Il Cannone Disgiunto Di Ignazio Bertola

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Il Cannone Disgiunto di Ignazio Bertola Giovanni Cerino Badone Nel gennaio del 1743 a Torino si viveva una strana atmosfera; il Teatro Regio aveva riaperto i battenti, e ovunque si davano ricevimenti e balli. Questa apparenza festosa nascondeva, o cercava di nascondere, una realtà ben diversa. Il regno di Sardegna era in guerra con la Spagna dal 25 febbraio dell’anno precedente. Il 4 gennaio il re Carlo Emanuele III era rientrato nella capitale dal fronte della Savoia alla testa di un provato esercito. I cento giorni di combattimento al di là delle Alpi erano costati ai sabaudi 9.000 perdite tra morti, feriti e prigionieri, la spesa immane di 9 milioni di lire e l’abbandono di tutti i territori transalpini 1 . Mentre a teatro e nei palazzi il suono dei violini mascherava la delusione per la sconfitta patita, nel grande Arsenale della capitale si stava lavorando alacremente per riarmare i reparti impegnati nella precedente campagna. 1. I progetti De Vincenti e Gioannini. Un gruppo di ufficiali d’artiglieria, tenendo a mente le recenti esperienze di combattimento, stava ideando nuovi materiali adatti ai futuri scenari di guerra. Due maggiori del Battaglione d’Artiglieria 2 , Giuseppe Nicolò Gioannini e Felice De Vincenti, giunsero contemporaneamente alla conclusione che l’esercito sabauda doveva essere al più presto dotato di nuovi pezzi adatti ai teatri operativi di montagna. Questi ufficiali ritenevano, infatti, che l’armata imperiale e i reparti sabaudi distaccati in guarnigione nella Pianura Padana fossero per il momento più che sufficienti a tenere a bada l’armata spagnola d’Italia del conte di Gages 3 . Al contrario occorreva prepararsi a combattere sul fronte alpino. Gli spagnoli erano ora padroni della Savoia e potevano contare sull’interessata neutralità francese per colpire a loro piacimento l’intero arco delle Alpi occidentali. Non solo, ma all’occorrenza avevano anche la possibilità di poter forzare i passi svizzeri e calare nel milanese attraversando i grigioni e il vallese. Inoltre non era da escludere una futura alleanza franco-spagnola, evento questo che avrebbe reso prioritaria l’organizzazione della difesa del fronte occidentale. L’esercito di Carlo Emanuele III non disponeva, in quel primo scorcio del 1743, di materiali d’artiglieria adatti alla guerra in montagna. Dal 1712 non veniva più condotta una campagna sulle Alpi, mentre l’ultimo combattimento di una certa intensità della Guerra di Successione Spagnola, la Battaglia del Gran Vallone, avvenuta il 16 settembre 1711 a 2.103 metri di quota, aveva visto i contingenti sabaudi privi di qualsivoglia appoggio d’artiglieria. Nella Guerra di Successione di Polonia non era stata avvertita, per ovvie ragioni geografiche, la necessità di disporre di artiglieria da montagna, dal momento che i campi di battaglia di tale conflitto ebbero come scenario la Pianura Padana. In Arsenale esistevano smerigli da 16, 10 e 6 once. Sei di questi pezzi furono impiegati in combattimento in Savoia; Furono impiegati quattro smerigli da 16 e due da 6 once. Tuttavia, sebbene la leggerezza di questi materiali li rendesse adatti ad operare in quota, lo scarso peso della palla scagliata (rispettivamente 491,2 e 184,2 gr), faceva sì che la presenza di 1 Dopo un inizio assai promettente, con le armate congiunte austro-sarde in grado di respingere, senza maggiori combattimenti, le forze spagnole dalla pianura Padana sino a Savignano sul Rubicone, occupata il 9 agosto 1742, si era in seguito aperto il fronte della Alpi. L’Armata di Provenza, circa 17.000 uomini e 22 pezzi d’artiglieria guidati da don Filippo di Borbone e dal tenente generale conte di Glimes, attraversando i territori neutrali del Regno di Francia, aveva sferrato un’offensiva contro le frontiere occidentali sarde. Un primo tentativo di passare il Varo, presidiato da 3.000 sabaudi e 1.800 fanti di marina britannici, risultò impraticabile anche a causa del rifiuto della repubblica di Genova di consentire il passo. Glimes aveva allora deciso di puntare sul Monferrato discendendo la Valle Stura di Demonte, ma non disponeva di un parco d’artiglieria sufficiente per assediare il forte di Demonte. I comandanti spagnoli avevano preferito allora dirigersi sulla Savoia, la quale era completamente sguarnita. Occupata questa gli spagnoli sarebbe calati in Piemonte dal Piccolo San Bernardo, oppure direttamente nel milanese attraverso il Vallese e i Grigioni. Il 1 settembre 1742 l’Armata di Provenza entrava in Savoia, e in pochi giorni la provincia risultava del tutto occupata e sottomessa. Carlo Emanuele III aveva quindi abbandonato la campagna nella Romagna e si era portato sulle Alpi, attaccando il nemico il 30 settembre. La manovra, riuscita e ben condotta, consentì di recuperare la Savoia entro il 16 ottobre. Il 18 dicembre, rinforzato da nuovi reparti, il marchese di Las Minas, che aveva sostituito Glimes, invase nuovamente il territorio sabaudo. Ritenendo l’attacco spagnolo una semplice dimostrazione, Carlo Emanuele III non valutò correttamente il pericolo. Infine, accortosi dell’errore, tentò lo sganciamento, ma dovette aprirsi la strada per i passi combattendo in più occasioni. L’ultimo reparto sabaudo rientrava in Piemonte il 10 gennaio 1743. 2 L'artiglieria includeva uno stato maggiore, 12 ingegneri, 2 maggiori, 3 capitani, una compagnia franca di Sardegna e il Battaglione d'Artiglieria su una compagnia maestranza, 1 minatori, 1 bombardieri e 5 di cannonieri. Nel 1734 le compagnie salirono a 12 e nel 1735 a 20. Il Battaglione d'Artiglieria (712), riordinato il 16 aprile 1739, contava 1 stato maggiore (12) e 12 compagnie numerate in ordine progressivo (1 a -12 a ) di cui 10 (8 cannonieri, 1 bombisti, 1 zappatori) con 60 uomini e 2 (minatori e maestranza) con 50. Compito dei bombisti era di concorrere alla fabbricazione della polvere, caricare le bombe, le granate e i relativi "tempi" e servire le batterie di mortai. Il 23 maggio 1743 l'organico crebbe di 300 uomini (28 per compagnia più 6 minatori e 14 maestranze) e il corpo fu elevato al rango di Reggimento d’Artiglieria, sdoppiato nel 1747 in 2 battaglioni con 16 compagnie (11 cannonieri e 4 specialisti) e la forza di 1.400 uomini. Dal Consiglio di artiglieria, fabbriche e fortificazione, presieduto dal Gran maestro (Vittorio Amedeo Seyssel, Marchese d'Aix e di Sommariva), dipendevano anche il personale delle piazze, la compagnia franca di Sardegna (49), l'arsenale di Torino, la fonderia e le fabbriche di Valdocco e il corpo degli ingegneri (1 colonnello, 1 tenente colonnello, 1 maggiore, 4 capitani, 6 luogotenenti e 11 sottotenenti). 3 Jean Thierry Dumont, conte di Gages (Mons 1682 – Pamplona 1753). Fu insignito del titolo di Cavaliere del Toson d’Oro. Combattè al servizio di Filippo V di Spagna. Terminata la Guerra di Successione Austriaca, terminò la sua carriera a Pamplona, come capitano generale dell’armata spagnola e viceré di Navarra.

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The history of sabaudian mountain artillery during the War of Austrian Succession (1740-1748)

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Il Cannone Disgiunto di Ignazio Bertola

Giovanni Cerino Badone

Nel gennaio del 1743 a Torino si viveva una strana atmosfera; il Teatro Regio aveva riaperto i battenti, e ovunque si davano ricevimenti e balli. Questa apparenza festosa nascondeva, o cercava di nascondere, una realtà ben diversa. Il regno di Sardegna era in guerra con la Spagna dal 25 febbraio dell’anno precedente. Il 4 gennaio il re Carlo Emanuele III era rientrato nella capitale dal fronte della Savoia alla testa di un provato esercito. I cento giorni di combattimento al di là delle Alpi erano costati ai sabaudi 9.000 perdite tra morti, feriti e prigionieri, la spesa immane di 9 milioni di lire e l’abbandono di tutti i territori transalpini1. Mentre a teatro e nei palazzi il suono dei violini mascherava la delusione per la sconfitta patita, nel grande Arsenale della capitale si stava lavorando alacremente per riarmare i reparti impegnati nella precedente campagna.

1. I progetti De Vincenti e Gioannini. Un gruppo di ufficiali d’artiglieria, tenendo a mente le recenti esperienze di combattimento, stava ideando nuovi

materiali adatti ai futuri scenari di guerra. Due maggiori del Battaglione d’Artiglieria2, Giuseppe Nicolò Gioannini e Felice De Vincenti, giunsero contemporaneamente alla conclusione che l’esercito sabauda doveva essere al più presto dotato di nuovi pezzi adatti ai teatri operativi di montagna. Questi ufficiali ritenevano, infatti, che l’armata imperiale e i reparti sabaudi distaccati in guarnigione nella Pianura Padana fossero per il momento più che sufficienti a tenere a bada l’armata spagnola d’Italia del conte di Gages3. Al contrario occorreva prepararsi a combattere sul fronte alpino. Gli spagnoli erano ora padroni della Savoia e potevano contare sull’interessata neutralità francese per colpire a loro piacimento l’intero arco delle Alpi occidentali. Non solo, ma all’occorrenza avevano anche la possibilità di poter forzare i passi svizzeri e calare nel milanese attraversando i grigioni e il vallese. Inoltre non era da escludere una futura alleanza franco-spagnola, evento questo che avrebbe reso prioritaria l’organizzazione della difesa del fronte occidentale.

L’esercito di Carlo Emanuele III non disponeva, in quel primo scorcio del 1743, di materiali d’artiglieria adatti alla guerra in montagna. Dal 1712 non veniva più condotta una campagna sulle Alpi, mentre l’ultimo combattimento di una certa intensità della Guerra di Successione Spagnola, la Battaglia del Gran Vallone, avvenuta il 16 settembre 1711 a 2.103 metri di quota, aveva visto i contingenti sabaudi privi di qualsivoglia appoggio d’artiglieria. Nella Guerra di Successione di Polonia non era stata avvertita, per ovvie ragioni geografiche, la necessità di disporre di artiglieria da montagna, dal momento che i campi di battaglia di tale conflitto ebbero come scenario la Pianura Padana. In Arsenale esistevano smerigli da 16, 10 e 6 once. Sei di questi pezzi furono impiegati in combattimento in Savoia; Furono impiegati quattro smerigli da 16 e due da 6 once. Tuttavia, sebbene la leggerezza di questi materiali li rendesse adatti ad operare in quota, lo scarso peso della palla scagliata (rispettivamente 491,2 e 184,2 gr), faceva sì che la presenza di

1 Dopo un inizio assai promettente, con le armate congiunte austro-sarde in grado di respingere, senza maggiori combattimenti, le forze spagnole dalla pianura Padana sino a Savignano sul Rubicone, occupata il 9 agosto 1742, si era in seguito aperto il fronte della Alpi. L’Armata di Provenza, circa 17.000 uomini e 22 pezzi d’artiglieria guidati da don Filippo di Borbone e dal tenente generale conte di Glimes, attraversando i territori neutrali del Regno di Francia, aveva sferrato un’offensiva contro le frontiere occidentali sarde. Un primo tentativo di passare il Varo, presidiato da 3.000 sabaudi e 1.800 fanti di marina britannici, risultò impraticabile anche a causa del rifiuto della repubblica di Genova di consentire il passo. Glimes aveva allora deciso di puntare sul Monferrato discendendo la Valle Stura di Demonte, ma non disponeva di un parco d’artiglieria sufficiente per assediare il forte di Demonte. I comandanti spagnoli avevano preferito allora dirigersi sulla Savoia, la quale era completamente sguarnita. Occupata questa gli spagnoli sarebbe calati in Piemonte dal Piccolo San Bernardo, oppure direttamente nel milanese attraverso il Vallese e i Grigioni. Il 1 settembre 1742 l’Armata di Provenza entrava in Savoia, e in pochi giorni la provincia risultava del tutto occupata e sottomessa. Carlo Emanuele III aveva quindi abbandonato la campagna nella Romagna e si era portato sulle Alpi, attaccando il nemico il 30 settembre. La manovra, riuscita e ben condotta, consentì di recuperare la Savoia entro il 16 ottobre. Il 18 dicembre, rinforzato da nuovi reparti, il marchese di Las Minas, che aveva sostituito Glimes, invase nuovamente il territorio sabaudo. Ritenendo l’attacco spagnolo una semplice dimostrazione, Carlo Emanuele III non valutò correttamente il pericolo. Infine, accortosi dell’errore, tentò lo sganciamento, ma dovette aprirsi la strada per i passi combattendo in più occasioni. L’ultimo reparto sabaudo rientrava in Piemonte il 10 gennaio 1743. 2 L'artiglieria includeva uno stato maggiore, 12 ingegneri, 2 maggiori, 3 capitani, una compagnia franca di Sardegna e il Battaglione d'Artiglieria su una compagnia maestranza, 1 minatori, 1 bombardieri e 5 di cannonieri. Nel 1734 le compagnie salirono a 12 e nel 1735 a 20. Il Battaglione d'Artiglieria (712), riordinato il 16 aprile 1739, contava 1 stato maggiore (12) e 12 compagnie numerate in ordine progressivo (1a-12a) di cui 10 (8 cannonieri, 1 bombisti, 1 zappatori) con 60 uomini e 2 (minatori e maestranza) con 50. Compito dei bombisti era di concorrere alla fabbricazione della polvere, caricare le bombe, le granate e i relativi "tempi" e servire le batterie di mortai. Il 23 maggio 1743 l'organico crebbe di 300 uomini (28 per compagnia più 6 minatori e 14 maestranze) e il corpo fu elevato al rango di Reggimento d’Artiglieria, sdoppiato nel 1747 in 2 battaglioni con 16 compagnie (11 cannonieri e 4 specialisti) e la forza di 1.400 uomini. Dal Consiglio di artiglieria, fabbriche e fortificazione, presieduto dal Gran maestro (Vittorio Amedeo Seyssel, Marchese d'Aix e di Sommariva), dipendevano anche il personale delle piazze, la compagnia franca di Sardegna (49), l'arsenale di Torino, la fonderia e le fabbriche di Valdocco e il corpo degli ingegneri (1 colonnello, 1 tenente colonnello, 1 maggiore, 4 capitani, 6 luogotenenti e 11 sottotenenti). 3 Jean Thierry Dumont, conte di Gages (Mons 1682 – Pamplona 1753). Fu insignito del titolo di Cavaliere del Toson d’Oro. Combattè al servizio di Filippo V di Spagna. Terminata la Guerra di Successione Austriaca, terminò la sua carriera a Pamplona, come capitano generale dell’armata spagnola e viceré di Navarra.

