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“Ribelle per amore” IL CENTUPLO QUAGGIÙ E L’ETERNITÀ Lucia Romiti Supplemento a “il Nuovo Giornale” - Settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio - N° 15 di venerdì 22 aprile 2016 Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46 art. 1), comma 1, CN/PC - Aut. Trib. di Piacenza n°4 - giugno 1948 Settimanale Diocesi di Piacenza-Bobbio il n uovo g iornale

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“Ribelleper amore”

IL CENTUPLO QUAGGIÙ E L’ETERNITÀ

Lucia RomitiSu

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• L’AUTRICE •

LUCIA ROMITI, laureata in filosofiaall’Università deglistudi di Macerata egiornalista, è redat-trice della rivistadel Rinnovamentonello Spirito Santo,collabora con il set-timanale della dio-

cesi di Piacenza-Bobbio “il NuovoGiornale” e con alcune testate localimarchigiane.Per la collana “Testimoni della fede”de “il Nuovo Giornale” è autrice didiverse biografie.Per la collana “I santi in tasca” (edi-ta con “Nuova Editrice Berti”) hascritto le biografie di Giovanni Pao-lo II, Zelia e Luigi Martin, Padre Pioda Pietrelcina, Santa Teresa Bene-detta della Croce, Pio X, Paolo Bu-rali e Andrea Avellino.Per la collana “Il centuplo quaggiùe l’eternità” è autrice dei libretti de-dicati a don Luigi Bergamaschi e amons. Antonio Lanfranchi.

“Scoprii che nella purezza e nel sacrificio sta la vera gioia”. È tutto qui, conte-nuto in questa frase tratta dal suo testamento, lo spirito di Felice Fortunato Ziliani,detto “Nato”. Purezza, sacrificio, gioia hanno animato e accompagnato la sualunga e intensa vita, spesa al servizio di Dio, degli altri, del bene comune. Natoa Monticelli d’Ongina il 22 agosto 1922, è stato comandante partigiano e neglianni della Ricostruzione ha dato un contributo unico nel campo politico, nel cam-po sociale e in quello lavorativo. Direttore Agipgas a Fiorenzuola, sposato conGiovanna Azzoni e padre di cinque figli, è stato segretario nazionale dell’Asso-ciazione partigiani cristiani, amministratore a Monticelli e Fiorenzuola, consi-gliere e assessore nella Giunta provinciale di Piacenza. Il giorno in cui è morto,il 5 novembre 2008, ha detto a uno dei suoi figli: “Oggi vado in cielo”.

Via Vescovado 5 - 29121 Piacenzatel. 0523.325.995 - fax 0523.384.567e-mail: [email protected]

www.ilnuovogiornale.it

Direttore Davide Maloberti

Autorizzazione Tribunale di Piacenza n°4 - giugno 1948

Settimanale Diocesi di Piacenza-Bobbio

il nuovogiornale

Settimanale Diocesi di Piacenza-Bobbio

il nuovogiornale

Si ringrazia per il contributo

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Si ringraziano

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“Ribelle per amore”

Lucia Romiti

Felice FortunatoZiliani

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IL CENTUPLO QUAGGIÙ E L’ETERNITÀ1. Luigi Bergamaschi. “Passerò il cielo cantando il Magnificat”

2. Antonio Lanfranchi. “Dobbiamo essere di Cristo, non di noi stessi!”3. Agostino Sisteli. “L’educazione è cosa del cuore”

Stampa: Nuova Litoeffe srl Unipersonale - Piacenza

Finito di stampare nel mese di aprile 2016

• Le fotografie sono state gentilmente concesse dalla famiglia Ziliani

In collaborazione con

“Gradirei che questa foto mi ricordasse: «L’antico valor non è ancor morto...».

E il valore è la Grazia che mi ha sostenutoe che spero mi sostenga fino all’ultimo respiro.

Quel poco che ho fatto (e male) l’ho fatto per la difesa dei valori cristiani

e della persona umana.Il Signore mi ha mantenuto distaccato,

anche l’«orgoglio» ha avuto la sua parte!”

Felice Fortunato Ziliani

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Perché questo libro

Sono passati 70 anni dal 2 giugno 1946 in cui, con voto popolarea suffragio universale, il nostro Paese scelse la Repubblica ed elesse imembri dell’Assemblea Costituente a cui sarebbe stato affidato il com-pito di redigere la nuova Carta Costituzionale.

Dopo gli orrori della guerra, il regime fascista e la Repubblica“fantoccio” di Salò, un grande desiderio di libertà e democrazia scosse

l’intero Paese animatodallo spirito ardimen-toso di una generazio-ne di giovani desidero-si di contribuire inprima persona alla ri-nascita.

Tra questi si distin-guevano per prepara-zione, rigore personalee dimensione valorialei giovani cattolici chedalle fila dell’Azione

Cattolica, forgiati dall’insegnamento dei loro assistenti spirituali, sistavano avviando a fare la loro parte al servizio della comunità ed,alcuni di loro, al successivo impegno politico nelle fila della Demo-crazia Cristiana.

Impegno politico-sociale quale testimonianza del cristiano e parteimportante dell’evangelizzazione.

Ai nostri padri, i loro sacerdoti, avevano insegnato la necessitàdell’impegno personale, al contrario della massificazione a cui il re-gime fascista aveva cercato di indirizzare gli individui (mai chiamatipersone); impegno personale che si era materializzato allorquando iloro sacerdoti li avevano spinti a divenire parte attiva nella Lotta Re-

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Felice Fortunato Ziliani.

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sistenziale nelle fila partigiane dicendo loro: “adesso tocca a te, nessunaltro può fare quello che devi fare tu”.

70 anni di Repubblica sono il risultato della Lotta di Liberazionee sanciscono la dimensione POLITICA della Resistenza; la rivolta deipartigiani quale secondo atto più importante della vita POLITICAdel nostro Paese dopo l’Unità d’Italia.

Per cui proprio in occasione del settantesimo della Repubblica, nelricordare i valori che ci sono stati trasmessi dai nostri padri che hannocombattuto per la Libertà, dobbiamo riscoprire con forza e senza paurala dimensione della POLITICA quale elemento cardine della costru-zione del futuro delle nostre comunità. Un termine, quello della PO-LITICA, oggi quasi messo al bando ed associato, nel comune sentiredell’opinione pubblica, ad imbrogli, malefatte, raggiri e compromessi,mentre la POLITICA, non la vecchia o la nuova Politica, ma la PO-LITICA rappresenta l’espressione più alta della convivenza civile e,per un cattolico, della carità cristiana.

E noi dobbiamo con forza avere il coraggio, anche oggi, di affer-marlo!

La proposizione dell’esempio che ci viene dalla vita e dalle operedi Felice Fortunato (Nato) Ziliani, è li a dimostrare quanto un cri-stiano esemplare, dalla fede incrollabile possa e debba battersi anchein POLITICA, cogliendone appieno la dimensione laica, per completaree portare a compimento gli insegnamenti ricevuti ed i valori in suopossesso al servizio e per la crescita della comunità.

Grazie Nato e grazie ai tanti, che come te, ci hanno consegnatoun avvenire di speranza e di giustizia; il nostro impegno è quello diricordarvi sempre cercando di seguire il vostro esempio.

Piacenza, 25 aprile 2016

Mario SpeziaPresidente

Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza

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“Sento il respiro di quella primavera”

La purezza del cuore, lo sguardo fiero, una fede autentica,che tocca ogni dimensione dell’esistenza. Fede imparata in casa,dalla mamma, e nei circoli di Azione Cattolica. Fede che lo nutre,lo accompagna, lo incoraggia, lo sostiene, lo protegge. Fede inDio, nella Provvidenza, nell’uomo. Fede provata nel fuoco dellearmi, dall’isolamento, dalla violenza, dal gelo.

A vederlo da anziano, in una delle tante foto che lo ritraggo-no, si intuisce che Felice Fortunato Ziliani, detto “Nato”, è statoun coraggioso, di quelli che non si tirano indietro ma che natu-ralmente si mettono in prima linea, si fanno carico degli altri edel mondo. Lo sguardo del Griso – questo il suo nome di batta-glia, partigiano sui monti della Valdarda – è rimasto profondo,volitivo, penetrante, nonostante il tempo abbia tolto vivacità agliocchi. Occhi che hanno visto da vicino la morte, la disperazione,rimasti fissi a lungo sui corpi senza vita degli amici uccisi. Occhiche si commuovono spesso. In essi, l’ansia di libertà, la passioneper la patria e il bene comune, il vigore degli ideali, la speranzanel regno di Dio.

Alto e forte, Nato conservava da anziano una folta chioma dicapelli bianchi e il pizzetto sul mento. Se lo era lasciato crescereda giovane, come il fratello Luigi, tenente dei carabinieri partito

DALL’INFANZIA A MONTICELLI AI CIRCOLI DI AZIONE CATTOLICA

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per l’Albania occupata dall’Italia del Duce. L’avrebbe tagliato seil fratello fosse tornato, dopo la guerra. Ma non è più tornato elui si è lasciato il pizzetto. Coerente, Nato, in tutto e sempre, an-che a discapito di se stesso.

Uomo che ha vissuto intensamente, che ha amato molto, cheè sempre stato profondamente grato per i doni ricevuti, era natoil 22 agosto 1922 a Monticelli d’Ongina, in provincia di Piacenza,precisamente nella località “Cristo”, nel crocicchio fuori del pae-se. Il padre, capostazione di una linea di tram nella stessa località,si chiama Dante. La madre, Angiola Lizzini. Nato è il quarto disei figli: tre maschi – oltre a lui ci sono Luigi e Mario –, e trefemmine, Ida, Norma e Mariuccia.

