Il caso marò, e la sovranità nazionale

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Il Caso Marò, e la sovranità nazionale Intervento di S.E. Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata Brescia 8 febbraio 2014 1

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Il caso dei nostri Marò trattenuti in India è lo spunto per una più ampia riflessione sul concetto di tutela della sovranità nazionale, e di come essa venga a volte percepita in Italia da istituzioni e pubblica opinione

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Ringrazio tutti voi per il gradito invito.

La vicenda di Massimiliano Latorre e di Salvatore Girone, è di grande importanza per l'Italia perché si tratta di uomini delle nostre Forze Armate catturati e detenuti in modo assolutamente illegittimo dall'India mentre erano in missione antipirateria nell'interesse di tutta la Comunità internazionale. Latorre e Girone devono essere restituiti all'Italia "con onore", come ha sottolineato lo stesso Capo dello Stato. Il che significa che l'India deve restituirli senza processi né condanne di sorta, che tale Paese non ha alcun diritto di fare né ai sensi del Diritto Internazionale consuetudinario, né di quello pattizio.

Per il primo infatti è ampiamente riconosciuto che i militari in servizio possono essere giudicati, per fatti inerenti alle loro funzioni, esclusivamente dal Paese di appartenenza. Per il diritto pattizio - la Convenzione sul Diritto del Mare (Unclos) - vale la regola della piena giurisdizione sulle navi di bandiera in acque internazionali.

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La controversia apertasi con l'India è quindi, di per sé stessa, un caso di particolare gravità per i suoi diversi aspetti, politici e giuridici. Se non risolta e non sanata da una decisione della Giustizia internazionale, questa controversia incrinerà principi e regole di fondamentale rilevanza nei rapporti tra gli Stati. Lasciare in toto il destino dei nostri militari alla giustizia indiana crea un precedente aberrante e pericolosissimo per tutti i nostri soldati impegnati in missione all'estero; sancisce una rinuncia esplicita alla Sovranità dell'Italia sulle sue Forze Armate, che sono organo dello Stato; infligge un danno grave al ruolo internazionale del Paese e soprattutto alla sua credibilità nel tutelare all'estero i nostri connazionali e le nostre imprese.

Anziché ottenere, come qualcuno credeva per interesse o ingenuità, che la riconsegna dei Marò all'India portasse alle imprese italiane qualche vantaggio, la perdita di credibilità sofferta dal Paese ha prodotto semmai il contrario, come abbiamo visto dalle vicende evidenziate dalla cronaca.

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Vi è tuttavia una questione di ancor maggiore rilevanza per la nostra politica estera. Una questione che costituisce la "parte emersa" di una concezione fuorviante e dannosa per la sovranità e l'interesse nazionale annidata da decenni in una parte non trascurabile della cultura politica, dell'informazione, della scuola. Il caso Marò è solo la più recente, ancorché eclatante, dimostrazione che sovranità e interesse nazionale restano ancora nozioni indistinte, scarsamente rilevanti, talvolta addirittura assenti nel dibattito politico, nei processi decisionali dei Governi, nelle sensibilità dell'opinione e dell'informazione pubblica. C’è quasi fastidio, in alcuni ambienti e lo si constata ogni giorno sul web, a sottolineare la presunzione di innocenza di questi due militari, il valore del loro servizio alla Patria, la gravità della nostra sovranità violata dall'India nel catturarli. Tutto questo è un po’ triste, a centocinquant’anni dall'Unità d'Italia e a quasi settanta dalla nascita di una Carta Costituzionale, che addirittura sottolinea al suo primo articolo come “la sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

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La sovranità è espressione dell’insieme dei poteri di Governo (legislativo, esecutivo, giudiziario), di un territorio e di un popolo, ed ha una sua netta, forte rilevanza costituzionale in tutte le sue componenti. Rinunce, trasferimenti o deleghe nell’esercizio della sovranità a favore di altri Stati, o di organizzazioni internazionali - pensiamo alla devoluzione di poteri all'Unione Europea, ad esempio - devono essere valutate con grande rispetto delle potestà parlamentari: proprio in ossequio all'art.1 della Costituzione, che riserva l'esercizio della sovranità al popolo e ai suoi legittimi rappresentanti.

