilizzo del canale di distribuzione Internet. La semplice rilevazione di chi indica esplici-tamente sul web i prezzi di vendita e chi no ha confermato la percentuale del 10%, coinci-dente di fatto con quelli che accettano e pro-muovono la vendita web. Le tipiche procedure e-commerce, basate sul riempimento del carrello, registrazioni, etc. sono utilizzate da 197 produttori senza la ri-chiesta di registrazione con user name e pas-sword e da altri 42 che, invece, la richiedono.

Sono presenti infine 19 siti che o dichiarano l’intenzione di lanciare la vendita inter-net, o che sono in manuten-zione o addirittura non fun-zionano. Nel piccolo campione di produttori che praticano l’e-commerce non sono state ri-levate differenze significati-ve legate alle dimensioni dell’azienda o ubicazioni geografiche. L’acquisto diretto di vini tramite Internet è in ogni ca-so largamente possibile seb-bene occorra entrare in con-tatto diretto con il produttore per conoscere prezzi dei pro-

dotti e le modalità di trasporto. Il 97% dei produttori fornisce infatti il proprio indirizzo di posta elettronica per contatti più diretti. Comunicazione Sostanzialmente il sito web è visto come una brochure elettronica. Non stupisce, quindi, che oltre la quasi totalità dei produttori illustri con fotografie e schede organolettiche ogni etichetta prodotta (ad eccezione di 64 produt-tori che non attuano tale procedura). Oltre l’80% dei produttori fornisce la mappa che consente ai visitatori e compratori di rag-giungerli ma soltanto il 33% informa sugli orari di apertura, su eventi e manifestazioni, su possibili degustazioni e consente anche forme di prenotazione e appuntamenti via web. Poiché non è pensabile che tali occasioni non si manifestino anche per il restante 67% dei produttori, ne consegue che una simile utiliz-zazione del web sia bellamente ignorata. Non si deve trascurare, infine, il fatto che molto spesso i siti non siano aggiornati e possa, quindi, spesso accadere che l’annuncio di una nuova etichetta o di un’annata eccellente sulla stampa specializzata, o tramite la pubblicità, non trovi riscontro sul sito. Il 40% dei siti permette la lettura in più lingue straniere mentre il 10% accompagna i propri

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visitatori con musiche di folklore locale o mu-sica classica. I messaggi pubblicitari non brillano certamen-te per fantasia: passione per la terra, amore per la natura, tradizioni familiari e simili sono talmente comuni che finiscono per non evi-denziare alcuna differenza tra i produttori, an-nullando così ogni possibile vantaggio com-petitivo. Relazioni con la clientela Le applicazioni tipiche del Web atte a fideliz-zare la clientela e stabilire relazioni dirette e privilegiate sono certamente presenti anche se ancora piuttosto scarse così come plausibile è l’ipotesi che esse verranno in futuro mag-giormente sviluppate. Come già evidenziato il 97% dei produttori accetta la comunicazione via email e tra que-sti il 7% (206 produttori) invia newsletter ai possibili clienti e il 22,5% utilizza i social network anche per testare eventuali gradimen-ti. Anche Skype non è del tutto assente: 119 produttori (poco meno del 5%) sono in linea e cercano amici. Comincia, infine, ad apparire l’utilizzo di quello che dovrebbe essere lo strumento prin-cipe, il cosiddetto Wine Club, largamente pre-sente nei siti stranieri: attraverso il Wine Club si dovrebbero conoscere meglio i clienti, lan-ciare nuove etichette, favorire i clienti più fe-deli con il rilascio delle prime bottiglie, offri-re sconti privilegiati, istruire e formare i con-sumatori, premiare i migliori, insomma svol-gere tutte quelle attività atte a mantenere i clienti fedeli e attirarne di nuovi tra i più qua-lificati.

I Wine Club rilevati nel campione sono sol-tanto 37, di cui uno non funzionante. Considerazioni finali Per quel che riguarda l’utilizzo del web e di internet, il settore vitivinicolo è certamente indietro. I dati evidenziati sono, tra l’altro, in linea con quelli relativi alla fruizione di altre tecniche e metodologie moderne di gestione, dall’informatica al controllo di gestione, dal marketing alla pianificazione aziendale. Considerando che si tratta di un settore in pieno sviluppo – nel 2013 l’Italia è stata il primo produttore mondiale di vino – e che comunque esistono già segnali di ripresa, si può ragionevolmente sperare in una maggiore attenzione dei produttori verso strumenti che ne assicurino un’aumentata competitività. La maggior parte dei produttori è formata da aziende piccole se non piccolissime, condotte da persone che pensano di conoscere bene la propria clientela, che sembrano intimoriti dal-la troppa pubblicità (fisco?), e che lottano du-ramente per la conservazione delle proprie posizioni. Si tratta di atteggiamenti per alcuni versi sani e logici che permettono di garantire la qualità del prodotto, ma per altri rischiano di esaurire da subito qualunque prospettiva di sviluppo.