Alcuni mesi primadi morire scriverà aproposito del 25 aprile1945, giorno della li-berazione dal giogonazi-fascista: “Sento ilrespiro di quella primave-ra. Vedo i vincitori e i vin-ti. Non c’è piena gioia. I cadaveri dei soldati tedeschi che con ognimezzo avevano cercato di attraversare il Po, i prigionieri in lunghe filecamminavano esterrefatti e atterriti in senso contrario all’avanzatadelle truppe alleate, i cadaveri dei giovani della Repubblica fascistariversi nei prati della loro ultima giovinezza… Quel 25 aprile ci in-segnò che la guerra non risolve in nessun caso le diatribe tra i popoli.Ma l’insegnamento più grande per noi che combattemmo per la libertàe perché non ci fossero mai più guerre, è l’aver evinto che i sacrifici eil sangue versato non hanno parte e che si fondono nel crogiolo del-l’offerta a chiedere perdono. Non ci sono morti di una parte e dell’altra,ci sono i morti che chiedono la pace. Sì, quel 25 aprile è di tutti”.

Parole che dicono della sua profonda umanità e del modo incui affrontò non solo la guerra di liberazione, guidando il di-staccamento Ursus della 38ª Brigata Garibaldi della Valdarda,

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“Non ci sono morti di una partee dell’altra, ci sono i morti

che chiedono la pace. Sì, quel 25 aprile è di tutti”

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ma anche l’impegno poli-tico a partire dagli annidella ricostruzione. Un ri-belle per amore, comeamava definirsi citando ilvenerabile partigiano Tere-sio Olivelli, morto nelcampo di concentramentodi Hersbruck per aver di-feso un detenuto dalle per-cosse.

Ma andiamo per ordi-ne. È il 25 luglio 1943 eNato deve fare una sceltaepocale, la stessa di moltiitaliani della sua età.

Giovane militantedell’Azione Cattolica

Il Gran Consiglio del fa-scismo ha fatto deporreMussolini. Il governo è sta-to affidato al marescialloBadoglio, e l’Italia è nel ca-os. Bisogna continuare acombattere, ma contro chi?

L’8 settembre l’armistizio con gli Alleati. Nello stesso mese lanascita della Repubblica sociale italiana e lo scoppio della guerracivile: fratelli contro fratelli.

Nato è un militante ventunenne dell’Azione Cattolica divisotra lo studio, il lavoro, i compagni, le gite in bicicletta, il teatroe la grande passione per gli ideali cattolici. Con gli amici piùcari si ritrova nell’oratorio della chiesa di San Giorgio, a Mon-

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Felice Ziliani commemora i caduti diRio Farnese, Bettola.

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ticelli. Il progetto di “armonico collettivo” ispirato alla pedagogiafascista, le grandi adunate, le divise “nere” di un regime totali-tario lo toccano solo esteriormente; lo trovano saldo nella suaformazione cristiana e non gli prendono il cuore. Ben prestoperò gli diventano insopportabili anche quei segni esteriori.Racconta che nell’estate del 1938, al termine di tre giorni diformazione destinata a futuri dirigenti dell’Azione Cattolica acui aveva partecipato in provincia di Parma, emozionato si fauna foto con il prof. Luigi Gedda, allora presidente centrale del-la Gioventù italiana di Azione Cattolica (Giac): “Il professore mipassò il braccio dietro il collo e la mano cascò sull’occhiello della miagiacca. Lì custodivo gelosamente il distintivo della Giac e anche un me-daglione del Duce. «Cos’è questa roba?», disse Gedda. Non feci in tempoad alzare lo sguardo verso di lui che il fotografo scandì il «pronti?».Quella foto non l’ho più dimenticata!”.

Allora, l’impetuoso giovane di Monticelli inizia a capire per-ché i circoli erano spesso perquisiti, le Camere del lavoro e lecooperative distrutte. Quei giovani cristiani di belle speranzesono un baluardo di libertà, non possono essere “ridotti” aun’ideologia. Sono giovani in grado di parlare così: “… le batta-glie per la purezza squarciavano l’orizzonte della nostra giovinezza, enoi respiravamo un clima di cielo… Erano anni in cui una gioventù sipreparava. Nel sacrificio vinceva le dure battaglie contro il potente ne-mico di ogni libertà”. E quando si trattò di scegliere, non ci furonotentennamenti. Dopo l’8 settembre del 1943, anche Monticelliè in balìa degli spari, dei soprusi, del disordine. Racconta Nato:“Sentivo prepotente il desiderio di fare qualcosa. Il prof. Berti, che inse-gnava filosofia a Cremona, venne a parlarci in un pomeriggio di queltremendo settembre e ci portò delle coccarde tricolori. Ci è sembrato unsogno, abbiamo saputo che si poteva veramente fare qualcosa per la nostrapatria; abbiamo capito cosa voleva dire libertà; ci siamo convinti daquale parte ci dovevamo mettere. Non ci fu il minimo dubbio… ci met-temmo in contatto con il Comitato di liberazione di Piacenza”. Intantofa un voto e smette di fumare.

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L’assalto all’asilo

Le prime azioni sono di propaganda. Di notte, clandestina-mente, durante il coprifuoco, il gruppo di Nato incolla sui muri

del paese volantini patriot-tici contro i tedeschi, con-tro la Repubblica sociale;fogli scritti a mano in cuisi invita a disertare la nuo-va chiamata alle armi e aunirsi alla lotta per la libe-razione. Alla fine dell’esta-te il gruppo può contaresu una trentina di persone.

Ma il cerchio dei so-spetti si stringe lentamen-te intorno a loro, la preoc-cupazione delle famiglieaumenta. Siamo nell’ago-sto 1944, e si decide di di-videre in due l’organizza-zione: un reparto di pianu-ra e un reparto di monta-

GRISO SCEGLIE LA MONTAGNA, NASCE LA SQUADRA VOLANTE URSUS

Il “Griso” nell’ottobre 1944 con la ma-glia blu con bordi bianchi e la scrittaV.D.L. (Volontari della Libertà).

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gna. Lassù, però, sui monti della Valdarda partigiana, servonole armi. Allora si pensa a un colpo all’asilo Pellegrini Guzzonidi Monticelli, che ospitava un reparto del Genio Zappatori, uo-mini e armi. Nato studia la piantina dell’asilo e decide la strate-gia. Pietro Cattadori cerca i contatti giusti.

La notte dell’agguato Nato procede, accanto a Emilio Azzo-ni, con il cuore in gola tra i corridoi dell’asilo; in mano ha unapistola accendisigari. Nella tensione, mista a coraggio, impru-denza e paura, si dimentica addirittura che non è una pistola ve-ra. Il colpo riesce, senza nessuna conseguenza da entrambe leparti. 40 fucili, una mitragliatrice, due cassette di munizioni:questo il bottino. Dio l’ha protetto, come farà in seguito piùvolte lasciandolo passare indenne attraverso le più rischiose azio-ni di sabotaggio.

È la prima domenica di ottobre del ’44. A bordo di un’autoNato e i suoi prendono la strada della montagna, carichi di armi.

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Lo Statuto del Patriota scritto sul tesserino partigiano degli uomini dellaUrsus (dicembre 1944).

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Il primo approccio con il mondo dei ribelli organizzati è peròuna grande delusione. L’onestà, la trasparenza e la purezza diNato si scontrano con una realtà che non si aspetta.

Arrivati, hanno un colloquio con il comandante Giovanni loSlavo. Gli riferiscono che alcuni partigiani della sua formazionesi sono appropriati di una partita di stoffe di un negoziante diPiacenza. Lo Slavo risponde che quei tremila metri di stoffa “se-questrati” sono presso il comando. Nato chiede subito che lamerce venga riconsegnata al legittimo proprietario. Il coman-dante li fa accomodare, facendo portare vino e dolci, mentrequalcuno verbalizza la denuncia che hanno fatto. Il clima peròdiventa man mano più teso. Gli sguardi degli altri partigiani suicinque giovani, che avevano lasciato tutte le armi nell’auto, sifanno minacciosi. Nato allora prende in mano la situazione echiede di parlare da solo con lo Slavo: “Voglio una macchina sicuraper andare a Lugagnano e almeno due armi. Se non arriviamo vivi sa-ranno guai anche per te”. Ostentando sicurezza, fa finta di leggerequalcosa sulla cassa dell’orologio e pronuncia una parola d’or-dine delle formazioni partigiane di Tito. O almeno così crede.Gliel’aveva confidata il padre, venutone a conoscenza da un in-terprete dei tedeschi: “Potrebbe servire a tuo figlio”, aveva detto Pe-ros Mirko a Dante.

Fatto sta che le parole di Nato sortiscono l’effetto. Poco dopoarriva al comando un’Augusta nera con lo stemma della CroceRossa. Il gruppo riparte in fretta, con addosso la sensazione diavere qualcuno alle calcagna, ma giunge a destinazione. “Una tri-stezza sconfinata ci invase – racconta Nato –. E per alcuni giorniavemmo il dubbio se restare o tornare a casa. I nostri ideali erano messia dura prova”.

Giovanna lo aspetta a Monticelli

Un colloquio con il comandante della Divisione ValdardaGiuseppe Prati e con il cappellano di divisione, don Pietro Prati,

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rinfranca i giovani ribelli di Monticelli. Decidono di costituirela squadra volante Ursus, e ognuno sceglie il nome di battaglia.Con il Griso, ci sono Porthos, Mach, Polipo, Elio, Lupo. PerchéUrsus? “Avevo scelto il nome del gigante buono del libro Quo Vadis –racconta Nato – perché era il simbolo del bene”. All’inizio l’avevascelto per sé, poi gli altri vogliono che diventi il nome di tuttala squadra. Il castello di Montechino, a Gropparello, è la sededella nuova formazione.

Nato ha un forte ascendente sui compagni, li tiene uniti emantiene alto il morale. È carismatico, autorevole; un amico sucui poter contare e appoggiarsi sempre, anche solo per uno sfo-go. Lui accoglie, capisce, consola, e aiuta a rialzarsi. Fa ritrovarefiducia. Sa emozionarsie lasciarsi coinvolgeredalle vite degli altri. In-fonde coraggio.

