Il colloquio psichiatrico -...

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Il colloquio psichiatrico. È un argomento molto importante in quanto la psichiatria è una branca un po' particolare della medicina, ed il colloquio psichiatrico è lo strumento principale che uno psichiatra ha per porre diagnosi. È il corrispettivo dell'esame obiettivo dell'internista, con la differenza che lo psichiatra non avrà ausili diagnostici ulteriori di tipo strumentale. Non esiste una vera e propria tecnica, è qualcosa che si affina con la pratica e l'esperienza. Sallivan, psichiatra statunitense, individuò dal punto di vista teorico delle fasi, cosi da gestire meglio il tempo che impegna col paziente. Le fasi che Sallivan individuò sono 4: inizio riconoscimento interrogatorio dettagliato conclusione. Queste fasi applicabili al colloquio psichiatrico chiaramente ci possono servire sia al primo incontro col paziente che nei successivi incontri, essendo il colloquio lo strumento diagnostico principale di cui si avvale lo psichiatra. Poi ovviamente il primo colloquio è più particolare, innanzitutto perché non si conosce la persona, ed è quindi fondamentale istaurare un forte rapporto fiduciario col paziente. Anche nelle volte successive useremo chiaramente il colloquio per confermare l'ipotesi diagnostica ed avviare una terapia farmacologica o/e psicoterapeutica. INIZIO: comprende l'accoglienza del soggetto, chiedendo per prima cosa il motivo per cui è arrivato alla visita psichiatrica. Non sempre il paziente arriva spontaneamente a visita psichiatrica, molte patologie non vengono riconosciute come tali da chi ne soffre per cui viene spesso sollecitato o forzato dai familiari. Potremmo quindi avere già prima di iniziare il colloquio delle notizie che ci sono state riferite da chi porta il paziente a visita, ed è allora buona norma dire al paziente che noi abbiamo già delle notizie su di lui senza nasconderlo,e confrontare col paziente stesso ciò che sappiamo. Così possiamo capire se davvero ciò che ci è stato riferito corrisponda a realtà, perché è anche vero che non sempre i familiari ci dicono le cose come stanno, o può anche accadere che ciò che vede un familiare sia diverso da ciò che vediamo noi. RICONOSCIMENTO: è la seconda fase, e qui procediamo con una anamnesi più dettagliata che riguarda la sfera personale e sociale del paziente, per capire nel corso della sua vita che possibili problemi possa avere avuto. Sono domande sicuramente basilari che comprendono l'età del paziente, l'anamnesi familiare, eventuali matrimoni, cosi da acquisire notizie su di lui e iniziare il rapporto fiduciario, che più sarà stretto meglio ci permetterà di approfondire il colloquio, e di ottenere tutta una serie di informazioni che altrimenti non ci verrebbero riferite. Raccogliamo quindi un buon numero di indizi sulla storia del paziente. INTERROGATORIO DETTAGLIATO: questo è un vero e proprio esame obiettivo per lo psichiatra, con la differenza che non useremo le mani come un internista, ma useremo la nostra voce i nostri occhi e le nostre orecchie. Si cercano notizie relative all'infanzia, la nascita ( com'è stata la nascita, se ci sono state malattie), quindi lo sviluppo, la storia scolastica, il rapporto sociale all'interno ed al di fuori dell'ambito scolastico e con i genitori. Si passa poi alla fase adolescenziale indagando sempre riguardo i rapporti sociali, il rendimento scolastico, eventuali problemi di identità, utilizzo di stupefacenti, le prime esperienze sessuali, e l'eventuale insorgenza di disturbi psichici ( perché in realtà è in questa fase che molto disturbi si manifestano); fino ad arrivare all'età adulta indagando la qualità delle relazioni sociali, l'eventuale presenza di eventi esistenziali particolarmente importanti, l'adattamento lavorativo, lo stato economico, e via dicendo. Quindi in questa fase le domande portano ad un approfondimento del colloquio per ottenere informazioni il più dettagliate possibili col paziente.