Adolfo Lagattolla

« Per que l che r iguarda l ’u t i l i zzo de l web e d i in-ternet , i l set tore v i t i v in ico lo è cer tamente in-d ie tro . I dat i ev idenz iat i sono, t ra l ’a l t ro , in l inea con que l l i re la t iv i a l la f ru iz ione d i a l t re tecn iche e metodolog ie moderne d i gest ione, da l l ’ in for-mat ica a l contro l lo d i gest ione, da l market ing a l la p ian i f i caz ione az ienda le . »

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INNOVAZIONE DI RETE Dove co l loch i la tua organizzaz ione?

i l Punto Sc ient i f i co , d i Anton io Iovane l la e G iovanna Ferraro

Nell’articolo pubblicato nel precedente nume-ro de Il Punto abbiamo trattato dell’innova-zione network-centric in cui le reti costitui-scono l’elemento centrale e della necessità per le imprese di scegliere il modello organizzati-vo che meglio si adatta alle proprie capacità, alle strategie di mercato e allo sviluppo di una leadership appropriata. Vediamo ora quali siano tali modelli nel dettaglio. I quattro modelli di network-centric innova-tion Le due dimensioni della network-centric in-novation, ovvero lo Spazio dell’Innovazione e la Network Leadership, individuano quattro quadranti corrispondenti a quattro diversi mo-delli definiti: Orchestra, Creative Bazar, Jam Central e MOD Station. La figura 1 illustra i quattro modelli di net-work innovativi così definiti: - Il modello Orchestra prevede la presenza

di un’organizzazione leader o hub che di-rige le attività di innovazione dei membri del network;

- Il modello Creative Bazar permette alle imprese in cerca di nuove idee e tecnolo-gie di rivolgersi a un'ampia varietà di fonti innovative;

- Il modello Jam Central è caratterizzato da imprese che decidono di unirsi e collabo-

rare per la ricerca e lo sviluppo di idee in-novative;

Fig. 1 - Il modello MOD Station prevede una co-

munità di soggetti che hanno come fine di trasformare idee innovative già esistenti.

Esaminiamo ciascun modello nel dettaglio. Il modello Orchestra Si riferisce a un gruppo di imprese che deci-dono di unirsi al fine di sfruttare alcune op-portunità di mercato in considerazione di una

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il Punto Scientifico pagina 18

 

esplicita architettura di innovazione che viene definita e modellata da un’azienda dominante definita hub. Si distinguono due diverse tipologie: il mo-dello Orchestra con integratore e il modello Orchestra con piattaforma. Il modello Orchestra con integratore, in cui un’azienda dominante – leader della rete o hub – definisce l’architettura dell’innovazione e gli altri membri del network contribuiscono alla sua realizzazione con diversi componenti o elementi che costituiscono il corpo dell’innovazione. Il leader della rete integra i vari contributi per realizzare il nucleo centrale dell’innovazione che in seguito sarà commer-cializzato. Un esempio di questo tipo di modello è rap-presentato dal progetto Dreamliner 787 lan-ciato dalla società Boeing nel 2004 che rap-presenta un “caso di studio” di come innovare l’innovazione nel settore dell’aviazione in quanto la Boeing ha definito un nuovo pro-cesso per la costruzione di aeroplani collabo-rando con una rete di partner internazionali. Il modello Orchestra con piattaforma prevede un’azienda dominante che definisce l’archi-tettura di base dell’innovazione che diviene la sua piattaforma; gli altri membri della rete co-struiscono il proprio contributo attraverso in-novazioni complementari che estendono o migliorano la portata dell’architettura o piatta-forma di base. Il caso Salesforce.com rappresenta una dimo-strazione di questo modello. L’azienda di software offre servizi on demand ai quali le aziende clienti possono accedere attraverso un Web browser.

Il modello Creative Bazar Prevede un’azienda dominante alla ricerca di innovazione in un bazar globale di idee, pro-dotti e tecnologie che utilizza la propria infra-struttura di commercializzazione e le proprie capacità di progettazione, marchi, capitale e accesso ai canali di distribuzione per realizza-re nuovi prodotti per il mercato. In questo caso, l’impresa cerca prodotti o ser-vizi market ready acquisendoli da spin-off o start up innovative o da venture capitalist, rendendo fruibili le opportunità che soddisfa-no i propri piani di mercato e di innovazione. Il termine bazar implica un’infinità di beni in offerta che vanno dalle idee ai brevetti e dalle idee grezze ai prodotti pronti per il mercato coinvolgendo la presenza di diversi interme-diari con i quali le imprese possono trattare: i cacciatori di idee, i broker di brevetti, gli in-cubatori di imprese e i venture capitalist. Questo modello è seguito dalla Procter & Gamble attraverso l’iniziativa Connect + De-velop. L’azienda invita i singoli inventori a sottoporre eventuali idee tecnologicamente innovative o beni già brevettati che possono essere interessanti ai fini di una futura com-mercializzazione. Il modello Jam Central Implica la presenza di imprese che si riuni-scono per collaborare al fine di immaginare e sviluppare un’innovazione. Lo spazio dell’innovazione non è ben strutturato e gli

« I l termine bazar impl ica un’ in f in i tà d i ben i in o f -fer ta che vanno da l le idee a i brevet t i e da l le idee grezze a i prodott i pront i per i l mercato co invo l -gendo la presenza d i d ivers i in termediar i con i qua l i le imprese possono t rat tare : i cacc ia tor i d i idee, i broker d i brevet t i , g l i incubator i d i im-prese e i venture cap i ta l is t»