Il debole di Nato èla sua Giovanna, la fi-danzata che ha lasciatoa Monticelli. Di lei,molti anni dopo, nel testamento spirituale, scriverà: “Venne l’amoree trovai l’altra metà, sì, perché è vero che dai due nasce una cosa sola. Efu il rispetto reciproco in un fidanzamento sublime, anche se avversato,in cui toccammo il cielo. La guerra di liberazione irrobustì questo amore”.

In paese, per attirare l’attenzione di Giovanna, Nato simetteva a cavalcioni su una finestra del bar in cui in queglianni lavorava la sua famiglia. Quella finestra strategica guar-dava le finestre della casa di Giovanna, alle quali a volte lagiovane si affacciava. Prima che Nato partisse per la monta-gna, quando i due erano ancora ai primi approcci, un giornostavano pedalando in bicicletta dentro Monticelli quando Na-to si ferma, e diventato improvvisamente serio, guardandoGiovanna negli occhi le dice: “Ricordati, noi di figli ne avremoquanti ce ne manderà il Signore!”.

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Un giorno, guardando Giovannanegli occhi, le dice: “Ricordati, noi di figli ne avremo quanti ce ne manderà il Signore!”

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Ora che è scoppiatala guerra la giovane in-segna a scuola in quali-tà di maestra, sosti-tuendo, come tante al-tre donne, gli uominiche hanno imbracciatole armi.

In montagna, luinon fa altro che nomi-narla, migliaia di volteal giorno. Tutti ormai laconoscono e hanno vi-sto la sua fotografia.Don Pietro, indicando-la su quella sgualcita fo-to in bianco e nero cheNato porta sempre consé, gli dice spesso indialetto: “É la to’ Giovan-

na?”. Il pensiero e il cuore sono sempre là, a quella ragazza forteche lo aspetta, che sta dalla sua parte, che lo aiuta a non esserevinto dalla nostalgia, che lo proietta verso il futuro insieme.

Un pomeriggio il partigiano di guardia al castello di Mon-techino dà l’allarme, ha intravisto alcuni combattenti di Salòcamminare nella vallata del Riglio. L’idea è di farli prigionieri,gli avrebbero sbarrato la strada. Dopo aver percorso qualchechilometro, Nato e i suoi si nascondono dietro a un boschetto.Aspettano in silenzio. A un tratto un colpo d’arma da fuoco euno scoppio di bomba a mano. I giovani cominciano a spararesenza un bersaglio ma verso di loro si scaglia una raffica di col-pi. Poi il silenzio.

A sparare non potevano essere stati quei pochi repubblicaniche avevano visto dal castello. Infatti erano stati partigiani come

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Felice Ziliani e Giovanna Azzoni da fidan-zati a Castell’Arquato (estate 1948).

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loro, che come loro volevano catturare i militari fascisti: un uo-mo con il fazzoletto rosso al collo esce dal nascondiglio e i duegruppi cominciano a litigare. Proprio mentre i toni si alzano,due dell’altra formazione iniziano a sparare all’impazzata controuna piccola costruzione, gridando:“Sono lì dentro! Vi ammazziamotutti! Vigliacchi, venite fuori!”. Sono convinti che i fascisti si sianonascosti lì. Racconta Nato: “Temevamo veramente un linciaggio. Ri-cordo che io pregai ardentemente perché ciò non avvenisse”. Sotto i col-pi la porta del porcile si apre ed escono due maiali imbufaliti.“Che piacere! – si lascia scappare Nato sollevato -. Portate questial comando di divisione, voi che volevate portarci i prigionieri!”.

Quando alla fine della guerra Nato racconterà l’episodio aun sacerdote della zona, don Maiocchi gli spiegherà: “Eranotre giovanissimi.. li ho visti rientrare a Biana e mi gridarono: «Padre,ci benedica! Siamo scampati a un’imboscata e non sappiamo come cisiamo salvati»”.

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La formazione Ursus davanti al camioncino per le azioni di sabotaggio:da sinistra, “Lupo” Francesco Bosi, autista della Ursus, “Griso” FeliceZiliani e “Elio” Emilio Azzoni.

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Continua Nato nel suo diario: “Ringraziai di cuore il Signore eprovai una grande, immensa gioia. Sì, si può fare la guerra senza odiare,sembra un controsenso, ma è così... In quel momento mi vennero sott’oc-chio tutti gli uomini della Ursus e in nessuno di loro ho trovato un solosegno di odio. Ribelli per amore!”.

Il filo invisibile della Provvidenza lega i destini di personeschierate su fronti opposti, servendosi di qualche “giovane e for-te”, con l’animo puro e la mente lucida.

Il sabotaggio del ponte del Bagarotto

Coraggio, intelligenza, buon senso e cuore. Per questo si di-stingue l’Ursus e molti partigiani chiedono di unirsi allo zoccoloduro. A metà novembre la formazione conta 60 uomini.

L’Ursus è impegnata in azioni di sabotaggio delle vie di co-municazione. Una di queste è il ponte del Bagarotto, a Ronca-glia, sulla linea ferroviaria Piacenza-Cremona. Il Comando al-leato chiede di farlo saltare.

Proprio durante questa operazione, molto difficile, Nato cre-de di aver ucciso un uomo, e non fa che pensarci. Questi i fatti:per raggiungere il luogo il gruppo prende una via secondariache attraversa un torrente. In quei giorni però ha piovuto moltoe il livello dell’acqua, che scorre veloce, è alto. Decidono di pas-sare ugualmente, ma l’auto rimane incagliata e il motore si spe-gne. I giovani allora si tolgono le scarpe e si gettano nell’acquafredda e fangosa che gli arriva fino alle ginocchia; fanno di tuttoper liberare l’auto. Sono momenti concitati: si trovano a pochipassi dalla via Emilia, percorsa in lungo e in largo dai mezzi mi-litari tedeschi. Alla fine ci riescono e, miracolosamente, l’autocarica di esplosivo riparte al primo colpo di accensione. Ancorauna volta Dio li ha aiutati.

Quando, dopo essersi incontrati con il reparto della pianura,arrivano però al ponte, si rendono conto che il loro piano nonavrebbe funzionato: i piloni erano troppo grossi e imponenti;

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gli strumenti che avevano inadeguati. “Torneremo”, promettonoai compagni e ripartono per la montagna.

È proprio sulla via del ritorno che accade l’imprevisto. Èsera. Lupo sta guidando. Davanti, accanto a lui, c’è Nato. Die-tro, gli altri. L’auto, piena di mine, percorre le strade di cam-pagna. Dentro regna il silenzio, nessuno ha voglia di parlare,ma dopo un po’ una certezza prende tutti: hanno sbagliatostrada, sono finiti in zona militare. Lupo, repentino, fa retro-marcia e torna indietro. Griso imbraccia il mitra e appoggiala canna sul finestrino aperto. Un soldato tedesco esce da unedificio e intima all’autodi fermarsi alzando l’armae gridando: “Alt!”. Lupoaccelera e Griso spara.Con calma.

Dopo, un fuoco incro-ciato di colpi si scatena.L’auto viene crivellata dalle pallottole ma corre lontano, sem-pre più lontano da quell’inferno. “Ognuno temeva per i compagni– racconta Nato –. Possibile che nemmeno un colpo ci avesse colpiti?Invece fu proprio così”.

Lui però era lacerato da un dubbio: sarà sopravvissuto iltedesco che intimava l’alt? L’aveva visto in faccia prima di spa-rare. Di fronte a quell’arma alzata non aveva potuto fare al-trimenti. Ora però desiderava solo una cosa: non averlo ucci-so. Finita la guerra, tornerà in quei luoghi e chiederà infor-mazioni: quell’uomo era stato operato e si era salvato. La com-mozione e la gratitudine lo prenderanno.

Intanto, negli interminabili mesi in montagna, Nato nonsalta la messa domenicale nemmeno una volta. Una domenicadell’autunno del ’44 entra in chiesa, dalla porta principale, eincontra un partigiano cattolico che aveva conosciuto nell’AC,Giovanni Silvotti. Silvotti racconta che Nato lo abbraccia conaffetto. Dopo poco vedono entrare in chiesa, per ascoltare la

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Nato, anche lui sorridendo,ricambia il saluto e dice

a voce alta: “Danke, grazie”

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messa, un sottufficiale italiano e due ufficiali tedeschi; ancheloro passano dalla porta principale. “Io mi sento morire dalla pau-ra – racconta Silvotti –. Sto per andarmene, ma Nato mi trattienee mi sussurra che sono senz’altro cattolici anche loro, sono venuti perpregare”. I militari depongono le armi sulla panca, come avevafatto Nato. Alla fine della messa, escono per primi e si fermanonei paraggi. Racconta ancora Silvotti: “Li vediamo dalla portaprincipale rimasta aperta ed ecco che Nato, raccolte le armi, si avviaad uscire di lì. Lo seguo col cuore in gola, ma avviene proprio comeNato ha forse previsto. I tre «nemici» scattano sull’attenti e salutanomilitarmente, sorridendo. Nato, anche lui sorridendo, ricambia il sa-luto e dice a voce alta: Danke, grazie”.

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Messaggio pervenuto in codice dalla Ursus della pianura agli amici inmontagna.

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La strage al Passo dei Guselli

Arriva dicembre, e con esso il freddo, la neve, il gelo. Nelpiacentino è tempo di rastrellamenti a tappeto da parte dei te-deschi, il cui ordine è stanare i partigiani e terrorizzare la po-polazione perché non dia più a loro sostegno. Razzie, perquisi-zioni, esecuzioni sono la prassi. Il comandante Prati parla ai suoiuomini e li avverte della gravità della situazione. Nato, con lelacrime che gli bagnano il volto, prega: “Non mea, sed tua voluntasfiat”. Il pensiero va ai giovanissimi compagni dell’Ursus e ai ge-nitori che glieli avevano affidati con fiducia. Va alla sua famiglia,a Giovanna. Tutti sono in pericolo: lui è un ricercato.

