il camper delle meraviglie

1
| 014 | GIUGNO 10 28 | 014 | GIUGNO 10 29 | TESTO | ELENA PARASILITI | FOTO | ALICE LEANDRO il camper delle meraviglie abiti e pantaloni a chilometro uno alternative possibili | CRITICAL FASHION | A CURA DI | GUYA MANZONI A vederlo da fuori sembra il camper di una fa- miglia di clown con le pareti azzurro cielo e i disegni infantili, ma quando la porta si apre il Ludobus ti accoglie in un mondo di meraviglie in bianco e nero, formato 13x18. “Siamo nel regno della fotografia stenopeica -spiega Noris Lazzarini-, e que- ste sono le mie Leica”. Al posto di obiettivi e macchine fotografiche, estrae dall’armadio otto scatole di latta: piccole come un pacchetto di sigarilli o una lattina, tonde e quadrate, ex scatole di gianduiotti o di botti- glie di liquori. Strane, a forma di automobile, scom- ponibili. E ancora, le zucche, allungate o a pera: fatte essiccare, tagliate e dipinte all’interno di nero. A renderle “magiche”, un piccolo foro (“stenos opaios” lo chiamavano i greci, ndr) fatto con un pun- teruolo e “momentaneamente” chiuso dal nostro iso- lante, che viene tolto solo per lo scatto. È da qui che la luce filtra e imprime sulla carta fotografica il mondo esterno. Ribaltato, così come accade nel nostro oc- chio: una camera oscura naturale. “Sarà compito del cervello, raddrizzarla” spiega Noris, mentre alla luce rossa della lampada immerge in quattro bacinelle di- verse (sviluppo, arresto, fissaggio e acqua) la fotogra- fia appena fatta. Un negativo che, a contatto con altra carta fotografica, e con la pressione di un vecchio bro- mografo, in pochi istanti, produrrà il positivo. “Se fossi nata cent’anni fa –scherza Noris-, sarei stata una degna allieva di Nadar”. Una città in co- mune tra lei e quel fotografo che affascinava con i suoi ritratti la Parigi di fine Ottocento: proprio nella capitale francese, a poco meno di 40 anni, Noris fa i suoi primi esperimenti. “Era il 1993 e da sempre ero innamorata della fotografia –racconta-. A Milano per dieci anni avevo curato le mostre della galleria Il dia- framma, ma volevo esprimermi in maniera diversa”. Ci prova, con un libro di Ando Gilardi e della “Ban- da del buco”, che legge e rilegge, finché nell’atelier di un’amica artista, a Montemartre, esegue il primo scatto: un ritratto che mi mostrerà in seguito nel suo studio-laboratorio, altra stanza delle meraviglie ma Q uando si parla di produzioni “a chilometro zero” o “a filiera corta”, spesso si fa riferimento ad alimen- ti o a prodotti agricoli locali, che vengono distribuiti nelle vicinanze del luogo di produzione. Ma è possibi- le parlare di “filiera corta” anche nel campo della moda? Magari pensando a un mercato “critico” che valorizzi le risorse locali e contrasti, dal basso, la delocalizzazione? I grandi marchi di abbigliamento si dedicano ormai prevalentemente all’ outsourcing, esternalizzando le pro- duzioni in Paesi con regimi fiscali più indulgenti e mano- dopera a basso costo. Mentre la tariffa oraria di un ope- raio tessile (chi confeziona i capi di abbigliamento, ndr) in Italia si aggira tra i 6 e i 18 euro l’ora, in Cina è media- mente intorno ai 0,54 centesimi di euro, fino ad arrivare agli 0,44 centesimi di Thailandia o gli 0,38 del Vietnam. Non è quindi difficile comprendere come mai i pro- duttori italiani, avendo perso competitività sul mer- cato comune, preferiscano dedicarsi a capi “di fascia alta”, più costosi rispetto a quelli d’ impor- tazione. Con un paradosso: il passaggio in mani- fattura per le sole rifiniture, escamotage spes- so utilizzato per etichettare il prodotto come “made in Italy”. In questo contesto la qualità del “fatto a mano in Italia” riacquista il meritato valore, grazie soprattutto ai tanti progetti di moda critica, che si pongono come obiettivo quel- lo di far riscoprire al pubblico il fascino qua- si dimenticato dell’artigianalità. Come nel caso della collezione “Chilometro uno”, proposta per la primavera-estate 2010 dal Laboratorio Iso- la, un progetto nato lo scorso anno per co- niugare la ricerca dei tessuti e il design più innovativi. Questa collezione è ideata, prodotta e distribuita a Milano fra il quartiere Bovi- sa e il quartiere Isola, grazie alla collabo- razione di Samanthakhan Tihsler, frizzante ed eclettica stilista “rubata” per l’occasione ai suoi abiti da sposa. Nascono così forme e volumi decisi e delineati, curati fin nel mi- nimo dettaglio, con l’attenzione tipica della manifattura sartoriale. Il tutto a “chilome- tro uno”, provare per credere: lo showro- om della designer ed il laboratorio sono divisi da solo 15 minuti di tram. Isola della moda è un laboratorio di autoproduzione, nato a Milano nel 2004, per dare visibilità a giovani stilisti di moda critica (www.isoladellamoda.net). TUTTI A BORDO DEL LUDOBUS, PER SCOPRIRE LA MAGIA DELLE FOTO IN SCATOLA. “parcheggiata” nella sua casa di Robbiate, in provin- cia di Lecco. “Quell’esperienza mi ha insegnato ad avere fiducia in me e nelle possibilità degli altri”. Una passione che Noris decide di trasmettere nei corsi che organizza per adulti e bambini prima in Colombia, dove soggiorna per nove mesi e ritorna appena può, poi in Italia e in Svizzera. “A Bogotà mi presentavo con la mia lattina ai ragazzini di strada che rubavano le Nikon ai turisti, me compresa –ricorda-: era quasi imbarazzante, ma in quei pomeriggi condi- videvamo il piacere della fotografia, dove il risultato non dipende dal costo dell’apparecchiatura, ma dal metodo che utilizzi e dal tuo sguardo sulle cose”. La “missione” di Noris, “Solidal foto in scatola -progetti di solidarietà cercansi”, prosegue anche oggi, in tutta Italia, grazie al suo Ludobus trasformato in una “macchina fotografica” gigante che l’accompa- gna in casa della gente, alla sagre di paese, nelle scuole dove a fine anno ha tenuto dei laboratori per realizza- re insieme ai bambini “la loro foto di classe”. Un’oc- casione unica che ha un prezzo, diverso in base al tipo di attività e dalla distanza da percorrere: si va dalle 200 euro per un laboratorio di quattro ore a scuola in su (per informazioni, www.fotoinscatola.it). I progetti continuano: ultimi nati, il memory con le carte in positivo e negativo e la scatola “stenostopi- ca stenopeica”, antenata degli occhiali 3D. “Da picco- la sognavo un carrozzone da circo -sorride-: a 60 anni mi comprerò una motocicletta rossa per attraversare la Colombia”. E c’è da giurarci che Noris lo farà, con la sua Leica ben posizionata sul serbatoio.