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queste armi avesse un’importanza più psicologica che effettiva. I seguito si giunse a ritenere gli smerigli del tutto ininfluenti, se non inutili, come arma di appoggio alla fanteria4;

Il desiderio di avere delle Artiglierie al seguito di un’armata, che guerreggia fra i divisati monti, ha fatto ideare gli smerigli, e altri cannoncini di tal fatta del peso di rubbi 7 in 9 per essere trasportati dai muli. Il vantaggio, che da queste Artiglierie si ricava, è così meschino, che non merita in alcun modo la spesa, che far non conviene pel mantenimento di simili traini.

La rete di stradale che i traini avrebbero utilizzato per raggiungere il fronte rappresentava un’ulteriore problema. Le

frontiere occidentali del Regno di Sardegna erano attraversate da almeno 47 passi, otto dei quali potevano essere raggiunti con l’artiglieria ordinaria, mentre dei restanti trentanove solo ventidue disponevano di mulattiere in grado di poter essere valicati da bestie da soma. Alcune di queste vie di comunicazione erano, tuttavia, estremamente esposte o in pessime condizione, tanto da rendere necessari restauri o manutenzioni straordinarie e continue.

La possibilità di trasporto su bestie da soma, la leggerezza e un calibro sufficientemente potente erano le specifiche ottimali che i nuovi pezzi dell’artiglieria da montagna avrebbero dovuto esibire.

Il maggiore Gioannini ideò due pezzi d’artiglieria, di 2 libbre la palla. La leggerezza delle componenti metalliche doveva essere la caratteristica principale di questi nuovi cannoni. Il primo esemplare, in bronzo, pesava 12 rubbi (110,64 kg.), mentre il secondo, fuso in ottone, raggiungeva il peso di 17 rubbi (156,74 kg.). Per contro, al maggior peso corrispondeva una canna più lunga, 22 calibri rispetto ai 20 del pezzo in bronzo.

De Vincenti, dal canto suo, propose un disegno di un pezzo d’ottone da 2 libbre, più robusto di quello del maggiore Gioannini, dal momento che giungeva a pesare non meno di 28 rubbi (257,6 kg.). De Vincenti, tuttavia, non si fermò qui; rispolverò il vecchio progetto, dovuto probabilmente all’ingegnere Antonio Bertola, dei cannoni disgiunti. Tra il 1681 ed il 1705 il fonditore dell’Arsenale di Torino, François Hamonet, aveva fuso 4 pezzi curtò disgiunti da 12 libbre, del peso di 64 rubbi (590 kg.) e in cannone curtò anch’esso disgiunto da 18 libbre del peso di 71 rubbi (655 kg.). La caratteristica peculiare dei curtò disgiunti fusi da Hamonet era quella di impiegare una canna divisibile in due sezioni, unite mediante chiavi e chiavette di ferro. Anche al di là delle Alpi i francesi aveva tentato analoghi esperimenti, sebbene assai più semplici nel disegno rispetto ai pezzi sabaudi5. Dopo queste fusioni i cannoni disgiunti non erano stati più realizzati o ripresi, sino a quando il De Vincenti ritornò a lavorarci sopra nel gennaio del 1743. Con opportune modifiche, ed impiegando un calibro più consono alle operazioni di montagna piuttosto che degli ingombranti e pesanti 12 e 16 libbre, si poteva ottenere un singolare cannone da montagna, facilmente trasportabile a dorso di mulo. De Vincenti progettò così un pezzo disgiunto da 2 libbre, del peso di 28 rubbi (258 kg.). Divisa la canna in due pezzi, ciascuno dei due muli impiegati nel trasporto della canna sarebbe stato caricato di un peso di circa 129 kg.

I due ufficiali elaborarono le loro idee in brevissimo tempo, ed entro la fine di gennaio avevano già consegnato i loro progetti all’Azienda Generale d’Artiglieria. I disegni furono esaminati dal sovrano, il quale, prima di esprimere un giudizio, richiese il parere delle maestranze dell’Arsenale e degli ufficiali d’artiglieria reduci dalla recente campagna in Savoia.

Al fonditore, Francesco Antonio Cebrano, furono richiesti vari pareri di ordine tecnico circa la realizzazioni di queste particolari artiglierie. Il 1 febbraio 1743 fu consegnata all’Azienda Generale d’Artiglieria la sua risposta scritta6:

Esaminare in primo luogo a qual peso più o meno rileveranno i pezzi contenuti nelli 4 dissegni.

Se vi abbia il Sig.r Fonditor Cebrano qualche difficoltà, sia nelle ricchezze, che per il getto, in

vista della prova che devono subire.

Qual tempo vi voglia per compitam.te dar alla prova li sud.ti pezzi, quali sono progettati per

montare sovra muli.

Del Sig. Mag.re Gioannini. Il disegno del cannone di calibro Lb 2 di Boche 20, di peso non meno R. 12. Altro di nuova Invenz.one di Boche 22, d’ottone di peso non meno R. 17. Del Sig. Mag.re De Vincenti.

4 PAPACINO D’A NTONI 1775, p. 345. 5 I pezzi francesi disgiunti fusi alla fine del XVII secolo avevano le due sezioni della canna unite tra loro solo tramite l’incastro maschio-femmina della canna. Ne furono realizzati alcuni esemplari a Perpignan dal fonditore Mr. Faute. Nessuna chiave fissava tra loro le due sezioni e proprio a causa di questa intrinseca debolezza gli artiglieri francesi preferirono continuare ad impiegare pezzi fusi in un solo pezzo. Tuttavia leggeri pezzi de nouvelle invention, pensati per essere trasportati con affusto da un solo mulo, non furono del tutto dimenticati, tanto che il Saint Remy li disegnò e li descrisse nel suo Mémoires d’Artillerie. Nel 1744 gli ufficiali francesi che osservarono i cannoni disgiunti Bertola e che avevano avuto la possibilità di sfogliare il Saint Remy riconobbero come invenzione francese i pezzi catturati. SERUREY DE SAINT REMY 1697, pp. 173-174. 6 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria. Memoria alle Segreterie, 2, 1743 – 1744, p. 35.

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Dissegno d’un cannone ord.io d’ottone 2 di Boche 28 di peso non meno R. 28. Il Fonditore non promette per li sud.ti pezzi che resistano alla solita prova, mentre alle loro proporz.ni sono legieri in metallo. In quanto al Tempi il Fonditore dice non poter dar gettati li sud.ti pezzi, cioè li 3 primi che in due mesi di tempo doppo ricevuto l’ordine, e che rispetto al disgionto vi vogliono per il meno mesi tre, con ciò si facino tutti li sud.ti pezzi tenivellare alla R.a Fucina.

Rispetto alle difficoltà per il getto de sud.ti pezzi il Fonditore non ne ha nessuna salvo che gli

restano necessarie qualche spiegazioni per il pezzo di nova Invenzione, e per il disgionto.

Cossì ha risposto d.o Fonditore alla memoria controscritta oggi il p.mo febbraio 1743.

Francesco Antonio Cebrano sostanzialmente dichiarava possibile la fusione, salvo un periodo di prova e di studio di circa due mesi. Evidentemente i progetti a lui sottoposti davano, a causa la leggerezza della canna e le sue ridotte dimensioni, qualche problema tecnico. Oltretutto i pezzi disgiunti rendevano necessario un lungo lavoro di rifinitura a causa dell’incastro delle due sezioni della canna, facendo ascendere i tempi di consegna a tre mesi. Ciò che più preoccupava il fonditore era la leggerezza delle canne, della quali non garantiva la tenuta alle prove di tiro. Per il resto non sussistevano altri problemi.

Il 3 febbraio fu consegnato a Carlo Emanuele III il parere degli ufficiali del Battaglione d’Artiglieria7:

Avendo S.M. commandato che da Sig.ri Uffiz.li d’Artiglieria s’esaminasse, se potevano gettarsi Pezzi di cannoni portabili sovra muli si maggior calibro di quelli, che hanno servito nella campagna di Savoja, sono stati rimessi all’Ufficio Gen.le dell’Artiglieria quattro dissegni per cannoni da Lb 2, due formati, e sottoscritti dal Sig.r Maggiore Gioannini, e li altri due formati, e sottoscritti dal Sig.r Maggiore De Vincenti. Li due pezzi progettati dal Sig.r Maggiore Gioannini sono, uno ordinario di Boche 20, e di peso non meno R.o 12. E l’altro di nova Invenzione di Boche 22 di peso non meno R.o 17. Li due altri progettati dal sig.r Maggiore De Vincenti sono, uno pur ordinario, ma di Boche 24 di peso non meno R.o 18. E l’altro disgiunto di Boche 28, e di peso R.o 28. Con riserva visto l’esito del getto, e prova delli diversi pezzi pred.i, di poscia meglio risolvere. Ora l’Uffizio sud.o ha l’onore di far presente quanto lontano siasi con tali esperimenti d’ottenere per la campagna prossima l’intento da S.M. coms.a voluto, se si considera il tempo che vi vuole a far le sagome, e forme, quello per gettarli, tenivellarli, e poscia risolvere, sovra di che apponto essendosi communicati d.ti dissegni al Fonditore Sig.r Cebrano dice questo non poter dar terminati li tre primi, che fra due mesi, e rispetto al disgionto, per il meno fra mesi tre. Dice poi oltre lo stesso Fonditore, che non intende egli che sia a di lui risigo la prova per esser tutti detti pezzi molto legieri in metallo, e che nel resto gli restano necessarie alcune spiegazioni in risguardo a dissegni del pezzo disgionto sud.o, e di quello di nova Invenzione. Premesso quanto s.a ha il presente Ufficio l’onore di far pur presente esser vero, che tra li 12 pezzi che hanno servito in d.a Campagna della Savoja, ve ne sono di quelli inferiori al calibro d’una Libra, ma che quattro se ne hanno del calibro di lb. 1 1/3 avantaggiato.

Che la differenza tra una palla di questo calibro a quella di Lb 2, pare quasi insensibile, e che

standosi a tali pezzi che già si hanno, per il maggior numero, che stimerà S.M. di farne gettare,

s’averanno questi più prontamente, con maggior sicurezza, e senza spesa di sperimenti incerti,

oltre poi la difficoltà nel trasporto di pezzi, de pesi sovradesignati, sovra muli, e per strade in

Montagna.

E sicome, comunque piaccia a S.M di determinare, resta necessario all’Uffizio Gen.le dell’Artiglieria l’ordine della M.S., per trattarsi massime di pezzi, da gettarsi oltre al numero bilanciato, se ne supplica pertanto la Segreteria di Guerra. Torino Li 3 febbraio 1743

Dati i problemi di fusione e prova questo consiglio di ufficiali dichiarava che le artiglierie prese in esame non

sarebbero state pronte prima di due mesi. Addirittura si arriva a tre mesi per il pezzo disgiunto; dunque, ammesso che si iniziasse lo stesso mese di febbraio a preparare le forme, le nuove artiglierie sarebbero state disponibili per le prove non prima di maggio. Si faceva quindi notare che in Savoia si era combattuto con pezzi da libbre 1 e 1/3 (0,48 kg); che

7 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria. Memoria alle Segreterie, 2, 1743 – 1744, p. 37.

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senso aveva imbarcarsi nella realizzazione di nuovi materiali da 2 libbre (0,72 kg), la cui differenza di peso del proiettile era effettivamente minima? Inoltre si metteva in dubbio le capacità di movimento di tali pezzi sulle mulattiere alpine. Meglio continuare con la costruzione dei pezzi da 1 libbra e 1/3, che al momento sembravano essere quanto di meglio poteva dare l’artiglieria sabauda per la guerra in montagna.

Forte di questi pareri Carlo Emanuele III decise la sospensione di ogni sperimentazione. Tuttavia, nel luglio del 1743, si ricordò di gratificare il maggiore Gioannini8;

Il singolare gradimento con cui rimiriamo la zelante servitù, quale dà longo tempo ci presta Giuseppe Nicolao Gioanini, decorato del Grado, ed anzianità di Maggiore della nostra Fanteria, per servire presso la nostr’Artiglieria in Campagna, invitandoci a fargli rissentire sempre maggiori gl’effetti delle nostre grazie, ci siamo su tale riflesso compiaciuti d’accordargli un annua Pensione di Lire quattrocento di Piemonte d’argento a B. 20 cad.a oltre la Paga, ed altri vantaggi de quali presentamente gode nella qualità sud. V’ordiniamo per tanto di descriverlo per essa nel Bilancio Militare, e di farvelo gioire à suoi debiti tempi incominciando dalla data presente quale communicarete al Controrolo generale, e continuando in avvenire sino a nuov’ordine nostro, che tal’è nostra mente. Torino li 10 luglio 1743

C. Emanuele Bogino

2. La Battaglia di Casteldelfino del 1743. Non solo si era fermata la sperimentazione di nuove artiglierie, ma anche le operazioni belliche erano entrate in una

fase di stallo. L’8 febbraio l’armata spagnola del conte di Gages era stata respinta a Camposanto e si era ritirata su Bologna, mentre fervevano i contatti diplomatici. Il marchese d’Ormea, l’influente ministro degli esteri di Carlo Emanuele III, conduceva un doppio negoziato con l’Inghilterra e l’Impero da una parte, e Francia e Spagna dall’altra. Ad aprile le posizioni spagnole nei confronti di Torino si ammorbidirono notevolmente e sembrava che infine si fosse aperto uno spiraglio perché il regno di Sardegna potesse cambiare alleanze. Nel luglio del 1743, mentre la frontiera alpina veniva interessata da opere campali dalla Valle d’Aosta al nizzardo, la Francia offrì a Carlo Emanuele III la corona di Lombardia in cambio della Sardegna, da consegnare a don Filippo di Spagna. Per convincere i sabaudi a cedere al negoziato 25.000 spagnoli si prepararono a scendere in Piemonte concentrandosi a Montmélian, mentre altri 15.000 francesi furono inviati al campo di Barraux.

Venuto a sapere che gli spagnoli avevano allestito le loro basi logistiche a Briançon e nel Queyras, rendendo sempre più probabile un’offensiva sferrata dal Moncenisio o dal Colle dell’Agnello, Carlo Emanuele III inviò in Val Varaita tutte le forze disponibili a sbarrare quella valle. Il 6 luglio veniva stilato l’elenco dei materiali d’artiglieria per l’armata; si trattava di 4 pezzi da 8 libbre, 9 da 4 libbre, 6 da 4 libbre di nuova invenzione9, e 6 smerigli da 16 oncie e altri 6 di calibro minore. L’8 luglio veniva diramato dal re l’ordine di tenere pronto il traino e suddividerlo in brigate10.

Il 15 agosto avvenne il combattimento dell’Arpone in Val di Susa; si trattava solo di un diversivo per nascondere la vera direttrice della manovra spagnola. Il 22 agosto infatti 14.000 fanti e 6.000 cavalieri spagnoli valicarono il Galibier e scesero nel Queyras, dove si unirono con gli “ausiliari” francesi.

Ormai era una corsa contro il tempo. Era chiaro che la Val Varaita, l’unica grande valle delle Alpi occidentali a non essere sbarrata da una fortificazione permanente, sarebbe stata l’asse principale dell’offensiva nemica. La costruzione di opere campali era già stata avviata nel 1742 e l’intera armata sabauda si era già portata nell’alta valle. La diplomazia, comunque, lavorava ancora. Torino era dubbiosa della buona fede dello scambio Lombardia-Sardegna. Dubbi che furono confermati dall’efficiente servizio segreto di Carlo Emanuele III. Fu intercettata una lettera in cui il segretario francese Jean Jacques Amelot de Chaillou sollecitava l’assenso spagnolo alle richieste della corte di Torino, ricordandogli esplicitamente che un traité n’était qu’un cahier de papier aisé à déchirer11. Il 13 settembre 1743 il trattato di Worms tra Impero, regno di Sardegna e Gran Bretagna fu finalmente siglato, e il 29 settembre la guerra a Spagna e Francia venne ufficialmente dichiarata.