Arriva il 7 dicembre, Nato è a Chiavenna e passa la giornatanascosto insieme ai compagni in una grossa buca. Sopra le loroteste gli aerei tedeschi. La sera scendono a mangiare qualcosain un’osteria.

La notizia della strage la porta una staffetta esausta e con ilmitra in braccio: su, al passo dei Guselli, una colonna della di-visione Valdarda è caduta in un’imboscata. I nazifascisti hannoucciso a bruciapelo trentatré partigiani.

Durante la notte il giorno 7 lascia il posto alla Festa dell’Im-macolata, 8 dicembre. Questa festa, quella scena, Nato non ledimenticherà più. Ci si mette in cammino, stanchi, sporchi, in-

IN VALDARDA È TEMPO DI RASTRELLAMENTI

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freddoliti, con il vento che ferisce la faccia e la neve che offuscagli occhi. All’alba il suono delle campane a festa sveglia i ribellida quel torpore, da un camminare assorti in pensieri di morte.Vedono in lontananza gente che va in chiesa per la messa. Ancheloro! Anche se sono in fuga, anche se sono armati, anche se sonobraccati. “Mamma, pensaci tu!”, prega il Griso. Il calore della fedeli sostiene, l’odore di quella chiesa di montagna li conforta:“Quando uscimmo – racconta –, ancora per impervi sentieri, non c’erapiù nevischio. Pioveva forte, ma non faceva freddo. Era come se in me sifosse placata una tempesta”.

La Madonna li aveva protetti e preparati. Arrivati al passodei Guselli, Nato si accorge subito di quell’acqua rossa di sanguenei piccoli canali lungo la stradina. Il gelo l’aveva ghiacciata ecristallizzata.

Al cimitero di Morfasso i cadaveri erano stati messi pietosa-mente l’uno accanto all’altro, lasciati nel modo in cui la morteli aveva colti improvvisa. Nato ha un tuffo al cuore: “È lui!”, pen-sa. Anche se non stava perfettamente supino ma appena appog-giato su un fianco, si vede benissimo quella sciarpa tricolore al

Felice Ziliani, diciassettenne, durante un momento di pre-ghiera con Ludovico Colombi, seminarista di Monticelli. L’unosi avvia alla vocazione patriottica, l’altro al sacerdozio.

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collo. Era la sciarpa di Nato e il corpo era quello di Ugo Rai-mondi, un giovane meccanico di Monticelli: gliel’aveva regalataproprio Nato quella sciarpa rossa, bianca e verde. L’aveva cucitasua sorella Ida, ricavandola da una bandiera di lana. Ugo avevainsistito tanto per averla, e un giorno Nato gliel’aveva data incambio di un lavoro all’auto dell’Ursus. Ugo se l’era messa su-bito al collo. “«Tienila, ora, Ugo, portala per le vie del Paradiso in

testa al tuo corteo, e che Dio la benedica». Così pregai – racconta ilribelle per amore – mentre la notte calava fredda e buia. Ma il miocuore era incredibilmente in pace: era l’8 dicembre e vedevo quei povericorpi amorevolmente ricomposti dalla nostra Mamma in Cielo!”.

“Ce ne andiamo noi. Voi rimanete!”

A fine dicembre 1944 arriva una lettera di Giovanna. Laragazza di Monticelli questa volta non si rivolge solo al fidan-

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“Elio” Emilio Azzoni, “Griso” Felice Ziliani” e “Mach”Giulio Cattivelli nell’aprile 1945 davanti al castello diMontechino, sede della formazione Ursus.

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zato, ma a tutta la formazione: “Cari ragazzi, questa volta scrivoa tutti voi che avete sopportato qualche volta le nostalgie, mica poche,del mio fidanzato. Per questa comprensione vi sono tanto riconoscente;sono lontana da lui, siete tutti lontani, ma ricordate che ogni attimo,ogni preghiera mia fa capo a voi, al trionfo del vostro ideale. Dopolui ci siete tutti nel mio ricordo. Continuo a collocarvi in un posto diprimo piano nel mio cuore: siete i suoi amici, i miei compagni e so-prattutto siete la realizzazione del più sublime ideale... Vi aiuti ilpensiero di tante preghiere innalzate per voi da tante creature. Nonvenga mai meno nelle vostre azioni l’onestà, il coraggio, la carità”.

Mentre la legge, Natoha il cuore gonfio. Do-lore, gioia e speranzasi intrecciano dentrodi lui.

Il giorno di Natale,con i suoi uomini, en-tra in chiesa, dopo

aver lasciato le armi fuori, sul piazzale. Tutti, ordinatamente,si mettono in fila per ricevere la comunione.

Mancano quattro mesi alla liberazione dell’Italia. Quattromesi alla fine della guerra. Sono mesi molto duri. Sempre indicembre la mamma del Griso, Angiola, incontra il tenenteLombardo, capo delle SS italiane, che la terrorizza: “Glielo as-sicuro io, vedrà. Una mattina mentre va a messa troverà suo figlio Natoimpiccato a uno dei lampioni davanti alla chiesa”.

In gennaio i rastrellamenti continuano. Dopo che all’Epifa-nia i nemici hanno attaccato la sede dell’Ursus, il castello diMontechino, Griso e i suoi uomini devono affrontare la batta-glia di Lugagnano. È il 7 gennaio. Combattono in una situazionedisperata, mantenendo strenuamente la posizione. Riesconoper un po’ ad arrestare l’avanzata dei turkestani tedeschi e deirepubblicani. Poi, braccati, cercano rifugio. Sulla strada incon-trano un ragazzo gravemente ferito che piange, invocando il

È notte. Nato e i suoi più stretticompagni nascondono le armi nel bosco e bussanoalla porta di una casa isolata

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nome della mamma. Lo prendono pietosamente in spalla e lolasciano davanti alla prima casa che incontrano.

Ora bisogna sospendere la lotta, le operazioni, e nascondersiper un po’. L’obiettivo è tornare a Monticelli.

È notte. Nato e i suoi più stretti compagni nascondono learmi nel bosco e bussano alla porta di una casa isolata. Chie-dono se possono fare un buco nel fieno e nascondersi lì dentro,per non dare troppi problemi agli abitanti. È l’alba, hanno quasifinito di scavare quando vedono uscire dalla casa l’intera fami-glia con le valigie in mano: “Se vi trovano qui, ci uccideranno. I te-deschi sono là, noi ce ne andiamo…”. Nato non ci pensa due volte:“Ce ne andiamo noi. Voi rimanete!”, e chiede un paio di forbici pertagliarsi la barba.

“Dov’è tuo fratello, il partigiano che è stato qui?”

A Monticelli dalla notte dell’11 gennaio del ’45, per al-lontanare i sospetti Nato riesce ad avere una copertura e gliviene consegnata, come ai suoi compagni, la tessera di lavo-ratore della Tod tedesca. Un giorno si spaccia malato, sale inbicicletta e pedala veloce verso Milano. Ha deciso di andarea trovare la sorella Norma, che lavora nella città meneghina.A spingerlo è una qualche speranza di cambiamento che nem-meno lui riesce a definire. Non sa ancora che sta per mettersiin grave pericolo.

Norma, che abita in via Torino, rifocilla il fratello: gli dàda mangiare, gli dà da bere. Gli dà un letto per dormire e lapossibilità di farsi un bagno, privilegi che il comandante avevaperso da mesi, da quando era iniziata la sua battaglia. Il pome-riggio erano andati insieme nel negozio in cui Norma lavoravae Nato quegli sguardi sospettosi dei colleghi li aveva notati su-bito: si intuiva facilmente che era un partigiano. Il giorno do-po, stranamente, si sveglia all’alba, agitato. Racconta nel dia-rio: “Sento che me ne devo andare, anche se non mi so spiegare il per-

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ché. Sta di fatto che la stessa casa che sembrava avermi accolto contanto calore, non mi riesce quasi più di sopportarla”.

Norma lo accompagna in bicicletta fino a piazzale Loreto,e lo saluta abbracciandolo. La sera, quando torna a casa dal la-voro, trova gli uomini della brigata nera che la interrogano:“Dov’è tuo fratello?”. “Quale fratello?”, nega lei. Ma loro insistono:“Il partigiano, quello che è stato qui ieri!”. In pochi minuti l’ap-partamento viene messo a ferro e fuoco. Trovano una cravatta.Il tono si fa più minaccioso. Norma però lavorava in un nego-zio di stoffe, per questo aveva una cravatta in casa. Riesce aconvincerli e i fascisti se ne vanno. Chiusa la porta, si lasciacadere seduta a terra, esausta per aver dovuto nascondere lapaura. Il pensiero va al fratello, la cui vita è così a rischio.

Nato a quell’ora è già a Monticelli, dai compagni. La visitaalla sorella, durante la quale di nuovo la Provvidenza lo avevaprotetto, era servita a ben poco se non ad aumentargli queldesiderio forte di tornare in montagna. E così farà.

Giovani della Ursus della montagna e della pianura al castello di Monte-chino (aprile 1945). Al centro, il cappellano don Pietro Prati; secondo dadestra, Felice Ziliani.

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Se l’amore è più forte dell’odio

“Fuma, Griso, la guerra sta per finire”. Il comandante Prati offrea Nato una sigaretta americana. Sa del voto del giovane, ma sia-mo alle ultime battute della guerra. E insiste. È il 20 aprile. Pratiha raggiunto Sperongia, a cinque chilometri da Morfasso. Quisi è stabilita e ricomposta la formazione di Nato. L’aria è cam-biata, i tedeschi sono in ritirata. Ora l’ordine è di scendere inpianura, unirsi agli americani e ricostruire sulle macerie.

Tra la folla che nella piazza di Monticelli si è riunita per ac-cogliere “i liberatori”, c’è anche Giovanna. Acclamati, Nato e isuoi compagni arrivano in bicicletta dalle colline; lui saluta lafidanzata con un bacio.

