IL CAL DEL LAZIO TRA REGIONE E AUTONOMIE...
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IL CAL DEL LAZIO, TRAREGIONE E AUTONOMIE LOCALI
CONSIGLIO DELLE AUTONOMIELOCALI DEL LAZIO
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La pubbLicazione è opera deLLa Struttura di Supporto aL caLiL teSto è deL Suo dirigente, Luigi Lupo
gennaio 2010
Stampatipografica artigiana S.r.L. - roma - teL. +39 06 7843977
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SOMMARIO
Presentazione.......................................................................................... 5
1. Le forme di collaborazione istituzionale,
a livello regionale, precedenti la nascita del
Consiglio delle autonomie locali......................................................... 9
2. La previsione costituzionale del Consiglio delle autonomie locali....... 17
3. Il Consiglio delle autonomie locali nello
Statuto della Regione Lazio .............................................................. 25
4. La normativa di attuazione delle disposizioni statutarie ............... 33
5. Le funzioni e i compiti attribuiti dalla normativa statale .............. 47
6. La fase costitutiva del Consiglio delle autonomie
locali del Lazio nell’VIII legislatura regionale ................................. 49
Appendice ............................................................................................. 51
- Composizione del CAL .................................................................. 55
- Legge regionale 26 febbraio 2007, n. 1 .......................................... 59
- Regolamento interno del CAL........................................................ 71
- Protocollo d’Intesa tra il Consiglio regionale
ed il Consiglio delle autonomie locali .............................................. 83
- Allegato al Decreto del Presidente del Consiglio regionale
120/2007, concernente le prime elezioni del CAL ........................... 87
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preSentazione
Il Consiglio delle Autonomie locali, organo di rilevanza costituzionale
previsto dall’art. 123 Cost., è stato istituito nella nostra Regione con la l.r.
n. 1/2007, ha eletto il proprio Presidente e si è compiutamente insediato il
15 luglio 2009, all’atto di adozione del proprio regolamento interno.
A causa della fine anticipata della ottava legislatura e del conseguente af-
fievolimento dei poteri del Consiglio regionale in regime di prorogatio, il
CAL ha potuto esercitare le proprie funzioni per un periodo breve.
Nonostante ciò, in questa fase iniziale, il CAL ha agito nell’interesse
esclusivo delle autonomie locali del Lazio, cercando di evitare accuratamente
che l’appartenenza politica dei propri componenti prevalesse sulla
vocazione istituzionale dell’Organo.
In quest’ottica, il Consiglio delle Autonomie locali si è offerto quale
necessaria sede di confronto tra Regione ed enti locali, al fine di favorire
un dialogo costruttivo fondato sul principio di leale collaborazione tra i
diversi livelli di governo. In questo senso, ricordiamo l’approvazione del
protocollo d’intesa tra il CAL e il Consiglio regionale del Lazio per la tra-
smissione degli atti sui quali il Consiglio delle Autonomie locali è
competente a pronunciarsi, nonché il testo dell’accordo con la Giunta, at-
tualmente in fase di ratifica.
Onorato di aver presieduto questo Organo e dell’ampio consenso
riconosciuto, ho sostenuto, in perfetta sintonia con l’Ufficio di Presidenza,
l’esigenza di dotarci di questa utile pubblicazione per consentire ai membri
attuali e futuri del CAL di avere uno strumento di riferimento agevole, che
fornisca un ausilio per il presente come per il domani.
Insieme ai CAL delle altre Regioni, il Consiglio delle Autonomie locali del
Lazio ha il compito di orientare la propria azione verso l’innovazione,
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sforzandosi di elaborare e promuovere proposte nuove che, a partire dalla
nostra Regione, favoriscano una piena realizzazione del principio di sus-
sidiarietà e di leale collaborazione tra i vari livelli di governo.
La realizzazione di tali obiettivi richiede un impegno concreto che, anche
attraverso un adeguato sostegno da parte della Regione, sia in grado di
valorizzare il ruolo degli enti locali, protagonisti essenziali, anche alla
luce dei recenti interventi legislativi, degli attuali e futuri processi di inno-
vazione istituzionale.
In questo senso il CAL ha inteso commissionare all’ “Istituto di Studi sui
Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie, Massimo Severo Giannini -
ISSiRFA-CNR” e all’Associazione “Osservatorio sui Processi di Governo
e sul Federalismo – Federalismi.it” l’elaborazione del rapporto annuale
sulla sussidiarietà, al fine di analizzare ed incentivare il conferimento
delle funzioni regolamentari ed amministrative, ora di competenza della
Regione Lazio, al sistema delle autonomie.
Con riferimento al tema di “Roma Capitale”, oltre a stimolare un’azione
di confronto interistituzionale, sarà compito del CAL fare in modo che
l’attuazione del dettato costituzionale, operata con la legge n. 42/2009, si
traduca in un’opportunità per tutto il tessuto delle autonomie locali
laziali. D’altronde, con decisione del 23 novembre 2009, il Consiglio delle
Autonomie locali ha istituito una commissione per l’analisi dei vincoli del
patto di stabilità per gli enti locali della nostra Regione, al fine di
elaborare le proposte di adeguamento del patto interno alla realtà del
sistema degli enti locali del Lazio.
Nei prossimi mesi, davanti alle nuove sfide, il Consiglio delle Autonomie
locali continuerà a fornire il proprio contributo per affermare la più
ampia partecipazione, nell’interesse del sistema degli enti locali laziali.
Nicola Zingaretti
Presidente del Consiglio
delle Autonomie locali del Lazio
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IL CAL DEL LAZIO, TRAREGIONE E AUTONOMIE LOCALI
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1. Le forme di collaborazione istituzionale, a livello regionale,
precedenti la nascita del Consiglio delle autonomie locali. La riforma del titolo V della Costituzione ha portato, come è noto, alla ridefinizione complessiva del sistema dei rapporti intercorrenti tra lo Stato, le Regioni e le altre autonomie territoriali in base ad un modello che è stato definito di federalismo cooperativo 1. In tale ambito è stato tra l’altro previsto l’obbligo per le Regioni di disciplinare nei rispettivi Statuti il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli Enti locali (art. 123, quarto comma).
Ancor prima di tale innovazione costituzionale, il problema della rappresentanza degli enti locali nell’ordinamento regionale e del loro concorso alle scelte politiche, programmatiche e legislative della Regione era stato affrontato a livello normativo dalla legge 142/1990 sullo ordinamento delle autonomie locali (ora decreto legislativo 267/2000 - Testo Unico degli EE.LL.), la quale aveva previsto che le Regioni dovessero definire “forme e modi di partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della Regione” 2.
Tale orientamento ha poi assunto una connotazione ancor più spiccata con la legge 59/1997 3 (cd. Legge Bassanini) ed il relativo decreto legislativo di attuazione 112/1998, con i quali il legislatore nazionale ha individuato nella legge regionale lo strumento per operare la distribuzione
1 Come lucidamente osserva A. Chellini, “il federalismo cooperativo presuppone una interazione ed un dialogo continui tra i diversi livelli di governo che, nella distinzione
dei reciproci ruoli e delle rispettive responsabilità, sono chiamati a superare
definitivamente ogni concezione meramente garantistica dei propri ambiti di competenza
per sviluppare una interrelazione positiva tra le rispettive competenze, senza la quale è
impensabile di poter assicurare funzionalità e dinamicità al sistema.”, ne “Le Regioni”, giugno 2001, ed. Il Mulino. 2 Art. 3, comma 6, legge 142/1990. 3 La legge 59/1997, all’art. 3, comma 1, lett. c) stabiliva che con successivo decreto legislativo dovessero essere “individuati le procedure e gli strumenti di raccordo, anche permanente, con eventuale modificazione o nuova costituzione di forme di cooperazione
strutturali e funzionali, che consentano la collaborazione e l'azione coordinata tra enti
locali, tra regioni e tra i diversi livelli di governo e di amministrazione anche con
eventuali interventi sostitutivi nel caso di inadempienza delle regioni e degli enti locali
nell'esercizio delle funzioni amministrative ad essi conferite, nonché la presenza e
l'intervento, anche unitario, di rappresentanti statali, regionali e locali nelle diverse
strutture, necessarie per l'esercizio delle funzioni di raccordo, indirizzo, coordinamento
e controllo”.