Nella storia italiana del dopoguerra trasferimenti di potestà di Governo -quindi di sovranità - sono soprattutto avvenuti in campo economico e monetario, nel processo di integrazione europea. Hanno poggiato su Trattati – l’ultimo quello di Lisbona - che sono stati negoziati, almeno formalmente, tra eguali; si possono certamente discutere i risultati di tali trattative poiché in esse ha giocato in modo in misura preponderante a vantaggio di alcuni e a sfavore di altri il peso economico o l'influenza

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politica di un Paese (come la Germania) o di un gruppo di Paesi; tuttavia tali accordi sono stati correttamente ratificati dai Parlamenti nazionali, anche se molti ora criticano le deleghe di sovranità avvenute con la creazione della BCE, dell'Euro, o del Fiscal Compact. Ma più che di lesioni alla sovranità del Paese, parlerei in questi casi di insufficiente tutela degli interessi nazionali: talvolta a causa della difficoltà di resistere a politiche di austerità penalizzanti e basate su errati presupposti di crescita; altre volte, per non aver abbastanza influito sulle decisioni a Bruxelles in tema di investimenti, di stabilità dei mercati finanziari e del credito.

Sono opinioni che hanno, a mio avviso una motivazione soprattutto politica ed economica derivante dalla crisi che stiamo ancora vivendo.

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Più difficile è però sostenere che ci siano stati nel processo di integrazione europea dei “trattati ineguali”, almeno nella celebre definizione giusnaturalista di Grozio: “Trattati eguali sono quelli in cui le condizioni sono ugualmente vantaggiose per l’una e l’altra parte... facile definire un trattato ineguale, che può comportare pregiudizi alla sovranità della potenza inferiore”. Una teoria del Seicento, ampiamente superata dal positivismo ottocentesco, ma riemersa in epoca contemporanea con la distinzione tra due aspetti della diseguaglianza: l’imposizione di obblighi dallo Stato più forte alla potenza più debole; o l’assunzione di impegni senza corrispettivo. Sono queste le ipotesi che configurerebbero lesioni di sovranità per uno Stato.

Verso l'Europa abbiamo contribuito a trasferimenti di sovranità paralleli ed equivalenti a quelli fatti dagli altri Paesi membri. Anche dove ora sentiamo degli svantaggi, sarebbe arduo affermare che abbiamo subito lesioni alla nostra sovranità per mano altrui.

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Anche se non si può negare che in diversi settori dell’integrazione europea, come l'Euro e il Fiscal Compact, la delega di sovranità economico-monetaria sia stata più vantaggiosa per alcuni che non per altri. Nella politica europea avremmo forse potuto essere più assertivi e consapevoli dell'interesse nazionale, come hanno fatto altri partners su questioni essenziali per loro.

Una grande figura della diplomazia italiana, l’Ambasciatore Roberto Gaja, Segretario Generale e mio predecessore a Washington a metà anni '70, sintetizzava in un suo importante libro – “l'Italia nel mondo bipolare” - le cause dell'endemico deficit di attenzione, nella storia italiana del dopoguerra, al valore della sovranità e dell'interesse nazionale. In sostanza, diceva Gaja durante l'ultimo decennio della Guerra fredda, l'Italia è stata soffocata dal marxismo sul piano culturale. E la sua opinione pubblica è stata destinataria di un’informazione di politica estera molto orientata dalla propaganda comunista.

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Grazie a una diplomazia professionale e indipendente e al ruolo di una Democrazia Cristiana marcatamente filoatlantica almeno sino al “compromesso storico”, la politica estera del nostro Paese ha tuttavia saputo mantenere la sua linearità, identificando l'interesse nazionale con la sovranità e il ruolo internazionale dello Stato. Ma a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, compromesso storico prima e socialismo craxiano poi, generano una “partitizzazione” della politica estera, con tendenza dei partiti a controllare in via diretta campi d'azione e risorse sino allora governate dalle istituzioni dello Stato. Dimensione nazionale e dimensione internazionale cominciano così a sovrapporsi, in un confronto acuito dal contesto bipolare, a discapito di una definizione omogenea e coerente dell'interesse nazionale e della nostra stessa sovranità.