Già informati della decisione sabauda, i gigliati erano già in movimento dal 24 settembre per raggiungere la Val Varaita. L’offensiva era un vero e proprio azzardo, data la stagione ormai avanzata, ma il desiderio di vendicare

8 ASTO, Sezioni Riunite, Ufficio Generale del Soldo, Ordini Generali e Misti, 1743. 9 Si trattava di pezzi a retrocarica con chiusura a blocco scorrevole fusi già nel 1704 da Giambattista Cebrano e Giambattista Triulzio su modello del piemontese Giovanni Chieppo, capitano al servizio imperiale. Venivano definiti negli inventari d’artiglieria cannoni di nuova invenzione. La loro celerità di tiro era però condizionato da una scarsa potenza, dal momento che parte dell’esplosione si sfogava attraverso l’otturatore, il cui blocco di chiusura non garantiva una perfetta tenuta. 10 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 181; Il Re di Sardegna, di Cipro, e di Gerusalemme. Fedele, ed amato nostro. Dal Brigadiere, e Colonello del Reggimento della nostra Artiglieria Cavaliere De Nicola, sendosi d’ordine nostro formato lo stato del necessario per l’Artiglieria da Campagna divisa in un treno di pezzi quatro da libbre otto in quello d’altri quindeci da libre quatro per tre Brigate, come pure in un altro di smerigli dodici, da servire questi nelle montagne, vi diremo, che quando approvato il medesimo, ve lo facciamo trasmettere qui unito, acciò teniate in pronto i detti treni, e quanto ad’essi è relativo à tenore dello Stato suddetto a fine di potersi mettere in marcia ogni qual volta sarà da noi così comandato, e senza più preghiamo il Signore che vi conservi. Torino li 8 luglio 1743. 11 GAJA 1988, p. 257.

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l’affronto di Worms fece sì che Luigi XV avesse assegnato alle sue truppe e a quelle spagnole l’incarico di punire l’inganno sabaudo12.

I 24.000 uomini comandati dal marchese di Las Minas, dal marchese di Castellar e dal conte di Marcieux, avevano a loro disposizione un parco d’artiglieria di 12 pezzi da 4 lb13. Gli artiglieri franco-spagnoli dimostrarono ai colleghi sabaudi che era possibile far transitare cannoni di medio calibro anche a notevoli quote, attraverso passi alpini ritenuti impraticabili alle artiglierie. I fossati scavati dai sabaudi a sbarramento del valico nel 1742 furono colmati e i pezzi furono trascinati oltre il Colle Vecchio dell’Agnello a 2735 metri di altitudine. Questa impresa, ritenuta impossibile dai comandanti superiori piemontesi, i quali evitarono di far trasferire l’artiglieria campale nei trinceramenti, consentì ai franco-spagnoli di disporre di una netta superiorità di fuoco nei pressi delle fortificazioni di Castelponte. Carlo Emanuele III aveva a sua immediata disposizione i dodici smerigli, mentre i pezzi da 4 ed 8 libbre non erano andati oltre Verzuolo, dove si era sistemata anche la cavalleria.

L’8 ottobre 1743 le quattro batterie, di tre pezzi ciascuna, non avevano smesso di martellare le difese di Castelponte in modo che la situazione

era divenuta insostenibile. Il Comandante De Roche, allora, durante la notte si ritirò per non perdere dei soldati inutilmente…14. Il tiro francese, avvenuto del tutto indisturbato, fu piuttosto efficace contro strutture, materiali e persone15; [...] La batteria che dominava il villaggio di Ponto, essendo stata già messa in istato, incominciò così gagliardamente il fuoco

contro quei trincieramenti, che gli disfece in gran parte, non senza danno dei nostri che vi stavano dentro, i quali non tanto dalle palle di cannone venivano danneggiati, come dalle pietre degli stessi trincieramenti; essendosi quindi un corpo di Spagnuoli avanzati in sostegno della loro artiglieria, senza che potessero venir gran cosa offesi dai nostri piccoli pezzi, i quali a tutt’ora erano scavalcati dall’artiglieria nemica, fu forza mandar ordine al signor des Roches colonnello, gentiluomo irlandese, che dentro vi comandava, di doversi con la sua gente ritirare. Ricevuto un tal ordine fece egli da partire prima que’ piccoli pezzi, e quel che potè di delle munizioni, lasciando indietro per morti un officiale tedesco ed alcuni soldati, essendo maggiore il numero de’ feriti, tanto degli officiali che de’ soldati.

Per fortuna dell’esercito sabaudo gli avversari non si dimostrano tanto abili nel manovrare sul piano tattico le loro truppe quanto le artiglierie tant’è che, dopo la presa della ridotta di Castelponte, i gigliati non riuscirono ad avanzare oltre. Il 10 ottobre l’artiglieria sabauda finalmente raggiungeva il fronte, dopo che Carlo Emanuele III in persona ne aveva sollecitato l’arrivo, ritardata dalla decisione iniziale di lasciare la brigata d’artiglieria arretrata nelle retrovie e dal cattivo stato delle strade, che furono messe in condizione di supportare il traffico solo con un intenso lavoro di sbancamento. L’indomani giungevano altri quattro pezzi da 8 libbre, ponendo così l’artiglieria sabauda in condizioni di netta superiorità di fuoco.

Fallito ogni tentativo di sfondamento, il 12 ottobre 1743, in una gelida tormenta, i gigliati sconfitti furono costretti a ritirarsi, abbandonando nella neve tutto il traino d’artiglieria, recuperato dagli avversari e trasportato a Torino per le opportune riparazioni.

3. Le lezioni apprese e nuovi materiali. Le operazioni in Val Varaita si erano concluse con una vittoria, ma erano stati corsi dei gravi rischi e l’artiglieria

era del tutto mancata a causa di un errore di valutazione e della qualità dei materiali impiegati. Nonostante gli affannosi lavori lungo le strade e la continua e lenta marcia, mai sospesa neppure nelle ore notturne, i cannoni non erano giunti in tempo. I comandanti sabaudi già sul campo di battaglia avevano iniziato a biasimare, che non si fosse pensato di far accomodare le strade per farvela condurre, e massimamente che i nemici essendosi avvicinati con tutto l’esercito, ed essendosi portati su della montagna dirimpetto a quella che occupavano i nostri alla destra, vi erano alloggiati quietamente, e si erano messi a lavorare ad una batteria, la quale dominava affatto il villaggio, ed il piccolo castello di Ponto, quandochè se dalla nostra parte vi fossero stati dei cannoni si sarebbero ben indietro tenuti i nemici16. Così, mentre in duomo a Torino Carlo Emanuele III faceva celebrare il Te Deum, in Arsenale si tornava a discutere sulla necessità di nuovi pezzi per la guerra di montagna, discussione che era stata interrotta nel febbraio dell’anno precedente.

Il re ordinò che i progetti di Gioannini, quelli che l’avevano impressionato maggiormente, fossero nuovamente esaminati, studiati, migliorati ed eventualmente realizzati17;

12 L’offensiva gigliata aveva, per la verità, obbiettivi limitati. Dato l’autunno si intendeva occupare la Val Varaita, porvi i quartieri d’inverno in attesa di sboccare in pianura nella primavera del 1744. ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, p. 123. 13 MINUTOLI, Atlante, Vol. I, p. 30; Stato de Cannoni di Metallo presi alli Spagnoli sul Monte l’Agnela, con Armi di Francia in numero di 12 inchiodati di calibro libbre 5 1/3 di Piemonte. Le Brigand, (peso in libbre di Francia), 1246; l’Orateur, 1292; L’Husteur, 1270; L’organiste, 1223; Le Vojailler, 1272; Le Marechal, 1236; Le Notaire, 1264; Le Canceiller, 1270. Con Armi del Marechiale d’Humieres gettati in Pariggi 1690. Senza nome in numero di 4, 1176; 1168; 1176; 1134. Con le Armi de Duca Luiggi Augusto di Borbon du Maine.

14 MINUTOLI, Vol. I, p. 442. 15 GALLEANI D ’A GLIANO 1840, p. 91. 16 GALLEANI D’A GLIANO 1840, pp. 89-90. 17 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II , p. 197.

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Volendo S.M. avere per la prossima Campagna Cannoni da Libbre 4 agevoli quanto più sarà possibile ad esser trasportati per servirsene nelle montagne, ha commandato all’Intendente Generale infras.to, a cui sono già stati rimessi alcuni disegni formanti, e sottoscritti dal Sig.e Maggiore Gioannini, di far sapere all’Ill.mo Sig. Caval.e Brigadiere, e Colonnello del Reggimento dell’Artiglieria De Nicola, di ritorno che il med.o fosse nella presente Città, che chiamati què Sig.ri Uff.li d’Artiglieria, che egli stimarà, unitamente al Sig.e Maggiore Gioannini s’esamini, e si risolva tutta quella leggerezza, e minor lunghezza, à cui potranno ridursi tali pezzi da servirsene come sourà; volendo la M. S., che stabilite le regole in vista di quanto soura, sene formino i dissegni, e che sene getti nel Bisogno uno o due per Sperimento: rimettendosi unitamente alla presente memoria li presistenti dad.o Sig.e Mag.e Gioannini formati. Torino li 22 9mbre 1743 Verani Carlo Emanuele III, per mezzo dell’Intendente Generale dell’Artiglieria, faceva sì che il progettista e gli ufficiali

destinati a servirsi sul campo del pezzo da lui ideato si riunissero e discutessero delle migliorie da applicare. Il giorno dopo la trasmissione di questo ordine, il colonnello dell’artiglieria, nonché brigadier generale, Giacinto

Andrea de Nicola18, stilava l’ordine del giorno del Congresso d’Artiglieria19;

a 23 9mbre 1743 avendo avuto l’honore di humiliar a S.M. la predente Relazione a memoria trasmessami dall’Ill.o Sig.e Verani mi ha comandato di far congiungere tutti i li Sig.i Ufficiali più vechij che truovansi quivi in Torino annessi al Corpo d’Artilleria, et credersi qualche espedience possa trovarsi di farsi questo: di Cannoni del Calibro sovra descritto in d.a memoria, trasportabili da huomini o mulli è ridursi in leggerezza di metallo anzi più così da potersi condurre in su la cima delle montagne, è che con l’istessa facilità si possiano ritirare all’ocatione. Si che esaminarsi ciò che potersi praticare per rendersi il servitio accertato in magior avvantaggio che li Smarigli. (De Nicola, firma assente] Dodici ufficiali si riunirono il 26 novembre 1743; erano tutti veterani della Val Varaita e alcuni di loro sarebbero in

seguito diventi elementi di spicco nell’esercito sabaudo, come Papacino d’Antoni e Felice de Vincenti. Gioannini, presente al congresso, fu a lungo interrogato riguardo le caratteristiche del pezzo da lui inventato. Al termine dei lavori fu redatto il seguente verbale20;

Primieram.te riguardo al transportar con huomini li pezzi sud.i l.e 4 sovra le Montagne, resta impossibile l’esecuzione abbenche si riducano à minor lunghezza è ricchezza di metallo, cioè di peso rubbi trentasei circa (331,92 kg), atteso che non si può ripartire il peso sovra il 8° d’huomini che sarebbero necessarij per tal trasporto, cioè uomini sedici per cad.n Pezzo, […] come a simil numero per la muta, ed alterittanti uomini pel trasporto dell’affusto, aggiongendosi che sarà sempre più impossibilitato il transporto sud.o quando la strada sij minore della larghezza d’oncie quaranta (1,7 m), oltre il maggior spazio che si richiede ne giri.

Si crede pertanto che per assicurar il Regio Servizio, è miglior spediente sij di condurli montati sovra li loro affus coll’avantrino tanto più che atteso alla minor larghezza di detti Cannoni proposti si può adiminuir la lunghezza dell’affus, altessa delle ruote e longhezza dell’assile mediante però il previo raccomodaggio delle strade particolarmente ne giri, e deducendosene da suddetti raccorciamenti il vantaggio che si potranno effetuare le condutte per una strada della medema larghezza d’oncie 40, è per tal strada ne luoghi più rapidi, ed erti mediante huomini d’aiutto si potrà condurre con ugual facilità.

Si ricava pure dal condurre in tal maniera simili cannoni l’essensial vantaggio d’evitar molte manovre poiché subito gionti al luogo destinato puonno immediatamente servire. Siano perciò entrati in sentimento di far gettare uno, o due di detti cannoni secondo il disegno del Sig. Magg. Giuvannini per indi divenire alle prove che puonno accertare il Reggio Servitio. Torino 26 9.bre 1743 Sottoscritti Giouanni Magg.e d’Infanteria, e dell’Artig.a di Campagna senza paga, De Vincenti, Bossolino, Pisselli, C.e Ferrero di Ponsilione, Porro, D’Insigni, Tappia, Medaglio, Gustapan, Ronsin, D’Antoni, Casotti. Se all’inizio dell’anno il pezzo di Gioannini era stato giudicato come superfluo per le necessità dell’esercito, le

condizioni operative della Val Varaita avevano invece dimostrato che tra i 4 libbre da campagna ordinari e le leggere spingarde someggiabili non c’era alcuna soluzione intermedia. Dato che le strade della Val Varaita erano, comunque, tra le meglio attrezzate delle Alpi, c’era da aspettarsi che l’esercito sabaudo si sarebbe spesso confrontato col nemico sprovvisto del necessario supporto d’artiglieria. A febbraio si era espresso un giudizio in base al calibro, piuttosto che sulla mobilità. Il pezzo di Gioannini poteva essere trasportato già montato su strade larghe sino a 1,7 m, dopo di che il transito gli era di fatto impossibile. Caratteristica questa che però lo rendeva ideale ad operare in appoggio ad

18 Giacinto Andrea de Nicola, fu colonnello del Battaglione e poi del Reggimento d’Artiglieria dal 10 marzo 1732 all’8 febbraio 1757. 19 Supra nota 17. 20 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II , p. 196.

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apprestamenti difensive di fondovalle o al seguito di reparti schierata in situazioni tattiche simili a quelle della Val Varaita.

Il congresso d’artiglieria determinò così di farne fondere uno, o due. Il verbale della riunione fu presentato al re il 28 novembre, il quale ordinò di fondere due pezzi per esperimento il 2

dicembre 174321. Il cannone Gioannini era un passo avanti, ma non rappresentava la soluzione a tutti i problemi. Era leggero, mobile

e poteva essere trasportato con un numero relativamente esiguo di bestie da soma o uomini. Tuttavia non lo si poteva trasportare in su la cima delle montagne. Si lavorò in Arsenale tutto l’inverno per trovare una soluzione accettabile.