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tra le Regioni e gli enti locali delle funzioni non riservate allo Stato ed ha previsto che le stesse Regioni istituissero organismi rappresentativi delle autonomie locali a carattere permanente ed a competenza generale, finalizzati ad un raccordo continuativo tra i vari livelli del sistema delle autonomie 4. In attuazione del suddetto decreto legislativo 112/1998, la Regione Lazio ha istituito nel 1999, presso la Giunta, la Conferenza permanente Regione–autonomie locali, “quale strumento permanente di cooperazione interistituzionale e di concertazione tra la Regione ed il sistema delle
autonomie locali” 5, attribuendole compiti propositivi, consultivi e di studio sulle questioni di interesse diretto degli enti locali.
Tale organo, che ha operato fino al momento dell’insediamento del Consiglio delle autonomie locali, contrariamente a quest’ultimo era 4 Secondo l’art. 4, comma 1, della legge 59/1997, “Nelle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, le regioni, in conformità ai singoli ordinamenti regionali,
conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non
richiedono l'unitario esercizio a livello regionale. Al conferimento delle funzioni le
regioni provvedono sentite le rappresentanze degli enti locali. Possono altresì essere
ascoltati anche gli organi rappresentativi delle autonomie locali ove costituiti dalle leggi
regionali.”. L’art. 3, comma 5, del d.lgs. 112/1998 successivamente stabilì che “Le regioni, nell'ambito della propria autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di
raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione
strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra
regioni ed enti locali nell'ambito delle rispettive competenze.”. 5 Art. 20 della legge regionale 6 agosto 1999, n. 14. La stessa legge ha inoltre previsto (art. 22) una diversa e specifica sede permanente di consultazione e di concertazione con le autonomie funzionali e con le organizzazioni economiche e sociali. È stato così istituito in un primo momento, presso la Giunta regionale, il Comitato permanente Regione-autonomie funzionali e organizzazioni economico – sociali, composto, per la parte regionale, dal Presidente della Giunta e dagli assessori regionali competenti in relazione alle materie di volta in volta trattate e, per la parte delle autonomie funzionali e le organizzazioni economiche e sociali, dal rappresentante dell’Unione Camere Lazio e da un rappresentante per ciascuna delle suddette organizzazioni individuate da apposita deliberazione della Giunta. Con l. r. 12/2003 è stata poi prevista la sostituzione di tale Comitato con il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (CREL), a far data dalla prima costituzione di quest’ultimo. Detta legge attribuiva al CREL sostanzialmente le stesse funzioni dell’organismo di cui veniva disposta la soppressione, con la differenza che il CREL era chiamato ad esercitarle non soltanto nei confronti della Giunta regionale ma anche del Consiglio. Il CREL, cui è stata attribuita rilevanza statutaria (Titolo VIII, capo IV dello Statuto), è stato successivamente oggetto di una nuova disciplina dettata dalla l.r. 13/2006.
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strutturato secondo il modello delle analoghe Conferenze nazionali 6, cioè era a composizione mista. Istituito presso la presidenza della giunta, presentava, per il versante della rappresentanza della Regione, una composizione variabile: infatti, di essa faceva parte, oltre al Presidente della Giunta, l’assessore agli affari istituzionali, il presidente e i vicepresidenti della commissione consiliare competente per tale materia nonché gli assessori regionali competenti in ordine agli argomenti iscritti all’ordine del giorno di ciascuna seduta.
L’altra parte era rappresentata dai presidenti delle cinque province, dai cinque sindaci dei comuni capoluogo di provincia, da ulteriori cinque sindaci designati dall’ANCI regionale, di cui tre di comuni fino a 5 mila abitanti, uno di comune fino a 15 mila abitanti ed uno di un comune con popolazione superiore a 15 mila abitanti. La Conferenza era inoltre composta da due presidenti di comunità montane designati dall’UNCEM Lazio, dal presidente regionale dell’Unione Regionale Province del Lazio (URPL) e dai presidenti delle sezioni regionali dell’ANCI, della Lega delle autonomie locali e dell’UNCEM.
La Conferenza svolgeva un ruolo prevalentemente consultivo nei confronti della Giunta e del Consiglio regionali, che si esplicava in relazione ai seguenti atti: - strumenti di programmazione economica e sociale e di pianificazione territoriale; - proposte di legge comportanti modifiche territoriali degli enti locali; - proposte di legge o di regolamento relative all’organizzazione ed al conferimento di funzioni o compiti agli enti locali o concernenti funzioni di controllo nei confronti di questi ultimi; 6 La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano è un organo collegiale presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri e composto dai Presidenti delle Regioni e delle suddette Province. La sua attività consiste in pareri, intese, deliberazioni, accordi, interscambio di informazioni, istituzione di comitati e gruppi di lavoro, designazione di rappresentanti regionali. Per ciò che riguarda le intese, la Corte costituzionale ha in più occasioni fatto riferimento all’esigenza che i rapporti tra Stato e Regioni siano improntati al principio di “leale collaborazione”. La Conferenza Stato-Città ed autonomie locali è un organo con funzioni di confronto e raccordo tra lo Stato e gli enti locali, presieduto anch’esso dal Presidente del Consiglio dei ministri e composto da alcuni Ministri, dai Presidenti dell’ANCI, dell’UPI, dell’UNCEM nonché da quattordici sindaci e sei presidenti di provincia designati dalle rispettive associazioni di riferimento. Relativamente alle funzioni ed ai compiti di interesse comune delle Regioni e degli enti locali, si dà luogo alla Conferenza unificata tra le sopra menzionate due Conferenze.
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- proposte di atti di indirizzo e coordinamento nei confronti di enti locali; - provvedimenti di varia natura, attuativi della legge regionale organica di conferimento di funzioni e compiti agli enti locali (l.r. 14/1999) e “delle relative norme integrative”.
La Giunta ed il Consiglio regionali avevano poi facoltà di richiedere il parere della Conferenza anche in merito ad ulteriori atti.
I pareri della Conferenza avevano carattere obbligatorio: ciò si può desumere dal fatto che gli organi richiedenti (Giunta o Consiglio) potevano prescindere dall’acquisizione del parere solo una volta che il termine previsto per la sua espressione (30 giorni dalla richiesta, salvo proroga) fosse decorso infruttuosamente.
La Conferenza costituiva, inoltre, la sede nella quale concordare gli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio in gestione associata, in determinate materie, di funzioni e compiti da parte dei comuni di minori dimensioni.
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CONFERENZA PERMANENTE
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2. La previsione costituzionale del Consiglio delle autonomie locali. Si è detto che nell’ambito della riforma realizzata dalla legge costituzionale 3/2001 ha trovato luogo la previsione della disciplina del Consiglio delle autonomie locali da parte degli Statuti regionali 7. L’iter del disegno di legge costituzionale presentato dal Governo 8 e dei numerosi altri progetti di legge costituzionale esaminati in forma abbinata, dai quali poi scaturì la riforma del Titolo V oggi vigente, presenta, per ciò che riguarda specificamente l’argomento in questione, aspetti di indubbio interesse. Infatti, l’art. 11 del suddetto disegno di legge d’iniziativa del Governo, il cui testo avrebbe dovuto sostituire l’art. 123 Cost., dettava direttamente norme relative alla composizione dell’Organo nonché agli atti in merito ai quali avrebbe dovuto esprimersi 9 . Si rileva, in proposito, che se tale originaria versione risulta essere meno rispettosa dell’autonomia regionale rispetto a quella vigente, poichè avrebbe inciso su aspetti la cui disciplina il testo poi approvato ha riservato interamente ai diversi legislatori statutari, sotto altro aspetto è lecito ritenere che l’aver abbandonato l’impostazione precedente non ha probabilmente rappresentato un elemento di rafforzamento del ruolo rivestito dal Consiglio delle autonomie locali.