Aveva guidato l’Ursus al motto di “preghiera, azione, sacri-ficio”, ma quanta delusione, quanto dolore per un giovane idea-lista, profondamente onesto e intransigente come Nato, nel ve-dere che altri partigiani sono mossi dai loro interessi, dall’odioe dal desiderio di vendetta, che istituiscono processi sommario danno la morte con tanta disinvoltura! Tempo prima di incon-trarsi a Sperongia con Prati, un giorno, nella mente e nel cuoredi Nato c’era tutto questo che si agitava. Era profondamentetriste e attraversato da una crisi di coscienza. Mentre attende ilritorno di alcuni partigiani dopo uno scambio di prigionieri, ve-

Il DOPOGUERRA, NATO TRA IMPEGNO POLITICO

E IMPEGNO CIVILE

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de un autocarro scendere dal passo dei Guselli. Dentro c’èmons. Ugo Civardi. Quel nome gli è familiare, l’aveva sentitoda sempre. Si tratta di un sacerdote che stava accanto ai ribelli.Nel gruppo c’è anche un frate. Nato gli si avvicina e gli chiededi confessarlo ma lui, preso dai suoi pensieri, gli risponde: “Piùtardi”. Nato rimane male, desidera solo poter avere una confer-ma, una parola per ritrovare la pace. Allora va verso Civardi, gliprende le mani e ha il tempo di dirgli:“Vengo dall’Azione Cattolica,sono in crisi…”. Il sacerdote, con la veste impolverata, non lo la-scia finire, lo guarda con occhi paterni e lo rassicura:“È questa lanostra strada, ragazzo, una strada difficile. Se non ce la fai, te ne puoiandare, ma la nostra strada è questa”. La mente era tornata di nuovolucida, i propositi chiari. E adesso, che siamo alla fine della guer-ra, adesso che c’è da ricostruire, Nato dà il meglio di sé, rimanein prima linea e combatte coloro che della vittoria si fanno scudoa scapito della giustizia, della verità e della libertà.

Felice Ziliani il 27 aprile 1945 su un carro armato americano colpito daipanzer tedeschi in un duro scontro a San Nazzaro d’Ongina, sulla stradaPiacenza-Cremona.

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È lui, insieme a Elio e Mach, a intervenire impugnando il fu-cile il 29 aprile 1945. Alcuni partigiani hanno appena ucciso asangue freddo un uomo di Monticelli, accusato di essere statoun collaborazionista. La rabbia cresce tra la gente: “Ammazziamolitutti!”, è il grido. “Chi l’ha condannato? Non è per questo che abbiamocombattuto!”, rispondono con forza gli uomini dell’Ursus.

La folla si disperde, come gli autori dell’esecuzione. In questo clima, una mattina Nato va a Cremona a trovare

un suo vecchio professore. Prima di entrare nella Resistenza,gli aveva chiesto un consiglio e l’insegnante, che era consideratofascista, gli aveva detto: “So che sei un bravo ragazzo, Ziliani, ti ho semprestimato: fai quello che la tua coscienza ti suggerisce”.

Quando, nella calda mattina del dopoguerra, chiede di luialla moglie, lei risponde che il marito non c’è, visibilmente pre-occupata che quel partigiano e i suoi compagni vogliano farequalche rappresaglia. Ma Nato le grida dalla strada, quasi con al-legria: “Signora, sono Ziliani, abito a Monticelli, dica al professore cheho fatto quanto la coscienza mi ha suggerito. Gli dica anche che se avràbisogno, i miei amici e io lo aiuteremo…”. La donna si commuove.

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Ziliani al ricevimento in onore di Gino Bartali (al centro della foto) nelsalone di casa Azzoni a Monticelli. Ziliani è alla destra dell’atleta.

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È anche questo il giovane Griso, sa fare memoria, sa espri-mere la gratitudine e ha in sé un profondo senso di giustizia.“Veramente l’amore è più forte dell’odio”, pensa il comandante tor-nandosene a casa in bicicletta.

La scissione con l’Anpi

Nato riconsegna le armi e accetta il lavoro alla Cassa di ri-sparmio di Monticelli. Ma sta per andare incontro a una grandeamarezza che, in qualche modo, accompagnerà la seconda partedella sua lunga vita. La si può leggere negli accorati e ripetutiappelli all’unità, perché – non si stancherà di ripetere da parti-giano e da politico – “la libertà va conquistata da tutti, insieme egiorno per giorno”.

Nel 1946 la Commissione regionale per il riconoscimentodelle qualifiche partigiane prende in esame le azioni degli uo-mini dell’Ursus che si erano mossi in pianura, e a molti di loroassegna la qualifica. Erano partigiani provenienti dai circoli diAzione Cattolica, non erano fascisti e nemmeno comunisti, manell’Italia del dopoguerra accadeva anche che partigiani noncombattenti in prima linea non fossero considerati pienamentetali. L’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia, impugnala decisione e mette in piedi una sorta di processo per toglierela qualifica a tredici uomini di Nato. Ci riesce, nonostante l’in-tervento del comandante Prati e l’appassionata difesa che fa Na-to dei suoi uomini, uno a uno. Per lui è una ferita profonda, chenegli anni non guarisce.

Sempre nel 1946, invitato dall’Anpi alla festa della “solidarietàpartigiana”, scrive una lettera carica di dignità, che riflette il climapoliticamente acceso del dopoguerra, in cui il suo distacco apparecristallino e autorevole:“Solo spiritualmente partecipo alla festa dellasolidarietà partigiana… Auspico che l’organizzazione Anpi si liberi daqualsiasi forma più o meno nascosta di settarismo… Come partigianoho combattuto e ho fatto quanto mi è stato dato di fare, sono di nuovo

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pronto a combattere... Contro i disonesti con gli onesti, contro il mate-rialismo con la ragione, contro l’odio con la carità... Solo con queste armie contro quei nemici io vedo la rinascita della patria”.

L’anno dopo, la scissione con l’Anpi e la fondazione del-l’Anpc, Associazione nazionale partigiani cristiani, di cui Natosarà esponente provinciale e per dieci anni segretario nazionale,rieditando, da direttore responsabile, il periodico dell’associa-zione: Il Richiamo Partigiano, fondato nel ’47 da Enrico Mattei.

Le nozze con Giovanna

Alla rinascita dell’Italia, nei decenni successivi alla fine dellaguerra, l’ex comandante Ursus dà un contributo enorme. Conl’esempio, con la testimonianza di uomo retto, incorruttibile, conquel temperamento che lo porta a spendersi fino in fondo man-tenendosi saldo nella dedizione, nella passione, nel disinteresseverso se stesso. Animato da una chiara visione laica della politica,e del politico come servitore, milita nelle file Dc, di cui arriva aessere vicesegretario provinciale; è amministratore locale, a Mon-ticelli prima a Fiorenzuola poi, consigliere e assessore all’Assi-stenza nella Giunta della Provincia di Piacenza, che per suo im-pulso diventerà assessorato alla Sanità e all’Assistenza. Nell’im-mediato dopoguerra, affronta a colpi di comizio tutti gli avversaripolitici, anche i più temibili, rivelando grande capacità oratoria.

Sul piano lavorativo sarà direttore all’Agipgas di Fiorenzuola,che diventa la sua seconda famiglia.

Prima di entrare nella lotta armata Nato si era diplomato pe-rito industriale a Cremona. Nel febbraio 1949 viene assuntoall’Agip presso il secondo gruppo sismico come calcolatore geo-fisico. “Un’esaltante cavalcata” definirà l’esperienza nell’aziendadi Enrico Mattei.

L’anno prima, il 7 ottobre, finalmente si era sposato con Gio-vanna Azzoni nella basilica di San Lorenzo, a Monticelli, dopoaver trovato una casetta in cui andare a vivere, in via Donatori

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del sangue, grazieall’intercessione disan Giuseppe.

Sposato da poco,un giorno tornando acasa Nato vede che visono state portatedue poltroncine, vec-chie e con i bracciolidi legno. Un’abbientezia di Giovanna, di Fi-renze, aveva rinnova-to il salotto e avevadato le vecchie pol-trone alla nipote. Na-to si arrabbia moltis-simo: “Viene a casa no-stra gente che non ha illavoro, che non ha ma-gari nemmeno una sediain casa, e deve vedere

delle poltrone?”, rimprovera la moglie. Per lui, in un tempo di po-vertà e sofferenza, quelle poltrone sono simbolo di ricchezza eNato non vuole offendere la sensibilità di nessuno. Piuttostocondivide la condizione degli altri.

Funzionario Agip, l’amicizia con Mattei

Quattro anni dopo le nozze, nel 1952, viene chiamato a di-rigere la prima stazione sperimentale di gas liquido del sotto-suolo italiano, a Cortemaggiore. Nel giugno di quello stessoanno, durante l’inaugurazione dell’impianto di degasolinaggio– a cui partecipa anche Alcide De Gasperi – Nato conosce En-rico Mattei, che era stato capo della Resistenza partigiana cat-

Ziliani a Roma nel 1950 durante il Giubileo.Era arrivato in bicicletta da Monticelli con(da sinistra): Piero Cattadori, Guido Cattivel-li e don Adamo Cicognini.

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tolica. Intuisce subito l’imbarazzo e il disagio di Mattei al pen-siero di dover tenere l’intervento ufficiale; coglie in lui un fon-do di timidezza e gli propone con semplicità e slancio: “Lo faccioio!”. Mattei accetta volentieri, e così avviene. Li legherà da al-lora un rapporto di stima e amicizia. Fino a quel tragico 26 ot-tobre 1962, quando l’aereo di Mattei precipita misteriosamen-te prima di atterrare a Linate. Alla notizia, Nato si precipita sulposto, nelle campagne pavesi dove era caduto il velivolo. Vuolecredere che non si tratti di attentato. Secondo Nato le causesono state il maltempo e la stanchezza del pilota. Da tecnico,spiega che lo scop-pio era avvenutoquando, secondo latabella di marcia,l’aereo sarebbe giàdovuto essere atter-rato; se dunque afarlo scoppiare fossestato un ordigno a orologeria, quell’ordigno sarebbe stato si-stemato fuori tempo.