4. Il cannone disgiunto Bertola Nel gennaio del 1744 il primo ingegnere di S.M., Ignazio Bertola, conte di Exilles, presentò un suo progetto per un

cannone disgiunto. Bertola doveva aver seguito con interesse e curiosità la vicenda dei materiali d’artiglieria per la guerra in montagna. In quanto Direttore delle Regia Scuola Teorica e Pratica d’Artiglieria e Fortificazione aveva sicuramente avuto accesso a tutti ai disegni dei progetti e ai verbali delle discussioni, e poteva visionare direttamente di persona, essendo di servizio proprio nell’Arsenale torinese, alle varie fasi costruttive e alle prove dei nuovi pezzi. Riprendendo il progetto del capitano De Vincenti, propose un cannone da 4 libbre e uno, decisamente più complesso, da 32 libbre. L’Azienda Generale d’Artiglieria informò immediatamente il sovrano, richiedendo la fusione di due pezzi da 4 libbre e uno da 32, con la supervisione di un gruppo di ufficiali d’artiglieria, i capitani D’Antoni, Ronzino, e Quaglia, sotto il comando dello stesso Bertola. Oltretutto si faceva notare al sovrano che

[...] sicome anche S.M. ha commandato gettarsi due cannoni pur da Lb. 4, e due obici dal lb 6 secondo li dissegni del Sig.e Cavagliere Maggiore Gioanini, stati pur rimessi all’Ufficio Generale dell’Artiglieria, si supplica anche per la Reale approvazione de medemi, trattandosi di pezzi non bilanciati di nuova invenzione quanto quelli progettati dal Sig. Commendatore Bertola, e d’artiglieria Legera quanto alli due cannoni da Lb. 4 progettati dal Maggior Giovannini. Si Supplica pertanto la Segreteria di Guerra del regio Biglietto d’approvazione per il getto de prescritti tre cannoni, e per li successivi travagli che secondo detti disegni, e modelli si richiedono con l’opera di serraglieri, e tornitori, secondo le istruzioni e calcoli per essi travagli che verranno formati dal sudetto Commendatore Bertola22.

Ignazio Bertola nel 1744 era all’apice della carriera; primo ingegnere di S.M, era stato ideatore e costruttore delle

principali fortezze del regno, incarichi che gli erano valsi nel 1742 il titolo di conte di Exilles. La sua proposta non venne neppure posta al vaglio del Congresso d’Artiglieria, e la segreteria inviò direttamente al sovrano modelli e disegni, con la preghiera di autorizzare immediatamente la fusione di due esemplari. Oltretutto i tre ufficiali incaricati di controllare i lavori sarebbero dovuti essere a loro volta diretti dal Bertola stesso! I lavori, come ricordato nella nota trasmessa al sovrano, erano comunque piuttosto complessi e buona parte dei particolari di costruzione non erano ancora stati definiti. Eppure il 1 febbraio l’Azienda faceva ufficiale richiesta per la produzione di ben tre esemplari. Il desiderio dell’Azienda venne accolto dal re il 5 febbraio23;

Fedele ed Amato nostro. Essendovi stati, d’ordine nostro, rimessi dal Conte Bertola Primo nostro Ingegnere li dissegni, e Modelli per li due cannoni di nuova invenzione dal medemo progettati per servire nelle montagne, è mente nostra, che oltre alli Pezzi già bilanciati, se ne gettino per ora due del calibro da L. 4, ed uno del calibro da L. 32, sotto l’ispezione degli Ufficiali nel Reggimento della nostr’Artiglieria D’Antoni, Ronzino, e Quaglia, e che si facciano li successivi travagli, che coerentemente a detti dissegni, e Modelli si richieggono, con l’opera di Serraglieli, e Tornitori, secondo le Istruzioni, e Calcoli per essi Travagli, che verranno dal predetto Conte Bertola formati. Vogliamo inoltre che si gettino due cannoni pure di L. 4, e due obici da L.re 6, secondo li dissegni del Maggiore del detto Reggimento Gioannini stativi parimenti rimessi, onde dovrete dare le disposizioni, che dipendono dal vostro Ufficio, per l’esecuzione di tutto quanto sovra, e communicarete il presente al controllo nostro Generale, mentre senza più preghiamo il signore che vi conservi. Torino il dì 5 Febbraio 1744 C. Emanuele, Bogino All’Intendente Generale della nostra Artiglieria: Verani. Il re continuava a credere alla bontà delle armi proposte da Gioannini, secondo il progetto del quale ora venivano

fusi anche due obici da sei libbre. Quasi in contemporanea Carlo Emanuele III autorizzava il progetto del cannone rigato a retrocarica di Francesco

Jenner24. Questo pezzo, poco più di una spingarda, era in grado di scagliare un proiettile di piombo da 16 once (0,55

21 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II, p. 198; Avendo io Sottoscritto Collonello del Re.to Artig.a avuto l’onore di riferire sotto li 28 9mbre 1743 or scorso a S.M. l’avanti scritto sentimento hà la M.S.a comandato che si gettino due delli proposti Pezzi per esperimento. Torino li 2 X.e 1743. Sottoscritto Cavag.e De Nicola. 22 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria. Memoria alle Segreterie, 2, 1743 – 1744, p. 23. 23 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 3, 1730-1746, p. 144. 24 Francesco Jenner era figlio di Claudio Jenner, di Besançon, nella Franca Contea, fabbro e fornitore di baionette almeno dal 1703.

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kg). La rigatura (sedici solchi elicoidali) sembrava garantire al pezzo una buona prestazione balistica, mentre la retrocarica facevano sì che il cannone Jenner fosse l’ideale per operare al riparo dei trinceramenti alpini, senza dover ritirare ogni volta il pezzo per le necessarie operazioni di ricarica. Tuttavia Jenner, per quanto abile ed apprezzato, non era Bertola e il suo cannone passò il vaglio del Congresso d’Artiglieria solo il 21 gennaio 174525.

5. Le caratteristiche tecniche del Cannone Disgiunto. I due modelli presentati dal Bertola nel gennaio del 1744 all’Azienda d’Artiglieria esistono ancora; depositati

presso il museo della Regia Scuola Teorica e Pratica d’Artiglieria e Fortificazione confluirono, in seguito, nelle collezioni dell’attuale Museo Storico Nazionale d’Artiglieria di Torino26. Essi rappresentano al momento l’unica immagine di questi pezzi a noi nota. I disegni realizzati dal loro inventore già alla fine del XVIII secolo erano assenti dagli inventari dell’Arsenale27.

L’idea di base del progetto rimaneva invariata; la canna si divideva in due sezioni, tre per il modello da 32 libbre, che si incastravano tra di loro a maschio e femmina. La parte maschio era data dalla culatta. Come nei progetti più antichi non vi era necessità di avvitare o forzare tra loro le due sezioni del cannone. L’aspetto innovativo del progetto era la presenza di sbarre che rendevano solidali tra di loro le varie parti dell’arma. Questi elementi, in numero di quattro, erano sistemati in altrettanti costoloni forati per il lungo sistemati longitudinalmente sulla superficie esterna delle due sezioni del cannone. Anteriormente le sbarre presentavano una ripiegatura che si adattava sul vivo di volata, mentre posteriormente sporgevano ed erano collegate, a due a due, diametralmente opposte, da staffe che venivano ad incastrasi tra di loro ed erano a loro volta fissate alla canna da 3 chiavette a cuneo. Le sbarre erano ulteriormente fissate alle canne da quattro chiavette ciascuna. Questo espediente conferiva una robustezza decisamente superiore rispetto ai modelli di cannoni disgiunti sino ad allora progettati.

La lunghezza della canna del pezzo da 4 libbre era di 183 cm, mentre il diametro della bocca da fuoco era di 6 cm. Le due sezioni della canna erano fuse in bronzo, mentre le sbarre e le chiavette erano in ferro forgiato. La canna era a sezione circolare per il pezzo da 4 libbre, ottagonale per il pezzo da 32 libbre. Tuttavia almeno i primi due pezzi da 4 libbre prodotti ebbero la canna a sezione quadrata, con i costoloni forati sistemati in corrispondenza degli spigoli. Complessivamente la canna di ciascun pezzo era composto da due (tre per il 32 lb) sezioni, quattro sbarre di ferro, due staffe e 20 chiavette di ferro.

I cannoni disgiunti furono fusi nell’Arsenale di Torino dal fonditore Francesco Cebrano28. La produzione totale fu di sei pezzi, realizzati tra il febbraio e l’ottobre del 1744.

Se non esistono dubbi sulla forma e le caratteristiche della canna, forti perplessità rimangono sul disegno dell’affusto. Il modello del pezzo da 4 libbre è attualmente equipaggiato con un affusto in legno, sul disegno di quelli in dotazione all’artiglieria da campagna. L’alzo dell’arma è però di fatto impossibile, in quanto i costoloni forati si appoggiano alle caviglie di legno che raccordano tra di loro le cosce della cassa, incastrandosi ad esse. Oltretutto le grandi ruote a raggi facevano sì che la volata non potesse sporgersi oltre il parapetto dei trinceramenti, rendendo difficile, se non impossibile, il tiro a mitraglia alle corte distanza. Pertanto è assai probabile che i due pezzi fossero montati su quegli affusti specializzati che già dalla seconda metà del XVII secolo erano stati ideati ed impiegati per la

25 L’arma si rivelò, nonostante il calibro leggero, piuttosto efficace ed ebbe una lunga vita operativa. I primi due esemplari, forgiati e montati alla fucina di Valdocco già nella primavera del 1744. Il 9 aprile il re ordinava che il prototipo del pezzo fosse trasferito all’armata insieme a 12 spingarde (ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II, p. 221). L’ordine fu confermati tre giorni più tardi con il Regio Viglietto del 12 aprile 1744. Nello specifico la brigata di smerigli con il pezzo Jenner dovevano recarsi a Fossano (ASTO, Sezioni Riunite, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 290). Il pezzo piacque particolarmente a Carlo Emanuele III, che ne ordinò un certo numero, spedendone due a Cuneo il 13 agosto 1744. Sembra che la produzione totale sia stata di 12 esemplari. L’anima della canna in ferro, lunga 1600 mm e pesante appena 52 kg, era solcata da 16 rigature elicoidali con passo di 1000 mm. Il proiettile era in piombo e veniva forzato dalla culatta tramite un corto calcatoio. La culatta era incernierata al resto della canna e chiusa da un passo di vite forzato da una leva. Prove effettuate nel 1791 comparando il tiro del canone Jenner con esemplari a canna liscia dimostrarono come queste artiglierie, precoci rispetto i tempi date le difficoltà di lavorazione degli incastri e delle parti meccaniche, avessero delle prestazioni tutto sommato simili a quelli a canna liscia, mentre la loro precisione lasciava piuttosto a desiderare. Un esemplare del cannone Jenner è ancora esistente presso le collezioni del Museo Storico Nazionale d’Artiglieria di Torino (N. 137 P 125). STERRANTINO 1994, p. 33. 26 I modelli esistenti riproduco i due modelli dell’arma. Il modello del pezzo da 4 libbre (831 T 19) ha la canna in bronzo in bronzo e le sbarre e le forniture in ferro. É montato su un affusto, probabilmente posteriore, colorato di verde oliva con forniture in ferro. Il modello del pezzo da 32 libbre (832 T 20) è invece in legno, con forniture in ferro. Non è da escludere che l’esemplare in bronzo sia una realizzazione posteriore di un precedente modello in legno. Il che spiegherebbe la diversa sezione della canna riscontrabile con le descrizioni fatte dagli ufficiali francesi che videro il pezzo alla Battaglia di Pietralunga. I modelli sono in buono stato di conservazione, anche se alcune chiavette sono mancanti. Parte di queste sono ricoperte da ossido, al punto che nessuno dei due esemplari può essere al momento smontato. La descrizione dell’incastro maschio/femmina si basa pertanto sulla testimonianza fotografica presente in MONTU’ 1934, p. 1220. 27 ASTO, Sezioni Riunite, Carte diverse d’artiglieria, 2, 1740-1800. Il 26 novembre 1789 nell’inventario dei disegni dell’Arsenale non risultava alcun disegno del cannone disgiunto del Bertola. 28 Francesco Antonio Cebrano, fonditore per le fondite, e getti de cannoni, colovrine, Mortari, e Campane, fu assunto dall’Arsenale di Torino con il contratto del 14 febbraio 1731, appresso mezzogiorno. Era il figlio di Giovanni Battista Cebrano, fonditore per SM dal 3 luglio 1702. Francesco già lavorava in Arsenale, nominato assistente del padre il 2 febbraio 1725, con una paga di 300 lire (Il Padre percepiva L. 400). Fu nominato Mastro Fonditore il 13 novembre 1727, causa inabilità all’esercizio del padre attesa la sua avanzata età. I lavori previsti per il 1730 furono tutti portati avanti dal figlio. Fu in seguito necessario regolarizzare il contratto di Francesco, dal momento che Giovanni Battista si ritirò del tutto dal lavoro a causa anche della disgrazia sofferta nella fondita del 1729 e la cascata, da cui in occasione d’essa fondita è stato maltrattato. Francesco Antonio alloggiava in Arsenale, godendo di due razioni di pane al giorno e L. 600 di stipendio. ASTO, Sezioni riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II, p. 30.

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guerra di montagna. Le ruote erano di legno, piccole (il diametro non superava i 30 cm), piene e ferrate, poste al termine di due lunghe stanghe incernierate alla parte frontale dell’affusto e che, all’occorrenza, potevano essere ripiegate al di sotto delle cosce per il trasporto su bestie da soma. Queste caratteristiche facevano sì che il pezzo potesse essere avvicinato alle pareti interne dei trinceramenti e la volata sporgere verso l’esterno o, comunque, nell’embrasura della batteria29. L’alzo era in ogni caso dato dai cunei di legno posti al di sotto della canna, presenti negli elenchi delle dotazioni dei pezzi.