7 L’art. 123, quarto comma Cost. così recita: “In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti
locali.”. 8 Inizialmente atto Camera dei deputati 5830, con il titolo di “Ordinamento federale della Repubblica”, presentato il 18 marzo 1999. 9 Si riporta il testo originario del citato art. 11 che avrebbe dovuto sostituire l’art. 123 della Costituzione:
“Art. 123 Presso ogni Regione è istituito il Consiglio delle autonomie locali, regolato dallo
Statuto.
Del Consiglio fanno parte, in numero complessivo non superiore a quello dei
componenti l’Assemblea regionale, i presidenti delle Province, i sindaci dei comuni
capoluogo e altri sindaci della Regione scelti nei modi indicati dallo Statuto.
Il Consiglio delle autonomie locali si esprime su:
a) le modifiche dello Statuto;
b) il bilancio di previsione e il rendiconto consuntivo;
c) le leggi in materia di ordinamento e di funzioni degli enti territoriali;
d) le norme e gli atti in materia di ripartizione delle risorse e dei trasferimenti
regionali;
e) gli altri provvedimenti eventualmente indicati dallo Statuto.”.
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In ogni caso, l’art. 11 del disegno di legge costituzionale del Governo venne soppresso in sede di esame da parte della prima commissione Affari costituzionali della Camera, con ciò provocando la decisa reazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali 10 chiamata a fornire il proprio parere. Contro tale soppressione si schierarono unitariamente la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome nonché le associazioni degli enti locali 11. La definitiva versione del nuovo art. 123 della Costituzione ha quindi visto la reintroduzione del Consiglio delle autonomie locali in ciascun ordinamento regionale 12 – rectius l’obbligo di disciplina da parte degli
10 Nel proprio parere, con riferimento all’articolo 11 dell’ A.C. 5830, la Commissione parlamentare per le questioni regionali valutò “negativamente la soppressione di tale disposizione, che prevedeva l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali, che
costituisce in qualche modo la contropartita per gli enti locali del loro inserimento nel
sistema regionale e la garanzia del rispetto del principio di sussidiarietà. Su questo
punto il parere è subordinato al ripristino dell’art. 11 del testo governativo, purchè
naturalmente venga accolta l’idea che gli enti locali siano parte del sistema regionale”. 11 Come sottolinea A. Chellini, “si può ritenere che questa importante presa di posizione unitaria dell’intero schieramento autonomistico, che superava, malgrado il quadro
generale di forte contrapposizione politica, le divergenti posizioni sia istituzionali che
politiche delle Regioni e degli enti locali, abbia avuto un ruolo fondamentale per il varo
definitivo della riforma e, all’interno di questa, del Consiglio delle autonomie locali.”. Ne “Le Regioni” , giugno 2001. 12 Sul punto va segnalato che il Governo, nel 2005, impugnò davanti alla Corte costituzionale la legge 1/2005 della Sardegna, poiché istituiva il CAL con semplice legge ordinaria e non attraverso la fonte statutaria. Per quanto concerne l’impugnativa contro la legge sarda, secondo il ricorrente, la norma di cui all’art. 123, quarto comma Cost., “pur riferita esclusivamente alle Regioni a statuto ordinario, si applica anche alle Regioni a
statuto speciale, in virtù della clausola contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale
n. 3 del 2001, secondo cui «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti», le disposizioni della suddetta legge costituzionale «si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di
autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite». Con sentenza n. 175/2006, la Corte, senza entrare nel merito della questione, dichiarò la stessa inammissibile, a causa della genericità delle asserzioni del ricorrente a corredo della propria richiesta di dichiarazione di incostituzionalità. Successivamente, con la sent. 370/2006 relativa alla legge 7/2005 della Provincia autonoma di Trento, la Corte, questa volta entrando nel merito, respinse un analogo ricorso del Governo, affermando che la norma di cui all’art. 10 della legge cost. 3/2001 riguarda solo le Regioni a statuto ordinario, in quanto “è caratterizzata da assoluta specialità, il che la rende insuscettibile sia di interpretazione estensiva che di
applicazione analogica ed ha una finalità essenzialmente transitoria…”.
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Statuti - attraverso una formulazione più essenziale rispetto a quella della versione precedente. Dall’art. 123, quarto comma, della Costituzione emergono due elementi: il primo è rappresentato dall’obbligo di “disciplina” – ed ancor prima dovremmo dire dell’istituzione – del Consiglio delle autonomie locali da parte degli Statuti regionali; il secondo, dal fatto che esso sia organo di “consultazione fra la Regione e gli enti locali”. Il primo di tali elementi pone sostanzialmente un interrogativo sul livello di disciplina da affidare alle norme statutarie e, di conseguenza, sugli ambiti che debbano, invece, essere oggetto di regolazione da parte della legge ordinaria regionale. Una prima immediata risposta dovrebbe scaturire dalla indefettibile funzione che l’art. 123 Cost. assegna allo Statuto regionale, che è quella di determinare “la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” della Regione.
Posto che il Consiglio delle autonomie locali costituisce senza alcun dubbio un organo regionale, la sua disciplina da parte dello Statuto dovrebbe concernere, appunto, gli aspetti fondamentali dell’organizzazione e del funzionamento nonché il ruolo chiamato a rivestire nell’ambito della forma di governo prescelta dal legislatore statutario. Ferma restando, naturalmente, l’autonomia decisionale del legislatore statutario, è stato affermato in dottrina che “diventano aspetti fondamentali della disciplina tutti quelli che toccano l’indipendenza dell’organo, la sua
rappresentatività (e quindi la sua composizione), i suoi poteri, gli effetti
derivanti dall’esercizio di tali poteri; ne restano fuori le modalità attraverso
cui le regole fondamentali vengono attuate e quelle eventuali attribuzioni di
compiti ulteriori che la legge regionale aggiunge alle funzioni già garantite
in statuto. Facendo applicazione di questo principio è lo statuto, e solo lo
statuto, che è competente a disciplinare: a) quanti sono i componenti
dell’organo e i criteri in base ai quali vengono selezionati ed eventualmente
revocati (fatti salvi, se vi sono, i principi costituzionali impliciti da
rispettare anche per questi aspetti); b) durata ed eventuale scioglimento
anticipato; c) presidenza e ufficio di presidenza; d) regolamenti interni del
CAL, sua autonomia amministrativa e contabile; e) funzioni; f) effetti
giuridici derivanti dagli atti di esercizio delle funzioni.” 13.
Il secondo degli elementi prima individuati, cioè quello della funzione consultiva tra la Regione e gli enti locali, induce anch’esso a degli 13 Così G. U. Rescigno, “Consiglio delle autonomie locali e Costituzione” in Politica del Diritto, anno XXXIV, n. 2, giugno 2003, pag. 231 e ss.
