IL carcere di S. Giorgio è un inferno Tirreno 22.01.12

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Il carcere di San Giorgio è un inferno

yySOVRAFFOLLAMENTO IN SAN GIORGIO AL MOMENTO CI SONO 185

DETENUTI, IL DOPPIO DI QUANTO E’ PREVISTO yyIGIENE CI SONO RATTI E ZECCHE CHE CREANO PROBLEMI PER LA SALUTE yyGLI AIUTI

SONO POCHI GLI EDUCATORI, C’E’ SOLO UNO PSICOLOGO IN SERVIZIO E LO PSICHIATRA E’ PRESENTE PER QUALCHE ORA ALLA SETTIMANA di Nadia Davini w LUCCA Dicono che il rumore più ricorrente in carcere sia

provocato dalle chiavi. Battono insieme in continuazione causando quel tintinnio che diventa suono e melodia, mentre aprono e, subito dopo,

chiudono portoni, cancelli, cancelletti, porte, sbarre e ancora porte. E dicono che sia più forte anche del vociare dei detenuti, “ospiti” del San Giorgio, la “piccola” casa circondariale infossata nel centro cittadino, a

due passi dai palazzi istituzionali, dai luoghi di incontro prediletti dai lucchesi e dalle Mura. Anzi, è proprio dalle Mura che è possibile vederne il

cortile, riconoscerne le finestre con i panni appesi dall'interno e immaginare la vita-non vita che si consuma là dentro. Sovraffollamento, spazi insufficienti, la piaga della detenzione preventiva (il 60 per cento è

in attesa di giudizio), mancanza di attività alternative (se non quelle garantite dai volontari) per tentare un processo di rieducazione e

riabilitazione del detenuto e prospettive future molto vicine allo zero. Il carcere di via San Giorgio assomiglia sempre di più ad una discarica sociale: immigrati, tossicodipendenti, persone con problemi psichiatrici

riconosciuti e la totale impossibilità di essere seguiti come dovrebbero, con sostegni adeguati. Non c'è neppure il garante per i detenuti, figura

prevista dalla legge e qui totalmente ignorata. «Non è possibile eseguire il trattamento del detenuto – spiega Alfredo Cacciatori, segretario provinciale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria –.

Diciamo pure che al San Giorgio il trattamento non c'è e non viene fatto, perché manca di tutto, dai soldi (i tagli dei fondi statali continuano

impietosi, meno 38% rispetto al 2010) alla struttura, alla mancanza di personale che non ci permette di lavorare con dignità: gli agenti in servizio sono 83, ma dovrebbero essere 125». Il carcere di Lucca è un

luogo dove detenuti e agenti condividono una disperazione sotterranea e

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invisibile al resto della società, che spesso sfocia in atti di autolesionismo, violenza e, ancora peggio, suicidio. Come si può parlare di umanità e di

rieducazione in una casa circondariale dove convivono, in totale promiscuità senza differenziazione di trattamento, 185 detenuti, più del

doppio del numero consentito? Le celle da due sono diventate da quattro, in quelle da quattro ci stanno in otto e nei periodi particolarmente difficili, dove il numero supera di gran lunga quota 200 (come l'estate scorsa), c'è

chi finisce col dormire per terra o nella palestra della struttura, inutilizzata per inagibilità del tetto e mai aperta (è stata inaugurata vent'anni fa,

dopo un investimento di 250 milioni di lire) per mancanza di personale. Ma non finisce qui: l'aula per i colloqui è puntellata e sorretta da pali di legno, perchè rischia il crollo e chi va a fare visita ai detenuti deve

aspettare il proprio turno nello spiazzo antistante, all'aperto e in piedi, anche per mezzore, con il sole o con la pioggia; talvolta l'ora d'aria salta perchè gli agenti in servizio sono insufficienti per garantire la sicurezza

nel cortile (un rettangolo asfaltato, chiuso ai quattro lati da corridoi coperti dove poter camminare), mentre d'estate sono molteplici le

presenze di zecche e ratti, che scorrazzano indisturbati nei piazzali interni, creando problemi dal punto di vista sanitario. E molto c'è da dire anche per quanto riguarda la cura e il supporto della persona, con le

docce comuni ai limiti della decenza, tra le pareti che trasudano umidità e un forte odore di muffa e di sudore, lo scarso numero di educatori, la

presenza di un solo psicologo per quasi duecento detenuti e la quasi assenza dello psichiatra, attivo per qualche ora a settimana, nonostante che siano frequenti i casi di autolesionismo e la percentuale di persone

con problemi psichiatrici raggiunga quote consistenti. «In carcere funziona così – continua Cacciatori – se il detenuto sta bene, sta bene

anche l'agente, visto che siamo quelli più a stretto contatto con la situazione carceraria e con i ristretti: ma qui di valvole di sfogo non ce ne sono molte, tutto è concentrato nei momenti di uscita, cioè un'ora, al

massimo due al giorno. Viene da chiedersi se non sia un fallimento di stato la realtà di un mondo carcerario dove il rischio suicidio è venti volte

superiore a quello della popolazione “libera”; dove la recidiva tocca punte del 60% e dove il degrado resta totalmente inascoltato». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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