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Il colloquio psichiatrico. È un argomento molto importante in quanto la psichiatria è una branca un po' particolare della medicina, ed il colloquio psichiatrico è lo strumento principale che uno psichiatra ha per porre diagnosi.È il corrispettivo dell'esame obiettivo dell'internista, con la differenza che lo psichiatra non avrà ausili diagnostici ulteriori di tipo strumentale.

Non esiste una vera e propria tecnica, è qualcosa che si affina con la pratica e l'esperienza. Sallivan, psichiatra statunitense, individuò dal punto di vista teorico delle fasi, cosi da gestire meglio il tempo che impegna col paziente. Le fasi che Sallivan individuò sono 4: • inizio • riconoscimento• interrogatorio dettagliato • conclusione. Queste fasi applicabili al colloquio psichiatrico chiaramente ci possono servire sia al primo incontro col paziente che nei successivi incontri, essendo il colloquio lo strumento diagnostico principale di cui si avvale lo psichiatra. Poi ovviamente il primo colloquio è più particolare, innanzitutto perché non si conosce la persona, ed è quindi fondamentale istaurare un forte rapporto fiduciario col paziente. Anche nelle volte successive useremo chiaramente il colloquio per confermare l'ipotesi diagnostica ed avviare una terapia farmacologica o/e psicoterapeutica.

INIZIO: comprende l'accoglienza del soggetto, chiedendo per prima cosa il motivo per cui è arrivato alla visita psichiatrica. Non sempre il paziente arriva spontaneamente a visita psichiatrica, molte patologie non vengono riconosciute come tali da chi ne soffre per cui viene spesso sollecitato o forzato dai familiari. Potremmo quindi avere già prima di iniziare il colloquio delle notizie che ci sono state riferite da chi porta il paziente a visita, ed è allora buona norma dire al paziente che noi abbiamo già delle notizie su di lui senza nasconderlo,e confrontare col paziente stesso ciò che sappiamo. Così possiamo capire se davvero ciò che ci è stato riferito corrisponda a realtà, perché è anche vero che non sempre i familiari ci dicono le cose come stanno, o può anche accadere che ciò che vede un familiare sia diverso da ciò che vediamo noi.

RICONOSCIMENTO: è la seconda fase, e qui procediamo con una anamnesi più dettagliata che riguarda la sfera personale e sociale del paziente, per capire nel corso della sua vita che possibili problemi possa avere avuto. Sono domande sicuramente basilari che comprendono l'età del paziente, l'anamnesi familiare, eventuali matrimoni, cosi da acquisire notizie su di lui e iniziare il rapporto fiduciario, che più sarà stretto meglio ci permetterà di approfondire il colloquio, e di ottenere tutta una serie di informazioni che altrimenti non ci verrebbero riferite.Raccogliamo quindi un buon numero di indizi sulla storia del paziente.

INTERROGATORIO DETTAGLIATO: questo è un vero e proprio esame obiettivo per lo psichiatra, con la differenza che non useremo le mani come un internista, ma useremo la nostra voce i nostri occhi e le nostre orecchie. Si cercano notizie relative all'infanzia, la nascita ( com'è stata la nascita, se ci sono state malattie), quindi lo sviluppo, la storia scolastica, il rapporto sociale all'interno ed al di fuori dell'ambito scolastico e con i genitori. Si passa poi alla fase adolescenziale indagando sempre riguardo i rapporti sociali, il rendimento scolastico, eventuali problemi di identità, utilizzo di stupefacenti, le prime esperienze sessuali, e l'eventuale insorgenza di disturbi psichici ( perché in realtà è in questa fase che molto disturbi si manifestano); fino ad arrivare all'età adulta indagando la qualità delle relazioni sociali, l'eventuale presenza di eventi esistenziali particolarmente importanti, l'adattamento lavorativo, lo stato economico, e via dicendo. Quindi in questa fase le domande portano ad un approfondimento del colloquio per ottenere informazioni il più dettagliate possibili col paziente.