Il pezzo da 32 libbre non fu completato. La canna, lunga 288 cm, risultò troppo impegnativa da realizzare sia come fusione che come rifinitura. Inoltre le intrinseche problematiche riguardanti il suo trasporto presso le batterie in quota sconsigliarono la prosecuzione di questo progetto

Nel maggio del 1744 i lavori si concentrarono attorno ai pezzi da 4 libbre, che furono collaudati, forniti dei loro affusti e completati con tutti gli strumenti necessari al loro funzionamento, manutenzione e trasporto. Il 31 maggio il colonnello De Nicola elencava le necessarie forniture per i cannoni disgiunti e il numero dei muli necessari al loro trasporto al fronte30;

Stato di quanto vien necessario per la Dottazione delli due Cannoni disgionti di nuova invenzione dell’Ill.mo Sig.r Conte, e Commendatore Bertola Cannoni in due pezzi con le loro barre, 2; 6 muli: Affus per li detti con sue Ruote, 2; 4 muli: Armamenti per li medesimi compita la riserva, 3; Barre da Cannone piccole, 8; Mezze Leve piccole, 2; Cuni di mira, 4; 1 mulo e 2 di riserva: Buratoni carricati, 500; 5 muli: Palle armate cò suoi culotti, 300; 5 muli: Rasini, 200; 6 muli: Polvere per la Morza, Lb.10; 1 mulo: Forraggj, 500; Sachi per li medemi, 2; Sechie di corame, 2; Cavaletto compito qual serve di capra, 1 Aguecciotta a sgorbia Tenivella e Triangolare, 1; 1 mulo: Altre d’ottone, 4; Mechio, Lb. 5; Bazana, Lb. 1; Solfarini, Lb. ½; Assaalini, 3; Pietre da focile, 20; Lanterne, 8; Lanternini, 2; Cera in flambò, lb 1; Torchie a vento, 12; Chiodi d’acciaio, 4; Corda da Las, Lb 2; Corda d’imballo, lb 1; 1 mulo: Pichi a ponta e taglio, 6; Badili, 6; Falcetti e Marazzi, 6; Palli di ferro, 1; Copercietti per le lumiere dei cannoni, 2; Misure di tolla da Lb1 e l’altra da Lb 2, 2; Sachi a terra, 30; Sachi a polvere, 6; 1 mulo: Delle cerrate da Mullo, 34; Acciaio bagolino, Lb 6; Pistoletti da Minatore, 2; Agguciette di ferro, 1; Altro Pistoletto per caricar le mine ed una renura, 1; Masse di ferro 1 piccola, ed 1 grossa manicate, 2; Martelli ordinarj, 2; Lime da due al mas, 6; Distretti a Gamba, 1; Arcarcori di due qualità, 2; Tondino grosso Bachette 3 di Long.a pied. 3 circa, 3; Quarrone, Bachette, 1; Tenaglie a chiodi, paia 2; Scalpelli da ferraro, 3; Ferro, cerchiame, R.o1; Chiodi quarantini, lb 10; Brocconi doppi, Lb 5; Oglio d’ollivo in una botte di ferro bianco, lb 4; Coltelli a due Manichi 1; Rabotti, 1; Scalpelli di diverse qualità, 3; Resighe montate, 2; Lime per esse, 2; Pietra mola di diametro once 6, 1; Tenivelle piccole, 2; Tenivellotti assortiti, 8; Songia, Rb. 1; Basti Armati, 4; 1 mulo: Torino li 31 maggio 1744 Cavagliere De Nicola

La quantità di materiali che i due pezzi necessitavano era veramente notevole. Ad un primo conteggio servivano non meno di 32 muli carichi e 2 di riserva; una vera e propria brigata a se stante! La dotazione di munizione ottimale fu stimata in 300 palle piene dotate di staffa di legno e 200 cartucce di mitraglia “a grappolo”31. Il propellente era dato da 500 cariche; pertanto ogni pezzo aveva una riserva di 150 palle piene e 100 colpi di mitraglia.

29 Più probabilmente i pezzi disgiunti erano montati su affusti a cavalletto, adatti ad essere posti in batteria dietro i parapetti dei trinceramenti. Un affusto simile equipaggia attualmente il pezzo da montagna da 4 libbre Vallette, fuso nel 1793 da Francesco Bianco. Il cannone, completo di tutte le sue parti, è conservato al Museo Storico Nazionale d’Artiglieria di Torino. 30 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 319. 31 Le palle piene dovevano essere “armate”, ossia dotate della loro staffa lignea destinata ad essere appoggiata alla cartuccia, detta Buratone, in quanto confezionata con un involucro di stoffa. Il munizionamento a mitraglia era invece dato da cartucce a rasino; si trattava di una certa quantità di pallette di ferro sistemate a strati intorno ad una asta lignea fissata ad un tacco cilindrico. I proiettili erano sistemati a strati, circa una decina, e avvolti in una rete di spago. Al momento dello sparo l’alta temperatura e le sollecitazioni durante il percorso nella bocca da fuoco determinavano la dissoluzione

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La sola canna richiedeva l’utilizzo di tre muli, due per ciascuna sezione ed un terzo per tutte le sbarre e le chiavi di ferro. Trasportare questi pezzi nelle fortificazioni di alta quota risultava indubbiamente uno sforzo logistico quanto mai impegnativo e complesso, anche perché poi occorreva provvedere al vettovagliamento e al sostentamento degli artiglieri e dei muli, per i quali erano previste cerate per proteggerli dalle intemperie, ma null’altro.

Il 3 giugno De Nicola ricontrollava la forza dei muli necessaria per il trasporto dei due pezzi. Il numero delle bestie da soma necessarie era confermato a 34; 6 per i cannoni, 6 per l’affusto, 22 per tutti gli altri attrezzi. Canna ed affusto, anche smontati, erano pur sempre alquanto ingombranti e pesanti. Si faceva pertanto notare che per dodeci delli sud.i Muli devono essere delli più forti che si possino avere32.

6. La prova del fuoco; impiego tattico e risultati. La guerra, intanto, era ripresa. I franco-spagnoli, guidati dal principe di Conti33, avevano lanciato sin da marzo la

loro offensiva contro gli stati sabaudi. Praticamente lasciato da sola dall’alleato austriaco, deciso a tentare la conquista del Regno di Napoli, l’esercito sabaudo doveva affrontare l’attacco di 50.000 gigliati sul fronte del Varo. Evacuata l’indifesa Nizza, l’esercito del marchese di Susa si trincerò a Villefranche, dove il 20 ed il 21 aprile 1744 venne a battaglia con il nemico. Al prezzo di 2.000 perdite l’attacco fu respinto, infliggendone quasi 2.400 e catturando 500 prigionieri, ma il porto di Villefranche, ormai isolato, fu abbandonato. Dopo un mese di lenta avanzata sulla costa ligure di ponente, il 16 giugno i gigliati si ritirarono nuovamente nel Delfinato.

Appariva evidente ormai che l’armata nemica avrebbe tentato di forzare il dispositivo difensivo alpino. Il 19 giugno De Nicola redigeva l’elenco definitivo per le dotazioni d’artiglieria che avrebbero preso parte alla campagna sulle Alpi. Tra il materiale pronto per l’impiego figuravano i due pezzi da 4 libbre disgiunti34. Ormai non si attendeva altro che l’ordine di partenza, che non si fece attendere a lungo. Tre giorni dopo all’Intendente Generale Vedani giungeva il seguente Regio Viglietto35;

Fedele ed Amato nostro. Dal Maggiore Generale nelle nostra Armate e Colonnello del Reggimento d’Artiglieria Cav.re De Nicola, sentendosi d’ordine nostro formato un nuovo Stato, da lui sottoscritto, in data delli 19 corrente, di quanto resta necessario, per l’attiraglio di tre Brigate di detta Artiglieria, da numero cinque Pezzi, da libre quattro caduna, e per li due cannoni disgionti di nuova Invenzione, destinati per la Campagna, oltre le due Brigate, che già ritrovansi nella Città di Fossano, e così esclusivamente alla Brigata di pezzi quattro, da Libre otto, e di quella de Smerigli, che non abbiamo stimato di servirsi per ora, quantonque fosse così stato ordinato, col nostro Viglietto del primo scaduto aprile, ed avendo noi approvato lo Stato suddetto, vi diremo essere mente nostra, che vi diate la dovuta esecuzione, mentre le dette Brigate debbono mettersi in marcia li 24 del corrente, per rendersi cioè due a Villafaletto, ed una a Saluzzo, per unirsi alle due, già colà tradotte dalla Città di Fossano suddetta, ordinando Noi al Marchese d’Aix di non avere difficoltà di lasciare seguire l’estrazione da questo nostro Arsenale, e senza più preghiamo il Signore che vi conservi. Torino li 21 Giugno 1744. C. Emanuele Bogino Il 24 giugno i cannoni prendevano la strada di Saluzzo. Di lì furono dirottati su Villafaletto e quindi in Val Varaita.

I due pezzi furono messi in batteria alla Ridotta di Monte Passet, posta sullo spartiacque delle valli Varaita di Castello e Varaita di Bellino36. Difficilmente il nemico sarebbe riuscito a portare dei pezzi a quella quota (m. 2271); al più avrebbe potuto avere delle spingarde o armamento leggero da 1 libbra. L’intenzione era quella di ottenere una decisa superiorità di fuoco contro un eventuale assalitore della ridotta. Pertanto i cannoni disgiunti furono posizionati proprio lungo le due

dell’involucro di spago e la liberazione delle sfere di metallo, le quali, una volta espulse dall’arma, formavano un’ampia rosata. EMBSER 1732, tav. 23-24. 32 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 321. 33 Louis François I de Bourbon (13 agosto 1717 – 2 agosto 1776). Divenne Principe di Conti dal 1727, al momento della morte di suo padre, Luigi Armando II. Louis François abbracciò la carriera militare, e quando scoppiò la Guerra di Successione Austriaca nel 1741, accompagnò Charles Louis, duc de Belle-Isle, nella campagna in Boemia. Si distinse al punto da meritare il comando dell’armata d’Italia, al comando della quale riuscì a superare le Alpi e vincere la Battaglia di Madonna dell’Olmo nel 1744. Nel 1745 combattè in Germania, e nel 1746 fu trasferito sul fronte delle Fiandre, quando si pose in grave contrasto con il Maresciallo Maurizio di Sassonia. Per questo decise di ritirarsi dall’esercito nel 1747. In quest’anno gli fu offerta la Corona di Polonia da una fazione della nobiltà polacca. Le su esperanze risultarono, però, del tutto vane. La fiducia che Luigi XV aveva nei suoi confronti fu minata da Madame Pompadour; nel 1756, allo scoppio della Guerra dei Sette Anni, gli fu rifiutato il comando dell’armata del Reno. Questo fatto lo portò in perto contrasto con il re, il quale lo apostrofava con l’epiteto mio cugino, l’avvocato. La sua ostilità nei confronti della Corona fu tale che fu addiritura sospettato di aver suscitato la sommossa di Digione del 1775. Fu il mecenate di Jean Jacques Rousseau. Gli successe suo figlio, Louis François (1734-1814), che fu l’ultimo discendendete del casato a portare il titolo dei Conti. 34 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 318. Stato di quanto resta necessario per l’atiraglio di n. 3 Brigate d’Artiglieria, composte di 4 Pezzi da Lb 4 cadauna e per li 2 Cannoni disgiunti di nuova Invenzione destinati aversi in campagna oltre le due Brigate che già ritrovansi nella Città di Fossano,e così ora esclusivamente alla Brigata di Pezzi 4 da Lb. 8, e di quella de Smerigli che S.M. non ha stimato aversi in Campagna quantunque così fosse stato ordinato con R.o Biglietto p.o Aprile scorso. Torino lì 19 Giugno 1744. 35 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 315. 36 Sino ad oggi si riteneva che la ridotta sabauda posta a dominio dello spartiacque tra la Varaita di Bellino e la Varaita di Castello fosse collocata in corrispondenza della vetta di Monte Cavallo (2290 msl). Durante il recente convegno 1744. La campagna gallispana in Piemonte, avvenuto a Torino il 19-20 novembre 2005, lo chef de Bataillon [TDM/SEM] Bruno Pauvert dimostrava come in realtà la ridotta era stata costruita sul retrostante Mont Passet, a 2275 msl. Le ricognizioni delle evidenze archeologiche effettuate dal prof. Roberto Sconfienza, e presentate nella stessa occasione, giungevano alla medesima conclusione.

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cortine della tenaglia che formavano il fronte principale della ridotta verso Pietralunga, ossia verso la più probabile direttrice di un attacco nemico. Sistemati in quel modo le artiglierie avrebbero dovuto battere a palla piena le unità avversarie in avvicinamento dalla dorsale Pietralunga-Battagliola; i comandanti sabaudi temevano principalmente provenienze nemiche dalla cresta che, discendendo dalla Battagliola, giungeva al fronte della ridotta. Pertanto proprio quel settore fu rinforzato con i due pezzi disgiunti. Per la distanza ravvicinata il tiro della munizione a grappolo sarebbe dovuta servire a colpire i nemici giunti in prossimità delle fortificazioni. Nell’ottica della difesa i due pezzi avrebbero concorso utilmente al mantenimento della posizione.

Meno di una settimana dopo il principe di Conti, riorganizzate le sue forze, avanzò verso le Alpi su nove colonne affiancate, per mantenere il nemico nell’incertezza sull’effettiva direzione dell’attacco. Una di queste, la nona colonna al comando del Balivo di Givry, aveva il compito di creare un diversivo in Val Varaita, ma il suo comandante, ignorando l’esito dell’offensiva in Val di Stura, decise di tentare lo sfondamento della linea sabauda al Monte Passet. Il 19 luglio 1744, alle tre e un quarto del pomeriggio, i francesi attaccarono le posizioni sabaude. La fitta nebbia scesa sul campo di battaglia impedì l’impiego a lungo raggio dell’artiglieria, che invece venne attivamente impiegata nella difesa ravvicinata delle fortificazioni. Le brevissime distanze entro le quali il combattimento avvenne – non superò distanze comprese tra i 2 e i 25 metri – e i continui tentativi di aggiramento messi in atto dalla fanteria gigliata che si era aggrappata ai trinceramenti sabaudi, fecero sì che la densità dei reparti risultasse alquanto ridotta. Questi fattori resero l’efficacia de tiro a mitraglia dei due pezzi meno efficace di quello che ci si poteva attendere. Lo stesso rapporto piemontese della battaglia non esaltò di certo il fuoco della batteria, affermando che gli assalitori furono messi in parte in disordine per il fuoco dei due pezzi di nuova invenzione del Signor Bertola37. I cannoni furono caricati prima a palla piena, iniziando a tirare contro il nemico che a 750 metri di distanza stava superando la vetta della Battagliola e si muoveva lungo la cresta di Chaussard. A quella distanza il tiro era alquanto inefficace, sia per la distanza che per la leggerezza della palla. La sola presenza di cannoni a quelle quote ebbe uno sgradevole effetto sulla fanteria francese che avanzava, sebbene da un punto di vista pratico la fucileria sembrava avere un effetto maggiore38;

Questi insuccessi non fecero rinunciare il nostro comandante al suo disegno, volle continuare e per questo ci raggruppammo tutti all’eminenza, marciammo quindi verso l’altura più vicina lungo alla cresta di Pietralunga, dove pensavamo di trovare altre truppe da vincere, ma i Nemici si erano ripiegati in una specie di ridotta, dove avevano postati due pezzi di cannone che non mancavano di ispirarci del rispetto, e ognuno di noi cominciò a temere seriamente gli effetti del suo valore. Ci armammo tuttavia di coraggio e, il nostro reggimento in testa, marciavamo a passi gravi e lenti verso la gloria, quando il cannone ci salutò, senza fierezza però dalla mia parte, le cartucce che danneggiarono i nostri due primi plotoni m’intimidirono, e mi fecero temere una seconda scarica. Il Balivo fu fortunato: non lasciò che un grasso delle gambe, quando oltre cinquanta dei nostri perirono; si lo portò in una specie di capanna di legno, che era dietro di noi, e da lì, rinnovò l’ordine di attaccare più strettamente. Nel frattempo una nebbia fitta favorì la nostra marcia e ci mise al riparo del fuoco dell’artiglieria, se ne approfittò e si corse quasi a gambe levate per arrivare al di sotto della batteria, dove ci trovammo alle ore 4 e un quarto, pensa alla sorpresa dei nostri Nemici vederci così vicini di loro senza avere potuto scorgere la nostra marcia.