Nel 1954, a trentadue anni, viene chiamato a dirigere la sta-zione imbottigliamento Gpl e il deposito carburanti di Fioren-zuola d’Arda. Sul lavoro è esigente, ma sa dare fiducia ai colla-boratori, sa delegare. Le capacità dirigenziali e organizzativedell’ex comandante, le sue intuizioni, la sua lungimiranza, lasua umanità, la sua intelligenza e passione, fanno sì che lo sta-bilimento cresca nel tempo fino a dare lavoro a centinaia di di-pendenti e a raggiungere un notevole fatturato. Scriverà nel te-stamento spirituale: “Mi illudo di essere stato amato dai miei colla-boratori (da alcuni sicuramente) perché dai più credo di essere statoanche temuto per la mia forte personalità ed esigenza. Mattei mi vollebene, non gli ho mai chiesto niente per me, da lui ebbi il bene più gran-de che in quei tempi si poteva avere: dare il lavoro ai disoccupati. Quellofu un sogno realizzato”.

Ogni mattina, prima di andare al lavoro a Fiorenzuola, Nato

si fa aprire la chiesa di San Giorgioe si ferma davanti al Santissimo

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Intanto arrivano i figli ad arricchire la vita dell’ex coman-dante. A lui e a Giovanna il Signore ne affida cinque, anzi sette,perché due muoiono prima di nascere. Tutti maschi. Il primo èLuigi, che nasce nel 1949, poi viene alla luce Carlo, nel ’52;Paolo nel ’54; Stefano nel ’56. Infine, nel ’63, Mario.

Ogni mattina, prima di andare al lavoro a Fiorenzuola, Natosi fa aprire la chiesa di San Giorgio e si ferma davanti al Santis-simo per un momento di adorazione. Subito dopo “vola” con lasua auto verso quell’impegno lavorativo in cui realizza parte dellapropria vocazione e che definisce “il mio esperimento nel sociale”.

Alla fine degli anni Cinquanta accade un episodio che rac-conta la tenacia di Nato ma dice anche del filo diretto che spessoriusciva ad avere con Dio, come ai tempi della Resistenza.

“Dormi, andrà tutto bene”

Nello stabilimento Agip di Fiorenzuola il personale scioperaper la prima volta. Nato appoggia i lavoratori e Mattei, che nonse l’aspettava da quel direttore su cui contava molto e con il

Giugno 1952: Ziliani (il secondo da destra) illustra al capo del GovernoDe Gasperi un particolare all’interno dello stabilimento Agipgas di Cor-temaggiore; alle spalle di Ziliani, Enrico Mattei.

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quale condivideva fede, storia e ideali, gli fa arrivare un prov-vedimento che sembra irrevocabile: il trasferimento a Gela.Questo, nonostante l’amicizia.

L’ex comandante Ursus prende la decisione di andare a Ro-ma per parlare direttamente con il presidente Eni. Mattei perònon lo riceve, e gli fa fare tre giorni di anticamera. La sera pri-ma del terzo giorno Nato è nella sua stanza di albergo. Ha ap-pena recitato il rosario, come fa ogni giorno. Quando è a casalo recita insieme a Giovanna ma, abituato ad essere operativoe a non stare seduto, snocciola le Ave Maria camminando avantie indietro nel suo studio.

Quella sera, a Roma, è preoccupato. Apre la finestra dellapiccola stanza in cui aveva passato le due notti precedenti, eimprovvisamente una pace infinita lo invade. Una voce dentrodi lui gli dice, rassicurante: “Dormi, andrà tutto bene”. Il giornodopo, di buon mattino, si sveglia, si veste e torna da Mattei,che questa volta lo fa entrare e lo ascolta. Cosa si dicono nonlo sapremo mai con precisione. Certo è che Mattei prende il

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Ziliani al giacimento Agip di Cortemaggiore nel 1952 durante l’imbriglia-mento della sonda 9 dopo un lungo incendio.

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telefono, compone un numero e revoca il provvedimento: Zi-liani rimane a Fiorenzuola.

Mentre Nato, con il cuore leggero, scende le scale per usciredall’edificio, incontra un collega dell’Agip: “Mi dispiace Ziliani,so che verrà trasferito”. “No – risponde Nato –. Ho parlato ora con ilPresidente. Rimango a Fiorenzuola”. Il collega si stupisce: “Mattei ledeve volere molto bene, perché l’unica persona che gli ha mai fatto cam-biare idea è sua mamma!”.

“Fu la mia più importante decisione politica”

Parallelamente, si svolge l’impegno di Nato nell’amministra-zione del bene comune. L’ex comandante partigiano è uno diquelli che nel partito potrebbero fare molta carriera se accettas-

sero i compromessi, serispettassero le leggi del“mondo”. Ma lui i com-promessi non li ha maiaccettati né mai li accet-terà. È un limpido, unoche non rinuncia a quel-la libertà interiore che

ha imparato con la fede e con il sacrificio, uno che non si piega enon conosce il calcolo. La purezza, la castità fisica e spiritualecon cui ha vissuto la giovinezza, dal fidanzamento alla lotta di li-berazione, è la stessa con cui vive tutto ciò che lo riguarda: dalmatrimonio al rapporto con i figli, dal lavoro alla politica.

Nel giugno del 1954 partecipa come delegato al 5˚ congres-so della Democrazia cristiana, al Teatro San Carlo di Napoli. Inuna pausa dei lavori viene invitato da alcuni congressisti a unariunione presso il ridotto del Teatro. De Gasperi ha appena finitoil suo intervento. L’ex comandante li segue perplesso, e ascolta.Era la premessa per la spaccatura del partito, per la formazionedi correnti diverse al suo interno. Quella che nasceva con la riu-

Nel giugno del 1954 Nato partecipa come delegato al 5° Congresso dellaDemocrazia Cristiana a Napoli

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nione al ridotto del Teatro, la corrente “La Base”, era originatada Mattei, ma questo non basta a convincere Nato, che racconta:“Pensando a De Gasperi… non ebbi esitazioni di sorta e senza indugipresi la parola per illustrare una «mozione d’ordine». Chiesi di sopras-sedere e di seguire il Congresso e di comportarci liberi in coscienza nellevotazioni congressuali”. Qualche giorno dopo la fine dei lavori,uno di quei militanti si prende la briga di raggiungere Nato aMonticelli, partendo da Roma. Parlano a lungo, ma per il Natoradicale e intransigente, il partito deve essere integro: “Fu la miapiù importante decisione politica; risposi serenamente a questo caro, bra-vissimo, onestissimo amico di notevole cultura che non capivo la necessitàdi creare un movimento, anche se solo di idee, all’interno della Demo-crazia cristiana, anche per il timore di perniciose divisioni… Io dissidi no, guidato da una specie di sesto senso. Avevo già visto, in montagna,le disastrose conseguenze delle divisioni… la nostra preparazione eratale che neppure mi sfiorò il pensiero che imboccando quella strada neavrei avuto un notevole beneficio politico nonché professionale”.

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Giugno 1952: Alcide De Gasperi si complimenta con Ziliani al termine delsuo discorso. Sono riconoscibili anche l’on. Marenghi, vicino a Ziliani, l’al-lora segretario della Dc Fiorenzo Tosi, dietro a Ziliani, e il sindaco di Pia-cenza ing. Chiapponi.

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“Moro compie il suo miracolo”

“L’impegno sociale, che mi farà conoscere da De Gasperi a Moro aZaccagnini, non mi travolse nel potere. Io sono sempre stato ‘vice’!”, rac-conta Nato nel suo testamento. Per due volte viene candidato

PRESIDENTE ASSOCIAZIONE PARTIGIANI CRISTIANI, PASSA IL TESTIMONE

Ziliani saluta l’on. Aldo Moro in visita a Piacenza per inaugurare lo sta-bilimento De Rica a San Polo. Tra loro si intravede Giovanni Spezia, allorasegretario provinciale della Democrazia Cristiana (settembre 1965). Allespalle di Moro, il sen. Alfredo Conti.

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alla Camera dei deputati e per due volte non viene eletto. Laseconda, nel 1963, per pochissimo. Proprio la politica gli dà unadelusione che lui accetta chinando la testa. A Roma, alla Came-ra, deve andare Nato, ma alla fine nel partito si punta su un altrocandidato. Nessuna recriminazione, nessuna protesta. Anzi, Na-to racconta ai figli che è meglio così, perché ha evitato la tenta-zione del potere.

Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro,presidente della Democrazia Cristiana, uccidendo gli uomini del-la scorta. Per l’ex comandante è questo un periodo di sofferenza.Il rapporto conflittuale con i figli, la sua fatica nell’accettare unaloro realizzazione che passa anche attraverso la ribellione e sceltemolto diverse dalle sue, lo rende inquieto. Lui ha sempre pensatoche l’esempio bastasse.

Quando gli arriva lanotizia del sequestro, haappena finito di scriverela lettera di invito ai par-tigiani cristiani per ilcongresso provincialedell’Associazione, che sta per aprirsi. Fa aggiungere un postscriptum: “Ci giunge ora la tragica notizia dell’eccidio di Roma e delsequestro di Aldo Moro. Col cuore che sanguina ma con la determina-zione di accettare la sfida degli assassini, sento l’obbligo morale di in-sistere particolarmente sulla partecipazione al congresso, perché è piùche mai vero che la Resistenza continua”. Nato, Moro lo ha cono-sciuto e lo sente vicino; ha la sua stessa incorruttibilità, la stessacapacità di andare oltre gli steccati. È un puro come lui, comelui un resistente. La linea che il “ribelle per amore” condivideè quella di non trattare con i brigatisti. Quello del presidenteDc lo intende come un sacrificio necessario. Quando l’onore-vole viene ritrovato morto nel bagagliaio di un’auto in via Cae-tani, a Roma, scriverà: “Moro compie il suo miracolo: l’Italia non sipiega e reagisce unita!”.