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CONCLUSIONE: può essere un' interruzione perché rimandiamo il paziente ad altro incontro, oppure può essere conclusione vera e propria se invece siamo soddisfatti del colloquio, e facciamo diagnosi ed eventualmente diamo la terapia. Possiamo inoltre sottoporre il paziente a test psico diagnostici che fungono da supporto al colloquio per aiutarci nella definizione di una diagnosi. Qualora poi colloquio e test diano risultati divergenti ciò che fa testo rimane il colloquio, essendo il test solo un supporto

Se questa finora trattata era la parte teorica nella pratica le componenti sono sempre quattro:

• instauriamo una RELAZIONE col paziente. • usiamo una TECNICA assolutamente personalizzabile perché non possiamo attenerci

strettamente a degli schemi rigidi in ambito psichiatrico. Usiamo il DSM come manuale diagnostico che ci indica quali sono le malattie mentali, codificandole per poter fare diagnosi il più simili possibili nelle diverse parti del mondo, ma in realtà non è mai così, raramente troviamo pazienti che corrispondano ai criteri rigidi che il manuale ci fornisce, troviamo piuttosto una sovrapposizione di sintomi e segni e spesso di comorbilità. Ovviamente serve a istaurare monitorare e mantenere il rapporto col paziente. E per farlo useremo delle domande che sono aperte o chiuse. Ovviamente questa tecnica mira instaurazione ed al mantenimento del rapporto col paziente, ed ottenere le informazioni di cui necessitiamo. Per fare ciò useremo delle domande che possono essere aperte o chiuse a seconda di ciò che vogliamo ottenere e di come vogliamo ottenerlo, ed anche in base alla persona che ci troviamo di fronte.

• Valutiamo quindi lo STATO MENTALE del paziente come obiettivo del colloquio• Ed infine arriviamo alla DIAGNOSI.

Per la relazione dobbiamo parlare ovviamente di empatia ossia la capacita di sentire ed entrare in relazione con la sofferenza altrui.Inoltre in psichiatria è necessaria anche un'altra facoltà, ossia la capacità di capire anche le proprie emozioni, perché se non capiamo queste non possiamo capire quelle altrui. Inoltre se durante il colloquio ci dimostriamo troppo rigidi o artificiosi non riusciremo ad avvicinare il paziente, ci vuole quindi una certa spontaneità per mettere a proprio agio il paziente ed entrare con lui in sintonia. Questo perché è più complicato riferire ad un medico ciò che si sente psicologicamente, sia perché di difficile lettura sia perché c'è una sorta di diffidenza con la psichiatria. ( sulla diffidenza il professore racconta come un paziente prima di psichiatrica solitamente sia stato già dal medico di base, dallo psicologo, dal neurologo, dal prete, dal mago ed infine terminate le possibilità si arriva allo psichiatra molte volte in 118 con TSO perché la patologia si è aggravata. )

Dall'altro lato oltre all'empatia di chi visita è importante l' insight , ossia la consapevolezza della patologia mentale da parte del paziente, che può essere• parziale, quando il soggetto riconosce che c'è un problema ma lo attribuisce a delle cause

esterne. • completa • assente, nel caso in cui il soggetto non si accorge per nulla di avere disturbi ( schizofrenia,

disturbi di personalità )

Ed è inoltre fondamentale dimostrare competenza ed interesse verso il paziente, che siamo quindi in grado di prenderci cura di lui.

Per la tecnica bisogna: - evitare di farsi condizionare dalla prima impressione. Infatti molto spesso il paziente viene

presentato da terzi ( che siano parenti o altri colleghi come il medico di pronto soccorso), per cui sbagliato sarebbe partire con un preconcetto, così come non dobbiamo fidarci delle nostre stesse primissime impressioni.