description

alternative possibili | Terre di mezzo 14 giugno 2010 | foto di Alice Alijay Leandro

Transcript of il camper delle meraviglie

| 014 | GiuGno 1028 | 014 | GiuGno 10 29

| testo | elena parasiliti | foto | alice leandro

il camper delle meraviglie abiti e pantaloni

a chilometro uno

alternative possibili

| critical fashion | A curA di | Guya Manzoni

a vederlo da fuori sembra il camper di una fa-miglia di clown con le pareti azzurro cielo e i disegni infantili, ma quando la porta si apre

il Ludobus ti accoglie in un mondo di meraviglie in bianco e nero, formato 13x18. “Siamo nel regno della fotografia stenopeica -spiega Noris Lazzarini-, e que-ste sono le mie Leica”. Al posto di obiettivi e macchine fotografiche, estrae dall’armadio otto scatole di latta: piccole come un pacchetto di sigarilli o una lattina, tonde e quadrate, ex scatole di gianduiotti o di botti-glie di liquori. Strane, a forma di automobile, scom-ponibili. E ancora, le zucche, allungate o a pera: fatte essiccare, tagliate e dipinte all’interno di nero.

A renderle “magiche”, un piccolo foro (“stenos opaios” lo chiamavano i greci, ndr) fatto con un pun-teruolo e “momentaneamente” chiuso dal nostro iso-lante, che viene tolto solo per lo scatto. È da qui che la luce filtra e imprime sulla carta fotografica il mondo esterno. Ribaltato, così come accade nel nostro oc-chio: una camera oscura naturale. “Sarà compito del cervello, raddrizzarla” spiega Noris, mentre alla luce rossa della lampada immerge in quattro bacinelle di-verse (sviluppo, arresto, fissaggio e acqua) la fotogra-fia appena fatta. Un negativo che, a contatto con altra carta fotografica, e con la pressione di un vecchio bro-mografo, in pochi istanti, produrrà il positivo.