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La sua fede, Nato la definisce“una interdipendenzatra il credo e la vita”

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Sul partito a cui appartiene, la Democrazia Cristiana, Natofa una riflessione e una revisione profonde: “Fummo vigilantidurante il fascismo, nella Resistenza e negli anni felici della ricostru-zione. Poi abbiamo abbassato la guardia. Poco a poco vennero a man-care gli alimenti che generosamente e per decenni ci aveva dato l’Azio-ne Cattolica, che ci mobilitava nello spirito e nell’azione. Venne menoin noi la predisposizione al «sacrificio». Cominciammo a perdere icontorni del primario dovere del cristiano e cioè quello dell’evange-lizzazione” .

La sua fede, Nato la definisce “una interdipendenza tra il credoe la vita”. Nel testamento spirituale scrive: “Ho lavorato molto peri miei e i nostri ideali, ma non ho mai imparato a pregare”, forse perun’attitudine al fare piuttosto che al meditare. Eppure, Natofrequenta la messa quotidiana e alimenta la sua spiritualità, chepassa per le vie della concretezza, attraverso gli esercizi orga-nizzati dalla Società Operaia di spiritualità getsemanica fondatada Luigi Gedda: operai di Cristo, che ogni giorno si impegnanoa fare la volontà di Dio.

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Ziliani insieme al presidente Eni Enrico Mattei in visita allo stabilimentoAgip di Fiorenzuola d’Arda. Tra i due, il ministro Giorgio Bo.

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Lo scontro con la dirigenza dell’Agip

All’inizio degli anni Ottanta, qualche anno prima di andarein pensione, Nato si trova a dover combattere per il futuro dellostabilimento Agipgas di Fiorenzuola. Si schiera con forza controil progetto di chiudere il settore di imbottigliamento del gasper uso domestico e industriale.

Aveva in precedenza proposto all’Agip un’area, fuori dalla cit-tà, in cui trasferire l’attività, ma non aveva avuto risposte chiare.Quando si tratta di difendere il bene di tante famiglie, Nato usatutti gli strumenti che la sua determinazione gli fa individuare.Commissiona all’economista Beniamino Andreatta, eletto sena-tore nel Collegio di Fiorenzuola-Fidenza, un’analisi approfonditache dimostra, datialla mano, che non èconveniente perl’Agip la decisionedi chiudere. Sotto ilpalazzo dell’Eni, aRoma, si manifestacontro il progetto diriduzione dello stabilimento di Fiorenzuola. Alla fine, il settoreimbottigliamento chiuderà e rimarrà attivo il deposito carburanti.

Nel 1985 Ziliani lascia l’azienda per raggiunti limiti di età.Non rinnega nulla delle sue battaglie, disposto sempre a pagareanche di persona, e anche questa volta prevalgono lo spirito diservizio e la gratitudine: “Ho denunciato persone e atteggiamenti –commenta Nato – ma non l’Agip, per la quale ho lavorato 35 annisu 40 della mia attività. Sono fiero di essermi comportato così”.

Ora che è in pensione, Nato ha tempo da dedicare alle scuole.È felice di poter trasmettere ai giovani l’entusiasmo della lottapartigiana, di mantenere viva la memoria di chi ha combattuto emagari è morto per la libertà e la patria. E lo fa dando una visioneattuale della Resistenza, dicendo ai ragazzi che ogni generazionedeve “liberarsi”. Per lui la Resistenza è oggi, domani, sempre.

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Prima di tutto, le famiglie: Nato si batte all’inizio degli anni ’80

contro la chiusura dellostabilimento Agipgas di Fiorenzuola

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Va a parlare nelle scuole della provincia: elementari, mediee superiori. Viene invitato alle cerimonie rievocative e chiudeogni suo discorso ufficiale facendo recitare la “preghiera del Ri-belle”, composta da Teresio Olivelli, che tanto gli è cara. Propriosu Olivelli, nel 2001, organizza con l’Anpc un convegno nazio-nale per sostenerne la causa di beatificazione; vi partecipa l‘expresidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

Per ricordare Mattei promuove tre convegni nazionali:nell’82, a vent’anni dalla morte; nell’87 e nel ’92. Inoltre,dà vita al Centro culturale Enrico Mattei presso la Rocca diMonticelli. Dal 1990 è membro del Consiglio dell’Istitutoregionale per la storia del movimento di liberazione e dell’Etàcontemporanea dell’Emilia Romagna.

Nel 2005 l’ex comandante confida a un collaboratore del-l’Associazione partigiani cristiani: “Sono stanco, ma vorrei fare un’ul-tima cosa: ricordare i sacerdoti che hanno dato il loro contributo allaResistenza”. Si celebra così, in ottobre, presso l’Università Catto-lica di Piacenza, il convegno dal titolo: “L’eroismo dei sacerdoti dio-

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Felice Ziliani nel 2003 con gli alunni della 5ª elementare di Monticelli el’insegnante Anna Maria Rognoni.

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cesani nella lotta di liberazione”, dedicato ai sei ecclesiastici delladiocesi di Piacenza trucidati dai nazifascisti: don Giuseppe Beotti,don Giuseppe Borea, padre Umberto Bracchi, don FrancescoDelnevo, don Alessandro Sozzi e il seminarista Italo Subacchi.

L’anno dopo passa il testimone della presidenza dell’Anpcdi Piacenza a Mario Spezia, figlio di Giovanni, ex partigiano cat-tolico e suo caro amico. Lui ne rimane presidente onorario.

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Sopra, il tavolo dei relatori al convegno “L’eroismo dei sacerdoti diocesaninella lotta di liberazione”; da sinistra, don Oreste Bionda,Felice Ziliani, Antonio Parisella,Mario Spezia e mons.Domenico Ponzini.A lato, Ziliani a un altro convegnopromosso dall’AssociazionePartigiani Cristiani.

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“Milietto, andiamo a votare insieme?”

È domenica 14 ottobre. Siamo nel 2007, un anno prima dellamorte. Il “ribelle per amore” ha ora la veneranda età di 85 anni.Al quotidiano Libertà scrive: “Sono commosso e felice... Si è chiusaper me una pagina lunga 64 anni e iniziata nel 1943”. È appena ac-caduto che Nato e Milietto Pecorari, ex sindaco Pci di Monti-celli, vecchi avversari politici, sono andati a votare alle urne in-sieme, dopo decenni di “guerra fredda”. La distensione era ini-ziata con la nascita dell’Ulivo, poi diventato Pd: erano ormaisullo stesso fronte. Ma la riconciliazione era stata sigillata conun gesto concreto. Uno dei due aveva alzato la cornetta del te-lefono:“Andiamo a votare insieme?”. “Milietto, a che ora vai al seggio?”.Si erano ritrovati lì, alle urne, commossi. “Abbiamo votato insieme,in una esemplare giornata di vita”, racconta Nato.

Passa meno di un anno e Nato viene ricoverato in ospedalea Cremona per insufficienza renale. È soltanto un’emergenza,niente di preoccupante, ma l’anziano comandante ha già capitotutto. Siamo nel giugno 2008, mancano solo quattro mesi al suoaddio, e nessuno lo può immaginare. Nessuno tranne lui. Nellasala d’aspetto del Pronto soccorso chiama vicino a sé il figlioStefano: “Per la mia lapide farò io la scritta, poi ti dirò certe personeda avvertire...”. Stefano protesta con delicatezza: “Papà, non è il

GLI ULTIMI TEMPI, IL COMMIATO CON LA VITA

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momento, non è niente di grave...”, ma Nato continua: “Pino Moruzzista cercando di farmi avere il riconoscimento di Cavaliere di Gran Croce,ma non farà in tempo”.

Nato sente di essere vicino alla morte. Quello sguardo pro-fetico, quella capacità di vedere lontano, quelle intuizioni chegli avevano dato una marcia in più, ora – a pochi passi dalla meta– gli permettono di prepararsi all’incontro con Dio. Nato si pre-dispone all’attesa, pur continuando a operare nel “mondo” comeha sempre fatto.

Una volta tornato a casa, di suo pugno fa il disegnino dellalapide: sotto al nome, “Ziliani Felice Fortunato”, ciò che è statofin nelle midolla: “patriota di formazione cattolica nella resistenzae nelle battaglie politiche perun’Italia libera e democratica”.Sottolinea le parole “patrio-ta” e “Italia”. In fondo, scrivela data di nascita: “22 agosto1922...”. Qualcun altro pen-serà alla data di morte. Luiè sereno. E forse, pronto.

Il 24 febbraio 2003, nel testamento spirituale, aveva scritto:“Signore tu sai tutto e vedi tutto di me, io credo in te e sento la tua pre-senza... Ti ringrazio per avermi voluto nel tuo disegno... Aiutami a chiu-dere la mia straordinaria esperienza sopportando i dolori che verranno...Agli amici, ai compagni del mio viaggio chiedo scusa di tutto. Ai mieifigli dico grazie! Ai miei nipoti auguro di vivere nella gioia in cui sonovissuto io. Alla mia Giovanna chiedo per l’eternità il bene che mi havoluto di qua”.

“Oggi vado in cielo”

Dopo una piccola operazione, la sera del suo compleannoNato comincia ad accusare dolori, che in poco tempo diventanofortissimi. È agosto, il 22. A Monticelli il caldo estivo si fa sen-

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È agosto, il 22. Stefano chiama la guardia medica e il padre viene ricoverato

a Piacenza nella notte

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tire. Stefano chiama la guardia medica e il padre viene ricoveratoa Piacenza nella notte. Shock settico, decretano i medici, chenon riusciranno più a risolvere la grave infezione sopraggiuntanel corpo forte di Nato.