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- Valutare i rischi immediati per il paziente ( suicidio ) e per il medico ( stati di agitazione particolare )

- Acquisire notizie da familiari presenti e valutare situazioni familiari che hanno determinato ciò che riscontriamo.

Come strumento usiamo domande aperte o chiuse, ed ovviamente ogni tipologia ha dei vantaggi e degli svantaggi da capire per sapere quando usare un tipo e quando un altro.

Domanda apertaDa più libertà al paziente che può parlare di più, esprimersi come meglio crede, ed inoltre ci consente di avere risposte più spontanee/ emotive e quindi meno condizionate. A volte però possiamo trovare chi ci da risposte forvianti perché lunghe e perché il paziente sceglie di cosa parlare. Esempi di domande aperte: • Perché è venuto in ospedale ?• Potrebbe dirmi qualcosa di più ?• C'è qualcosa di cui vuole parlare ?• Mi parli di quello che fa solitamente ?• C'è qualcosa che mi vuole chiedere ? Quindi sono tutta una serie di domande che lasciano a chi abbiamo di fronte la possibilità di raccontarci come vuole il suo stato mentale, dicendo quanto più sente la necessità di dire.

Domande chiuseIl medico sceglie l'argomento e cerca di indirizzare il colloquio in modo preciso e dettagliato, soprattutto su argomenti particolari che in quel momento vuole conoscere. In genere corrisponde ad una domanda chiusa corrisponde una risposta secca e veloce. Però a volte possono come svantaggio generare risposte troppo condizionate e quindi meno autentiche, e si rischia inoltre che il paziente non riferisca dei particolari proprio perché non li chiediamo.Esempi di domande chiuse: • Questi disturbi quando sono cominciati ?• Che effetti hanno avuto su di lei ? • Ha avuto altri problemi simili prima?• Quando dice che è depresso cosa significa ? • Le capita di sentire delle voci ?• Le capita di vedere qualcuno che altri non vedono ? Con le ultime due domande potete capire come non si possono avere certamente delle risposte autentiche in un paziente che abbiamo appena conosciuto, e che quindi è più restio ha confidarci qualcosa di simile.

L'ideale è utilizzare in un colloquio completo sia domande aperte che chiuse. Più correttamente utilizzando prima domande aperte così da farci un'idea, e successivamente focalizzare il colloquio sugli argomenti che vogliamo approfondire con domande chiuse.

Il tipo di colloquio cambia anche in base al nostro obiettivo, infatti se vogliamo valutare la personalità del soggetto useremo domande aperte, perché cosi diamo al soggetto la possibilità di manifestarsi pienamente. E cosi valutiamo anche i possibili meccanismi di difesa che il soggetto mette in atto durante il colloquio e durante la quotidianità, l'eventuale presenza di conflitti ecc..Se ci orientiamo più al sintomo useremo invece domande chiuse, per circoscrivere il sintomo ed averne informazioni dettagliate.

Oltre alle domande aperte e chiuse abbiamo anche altre tecniche:

CHIARIFICAZIONE : tecnica utile a specificare il problema che ha il paziente ( P: soffro di insonnia. Ps: Ma che vuol dire, in che senso, si spieghi meglio ? A che ora va a dormire , si sveglia presto o durante il sonno ? ), verificare i sintomi riferiti, come quando il paziente riferisce di sentirsi depresso o stressato, termini entrati nel lessico quotidiano ma diverso la concetto medico. Fare

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quindi domande guida per portare il paziente a dire cose che non vuole dire, perchè magari socialmente inaccettabili come l'uso di stupefacenti o la sessualità.Sondare la logica del paziente , e se sa il motivo della visita, e tutta una serie di domande che mirano a cogliere i dettagli.

