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Maggio il Cantico n. 5/2016 1 il Cantico online DIRETTORE RESPONSABILE: Argia Passoni. REDAZIONE: Argia Passoni, Graziella Baldo, Lucia Baldo, Giorgio Grillini, Maria Rosaria Restivo, Lorenzo Di Giuseppe. GRAFICA: Maurizio Magli. EDITORE - DIREZIONE AMM.VA: Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa - 00167 Roma- Piazza Cardinal Ferrari, 1/c www.coopfratejacopa.it – [email protected] – http://ilcantico.fratejacopa.net - Codice Fiscale e Partita Iva: 09588331000 Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione: 19167 ISSN 1974-2339 La collaborazione è gratuita. Manoscritti e foto non sono restituiti anche se non pubblicati. Tutti i diritti riservati. SOMMARIO PERDONARE LE OFFESE - Maurizio Faggioni 2 I GIOVANI, IL VUOTO, LA VIOLENZA, SERVE UNA PEDAGOGIA DEL BENE - Elisa Manna 3 IL CANTICO 4 SPECIALE ALLE RADICI DELLA FEDE COMUNICARE LA MISERICORDIA, LA LEZIONE DI FRANCESCO - Alessandro Gisotti 5 LA COMUNICAZIONE HA IL POTERE DI CREARE PONTI - Dal Messaggio GMCS 2016 8 ASCOLTARE È MOLTO PIÙ CHE UDIRE - Dal Messaggio GMCS 2016 10 MISERICORDIA E CONVERSIONE - S.Em. Card. Velasio De Paolis 11 SE UNO È IN CRISTO, EGLI È NUOVA CREATURA - Scheda a cura di S.Em. Card. Velasio De Paolis 13 L’OPERARE - Graziella Baldo 15 IL SOGNO DI PAPA FRANCESCO PER L’EUROPA 16 PER UN NUOVO UMANESIMO DEL LAVORO IN CRISTO SECONDO PAPA FRANCESCO - III parte - S.E. Mons. Mario Toso 19 IMMAGINI EVANGELICHE 21 “QUELLO CHE AVETE FATTO A UNO DI QUESTI PICCOLI LO AVETE FATTO A ME” - Rita Montante Salucci 22 LUISA OCCHIALINI - Argia Passoni 23 SOSTEGNO A DISTANZA. CLINICA INFANTILE “CLUB NOEL” COLOMBIA 23 “LAUDATO SI’: QUALE CURA DELLA CASA COMUNE? DALLA REALTÀ, ALL’AZIONE” - Mons. Fabiano Longoni 24 COMUNICARE LA FEDE TRA I CRISTIANI DEL 2016 - WeCa Wedcattolici 26 UN NUOVO LIBRO DELLE EDIZIONI FRATE JACOPA 27 SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE FRATE JACOPA 28

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Maggio il Cantico n. 5/2016 1

il Canticoonline

DIRETTORE RESPONSABILE: Argia Passoni.

REDAZIONE: Argia Passoni, Graziella Baldo, Lucia Baldo, Giorgio Grillini, Maria Rosaria Restivo, Lorenzo Di Giuseppe.GRAFICA: Maurizio Magli.

EDITORE - DIREZIONE AMM.VA: Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa - 00167 Roma- Piazza Cardinal Ferrari, 1/cwww.coopfratejacopa.it – [email protected] – http://ilcantico.fratejacopa.net - Codice Fiscale e Partita Iva: 09588331000Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione: 19167 ISSN 1974-2339

La collaborazione è gratuita. Manoscritti e foto non sono restituiti anche se non pubblicati.Tutti i diritti riservati.

SOMMARIOPERDONARE LE OFFESE - Maurizio Faggioni 2I GIOVANI, IL VUOTO, LA VIOLENZA, SERVE UNA PEDAGOGIA DEL BENE - Elisa Manna 3IL CANTICO 4SPECIALE ALLE RADICI DELLA FEDECOMUNICARE LA MISERICORDIA, LA LEZIONE DI FRANCESCO - Alessandro Gisotti 5LA COMUNICAZIONE HA IL POTERE DI CREARE PONTI - Dal Messaggio GMCS 2016 8ASCOLTARE È MOLTO PIÙ CHE UDIRE - Dal Messaggio GMCS 2016 10MISERICORDIA E CONVERSIONE - S.Em. Card. Velasio De Paolis 11SE UNO È IN CRISTO, EGLI È NUOVA CREATURA - Scheda a cura di S.Em. Card. Velasio De Paolis 13L’OPERARE - Graziella Baldo 15IL SOGNO DI PAPA FRANCESCO PER L’EUROPA 16PER UN NUOVO UMANESIMO DEL LAVORO IN CRISTO SECONDO PAPA FRANCESCO -III parte - S.E. Mons. Mario Toso 19IMMAGINI EVANGELICHE 21“QUELLO CHE AVETE FATTO A UNO DI QUESTI PICCOLI LO AVETE FATTO A ME” -Rita Montante Salucci 22LUISA OCCHIALINI - Argia Passoni 23SOSTEGNO A DISTANZA. CLINICA INFANTILE “CLUB NOEL” COLOMBIA 23“LAUDATO SI’: QUALE CURA DELLA CASA COMUNE? DALLA REALTÀ, ALL’AZIONE” - Mons. Fabiano Longoni 24COMUNICARE LA FEDE TRA I CRISTIANI DEL 2016 - WeCa Wedcattolici 26UN NUOVO LIBRO DELLE EDIZIONI FRATE JACOPA 27SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE FRATE JACOPA 28

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Prendersi cura dell’altro nelle sue necessità, darglida bere nella sua sete o dargli da mangiare nella suafame o vestirlo nella sua nudità, consolarlo nel suodolore o consigliandolo nei suoi dubbi, tutto questoè bello, attraente e rispondente al sentire spontaneodell’uomo. La solidarietà è un valore umano condi-viso e la vicinanza empatica e fattiva al dolore e albisogno altrui suscita con facilità plauso e desideriodi emulazione. Ma perdonare, perdonare chi cioffende, chi ci ferisce, chi ci fa del male? Possiamodimenticare il male ricevuto, possiamo annullare leingiustizie subite? Di fronte alla possibilità di per-donare, di dimenticare, di andare oltre le offese rice-vute, ci chiediamo: è giusto farlo?Una cosa è certa: perdonare è divino, è atto propriodi Dio perché il nostro Dio è il Dio della misericor-dia e del perdono e Gesù Cristo ne è il volto. Quantevolte noi, consapevoli della nostra fragilità e dellenostre infedeltà all’amore, imploriamo: “Signore,perdonami Signore, abbi pietà di me!”. Gesù ci harivelato che Dio è “un Padre che non si dà mai pervinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vintoil rifiuto, con la compassione e la misericordia”(MV, n. 9). Lui può, ma noi? Ci sconcertano e cilasciano increduli e interdetti le parole del discorsodella montagna: “Amate i vostri nemici” (Mt 5, 43).A Pietro che chiedeva quale fosse la misura del per-dono e azzardava un perdono da offrire sette volte,Gesù rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma finoa settanta volte sette” (Mt 18, 22). La parabola delservo spietato illustra questo perdono sconfinato.Tutti la ricordiamo. Un servo ha ricevuto il condonodi un debito enorme da parte del suo padrone, manon è capace di ripetere questo gesto di magnanimi-tà verso un suo compagno di servizio che gli dovevauna somma infinitamente più piccola. Di fronte allosdegno del padrone per tanta durezza, Gesù conclu-de: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi senon perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratel-lo” (Mt 18, 35). Nel Padre nostro Gesù ci ha inse-gnato a dire: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noili rimettiamo ai nostri debitori”.“La misericordia – commenta papa Francesco –non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio

per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma,siamo chiamati a vivere di misericordia, perché anoi per primi è stata usata misericordia” (MV, n. 9).L’uomo non ha in sé la forza di perdonare perché ilperdono è amore di assoluta gratuità e l’uomo,nella sua povertà, non trova in sé le risorse per queldono assoluto che è – come dice la parola – il “per-dono”. Se però, l’uomo fa esperienza di essere per-donato da Dio, se assapora e vive la dolcezza delperdono, allora può incamminarsi anche lui sullavia del perdono. Come ama il Padre così amano ifigli. Come è misericordia Lui, così siamo chiama-ti ad essere misericordiosi noi, gli uni verso glialtri. Siamo invitati ad entrare nella logica sconcer-tante dell’amore di Dio: essere misericordiosi perricevere la sua misericordia (cfr. Mt 5, 7), perdona-re per essere da Lui perdonati (cfr. Lc. 6, 37).Il perdono fa sì che il passato non condizioni ilnostro presente e che il male ricevuto non diventiferita sempre sanguinante e dolente. Non sempre èpossibile riannodare un legame spezzato o restitui-re una fiducia tradita perché non sempre l’altro èdisposto a cambiare il suo atteggiamento offensivoe non sempre egli si vuole impegnare a non ripete-re il male compiuto e riparare. Una cosa, però, pos-siamo fare sempre e comunque: possiamo superarein cuor nostro il male e fermare la spirale di ven-detta, rancore, dolore che il male tenderebbe a per-petuare. Il perdono disinnesca la potenza distrutti-va del male perché risponde alla logica del malecon la logica dell’amore. Il perdono, a ben guarda-re, non è passività, ma è potenziale creatività per-ché, se il perdono viene accolto da chi ha offeso,può rigenerare la relazione ferita e può permettereall’altro di vivere una sorprendente e inattesa novi-tà. Il perdono è uno sguardo di speranza sulla vita,è potenza di futuro in noi e nell’altro.Si aprono ai credenti prospettive luminose di testi-monianza e di impegno nel mondo. Il perdono,infatti, può diventare il criterio ispirativo non solodelle relazioni interpersonali ferite dai conflitti edalle ingiustizie, ma anche delle relazioni all’in-terno della società e delle stesse relazioni interna-zionali. Il perdono è capacità di andare oltre la sto-

ria e la memoria non abolendo il pas-sato, ma trasformando il passato,anche doloroso, in esperienza percamminare con più saggezza verso ilfuturo. “Il perdono – conclude papaFrancesco – è una forza che risuscitaa vita nuova e infonde il coraggio perguardare al futuro con speranza”(MV, n. 10).

Maurizio FaggioniProfessore ordinario di Bioetica,

Accademia Alfonsiana, RomaConsigliere nazionale S&V

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PERDONARE LE OFFESE

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Alcuni fatti di cronaca nera, come il recentissimoefferato assassinio dopo feroce tortura perpetrato aRoma per 'vedere l’effetto che fa', possiedono lacapacità di metterci di fronte al male e alle nostrepaure. E mentre psichiatria, sociologia e diritto sicontendono il campo della lettura e interpretazionedi simili eventi che provocano un misto di repul-sione e di sgomento, accompagnato dalla volontàdi sapere di più, si rinnova in tanti di noi un gran-de interrogativo, che ci inquieta, rispetto alle origi-ni del male assoluto. Come è già avvenuto per altricasi (un esempio per tutti il delitto di Cogne) cichiediamo con angoscia che cosa possa produrretanta crudeltà, tanta violenza come, appunto, nel-l’ultimo fatto di sangue di Roma. Tutti ci auguria-mo di non dover assistere al profluvio di minuzio-se e morbose ricostruzioni, già peraltro 'partite'. Matant’è, purtroppo è facile prevedere che la societàdello spettacolo farà il suo corso. Però possiamoprovare a guardare a questa terribile vicenda comese fosse una chiave di lettura e di critica del model-lo di 'cultura' in cui siamo immersi, un’occasioneper prendere maggiore consapevolezza delle dina-miche che attraversano la società che ci circonda.Un nodo cruciale che il presidente della Cei, cardi-nale Angelo Bagnasco ha ben racchiuso, lunedìscorso, in una piccola serie di notazioni e di inter-rogativi: «Quale tipo di educazione la società offrealle giovani generazioni? In questione ci sono loroma anche, e molto, noi adulti. Non solo la famigliae la scuola, ma la società intera: quali valori, qualiideali, quali capacità di raziocinio, di governo delleproprie emozioni, quale idea di libertà e di amore,quale valore delle regole e della legalità… stiamopresentando?».Una prima considerazione riguarda la reazione deipadri degli assassini, che hanno sentito il dovere diaffidare a canali mediatici – uno alla televisione,l’altro ai social – le loro ‘reazioni ufficiali’.Quest’urgenza di una rappresentazione mediaticaci dice due cose: la prima è che per troppi l’esi-stenza passa ormai da quello che i media dicono dinoi; la seconda è che questa è una società in cuinon si riesce a tollerare di essere considerati per-denti, schiacciati dal destino, neanche quando ildolore ci dovrebbe chiudere la gola. Bisogna riven-dicare subito il proprio medagliere, parlare diquanto siamo stati bravi anche quando sarebbe piùnaturale chiudersi in uno stuporoso silenzio o scio-gliersi in lacrime liberatorie e di vicinanza alle vit-time. La società in cui viviamo sembra dirci chedobbiamo essere subito in grado di superare ogni

dolore, ogni vergogna, perché altrimenti ci mostre-remmo deboli, perdenti e verremmo ‘scartati’. Equesto convincimento inconsapevole è talmentepenetrato nelle fibre profonde della collettività cheha investito le coscienze di politici, banchieri, lea-der d’opinione. E così li vediamo, quando inquisi-ti o platealmente compromessi, sbruffoneggiare intv, lo sguardo sfrontato, il sorriso finto. Sanno chedebbono rialzarsi immediatamente, anzi, che biso-gna negare di essere mai caduti…Questa urgenza di mostrarsi sempre al meglio siintreccia però con un narcisismo ipertrofico, gonfiodi sé. Il narcisismo di un’epoca disperata che cilascia soli a lustrare un ego smisurato, nutrito di'like' sui social dove esponiamo orgogliosi le nostrefoto mentre dormiamo, mangiamo, sbadigliamo, citocchiamo un brufolo che minaccia il nostro belfaccino, mentre facciamo le boccacce vezzosicome pargoletti di due anni. Già, come pargoli:questo è un altro aspetto da sottolineare. Viviamoin una società in cui ognuno vorrebbe essere blan-dito, ammirato, lusingato, come si fa con i bebé,meglio, come mamma pubblicità ci ripete: tu vali,tutti ti guarderanno, tutti ti applaudiranno bastausare il tal profumo o la tal macchina. Un mondo icui abbiamo diritto (come ci ripete mamma pubbli-cità) ad avere sempre il meglio, a godere di attimiimperdibili, ad aspettarci consenso e approvazionedagli altri.E ancora: cosa ci dice la reazione immediata delpadre di uno degli assassini pronto a giustificare,anzi a definire ‘modello’ questo figlio scellerato, senon che siamo in presenza dell’acuzie, dell’estre-mizzazione patologica di un comportamento cheormai avvelena le giornate di troppi professori a