Una spessa nebbia venne a coprire il campo di battaglia e i pezzi furono caricati allora a mitraglia in attesa del

nemico, del quale si ignorava la posizione, in quanto ogni visuale era impedita. Numerose pattuglie furono fatte uscire per prendere contatto con le colonne avanzanti, ma senza risultato, sino a quando i reparti francesi si presentarono davanti alla palizzata. Nonostante l’improvvisa ed immediata scarica di fucileria subita, i gigliati furono in grado di occupare il cammino coperto e la batteria dei pezzi scomponibili, il cui ufficiale era stato messo hors de combat. Solo il contrattacco del brigadiere Du Verger39, che comandava le forze sabaude del settore, riuscì a contenere l’avanzata avversaria e a ributtare gli attaccanti al di là della palizzata del cammino coperto e a recuperare i due cannoni. A quel punto avvenne il prolungato e claustrofobico combattimento che perdurò sino alle sette di sera. I francesi tentarono a più riprese di aggirare le difese, prima a sinistra, e poi a destra con le forze fresche del Reggimento Salis-Soglio, che fu comunque annientato nel tentativo. I cannoni scomposti rimangono, nei resoconti, stranamente silenziosi. Non è chiaro

37 ASTO, Corte, Materie Militari, Imprese, Mazzo 3 d’addizione; Du Camp de St. Pierre, 20 juillet 1744. 38 BRT, manoscritto militare 46/13. 39 Vassallo Carlo Filiberto, barone Du Verger (+ Monte Passet, 19 luglio 1744). Fu promosso capitano il 1 settembre 1704, maggiore il 14 marzo 1720. Tenente colonnello il 20 agosto 1725, servì nel Reggimento di fanteria d’Ordinanza Nazionale Monferrato. Il 21 gennaio 1734 fu divenne colonnello del Reggimento di fanteria d’Ordinanza Nazionale Savoia. Il 21 marzo 1735 ottenne il grado di brigadiere di fanteria. Nel gennaio 1742 fu nominato comandante militare della città di Reggio, continuando nel comando del reggimento di Savoia. Si distinse alla battaglia di Parma. Fu poi prigioniero di guerra prima a Mantova e, poi, sulla parola in Savoia. Il 24 gennaio 1743 veniva nominato comandante militare della città di Reggio. Alla Battaglia di Casteldelfino (8 ottobre 1743) si distinse al comando del suo reggimento e della brigata al suo comando: impegnò in azione la colonna della Brigata di Anjou, attaccandola sul fianco mentre discendeva il Vallone di Vallanta. Du Verger diresse il fuoco delle Brigate Guardie e Savoia contro il fianco nemico, respingendolo con gravi perdite. Carlo Emanuele III, udendo il fuoco di moschetteria, inviò messaggeri a chiedere notizie sulla stato delle cose. Il comandandte savoiardo così rispose; C’e n’est rien, et que seulement la troupe de la Brigade s’amouse à faire passer par les armes toute entiere la Brigade de Anjou. Il 28 gennaio 1744 fu promosso maggiore generale di fanteria per aver dato prova di abilità e valore nelle passate guerre, massime nella campagna di Casteldelfino, ove ha saputo con la più costante fermezza difendere il posto del Bosco della Levata, cui trovavasi preposto in quelle Valli, con avere vigorosamente respinti e messi in fuga i Gallo-Ispani. Comandante delle forze sabaude di presidio alla ridotta di Monte Passet, fu ferito mortalmente alla Battaglia di Pietralunga il 19 luglio 1744, durante le fasi finali dello scontro; “Le marèchal de Camp des Pièmontois des Pièmontois qui souffroit cruellement de sa blessure interrompit les cris qu’elle lui arrachoit pour lui enseigner où ètoient ses cantines: le Compte de Danois les fit appronter, e mangea près du mourant; mais comme celui ci ne cessoir de se plaindre, Monsieur, lui dit le Compte, ne pourriez vous pas mourir tranquilement e nous laisser manger tranquilement? L’ètonnement ou la mort fit taire le Marèchal de Camp qu’on ne reagarda qu’apres avoir cessè de manger”. SAINT SIMON 1770, p. 83.

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se dopo il ferimento o l’uccisione del comandante della batteria furono di fatto abbandonati, oppure, come riporta il diario del Reggimento Poitou, continuarono a tirare, contribuendo attivamente a portare a 1654 i morti e feriti francesi alla Battaglia di Pietralunga40. A quella distanza ci si sarebbe aspettati una vera e propria carneficina a causa del tiro a mitraglia; eppure sembra invece che i francesi ebbero a soffrire più il fuoco ravvicinato della fucileria che quello dell’artiglieria. I soldati gigliati bersagliati dalla ridotta furono abili nell’acquattarsi in ogni anfratto o depressione che si presentava loro, sfruttando anche gli angoli morti tipici dei trinceramenti a tenaglia41. Oltretutto una buona parte della fanteria francese si stava spostando a destra e a sinistra rispetto l’area battuta dei pezzi scomponibili per tentare un aggiramento. Quindi erano relativamente pochi, probabilmente solo una parte del raggruppamento misto dei tre battaglioni del Poitou e i granatieri del distaccamento Chevert, i reparti sottoposti al fuoco dei due cannoni. Inoltre molti dei francesi respinti nel primo assalto, facenti parte delle compagnie granatiere del Reggimento Poitou, erano di fatto con le spalle appoggiate alle fortificazioni sabaude e la munizione a mitraglia si apriva solo dopo averli superati. Questo particolare tiro, inoltre, aveva di suo delle deficienze tecniche che rendevano il fuoco meno letale del previsto. La rosa della mitraglia manteneva un diametro di circa 28 metri per una gittata di un’ottantina di metri, dopo di che i proiettili sparati si disperdevano. Sebbene letale alle corte distanze, non si trattava di una munizione precisa. Molti dei colpi affondavano nel terreno, altri finivano alti. I francesi sopravvissero a quattro ore di combattimento ravvicinato solo in quanto potevano contare su efficaci ripari o grazie alla posizione defilata che avevano raggiunto. Nella situazione tattica di Monte Passet furono più efficaci gli armamenti individuali piuttosto che le artiglierie.

I granatieri del Reggimento Poitou, ignorando i reiterati ordini di ritirata, furono nuovamente in grado di rientrare nella ridotta; il sergente Bossu, approfittando del rinculo di uno dei pezzi, riuscì a penetrare in una delle embrasure. Fu ucciso immediatamente, ma il suo corpo, rimasto a penzoloni verso l’esterno delle fortificazioni, servì come scala ad un altro granatiere, che abbatté a colpi di sabro uno dei serventi che stava per inchiodare il pezzo e permise agli altri di entrare all’interno del perimetro difensivo. I suoi compagni erano, a quanto raccontano le fonti francesi, già morti, colpiti mentre si presentavano per ricaricare. Evidentemente la postazione non era particolarmente protetta, o l’embrasura era fin troppo bassa ed ampia tale da permettere un efficace tiro d’imbocco al fuoco di fucileria nonché la scalata del ramparo42. Una volta all’interno della ridotta, fucile in bandoliera e sabro alla mano, i granatieri del Poitou si slanciarono all’interno delle fortificazioni, prendendo sul fianco e alle spalle i reparti sabaudi intenti a distruggere il Reggimento Salis-Soglio che aveva attaccato sul fianco sinistro la ridotta di Monte Cavallo43. La battaglia, che si stava concludendo con una vittoria sabauda, terminò con un fulmineo ed inatteso successo gigliato.

Finiti i combattimenti, alcuni degli ufficiali francesi ebbero la possibilità di esaminare da vicino l’artiglieria del nemico44;

Rimanemmo padroni della ridotta, e di due pezzi di cannone, di cui trovammo l’invenzione assai curiosa : sono formati da due pezzi quadrati che si inseriscono l’uno nell’altro, e che sono collegati da quattro sbarre di ferro situate nel mezzo dei quadrati, e fissate da un grande numero di piccoli anelli che li rafforzano; non ne vidi mai nei nostri arsenali, ma è naturale ritenere che l’invenzione non può che essere dovuta a alcuni dei nostri connazionali, perché mi sembra singolare, nata di buona origine, e sopratutto di un’ottima utilità per la guerra nelle montagne visto la facilità nel trasportarle a dorso di mulo. 7. La guerra continua. Non è chiaro di cosa fecero i francesi dei cannoni che avevano catturato. Appare dubbio che siano stati smontati e

inviati all’armata del principe di Contì o oltre le Alpi, dal momento che la colonna del de Givry, ferito gravemente da una fucilata destinato a morire di lì a qualche settimana, aveva una grave penuria di bestie da soma. C’erano problemi ad evacuare i feriti e trasportare i viveri, compiti ai quali furono costretti numerosi abitanti di quei luoghi, e non c’era modo di occuparsi del trasporto dell’artiglieria conquistata, per la quale servivano almeno sei muli che devono essere delli più forti che si possino avere45. Il nuovo comandante in campo, il conte di Danois, lamentandosi apertamente con i suoi subordinati che il mulo che trasportava il de Givry al fondovalle non avrebbe potuto portare le vettovaglie di cui necessitava, aveva effettivamente ben altro a cui pensare con l’armata piemontese ancora vicina e il Conti che

40 I francesi contarono al termine dello scontro, per loro vittorioso, 831 caduti e 841 feriti. Di questi 284 morti e 340 feriti appartenevano al Reggimento di fanteria svizzera Salis-Soglio. Quest’ultimo reparto aveva cessato da soli nove giorni di essere il Reggimento Travers, come spesso lo si trova citato in fonti e studi sia coevi che posteriori. I sabaudi lamentarono la morte di 436 uomini e il ferimento di 296, oltre a 233 prigionieri. 41 L’angolo rientrante della tenaglia rimaneva nascosto alla vista dei difensori, che non riuscivano a colpire gli assalitori che si erano portati alla base dei trinceramenti. L’inconveniente registrato a Monte Passet si ripresentò all’Assietta, dove gli attaccanti giunti nell’angolo rientrante della Butta risultarono del tutto defilati al tiro avversario. 42 SAINT SIMON 1770, p. 83. 43 Il reggimento svizzero perse anche il suo colonnello, Jean Gaudence de Salis-Soglio, che comandava il reparto da soli 9 giorni. Era infatti stato promosso colonnello il 10 luglio 1744. Con lui caddero i capitani Salis de Gruges e Hanschmann e il luogotenente Tanner. Sull’episodio, SUSANE

1876, Vol. III, p. 281; SUSANE 1876, Vol V, p. 119; SAINT SIMON 1770, p. 82-83. 44 BRT, manoscritto militare 46/13. L’ufficiale francese che scrisse queste righe, comandante il 2° battaglione del Reggimento Poitou, ricordava piuttosto l’immagine del Saint Remy . Supra nota 5. 45 BRT, Memorie storiche sui fatti d’arme occorsi nella valle di Vraita nella guerra del 1742 di Bernard Tholosan, Saluzzo 227; Il parroco Tholosan, preoccupato delle violenze che i francesi avrebbero potuto commettere ai danni dei sui parrocchiani, si recò ad implorare la protezione del Danois qui nous l’accordat moyenant qu’on leur envoyant du monde pour porter leur blessés à la Gardette, et de la à Maurin; tout cela fût executé, et nous ne soufrimes aucun insulte. Il nous envoya un detachement de cent hommes pour les malades, et ils envoyerent un autre detachement au Château de Pont, et un autre à Château Dauphin [...].

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richiamava in Valle Stura tutte le colonne separate operanti sull’arco alpino. Anche se da parte sabauda non ci sono testimonianze, è probabile che essi vennero resi inutilizzabili, abbandonati ed infine recuperati in un secondo tempo dalle stesse truppe di Carlo Emanuele III.

A Savigliano, il 28 ottobre 1744, cinque giorni dopo la conclusione dell’assedio di Cuneo, l’intendente Verani segnalava al re che erano presenti 4 cannoni in due pezzi da 4 libbre46. Carlo Emanuele III, sollevato per l’esito favorevole dell’assedio di Cuneo, risultò particolarmente lieto di questa notizia, al punto da scrivere direttamente al Verani per felicitarsi del fatto47. I 4 pezzi giunti a Savigliano erano stati completati durante l’estate e subito inviati all’armata in campagna.

Dopo la Battaglia di Pietralunga i cannoni disgiunti non furono più impiegati attivamente in combattimento. La guerra si spostò dalle Alpi al Piemonte orientale, dove si combatté nelle campagne del 1745 e del 1746. La batteria da 4 pezzi disgiunti, immagazzinata in Arsenale, fu preparata, ma non impiegata, nel maggio del 1745 per il fronte della Val di Susa48. Ancora nell’agosto del 1746 i cannoni del Bertola erano disponibili nei magazzini dell’artiglieria, anche se il loro numero era sceso a soli due esemplari pronti per l’impiego49.

Nel 1746 l’armata piemontese era riuscita a respingere, grazie anche all’arrivo nel nord Italia dell’armata imperiale del conte Browne, i franco-spagnoli dalla linea Asti-Casale sin oltre il Varo. Il ritorno offensivo del nemico nel 1747 si concentrò lungo la riviera ligure di ponente e in Val di Susa. Si decise di dare la precedenza alla difesa del solco valsusino, in quanto era il settore minacciato più vicino a Torino. I cannoni disgiunti, riuniti in una brigata d’artiglieria di 4 pezzi e di 5 cannoni rigati Jenner, furono inviati allora inviati a difesa della linea fortificata dell’Assietta. La brigata transitava, probabilmente il 22 luglio, a Fenestrelle per salire ai trinceramenti. La loro presenza sarebbe stata certamente più utile tre giorni prima, quando l’armata francese aveva attaccato invano, e con gravi perdite, le forze sabaude che erano lassù schierate50.

Dopo questa ultima comparsa, per altro incruenta, i cannoni disgiunti di Ignazio Bertola conclusero la loro breve vita operativa.

8. Un progetto troppo costoso. Nel marzo del 1748 si decise finalmente di corrispondere il pagamento dei cannoni disgiunti ai fonditori

dell’Arsenale. I primi sei esemplari furono pagati a Francesco Cebrano 500 lire ciascuno51. Una enormità, specie se si considera il fatto che un pezzo da 32 libbre costava 425 lire, mentre un 4 libbre ordinario era pagato 300 lire. Il costo ascendeva a causa dei numerosi interventi necessari per far sì che le superfici degli incastri collimassero perfettamente tra di loro. Al momento di fondere nuovi pezzi il colonnello De Nicola ricalcolò il loro prezzo a 425 lire. Il costo rimaneva, però, ancora troppo alto; i 6 cannoni disgiunti fusi erano costati quanto una batteria di 10 pezzi ordinari da 4 libbre. Oltretutto prima dell’adozione e della produzione non era stata effettuata alcuna prova sul prototipo. L’accoppiamento delle superfici di contatto nell’incastro maschio/femmina, a causa delle deficienze tecniche costruttive inevitabili nella prima metà del XVIII secolo, non avrebbe potuto avere una precisione tale da impedire qualche fuga di gas, con riduzione della gittata, della penetrazione e della precisione del proietto, con l’evidente pericolo per l’incolumità dei serventi

Dal punto di vista tattico per le esigenze dell’esercito sabaudo pezzi con quelle caratteristiche risultarono infine inutili. Papacino d’Antoni così riassunse l’impiego dell’artiglieria in montagna52;

Se il teatro della guerra sarà fra i monti od in altri luoghi molto imbarazzanti, la sola Fanteria basterà a formare l’armata, cui si destineranno alcuni sagri da libbre 4 per essere anticipatamente situati in certi posti fortificati, ogni qualvolta si farà una guerra difensiva, la quale esigerà simiglianti punti d’appoggio. Ma se l’armata dovrà agire offensivamente per monti alpestri, si prescinderà affatto dalle artiglierie.