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obiettivi e la direzione dell’innovazione emergono dalla collaborazione stessa. Non ci sono membri dominanti e la responsa-bilità di guidare e coordinare l’attività è diffu-sa tra i membri della rete. Anche se la leader-ship non è condivisa in modo uguale da tutti i membri, le decisioni più importanti che defi-niscono i processi e i risultati dell’innova-zione risultano dalle interazioni tra i membri della rete. Il modello è caratterizzato da un’attività con-divisa in cui tutti sono allo stesso livello e la responsabilità di indirizzare e coordinare lo sforzo di innovazione è paritario. Le imprese del gruppo si riuniscono per inno-vare adottando un approccio non strutturato. Gli obiettivi, l’architettura innovativa e i pro-cessi emergono dalle interazioni continue. La leadership della rete di innovazione è diffusa tra i membri. Un esempio di questo modello è rappresentato da Apache, una piattaforma web server open source. Il modello MOD Station Implica la modifica e lo sfruttamento di un’innovazione esistente. Si tratta di attività che mirano ad aggiungere, migliorare o adat-tare alle esigenze di mercato, prodotti o servi-zi già esistenti. Le norme e i valori che governano l’innova-zione sono stabiliti dalla comunità dei membri e non da un’impresa dominante. Le opportu-nità di mercato non sono chiaramente definite. Un esempio di questo modello sono le comu-nità open source commerciali o i progetti open source in cui reti di scienziati ed esperti innovano entro i limiti definiti da un’architet-tura di prodotto o di processo già esistente. Come nel caso dell’industria dei videogiochi per computer in cui la comunità di hacker e singoli programmatori dialogano in una co-

munità aperta ridefinendo videogiochi già esi-stenti. Le caratteristiche dei 4 modelli Nella tabella 1 (pag. successiva) sono riporta-te sinteticamente le caratteristiche dei quattro modelli facendo riferimento ai concreti biso-gni e opportunità delle imprese. È interessante osservare gli elementi di ge-stione della rete di innovazione: governo della rete, gestione della conoscenza e gestione dei diritti sulla proprietà intellettuale. La Tabella 2 (pag. successiva) riporta sinteti-camente gli obiettivi da raggiungere, i sistemi di management e i criteri per la selezione dei sistemi manageriali. Nel prossimo numero parleremo di come e dove collocare la propria organizzazione all’interno dei quattro modelli proposti e in che modo inserirla nel processo di innovazio-ne di rete.

Antonio Iovanella Giovanna Ferraro

Riferimenti bibliografici Antonova A. e Nikolov R., Modeling Concept Design of Innovation Platform, Knowledge management approach, hal-00591882, ver-sion 1, 10 May 2011 Nambisan S. e Sawhney M., Orchestration Processes in Network-Centric Innovation: Evidence From the Field, Academy of Mana-gement Perspectives, August 2011 Nambisan S. e Sawhney M., The Global Brain, Roadmap for Innovating faster and smarter in a networked world, New Jersey, Pearson Education, 2008

         

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Creative Bazar - ampi obiettivi di innovazione; - evidenti opportunità di mercato; - innovazioni stand-alone; - da moderato a elevato rischio di sviluppo, mode-

rato rischio di commercializzazione; - sviluppo della conoscenza innovativa da sempli-

ce a complesso con alcune integrazioni; - spese moderate per lo sviluppo di idee e diritti di

proprietà intellettuale. Si richiedono maggiori investimenti.

Jam Central - ampi obiettivi di innovazione; - opportunità di mercato non chiaramente definite; - contributo specialistico per definire e implemen-

tare le innovazioni; - elevato rischio di sviluppo e di commercializza-

zione; - integrazione di nuove, complesse e diversificate

conoscenze; - sofisticata e moderatamente costosa infrastruttu-

ra; - contesto imprevedibile, mix di apertura e chiusu-

ra di sistemi. Orchestra - obiettivi di innovazione ben definiti; - architettura dell’innovazione chiaramente speci-

ficata; - opportunità di mercato ben definite; - architettura dell’innovazione attuata, integrata o

estesa; - elevato rischio di sviluppo e di implementazione; - conoscenza dell’innovazione complessa, richiede

integrazione tra i settori; - strutture costose e sofisticate per sviluppare e te-

stare le idee innovative; - diritti di proprietà intellettuale prevedibili e ge-

stibili.

MOD Station - architettura modulare ben definita, possibilità di

innovazione non prevedibile; - opportunità di mercato non evidenti e chiara-

mente identificabili; - completa o migliora l'innovazione già esistente; - basso rischio di sviluppo, alto rischio di com-

mercializzazione; - conoscenza dell’innovazione complessa, specia-

lizzata ma ampiamente distribuita; - strutture non costose e specializzate per svilup-

pare e testare le idee innovative; - diritti di proprietà intellettuale prevedibili.

Tabella 1 – I quattro modelli di network-centric innovation

(Nambisan e Sawhney, 2008).

Elementi di gestione della rete di inno-

vazione

Obiettivo Tipi di sistema di manage-ment

Criteri per la selezione dei sistemi manageriali

Governo della rete

Garantire schemi comuni di comportamento tra i membri e coordinare lo scambio di conoscenza e risorse.

Meccanismi formali: contratti e accordi, regole e procedure interne.

Natura delle interdipendenze tra membri della rete, natura dello spazio dell’innovazione.

Gestione della conoscenza

Agevolare la generazione, la codifica e l’utilizzo della conoscenza nella rete.

Meccanismi che agevolano il dialogo tra membri, fornisco-no un vocabolario comune, facilitano il trasferimento, l’interpretazione e l’integrazione della conoscen-za.