“Se fossi nata cent’anni fa –scherza Noris-, sarei stata una degna allieva di Nadar”. Una città in co-

mune tra lei e quel fotografo che affascinava con i suoi ritratti la Parigi di fine Ottocento: proprio nella capitale francese, a poco meno di 40 anni, Noris fa i suoi primi esperimenti. “Era il 1993 e da sempre ero innamorata della fotografia –racconta-. A Milano per dieci anni avevo curato le mostre della galleria Il dia-framma, ma volevo esprimermi in maniera diversa”. Ci prova, con un libro di Ando Gilardi e della “Ban-da del buco”, che legge e rilegge, finché nell’atelier di un’amica artista, a Montemartre, esegue il primo scatto: un ritratto che mi mostrerà in seguito nel suo studio-laboratorio, altra stanza delle meraviglie ma

Quando si parla di produzioni “a chilometro zero” o “a filiera corta”, spesso si fa riferimento ad alimen-

ti o a prodotti agricoli locali, che vengono distribuiti nelle vicinanze del luogo di produzione. Ma è possibi-le parlare di “filiera corta” anche nel campo della moda? Magari pensando a un mercato “critico” che valorizzi le risorse locali e contrasti, dal basso, la delocalizzazione?

i grandi marchi di abbigliamento si dedicano ormai prevalentemente all’outsourcing, esternalizzando le pro-duzioni in Paesi con regimi fiscali più indulgenti e mano-dopera a basso costo. Mentre la tariffa oraria di un ope-raio tessile (chi confeziona i capi di abbigliamento, ndr) in italia si aggira tra i 6 e i 18 euro l’ora, in cina è media-mente intorno ai 0,54 centesimi di euro, fino ad arrivare agli 0,44 centesimi di thailandia o gli 0,38 del Vietnam.

non è quindi difficile comprendere come mai i pro-duttori italiani, avendo perso competitività sul mer-

cato comune, preferiscano dedicarsi a capi “di fascia alta”, più costosi rispetto a quelli d’ impor-tazione. con un paradosso: il passaggio in mani-

fattura per le sole rifiniture, escamotage spes-so utilizzato per etichettare il prodotto come “made in italy”.

in questo contesto la qualità del “fatto a mano in italia” riacquista il meritato valore, grazie soprattutto ai tanti progetti di moda critica, che si pongono come obiettivo quel-lo di far riscoprire al pubblico il fascino qua-si dimenticato dell’artigianalità. come nel caso della collezione “chilometro uno”, proposta per la primavera-estate 2010 dal Laboratorio iso-la, un progetto nato lo scorso anno per co-

niugare la ricerca dei tessuti e il design più innovativi.

Questa collezione è ideata, prodotta e distribuita a Milano fra il quartiere Bovi-sa e il quartiere isola, grazie alla collabo-razione di samanthakhan tihsler, frizzante ed eclettica stilista “rubata” per l’occasione ai suoi abiti da sposa. nascono così forme e volumi decisi e delineati, curati fin nel mi-nimo dettaglio, con l’attenzione tipica della manifattura sartoriale. il tutto a “chilome-tro uno”, provare per credere: lo showro-om della designer ed il laboratorio sono divisi da solo 15 minuti di tram.

≈ isola della moda è un laboratorio di autoproduzione, nato a Milano nel 2004, per dare visibilità a giovani stilisti di moda critica (www.isoladellamoda.net).

tutti A Bordo deL LudoBus, Per scoPrire LA MAGiAdeLLe foto in scAtoLA.

“parcheggiata” nella sua casa di Robbiate, in provin-cia di Lecco. “Quell’esperienza mi ha insegnato ad avere fiducia in me e nelle possibilità degli altri”.

Una passione che Noris decide di trasmettere nei corsi che organizza per adulti e bambini prima in Colombia, dove soggiorna per nove mesi e ritorna appena può, poi in Italia e in Svizzera. “A Bogotà mi presentavo con la mia lattina ai ragazzini di strada che rubavano le Nikon ai turisti, me compresa –ricorda-: era quasi imbarazzante, ma in quei pomeriggi condi-videvamo il piacere della fotografia, dove il risultato non dipende dal costo dell’apparecchiatura, ma dal metodo che utilizzi e dal tuo sguardo sulle cose”.

La “missione” di Noris, “Solidal foto in scatola -progetti di solidarietà cercansi”, prosegue anche oggi, in tutta Italia, grazie al suo Ludobus trasformato in una “macchina fotografica” gigante che l’accompa-gna in casa della gente, alla sagre di paese, nelle scuole dove a fine anno ha tenuto dei laboratori per realizza-re insieme ai bambini “la loro foto di classe”. Un’oc-casione unica che ha un prezzo, diverso in base al tipo di attività e dalla distanza da percorrere: si va dalle 200 euro per un laboratorio di quattro ore a scuola in su (per informazioni, www.fotoinscatola.it).

I progetti continuano: ultimi nati, il memory con le carte in positivo e negativo e la scatola “stenostopi-ca stenopeica”, antenata degli occhiali 3D. “Da picco-la sognavo un carrozzone da circo -sorride-: a 60 anni mi comprerò una motocicletta rossa per attraversare la Colombia”. E c’è da giurarci che Noris lo farà, con la sua Leica ben posizionata sul serbatoio.