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I GIOVANI, IL VUOTO, LA VIOLENZASERVE UNA PEDAGOGIA DEL BENE

Elisa Manna

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scuola, con i genitori sempre pronti a giustificare,difendere i propri figli da ogni critica, da ognipunizione quasi fosse un’offesa personale? Chenon si rendono conto che la disapprovazione diun’insegnante può aiutare il ragazzo a crescere cosìcome lo fa la sua approvazione, se sono comporta-menti coerenti. Pronti a schierarsi a difendere ilproprio figlio/a da ogni critica, ma poi forse noncosì pronti ad ascoltarli a intercettare i loro cam-biamenti emotivi, i loro vuoti.Già, i vuoti. Ed è questa la parola che più spaven-ta. La vicenda dei tre giovani di Roma ci raccontache c’è una fascia (certamente, speriamo, minorita-ria) di giovani ormai adulti, che non studia e nonlavora la cui pressocché unica occupazione (quan-do le spalle sono coperte) è di riempire le giornatedi passatempi per sconfiggere il vuoto, la noia. Eche inanella parentesi di godimento, a volte inno-centi, a volte meno. Questi ‘lavori forzati’ del godi-mento (un po’ tristi per la verità, come un intermi-nabile carnevale) conducono spesso a una noia alquadrato; che viene combattuta rilanciando la tem-peratura dell’emozione e aprendo in realtà semprepiù quella diabolica voragine. Una voragine in cuisi può insinuare di tutto: droga, alcool, dipendenzedi ogni genere che possono ghermire le tante fragi-li personalità che famiglie distratte, scuole a volteimpotenti, media troppo spesso complici contribui-scono a costruire. Perché ciò non avvenga è neces-saria una solida barriera di anticorpi, che hannonomi familiari a tutti: educazione, senso di respon-sabilità verso se stessi e verso gli altri, e poi meri-to, competenza, costruzione paziente del propriofuturo, conoscenza, attenzione ai bisogni deglialtri.La rappresentazione mediatica dominante martel-la, invece, sulla spettacolarizzazione pornograficadel dolore e della sofferenza in tutte le salse, ciinchioda di fronte alla quotidiana 'banalità del

male': nei film, negli spettacoli, nei notiziari, neivideogiochi dove si accumulano punti se si abbat-te il maggior numero di persone, nei pericolosivideo che passano on demand che grondano sadi-smi, e che la stessa legge definisce ‘gravementenocivi’. Di queste cose si nutrono le fragili mentidi troppi ragazzi, se non hanno la fortuna di averegenitori attenti e insegnanti preparati. E se è veroche i media non sono gli unici responsabili (altreagenzie educative sono andate in crisi strutturale)è però vero che i media una responsabilità grandela portano tutta da soli: quella di aver legittimato,nelle tranquille prime serate televisive come neipomeriggi un tempo in fascia protetta (e che tali,in base a quanto è stato promesso, torneranno aessere almeno in Rai), un’aggressività sguaiata,una violenza sfrenata, un conflitto intergenerazio-nale sommerso e un po’ perfido, un consumismoossessivo. Il nero più fondo e spesso incompresodella cronaca nera.Si dice che certa realtà mediatica riflette la realtà,ma è anche e soprattutto vero che ha contribuitograndemente a crearla, lontana anni luce dalleregole solide di una ‘vita buona’. Una vita buonache richiede un’intenzionale e organizzata inver-sione di rotta antropologica, mettendo in campostrategie educative coraggiose e di massa. Una vitache cerchi l’empatia, la comunione e lo scambiocon gli altri, che coltivi il gusto dell’ascolto, chesappia guardare con ammirazione allo spettacolodella natura e dell’arte, alla passione per la cono-scenza, una vita in cui rispettare i talenti di ciascu-no. Una vita attraversata dalla consapevolezza chesiamo creature dotate di una inestinguibile tensio-ne alla speranza, che va alimentata, sostenuta,nutrita in famiglia, a scuola, nei media senza averpaura di praticare una coraggiosa ‘pedagogia delbene’.

(Da Avvenire, 17 marzo 2016)

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“Il Cantico” continua la sua storia a servizio del messaggio francescanonella convinzione di poter offrire così un servizio per la promozione delladignità di ogni uomo e di tutti gli uomini.Per ricevere “Il Cantico” versa la quota di abbonamento di € 25,00sul ccp intestato a Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa - RomaIBAN IT-37-N-07601-02400-000002618162. Riceverai anche Il Canticoon line! Invia la tua email a [email protected] l’abbonamento sostenitore di € 40,00 darai la possibilità di dif-fondere “Il Cantico” e riceverai in omaggio il volume “Poveri per vivereda fratelli”, Ed. Coop. Sociale Frate Jacopa, Roma 2014.

Visita il sito del Canticohttp://ilcantico.fratejacopa.net e la relativa pagina Facebook Il Cantico.

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Mi ha molto colpito leggen-do l’Amoris Laetitia trovarepiù di una citazione di scrit-tori che avevano parlatodella famiglia in poesie escritti, da Borges a OctavioPaz a Mario Benedetti edaltri. Francesco ci mostra,anche con questa integrazio-ne letteraria al testo, l’oriz-zonte ampio che ha volutodare al suo documento per-ché la famiglia non è una“cosa cattolica”, non è inte-resse esclusivo di noi cristia-ni, ma riguarda tutti coloroche hanno a cuore le sortidell’umanità. Proprio prendendo spunto daquesta scelta e cercando difarla mia, proverò anche io atracciare un cammino che parlidi misericordia e di che cosa

voglia dire comunicare la Misericordia,in Papa Francesco, utilizzando cometappe di questo percorso tre opere d’ar-te. Ad ognuna di queste tappe corri-sponde una parola, un segnale, sevogliamo, che condurrà alla secondaparte del mio intervento quando – pren-dendo spunto dai tre messaggi di PapaBergoglio per le Giornate Mondialidelle Comunicazioni Sociali – proverò asottolineare tre modalità di comunica-zione che il Papa indica ai comunicato-ri, ma in realtà ad ognuno di noi. Comeha detto Francesco, infatti, “l’amore, persua natura, è comunicazione” e dunquecome esseri capaci di amare, noi esseriumani siamo tutti naturalmente comu-nicatori.

Il Colonnato di Bernini: una“Chiesa in uscita” per portare laMisericordiaIl primo dipinto, che ci parla dell’in-contro, è in realtà un’opera incom-

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COMUNICARE LA MISERICORDIA,LA LEZIONE DI FRANCESCO

Convegno “La via della misericordia” - Roma 30 aprile - 1 maggio 2016

Relazione di Alessandro Gisotti*

SPECIALEALLE RADICI DELLA FEDE

ALLE RADICI DELLA FEDE

LA VIADELLA MISERICORDIA

Roma, 29 aprile - 1 maggio 2016c/o Istituto Salesiano Gerini

FRATERNITÀ FRANCESCANAE COOPERATIVA SOCIALE FRATE JACOPA

La Fraternità Francescana Frate Jacopa ha promosso cometappa del cammino giubilare a Roma, presso l’IstitutoSalesiano Gerini, il Convegno “La via della misericordia”per indagarne con autorevoli esperti la fecondità sul pianopersonale e sociale.La brillante relazione del Dott. Alessandro Gisotti (vice capo-redattore alla Radio Vaticana e docente di Comunicazionealla Pontificia Università Lateranense) ha aperto il Convegnosabato 30 aprile, portando in presenza, attraverso tre opered’arte e i messaggi di Papa Bergoglio per le GiornateMondiali delle Comunicazioni sociali, i tratti della via dellamisericordia e la nostra responsabilità di annunciarla.Ne diamo pubblicazione in questa prima parte dello Specialeassieme alla traccia della magistrale relazione di S.Em. Card.Velasio De Paolis sul tema “Misericordia e conversione”. Laseconda parte dello Speciale proseguirà nel prossimo numerodel Cantico con i contributi degli altri relatori: “La misericor-dia nella prospettiva dell’umanesimo francescano” P. J.Antonio Merino (Pontificia Università Antonianum), “La mise-ricordia come virtù civile” P. Martín Carbajo Núñez(Pontificia Università Antonianum) per offrire un quadro d’in-sieme dell’intenso e interessante Convegno.

P. Lorenzo Di Giuseppe, Alessandro Gisotti, Argia Passoni.

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piuta: si tratta di uno schizzo del Bernini raffigu-rante la Basilica di San Pietro e il Colonnato consembianze umane. La Cupola ha l’aspetto dellatesta di un uomo che sormonta un corpo, la faccia-ta di Maderno, mentre le braccia – il Colonnato –si allungano a dismisura come se volessero rag-giungere il traguardo, o meglio l’uomo, più lonta-no. Di questo disegno, così essenziale, certo nonbello eppure dal significato straordinario, cogliamoistintivamente una volontà di abbraccio, una ten-sione plastica verso l’incontro, una Chiesa letteral-mente “in uscita” come direbbe Francesco, in usci-ta per portare la Misericordia di Dio ad ogni esse-re umano, in ogni luogo e in ogni tempo. Come giàin San Giovanni Paolo II, anche in Francesco ladimensione dell’annuncio prende il largo, non hapaura di camminare su terreni inesplorati. Ma pen-siamo per un attimo agli Apostoli, dopoPentecoste. Anche loro si sono messi in camminoverso ogni angolo della Terra. La missione che èstata affidata loro non è stata quella di rimanerecomodamente chiusi nel Cenacolo, confermandosinella propria fede. La missione è stata di uscire, diandare, di spiegare le vele anche non conoscendoin partenza da dove avrebbe soffiato il vento. Lamisericordia, ci dice e ripete Francesco oggi, non è– come non lo era anche duemila anni fa – un donoper pochi eletti, per pochi intimi. È un dono da con-dividere. E per condividere un dono è necessarioincontrare l’altro. Un regalo, se è davvero impor-

tante, non si consegna per interposta persona.Abbiamo il desiderio di darlo noi stessi. E provia-mo gioia quando vediamo che chi lo riceve loapprezza. A questa dinamica del dono attraversol’incontro – non un dono attraverso postalmarket, oforse oggi dovremmo meglio dire attraverso eBay– ci spinge Francesco dall’inizio del Pontificato eora con particolare vigore durante questo Giubileodella Misericordia. Ecco perché Jorge MarioBergoglio ha sempre sottolineato, pur facendo stor-cere il naso a qualcuno, che preferisce una “Chiesaincidentata” ma in movimento, piuttosto che unaChiesa “perfetta e intonsa”, ma ferma. Nessuno dinoi, in fondo, riterrebbe utile una bellissima auto-vettura senza un graffio, parcheggiata però costan-temente in garage. A cosa serve, una macchina chenon cammina? A cosa serve dunque una Chiesache non annuncia il suo Signore? L’incontro è il primo passo, ma già in sé racchiudetutto ciò che ne deriva di conseguenza. L’incontrocon la misericordia è fecondo, infatti, ci orientacome una bussola. Non stupisce allora cheFrancesco ripeta con tanta frequenza una frasedella Deus Caritas Est quando Benedetto XVIafferma che “all’inizio dell’essere cristiano non c’èuna decisione etica o una grande idea, bensì l’in-contro con un avvenimento, con una Persona, chedà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la dire-zione decisiva”. Dio bussa alla porta del nostrocuore, ma – come ha affermato in un’omelia a CasaSanta Marta – ha bisogno di noi, è necessario chenoi apriamo quella porta per dare inizio all’incon-tro. La misericordia dunque inizia, ci raggiungecon un incontro.

“Il figlio prodigo” di Rembrandt: la verità siannuncia con tenerezzaLa seconda opera a cui faccio riferimento è il cele-berrimo dipinto di Rembrandt, “Il ritorno del figlioprodigo”, che ovviamente ritroviamo in tante occa-sioni in questo Giubileo e che è anche raffigurato,o almeno un suo dettaglio, nella medaglia celebra-tiva dell’Anno Santo. Nel dipinto, osserviamo ilfiglio prodigo, lacero e stanco, che dopo un lungocammino, non solo esteriore, riacquista la dignitàgrazie all’abbraccio del Padre che, per riprenderele parole di Francesco al suo primo Angelus il 17marzo 2013, “non si stanca mai di perdonare”. C’èun particolare in questo quadro che si può scopriresolo avvicinandosi alla tela, solo diventando quasiparte integrante della scena culminante di quellaparabola, tante volte ascoltata. Le mani del padrepoggiate sulle spalle del figlio sono asimmetriche,di più: se una mano è chiaramente maschile neitratti, l’altra è immediatamente percepibile comeuna mano femminile, una mano materna. Dio ciama come un padre, ma anche come una madre, havoluto dire il genio di Rembrandt. Questo affascinante dettaglio mi ha fatto pensare acome Francesco interpreti l’affermazione della verità:con la forza di un padre nei suoi contenuti, ma con la

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Rembrandt “Il ritorno del figlio prodigo”.

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tenerezza di una madre nella sua espressione. “Amoredi padre e di madre – dirà Francesco nell’omelia del16 ottobre 2015 a Santa Marta – perché anche Diodice che lui è come una madre con noi; amore, oriz-zonti grandi, senza limiti, senza limitazioni”. E non cilasciamo “ingannare – è il suo avvertimento – dai dot-tori che limitano questo amore” che “portano via lachiave della conoscenza”. “Voi – è il suo monito a chivuole ridurre la misericordia di Dio ad una dimensio-ne umana, ristretta, limitata – non siete entrati, e aquelli che volevano entrare voi glielo avete impedito”.Un passaggio che a me fa venire in mente quello cheil Pescatore, di cui Francesco è il 265.mo Successore,scriveva nella sua Prima Lettera: “Siate pronti semprea rispondere a chiunque vi domandi ragione della spe-ranza che è in voi. Tuttavia – ripete Pietro ad ognunodi noi – questo sia fatto con dolcez-za e rispetto”. La verità va dunqueannunciata in modo chiaro, ma contenerezza e con sano realismo per-ché, avverte Francesco nell’AmorisLaetitia, “credendo che tutto siabianco e nero, a volte chiudiamo lavia della grazia”. La misericordiadunque inizia con un incontro e habisogno di tenerezza per abitare inmezzo a noi.

“Scienza e carità” di Picasso:solo l’amore restituisce la digni-tàIl terzo dipinto che vorrei sotto-porre alla vostra attenzione èun’opera giovanile di Picasso,“Scienza e carità” dipinto all’etàdi 15 anni e che gli valse la famanazionale, nella sua Spagna. Èinteressante ricordare che Picasso,con un’affermazione iperbolica etuttavia molto profonda, sostene-va di avere impiegato 13 anni perimparare a dipingere come Raffaello, ma di aver poiimpiegato tutta la vita per imparare a disegnarecome un bambino. In questo dipinto, vediamo unadonna malata al letto, con accanto a sé un dottoreche seduto le tiene il polso in un atteggiamentoimmediatamente riconoscibile. Dall’altro lato delletto, la prima figura che incontriamo guardando ildipinto è una suora che tiene in braccio un bambinoproteso – innanzitutto con lo sguardo – verso quel-la che, non c’è bisogno di interpretazioni, è sicura-mente sua madre. Questa scena così semplice, cosìpotente, così “senza tempo”, mi ha ricordato allamente le tante immagini di Francesco assieme aimalati, ora al termine dell’udienza generale, ora inun ospedale pediatrico come ultimamente è accadu-to nella sua visita a Città del Messico, ora a CasaSanta Marta dove, qualche settimana fa, ha ricevu-to un bambino affetto da una malattia rara. Conquesti gesti, Francesco testimonia che, per quantosiano necessari e benvenuti i progressi della scien-

za, sarà sempre la carità, l’amore a donare dignitàalle persone ferite nel corpo e nell’animo. Penso che tutti ricordiamo, e ricorderemo, l’ab-braccio di Francesco a Vinicio, un uomo affettoda neurofibromatosi, una malattia terribile cheprovoca la deturpazione del viso e del corpo chesi ricopre di escrescenze. Qualche tempo dopoquell’incontro – le cui immagini hanno fatto ilgiro del mondo e che qualcuno ha paragonato albacio di San Francesco d’Assisi al lebbroso –Vinicio ha raccontato la sua storia di sofferenza alsettimanale Panorama. Due passaggi mi hannocolpito di quella intervista. “Una volta, sulla cor-riera – ha raccontato – volevo sedermi davanti,vicino all’autista. Ma un passeggero mi ha detto:‘Vai via, vattene in fondo tu, che mi fai orrore e

non ti voglio vedere’. Nessuno, neanche l’autista,mi ha difeso. Mi ha fatto molto male”. A que-st’uomo è stata negata la dignità. Ed ecco comeVinicio ricorda l’emozione dell’abbraccio conFrancesco: “la cosa che più mi ha colpito è chenon sia stato lì a pensarci se abbracciarmi omeno. Io non sono contagioso, ma lui non losapeva. Però l’ha fatto e basta: mi ha accarezza-to tutto il viso, e mentre lo faceva sentivo soloamore”. L’amore misericordioso restituisce ladignità. Dunque, come in quei giochi della setti-mana enigmistica dove siamo chiamati ad unire ipuntini per ricavarne una figura, congiungiamo letre parole che ho voluto porre sulla cornice diquesti tre dipinti: l’incontro, la tenerezza, ladignità. “La via della misericordia”, per riprende-re il titolo di questo nostro incontro, inizia con unincontro, ma ha bisogno di tenerezza per cresceree ridarci quella dignità che abbiamo perduto conil peccato originale.