Grado di sovrapposizione della conoscenza del domi-nio, natura dell’innovazione, “distanza” tecnologica e di dominio tra i membri della rete.

Gestione dei diritti sulla proprietà in-tellettuale

Permettere agli innovatori di controllare l’uso della propria innovazione.

Strumenti legali quali brevetti, marchi, copyright e schemi di licenza.

Natura dell’innovazione, na-tura delle relazioni tra i membri della rete, struttura della rete.

Tabella 2 – Gli elementi di gestione della rete di innovazione

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il Punto Letterario pagina 21

 

GAIO MAZIO E L’ INVENZIONE DEL CATERING i l Punto Let terar io , d i Feder ica Lor in i

Recita più o meno così un pannello ubicato all'ultimo piano del Food Store di Eataly di Roma che attribuisce al cavaliere romano del I a.C. l’invenzione del catering nell’antica Roma. Ma andiamo con ordine: chi era Gaio Mazio? Gaius Matius Calvena, noto sempli-cemente come Gaio Mazio, è stato un cavalie-re e scrittore romano noto per la sua stretta amicizia con Giulio Cesare e Cicerone. Amante della cucina ed esperto conoscitore delle materie prime organizzò tutti i banchetti politici durante la campagna elettorale di Ce-sare e fu uno dei fondatori dell’Agro Aqui-leiese dove introdusse la coltivazione del me-lo inventando un frutto che da lui prese il no-me: la mela maziana. Secondo Lucio Giunio Moderato Columella, scrittore romano esperto di agricoltura e auto-re di un’opera in dodici volumi, Gaio Mazio sarebbe stato autore di tre volumi, purtroppo andati perduti, dedicati alla gastronomia: Co-cus (il cuoco), Cellarius (il dispensiere) e Salgamerius (il preparatore di conserve). Poche sono, dunque, le fonti alle quali riferirsi per cercare, almeno in parte, di ricostruire la storia di questo eccentrico personaggio. Sicu-ramente fu colui, come già accennato, che in-trodusse la coltivazione delle mele e l’uso di queste nelle ricette più raffinate e amate nell’antica Roma. Egli adottò un sistema di produzione estremamente preciso, meticoloso

e tecnicamente molto avanzato capendo che esistevano, ad Aquileia, tutte le condizioni climatiche e ambientali per produrre una mela di qualità da distribuire nell'intero territorio. Non a caso al primo frutto fu dato il nome di mela “maziana”. Il prodotto, di rara bontà, ar-rivava quasi quotidianamente a Roma dove veniva apprezzato per la sua qualità tanto da essere citato negli scritti di Columella, Plinio il Vecchio e Ateneo. Proprio ad Aquileia, città emporiale dell’area danubiana, vicino alla basilica è stato rinvenu-to un mosaico, databile appunto al I a.C., raf-figurante i resti di un tipico pasto patrizio: in particolare si riconoscono nocciole, olive, fra-gole, del pesce, un melograno e tre mele ma-ziane. Oltre che esperto agronomo le fonti ci ripor-tano che Gaio Mazio fu anche un esperto di

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gastronomia, tanto che Cesare gli affidò l’incarico di occuparsi dell’organizzazione dei banchetti durante la sua campagna elettorale, trasformandolo, inconsapevolmente, nel pri-mo esperto di catering della storia. I banchetti nell’antica Roma erano estremamente impor-tanti, quasi un rito a metà tra il religioso e il gastronomico; benedetto dagli dei per i quali venivano sacrificati gli animali che sarebbero poi stati mangiati, e in onore dei quali il pri-mo boccone veniva sputato e il primo vino gettato in aria. Il banchetto, solitamente, si di-videva in tre atti: la gustazio, una sorta di mo-derno aperitivo, la cena vera e propria e la commisatio ossia il dopo cena. Diverse fonti raccontano dei celebri banchetti di Cesare come veri e propri spettacoli in cui ogni ele-mento, dalle pietanze alle bevande, era volto a meravigliare, a sorprendere, a riflettere lo sta-tus del padrone di casa. Gli aromi e gli ingre-dienti avevano soprattutto il compito di sotto-lineare la ricchezza del piatto e, di conse-guenza, di chi aveva organizzato il banchetto, specie quando si trattava di spezie esotiche e costose. Svincolata dalle necessità nutrizionali e resa autonoma dai riti religiosi, a Roma l’ars ma-girica diventa assoluta. La raffinatezza culi-naria si intreccia alla teatralità del banchetto in uno spettacolo fatto di odori, aromi, musi-che, balli, dotte conversazioni e piani politici. Quelli di Cesare sono, poi, passati alla storia proprio per i fasti e le prelibatezze: si trattava di banchetti ai quali partecipavano migliaia di cittadini e in cui si consumavano tonnellate di derrate alimentari e litrate di vino provenienti, guarda caso, proprio dall’agro aquileiese. Dunque il nostro Gaio Mazio, oltre a curare personalmente la scelta degli ingredienti, si occupava delle preparazioni delle libagioni e