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Non è perciò un caso se il 10 novembre 1975 Italia e Yugoslavia firmano un Trattato, negoziato in frettolosa segretezza e senza il vero coinvolgimento dell'opinione pubblica e del Parlamento, per trasferire alla Yugoslavia la sovranità statuale sulla Zona B del Territorio libero di Trieste, mai costituito con atto formale. Una cessione di sovranità che riguardava il territorio e la popolazione italiana dell'Istria; motivata da benefici economici che in realtà non si sono mai visti; da un contesto internazionale (il non allineamento di Tito) ormai in via di irreversibile superamento; da un forte interesse del PCI a imprimere una svolta nei rapporti con la Yugoslaviacomunista.

Se non si ricordano altri esempi, nella recente storia Europea, di simili cessioni unilaterali di sovranità dello Stato, e se tutto questo è potuto avvenire senza ampia contestazione nel Paese e in Parlamento - essendo solo la Destra tenacemente avversa e pressoché sola paladina della Sovranità italiana sulla Zona B - questo dimostrerebbe come il deficit di attenzione che oggi lamentiamo in tema di sovranità e di interesse nazionale abbia radici profonde e lontane.

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Credo che non siamo in molti ad aver visto con estrema preoccupazione, sin dal primo momento della cattura dei nostri Marò, una grave violazione della nostra sovranità nazionale. Se vi fosse stata una consapevolezza diffusa nel Paese che di questo si trattava; che la sovranità nazionale, sul territorio, sui cittadini, sugli organi dello Stato rappresenta un valore intangibile; che abbiamo un fondamentale interesse a tutelarla; che proprio le Forze Armate, la Diplomazia, la Magistratura sono strumenti essenziali in questa tutela; se tutto questo fosse stato sentito come una priorità ben diversa dal mondo politico e dalla grande informazione, la vicenda dei Marò si sarebbe risolta già ben tre volte. Si sarebbe risolta -una prima volta - a dicembre 2012, se la magistratura si fosse doverosamente attivata trattenendo in Italia Latorre e Girone durante il congedo natalizio. Si sarebbe risolta - una seconda volta - a marzo, mantenendo la decisione di tenere a buon diritto i Marò in Italia, invece di rispedirli in India. Si sarebbe risolta - una terza volta - da molti mesi se avessimo sin dallo scorso marzo perseguito la via dell'Arbitrato Onu.

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Purtroppo, la vicenda Marò non è il solo caso recente nelle forme di indifferenza, e di sottovalutazione, che si manifestano nei confronti della sovranità e dell'interesse nazionale. Preoccupa che la sovranità dei nostri organi di giustizia, e l'interesse nazionale a eseguire sentenze definitive contro pericolosi terroristi, sia dimenticata quando lasciamo Cesare Battisti prosperare tranquillamente al clima di Rio de Janeiro. Non c’è più nessuno a tutelare i famigliari delle sue vittime, la memoria di Torreggiani e degli altri caduti? E’ dimenticato anche il senso della più elementare giustizia? Anche in questo caso, perchè tanto silenzio?

La politica estera deve essere realista e al tempo stesso guidata da essenziali valori di riferimento. La tutela della sovranità dello Stato rappresenta certamente un ambito di piena convergenza tra la realistica affermazione dell’interesse nazionale (in primis, la vita, il benessere e la sicurezza degli italiani) e i valori insiti nella nostra storia unitaria.

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Vi sono molti altri piani sui quali gli interessi nazionali coincidono con idealità etiche e umanitarie. La promozione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dello sviluppo economico, della lotta alla povertà corrisponde all'interesse del nostro Paese e dell'Europa alla stabilità, alla sicurezza, all'affermazione dello Stato di Diritto nelle regioni a noi vicine, o nei paesi che consideriamo partners nella crescita economica e nelle sfide globali.

Che si debbano privilegiare i governi democratici e non quelli repressivi -scriveva Henry Kissinger a proposito della politica estera americana - e che si debba essere pronti a pagare un prezzo per le nostre convinzioni morali sui valori di libertà e sui diritti umani, non è neppure in discussione. E’ anche chiaro però che esiste uno spazio discrezionale che dovrebbe essere usato.

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La difficoltà consiste nel determinare il prezzo da pagare rispetto ad altre priorità essenziali, compresi la sicurezza nazionale e l'equilibrio geopolitico complessivo. Il primo passo della saggezza, sottolineava ancora Kissinger, è ammettere che si deve raggiungere un equilibrio.

Mi sembra, questa, una regola sempre attualissima per una politica estera che poggi davvero sull'affermazione della sovranità e dell'interesse nazionale.