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Picasso “Scienza e carità”.

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Farsi prossimi per comunicare,non aver paura di andare in stradaRicordo che c’era molta attesa,soprattutto tra i giornalisti, per lapubblicazione del primo messaggiodi Francesco per la GiornataMondiale delle ComunicazioniSociali. Da cardinale, Bergoglio nonaveva concesso molte interviste e siera mostrato poco interessato allenuove tecnologie di comunicazione.Con quella franchezza, che tuttiabbiamo ben presto conosciuto,quando era ancora arcivescovo diBuenos Aires – rispondendo alledomande dei giornalisti argentiniRubin e Ambrogetti – aveva afferma-to che si sarebbe dedicato a impararead usare il computer una volta in pen-sione. Lo Spirito Santo ha avuto unaltro progetto per lui. Cosa avrebbedunque potuto dire ai comunicatori ilnuovo Papa? Le aspettative per quelmessaggio non furono deluse.Francesco infatti traccia, con queldocumento, quasi una parabola del“Buon Comunicatore” al servizio diun’autentica cultura dell’incontro. Alcentro del ragionamento del Papa stala definizione del potere della comu-nicazione come “potere della prossi-mità”. Questo ha molto a che vederecon la Misericordia. Se infatti il BuonSamaritano non avesse avuto uncuore misericordioso non si sarebbefatto prossimo al povero viandanteche giaceva per terra, mezzo morto,sulla via di Gerico. Allo stesso modo,il comunicatore deve farsi prossimo.“Non si tratta di riconoscere l’altrocome un mio simile – annota il Papanel suo primo messaggio ai comuni-catori – ma della mia capacità difarmi simile all’altro”. La prospetti-va, dunque, è totalmente ribaltata.Oggi, invece, avverte, il rischio checorriamo è che alcuni media ci condi-zionino “al punto da farci ignorare ilnostro prossimo reale”. Anche nelContinente digitale, è la sua esorta-zione, occorre che “la connessionesia accompagnata dall’incontrovero”. Altrimenti, come ha osservatoqualcuno, rischiamo di essere tuttipiù connessi e tutti, al tempo stesso,più isolati. Francesco vuole inveceche la Rete digitale sia un luogo“ricco di umanità, non una rete di filima di persone umane”. L’esempio che ci dà il Papa in questosenso è eloquente e affascinante: che si

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LA COMUNICAZIONEHA IL POTERE DI CREARE PONTI

... La comunicazione ha il potere dicreare ponti, di favorire l’incontro el’inclusione, arricchendo così lasocietà. Com’è bello vedere personeimpegnate a scegliere con cura paro-le e gesti per superare le incompren-sioni, guarire la memoria ferita ecostruire pace e armonia. Le parolepossono gettare ponti tra le persone,le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. Equesto sia nell’ambiente fisico sia inquello digitale. Pertanto, parole eazioni siano tali da aiutarci ad usciredai circoli viziosi delle condanne edelle vendette, che continuano ad

intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad espri-mersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, sipropone di far crescere la comunione e, anche quando devecondannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai larelazione e la comunicazione. È auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplo-mazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai perperduto. Faccio appello soprattutto a quanti hanno responsabili-tà istituzionali, politiche e nel formare l’opinione pubblica, affin-ché siano sempre vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi dichi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sba-gliato. È facile cedere alla tentazione di sfruttare simili situazionie alimentare così le fiamme della sfiducia, della paura, dell’odio.Ci vuole invece coraggio per orientare le persone verso proces-si di riconciliazione, ed è proprio tale audacia positiva e creativache offre vere soluzioni ad antichi conflitti e l’opportunità di rea-lizzare una pace duratura. «Beati i misericordiosi, perché trove-ranno misericordia [...] Beati gli operatori di pace, perché saran-no chiamati figli di Dio» (Mt 5,7.9). Come vorrei che il nostro modo di comunicare, e anche ilnostro servizio di pastori nella Chiesa, non esprimessero mail’orgoglio superbo del trionfo su un nemico, né umiliasserocoloro che la mentalità del mondo considera perdenti e dascartare! La misericordia può aiutare a mitigare le avversitàdella vita e offrire calore a quanti hanno conosciuto solo lafreddezza del giudizio. Lo stile della nostra comunicazione siatale da superare la logica che separa nettamente i peccatoridai giusti. Noi possiamo e dobbiamo giudicare situazioni dipeccato – violenza, corruzione, sfruttamento, ecc. – ma nonpossiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggerein profondità nel loro cuore. È nostro compito ammonire chisbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi com-portamenti, al fine di liberare le vittime e sollevare chi è cadu-to. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda che «la verità vi farà libe-ri» (Gv 8,32). Questa verità è, in definitiva, Cristo stesso, la cuimite misericordia è la misura della nostra maniera di annun-ciare la verità e di condannare l’ingiustizia. È nostro precipuocompito affermare la verità con amore (cfr Ef 4,15). Solo paro-le pronunciate con amore e accompagnate da mitezza emisericordia toccano i cuori di noi peccatori. Parole e gesti durio moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloroche vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, raffor-zando il loro senso di diniego e di difesa.

(Dal Messaggio del Santo Padreper la 50ma Giornata delle Comunicazioni Sociali)

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tratti di una conversazione con dei bambini piuttostoche di un’udienza ufficiale con un capo di Stato,Bergoglio non ha paura di farsi prossimo. Non temeuna perdita di autorevolezza nel raggiungere e toccarelo spazio del suo interlocutore. Anzi, è proprio questaprossemica interiore, oltre che esteriore, tutta sbilan-ciata verso l’altro che rende il suo messaggio più effi-cace. Con lui, ha affermato l’arcivescovo diCampobasso Giancarlo Maria Bregantini, la sinodali-tà, la modalità di governo della Chiesa è passata dallaCattedra alla strada. Tutto il suo ministero petrinovive proprio nella e della dimensione sinodale. Ecco:la strada è proprio il luogo dove ci si può fare prossi-mi, ci ripete Francesco. Del resto, come lui stesso giànotava negli anni argentini, se ci domandiamo in qualeluogo Gesù abbia passato più tempo, i Vangeli ci offro-no una risposta inequivocabile: la strada. La primaparola dunque che ho personalmente trovato nellalezione che Francesco ci offre per una comunicazionedi misericordia è prossimità, farsi prossimi.

Per comunicare la misericordia ci vuole coraggio!La seconda tappa di questo percorso è coraggio. Civuole coraggio per essere misericordiosi perché que-sto comporta essere “controcorrente”, ha dettoFrancesco agli adolescenti di tutto il mondo nelGiubileo dei Ragazzi, appena celebrato. E il tema delcoraggio, seppure come parola non sia presente, scor-re sotto la superficie di tutto il messaggio per la 49.maGiornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali,incentrato sulla famiglia. Questa, rileva Francesco, èdel resto “il primo luogo dove impariamo a comuni-care”. Ci vuole coraggio per dire “permesso, scusa,grazie” – in famiglia lo sappiamo bene – ci vuolecoraggio per riconoscere i propri limiti e peccati. Lafamiglia, scrive ancora il Papa, “può essere una scuo-la di comunicazione come benedizione”, una “scuoladi perdono”. E aggiunge: “il perdono è una dinamicadi comunicazione”. Coraggio e perdono sembrerebbero apparentemen-te due termini distanti. Sicuramente lo pensavaFriedrich Nietzsche che ritenevail Cristianesimo una religione dideboli e perdenti anche per ilsuo appello al perdono delleoffese subite. In realtà, nellaprospettiva della Misericordia diDio, coraggio e perdono si chia-mano, si cercano tra loro. Hannobisogno di incontrarsi. Alriguardo trovo sublime un rac-conto di Jorge Luis Borges,scrittore molto amato daBergoglio che, da giovane pro-fessore di lettere, volle cheincontrasse i suoi studenti. Ilpoeta argentino immagina l’in-contro di Caino e Abele dopo lamorte. I due, essendo molto alti,si scorgono di lontano, si fannoprossimi e l’uno davanti all’altro

cominciano a mangiare. In silenzio. D’improvviso,Caino guarda il fratello, trova il coraggio di dirgliciò che non poteva trattenere: “Abele, io ti ho ucci-so, tu mi devi perdonare”. La risposta del fratello èsorprendente: “Non ricordo che tu mi abbia ucciso.Stiamo qui insieme come prima”. E Caino, con ilcuore finalmente quieto, risponde: “Ora so che mihai perdonato perché dimenticare è davvero perdo-nare. E anche io cercherò di dimenticare”. Il corag-gio quindi di perdonare, ma – non meno importan-te – il coraggio di lasciarsi perdonare. Trovo molto bello, commuovente per umiltà, comeFrancesco si sia autodefinito nell’intervista al suoconfratello gesuita, il direttore di Civiltà Cattolica,padre Antonio Spadaro: “Sono un peccatore al qualeil Signore ha guardato”. Sì, ci vuole coraggio nelcomunicare la misericordia, con il suo linguaggio ditenerezza. È il coraggio di Lucia che, prigionieradell’Innominato, fa breccia nel suo cuore con quellasemplice, coraggiosa, dirompente affermazione:“Dio perdona tante cose per un’opera di misericor-dia”. Per sviluppare una comunicazione di miseri-cordia, ci dice ancora il Papa, dobbiamo avere ilcoraggio di “reimparare a raccontare, non semplice-mente a produrre e consumare informazione”. Èquello che Francesco fa quotidianamente, a partiredalle omelie del mattino a Casa Santa Marta: raccon-tare la vita di Gesù, raccontarla intrecciandola con lenostre vite, le nostre storie in una trama unitaria.

Ascoltare, anche se a volte è comodo far finta diessere sordi!L’ultima svolta di questa strada che ho voluto per-correre verso il traguardo di una comunicazione dimisericordia ci conduce alla parola ascolto, lented’ingrandimento per mettere a fuoco il Messaggioper la 50.ma Giornata mondiale delle ComunicazioniSociali. In questo documento, giubilare fin dal titolo:“Comunicazione e misericordia, un incontro fecon-do”, il Papa evidenzia che “comunicare significacondividere e la condivisione richiede l’ascolto”. E

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rileva che “ascoltare è molto più che udire”. L’udire,infatti, riguarda “l’ambito della informazione; ascol-tare, invece, rimanda a quello della comunicazione erichiede vicinanza”, prossimità potremmo aggiunge-re noi. È molto significativo che, in un tempo e in unmondo che vuole riempire di parole ogni spazio,Francesco proponga – per di più in un messaggioindirizzato ai comunicatori – di riscoprire il valoredel silenzio. E dell’ascolto. Cosa ha fatto in fondo Francesco a Lesbo se nonascoltare in silenzio i racconti strazianti, disperati di

coloro che hanno potuto incontrarlo? Al campo pro-fughi di Moria, il Papa ha messo in pratica quel-l’ascolto-terapia, la escucho-terapia, di cui avevaparlato ai giovani nel suo viaggio apostolico inMessico. O, se vogliamo, quell’apostolato dell’orec-chio a cui fa riferimento nel libro-intervista di AndreaTornielli, “Il nome di Dio è Misericordia”. A Lesbo,mentre la sua veste si bagnava letteralmente dellelacrime di bambini e di mamme che gli si gettavanoal collo, Francesco ha proprio dato carne alle paroledel suo ultimo Messaggio per le comunicazioni lad-dove scrive che “ascoltare significa prestare attenzio-ne, avere desiderio di comprendere, di dare valore,rispettare, custodire la parola altrui”. Se dunque, PierPaolo Pasolini, incontrando nel 1961 in India MadreTeresa, poteva dire di lei: “il suo occhio dove guarda,vede”, oggi possiamo dire di Francesco che “il suoorecchio dove sente, ascolta”. A volte, commenta ilPapa con disarmante ironia, “è più comodo fingersisordi”. Tuttavia, comunicare implica intessere unarelazione e questa dinamica non può neppure pren-dere avvio se non siamo disposti ad ascoltare. Perritornare al primo punto allora possiamo affermareche Il Buon Samaritano non solo ha guardato, havisto. Non solo ha udito, ha ascoltato. Così dovreb-be essere un “Buon Comunicatore” di Misericordia,per Francesco: capace di vedere, pronto ad ascoltareper farsi prossimo a chi è nel bisogno.

*vice-caporedattore alla Radio Vaticanae docente di Comunicazione alla Pontificia

Università Lateranense

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ASCOLTARE È MOLTOPIÙ CHE UDIRE

... Vorrei incoraggiare tutti a pensare allasocietà umana non come ad uno spazio in cuidegli estranei competono e cercano di preva-lere, ma piuttosto come una casa o una fami-glia dove la porta è sempre aperta e si cercadi accogliersi a vicenda. Per questo è fondamentale ascoltare. Comu-nicare significa condividere, e la condivisionerichiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare èmolto più che udire. L’udire riguarda l’ambito del-l’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quel-lo della comunicazione, e richiede la vicinanza.L’ascolto ci consente di assumere l’atteggiamen-to giusto, uscendo dalla tranquilla condizione dispettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltaresignifica anche essere capaci di condivideredomande e dubbi, di percorrere un camminofianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi pre-sunzione di onnipotenza e mettere umilmente leproprie capacità e i propri doni al servizio delbene comune. Ascoltare non è mai facile. A volte è più como-do fingersi sordi. Ascoltare significa prestareattenzione, avere desiderio di comprendere,di dare valore, rispettare, custodire la parolaaltrui. Nell’ascolto si consuma una sorta dimartirio, un sacrificio di sé stessi in cui si rin-nova il gesto sacro compiuto da Mosè davan-ti al roveto ardente: togliersi i sandali sulla“terra santa” dell’incontro con l’altro che miparla (cfr Es 3,5). Saper ascoltare è una gra-zia immensa, è un dono che bisogna invoca-re per poi esercitarsi a praticarlo...La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi stru-menti hanno comportato un ampliamento diorizzonti per tante persone. Questo è un donodi Dio, ed è anche una grande responsabilità.Mi piace definire questo potere della comunica-zione come “prossimità”. L’incontro tra la comu-nicazione e la misericordia è fecondo nellamisura in cui genera una prossimità che si pren-de cura, conforta, guarisce, accompagna e fafesta. In un mondo diviso, frammentato, polariz-zato, comunicare con misericordia significacontribuire alla buona, libera e solidale prossi-mità tra i figli di Dio e fratelli in umanità.