delle ricette più amate dai suoi amici, Cesare in primis. Proprio Columella, nel dodicesimo libro della sua opera dedicata alle massaie, scrive: «So benissimo che in questo mio libro non è riferita la maggior parte delle ricette che Gaio Mazio ha raccolto con somma diligenza. Egli ha avuto di mira la preparazione dei pranzi cittadini e i lauti conviti.» Possiamo, quindi, presumere che i tre libri andati perduti di Gaio Mazio contenessero ol-tre a una lunga serie di consigli rivolti a colo-ro che volessero intraprendere la professione del cuoco, del dispensatore o del preparatore di conserve, anche una ricca raccolta di ricet-te. Tra queste una è giunta fino a noi, forse la più celebre, quella che ancora oggi, sebbene con qualche variante imposta dal passare del tem-po, alcuni noti ristoranti ripropongono: fricas-sea di maiale alla Mazio. Ecco la ricetta origi-nale: «Metterai in una casseruola olio, garum, brodo, porro e coriandolo tritati, polpettine di ripieno (esicia minuta). Taglierai a dadini una spalla di maiale cotta con la sua cotenna. Fa’ cuocere il tutto. A metà cottura aggiungerai delle mele di Mazio a pezzetti senza torsolo. Durante la cottura dovrai tritare pepe, cumino,

« I banchet t i ne l l ’ant ica Roma erano estremamente important i , quas i un r i to a metà t ra i l re l ig ioso e i l gastronomico; benedet to dag l i de i per i qua l i ven i -vano sacr i f i cat i g l i an imal i che sarebbero po i s tat i mangiat i , e in onore de i qua l i i l pr imo boccone ve-n iva sputato e i l pr imo v ino get tato in ar ia . »  

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il Punto Letterario pagina 23

 

coriandolo verde o in semi, menta, radice di laser; bagnerai con ace-to, miele, altro garum, un po’ di mosto cotto e sugo di cottura: amal-gamerai con un po’ di aceto. Fa’ bollire. Quando sarà bollito, preparerai della pasta sfoglia con la quale le-gherai il tutto. Cospar-gerai di pepe e servi-rai.» Per chi volesse cimentarsi con la ricetta, in as-senza di garum (salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato che i romani aggiungeva-no come condimento a praticamente tutte le pietanze) propongo una rivisitazione in chiave moderna. Ingredienti per 4 persone: 800 g di polpa di maiale, 600 g di mele verdi, 50 g di burro, olio extravergine d’oliva, sale e pepe quanto basta, salvia, 80 ml di vino bianco secco e 1/2 cucchiaino di cannella in polvere. Sbucciate le mele, privatele del torsolo con l’apposito strumento e tagliatele a rondelle. Disponetele su un piatto e irroratele con metà del burro sciolto in un tegame. Cospargete con la cannella in polvere e fate riposare. Nel

frattempo tritate fine-mente la salvia e amal-gamatela al restante bur-ro, lavorando l’impasto fino a che non si amal-gama bene. Legate la carne con lo spago da cucina, cospargetela con sale, pepe e con il burro aromatizzato alla salvia. Adagiate l’arista in una teglia unta con l’olio e cuocete in forno già cal-

do a 220° per circa 10 minuti, rigirando la carne in modo che si rosoli su tutti i lati. Tra-scorso questo tempo, irrorate con il vino e fate cuocere un'altra decina di minuti. Abbassate la temperatura del forno al minimo e fate cuo-cere per altri 45 minuti, irrorando di tanto in tanto la carne col fondo di cottura. Togliete quindi la teglia dal forno e avvolgete la carne in carta stagnola, facendola raffreddare com-pletamente. Unite le mele al fondo di cottura e frullatele in modo da ottenere una salsa. Ser-vite l’arista di maiale a fettine, con la salsa al-le mele calda. Il consiglio dello chef: fate raffreddare l’arista nella carta stagnola per evitare che si disper-dano i succhi e, di conseguenza, gli aromi. Bene sapiat!

Federica Lorini

«Sv inco lata da l le necess i tà nutr iz iona l i e resa auto-noma da i r i t i re l ig ios i , a Roma l ’ars magir ica diven-ta asso luta . La ra f f inatezza cu l inar ia s i in t recc ia a l -la teatra l i tà de l banchet to in uno spet taco lo fa t to d i odor i , aromi , mus iche, ba l l i , dot te conversaz ion i e p ian i po l i t i c i . »  

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Match Point pagina 24

 

THE WOLF OF WALL STREET E L ’ARTE DELLA PERSUASIONE i l Punto Sc ient i f i co , d i Anton io Iovane l la

La persuasione è un’arte difficile ma fonda-mentale per chiunque abbia ambizioni da lea-der. È l’abilità di modificare e instradare opi-nioni e comportamenti, ed è importante per-ché un leader deve saper convincere le perso-ne, per portare il gruppo che guida verso gli obiettivi che si è prefissato di raggiungere. Le persone che seguono la guida di un leader con buone capacità persuasive non solo pen-sano di star facendo la cosa giusta: desiderano farla. Sono spinti nell’azione da quella che si chiama motivazione intrinseca, il tipo di mo-tivazione più forte, quello che proviene da se stessi e non dall’esterno: mi comporto in un determinato modo non perché mi aspetto un premio o, ancora peggio, perché qualcuno mi obbliga a farlo, ma perché voglio farlo ed è l’azione stessa a essere premiante. L’ultimo film di Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street, racconta la vita dissoluta di Jor-dan Belfort, personaggio realmente esistente, ex broker e truffatore finanziario, oggi scritto-re e motivatore. Prima di continuare, un piccolo disclaimer: mi concentrerò, nella stesura dell’articolo sul-le caratteristiche del personaggio e non della persona, ossia tutto ciò che è possibile vedere sulla pellicola, nulla dalla vera biografia del vero Jordan Belfort: in fondo, la rubrica Match Point è dedicata alle opere di finzione. Quello che mi preme evidenziare, sono le ca-ratteristiche positive e le capacità di leader di