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interrogativi: tale “funzione consultiva” in che cosa si sostanzia? Ed ancora, deve necessariamente costituire l’unica funzione che il CAL è legittimato a svolgere ovvero rappresenta la dotazione minima ed incomprimibile che la Costituzione ad esso assegna? Per dare risposta a tali quesiti occorre necessariamente, sia pure in modo sintetico, inquadrare le questioni in un ambito più vasto, che consideri le grandi novità apportate dalla riforma del Titolo V della Costituzione e, in particolare, i rapporti che intercorrono tra i diversi livelli istituzionali presenti a livello regionale. In tal senso va ricordato che il nuovo art. 118 della Costituzione ha comportato l’abbandono del cosiddetto “parallelismo delle funzioni” legislativa ed amministrativa in capo alle Regioni. In base al suddetto principio, esse erano titolari delle funzioni amministrative in tutte le materie nelle quali disponevano della competenza legislativa, ad eccezione di quelle d’interesse esclusivamente locale che potevano essere attribuite dallo Stato direttamente agli enti locali 14. Tale meccanismo, se da una parte mostrava il vantaggio di una semplificazione concettuale, che si risolveva in un’equazione in ordine alla titolarità delle due tipologie di funzioni, dall’altra non risultava essere in linea con l’emergente esigenza di riconoscere più ampi poteri di governo agli enti locali, in modo da consentire che l’autorità decisionale venisse posta al livello istituzionale più prossimo alla cittadinanza; concetti, questi, che rappresentano l’essenza del “principio di sussidiarietà 15. Il nuovo art. 118 della Costituzione, che riprende sotto certi aspetti il meccanismo di allocazione delle funzioni amministrative delineato dalla “legge Bassanini” 16, ha ribaltato l’impostazione del testo previgente, stabilendo che le suddette funzioni sono attribuite ai comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città
14 L’originario art. 118 Cost. peraltro prevedeva, al terzo comma, che le Regioni dovessero “normalmente” conferire la delega all’esercizio delle proprie funzioni amministrative agli enti locali. Tale norma vide, in via generale, un modesto grado di applicazione, il che indusse a definire comunemente tale atteggiamento delle Regioni come una forma di “neocentralismo” , che sostanzialmente replicava quello per tanto tempo tenuto dallo Stato nei confronti delle Regioni stesse. 15 Il principio di sussidiarietà, richiamato più volte nel nuovo Titolo V della Costituzione, è di derivazione comunitaria ed è stato formalmente introdotto nell’ordinamento europeo dall’art. 5 del Trattato di Maastricht. 16 La legge 59/1997 ha attribuito al Governo un’ampia delega - che è stata esercitata attraverso più decreti delegati, e in particolare dal d.lgs. 112/1998 – al fine di conferire funzioni e compiti amministrativi alle Regioni e agli enti locali.
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metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza 17. Il fatto che l’art. 118, primo comma, della Costituzione attribuisca tutte le funzioni amministrative ai comuni non significa che necessariamente debbano essere esercitate dagli stessi, ma soltanto che debbano sussistere determinati presupposti affinchè le funzioni possano essere conferite ad un livello istituzionale superiore 18. Dal momento che la regia di queste operazioni di allocazione delle funzioni è appannaggio dei soli Enti che dispongono della potestà legislativa, cioè Stato e Regioni, appare chiara l’esigenza, per quanto riguarda l’ambito regionale, che tutti gli enti locali interessati all’applicazione di tale meccanismo debbano avere la possibilità di esporre il proprio punto di vista e di interloquire con la Regione attraverso un loro organo rappresentativo, fornendo elementi che contribuiscano all’effettuazione delle scelte più razionali da parte di quest’ultima, in un’ottica di effettiva “leale collaborazione” tra enti che, secondo il nuovo art. 114 della Costituzione, incarnano elementi costitutivi della Repubblica. E stato anzi sostenuto, in merito a tale aspetto, che il parere del CAL, quale
17 Per la definizione a livello normativo di tali principi occorre fare riferimento alla citata legge Bassanini (legge 59/1997), la quale all’art. 4 ne elenca una lunga serie: il loro rispetto costituisce un parametro di legittimità ai fini del conferimento delle funzioni amministrative agli enti locali. In particolare, sono definiti: - “il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le
rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole
funzioni incompatibili con le dimensioni medesime…”, attribuendo le responsabilità
pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza
sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e
funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”;
- “il principio di adeguatezza, in relazione all'idoneità organizzativa dell'amminis-trazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle
funzioni”;
-“il principio di differenziazione nell'allocazione delle funzioni in considerazione delle
diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli
enti riceventi”. 18 Tra i tanti contributi dottrinari su questo aspetto, si veda quello fornito da G.U. Rescigno “Sull’attuazione del principio di sussidiarietà”, note per l’audizione dell’11 dicembre 2006 presso le Commissioni Affari costituzionali congiunte di Camera e Senato, pubblicate su www.astrid-online.it.
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organo di rappresentanza degli enti locali, non sia solo opportuno ma costituzionalmente necessario 19. La funzione consultiva che il CAL è chiamato ad esercitare dalla Costituzione non può che rappresentare, a ben vedere, la declinazione di un modus procedendi imperniato sulla pari dignità e sulla partecipazione da parte di tutti i livelli di governo presenti in uno stesso ambito territoriale; principio, questo, la cui applicazione dovrebbe travalicare i confini dell’allocazione delle funzioni amministrative, per estendersi ad ogni forma di politica socio-economica, territoriale e finanziaria che, direttamente od indirettamente, abbia ricadute sulla cittadinanza locale 20. In precedenza, ci si è posti l’altro interrogativo se la funzione consultiva possa essere, stando ad un’interpretazione meramente letterale della norma costituzionale, l’unica esercitabile dal Consiglio delle autonomie locali. La risposta più immediata, e certamente più efficace, è data dal fatto che è lo stesso legislatore nazionale, con legge ordinaria, ad aver posto in capo al CAL una serie di funzioni e compiti di varia natura 21. Dalla lettura dei diversi Statuti emerge che questi hanno a loro volta attribuito ai rispettivi CAL regionali funzioni propositive, ed in particolare di iniziativa legislativa; di raccordo tra i livelli di governo; di nomina di componenti di organi nonché forme di vero e proprio controllo “politico” sulla Regione 22. Hanno così trovato diretto riscontro le valutazioni di coloro che, sin dall’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione, hanno sostenuto la possibilità, da parte degli Statuti regionali, di poter attribuire ulteriori funzioni al CAL rispetto a quella consultiva, purchè fossero in armonia con la normativa costituzionale e, in particolare, non risultassero lesive delle funzioni proprie del Consiglio regionale.
Così, ad esempio, sarebbe da ritenersi costituzionalmente illegittima una disposizione statutaria che facesse discendere da un parere negativo del
19 In tal senso G.U. Rescigno, “Consiglio delle autonomie locali e Costituzione”, in Politica del Diritto, anno XXXIV, n. 2, giugno 2003. 20 Secondo L. Castelli, la lettura dell’art. 123, quarto comma Cost., dovrebbe essere effettuata in un’accezione “evolutiva, che cioè la porti ad essere interpretata come il punto di partenza di un nuovo modo di impostare le relazioni tra Regione ed enti locali”, in “Giornale di diritto amministrativo”, n. 12/2006. 21 Si veda il paragrafo 5. 22 Lo Statuto delle Marche prevede la partecipazione del CAL nella valutazione degli effetti prodotti dalle politiche regionali nei confronti degli enti locali.
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CAL l’obbligo da parte del Consiglio regionale di approvare l’atto oggetto del suddetto parere con una maggioranza superiore a quella assoluta 23.