Inizia ora per il partigiano Griso l’ultima battaglia, che è perlui resa alla volontà di Dio. Prima viene spostato alla clinicaSant’Antonino, poi a Cremona, presso le Figlie di San Camillo.I medici si stupiscono di quanto sia alta la sua soglia del dolore,di quanto nonostante tutto, non si lamenti. Non sanno che Natosta vivendo nella concentrazione, nel sacrificio e nel silenzio ilCalvario personale, di cui non vuole sprecare un minuto.

È il 5 novembre 2008, il giorno della morte. Un mercoledì.Nato sta per essere spostato nell’ennesima casa di cura: Ancelledella Carità, a Cremona, nel reparto hospice. Un ultimo trasfe-rimento terreno. Questa volta però non è per migliorare, maper vivere gli ultimi tempi che gli sono dati. Siamo alla fine. Elui ne è pienamente consapevole.

La mattina presto, alle 8, il figlio Stefano lo va a trovare primadi recarsi a lavoro: “Papà, mi dispiace, devo andare in trasferta a Pavia.Sono venuto a salutarti solo un attimo”. Nato lo guarda sereno, e

Ziliani, al lavoro per la stesura del libro “Ribelli per amore”, intervistaFranco Bolzoni, storico sacrestano di Monticelli.

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con gli occhi che brillano gli dice: “Vola!”. Una sola parola di sa-luto, la tenera esortazione di un padre alla fine della sua intensacorsa. In quel “vola”, tutto l’amore di Nato per la vita, che staper abbandonarlo.

Poco dopo la visita di Stefano viene trasferito nel repartohospice dell Ancelle della Carità. E una volta là, in quell’ultimastanza, confida al figlio Carlo, sicuro: “Oggi vado in cielo”. Appeso

Felice Ziliani con la moglie Giovanna e i figli; in prima fila, da sinistra,Paolo e Mario. Dietro, Carlo e Luigi. In fondo, Stefano.

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alla parete, lateralmente al letto, c’è un crocifisso: “Carlo, vorreiquel crocifisso averlo di fronte”, chiede.

Felice Fortunato Ziliani muore la sera di quello stesso giorno.I funerali si svolgono tre giorni dopo, sabato 8 novembre,

nella basilica di San Lorenzo, la stessa in cui tanti anni prima siera sposato con Giovanna. Un matrimonio lungo sessant’anni.“Come si fa?”, aveva chiesto una volta una giornalista a quella cop-pia così unita. “Tanta pazienza”, aveva risposto Giovanna. “Tantasincerità”, aveva risposto Nato.

Ora, nella basi-lica, sono moltissi-me le persone chevengono a darel’ultimo saluto alGriso e si stringo-no intorno allamoglie e ai figli.

La camera ardente era stata allestita a casa, nel suo ufficio,tra le cui mura sobrie ancora oggi si respira la sua presenza.Tutto è rimasto come Nato lo ha lasciato. Su una parete, unafoto di Moro. E il crocifisso, naturalmente. In un angolo la suapiccozza: amava scalare, da giovane, ai tempi della guerra. E poi,quel quadretto con la foto di Mattei, con accanto le celebri pa-role del presidente dell’Eni: “Operare in silenzio, con tenacia, nel-l’interesse del paese...” .

Tra quelle quattro mura in cui il tempo si è fermato, un’in-tera esistenza donata.

Il Griso aveva scritto nel testamento:“Non so cosa ho combinatodi buono nel sociale. So di certo che mi sono impegnato, che mi sonobattuto senza mai guardare alla mia carriera sul lavoro e alle mire po-litiche. E non ho meriti perché, per me, non c’era altra via salvo tradirei miei ideali di cattolico, di resistente e di privilegiato nella grazia”.Certo quel 5 novembre 2008 Qualcuno lo ha accolto dicendo-gli: “Vieni, servo buono e fedele...”.

“Non ho meriti perché, per me, non c’era altra via salvo tradirei miei ideali di cattolico, di resistentee di privilegiato nella grazia”

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La preghiera del Ribelle

Signore Che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione,che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noioppressi da un giogo oneroso e crudele che in noi e prima di noiha calpestato Te fonte di libere vite, dà la forza della ribellione.

DioChe sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi, alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura: noi ti preghiamo Signore.

TuChe fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocefisso,nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell’indigenzaviatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto piùs’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare.Se cadremo, fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti, a crescere al mondo giustizia e carità.

TuChe dicesti: “Io sono la resurrezione e la vita’’ rendi nel doloreall’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delleprigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.

Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia,ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.

Teresio Olivelli

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FELICE FORTUNATO ZILIANI. “Ribelle per amore” • 47

Bibliografia

TestiERSILIO FAUSTO FIORENTINI, La Democrazia Cristiana a Piacenza.

Appunti per una storia, Edizioni Berti, 2004FELICE ZILIANI, Ribelli per amore... sempre! Memorie e riflessioni

a cinquant’anni dalla Liberazione. Con la seconda edizionedi Ribelli per amore. Fatti e testimonianze della Resistenza

Non importa chi. Felice Ziliani sempre con noi, Tip. Le. Co, Pia-cenza, ottobre 2009

Ciao Nato!, Atti del Convegno “Felice Ziliani, patriota”, Uni-versità Cattolica di Piacenza, 14 novembre 2009, a curadell’ Associazione partigiani cristiani Piacenza

Atti, tratti dal Convegno “L’eroismo dei sacerdoti diocesaninella lotta di liberazione”, Università Cattolica di Piacen-za, 8 ottobre 2015, a cura dell’Associazione partigianicristiani

Si ringraziano per la loro testimonianza diretta:Garioni CarloSpezia Mario

Ziliani Stefano

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Indice

Perché questo libro ...................................................... pag. 3

Dall’infanzia a Monticelli ai circoli di Azione Cattolica pag. 5“Sento il respiro di quella primavera”............................. “ 5Giovane militante dell’Azione Cattolica ......................... “ 7

Griso sceglie la montagna, nasce la Squadra Volante Ursus ........................................... pag. 9

L’assalto all’asilo ..................................................... “ 9Giovanna lo aspetta a Monticelli .................................. “ 11Il sabotaggio del ponte del Bagarotto............................. “ 15

In Valdarda è tempo di rastrellamenti......................... pag. 18La strage al Passo dei Guselli....................................... “ 18“Ce ne andiamo noi. Voi rimanete!” .............................. “ 20“Dov’è tuo fratello, il partigiano che è stato qui?” ............. “ 22

Il Dopoguerra, Nato tra impegno politicoe impegno civile....................................................... pag. 24

Se l’amore è più forte dell’odio ................................... “ 24La scissione con l’Anpi.............................................. “ 27Le nozze con Giovanna ............................................. “ 28Funzionario Agip, l’amicizia con Mattei ......................... “ 29“Dormi, andrà tutto bene” ......................................... “ 31“Fu la mia più importante decisione politica” ................... “ 33

Presidente Associazione Partigiani Cristiani,passa il testimone ..................................................... pag. 35

“Moro compie il suo miracolo”.................................... “ 35Lo scontro con la dirigenza dell’Agip ............................ “ 38

Gli ultimi tempi, il commiato con la vita..................... pag. 41“Milietto, andiamo a votare insieme?”............................ “ 41“Oggi vado in cielo” ................................................. “ 42

La preghiera del Ribelle ................................................. pag. 46

Bibliografia ............................................................. pag. 47

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“Ribelleper amore”

IL CENTUPLO QUAGGIÙ E L’ETERNITÀ

Lucia Romiti

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1948

• L’AUTRICE •

LUCIA ROMITI, laureata in filosofiaall’Università deglistudi di Macerata egiornalista, è redat-trice della rivistadel Rinnovamentonello Spirito Santo,collabora con il set-timanale della dio-

cesi di Piacenza-Bobbio “il NuovoGiornale” e con alcune testate localimarchigiane.Per la collana “Testimoni della fede”de “il Nuovo Giornale” è autrice didiverse biografie.Per la collana “I santi in tasca” (edi-ta con “Nuova Editrice Berti”) hascritto le biografie di Giovanni Pao-lo II, Zelia e Luigi Martin, Padre Pioda Pietrelcina, Santa Teresa Bene-detta della Croce, Pio X, Paolo Bu-rali e Andrea Avellino.Per la collana “Il centuplo quaggiùe l’eternità” è autrice dei libretti de-dicati a don Luigi Bergamaschi e amons. Antonio Lanfranchi.

“Scoprii che nella purezza e nel sacrificio sta la vera gioia”. È tutto qui, conte-nuto in questa frase tratta dal suo testamento, lo spirito di Felice Fortunato Ziliani,detto “Nato”. Purezza, sacrificio, gioia hanno animato e accompagnato la sualunga e intensa vita, spesa al servizio di Dio, degli altri, del bene comune. Natoa Monticelli d’Ongina il 22 agosto 1922, è stato comandante partigiano e neglianni della Ricostruzione ha dato un contributo unico nel campo politico, nel cam-po sociale e in quello lavorativo. Direttore Agipgas a Fiorenzuola, sposato conGiovanna Azzoni e padre di cinque figli, è stato segretario nazionale dell’Asso-ciazione partigiani cristiani, amministratore a Monticelli e Fiorenzuola, consi-gliere e assessore nella Giunta provinciale di Piacenza. Il giorno in cui è morto,il 5 novembre 2008, ha detto a uno dei suoi figli: “Oggi vado in cielo”.

Via Vescovado 5 - 29121 Piacenzatel. 0523.325.995 - fax 0523.384.567e-mail: [email protected]

www.ilnuovogiornale.it

Direttore Davide Maloberti

Autorizzazione Tribunale di Piacenza n°4 - giugno 1948

Settimanale Diocesi di Piacenza-Bobbio

il nuovogiornale

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Si ringrazia per il contributo

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