Jordan Belfort, scevre da giudizi morali sui suoi comportamenti. Il film lo dipinge in mo-do tutt’altro che positivo: Jordan Belfort è sfrenato nella lussuria, vorace nel consumo di alcol e droghe, spietato nei confronti dei clienti della sua società finanziaria, che truffa e deruba senza scrupolo alcuno, ingordo nell’accumulo di denaro, sfrontato nell’ostentazione della ricchezza, drammatico

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nell’esporsi al pubblico. Ma ci vogliono anche qualità positive per diventare leader di un’azienda che fattura decine di milioni al mese, anche (anzi forse ancora di più) nel ca-so l’azienda sia una sorta di associazione a delinquere. Come rilevato in letteratura1, gli elementi co-stitutivi di una persuasione efficace sono cin-que: 1 - l’argomentazione razionale; 2 - la reputazione dell’agente; 3 - gli appelli emozionali e sentimentali; 4 - la promessa; 5 - la suggestione. Jordan Belfort applica le sue capacità persua-sive in due campi diversi: nel raggirare i clienti e nel motivare i dipendenti dell’azienda. Ed è così abile nell’ottenere i suoi scopi perché eccelle in tutte e cinque le caratteristiche elencate, soprattutto nella 2 (reputazione) e nella 3 (appelli emozionali). Come esempio della sua abilità, racconterò una scena del film. Jordan Belfort è appena stato licenziato dalla società finanziaria per cui lavorava, in seguito al crash del 1987. Decide di ricominciare da zero e trova lavoro presso una società di bro-ker che si occupa di penny stocks, azioni di società troppo piccole per essere quotate in borsa. Abituato ai valori delle blue chips (le azioni delle società ad alta capitalizzazione che Belfort piazzava a Wall Street) è inizial-mente scettico, ma viene allettato dalle alte prospettive di guadagno: il valore unitario delle azioni è bassissimo, le vendite sono scarse, perché gli investitori di penny stocks sono soprattutto piccolo borghesi con poca di-sponibilità monetaria, ma le commissioni fi-nanziarie arrivano al 50%, contro l’1% delle blue chips. Ciò significa che su 1000 dollari di azioni vendute il guadagno per il broker è di 500 dollari. Belfort ingaggia la sua prima telefonata come broker nella nuova azienda. Alza il telefono, digita il numero del cliente e inizia a parlare. Belfort innanzitutto coinvolge il cliente con motivazioni razionali: «Ciao John, ci hai                                                                                                                1  Agostino  La  Bella,  Alessandra  La  Bella,  Convincere  e  Motivare,  e-­‐book  

mandato una cartolina con richieste di infor-mazioni» inizia, e descrive in seguito le gran-di potenzialità della Aerotyne, un’azienda neonata specializzata nel settore hi-tech. Le azioni costano solo dieci centesimi l’una, ma l’azienda è in procinto di iniziare a collabora-re nientemeno che con l’esercito. Il contratto con l’esercito è una panzana inventata da Bel-fort su due piedi, ma viene esposta con gergo tecnico, professionalità e razionalità logica: ora le azioni valgono poco ma gli analisti dell’azienda (anche questi inventati da Bel-fort) dicono che sono destinate a schizzare al-le stelle. In secondo luogo, Belfort riesce a coinvolgere il malcapitato dal punto di vista emotivo. Il suo tono di voce è talmente entusiasta e tra-scinante che anche gli altri dipendenti presenti in ufficio, pian piano, lasciano le loro posta-zioni telefoniche per assistere alla magia che sta avvenendo alla sua scrivania. Parla in tono teatrale, gesticola, sottolinea con enfasi vocale le parole giuste («Profitto!» «Sessantamila dollari!»), e, non ultimo, ha dei modi di fare amichevoli e ammiccanti. Ma il colpo di grazia definitivo al cliente Bel-fort lo dà quando si mette al centro della tran-sazione, tirando in ballo la sua professionalità e stimata reputazione, ponendosi, quindi, co-me modello. «Queste azioni sono sicure?» chiede il cliente all’altro capo della cornetta. «John, c’è una cosa che posso assicurarti» ri-sponde Belfort «non ho mai chiesto ai miei clienti di giudicarmi per le mie vittorie, gli chiedo di giudicarmi per le mie sconfitte, per-ché sono poche.» Il cliente capitola e decide di investire 4000 dollari, facendone guadagnare a Belfort 2000, il che suscita l’ammirazione e l’invidia degli altri dipendenti, abituati a cifre di investimen-to molto più basse. Dopo aver fondato con un gruppo di amici truffatori la sua società finanziaria, la Stratton Oakmont, Jordan Belfort applica le stesse tec-niche persuasive/motivazionali anche nel rap-porto con i suoi dipendenti, che infatti lo ado-rano. Si può dire, in un certo senso, che Belfort in-carni un esempio di leader d’azienda virtuoso:

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non è avido, la cosa che gli dà più gioia è ac-cumulare e spendere denaro ma è felice e de-sideroso di far accumulare e spendere anche le persone che lo circondano - il suo staff, i suoi broker. Ma non è solo una questione meramente fi-nanziaria, a tenere legati i dipendenti all’azienda. Belfort incoraggia i suoi dipen-denti a essere spregiudicati nelle truffe, es-sendo spregiudicato egli stesso, ponendosi, quindi, come esempio, come modello da imi-tare e seguire. Li istruisce nelle migliori tec-niche di raggiro, si esibisce in saggi di orato-ria e capacità affabulatoria, insegna loro a conquistare la fiducia dei clienti («L’unica obiezione che hanno i clienti [nei confronti dell’affare che gli proponete] è che non si fi-dano di voi. E perché dovrebbero?»). Li coinvolge con una promessa di denaro faci-le, promessa che mantiene. Li coinvolge fa-cendoli sentire parte di un gruppo e incorag-giandoli a imitarlo. Li coinvolge, infine, dal punto di vista emotivo con tecniche decisa-mente fuori dal comune, ma non per questo poco efficaci. I “leggendari” festini aziendali, ad esempio, cui Belfort partecipa in qualità di capo-animatore, e in cui l’intrattenimento prevede, oltre a montagne di droga, fiumi di alcol e cheerleader in topless che ballano sui tavoli al ritmo di marcette di Sousa, anche di-vertimenti ben più depravati, come il lancio di nani vestiti di velcro contro bersagli adesivi. Un’azione che causerebbe orrore nella mag-gior parte delle persone, ma funziona perfet-tamente nell’esaltare e, in ultima analisi, mo-tivare quel branco di lupi senza scrupoli che sono i dipendenti della Stratton Oakmont. La storia di Jordan Belfort insegna anche che un bravo persuasore deve saper identificare i bias cognitivi. E in questo Belfort è stato ca-rente ed è stata una delle ragioni che hanno portato al suo declino. In particolare Belfort è vittima del cosiddetto “effetto Lake Wobegon”. Il lago Wobegon è un luogo inesistente, inventato da un presenta-tore americano, dove tutti sono belli, forti, bravi e intelligenti sopra la media. Si può in-tuire quale sia la natura di questo bias: la so-vrastima delle proprie capacità.

Belfort, nonostante i ripetuti consigli contrari dei suoi avvocati, decide di invitare sul suo yacht Patrick Denham, un agente FBI che da un po’ di tempo stava indagando sulla sua so-cietà. È convinto di poterlo conquistare e cor-rompere. Denham accetta l’invito e si presen-ta allo yacht in compagnia di un collega. Belfort dapprima presenta ai due, con fare complice, due ragazze in bikini (non viene detto in modo esplicito, ma si capisce che si tratta di due prostitute), in seguito offre loro caviale, aragoste e drink. Gli agenti, integer-rimi, rifiutano entrambe le offerte: la prima con una scusa («Non aveva detto che voleva-mo parlare in privato?»), la seconda esplici-tamente («Non beviamo in servizio»). Nono-stante tutti gli indizi facessero capire a Belfort di che pasta fossero fatti i due agenti, l’uomo continua nel suo tentativo di seduzione, inco-raggiato da una notizia avuta da fonti terze: Denham, prima di entrare nell’FBI, aveva provato a diventare broker di Wall Street. Belfort gli chiede se sia vero e Denham con-ferma, aggiungendo furbamente alla storia lamentele di frustrazione per i bassi guadagni che porta a casa con il suo lavoro sudato. Questo particolare disinibisce definitivamente Belfort: parte con uno strale contro le vergo-gnose paghe pubbliche, prosegue esaltando la sua magnanimità, portando esempi di aiuti da lui dati, sotto forma di consigli finanziari, a persone in situazioni di indigenza. Conclude dicendo che sarebbe disposto a fornire questo tipo di aiuto finanziario a chiunque. È un pa-lese tentativo di corruzione, cosa che non sfugge ai due poliziotti, che smascherano Bel-fort dichiarando esplicitamente il fatto. Belfort ovviamente nega e finisce per cacciare furioso i due uomini fuori dallo yacht. Questo episodio non ha conseguenze imme-diate, ma è l’inizio della fine per Belfort. De-nham si convince che l’uomo sia colpevole e intensifica le indagini. Belfort è, quindi, vittima delle sue stesse abi-lità: dell’eccessiva fiducia nelle sue abilità.