(Dal Messaggio del Santo Padre per la50ma Giornata delle Comunicazioni Sociali)

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Connessione tra misericordia e conversioneLa misericordia e la conversione si richiamano avicenda. Il discorso sulla misericordia direttamen-te è un discorso su Dio, sul suo amore misericor-dioso verso l’uomo peccatore; il discorso sullaconversione direttamente riguarda l’uomo cheritorna a Dio. Se non ci fosse l’uomo peccatore, ildiscorso su Dio finirebbe per essere un discorso sulsuo amore; se non ci fosse la misericordia il discor-so sulla conversione sarebbe impossibile, perchél’uomo non avrebbe nessuna possibilità di ritorna-re a Dio.La misericordia esprime l’amore perdonante diDio, che vuole riportare l’uomo alla sua comu-nione e alla sua pace. Il discorso sulla misericor-dia si pone dopo il peccato dell’uomo, che è venu-to meno al progetto di Dio e ha perso il suo rap-porto con Dio. Il peccato ha ferito il progettocreatore di Dio. La storia che segue al peccato è iltempo della misericordia di Dio, che vuole salva-re l’uomo; è il tempo della storia della salvezza; èil tempo in cui Dio interviene nella storia per sal-vare l’uomo; è il tempo della misericordia, delperdono da parte di Dio, e del ritorno a Dio daparte dell’uomo. In tal modo misericordia di Dioe salvezza dell’uomo vanno insieme. Nella suamisericordia, Dio va in cerca dell’uomo; lo risa-na; lo ricrea. Dio salva l’uomo, riportandolo nellasua casa, attraverso l’opera di una nuova creazio-ne, e dando origine ad un uomo nuovo, che ritor-na ad essere immagine di Dio, uomo nuovo, nellagiustizia e nella santità.

La nostra vita come ascolto e risposta al dono diDioLa storia della salvezza non è pertanto semplicementela storia di Dio; ma la storia di Dio e dell’uomo. Lastoria di Dio, che nella sua misericordia ricrea gratui-tamente l’uomo (giustificazione gratuita, non median-te le opere) e lo rende capace di rispondere al suoamore perdonante e di salvarsi: compiere le opere diDio mediante l’amore, il dono dello Spirito Santo.L’amore misericordioso di Dio non solo perdonal’uomo peccatore, ma ricrea nell’uomo la capacitàdi rispondere a Dio, convertirsi a Lui e vivere inobbedienza al suo disegno di amore.La vita è un dono; essa viene vissuta sotto la respon-sabilità personale. Primo compito che abbiamo èquello di ascoltare e rispondere. La storia della sal-vezza ci parla di Adamo, come capostipite del-l’umanità. Ogni uomo è debitore del peccato origi-nale al progenitore; ma ognuno è poi responsabiledelle proprie azioni (peccati personali).Analogamente, la Sacra Scrittura ci parla dell’uomonuovo, Gesù Cristo, primogenito di una nuova crea-zione, di una nuova umanità; ogni uomo viene giu-stificato per dono gratuito del Signore (giustificazio-ne per grazia e per fede); dà la sua risposta a Dio nelcompiere la volontà divina nell’amore (salvezza).Qui creavit te, sini te, non salvabit te sine te (Chi hacreato te, senza di te, non ti salverà senza di te).

Le tappe della storia della SalvezzaLa storia della salvezza si svolge pertanto nel dia-logo tra Dio e l’uomo; tra la misericordia di Dio e

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MISERICORDIA E CONVERSIONEConvegno “La via della misericordia” - Roma 30 aprile - 1 maggio 2016

Relazione di S.Em. Card. Velasio De Paolis

SPECIALEALLE RADICI DELLA FEDE

ALLE RADICI DELLA FEDE

LA VIADELLA MISERICORDIA

Roma, 29 aprile - 1 maggio 2016c/o Istituto Salesiano Gerini

FRATERNITÀ FRANCESCANAE COOPERATIVA SOCIALE FRATE JACOPA

S.Em. il Card. Velasio De Paolis propone la sua intensa meditazione.

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l’uomo peccatore che ritorna a Dio. Noi vogliamopercorrere tale cammino, le cui tappe sono leseguenti: 1) L’uomo secondo il progetto di Dio; 2)la situazione dell’uomo peccatore; 3) l’interventodi Dio nella storia, per rinnovare l’uomo, in Gesù.L’uomo è creato ad immagine di Dio a gloria diDio e per la felicità. L’uomo è al vertice della crea-zione. L’uomo deve riconoscere il primato di Dio;non deve mangiare del frutto dell’albero dellaconoscenza del bene e del male.Il progetto di Dio è compromesso dall’uomo con ilsuo peccato; l’uomo peccatore è destinato allamorte. Non è capace di obbedire a Dio e di ripara-re il danno compiuto. Un essere infelice, destinatoa soffrire e a morire.La promessa di Dio di non abbandonare l’uomo.La maledizione del serpente: porrò inimicizia tra te(il serpente) e la donna; tra la tua discendenza e ladiscendenza di lei. Ed essa ti schiaccerà il capo.La promessa di Dio di non distruggere l’uomo: ildiluvio e la promessa fatta a Noè.La vocazione di Abramo e il popolo eletto; la libera-zione dalla schiavitù egiziana; l’alleanza tra Dio el’uomo; la promessa del Salvatore e Messia; la rifles-sione profetica e l’attesa del Salvatore; l’annuncio di

una nuova alleanza; “Quando venne la pienezza deltempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, natosotto la Legge, affinché riscattasse quelli che eranosotto la Legge, e noi ricevessimo l’adozione filiale”(Gal 4, 4-5). La nuova alleanza sigillata da Gesù èuna nuova creazione. Adamo è l’uomo vecchio delquale dobbiamo spogliarci, Gesù è l’uomo nuovo delquale dobbiamo rivestirci. Egli è l’immagine allaquale dobbiamo configurarci; il modello che dobbia-mo imitare (cfr. Scheda a pag. 13).Adamo fu il capo di una prima creazione, Cristo è ilprimo uomo di un’umanità nuova. Egli è entrato nelcammino della morte e ha vinto la morte e il peccato.Dio lo ha risuscitato e in Lui ha riconciliato l’umanità.Il cristiano diventa figlio di Dio e fratello di Gesù,mediante il dono dello Spirito. Di fatto il cap. 8

della lettera ai Romani è dedicato tutto alla vitanello Spirito “che strappa i cristiani a tutto ciò cheè carnale, fa degli uomini i figli diletti del Padre,eredi di Dio e coeredi di Cristo, e fa loro sperarefermamente la gloria celeste e tutto ciò che ad essaprepara, così da renderli più che vincitori, in mezzoa tutte le tribolazioni” (Feuillet).

Tutti rivivremo nel CristoA base della fede cristiana è la comune fede nella resur-rezione di Gesù. È parte della tradizione apostolica: “Viho dunque trasmesso, prima di tutto, ciò che io stessoricevetti, che Cristo morì per i nostri peccati, secondole Scritture, e che fu sepolto, e che risuscitò il terzogiorno, secondo le Scritture, e che apparve a Cefa, epoi ai Dodici” (1Cor 15, 3-5). È il primo credo.

Dobbiamo spogliarci dell’uomo vecchio“Exue me, domine, veterem hominem cum moribus etactibus suis et indue me movum hominem, qui secun-dum Deum creatus est in iustitia, et sanctitate verita-tis” (Preghiera del sacerdote nell’indossare l’amitto).“Spogliami, Signore, dell’uomo vecchio, con tuttele sue abitudini e azioni e rivestimi dell’uomonuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella

santità della verità”.Ef 4, 23-24: “Dovete rinnovarvi nello spiri-to della vostra mente e rivestire l’uomonuovo, creato secondo Dio nella giustizia enella santità vera”.Col 3, 10: “Vi siete infatti spogliati dell’uo-mo vecchio con le sue azioni e avete rivesti-to il nuovo, che si rinnova, per una pienaconoscenza, ad immagine del suo creatore”.

Dobbiamo rivestirci dell’uomo nuovoEf 4, 23-24: “Dovete rinnovarvi nello spiri-to della vostra mente e rivestire l’uomonuovo, creato secondo Dio nella giustizia enella santità vera”.“Quanti siete stati battezzati in Cristo,avete rivestito il Cristo: non c’è né giudeoné greco; non c’è né schiavo né libero; nonc’è uomo e donna: tutti voi siete uno inCristo Gesù. Ma se voi appartenete a

Cristo, dunque siete progenie di Abramo, eredisecondo la promessa” (Gal 3, 27-29).

L’uomo nuovo al quale dobbiamo configurarciRom 8, 28-29): “Del resto, noi sappiamo che tuttoconcorre al bene di coloro che amano Dio che sonochiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli cheegli da sempre ha conosciuto li ha anche predesti-nati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo,perché egli sia il Primogenito tra molti fratelli; quel-li poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quel-li che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli cheha giustificati; li ha anche glorificati”.Col 3, 2: “Pensate alle cose di lassù, non a quelledella terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita èormai nascosta con Cristo in Dio”.

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Cristo è l’uomo nuovoEf, 14-15: “Egli infatti è la nostra pace, colui che hafatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro diseparazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia,annullando, per mezzo della sua carne, la leggefatta di prescrizioni di decreti, per creare in sestesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo lapace”.Rm 5, 12. 15. 18-19: “Quindi, come a causa di unsolo uomo il peccato è entrato nel mondo e con ilpeccato la morte, così anche la morte ha raggiun-to tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato... Mail dono di grazia non è come la caduta; se infattiper la caduta di uno solo morirono tutti, molto dipiù la grazia di Dio e il dono concesso in grazia diun solo uomo, Gesù Cristo, sisono riversati in abbondanzasu tutti gli uomini... Come dun-que per la colpa di uno solo siè riversata su tutti gli uomini lacondanna, così anche perl’opera di giustizia di uno solosi riversa su tutti gli uomini lagiustificazione che dà la vita.Similmente, come per la disob-bedienza di uno solo tutti sonostati costituiti peccatori, cosìanche per l’obbedienza di unosolo tutti saranno costituiti giu-sti”.Adamo fu il capo di una primacreazione, Cristo è il primouomo di un’umanità nuova.Egli è entrato nel camminodella morte e ha vinto la mortee il peccato. Dio lo ha risuscita-to e in Lui ha riconciliato l’uma-nità.1Cor 15, 20-22: “Ora, invece, Cristo è risuscitatodai morti, primizia di coloro che sono morti. Poichése a causa di un uomo venne la morte, a causa diun uomo verrà anche la resurrezione dei morti; ecome tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveran-no la vita in Cristo”.

Cristo immagine perfetta del Padre, è spiritodatore di vitaCol 1, 15-20:“Egli è l’immagine del Dio invisibile,generato prima di ogni creatura; poiché per mezzodi lui sono state create tutte le cose quelle nei cielie quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:Troni, Dominazioni, Principi e Potestà. Tutte lecose sono state create per mezzo di lui e in vistadi lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussisto-no in lui: egli è anche il capo del corpo, cioè laChiesa; il principio, il primogenito di coloro cherisuscitano dai morti, per ottenere il primato sututte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitarein lui ogni potenza, e per mezzo di lui riconciliare asé tutte le cose, rappacificando con il sangue dellasua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stan-no sulla terra e quelle nei cieli”.1Cor 15, 45-49: “Se c’è un corpo animale, vi è ancheun corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo

uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ulti-mo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fuprima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lospirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, ilsecondo uomo viene dal cielo. Quale è l’uomo fattodi terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste,così anche i celesti. E come abbiamo portato l’im-magine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagi-ne dell’uomo celeste”.

Il cristiano è una nuova creaturaGal 6,15; “Se uno è in Cristo, egli è nuova crea-tura”:2Cor 5, 17: “Quando venne la pienezza del tempo,Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto

la Legge, affinché riscattassequelli che erano sotto laLegge, e noi ricevessimo l’ado-zione filiale” (Gal 4, 4-5).Gal 6, 14-16: “Quanto a meinvece non ci sarà altro vantoche nella croce del Signorenostro Gesù Cristo, per mezzodella quale il mondo per me èstato crocifisso, come io per ilmondo. Non è infatti la circonci-sione che conta, né la non cir-concisione, ma l’essere nuovacreatura”.Gal 5, 5-6): “Quanto a noi, sottol’influsso dello Spirito attendia-mo dalla fede i beni che sperala giustizia. Per vero in CristoGesù non ha valore né la cir-concisione né l’incirconcisione,ma la fede che opera mediantela carità”.1Cor 5, 12-13: “Infatti l’amore

di Cristo ci sprona al pensiero che uno morì pertutti, e quindi tutti morirono, e che morì per tutti,affinché quelli che vivono non vivano più per sestessi, ma per Colui che per essi morì e risuscitò.Noi quindi ormai non conosciamo più alcunosecondo la carne; e se pur abbiamo secondo lacarne conosciuto Cristo, ora però non lo conoscia-mo così. Quindi se uno è in Cristo egli è una nuovacreatura, e le vecchie cose sono passate; ecco nesono sorte delle nuove. Ma tutto questo viene daDio che ci ha riconciliati con se stesso per mezzodi Cristo, e a noi ha dato il ministero della riconci-liazione. Dio infatti stava in Cristo riconciliando consé il mondo, non imputando agli uomini i loro pec-cati...”.2Cor 5, 15,21: “Ed egli è morto per tutti, perchéquelli che vivono non vivano più per se stessi, maper colui che è morto e risuscitato... Colui che nonaveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccatoin nostro favore, perché noi potessimo diventareper mezzo di lui giustizia di Dio”.Gal 3, 26-27: “Tutti voi siete figli di Dio per la fedein Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzatiin Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”.

Scheda a cura di S.Em. Card. De Paolis(Parte integrante della sua relazione)

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39SE UNO È IN CRISTO, EGLI È NUOVA CREATURA

M.I. Rupnik, Discesa agli inferi, PortoSanto Stefano, Chiesa Santissima Trinità.

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Cristo modello da imitareNe risulta una vita ad imitazione di Cristo “Voidunque, come eletti di Dio, santi e diletti, rivestite-vi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umil-tà, di dolcezza e di pazienza. Sopportatevi gli unigli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di chedolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdona-ti, così fate anche voi. Al di sopra di tutte questecose rivestitevi dell’amore che è il vincolo dellaperfezione. E la pace di Cristo, alla quale sietestati chiamati per essere un solo corpo, regni neivostri cuori; e siate riconoscenti” (Col. 3,12-15).In Cristo i cristiani troveranno le realtà del mondonuovo. Da sottolineare i titoli del cristiano: eletti (ilpopolo dell’alleanza; i cristiani sono eletti inCristo), santi (perché resi partecipi della vita divi-na in Cristo, il santo di Dio); diletti, come Gesù ildiletto di Dio.La sintesi potrebbe essere Ef 5, 1-2: “Siate imita-tori di Dio, come figlioli diletti, e seguite la via del-l’amore, a esempio di Cristo che vi ha chiamati, eper noi ha dato se stesso”. Imitare Dio significaimitare il Verbo incarnato.Nel paradiso, il primo uomo viveva nella pace conDio; ora San Paolo può augurare ai credenti: “Che lapace di Cristo regni nei vostri cuori” (Col 3, 15).