46 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p . 370. 1744. Stato dè Cannoni, Munizioni, ed altre Robbe per la Dotte di questi, Palle, e Cartoccie per Cannoni da Lb 4, e 16 spedite come sotto à tenore degli ordini. 47 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 769. 48 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 383. 49 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747, p. 524. 50 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II, p. 278. Marchese d’Aix mio Cugino, L’Intend.e Gen.e della nostra Artiglieria ha fatto passare in Fenestrelle in conformità de commandi, che gliene abbiamo dati, li quattro cannoni disgiunti, e cinque smerigli rigati, con le loro rispettive Dotti descriti nelli due statti formati sotto li 19 e 20 del corr.e dal Luogoten.e Gen.e nelle nostre armate e Colonello del Reggimento di detta nostra Artigl.a Cavaliere De Nicola, quali vi saranno dalla Segretaria nostra di Guerra, qui giunti, rimessi, affine diate gli ordini che da voi dipendono per l’estrazioni di quanto sovra da questo nostro Arsenale, mentre senza più preghiamo il Sig.re che vi conservi. Torino li 24 luglio 1747. (Carlo Emanuele III, firma mancante) 51 ASTO, Sezioni Riunite, Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II , p. 280; 1748, 18 marzo. Parere per il prezzo della fattura di Cannoni disgionti in 2 pezzi detti 4. Dal Fonditore Sig.r Francesco Antonio Cebrano sono stati costrutti Cannoni da Lb.4 in due pezzi cad.o, à disegno del Sig.r Conte e Commendat.e Bertola, e per il prezzo de med.i d.o Sig.r Conte ha dato il suo parere sotto li 18 agosto 1744, che per la fattura delli p.mi sei, si debbino pagare livre cinque cento cad, e venendo d.o Fonditore a gettare altri simili cannoni, i prezzo dè med.i debba andar a seconda di ciò, che dall’Intendenza Gen.le d’Artiglieria verrà stimato, ed essendo io ricercato dal d.o Ufficio, di dare il mio sentimento per il prezzo da pagarsi al d.o Fonditore per altri simili cannoni dal med.o costrutti oltre li sud.i sei, sono in senso stante la pratica che d.o Fonditore ha già per la fattura dè med.i, si possa dedurre il prezzo, cioè che si possa pagare per cad di Cannoni ritrovati di servizio livre quattrocento, e venticinque. Torino li 18 Marzo 1748. Sottoscritto Cav.e De Nicola. 52 PAPACINO D’A NTONI 1775, p. 265.

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In montagna dunque non era previsto alcun appoggio d’artiglieria nelle azioni offensive, mentre pezzi da 4 libbre venivano sistemati in fortificazioni permanenti da tempo allestite i luoghi tatticamente e strategicamente rilevanti per appoggiare le azioni difensive. Questi concetti operativi rimasero propri dell’esercito sabaudo sino al XIX secolo. Implicitamente si ammetteva che la fanteria, nei combattimenti difensivi, sarebbe stata il più possibile al riparo di trinceramenti ed al di sotto di un ombrello d’artiglieria posizionata in batteria già da tempo allestite.

Utilizzati in una sola occasione, e con dubbi risultati, sul campo di battaglia, i cannoni disgiunti rappresentavano un lusso che l’esercito sabaudo non intendeva accollarsi. Pertanto dopo l’estate del 1744, grazie anche alla conclusione della Guerra di Successione Austriaca, nessun pezzo di questo tipo fu più fuso, né il progetto venne in qualche modo ripreso. In particolare dopo il 1773, il nuovo sovrano Vittorio Amedeo III pensò sempre più ad un combattimento a oriente nella Pianura Padana prima ancora che ad un confronto sulle Alpi con il nuovo alleato francese. Pertanto ogni progetto, vecchio o nuovo, a riguardo di materiali d’artiglieria da montagna fu accantonato o respinto. I modelli dei pezzi furono assegnati al museo dell’Arsenale, mentre i disegni vennero dimenticati o dispersi.

Per quel che riguarda la progettazione, la sperimentazione e l’acquisizione di nuovi modelli, la Guerra di

Successione Austriaca fu l’ultima stagione felice dell’artiglieria sabauda del XVIII secolo. L’esercito di Carlo Emanuele III, che per la campagna del 1743 disponeva di modeste spingarde, l’anno seguente era già in grado di schierare ben tre nuovi modelli d’artiglieria da montagna; i pezzi da 4 libbre e gli obici da 6 del Modello Gioannini; i Cannoni Disgiunti da 4 libbre di Ignazio Bertola; il cannone rigato a retrocarica da 16 once da Francesco Jenner.

L’esperienza maturata sul campo di battaglia, l’inventiva e la fantasia di un gruppo molto preparato di ufficiali e tecnici, l’esperienza e l’abilità delle maestranze dell’Arsenale avevano fatto sì che i soldati sabaudi, che non avevano affrontato un combattimento di montagna dal 1713, fossero supportati da un parco d’artiglieria specializzato di prim’ordine. Fu l’ultima volta. Durante il resto del secolo, malgrado l’auto-incensamento delle Regie Scuole, l’unico vero contributo sabaudo allo sviluppo dell’artiglieria moderna furono gli studi e le applicazioni dei procedimenti chimici per le polveri da guerra. L’artiglieria sabauda non fu più chiamata alla prova sui campi di battaglia e rinnovò con estrema lentezza le sue artiglierie. Del resto l’autoglorificazione riguardava non soltanto il Corpo, ma anche il personale. I veterani della Guerra di Successione Austriaca, tra i quali Felice De Vincenti, Papacino D’Antoni, Birago di Borgaro e Bozzolino, forti del loro nome e delle loro antiche esperienze, rinchiusero in una gabbia di cognizioni acquisite a loro tempo nuovi progetti ed idee. Così molte innovazioni fiorite nel regno di Sardegna, e che avrebbero potuto dare un impulso vigorose e determinante allo sviluppo della propria artiglieria, furono a priori scartate poiché contraddicevano le teorie studiate, le esperienze maturate tra il 1742 ed il 1748 e tendevano ad infrangere un ordine costituito da regole fisse e inviolabili. Col tempo i “grandi nomi”, ai quali si aggiunsero altri ufficiali cresciuti nella loro ombra, quali Casimiro Gabaleone conte di Salmour, iniziarono sempre più a considerarsi i depositari della verità nell’ambito di tutto ciò che riguardava l’artiglieria e l’armamento in genere. Con l’unico risultato pratico che l’esercito di S. M. il re di Sardegna avrebbe avuto notevoli difficoltà già durante la Guerra dei Sette Anni, guerra dalla quale Carlo Emanuele III ben si guardò dal parteciparvi nonostante le lusinghe britanniche. Francia ed Impero sarebbero stati i suoi avversari; se l’esercito francese aveva toccato in quel conflitto il fondo del suo decadimento tecnico ed organizzativo, equipaggiato con un Sistema Valliere ancora alla portata sabauda, l’esercito di Maria Teresa era invece divenuto una efficientissima macchina bellica, del quale l’artiglieria, fornita del nuovo Sistema Liechtenstein - nel quale si combinavano mobilità, celerità di tiro e potenza di fuoco - era il suo fiore all’occhiello. Nella Guerra delle Alpi (1792-1796) il Reggimento d’Artiglieria di Vittorio Amedeo III, quando si trovò davanti a sistemi d’artiglieria quali il Gribeauval, fu surclassato sotto ogni punto di vista; dell’organizzazione, della tattica, della mobilità, della potenza di fuoco e del sistema di produzione.

I sintomi di questa debacle erano però già presenti nel 1744; i progetti di Ignazio Bertola non furono affatto presentati o discussi da un Congresso d’Artiglieria. Invece di esaminare i disegni, bastò leggere il nome sistemato in calce ai fogli perché si richiedesse al sovrano di acconsentire immediatamente alla fusione di quelle artiglierie, compreso l’irrealizzabile cannone disgiunto da 32 libbre. Nessuno osò in quel mentre tentare di verificare con il potente direttore delle Regie Scuole l’efficienza e l’utilità di quella idea. Il cannone disgiunto fu così prodotto a “scatola chiusa”, senza le necessarie prove e verifiche.

Cronologia - 1 settembre 1742 – 10 gennaio 1743. Il regno di Sardegna è impegnato nella Guerra di Successione Austriaca;

campagna in Savoia. - Gennaio 1743. I maggiori del Battaglione d’Artiglieria Felice De Vincenti e Nicolò Gioanini presentano quattro progetti per creare una nuova

artiglieria da montagna; il primo presenta un Dissegno d’un cannone ord.io d’ottone 2 di Boche 28 di peso non meno R. 28 e un altro disgiunto di Boche 28, e di peso R.o 28., il secondo un dissegno del cannone di calibro Lb 2 di Boche 20, di peso non meno R. 12 e un altro di nuova Invenz.one di Boche 22, d’ottone di peso non meno R. 17.

- 1 febbraio 1743. Si richiede il parere del fonditore Francesco Antonio Cebrano sulla fattibilità dei nuovi materiali.

- 3 febbraio 1743. Il Congresso di Artiglieria rigetta i progetti. La sperimentazione è per il momento sospesa.

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- 13 settembre 1743. Firma del il trattato di Worms tra Impero, regno di Sardegna e Gran Bretagna.

- 29 settembre 1743. Dichiarazione di guerra tra regno di Francia e regno di Sardegna.

- 7-12 ottobre 1743. Battaglia di Casteldelfino.

- 22 novembre 1743. Carlo Emanuele III chiede di riesaminare e migliorare i progetti del maggiore Gioannini per la prossima Campagna Cannoni da Libbre 4 agevoli quanto più sarà possibile ad esser trasportati per servirsene nelle montagne.

- 23 novembre 1743. Il colonnello del Reggimento d’Artiglieria ordina la convocazione del Congresso.

- 26 novembre 1743. Il Congresso, presenti Sottoscritti Giouanni Magg.e d’Infanteria, e dell’Artig.a di Campagna senza paga, De Vincenti, Bossolino, Pisselli, C.e Ferrero di Ponsilione, Porro, D’Insigni, Tappia, Medaglio, Gustapan, Ronsin, D’Antoni, Casotti, ribalta le decisioni del 3 febbraio e delibera per la fusione uno, o due di detti cannoni secondo il disegno del Sig. Magg. Giuvannini per indi divenire alle prove che puonno accertare il Reggio Servitio.

- Gennaio 1744. Sono preparate le fusioni per due pezzi da 4 libbre e due obici da 6 libbre secondo il Sistema Gioannini. Contemporaneamente Ignazio Bertola, Direttore delle Regie Scuole di Artiglieria e Fortificazione, presenta all’Ufficio G.le dell’Artiglieria li Dissegni, e modelli per li due cannoni di Nuova Invenzione dal medemo progettati, cioè uno dal lb. 4, e l’altro da Lb 32 per servire sulle montagne.

- 1 febbraio 1744. Viene richiesta la fusione di due pezzi da 4 libbre e uno da 32 libbre.

- 5 febbraio 1744. Il re autorizza la fusione dei pezzi Bertola e dei modelli di Gioanini.

- Giugno 1744. I primi due pezzi disgiunti da 4 libbre sono terminati. Viene abbandonata la realizzazione del pezzo da 32 libbre. (+2)

- 21 giugno 1744. I pezzi disgiunti sono inviati a Fossano.

- Luglio 1744. Offensiva del principe di Contì. I cannoni disgiunti sono inviati alla Ridotta di Monte Cavallo in Val Varaita.

- 19 luglio 1744. Battaglia di Pietralunga. I due pezzi disgiunti presenti nella Ridotta di Monte Cavallo sono catturati dai francesi. (-2).

- Agosto 1744. Altri 4 pezzi da 4 libbre sono fusi nell’Arsenale di Torino.

- 22 ottobre 1744. Due pezzi da 4 libbre sono a Savigliano pronti ad entrare in azione. (+2)

- Inverno 1744. Altri due pezzi da 4 libbre sono terminati e pronti al servizio. (+2= 4)

- 21 maggio 1745. La batteria dei pezzi disgiunti viene preparata per il fronte della Val di Susa, ma non viene inviata al fronte.

- 23 agosto 1746. Solo due pezzi disgiunti risultano operativi (-2=2).

- Luglio 1747. La batteria di cannoni scomposti è nuovamente forte di quattro pezzi (+2=4).

- 22-24 luglio 1747. I 4 cannoni disgiunti e 5 cannoni Jenner sono presenti in Val Chisone a sostegno dell’esercito reduce della vittoria dell’Assietta (19 luglio 1747).

- 29 novembre 1789. In Arsenale risultano del tutto assenti i disegni originali del cannone disgiunto di Ignazio Bertola. Appendici Biografiche

Ignazio Giuseppe Bertola Roveda (Tortona 1676 – Torino 22 maggio 1755), conte di Exilles. Nacque a Tortona nel 1676, figlio del cavalier Francesco Roveda e di Teresa Mayno. Morto il cavalier Roveda, nel 1695 Teresa Mayno sposava l’avvocato Antonio Bertola (1647 – 1719). Nel 1695 Antonio era una persona di spicco della corte del duca di Savoia, in quanto non era solo Dottore in Leggi, ma anche Maestro di Aritmetica dei Paggi Reali dal 3 marzo, 1679, Maestro di Blasone delle Principesse Reali, Maestro di Aritmetica e Fortificazioni dei Principi Reali, Matematico dell’Accademia Reale di Torino dal 1684, Ingegnere del Duca di Savoia dal 1685, Architetto e Direttore della Fabbrica della Cappella del Santo Sudario nel Duomo di Torino dal 1694, Regio Blasonatore e Segretario di Stato del Duca di

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Savoia 28 aprile 1695. Giuseppe fu adottato da Antonio che gli diede il suo cognome. Con il padre adottivo partecipò alla Guerra di Successione Spagnola, in particolare fu al suo fianco durante il grandi lavori di fortificazione alla Cittadella di Torino negli anni 1704-1705. Un ben congeniato sistema di contromine fu scavato intorno alla fortezza, mentre tre controguardie in terra furono elevate davanti ai bastioni occidentali. Una tenaglia fu costruita nella piazza d’armi centrale, detta “La Tagliata Reale”. Tutte queste opere furono poste sotto la supervisione di Antonio e di Ignazio. Alla fine della guerra il nuovo Regno di Sardegna aveva nuove frontiere da proteggere. Antonio fu incaricato di redigere i progetti della nuova grande fortezza di Susa, la Brunetta e di modernizzare la vecchia fortezza francese di Exilles. Nel 1719 Antonio moriva, e suo figlio Ignazio ne diventava il successore ideale. Continuò i lavori del padre alla Fortezza della Brunetta, e iniziò la costruzione del nuovo Forte di Exilles. Nel contempo progettò la nuova Piazzaforte di Fenestrelle, in Val Chisone. Il 15 gennaio 1725 diveniva Maestro di Fortificazioni dei Principi Reali e Regio Blasonatore (almeno fino al 17 aprile 1738). Bertola diede il via anche alla ristrutturazione della Fortezza di Demonte, nella Valle Stura di Demonte. Il 20 dicembre 1726 Vittorio Amedeo II decretava che tutti gli ingegneri militari, sino ad allora civili, dovessero servire nel Battaglione d’Artiglieria. Ignazio Bertola fu quindi riconfermato Maestro di Fortificazioni con il grado di tenente colonnello di fanteria (patente del 23 aprile 1728). Nel 1728 ebbe l’incarico di progettare la nuova Cittadella di Alessandria, sul fiume Tanaro. Questa fortificazione divenne il fulcro delle difese orientali del regno, come dimostrò la campagna del Maillebois nel 1745. Nel 1732 Bertola fu nominato da Carlo Emanuele III Primo Ingegnere di S.M. Allo scoppio della Guerra di Successione Polacca fu posto sotto la direzione del Battaglione d’Artiglieria, e con il suo collega de Wullancourt diresse l’assedio del Castello Sforzesco di Milano (16 dicembre 1733 – 2 gennaio 1734). Fenestrelle, Alessandria ed Exilles furono completate nelle loro linee generali poco prima della Guerra di Successione Austriaca. Grazie alla grandiosità delle nuove fortificazioni la fortunata carriera di Ignazio Bertola subì un ulteriore incremento. Nel 1739 ebbe la possibilità di aprire all’interno delle caserme dell’Arsenale la nuova Regia Scuola Teorica e Pratica d’Artiglieria e Fortificazione della quale lui fu ovviamente il primo Direttore. A Torino lavorò anche come ingegnere civile, ritracciando Via Dora Grossa, principale via della capitale del regno verso le porte occidentali. Allo scoppio della Guerra di Successione d’Austria, il 2 marzo 1742 gli furono assegnati i feudi di Deveys, San Colombano e Cels, ricevendo infine il titolo di conte il 12 marzo 1742. Nel 1744 ebbe l’incarico di pianificare la difesa delle valli Varaita e Maira. La sua linea fortificata chiudeva completamente la Valle Varaita di Castello e tre forti in pietra e legno furono eretti introno al villaggio di Castello. Tale dispositivo difensivo dimostrò notevoli difetti durante l’offensiva del principe di Conti nell’estate del 1744. Mancando di profondità la colonna francese del Balivo De Grivy, dopo un combattimento estremamente sanguinoso alla Ridotta di Monte Passet, fu in grado di perforarla in uno dei suoi settori più importanti. Si apriva così un anno difficile per il Bertola. Poche settimane dopo anche il Forte di Demonte, completamente ricostruito sotto la sua direzione, cadeva dopo neppure una settimana di bombardamento d’artiglieria. Alla notizia della caduta della fortezza, l’ingegnere si trovava in una riunione del Congresso d’Artiglieria; Il Bertola tramortito esclamò; ma Demonte doveva resistere; bisogna proprio che il diavolo ci abbia ficcata la coda! Al che il Dulacq; peggio per voi; dovevate pensarvi, provvedere al caso, e mettervi una buona provvista di acqua santa!