Silvia Castellan

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l’Appunto pagina  27  

DIARIO DI BORDO. TOR VERGATA AL CAMPIONATO DI VELA Domenica 26 gennaio 2014 ore 8:00 darsena di Fiumicino. Arriviamo presto, come sempre, e fa molto freddo. Il cielo è coperto, non c’è il vento di ieri e la darsena è ancora coperta dai detriti galleggianti portati dal Tevere. Arrivano a poco a poco gli altri e conquistiamo il bar per rifocillarci prima di salire in barca. Oggi abbiamo due nuovi membri dell’equipaggio e non vogliamo deluderli. Decidiamo quali vele utilizzare confrontando i bollettini meteo: le previsioni sono vento moderato da tramontana in aumento con rotazione verso levante, moto ondoso in diminuzione ma nel pomeriggio vento molto forte. Ci prepariamo a uscire, molliamo gli ormeggi e ci avviamo a motore verso il campo di regata. In previsione della giornata ventosa abbiamo scelto di utilizzare le vele specifiche (quelle, appunto, da vento molto forte), abbiamo ripassato velocemente i nostri ruoli e iniziamo a muoverci su un mare calmo con po-chissimo vento. Ci sono molte barche in attesa che si preparano per partire sulla destra della linea, ci avviciniamo ma purtroppo non riusciamo a partire bene: sulla linea siamo solo settimi. Scegliamo il bordo a levante confidando in un maggior vento lontani dalla costa e una rota-zione favorevole. Non riusciamo a guadagnare sulle altre barche e passiamo la boa di bolina solo sesti. Partiamo per la poppa con il nostro spi bianco a cui cambiamo mure varie volte alla ricerca di una maggiore velocità. Il vento non è quello che speravamo e la barca non va come vorremmo. Alla boa siamo ancora sesti ma abbiamo perso tempo prezioso sui primi. Iniziamo l’ultima bolina sempre sulla destra del percorso, il vento si mantiene costante e riusciamo a mantenere la posizione. L’ultima poppa nonostante lo spi ci fa perdere rispetto ai primi. Arriviamo al cancello sulla boa più lontana dall’arrivo, perdiamo tempo prezioso ad ammainare lo spi e veniamo superati. Fiduciosi attendiamo la seconda prova mangiando la torta di Fabio e bevendoci il brandy che non avevamo sbarcato come peso superfluo. Il vento è calato del tutto, la seconda prova viene annullata e iniziamo il ritorno al porto. Torna a fare freddo e inizia a piovere. In porto, mentre gustiamo la pasta offerta dal circolo, studiamo la nuova classifica: siamo solo set-timi, ma ancora terzi in classifica generale… e la prossima volta andrà molto meglio. Domenica 23 Febbraio 2014 ore 8:00 darsena di Fiumicino Il cielo è molto limpido ma non fa particolarmente freddo, ormai è quasi primavera. Ieri nella gior-nata di allenamento il mare era molto mosso ma il vento da nord di questa notte lo ha calmato. Per la giornata si prevede vento NNW-9 (nodi) in aumento fino a 15, mare poco mosso, cielo poco nuvoloso e temperature tra gli 11 e i 15 gradi. Non siamo favoriti ma almeno non ci bagneremo. Si-amo quasi tutti presenti: manca solo Giovanni sostituito da Andrea. Sappiamo che se il tempo rispetterà le previsioni si effettuerà anche una seconda prova. Velocemen-te ci dirigiamo verso il campo di regata discutendo su come impostare la gara. Alle ore 10:25 viene

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l’Appunto pagina 28

 

data la partenza della prova con un vento superiore agli 8 nodi. Partiamo bene mentre navighiamo con mure a dritta lungo la linea, quasi da manuale. L’arrivo sulla prima boa ci crea qualche problema per una rota-zione importante del vento e perdiamo posizioni. Apriamo lo spinnaker ma manteniamo la rotta con qualche difficoltà, il ven-to non è costante, perdendo ulteriori posizioni. Passiamo il cancello di poppa e procediamo per la bolina. La boa sembra raggiungibile con un solo bordo. Passiamo in mezzo alle barche che sono indietro, fanno ancora il lato di poppa, e dobbiamo dare qualche precedenza. Non calcoliamo bene e per raggiungere la boa dobbiamo fare ancora un bordo. Il secondo lato di poppa è quasi un traverso, il vento sta aumen-tando, manteniamo lo spinnaker con difficoltà. La regata termina: siamo sesti e ci consoliamo con qualcosa da mangiare e con la bottiglia di whisky di Agostino. Dopo poco siamo di nuovo pronti per la partenza: il vento ha rinfrescato e i colori del mare stanno virando dall’azzurro al verde chiaro. Partiamo abbastanza bene e indoviniamo il bordo vantaggioso. Il vento ha cambiato direzione verso Ovest ed è aumentato. Passi-

amo la boa di bolina un po’ perplessi per la sparizione di una delle due boe del cancello, scopriremo solo dopo che una barca ci è finita sopra e l’ha trascinata via. Decidiamo di usare il gennaker per il lato di poppa, operazione che ci permetterà di sbagliare di meno e di avvantaggiarci con l’aumentare del vento (ma tutti fanno la stessa scelta). Passiamo il cancello di poppa e facciamo la seconda bolina indovinando il bordo vantaggioso. Alla boa di bolina siamo secondi e iniziamo la poppa con il gennaker che ci permette di guadagnare molto sui nostri avversari soprattutto sul primo in classifica. Al cancello di poppa passiamo molto bene. Mentre issiamo il genoa, una barca sopravento entra senza rispettare la precedenza e per evitare lo scontro diamo acqua. Avremmo potuto controllarla e mandarla fuori boa ma un eventuale abbordo poteva rovinare la giornata. Finiamo per perdere spa-zio, volano un po’ di strilli e veniamo superati. All’arrivo siamo secondi ma ancora terzi in classifi-ca generale. Torniamo in porto, convinti sempre di più che la prossima volta andrà ancora meglio e desiderosi di gustare la ormai famosa pasta del circolo. Satolli e soddisfatti rimontiamo in macchina: il ritorno oggi non sarà banale poiché a Roma c’è il blocco del traffico.

Edoardo Magliozzi

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il Prossimo Punto pagina 29

 

Nel prossimo numero a metà giugno… o Un nuovo avvincente Editoriale

o La seconda parte di "Punto di Equilibrio o Punto di Saturazione?" in a Che punto è l'impresa?

o Una nuova bellezza artistica da scoprire in Il punto di fuga