Cristo, l’uomo nuovo (GS, 22)In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnatotrova vera luce il mistero dell’uomo.Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quellofuturo (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore.Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando ilmistero del Padre e del suo amore svela anche pie-namente l’uomo a se stesso e gli manifesta la suaaltissima vocazione.Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità suesposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino illoro vertice. Egli è «l’immagine dell’invisibileIddio» (Col 1,15) èl’uomo perfetto che harestituito ai figli diAdamo la somiglianzacon Dio, resa deformegià subito agli inizi acausa del peccato.Poiché in lui la naturaumana è stata assunta,senza per questo venireannientata per ciò stes-so essa è stata anche innoi innalzata a unadignità sublime.Con l’incarnazione ilFiglio di Dio si è unitoin certo modo ad ogniuomo. Ha lavorato con manid’uomo, ha pensatocon intelligenza d’uo-mo, ha agito con volon-

tà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendoda Maria vergine, egli si è fatto veramente uno dinoi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato.Agnello innocente, col suo sangue sparso libera-mente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha ricon-ciliato con se stesso e tra noi e ci ha strappati dallaschiavitù del diavolo e del peccato; così che ognu-no di noi può dire con l’Apostolo: il Figlio di Dio«mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me»(Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato sem-plicemente l’esempio perché seguiamo le sue ormema ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, lavita e la morte vengono santificate e acquistanonuovo significato.Il cristiano poi, reso conforme all’immagine delFiglio che è il primogenito tra molti fratelli riceve«le primizie dello Spirito» (Rm 8,23) per cui diven-ta capace di adempiere la legge nuova dell’amore.In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della ere-dità» (Ef 1,14), tutto l’uomo viene interiormenterinnovato, nell’attesa della «redenzione del corpo»(Rm 8,23): «Se in voi dimora lo Spirito di colui cherisuscitò Gesù da morte, Egli che ha risuscitatoGesù Cristo da morte darà vita anche ai vostricorpi mortali, mediante il suo Spirito che abita invoi» (Rm 8,11).Il cristiano certamente è assillato dalla necessità edal dovere di combattere contro il male attraversomolte tribolazioni, e di subire la morte; ma, asso-ciato al mistero pasquale, diventando conforme alCristo nella morte, così anche andrà incontro allarisurrezione fortificato dalla speranza.E ciò vale non solamente per i cristiani, ma ancheper tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuorelavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, èmorto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo èeffettivamente una sola, quella divina; perciò dob-biamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti lapossibilità di venire associati, nel modo che Dio

conosce, al misteropasquale.Tale e così grande è ilmistero dell’uomo, que-sto mistero che laRivelazione cristiana fabrillare agli occhi deicredenti. Per Cristo e inCristo riceve luce quel-l’enigma del dolore edella morte, che al difuori del suo Vangelo ciopprime. Con la suamorte egli ha distrutto lamorte, con la sua risur-rezione ci ha fatto donodella vita, perché anchenoi, diventando figli colFiglio, possiamo prega-re esclamando nelloSpirito: Abba, Padre!

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Operare per il compimento dello spiritoIl linguaggio biblico rivela l’operare di Dio nei nostri con-fronti e richiede l’operare dell’uomo nei confronti di Dio.Purtroppo noi tendiamo a mettere tra parentesil’operare dell’uomo e poniamo al suo posto le teo-rie che esprimono i contenuti dell’operare. Ma tra ilraccontare l’opera e il fare l’opera c’è un abisso infi-nito!Lo ha posto in rilievo S. Francesco nella VI Ammonizionedicendo: “È grande vergogna per noi servi del Signore ilfatto che i santi abbiano compiuto queste gesta e noi rac-contando e predicando le cose che essi fecero ne voglia-mo ricevere onore e gloria” (FF 155). Questa è la nostracondizione amara!Per superarla in maniera adeguata è opportuno chie-dersi: l’operare è importante solo per dimostrare coe-renza con quello che diciamo, ubbidendo ad unalegge che non può cambiare il nostro cuore (1 Cor,15, 56), ma può solo farci sentire giusti come il fariseoche si compiace delle sue opere, mentre il pubblica-no si sente peccatore? È necessario operare solo perporsi in alternativa al sapere per il sapere che non hasbocchi nell’agire? Possiamo identificare il francesca-nesimo con il pragmatismo che persegue il sapere invista di un fare utilitaristico? Certamente no. Nella visione francescana l’agire è difondamentale importanza, nella misura in cui trasfor-ma l’uomo rendendolo sempre più simile a Cristo,cioè con i suoi sentimenti (cfr. Fil 2,5). Vediamo rea-lizzato questo continuo divenire in S. Francesco chearrivò ad essere in una comunione tanto stretta conLui da ricevere le stimmate e da essere nominato, daPio XI, con il titolo di “alter Christus”.Dalla V Ammonizione si intuisce che lo spirito dell’uo-mo deve essere portato a compimento facendosisimile allo spirito del Signore, perché così è statocreato prima del peccato originale e così deve torna-re ad essere se vuole realizzare quella “sublime con-dizione” (FF 153) a cui è stato predestinato fin dallacreazione del mondo.Nella “Lettera a tutti i fedeli” S. Francesco afferma che siarriva alla beatitudine (“o quam beati et benedictisunt...”) nel perseverante operare composito, mutuo tralo spirito dell’uomo e lo spirito del Signore. In questacooperazione si ha il pieno raggiungimento del propriofine e così si vive nella perfetta letizia che non è un sen-timento psicologico dipendente da circostanze favore-voli. La beatitudine è un sentimento spirituale che zam-pilla da atti creativi compiuti in comunione con lo spiritodel Signore in cui trova compimento lo spirito dell’uomo.La beatitudine deriva da un rapporto col Figlio di Dio; èl’avere il Figlio di Dio in se stessi e si attua non sul pianodel conoscere, ma ricevendo il corpo e il sangue diCristo e operando il bene.Nei primi versi della Lettera il verbo “fare” è riferitoall’amore totale verso il Signore e verso il prossimo,all’odio per il proprio corpo con i suoi vizi e peccati, alsacramento dell’Eucaristia, alla penitenza che dà i suoifrutti. Grazie a questi atti lo spirito del Signore potrà sta-bilire la sua abitazione o dimora nello spirito dell’uomo.In questa comunione S. Francesco è diventato madre diCristo, perché lo ha partorito attraverso le “opere sante”che hanno illuminato gli altri con l’esempio.

Operare per trasformare il cuoreLo spirito dell’uomo non può non operare ed è postoda S. Francesco di fronte ad un’alternativa: o compie-re le opere del Padre facendo penitenza e raggiun-gendo la beatitudine, o compiere le opere del diavolo,non facendo penitenza e così dilapidando la similitu-dine. Ribellandosi alla collaborazione con Dio, lo spi-rito dell’uomo non rimanda a Lui, ma si appropria delprincipio dell’operazione stessa, lasciandosi guidaredal suo cuore da cui escono tutti i vizi e i peccati (cfr.FF 178/5).Nella teologia francescana è fondamentale la conver-sione del cuore. Dice infatti S. Bonaventura: “È neces-sario che gli affetti siano sanati, affinché possano ret-tificarsi. Ma qualcuno non viene sanato, se non cono-sce la malattia e la causa, il medico e la medicina.Ora la malattia è la depravazione dell’affetto. Questapoi è quadruplice, perché l’anima, all’unione al corpo,contrae infermità, ignoranza, malizia e concupiscen-za; dalle quali viene inficiata la forza intellettiva, laforza di amare, e quella di aver potere. E allora tuttal’anima è infetta” (S. Bonaventura, La sapienza cri-stiana, Le Collationes in Hexaemeron, MI, 1985, p.125).Per sanare la nostra affettività occorre compiere leopere del Padre specchiandosi nell’operare di Cristoche obbedisce al Padre. Modellandosi su Cristo ecosì accogliendo il dono dell’Incarnazione, si donase stessi e si esalta l’onnipotenza misteriosa e sal-vatrice di Dio nei confronti dell’uomo. Questa è latestimonianza dei santi che glorificano Dio con leloro opere.Basti pensare al fascino che emana, anche oggi,dalla grandezza e profondità misteriosa di S.Francesco, poiché egli ha realizzato, nel suo operare,la pienezza della similitudine con Dio divenendo tra-sparente rimando all’operare di Dio che è carità.

Graziella Baldo

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L’OPERARE

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…. La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsie di uscire dai propri limiti appartengono all’animadell’Europa. Nel secolo scorso, essa ha testimonia-to all’umanità che un nuovo inizio era possibile:dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerrapiù terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia diDio, una novità senza precedenti nella storia. Leceneri delle macerie non poterono estinguere lasperanza e la ricerca dell’altro, che arsero nel cuoredei Padri fondatori del progetto europeo. Essi get-tarono le fondamenta di un baluardo di pace, di unedificio costruito da Stati che non si sono uniti perimposizione, ma per la libera scelta del bene comu-ne, rinunciando per sempre a fronteggiarsi.L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmentesé stessa e iniziò a edificare la sua casa.Questa «famiglia di popoli», lodevolmente diven-tata nel frattempo più ampia, in tempi recenti sem-bra sentire meno proprie le mura della casa comu-ne, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminatoprogetto architettato dai Padri.Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desideriodi costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi

figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostriegoismi, guardando al proprio utile e pensando dicostruire recinti particolari. Tuttavia, sono convin-to che la rassegnazione e la stanchezza non appar-tengono all’anima dell’Europa e che anche «le dif-ficoltà possono diventare promotrici potenti diunità»…A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatoridell’Europa. Essi seppero cercare strade alternati-ve, innovative in un contesto segnato dalle feritedella guerra. Essi ebbero l’audacia non solo disognare l’idea di Europa, ma osarono trasformareradicalmente i modelli che provocavano soltantoviolenza e distruzione. Osarono cercare soluzionimultilaterali ai problemi che poco a poco diventa-vano comuni.Robert Schuman, in quello che molti riconosconocome l’atto di nascita della prima comunità euro-pea, disse: «L’Europa non si farà in un colpo solo,né attraverso una costruzione d’insieme; essa sifarà attraverso realizzazioni concrete, creanti anzi-tutto una solidarietà di fatto». Proprio ora, in que-sto nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritor-nare a quella solidarietà di fatto, alla stessa genero-sità concreta che seguì il secondo conflitto mon-diale, perché – proseguiva Schuman – «la pacemondiale non potrà essere salvaguardata senzasforzi creatori che siano all’altezza dei pericoli chela minacciano». I progetti dei Padri fondatori, aral-di della pace e profeti dell’avvenire, non sonosuperati: ispirano, oggi più che mai, a costruireponti e abbattere muri. Sembrano esprimere unaccorato invito a non accontentarsi di ritocchicosmetici o di compromessi tortuosi per corregge-re qualche trattato, ma a porre coraggiosamente

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IL SOGNO DI PAPA FRANCESCOPER L’EUROPA

Pubblichiamo un ampio stralcio del Discorso diPapa Francesco in occasione del conferimentodel Premio Carlo Magno, onorificenza conferi-ta il 6 maggio 2016 dall’Unione Europea per ilsuo impegno in favore della pace e dell’integra-zione in Europa. Un appello all'Europa a ritro-vare la sua vocazione "all'apertura e alla soli-darietà", in tempi di muri contro i migranti e disfaldamento delle basi dell'Unione.

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basi nuove, fortemente radi-cate; come affermava AlcideDe Gasperi, «tutti egualmenteanimati dalla preoccupazionedel bene comune delle nostrepatrie europee, della nostraPatria Europa», ricominciare,senza paura un «lavorocostruttivo che esige tutti inostri sforzi di paziente elunga cooperazione».Questa trasfusione dellamemoria ci permette di ispi-rarci al passato per affrontarecon coraggio il complessoquadro multipolare dei nostrigiorni, accettando con deter-minazione la sfida di “aggiornare” l’idea diEuropa. Un’Europa capace di dare alla luce unnuovo umanesimo basato su tre capacità: la capaci-tà di integrare, la capacità di dialogare e la capaci-tà di generare.

Capacità di integrare… L’identità europea è, ed è sempre stata, un’iden-tità dinamica e multiculturale.L’attività politica sa di avere tra le mani questolavoro fondamentale e non rinviabile. Sappiamoche «il tutto è più delle parti, e anche della lorosemplice somma», per cui si dovrà sempre lavora-re per «allargare lo sguardo per riconoscere unbene più grande che porterà benefici a tutti noi»(EG, 235). Siamo invitati a promuovere un’integra-zione che trova nella solidarietà il modo in cui farele cose, il modo in cui costruire la storia. Una soli-darietà che non può mai essere confusa con l’ele-mosina, ma come generazione di opportunità per-ché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tantealtre città – possano sviluppare la loro vita condignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta ilsolo inserimento geografico delle persone, ma lasfida è una forte integrazione culturale.In questo modo la comunità dei popoli europeipotrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradig-mi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioniideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza del-l’anima europea, nata dall’incontro di civiltà epopoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione echiamata a diventare modello di nuove sintesi e didialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infat-ti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressii tratti di varie culture e la bellezza di vincere lechiusure. Senza questa capacità di integrazione leparole pronunciate da Konrad Adenauer nel passa-to risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Ilfuturo dell’Occidente non è tanto minacciato dallatensione politica, quanto dal pericolo della massifi-cazione, della uniformità del pensiero e del senti-mento; in breve, da tutto il sistema di vita, dallafuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupa-zione per il proprio io».