23 In tal senso G.U. Rescigno, op. per ultimo citata.
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3. Il Consiglio delle autonomie locali nello Statuto della Regione Lazio. La disciplina del CAL, a livello statutario, è dettata dagli artt. 66 e 67, collocati, all’interno del Titolo VIII 24, nel capo I, rubricato: “Organi di raccordo istituzionale”. Appare subito palese che il legislatore statutario abbia in tal modo inteso attribuire al CAL un ruolo ulteriore rispetto a quello di mera consultazione, poiché altrimenti le disposizioni relative all’Organo in questione sarebbero state inserite nel capo IV dello stesso Titolo, dedicato, appunto, agli “organi di consultazione” 25. Ciò risulta poi esplicitato dall’art. 66, comma 1, ove è stabilito che: “Il Consiglio delle autonomie locali, istituito presso il Consiglio regionale, è organo rappresentativo e di
consultazione degli enti locali, ai fini della concertazione tra gli stessi e la
Regione”. I caratteri indefettibili del CAL, cioè l’essere organo rappresentativo e di consultazione, sono assunti dalla norma statutaria in relazione alla finalità dell’Organo, che è quella della concertazione. E proprio in relazione a tale finalità, da intendersi nel senso più ampio di forma permanente di raccordo per la formazione delle politiche regionali, lo Statuto assegna al CAL, come si vedrà più avanti, altre funzioni oltre a quelle di tipo consultivo. E’ poi da porre nella dovuta evidenza il fatto che la disposizione richiamata espressamente affermi il ruolo di rappresentatività del sistema degli enti locali che il CAL è chiamato a rivestire, peraltro implicito nella novella costituzionale che ha previsto la sua istituzione. Tale ruolo di (unico) rappresentante fa sì che il CAL si configuri come una realtà del tutto diversa rispetto a quella dell’organo regionale cui è succeduto, cioè la Conferenza permanente Regione-autonomie locali, la quale era strutturata come un organo a composizione mista, collocato presso la Giunta regionale, e presieduto dal Presidente della Regione o dall’Assessore delegato 26.
24 Il Titolo VIII tratta degli “organi di raccordo istituzionale, di garanzia di controllo e di consultazione”. 25 Gli organi di consultazione espressamente individuati nel capo IV sono nell’ordine: il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (CREL); l’Osservatorio regionale permanente sulle famiglie; la Consulta femminile regionale per le pari opportunità e la Consulta regionale per i problemi della disabilità e dell’handicap. 26 Secondo A. Chellini, il modello Conferenza, in astratto, si presentava con il profilo di un organo ausiliario della Giunta, privo di carattere elettivo e con un livello di autonomia piuttosto basso, cit.; M. Carli sostiene, inoltre, che con la fine dell’organo misto è
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Non è azzardato sostenere che il modello istituzionale del CAL ricordi da vicino quello, di cui molto si è dibattuto a livello nazionale, della “seconda Camera” o della “Camera delle autonomie”.
Il CAL, non a caso per tale motivo istituito presso il Consiglio regionale 27, rappresenta la sede istituzionale nell’ambito della quale gli enti locali sono chiamati ad assumere posizioni comuni in ordine alle scelte di politica legislativa e di programmazione territoriale ed economico-sociale della Regione che li vedano coinvolti o che comunque attengano ai loro interessi. Per ciò che riguarda la composizione del CAL, l’art. 66 dello Statuto non determina il numero dei suoi componenti se non in quello massimo, che è fissato in 40, prevedendo che ne debbano far parte, in ogni caso, il Sindaco di Roma, quelli dei Comuni capoluogo di provincia nonché i Presidenti delle Province. Il compito di stabilire le modalità per la nomina degli ulteriori membri dell’Organo, e naturalmente la loro quantificazione, è affidato alla legge ordinaria regionale, che comunque è tenuta a rispettare “criteri di pluralismo politico e di rappresentanza territoriale per ambito provinciale, garantendo
che gli enti locali siano rappresentati indipendentemente dalla loro classe di
grandezza”. Lo Statuto stabilisce, quindi, tre principi di garanzia che devono guidare il legislatore in proposito e che denotano l’estrema attenzione posta per assicurare, in seno al CAL, la più ampia rappresentatività delle esigenze dei diversi ambiti territoriali e delle diverse sensibilità politiche che, in tale consesso, sono tenute a ricercare punti di incontro e di sintesi. In merito al secondo ed al terzo dei suddetti principi non sembra necessario soffermarsi: si tratta di garantire la presenza nel CAL sia di rappresentanti di tutti i territori provinciali – ulteriori rispetto ai presidenti delle province – sia di comuni di minori dimensioni demografiche.
L’altro principio, quello del pluralismo politico, induce almeno a due considerazioni. Innanzi tutto presuppone che debba riguardare solo i membri elettivi, poiché non si vede come possa trovare diversa applicazione; in secondo luogo, sembra tracciare un limite invalicabile da parte delle norme chiamate a disciplinare le modalità di elezione di componenti del CAL. In tal senso, ad esempio, dovrebbe ritenersi in
valorizzata “anche l’assemblea regionale, non più destinataria di proposte che, in quanto concordate fra Giunta ed enti locali, erano più difficilmente modificabili”. 27 La scelta di collocare il CAL presso il Consiglio regionale è stata adottata da tutte le Regioni a statuto ordinario.
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conflitto con il suddetto principio un sistema elettorale imperniato interamente su collegi uninominali.
Una questione che a livello dottrinario è stata affrontata all’indomani dell’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001 è stata quella della possibilità di prevedere la presenza nel CAL anche di rappresentanti delle cosiddette autonomie funzionali. Lo Statuto del Lazio ha consentito tale opzione alla legge ordinaria, facendo anzi espresso riferimento alle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura nonché alle università, escludendo tuttavia a priori che i relativi rappresentanti possano esercitare il diritto di voto 28.
Per ciò che riguarda le funzioni del CAL, dall’art. 67 dello Statuto è possibile enuclearne due tipologie: quella propositiva e quella consultiva, anche se lo stesso articolo, al comma 3, fa riferimento, in modo generico, all’esercizio di “ulteriori funzioni previste dallo Statuto”.
Di tali ulteriori funzioni o prerogative una prima è riconducibile al ruolo di soggetto di concertazione con la Giunta; una seconda è relativa alla possibilità di promuovere il rilascio di pronunce e pareri da parte del Comitato di garanzia statutaria ed una terza si sostanzia nella facoltà di proporre al Presidente della Regione di ricorrere alla Corte costituzionale per la tutela degli interessi degli enti locali. Tali aspetti saranno esaminati in seguito.
Nell’ambito della funzione propositiva rientra, oltre alla generale possibilità di avanzare proposte verso il Consiglio e la Giunta, quella di esercitare l’iniziativa legislativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 67, comma 1 e 37, comma 1, relativamente alla revisione dello Statuto nonché alle funzioni degli enti locali ed ai rapporti tra questi e la Regione. E’ prescritto che la deliberazione con la quale l’Organo decidesse di presentare una proposta di legge regionale debba essere adottata a maggioranza assoluta dei componenti.
In proposito, ci si può chiedere se l’iniziativa legislativa in ordine alla revisione statutaria incontri o meno limiti materiali e, in concreto, se un’eventuale proposta di legge del CAL che vertesse su argomenti non 28 Gli Autori che hanno affrontato questo aspetto hanno escluso un’interpretazione talmente estensiva della locuzione “enti locali” di cui all’art. 123, quarto comma Cost., tale da poter ritenere possibile l’inclusione a pieno titolo nel CAL anche di rappresentanti delle autonomie funzionali. Così M. Cosulich, Relazione al Convegno di Alessandria dell’8 maggio 2009 su “Comuni e Province in Italia e in Francia; in precedenza R. Bin, “Il Consiglio delle autonomie locali nello Statuto regionale”, ne Istituzioni del federalismo n. 4/2004, pag. 595, Maggioli; A. Pacchiarotti, “Federalismo amministrativo e riforma costituzionale delle autonomie”, Maggioli 2004, pag. 356.
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direttamente attinenti alla sfera di interessi delle autonomie locali possa essere dichiarata ricevibile da parte del Presidente del Consiglio regionale.
Con ogni dovuta prudenza si può affermare che una possibilità del genere non dovrebbe essere esclusa, non solo perché la richiamata disposizione statutaria dell’art. 67 non fa cenno ad alcuna limitazione, ma anche in coerenza con quanto disposto dallo stesso Statuto relativamente all’iniziativa legislativa ordinaria, di cui gli enti locali dispongono senza preclusioni di sorta 29.