Il re e il suo potente ministro della guerra, Giovambattista Bogino, difesero il conte di Exilles dalle feroci critiche, molte delle quali pertinenti, alle quali fu sottoposto, e salvarono la sua carriera. L’anno seguente il Forte di Exilles dimostrò di essere molto meglio bilanciato del suo “fratello” di Demonte, e il corpo francese del generale Lautrec non fu in grado di ottenere la sua resa con il solo tiro d’artiglieria. Nel contempo la Cittadella di Alessandria dimostrò di essere la principale roccaforte contro l’invasione nemica nel Piemonte orientale, l’unica piazza a resistere in attesa dei soccorsi. Con il ministro della guerra Bogino, Ignazio Bertola pianificò la controffensiva che all’inizio del 1746 respinse o costrinse alla resa tutte le guarnigioni franco-spagnole presenti in Piemonte. Nel 1746 partecipò alla sua ultima azione di guerra. Il 5 ottobre diresse l’assedio del Forte di San Paolo a Ventimiglia. La guarnigione, comandata dal maggiore Diafthalez, era composta da 214 svizzeri del 3° battaglione del Reggimento Visier e da 7 cannoni. Con il 2° battaglione del Reggimento di fanteria d’Ordinanza Nazionale Fucilieri e i 2 battaglioni dei Reggimenti di fanteria provinciale Aosta e Chiablese, l’assedio iniziò il 10 ottobre sotto lo sguardo di Carlo Emanuele III. Bertola sistemò la batteria d’assedio, composta da otto pezzi da 24 e 32 libbre troppo lontano dal forte, che inizialmente non sembrò subire danni apprezzabili. Fu giocoforza allestire una nuova batteria di quattro pezzi da 16 libbre e due mortai, mentre una compagnia di minatori scavava un fornello da mina al di sotto dei muri del forte. Il 23 la guarnigione si arrendeva. Il 25 maggio 1747 veniva pertanto nominato Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro con la Commenda della Torre di San Secondo di Asti. Dopo la fine della guerra, Carlo Emanuele III ordinava, il 4 luglio 1752, che gli ingegneri dovessero cessare di far parte dell’artiglieria per formare un separato Corpo degli Ingegneri di S.M., del quale Ignazio fu il capo col grado di colonnello di fanteria. Il 3 maggio 1754 fu promosso al grado di maggior generale di fanteria. Celebrato, adulato e famoso, passato indenne attraverso le debacle della Val Varaita e di Demonte, si spense a Torino il 22 maggio 1755. E’ sepolto nella cripta della Basilica Magistrale dei SS. Maurizio e Lazzaro di Torino. 1676 Nasce a Tortona.

1725 Maestro di Fortificazioni dei Principi Reali e Regio Blasonatore, il 15 gennaio (quest’ultimo incarico fu mantenuto almeno fino al 17 aprile 1738).

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1728 Maestro di Fortificazioni, Luogotenente Colonnello di Fanteria, il 23 aprile. 1732 Primo Ingegnere di S.M.

1739 Direttore della Regia Scuola Teorica e Pratica d’Artiglieria e Fortificazione.

1742 Feudatario di Exilles, Deveys, San Colombano e Cels il 2 marzo, conte il 12 marzo.

1752 Capo del Corpo degli Ingegneri, 4 luglio.

1754 Maggior Generale di Fanteria, 3 maggio

1755. Si spegne il 22 maggio a Torino.

Giuseppe Niccolò Gioannini (Torino 1702 – Torino 5 ottobre 1748). Capitano dell’artiglieria, con la mansione di sovrannumerario dei cannonieri dal 13 novembre 1733, il 18 maggio 1737 era così descritto; Uffiziale di Bravura, e capace in spedizioni di condotte d’artiglieria, ed in batteria, ma però di troppa vivacità di spirito. Promosso maggiore, nel 1743 fu, con De Vincenti, il propugnatore di nuovi materiali d’artiglieria per la guerra di montagna. I suoi progetti gli valsero, il 10 luglio 1743, il riconoscimento dello stipendio di militare, sino ad allora negatogli in quanto volontario e soprannumerario. Aggregato all’artiglieria da campagna combatté alla Madonna dell’Olmo, dove l’esplosione della batteria da lui comandata lo travolse in pieno, ustionandolo gravemente. Inizialmente dato per morto, fu infine riconosciuto e curato. Si spense a Torino nel 1748. E’ sepolto nella cripta della Basilica Mauriziana di Torino. La sua epigrafe recita così; CONFR.O D. GIUSEPPE NICOLO' GIOVANNINI CAVALIERE DEI SS. MAURITIO E LAZARO/ LUOGOT.E GENERALE DELL'ARTIGLIERIA MORTO LI 5 OTTOBRE 1748

Felice de Vincenti (Torino 1705 – Torino 1775). Il 25 maggio 1728 fu promosso capitano dei cannonieri. Il 18 maggio 1737 veniva proposto per il grado di Maggiore; Si propone per Maggiore con paga di tal soldo , e senza compagnia, sendo uffiziale d’intendimento , capacità, e zelo per regio servizio , qual possiede la Mathematica, architettura civile, Dissegno, et denominazione d’artiglieria in simili generi, dottato di prudenza, et integrità, e per fine capace di rendersi con facilità di total isperienza nell’Artiglieria, Condotte di Provisioni, e Treno d’essa, come pel detaglio buon governo, e subordinazione del Battaglione d’Artiglieria. Unico e capace di far la Schola d’essa Artiglieria. Nel 1738 disegnò il progetto del nuovo grande Arsenale di Torino. Nel 1740 fu incaricato della progettazione e della realizzazione della nuova fonderia di Valdocco. Divenne Colonnello dell’Artiglieria l’8 febbraio 1757.

Ringraziamenti

Si ringraziano;

il col. a. (ter.) Vincenzo Russo e il maresciallo capo Enrico Galletti del Museo Storico Nazione d’Artiglieria di Torino per l’estrema disponibilità e competenza con le quali hanno accompagnato questo studio;

lo chef de Bataillon [TDM/SEM] Bruno Pauvert per i particolari inediti sulla battaglia di Pietralunga;

il prof. Roberto Sconfienza per la descrizione delle fortificazioni della Val Varaita e della ridotta di Mont Passet;

il dott. Fabrizio Zannoni per le ricognizioni dei modelli e per la stesura delle biografie di Ignazio Bertola, Giuseppe Niccolò Gioanini e Felice De Vincenti.

Infine un ringraziamento sentito e particolare al signor Franco Sanna, per il prezioso ed indispensabile lavoro di resa grafica dei modelli del cannone disgiunto. Opera che ha permesso di comprendere assai meglio la realtà materiale di questo cannone, tanto citato, quanto poco studiato.

BIBLIOGRAFIA

Fonti d’Archivio

Page 18: Il Cannone Disgiunto Di Ignazio Bertola

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- Sezioni Riunite:

Azienda Generale d’Artiglieria, Carte Antiche d’Artiglieria, Volume II;

Azienda Generale d’Artiglieria. Memoria alle Segreterie, 2, 1743 – 1744;

Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 3, 1730-1746;

Azienda Generale d’Artiglieria, Regi Biglietti e Dispacci, 4, 1742-1747;

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Ufficio Generale del Soldo, Ordini Generali e Misti, 1743.

BRT; Biblioteca Reale, Torino:

Manoscritto Militare 46;

Memorie storiche sui fatti d’arme occorsi nella valle di Vraita nella guerra del 1742 di Bernard Tholosan, Manoscritto Saluzzo 227.

Biblioteca della Scuola di Applicazione d’Arma di Torino;

EMBSER 1732; Dissegni d’ogni sorta de Cannoni et Mortari con tutte le pezze, stromenti ed utigli appartenenti all’Artiglieria come anco le piante, alzate et profili di tutte le machine, edifizy, et ordegni necessari alla medema, l’anno 1732, Sezione 14, n° 499, VE 3.

Testi coevi;

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GAJA 1988; R. GAJA, Il Marchese d’Ormea, Milano 1988. GALLEANI D’A GLIANO 1840; G. GALLEANI D’A GLIANO, Memorie storiche sulla Guerra del Piemonte (1741-1747), Torino 1840. ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997; V. ILARI, G. BOERI, C. PAOLETTI, La Corona di Lombardia, Ancona 1997. MONTÙ 1934; C. MONTÙ, Storia della Artiglieria Italiana, Parte I, Vol. II, Roma 1934. STERRANTINO 1994; F. STERRANTINO, Techiciens suisses dans le Piémont du XVIII siècle, in Piemont XVIIIe-XIXe, Armes et technologie militaire, Royaume de Sardaigne et d’Italie, Torino 1994, pp. 29-40. SUSANE 1876; G. SUSANE, Histoire de l’Infanterie Française, 5 voll., Paris 1876 Immagini

Fig. 1. Ignazio Giuseppe Bertola Roveda (Tortona 1676 – Torino 22 maggio 1755. Il ritratto è sicuramente posteriore al 1753, quando gli ufficiali ingegneri ricevettero la nuova uniforme, composta da un giustacorpo turchino con colletto, matelotte e paramani chamois, fodera turchina e bottoni argentati. (Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, Roma)

Fig. 2. Veduta e sezione di un cannone francese disgiunto, così come è descritto dal Saint Remy nel volume Mémoires d’Artillerie , stampato a Parigi nel 1697. I materiali avevano le due sezioni della canna unite tra loro solo tramite un incastro maschio-femmina. Ne furono realizzati alcuni esemplari a Perpignan alla fine del XVII secolo dal fonditore Mr. Faute. Nessuna chiave fissava tra loro le due sezioni. A causa di questa intrinseca debolezza gli artiglieri francesi preferirono continuare ad impiegare pezzi fusi in un solo pezzo. Tuttavia leggeri pezzi de nouvelle invention, pensati per essere trasportati con affusto da un solo mulo, non furono del tutto dimenticati, tanto che il Saint Remy li disegnò e li descrisse nel suo Mémoires d’Artillerie. Nel 1744 gli ufficiali francesi che osservarono i cannoni disgiunti Bertola e che avevano avuto la possibilità di sfogliare il Saint Remy riconobbero come invenzione francese i pezzi catturati.

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Fig. 3. Il modello del cannone disgiunto da 4 libbre di Ignazio Bertola. Oggi al Museo Storico Nazionale di Artiglieria di Torino, fu probabilmente costruito dopo la fusione dei primi pezzi. Le canne dei primi esemplari, stando a testimonianze dell’epoca, presentavano una sezione quadrata, con i costoloni sistemati in corrispondenza degli angoli. Al momento il modello è l’unica immagine conosciuta del cannone disgiunto del Bertola. (Museo Storico Nazionale dell’Artiglieria, Torino, 831 T 19)

Fig. 4. Veduta dall’alto del modello da 4 libbre. Si nota il punto di giunzione tra le due sezioni. Ben evidenziati i costoloni sistemati longitudinalmente sulla superficie esterna e le chiavette in ferro, necessarie per fissare le sbarre. Questa immagine evidenzia le difficoltà di avvicinare la bocca da fuoco al parapetto di una fortificazione campale, a causa dell’ampio diametro delle ruote adottate. Non è escluso che fossero adottati affusti più pratici, con ruote ferrate di dimensioni minori.

Fig. 5. Particolare della volata. Ben visibile la ripiegatura delle sbarre di ferro per adattarsi alle superfici piane del vivo di volata e il loro alloggiamento nei costoloni forati.

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Fig. 6. Particolare della culatta. Le sbarre sporgono dai costoloni e sono collegati, a due a due, diametralmente opposte, da staffe che vengono ad incastrasi tra di loro, a loro volta fissate alla canna da 3 chiavette a cuneo.

Fig. 7. Il modello del cannone disgiunto da 32 libbre. Anch’esso conservato al Museo Storico Nazionale di Artiglieria di Torino, si tratta assai probabilmente del modello originale presentato da Ignazio Bertola nel gennaio del 1744. Costruito in legno ed in ferro, è sostenuto da un piedestallo anch’esso realizzato in legno. La canna ha una sezione quadrata, con i costoloni sistemati agli angoli, come quanto descritto dai soldati francesi che videro i pezzi catturati alla Battaglia di Pietralunga. Il cannone si divide in tre parti, sempre con incastri maschio-femmina. Le dimensioni, le difficoltà tecniche di realizzazione e i costi fecero sì che la costruzione del primo esemplare, per quanto auspicata dallo stesso Carlo Emanuele III, non fosse portata a compimento. (Museo Storico Nazionale dell’Artiglieria, Torino, 831 T 20)

Fig. 12. Il campo di battaglia di Pietralunga (19 luglio 1744), visto dal Colle della Battagliola. La lettera A indica la collocazione della ridotta sabauda di Monte Passet dove, a 2271 metri di quota, i due pezzi disgiunti da 4 libbre messi in batteria. La nebbia e la ridotta distanza dei combattimenti resero l’impiego dei nuovi cannoni disgiunti, al loro battesimo del fuoco, estremamente difficoltoso. L’immagine rende bene le difficoltà del territorio e il notevole sforzo logistico sostenuto dall’artiglieria sabauda per collocare, armare e rifornire la piccola batteria di tutto il necessario ad operare.