Capacità di dialogoSe c’è una parola che dobbiamo ripetere fino astancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a pro-muovere una cultura del dialogo cercando con ognimezzo di aprire istanze affinché questo sia possibi-le e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. Lacultura del dialogo implica un autentico apprendi-stato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altrocome un interlocutore valido; che ci permetta diguardare lo straniero, il migrante, l’appartenente aun’altra cultura come un soggetto da ascoltare,considerato e apprezzato. E’ urgente per noi oggicoinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere«una cultura che privilegi il dialogo come forma diincontro», portando avanti «la ricerca di consensoe di accordi, senza però separarla dalla preoccupa-zione per una società giusta, capace di memoria esenza esclusioni» (EG, 239). La pace sarà duraturanella misura in cui armiamo i nostri figli con learmi del dialogo, insegniamo loro la buona batta-glia dell’incontro e della negoziazione. In tal modopotremo lasciare loro in eredità una cultura chesappia delineare strategie non di morte ma di vita,non di esclusione ma di integrazione…

Capacità di generareIl dialogo e tutto ciò che esso comporta ci ricordache nessuno può limitarsi ad essere spettatore némero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più gran-de, sono parte attiva nella costruzione di una socie-tà integrata e riconciliata. Questa cultura è possibi-le se tutti partecipiamo alla sua elaborazione ecostruzione. La situazione attuale non ammettemeri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è unforte appello alla responsabilità personale e socia-le.In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo pre-ponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popo-li, sono il presente; sono quelli che già oggi con iloro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spi-rito europeo.... Come possiamo fare partecipi i nostri giovani diquesta costruzione quando li priviamo di lavoro; dilavori degni che permettano loro di svilupparsi per

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mezzo delle loro mani, della loro intelligenza edelle loro energie? Come pretendiamo di ricono-scere ad essi il valore di protagonisti, quando gliindici di disoccupazione e sottoccupazione dimilioni di giovani europei sono in aumento? Comeevitare di perdere i nostri giovani, che finiscono perandarsene altrove in cerca di ideali e senso diappartenenza perché qui, nella loro terra, non sap-piamo offrire loro opportunità e valori?«La giusta distribuzione dei frutti della terra e dellavoro umano non è mera filantropia. E’ un doveremorale». Se vogliamo pensare le nostre società inun modo diverso, abbiamo bisogno di creare postidi lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmen-te per i nostri giovani.Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economicipiù inclusivi ed equi, non orientati al servizio dipochi, ma al beneficio della gente e della società. Equesto ci chiede il passaggio da un’economia liqui-da a un’economia sociale. Penso ad esempio

all’economia sociale di mercato, incoraggiataanche dai miei Predecessori (cfr Giovanni Paolo II,Discorso all’Ambasciatore della R.F. di Germania,8 novembre 1990). Passare da un’economia chepunta al reddito e al profitto in base alla specula-zione e al prestito a interesse ad un’economiasociale che investa sulle persone creando posti dilavoro e qualificazione.Dobbiamo passare da un’economia liquida, chetende a favorire la corruzione come mezzo per otte-nere profitti, a un’economia sociale che garantiscel’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavorocome ambito in cui le persone e le comunità pos-sano mettere in gioco «molte dimensioni della vita:la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppodelle capacità, l’esercizio dei valori, la comunica-zione con gli altri, un atteggiamento di adorazione.Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di làdegli interessi limitati delle imprese e di una discu-tibile razionalità economica, esige che “si continuia perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accessoal lavoro […] per tutti”» (LS, 127).Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, sevogliamo un futuro di pace per le nostre società,

potremo raggiungerlo solamente puntando sullavera inclusione: «quella che dà il lavoro dignitoso,libero, creativo, partecipativo e solidale». Questopassaggio (da un’economia liquida a un’economiasociale) non solo darà nuove prospettive e opportu-nità concrete di integrazione e inclusione, ma ciaprirà nuovamente la capacità di sognare quell’uma-nesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente.Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancoraricca di energie e di potenzialità, può e deve con-tribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con lasua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi piùche mai si traduce soprattutto nell’andare incontroalle ferite dell’uomo, portando la presenza forte esemplice di Gesù, la sua misericordia consolante eincoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini,ma può farlo solo attraverso uomini e donne che,come i grandi evangelizzatori del continente, sianotoccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercarealtro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà rida-

re l’acqua pura del Vangelo alle radicidell’Europa. In questo, il cammino deicristiani verso la piena unità è un grandesegno dei tempi, ma anche l’esigenzaurgente di rispondere all’appello delSignore «perché tutti siano una solacosa» (Gv 17,21).Con la mente e con il cuore, con speranza esenza vane nostalgie, come un figlio cheritrova nella madre Europa le sue radici divita e di fede, sogno un nuovo umanesimoeuropeo, «un costante cammino di umaniz-zazione», cui servono «memoria, coraggio,sana e umana utopia». Sogno un’Europagiovane, capace di essere ancora madre:una madre che abbia vita, perché rispetta lavita e offre speranze di vita. Sogno

un’Europa che si prende cura del bambino, che soc-corre come un fratello il povero e chi arriva in cercadi accoglienza perché non ha più nulla e chiede ripa-ro. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le perso-ne malate e anziane, perché non siano ridotte a impro-duttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cuiessere migrante non è delitto, bensì un invito ad unmaggior impegno con la dignità di tutto l’essereumano. Sogno un’Europa dove i giovani respiranol’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cul-tura e di una vita semplice, non inquinata dagli infini-ti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figlisono una responsabilità e una gioia grande, non unproblema dato dalla mancanza di un lavoro sufficien-temente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, conpolitiche veramente effettive, incentrate sui volti piùche sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’au-mento dei beni. Sogno un’Europa che promuove etutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveriverso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa direche il suo impegno per i diritti umani è stata la suaultima utopia. Grazie.

Per il testo integrale visita www.vatican.va

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IL LAVORO DIGNITOSO E TUTELATO È ANTIDOTOALLA POVERTÀ E PRECONDIZIONE DI UNO SVILUPPOINTEGRALE, SOSTENIBILE ED INCLUSIVOA detta di papa Francesco, il lavoro, qualora sialuogo di espressione e di esercizio della dignitàumana, e venga rispettato secondo i diritti e i doveriche lo caratterizzano, è antidoto alla povertà, stru-mento di creazione e di distribuzione della ricchezzae, come si spiegherà nel prossimo paragrafo, condi-zione di realizzazione di una democrazia inclusiva epartecipativa, perché è titolo di partecipazione.Affinché il primato del lavoro sul capitale e sui mer-cati si affermi, è necessario, il superamento delle dot-trine economiche neoliberiste, che conferiscono aimercati e, di conseguenza, alla speculazione finanzia-ria un’autonomia assoluta, che li rende indipendentidai controlli statali. Tali dottrine, che godono di gran-de popolarità, affermano che i mercati e la speculazio-ne produrrebbero automaticamente la ricchezza delleNazioni, ricchezza per tutti, con il funzionamentospontaneo delle loro regole, quando non vengonointralciati da interventi regolatori e «sussidiari» daparte degli Stati e degli altri soggetti sociali, volti aorientarli al bene comune (cf EG n. 56)12. Secondopapa Francesco le cose non starebbero in questi termi-ni. Le teorie della «ricaduta favorevole», che presup-pongono che ogni crescita economica, favorita dallibero mercato, riesce a produrre di per sé una mag-giore equità e inclusione sociale nel mondo, non sonomai state confermate dai fatti, ed esprimono una fidu-cia grossolana e ingenua nella bontà di coloro chedetengono il potere economico e nei meccanismisacralizzati del sistema economico imperante (cf EGn. 54)13. Occorre abbandonare definitivamente la teo-ria economica della «mano invisibile»: «Non possia-mo più confidare – egli afferma con decisione – nelleforze cieche e nella mano invisibile del mercato. Lacrescita in equità (ecco ciò a cui bisogna puntare) esigequalcosa di più della crescita economica, benché lapresupponga, richiede decisioni, programmi, mecca-nismi e processi specificamente orientati a una miglio-re distribuzione delle entrate, alla creazione di oppor-tunità di lavoro, a una promozione integrale dei pove-ri che superi il mero assistenzialismo» (EG n. 204).Con queste affermazioni, il pontefice si oppone aisostenitori della bontà automatica della globalizzazio-ne sregolata dell’economia e della finanza, secondo iquali essa avrebbe di fatto favorito la crescita econo-mica di diversi Paesi, ad esempio dei Brics14. Egliritiene di dover dissentire non con tutti i neoliberisti,

ma con quelli più radicali, perché non tengono inconto che lo sviluppo di un Paese non dev’essere soloeconomico e ottenuto in qualsiasi maniera, anche acosto della giustizia, senza rispettare i diritti dei lavo-ratori e senza promuovere il progresso sociale. Se laglobalizzazione dell’economia ha prodotto ricchezza ecrescita economica per alcuni, bisogna sempredomandarsi se ciò è avvenuto secondo giustizia e nonabbia causato nuove sacche di povertà e di disegua-glianza. La ricchezza non va solo prodotta. Occorreche sia anche equamente redistribuita. L’istruzione e illavoro dignitoso e tutelato sono elementi chiave sia perlo sviluppo e la giusta distribuzione dei beni sia per ilraggiungimento della giustizia sociale. Visioni chepretendono di aumentare la redditività, a costo dellarestrizione del mercato del lavoro che crea nuoviesclusi, non sono conformi ad una economia a servi-zio dell’uomo e del bene comune, ossia del bene ditutti! Non ci può essere vera crescita senza lavoro pertutti. Secondo papa Francesco, la dignità di ogni per-sona che lavora e il bene comune sono questioni chedevono strutturare tutta la politica economica e nonessere considerate come mere appendici. Essi debbo-no costituire la base dei programmi che mirano a unautentico sviluppo integrale (cf EG n. 203).In sostanza, per il pontefice, non si tratta di sotto-dimensionare l’economia e la finanza – il chesarebbe assurdo – bensì di umanizzarle e di finaliz-zarle al bene comune della famiglia umana. LaChiesa non condanna l’economia di mercato, leBorse, il profitto, la concorrenza e la speculazionein sé. Domanda, piuttosto, che siano tutelati, pro-mossi e posti al servizio dell’uomo che lavora e ditutti i popoli (cf CIV n. 65). L’economia di merca-to ha rappresentato uno degli strumenti principalidell’inclusione sociale e della democrazia nei seco-li passati. Bisogna, piuttosto, che il fenomeno sre-golato della finanziarizzazione dell’economia nonne riduca le capacità di accrescere la ricchezza e leopportunità. La finanza, infatti, è uno strumentocon potenzialità formidabili per il corretto funzio-namento dei sistemi economici15. La buona finan-

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PER UN NUOVO UMANESIMO DEL LAVOROIN CRISTO SECONDO PAPA FRANCESCO

III parte

S.E. Mons. Mario Toso*

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za consente di aggregare risparmi per utilizzarli inmodo efficiente e di destinarli agli impieghi piùredditizi; trasferisce nello spazio e nel tempo ilvalore delle attività; realizza meccanismi assicura-tivi che riducono l’esposizione ai rischi, consentel’incontro tra chi ha disponibilità economiche manon idee produttive e chi, viceversa, ha idee pro-duttive ma non disponibilità economiche. Occorre,però, che la finanza non sfugga al controllo socialee al suo compito di servizio all’economia: il dena-ro deve servire e non governare, afferma lapidaria-mente papa Francesco (cf EG n. 57). Gli interme-diari finanziari spesso finanziano soltanto chi isoldi li ha già, oppure preferiscono investire princi-palmente là dove si ha un profitto a breve, brevissi-mo termine. Esiste un mercato finanziario ombra incui mancano del tutto le regole e viaggiano prodot-ti che non offrono garanzie e paiono confezionatiper truffare. C’è bisogno, allora, rimarca papaFrancesco, di una sana economia mondiale (cf EGn. 206) e, in particolare, di una riforma della finan-za che non ignori l’etica (cf EG n. 58), perché sideve poter usufruire del bene pubblico che sono imercati liberi, stabili, trasparenti, «democratici»,non oligarchici – negli ultimi anni i mercati finan-ziari, in assenza di una seria regolamentazione nonhanno teso spontaneamente alla concorrenza, maall’oligopolio –, funzionali alle imprese, ai lavora-tori, alle famiglie, alle comunità locali, come haavuto occasione di illustrare il Pontificio Consigliodella Giustizia e della Pace nelle sue riflessioni:Per una riforma del sistema finanziario e moneta-rio internazionale nella prospettiva di un’autoritàpubblica a competenza universale16.In questi ultimi anni la Chiesa, specie mediante laCaritas in veritate, ha indicato come essenzialealla realizzazione di uno sviluppo integrale, soste-nibile ed inclusivo la prospettiva o, meglio, l’idea-le storico e concreto di un’economia di mercatopopolata da un’imprenditorialità plurivalente(imprese profit, finalizzate al profitto, imprese nonprofit, non finalizzate al profitto, e un’area inter-media tra queste) (cf CIV n. 46),17 animata in tuttele sue fasi dalla giustizia (cf CIV n. 37), dai princi-pi della fraternità e della gratuità, dalla logica deldono, che diffondono e alimentano la solidarietà ela responsabilità sociale nei confronti delle personee dell’ambiente, sollecitando una forma di profon-da democrazia economica (cf CIV 39)18.

* Vescovo di Faenza Modigliana, già SegretarioPontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

12 Per una visione d’insieme dei processi di stampo neoliberi-sta che hanno modificato le società contemporanee, si veda I.MASULLI, Chi ha cambiato il mondo?, Laterza, Roma-Bari2014, pp. 89 e sgg.13 Per comprendere meglio queste affermazioni può tornareutile la lettura di: Z. BAUMAN, “La ricchezza di pochiavvantaggia tutti” (Falso!), Laterza, Roma-Bari 2013.14 Acronimo per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.15 Su questo si è anche fermato a riflettere – specie dopo leaccuse rivolte a papa Francesco di essere un papa marxista amotivo della pubblicazione dell’Esortazione apostolicaEvangelii gaudium –, il Seminario internazionale, organizza-to dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, con lacollaborazione della seconda sezione della Segreteria di Stato,e svoltosi presso la Casina Pio IV dall’11 al 12 luglio 2014,The Global Common Good: towards a more InclusiveEconomy. Si veda in proposito il Research paper predispostodai professori Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti, LuiginoBruni e André Habisch e di prossima pubblicazione, disponi-bile su www.iustitiaetpax.va.16 Cf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Peruna riforma del sistema finanziario e monetario internazionalenella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universa-le, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, 3.a ristam-pa. Non è la prima volta che il Pontificio Consiglio affronta tema-tiche relative all’economia e alla finanza. Basti anche solo pensa-re a: ID., Un nuovo patto finanziario internazionale 18 novembre2008. Nota su finanza e sviluppo in vista della Conferenza pro-mossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Doha,Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2009.17 Una tale area intermedia, si legge nella CIV «è costituita daimprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto aiPaesi arretrati; da fondazioni che sono espressione di singoleimprese; da gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dalvariegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile edi comunione. Non si tratta solo di un “terzo settore”, ma di unanuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pub-blico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento perrealizzare finalità umane e sociali» (CIV n. 46).18 «La solidarietà – spiega Benedetto XVI, continuando adillustrare l’ideale storico e concreto di una nuova economiacon riferimento al mercato − è anzitutto sentirsi tutti respon-sabili di tutti, quindi non può essere delegata solo allo Stato.Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguirela giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un com-plemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riescea realizzare nemmeno la giustizia. Serve, pertanto, un merca-to nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pariopportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi.Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipidi impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimerequelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutuali-stici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato checi si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamen-ti d'impresa e dunque un'attenzione sensibile alla civilizzazio-ne dell'economia. Carità nella verità, in questo caso, significache bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziativeeconomiche che, pur senza negare il profitto, intendono anda-re oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profittofine a se stesso» (CIV n. 38).

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“IMMAGINI EVANGELICHE”è un libro corale in cui la pluralità delle voci di chiha conosciuto e amato P. Luigi Moro, prendecorpo e visibilità nella copertina dove, sullo sfon-do dell’albero della vita, si assiste a un fitto rin-corrersi di parole evocanti la ricchezza e la forzainteriore di p. Luigi Moro, il pittore francescano acui il libro è dedicato.Ogni parola corrisponde a un volto. Ogni parola sifa memoria attuale di un artista che nella sua vitaha voluto riflettere (immagine=riflesso) i millevolti di Cristo: umile, semplice, lieto, sofferente,forte… E, nel farsi specchio delle virtù di Cristo,questo “poeta” francescano ha speso la sua vitaal servizio degli altri affinché, a loro volta, diven-tassero sempre più riflesso del volto di Cristo.Non si può intendere l’arte di p. Luigi Moro al difuori di questa centralità di Cristo, il sole semprepresente nei suoi disegni, fonte di luce perenneche illumina il mondo. I problemi dell’uomo, dellasocietà non sono emarginati, ma trovano pienaespressione e valorizzazione alla luce di quel soleche si fa chiave interpretativa degli eventi nel lorofarsi storico.Ogni disegno è accompagnato da un passo trattodalla Bibbia e dalle Fonti Francescane, corredatida commenti teologici, artistici e ideografici cheaccompagnano il lettore negli itinerari propostidall’arte umile di queste “immagini evangeliche”.