In relazione alla funzione consultiva, lo Statuto stabilisce che il CAL esprima parere obbligatorio sulle più rilevanti proposte di legge regionale – revisione statutaria, legge finanziaria, approvazione dei bilanci di previsione, conferimento di funzioni agli enti locali o di modifica del riparto di competenze tra gli enti territoriali – nonché sui più importanti atti a carattere programmatorio: DPEFR e strumenti generali di programmazione socio-economica e di pianificazione territoriale regionali.
Lo Statuto dispone poi che l’Organo rappresentativo degli enti locali, oltre che in ordine ai suddetti atti, esprima pareri “su ogni altra questione ad esso demandata dallo Statuto e dalla legge regionale, nonché a seguito di
richiesta da parte del Consiglio o della Giunta regionale…”. Le menzionate enunciazioni statutarie riferite al ruolo consultivo del
CAL offrono diversi spunti di riflessione che meritano di essere esaminati più avanti, anche alla luce della disciplina dettata dalla legge regionale attuativa.
Una considerazione, peraltro, da subito s’impone circa il rilevo che lo Statuto attribuisce ai pareri del CAL in quanto tali, obbligatori o non, e conseguentemente al peso di quest’ultimo nelle politiche legislative e di programmazione della Regione. Si afferma, infatti, che “il Consiglio regionale, nelle deliberazioni di propria competenza, tiene conto del parere
espresso dal Consiglio delle autonomie locali”. Non può certo sfuggire che il legislatore statutario, con una
formulazione non priva di una certa enfasi, abbia con ciò voluto spingersi, al fine di rimarcare il ruolo del CAL, fino all’estremo limite di quanto costituzionalmente consentito, senza intaccare le prerogative dell’Assemblea legislativa.
29 L’iniziativa delle leggi (ordinarie) regionali da parte degli enti locali compete, ai sensi dell’art. 37, comma 1 St., a ciascun consiglio provinciale nonché ad almeno cinque consigli comunali che rappresentino congiuntamente non meno di 10 mila residenti.
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Il “tener conto” della volontà del CAL appare una ferma indicazione per la tendenziale, costante ricerca di punti di equilibrio e di mediazione tra possibili divergenti posizioni di organi regionali.
In particolare, ove detti punti di equilibrio non potessero essere raggiunti in relazione a leggi di conferimento di funzioni agli enti locali o di modifica del riparto di competenze tra questi e la Regione e qualora il parere negativo del CAL fosse stato espresso con la maggioranza dei due terzi, il Consiglio regionale sarebbe costretto ad approvare la legge in questione a maggioranza assoluta 30.
Come si è accennato in precedenza, lo Statuto riconosce poi al CAL, oltre alla funzione propositiva ed a quella consultiva, la rilevante prerogativa di poter richiedere al Comitato di garanzia statutaria, a seguito di deliberazione adottata a maggioranza dei componenti, di esprimere le proprie valutazioni in ordine alla legittimità statutaria di leggi regionali 31, di proposte di regolamenti di delegificazione della Giunta 32 ed infine in merito all’interpretazione di norme statutarie.
In tutti questi casi, l’intervento del Comitato di garanzia statutaria, ove effettivamente dovesse ritenere che gli atti ad esso sottoposti siano di dubbia legittimità, ha fondamentalmente un compito di moral suasion nei confronti dell’organo che ha deliberato, o abbia in animo di farlo nel caso delle proposte di regolamento di delegificazione della Giunta, l’atto così contestato. Un ruolo, pertanto, di prevenzione di conflitti tra organi della Regione e di garanzia della tenuta del sistema 33.
30 Uguale effetto scaturirebbe, a norma di Statuto, nel caso in cui il parere favorevole del CAL fosse condizionato al recepimento di proposte emendative che dovessero restare senza esito. 31 Tale richiesta deve pervenire prima della promulgazione della legge regionale e produce l’effetto di sospendere i termini entro i quali il Presidente della Regione è tenuto a tale adempimento. Art. 39, comma 4 St. 32 I cosiddetti regolamenti di delegificazione di cui all’art. 47, comma 2, lettera c) St., già previsti dall’ordinamento nazionale, hanno come è noto la capacità, sulla base di un’apposita legge che li abbia autorizzati in tal senso, di modificare o abrogare norme di legge, con ciò derogando al principio generale dell’ordinamento secondo cui una fonte subordinata, quale appunto il regolamento, non possa modificarne una sovraordinata. In realtà tale capacità consegue al fatto che la suddetta legge a monte, avendo espresso le norme regolatrici della materia vincolanti per il successivo regolamento, ha abilitato quest’ultimo a modificare o abrogare la fonte normativa sovraordinata. 33 Al di là della suddetta moral suasion, l’effetto prodotto da un’eventuale pronuncia negativa sulla legge approvata dal Consiglio regionale è quello, ai sensi dell’art. 68, comma 8 St., di un aggravio procedurale dell’iter legislativo.
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Lo Statuto attribuisce poi al CAL una specifica funzione propositiva che trae origine da una disposizione contenuta nella legge statale 131/2003 (cosiddetta “Legge La Loggia”) attuativa delle norme costituzionali di riforma del Titolo V.
L’art. 9, comma 2, della suddetta legge statale, attraverso la sostituzione del secondo comma dell’art. 32 della legge 87/1953, offre oggi al CAL la possibilità di proporre alla Giunta regionale di promuovere, attraverso il Presidente di quest’ultima, ricorsi alla Corte costituzionale, avverso leggi o atti aventi forza di legge, per questioni di legittimità.
Lo Statuto regionale, partendo da tale riconoscimento effettuato dalla normativa statale, ha esteso l’esercizio di questa funzione propositiva, prevedendo che possa essere indirizzata anche per la proposizione di ricorsi contro leggi di altre Regioni 34 nonché per conflitto di attribuzione, aggiungendo che ulteriori ricorsi possano essere proposti dal CAL, sempre al Presidente della Regione, per adire la Corte di giustizia delle Comunità europee 35.
La novità scaturita dalla legge “La Loggia”, recepita con le integrazioni sopra descritte dallo Statuto, trova la ragion d’essere nel fatto che la riforma del Titolo V, pur riconoscendo lo status di enti costituzionali a comuni e province, non ha comportato la possibilità da parte loro di accedere, in via principale, alla Corte costituzionale.
La soluzione prefigurata dal legislatore statale appare in ogni caso inidonea a garantire estese forme di tutela degli interessi dei comuni e delle province, poiché la Regione, qualora intendesse dar seguito alle richieste del CAL, incontrerebbe comunque limitazioni alla possibilità di accedere con successo alla Corte costituzionale, dal momento che la normativa vigente consente alla Regione di proporre ricorso contro le leggi dello Stato o di altre Regioni solo allorchè queste risultino invasive della competenza della Regione stessa. Qualora ciò non fosse dimostrabile, le istanze rivendicative dei comuni e delle province non potrebbero trovare altro mezzo per
34 E. Lamarque reputa “inspiegabile” la mancata previsione, da parte della legge La Loggia, della possibilità da parte del CAL di proporre ricorso anche verso leggi di altre regioni, ne “L’attuazione del nuovo Titolo V, Commento alla legge La Loggia, Giappichelli, 2004, pag. 242. 35 La legge regionale 1/2007, attuativa delle disposizioni statutarie concernenti il CAL, ha stabilito che per deliberare tali proposte occorre la maggioranza dei due terzi dei componenti l’Organo ed ha precisato che la finalità dei ricorsi è quella della “tutela delle prerogative garantite agli enti e alle comunità locali dalla Costituzione della Repubblica, dall’ordinamento comunitario e dai trattati internazionali” .
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rimuovere la normativa lesiva delle proprie attribuzioni se non attraverso l’accoglimento di ricorsi presentati in via incidentale.
In merito alla durata in carica del CAL, lo Statuto dispone, allo stesso modo di altre Regioni, la sua equiparazione a quella del Consiglio regionale.