CONDUZIONE: con alcune frasi riusciamo a fare parlare di più il paziente per dare più dettagli. Es. Mi dica di più a riguardo; questo sollecita la persona ad aggiungere particolari.Oppure sottolineare e riportare frasi dette dal paziente, per denotare attenzione ed enfatizzare dei concetti cosi da far essere il paziente più chiaro su determinati punti.Redirezionare il paziente all'argomento di interesse, perché può essere piuttosto difficile ad esempio in un paziente bipolare in fase maniacale fare un colloquio. O al contrario utilizzare la transizione per spostare il discorso da un argomento ad un altro, perché magari ci sono argomenti per noi importanti per arrivare ad una conclusione diagnostica che al paziente sembrano marginali.

LO STATO MENTALERappresentato dalle funzioni psichiche da indagare e valutare Sono rutti aspetti che vanno indagati durante il colloquio. Psicomotricità e linguaggio sono evidenziali in verde perché sono i primi da valutare.( gli altri saranno trattati in lezioni successive ). Il colloquio inizia prima che il paziente inizi a parlare, ma inzia da quando entra nella stanza perché anche la comunicazione non verbale assume importanza, dobbiamo comprendere infatti quello che non viene detto, dobbiamo anche valutare l'intonazione di ciò che il paziente dice, il ritmo,eventuali difficoltà nel linguaggio come balbuzie disartrie, o come nel bipolarismo in cui in fase maniacale ed in fase depressiva avrà una forma dell'eloquio differente. Il non detto è importante ricordando che nella comunicazione usiamo il linguaggio verbale paraverbale e non verbale. Usiamo solo al 7% le parole, al 55% il non verbale, ed al 38% la voce come tono. Quindi è più ampio lo spettro di comunicazione non verbale, comunichiamo più con ciò che facciamo mentre parliamo che con le parole stesse.

Iniziamo allora il colloquio già quando la persona entra dalla porta con la descrizione dell'aspetto ( postura igiene abbigliamento ) del comportamento e dell' attività psicomotoria ( la gestualità, i movimenti ) e dell' atteggiamento nei confronto della situazione ( il paziente è collaborante od oppositivo, tranquillo o

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aggressivo). E se queste condizioni sono dovute allo stato del paziente, alla patologia, o anche a farmaci che abbiamo prescritto.

Disturbi del comportamento psicomotorio.

Per valutare il linguaggio vediamo quindi vari aspetti come la quantità di linguaggio in cui abbiamo la logorrea da un lato, il mutismo all'opposto ed in mezzo la povertà di linguaggio/espressione che può essere dovuta ad un livello socio-culturale basso, o come conseguenza di un importante disturbo dell'umore per cui la persona non ha voglia di esprimersi, o ancora può dipendere da una demenza, o una forma di schizofrenia negativa o una chiusura socio-relazionare importante. Valutiamo quindi la velocità dell'eloquio, il tono di voce, la qualità

( disartrie, balbuzie ).

Ci sono dei segni anche verbali da interpretare che il paziente ci comunica implicitamente attraverso una modalità visiva ( vedo tutto nero, non vedo via d'uscita ) o di tipo cinestetico ( mi sento in trappola, mi sento soffocare, mi sento paralizzato ) o ancora uditiva ( tutto mi suona distante ), o anche astratta ( mi sento confuso, o depresso che hanno significati tecnici differenti da quelli usati dal paziente ).

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Take home messages

Mettere a proprio agio il paziente ed evitare pregiudizi senza prendere le parti del paziente del familiare e lasciare da parte i nostri problemi. Fare parlare il paziente prendendolo sul serio capire i rischi per lui e per noi rassicurarlo se si puo, istaurare una relazione e ascoltare.

Non fareDomande chiuse subito, non porre attenzione sul caso clinico che sulla persona, essere rigidi, non evitare argomenti imbarazzanti o delicati, non prendere come tecnici i termini medici psichiatrici usati dal paziente.