“IMMAGINI EVANGELICHE” di Luigi Moro, Ed. Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2014

pagg. 112 a colori, formato 21x29,7, copertina cartonata plastificata opaca. Prezzo e 25,00 - ISBN 9788890765650

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LA STRUTTURA COMPOSITIVA del libro IMMAGINE EVANGELICHE si articola in cinque punti:1 • PAROLA di Dio e Fonti Francescane2 • OPERA GRAFICA di P. Luigi Moro3 • COMMENTO alla parola di Dio e alle Fonti Francescane attraverso le immagini, a cura di P. Lorenzo Di Giuseppe4 • LETTURA CRITICA delle singole opere, a cura del Prof. Maurizio Magli5 • IDEOGRAFIA del libro, a cura della Dott.ssa Sara CaliumiQuesto libro è una raccolta di IMMAGINI, che P. Luigi Moro ci ha donato, per accompagnarci quotidiana-mente nel nostro presente, in un viaggio di consapevolezza verso il nostro futuro.Un viaggio metaforico, composto da albe e tramonti, da cicli di crescita e confronto, da crocifissio-ni e resurrezioni; questo viaggio vuole lasciare un’esperienza nell’osservatore, fatta di tracce, segni,ITINERARI, che possano accompagnare le persone, verso una rinnovata presa di coscienza, un’es-senza spirituale e sociale, per mantenersi aperti all’amore per la vita, per respirare il presente, lasemplicità, la libertà e cercare di donare, costruire, oltrepassare...CAMMINARE in FRATERNITÀ.La composizione di questo libro si basa proprio su una sinergia di linguaggi, verbali e visivi, creata dal dia-logo e dal confronto di persone che hanno incontrato, conosciuto e amato P. Luigi, orientati dall’empatiae dal sentimento della memoria di un uomo pieno di luce intensa, che usava canali di comunicazione, umili,semplici, essenziali, modesti, ma VERI.La sua eco rimane in queste immagini, in questi itinerari, e insieme a lui, passo dopo passo le sue opererimangono per noi,... presenti, ovunque e comunque...

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Il 14 aprile scorso è stata riaperta a Bologna, dopouna radicale ristrutturazione, Casa S. Maria dellaVita con una festa di inaugurazione alla presenzadel nostro Arcivescovo S.E. Mons. Matteo Zuppi.La Casa accoglie mamme sole e in difficoltà e iloro bambini con la gestione diretta del ServizioAccoglienza alla Vita di Bologna e la collaborazio-ne dell’attuale Fraternità Francescana FrateJacopa.La storia della Casa viene da lontano, dagli anni 70quando fu approvata la legge sull’aborto e l’alloraproprietaria Luisa Occhialini, terziaria francesca-na, aprì la sua casa alle donne che volevano porta-re avanti la gravidanza, ma non avevano un postoin cui stare.Fin dall’inizio Luisa fu aiutata nella sua opera dimisericordia dall’allora Fraternità del Terz’OrdineFrancescano e anche dopo la sua morte laFraternità ha continuato il suo servizio.Luisa se n’è andata nell’aprile del 1986 e dopoesattamente 30 anni la Casa ha riaperto ancora unavolta le sue porte, anche con la benedizione del-l’arcivescovo. In occasione della festa del 14 apri-le ci siamo presentati al Vescovo come FraternitàFrancescana che in questi anni ha mantenuto confedeltà e con gioia l’impegno iniziato dalla nostrasorella Luisa collaborando sempre più con laChiesa locale.Oggi la Casa è già piena, sono state accolte 4mamme e 5 bambini: 2 donne sono marocchine e 2sono senegalesi.Vivono in autogestione con il controllo e la super-visione di un’educatrice del SAV, la collaborazio-ne con le rispettive assistenti sociali del serviziopubblico e la nostra presenza di amicizia fraterna.Qualche mese fa una mamma ex ospite mi ha tele-fonato per invitarmi al compleanno della sua ragaz-za, una bimba nata nella Casa, che compiva 18anni.È una storia che è andata bene: la mamma èdiventata autonoma, ha un alloggio delle casepopolari e sua figlia è una brava ragazza che sta

terminando le scuole superiori e vuole iscriversiall’università.È più facile raccontarla così la storia della Casa:attraverso la vita e gli occhi di chi ci è passato,ammirando dall’esterno la determinazione e ilcoraggio di tante donne sole, spesso straniere, macon la forza e la tenacia che nascono da tanti annidi sofferenza e povertà materiale.In tutti questi anni noi volontari della Fraternitàabbiamo imparato tanto: a vedere la vita con occhidiversi, dalla prospettiva dei poveri, ad essere gratiper tutti i doni che il Signore ci ha fatto, a sempli-ficare la nostra esistenza e le nostre esigenze divita.

Rita Montante Salucci

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“QUELLO CHE AVETE FATTO A UNODI QUESTI PICCOLI LO AVETE FATTO A ME!”

Il Vescovo Mons. Zuppi a Casa Santa Mariadella Vita. «Preghiamo – ha detto durante lacerimonia – per coloro che qui troverannol’accoglienza. Il termine focolare può sembra-re antico, ma ci ricorda le case dove ci si ritro-vava insieme. Chiediamo che ognuno di noisappia, con la presenza, l’affetto, il servizio,l’attenzione, continuare a rendere bella questacasa».

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Se dovessi sintetizzare in una parola la vita di Luisa, la sin-tetizarei con la parola amore.Ho conosciuto Luisa da bambina nella sua casa con i geni-tori e la zia a lei carissina e non sapevo he fosse già deditaallora a tante opere di misericordia per amor di Dio: L’horitrovata da sorella nel Terz’Ordine Francescano e ho potutoconstatare con quanta dolcezza si facesse figlia amorosadella zia ormai avanti negli anni, cieca e piena di sofferenza,pur operando a favore di tutti nella parrocchia, nellaFraternità, nella scuola in un anelito di salvezza che non èretorico definire incessante.Da ogni sua parola, da ogni suo gesto ho cominciato cosìad intuire la radice profonda di Luida: l’amore che sgor-ga dalla fede e si alimenta nella fede e vive di fede. Unamore che non ammetteva pettegolezzi, un amore chenon ammetteva trascuratezza, un amore che non ammet-tava indifferenza alcuna. Un amore che l’ha portata adagire sempre più sulla strada della povertà e della condi-visione, fino alla scelta di donare la sua casaall’Antoniano ancora parecchi anni prima della suamorte, individuando poi nel servizio alla vita la destina-zione di questa donazione.E del servizio alla vita Luisa ha fatto lo scopo degli ultimianni, non limitandosi a demandarlo ad altri come compito

dopo la sua morte, ma cominciando apraticarlo essa stessa con l’accoglienza diragazzi madri. Vari bimbi hanno visto

così la luce nella sua casa e altri hanno potuto trovare sottoil suo tetto un ambiente sereno in cui muovere i primi passi,hanno potuto avere una famiglia.Così gli anni contrassegnati dal dolore sono stati vissuti nel-l’offerta più completa, senza nessun ripiegamento; con laforza dello Spirito instancabilmente protesa a interessaretutti e a provocare tutti al bene, poiché Luisa osava tutto peril bene, da vera figlia di S. Francesco, «serva inutile» qualesi sentiva.E la sua morte è stata veramente il culmine della sua vita:nell’amore smisurata a Cristo Crocifisso; in una sollecitudi-ne senza confini per ogni uomo che avvertiva come fratello;povera di una povertà totale, ma ricca dei doni del Signore.A lei, che non è stata madre né sorella, è stata data la gioiadi una maternità che tutti abbraccia e che molti concreta-mente hanno sentito, ed è stata la gioia dell’affetto tenerissi-mo di quanti si sono fatti a lei fratello e sorella, coinvolti nelsuo ardore di amore.A noi considerare la sua eredità e il sentirci interpellati dallesue parole: «In null’altro che sull’amore saremo giudicati»,seguendo l’indicazione di cammino che lei stessa ci ha testi-moniato: «Avere estrema fiducia nella Provvidenza e accet-tare il rischio di aprire cuore e casa ai fratelli».

Argia Passoni

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LUISA OCCHIALINIUn messaggio di amore

Un messaggio di amore che continua quello di Luisa Occhialini nellaCasa S. Maria della Vita da lei aperta alle ragazze madri, ora ristruttura-ta dal Servizio di Accoglienza alla Vita. Sono esattamente trent'anni dallasua morte e, nell'occasione della riapertura della Casa, la vogliamo ricor-dare come autentica testimone di misericordia con la memoria di ArgiaPassoni pubblicata sul Notiziario dell'Antoniano maggio/giugno 1986.

La Fondazione Infantile “Club Noel” è l’unico ospedale dedicato esclu-sivamente alla cura dei bambini poveri residenti in tutto il Sud-Ovestdella Colombia, nella città di Cali. Questa Fondazione è stata creata nel1924 e da allora è stata sempre al servizio dei bambini poveri e amma-lati che difficilmente potrebbero raggiungere un’altra struttura sanitaria.Lo spostamento forzato dei contadini verso la città ha prodotto una cre-scita significativa del numero dei bambini malati da zero a due anni erelativo aumento delle domande alla Clinica infantile. Considerando la

vita e la salute come diritti fondamentali dei bambini, la FondazioneClinica Infantile ha la necessità di migliorare ambienti, apparecchiaturee personale per salvare la vita di molti bambini poveri. Per questo moti-vo è necessario il sostegno finanziario di istituzioni e di privati al fine dipoter approntare interventi e soluzioni adeguate per questi bambini col-piti da complesse patologie endemiche, degenerative, infettive, conge-nite, ecc., causate da: clima tropicale, cattive condizioni alimentari e divita, servizi inadeguati, fattori ereditari.La Cooperativa Sociale “Frate Jacopa” ha accolto questa richiesta diaiuto, di cui si è fatto portatore p. José Antonio Merino, che conosce dipersona i responsabili della Fondazione e l’impegno umanitario da que-sta profuso. Le offerte, grandi e piccole, che saranno fatte tramite lacooperativa, saranno inviate, come nostro contributo alla realizzazionedi progetti per l’acquisto di attrezzature diagnostiche e l’allestimento diuna unità di cura intensiva per i bambini che richiedono interventi chi-rurgici postoperatori complessi.Chi intende partecipare può inviare la propria offerta con bonifico ban-cario sul c/c intestato a Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa pres-so Banca Prossima, precisando la causale “Liberalità a favore dellaCooperativa Sociale Frate Jacopa per il Progetto Club Noel Colombia”:IBAN: IT82H0335901600100000011125. Sarà rilasciata ricevuta perusufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla legge.

SOSTEGNO A DISTANZA - CLINICA INFANTILE “CLUB NOEL”I bambini della Colombia attendono il nostro aiuto

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Come Chiesa italiana ci sentiamo impegnati, dopo laLaudato si’ e in particolare dopo il ConvegnoEcclesiale Nazionale di Firenze, a far sì che quello cheil Papa ci ha raccomandato di operare pastoralmentesia nella Laudato si’, sia a Firenze, venga attuato. Inquesta conclusione, la prima domanda che ci dobbia-mo porre è se abbiamo risposto all’intento di questoSeminario, il cui significato è riposto nel titolo: “Qualecura della casa comune? Dallarealtà, all’azione”.Il Papa a Firenze ci ha detto nelsuo Discorso: “Ricordateviinoltre che il modo migliore perdialogare non è quello di parla-re e discutere, ma quello di farequalcosa insieme, di costruireinsieme, di fare progetti: non dasoli, tra cattolici, ma insieme atutti coloro che hanno buonavolontà. E senza paura di com-piere l’esodo necessario ad ogniautentico dialogo. Altrimentinon è possibile comprendere leragioni dell’altro, né capire finoin fondo che il fratello conta piùdelle posizioni che giudichiamolontane dalle nostre pur autenti-che certezze. È fratello.”.Il Papa ci ha ricordato che unacostruzione della Casa comune

va attuata nella fraternità, ma ci ha invitato a nonperderci nella sola discussione con soggetti plurali,quindi anche laici, ma che dobbiamo poi passare,con questi ambienti laici, ad azioni concrete. LaConferenza Episcopale Italiana, con questoSeminario sui temi della Laudato sì, sente di attuareFirenze, e io spero che ogni Diocesi, attraverso imolti responsabili che sono qui presenti, possa

attuarlo poi nella propria realtà.

Prima conclusione. Nelladivulgazione della Enciclica,affrontiamo tutti spesso il temadella “casa comune”.Nelle frequenti presentazionidivulgative della Enciclica laprima cosa che cerco di spiega-re a tutti è il senso dell’aggetti-vo “comune”.Munus ha un duplice significa-to: dono e debito. Quindi, tuttociò che racchiude il terminelatino munus, dal nostro co-mune, alle nostre co-munitàsociali, contiene e rinvia alsenso del “dono” e del “debi-to”. La casa comune è un donoche abbiamo ricevuto da Dio eche dobbiamo dare, e qui sicoglie il senso del ‘debito’, alle

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“LAUDATO SI’: QUALE CURA DELLA CASA COMUNE?DALLA REALTÀ, ALL’AZIONE”

Seminario Cei per la Custodia del Creato - Roma 18 marzo 2016

Conclusioni a cura di Mons. Fabiano Longoni*

Si è svolto a Roma presso il Palazzo Rospigliosi il Seminario di Studio Cei sulla custodia del creato, che ha visto il sus-seguirsi di un’articolata serie di relazioni e testimonianze, coordinate dll’Ufficio Nazionale Cei per i problemi sociali eil lavoro, con i contributi di Paolo Benanti Tor (Pontificia Università Gregoriana) “La cura della casa comune – un’eti-ca del custodire”, di P. Giacomo Costa (Direttore Aggiornamenti Sociali) “Tutto è connesso – l’ecologia integrale nellaLaudato si’”, di Catia Bastioli (Presidente di Terna e Amministratore Del. di Novamont) “Dall’eco-nomia dello scartoall’economia circolare. Il ruolo della creatività imprenditoriale e della differenziazione produttiva per la sostenibilità”,di Barbara Degani (Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) “Quale possibi-le dialogo sull’ambiente, che attui COP21 e l’Agenda 2030 verso nuove politiche a livello internazionale, nazionale elocale?”; Roberto Moncalvo (Presidente Coldiretti) “La diversità in agricoltura a servizio della vita”, Pierluigi Sassi(Earth Day Italia) “L’anima umana dello sviluppo sostenibile”.Ne diamo comunicazione attraverso le Conclusioni di Mons. Fabiano Longoni (Direttore Uff. Naz. Cei per i problemisociali e il lavoro), mentre rimandiamo al sito www.chiesacattolica.it per il testo delle relazioni. Le conclusioni hannoavuto uno speciale completamento a cura del Prof. Pierluigi Malavasi (Direttore ASA Alta Scuola per l’AmbienteUniversità Cattolica di Brescia) con la Cerimonia del Graduation Day 2016 per i partecipanti al Master ASA, che hareso plasticamente evidente l’importanza di passare la prospettiva della “cura” alle giovani generazioni con la indi-spensabile dimensione dello studio e della ricerca.

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nuove generazioni. Nel momento in cui rendiamo“comune” una realtà è perché ci sentiamo gratifi-cati da un dono inaspettato e meraviglioso quale laCreazione, e dall’altra parte abbiamo un dovere:quella di restituirla il più possibile ordinata secon-do logiche che non siano solo di possesso ma,appunto, di custodia.