E’ quindi previsto che il CAL, a seguito del rinnovo dell’Assemblea legislativa, tenga la propria prima seduta entro 45 giorni dall’insediamento di quest’ultima. Tale termine, peraltro, in mancanza di norme che prevedano effetti diretti nel caso di mancato rispetto, non può essere considerato perentorio. In ogni caso, il CAL risulta validamente costituito, e pienamente in grado di operare, a seguito dell’avvenuta nomina dei quattro quinti dei membri elettivi.
Lo Statuto, infine, ha riservato alla legge regionale la disciplina di una serie di aspetti. Innanzi tutto quelli già menzionati relativi al numero, alle “modalità di nomina” dei componenti del CAL ed alla possibilità di partecipazione di rappresentanti delle autonomie funzionali; poi quelli concernenti le forme di raccordo con gli altri organi regionali e i termini per la trasmissione degli atti e per il rilascio dei pareri; quindi, quello dell’organizzazione amministrativa, con la previsione di una struttura organizzativa di supporto all’Organo.
Va segnalato, per ultimo, che lo Statuto riconosce al CAL, coerentemente con il ruolo ad esso spettante, una piena autonomia di organizzazione per il suo funzionamento.
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4. La normativa di attuazione delle disposizioni statutarie. La legge regionale che ha dato attuazione alle norme statutarie sul CAL – l.r. 1/2007 - origina dall’esame in forma abbinata, presso la competente commissione del Consiglio regionale, di quattro proposte di legge 36. L’iter legislativo che seguì il rilascio del parere favorevole da parte della commissione fu particolarmente celere, poiché il testo venne approvato dal Consiglio regionale solo due settimane dopo. L’impianto della legge è volto certamente a valorizzare il CAL e l’incipit del testo ne offre una immediata dimostrazione, così recitando: “Il Consiglio delle autonomie locali … è organo di rappresentanza istituzionale
del sistema delle autonomie locali del Lazio nonché di consultazione, di
concertazione e di raccordo tra la Regione e gli enti locali, al fine di
garantire; a) il rispetto dei principi costituzionali e statutari di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; b) l’effettiva partecipazione
degli enti locali ai processi decisionali della Regione che incidono sugli
interessi dei territori e delle comunità locali”. Gli elementi che appaiono particolarmente significativi sono il porre l’accento sul carattere di effettività dell’attività partecipativa e, soprattutto, il compito di garante della corretta attuazione dei richiamati principi costituzionali. Tale ruolo di garante delle prerogative e degli interessi locali è avvalorato da una precisa prescrizione contenuta nella legge, che affida al CAL il compito di redigere annualmente un rapporto sull’attività amministrativa della Regione e degli enti da essa dipendenti, “anche al fine di verificare il rispetto” dei tre menzionati principi costituzionali e dei principi e criteri direttivi di cui all’articolo 16 dello Statuto 37. 36 In particolare tre di esse erano d’iniziativa consiliare ed una della Giunta. La commissione competente in via primaria scelse come testo base la p.l. 149, primo firmatario il Cons. Milana. 37 Art. 7 della l.r. 1/2007. Il richiamato art. 16 St. stabilisce i criteri in base ai quali la Regione deve procedere ai fini della ripartizione dell’esercizio delle funzioni amministrative oggetto di potestà legislativa regionale. Si riporta il testo dei primi due commi che riguardano specificamente la distribuzione delle competenze tra la Regione e gli enti locali, che viene delineata mediante precisi criteri metodologici: “Art. 16 (Potestà amministrativa). 1. In applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza, le funzioni amministrative relative alle materie oggetto
di potestà legislativa della Regione sono, con legge regionale, attribuite di norma ai
Comuni ovvero conferite alle province ed agli altri enti locali o riservate alla Regione
medesima qualora ciò sia necessario per garantirne l’esercizio unitario ai fini
dell’efficace tutela degli interessi dei cittadini e della collettività. 2. La ripartizione delle
funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo è effettuata secondo i seguenti criteri: a) indicazione tassativa delle funzioni riservate alla Regione in quanto attengano
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Di fatto, viene così ad essere riconosciuto al CAL un vero e proprio ruolo di controllore istituzionale, tant’è che, ove da tale verifica conseguente al monitoraggio delle attività amministrative dovessero emergere “eventuali anomalie”, il CAL sarebbe tenuto ad esporle al Presidente della Regione ed al Presidente del Consiglio regionale 38. Tra gli argomenti più rilevanti che lo Statuto ha affidato alla disciplina della legge regionale vi è quello della composizione dell’Organo. Dopo aver fissato a 40 il numero dei componenti, la scelta si è orientata nella ricerca della più ampia rappresentatività delle diverse realtà locali, ivi comprendendo l’apporto delle cinque associazioni degli enti locali – ANCI, UPI, UNCEM, Legautonomie ed AICCRE - i cui presidenti delle sezioni regionali vanno così ad affiancare, quali membri di diritto, quelli già determinati come tali direttamente dallo Statuto (Sindaco di Roma, Sindaci dei comuni capoluogo di provincia, Presidenti delle Province). Come si è avuto modo di segnalare, lo Statuto ha demandato alla legge regionale il compito di definire la composizione del CAL avendo riguardo alle esigenze di assicurare il pluralismo politico e la rappresentanza di tutti i territori provinciali. La l.r. 1/2007 ha previsto una componente propriamente elettiva pari alla metà del totale dei componenti il CAL; di questi, 17 in rappresentanza dei comuni non capoluogo di provincia e 3 in rappresentanza delle comunità montane e di arcipelago. Per quanto concerne i rappresentanti dei comuni, la legge ha disposto che 5 debbano essere espressione di comuni con più di 15 mila abitanti, ulteriori 5 di comuni con popolazione compresa tra 5 mila e 15 mila abitanti ed infine 7 di comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti.
ad esigenze di carattere unitario; b) conferimento, mediante attribuzione o delega, delle
altre funzioni alle Province, ai Comuni e alle loro forme associative, in rapporto al ruolo
che tali enti sono tenuti rispettivamente a svolgere nonché alle dimensioni territoriali,
all’idoneità organizzativa ed alle diverse caratteristiche demografiche e strutturali; c)
attribuzione comunque ai Comuni della generalità delle funzioni non riservate alla
Regione e non conferite espressamente ai sensi, rispettivamente, delle lettere a) e b); d)
trasferimento agli enti, destinatari delle funzioni conferite, delle risorse umane,
finanziarie e strumentali necessarie per l’esercizio delle funzioni stesse.”. 38 E’ da segnalare che la l.r.14/1999, art. 24, già prevede un “Osservatorio sull’attuazione del decentramento amministrativo”. Istituito presso la Giunta, ha una composizione mista, che vede tra gli altri la presenza anche di rappresentanti di organizzazioni sindacali, economiche e sociali. In base alla normativa è chiamato peraltro a svolgere compiti di monitoraggio ed a formulare proposte su una serie di argomenti che risultano ulteriori rispetto a quelli correlati al decentramento amministrativo.
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Sono previste elezioni, nell’ambito di un collegio unico regionale, per ciascuna delle predette classi demografiche.
La base elettorale è costituita dalla generalità dei sindaci e dei consiglieri comunali appartenenti a comuni non capoluogo di provincia che rientrino nella stessa classe demografica, con votazioni da tenere entro un arco temporale predefinito presso sezioni elettorali costituite nei rispettivi consigli comunali.
Il voto è espresso, in forma segreta, a liste di candidati concorrenti, con possibilità di attribuire fino a due preferenze. Tali liste, per poter essere ammesse alla competizione elettorale, devono presentare candidati appartenenti ad entrambi i generi.