Seconda conclusione. A un certo punto stamattinaP. Benanti ha detto ricordando una battuta del filmdi Mel Brooks Frankenstein junior, che viene piùvolte ripresa in diversi contesti, per evidenziarel’onnipotenza umana, di manipolare la natura e gliesseri umani: “si può fare”.Ecco, questo è oggi il delirio di onnipotenza chesembra prendere molti nostri contemporanei difronte ai temi etici e agli stessi temi ambientali! E,stamattina ci è stato chiesto: si può fare tutto ciòche si può fare? Ma possiamo veramente fare tuttociò che si può fare o esiste un limiteinvalicabile?

Terza conclusione. P. GiacomoCosta ci ha fatto presente il discorsoinerente all’ecologia integrale e ci hadetto, attraverso la sua relazione, cheessa è un metodo, quindi una strada,una capacità, mai scontata di con-frontarci attraverso un’operazione dituning continuo, su quella che è l’esi-genza di non prevaricare l’ambiente edi trovare nuove vie per accrescere ilnostro benessere. Il problema natura-le ci fa capire che tante cose che noidiciamo come scontate devono fare ilconto, invece, con una natura integra-ta nella storia, come ci ricordava ilteologo Romano Guardini per quantoriguarda il nostro rapporto con la tecnica: la naturaesiste solo in quanto abitata. Lo stesso concetto dipersona va situato in un contesto storico plurale eglobalizzato, nel cosiddetto meticciato culturale.La stessa realtà naturale non esiste allo stato pri-mordiale, ma è realtà naturale contaminata dallastoria, quindi in senso positivo, finalizzato al benema anche in senso negativo con tutte le conseguen-ze del caso, per quello che riguarda la tematicaambientale.

Quarta conclusione. Tutto ciò, diceva sempre P.Costa è collegato, citando l’enciclica, al tema delbene comune: “L’ecologia integrale è inseparabiledalla nozione di bene comune, un principio chesvolge un ruolo centrale e unificante nell’eticasociale. E’ «l’insieme di quelle condizioni dellavita sociale che permettono tanto ai gruppi quantoai singoli membri di raggiungere la propria perfe-zione più pienamente e più speditamente»”.In questo contesto si comprende, chiaramente, cheil munus deve corrispondere ad un peso reale, nonessere semplicemente evocato. Se esso è veramen-

te il munus, non possiede valore zero, perché, comeanche un bimbo sa benissimo, un valore zero inuna moltiplicazione annullerebbe il prodotto ditutti i moltiplicatori numerici della stessa. Nel benecomune della casa co-mune, della vera ecologiaintegrale, non c’è nessun essere vivente che corri-sponda a un valore zero, non ci sono popoli chesono zero, non ci sono ambienti naturali che nonhanno alcun valore. Perché se questo fosse vero, ilrischio sarebbe l’annullamento del tutto, l’annulla-mento della vita, della sopravvivenza del genereumano, con la conseguenza della desertificazionedi tutto.Una delle belle immagini che ci sono state comu-nicate e che mi è rimasta nella mente consiste nelfatto che se i cinesi sono arrivati ad avere dei luo-ghi dove non ci sono le api, a causa del troppoinquinamento e in questi luoghi stanno cercando direintrodurle dopo una accurata bonifica, forse que-

sto non li può aver indotti a firmare l’accordo diParigi, la cosiddetta Cop 21? Cioè, metaforicamen-te, ma anche realisticamente, le api, termometrodella salute della febbre del Pianeta, sono riuscite afar firmare il governo cinese. Avverando, così, quelfamoso detto che anche un battito d’ala di farfalla(in questo caso d’ape) alla fine riesce a far ragio-nare i potenti e forse a far prendere decisioni chenon sarebbero mai state prese. Allora anche lanostra azione personale dentro questa prospettiva èugualmente importante quanto la firma dei nostriCapi di Stato al protocollo di Parigi.Ecco, dentro questa logica credo che tutto quelloche, allora, diremo può riassumersi in quello che cidiceva stamattina il dr. Sassi, con il Pentalogo checi ha proposto. Esso diceva: pensa locale, rispettala terra, apri la porta al cambiamento, condividi ecollabora con tutti ma soprattutto crea opportunitàper tutti, non contrapponendo diritti (ambiente alavoro), ma armonizzandoli con creatività nellalogica di ciò che è sviluppo sostenibile.

* Direttore Ufficio Nazionale Ceiper i problemi sociali e il lavoro

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Testimonianza e coerenza per-sonale, prossimità all’uomo dioggi, capacità di ascolto, umil-tà nell’accettare e utilizzare ilinguaggi dei social rinuncian-do – almeno in questo contesto– alle omelie e ai discorsi pro-grammatici. L’esempio è con-tenuto nell’“enciclica deigesti” che Papa Francesco stascrivendo con il suo pontifica-to.È questa la ricetta per una rin-novata presenza evangelizza-trice dei cristiani sul web che suor Maria AntoniaChinello della Pontificia Facoltà di Scienze del-l’Educazione «Auxilium» ha offerto mercoledìsera in occasione dell’ultimo dei sei “dialoghi” indiretta web su “Comunicazione e Misericordia”,ciclo promosso dall’Ufficio Nazionale per leComunicazioni Sociali della CEI e dall’Associa-zione WebCattolici Italiani in preparazione alla50ma Giornata Mondiale per le ComunicazioniSociali di domenica 8 maggio.«La testimonianza è il fulcro dell’evangelizzazio-ne di oggi – ha spiegato la religiosa salesiana edocente di comunicazione – ma si può dire che losia sempre stata. Oggi però l’evangelizzazione sitrova ad operare in una cornice del tutto nuova, inuna società globalizzata in continua “rapidizza-zione” sommersa di parole e di notizie. SeEraclito diceva che “tutto scorre”, oggipotremmo dire che “tutto corre”, senza punti diriferimento sicuri in questa vita “liquida”, comela descrive Bauman». In questo contesto la federischia di trovarsi “accantonata”: «La fede cristia-na non può più essere data per acquisita, ma deveessere rigenerata continuamente: il Papa cirichiama alla testimonianza, perché ciò chesiamo lo riveliamo anche con le azioni, con leparole e con i gesti». È l’autenticità che premia:«Il mondo più che di maestri oggi ha bisogno ditestimoni. Papa Francesco è sia maestro che testi-mone: dal 13 marzo del 2013 sta scrivendo un’en-ciclica dei gesti ispirati dalla misericordia, sotto inostri occhi».Nel suo messaggio per la 50ma GMCS PapaBergoglio insiste a più riprese sull’urgenza del-l’ascolto, nel quale arriva a consumarsi “una sorta dimartirio”: «Un detto rabbinico diceva che se Dioci ha dato una bocca e due orecchie è perché dob-biamo ascoltare il doppio di quanto parliamo.Nella nostra società c’è un deficit di attenzione,

siamo diventati intollerantialle pause e all’attesa: seusciamo di casa senza cellula-re è come se ci fossimo persinel mondo». Per evangelizzaredobbiamo insomma tornare adascoltare, recuperando l’attitu-dine all’interiorità e al silen-zio: «Fare silenzio è un sacrifi-cio che ci fa entrare davveroalla Terra Santa dell’incontrocon l’altro. Dobbiamo comu-nicare con le persone di oggi,altrimenti correremo il

rischio come Chiesa di trovarci fuori gioco per-ché ci mancheranno le categorie di riferimento». In questo grande “continente digitale” il cristia-no è chiamato ad essere missionario “ad gentes”:«La Rete è un grande spazio antropologico, dovesi entra per condividere e partecipare. Può dav-vero diventare ciò che afferma Papa Benedetto:una grande porta in cui passa la fede aprendosialla dimensione della verticalità. La presenzadei cristiani può “bucare” la Rete, liberandocidalla trappola dell’orizzontalità, per la qualesi condividono tante domande ma non si ela-borano delle risposte. Questa è una missione“ad gentes” che allarga i confini a tutto “il popo-lo della Rete”». Papa Francesco nel suo messag-gio per la 50ma GMCS parla sì di annuncio, maanche di prossimità: «Come diventare prossimi?Dobbiamo parlare la stessa lingua della Rete,anche senza sposarne tutte le logiche.Dobbiamo capire che non possiamo fare grandidiscorsi e omelie ma, sfruttando le dinamiche delweb, possiamo condividere immagini, frasi,brevi riflessioni che però partano davvero dallarealtà delle persone che incontriamo». Farsiprossimi, come Gesù che cammina insieme aidiscepoli verso Emmaus: «Dobbiamo avvicinar-ci, come compagni di viaggio, facendosi incon-tro alla parola dell’altro».Suor Maria Antonia Chinello esorta i cristiani:«Chi non ha mai provato a frequentare gli ambien-ti digitali provi ad entrare, magari facendosi aiuta-re. Dobbiamo diventare competenti anche inquesto campo per poter davvero incidere nellacultura di oggi».

Le registrazioni e le sintesi dei sei incontri del percor-so “Comunicazione e Misericordia” sono a disposi-zione sui siti www.chiesacattolica.it/gmcs2016 e suwww.webcattolici.it.

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COMUNICARE LA FEDE TRA I CRISTIANI DEL 2016Suor Maria Antonia Chinello (Auxilium) chiude il ciclo “Comunicazione e Misericordia”.

«I cristiani possono “bucare” la Rete. La loro presenza missione “ad gentes”».

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UN NUOVO LIBRO DELLE EDIZIONI FRATE JACOPA

Il volume, a cura di Argia Passoni,propone i contributi di

S.E. Mons. Mario Toso(Vescovo di Faenza Modigliana),“Laudato si’... sulla cura della casa comune”Lucia Baldo(Equipe Formazione Fraternità Francescana Frate Jacopa),“Il Cantico delle creature di San Francesco”Simone Morandini(Teologia della creazione),“Abitare la terra nel segno della benedizione e della lode”Marcella Morandini(Segretario generale Fondazione Dolomiti Unesco),“Le comunità locali e la gestione di un patrimonio dell’umanità”Mauro Gilmozzi(Assessore all’Ambiente Provincia di Trento),“Politiche ambientali legate al territorio”Maria Bosin(Sindaco di Predazzo),“La cura della casa comune”Rosario Lembo(Presidente Comitato It. Contratto Mondiale sull’acqua),“Il diritto all’acqua per tutti: un debito sociale e ambientale”p. Lorenzo Di Giuseppe ofm(Teologia morale),“Nuovi stili di vita: percorsi di misericordia”

Argia PassoniFraternità Francescana Frate JacopaPresentazione del volume

Questo libro raccoglie gli Atti del Convegno svoltosi a cura della Fraternità Francescana eCooperativa Sociale Frate Jacopa, a Bellamonte (Tn) sulle Dolomiti, dal 25 al 27 agosto 2015, conil patrocinio del Comune di Predazzo. Il tema “Laudato si’. Sulla cura della casa comune.Custodire la terra, coltivare l’umano” è stato analizzato da autorevoli esperti a partire dall’esamedell’Enciclica di Papa Francesco sull’ambiente, vera e propria enciclica sociale. Ne è emersa unainterpellanza profonda al cambiamento tanto più in ragione del quadro inquietante delle condi-zioni della terra, nostra casa comune, sempre più agitata da una crisi antropologica ed etica, oltreche ambientale. Questa consapevolezza richiede un impegno sistematico ed urgente da parte ditutti, innanzitutto sul versante dell’ecologia umana per porre relazioni con Dio, con gli altri uomi-ni e con la natura, improntate allo spirito di fraternità universale e cosmica, ed approdare, secon-do il principio di una ecologia integrale, ad un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo. La“Laudato si’” rimanda all’esemplarità di S. Francesco proponendolo quale fonte di ispirazioneper vivere il presente in modo da restituire al nostro pianeta, così oltraggiato e offeso, quel voltoche Egli gli aveva dato nel momento della creazione, secondo un progetto di pace, bellezza epienezza. Come non prendere come modello il “Cantico delle creature” del Santo di Assisi? Suquesta strada potremo pervenire all’assunzione di stili di vita improntati a una cittadinanza attivae responsabile, segno di una conversione profonda, personale e comunitaria, che ci faccia pas-sare dallo sfruttamento scriteriato di nostra “sora madre terra” a una custodia sollecita e mater-na della nostra casa comune, aprendo cuore e mente al grido degli impoveriti della terra, nostrifratelli.

Il volume, che presenta importanti chiavi di lettura della Enciclica “Laudato Si’” per la rifles-sione personale e percorsi comunitari, può essere richiesto direttamente a SocietàCooperativa Sociale Frate Jacopa - Tel. 06631980 - 3282288455 - [email protected] -www.coopfratejacopa.it. ISBN 9788894104721 - Pagg. 160, prezzo € 13,00.

AA.VV.

LAUDATO SI'... SULLA CURA DELLA CASA COMUNECustodire la terra, coltivare l'umano

Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa

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La Cooperativa Sociale Frate Jacopa è finalizzata a rendere concreta nel quotidiano la dot-trina sociale della Chiesa secondo lo spirito di S. Francesco, attraverso attività sociali, edu-cative, formative, ed in particolare attraverso progetti a favore degli ultimi. Vuole essere unostrumento operativo per prendersi cura del bene comune nella interazione con la societàcivile e con le istituzioni nei vari territori.L’auspicio dei soci fondatori è che la Cooperativa Frate Jacopa possa essere utile affinché illievito della fraternità possa sempre meglio rendersi presente nella Chiesa e nella società,nella immutata fedeltà al carisma francescano, ricercando forme adeguate alla novità dei tempiper incontrare e servire i fratelli, facendoci loro prossimi. E sostenendo nella concreta operati-vità quella cultura della pace e del bene a cui sono chiamati i seguaci di S. Francesco nelmondo.

LE NOSTRE ATTIVITÀ* Scuola di Pace operante con particolare attenzione ai temi della Pace, della Custodia delCreato, del Bene Comune e della Comunicazione (approfondimento interdisciplinare alla lucedella Dottrina Sociale della Chiesa e della Spiritualità Francescana).* Pubblicazione Rivista Nazionale “Il Cantico”.* Testi di formazione, Atti di Convegni, Schede di sensibilizzazione.* Collaborazione di volontariato con Diocesi, con la Caritas e con il Servizio Accoglienza Vita.Collaborazione con il Tavolo per la Pace della Provincia di Bologna.* Progetto formazione-lavoro per ragazzi diversamente abili e percorsi di autonomia incollaborazione con l’Associazione “Solidabile Onlus”.* Percorsi della Scuola di Pace sul territorio: Progetto “Stili di vita per un nuovo vivereinsieme”.* Lavoro a tutela dei beni di creazione, con l’adesione alla Campagna Acqua Bene Comunee alla Campagna Caritas Internationalis “Una sola famiglia umana. Cibo per tutti”.* Adesione al Forum Sad, alle Campagne, “L’Italia sono anch’io”, “Sulla fame non si spe-cula”, “Uno di noi” e alla Campagna “Povertà zero” della Caritas Europea e Italiana.* Sostegno a distanza. Sostegno Iniziativa Struttura Sanitaria Club Noel per l’infanzia poveradella Colombia.

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Per inviare offerte usa il bonifico bancario sul c/c Banca Prossima Gruppo Intesa S.Paolo, P.le Gregorio VII, IBAN IT82 H033 5901 60010000 0011125 intestato a SocietàCooperativa Sociale Frate Jacopa, con la causale “Liberalità a favore della CooperativaSociale Frate Jacopa”. Verrà rilasciata ricevuta per usufruire delle deduzioni fiscali pre-viste dalla legge.

Fraternità Francescana e Cooperativa Sociale Frate Jacopa - Via Tiburtina 994 - 00156 RomaTel. 06631980 - www.coopfratejacopa.it - [email protected] - www.fratejacopa.net - htpp://ilcantico.fratejacopa.net

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