I seggi sono assegnati, per ciascuna delle tre classi demografiche, mediante il sistema proporzionale, sulla base dei quozienti elettorali interi e dei più alti resti. In ogni lista sono eletti i candidati che hanno conseguito più voti, con criteri preferenziali, a parità di voti, per il candidato appartenente al genere meno rappresentato e, in subordine, per quello più giovane. Per i tre rappresentanti delle comunità montane e di arcipelago, la legge invece stabilisce che debbano essere espressione di tre diverse province e che siano eletti, anche in tal caso con voto segreto, nell’ambito di un’apposita assemblea costituita dai presidenti delle comunità medesime. La disciplina dei procedimenti elettorali, sia per i rappresentanti dei comuni che per quelli delle comunità, è demandata dalla legge ad un apposito regolamento elettorale, elaborato dal CAL e sottoposto all’approvazione del Consiglio regionale 39. Tale regolamento è deputato a definire, tra l’altro, le modalità attraverso le quali debba essere assicurata la rappresentanza di tutti i territori provinciali. La legge, dopo aver così definito la presenza dei rappresentanti dei comuni non capoluogo di provincia e delle comunità montane e di arcipelago, mostrando una particolare attenzione verso i territori notoriamente più svantaggiati, quali quelli montani ed i piccoli comuni 40, ha inteso poi evidentemente bilanciare la presenza nel CAL dei rappresentanti
39 Peraltro tale regolamento, in virtù di quanto stabilito all’art. 14, è destinato a disciplinare i procedimenti elettorali una volta che la legge sia andata a regime. Nella fase di prima applicazione, comunque già trascorsa, ha trovato appunto attuazione la disposizione del suddetto articolo. 40 Con ciò agendo in piena sintonia con la norma principio contenuta nell’art. 8, comma 3 dello Statuto che impegna la Regione a prestare particolare attenzione alle esigenze dei piccoli comuni,delle aree rurali e montane nonché alle isole.
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degli esecutivi, direttamente disposta dallo Statuto, con quella di rappresentanti degli organi consiliari. La legge ha pertanto stabilito che debbano far parte del CAL anche cinque consiglieri provinciali, ciascuno di essi eletto dall’assemblea di appartenenza. Composto il quadro complessivo della rappresentanza territoriale ed istituzionale, la legge, avvalendosi della facoltà concessa dallo Statuto, ha previsto la partecipazione alle sedute del CAL, “con diritto di parola e senza diritto di voto”, di rappresentanti delle autonomie funzionali, ma anche di rappresentanti della Regione nonché di quelli delle Unioni di comuni. Non solo facoltà, ma anche dovere di partecipazione, senza diritto di voto, per il Presidente della Regione e per il Presidente del Consiglio regionale, qualora il CAL avanzi loro una richiesta in tal senso. La legge ha poi dettato alcune norme essenziali per la funzionalità del CAL, rinviando per gli altri aspetti alla disciplina regolamentare interna. Tra le norme poste direttamente dalla legge si segnala, in primo luogo, quella che stabilisce quali debbano essere le maggioranze necessarie per l’approvazione del regolamento interno (due terzi dei componenti) e per la validità delle sedute (maggioranza dei componenti); inoltre, la norma che ha previsto l’esistenza di un Ufficio di presidenza in seno al CAL, soffermandosi sulle procedure necessarie per la sua costituzione, che ricordano da vicino quelle stabilite dallo Statuto per l’elezione dei componenti l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale 41. Il regolamento interno ha a sua volta provveduto a specificare le funzioni e i compiti di competenza del Presidente, dell’Ufficio di presidenza nonché degli altri organi del CAL 42.
Il Presidente rappresenta il CAL e svolge la primaria funzione di fare da garante dell’autonomia dell’Organo e dei diritti dei consiglieri che ne fanno parte. Presiede l’Assemblea, l’Ufficio di presidenza e la delegazione
41 I componenti l’Ufficio di presidenza del CAL, costituito dal Presidente, da due Vicepresidenti e da tre Consiglieri segretari, sono eletti dal CAL, a scrutinio segreto, nella seduta d’insediamento. Per l’elezione del Presidente del CAL è richiesta la maggioranza assoluta. Il Presidente del Consiglio regionale, invece, può essere eletto a maggioranza dei componenti dell’Assemblea legislativa solo a partire dalla terza votazione, mentre per le prime due sono necessarie maggioranze ancora più qualificate: due terzi dei componenti per la prima e tre quinti per la seconda. 42 Il regolamento interno del CAL, che è stato approvato all’unanimità dei Consiglieri presenti nella seduta del 15 luglio 2009, disciplina le attribuzioni del Presidente, dell’Ufficio di presidenza, dell’Assemblea e della delegazione incaricata di svolgere l’attività di concertazione con la Giunta.
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incaricata di svolgere l’attività di concertazione con la Giunta e, in generale, dà impulso ad ogni iniziativa del CAL.
L’ Ufficio di presidenza ha essenzialmente il compito di elaborare le proposte da sottoporre all’esame dell’Assemblea 43, la quale costituisce il vero e proprio organo deliberativo del CAL.
La delegazione per la concertazione, infine, è composta dal Presidente del CAL e da non più di dieci consiglieri eletti dall’Assemblea, verso cui risponde per gli esiti della propria attività. In relazione alla durata in carica dell’Organo, equiparata dallo Statuto a quella della legislatura regionale, la l.r. 1/2007 afferma il principio della prorogatio, in quanto prevede che “i suoi componenti restano in carica fino all’insediamento del rinnovato organo” che, in base a quanto stabilito dallo stesso Statuto, dovrebbe essere ricostituito ed insediarsi entro 45 giorni dalla prima seduta del Consiglio regionale. La costituzione del CAL, come si è visto, comporta una serie di adempimenti, il più complesso dei quali è certamente rappresentato dalle elezioni dei rappresentanti dei comuni non capoluogo di provincia, il cui espletamento non appare di agevole compatibilità con il suddetto termine di 45 giorni. E’ quindi di concreto interesse porsi il problema della (piena) capacità o meno da parte del CAL di poter assolvere alle proprie funzioni durante il periodo nel quale dovesse agire in regime di prorogatio, tenuto conto dei limiti che in genere sono connaturati alla suddetta condizione. La questione dovrebbe essere esaminata facendo riferimento alle funzioni proprie del CAL, che non sono di amministrazione attiva né idonee a produrre atti in grado di incidere su situazioni soggettive. Al tempo stesso dovrebbe essere considerato il fatto che la qualità di componente l’Organo o deriva dall’esito di elezioni cui prendono parte, in veste di elettorato attivo e passivo, soggetti estranei all’Ente Regione ovvero ope legis in relazione alle cariche ricoperte nei rispettivi enti locali; qualità, quindi, non determinabili da eventuali mutamenti di maggioranza che dovessero scaturire dagli esiti delle elezioni regionali. La permanenza in seno al CAL da parte di ciascun componente è correlata, ai sensi della l.r. 1/2007, al mantenimento della carica che ne ha
43 La legge regionale detta norme tese a favorire la più ampia rappresentatività di interessi e di sensibilità politiche in seno all’Ufficio di presidenza. Infatti, prevede che l’elezione dei due vicepresidenti e dei tre consiglieri segretari avvenga con voto limitato e che in tale organo collegiale siano rappresentati entrambi i generi nonché i comuni non capoluogo di provincia, le province e le comunità montane e di arcipelago.
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legittimato l’inclusione nell’Organo di rappresentanza delle autonomie. Pertanto, nel caso di cessazione dalla carica di membri elettivi, cioè rappresentanti dei comuni non capoluogo di provincia nonchè delle comunità montane e di arcipelago, opererà la surrogazione in favore dei candidati appartenenti alla stessa categoria che seguono in graduatoria. Ove la cessazione dalla carica riguardi, invece, i sindaci dei comuni capoluogo di provincia o i presidenti delle province, è stabilito che subentrino rispettivamente il vicesindaco o il vicepresidente della provincia. Tale previsione non trova applicazione in tutti i casi in cui la normativa statale preveda la nomina di un commissario, poiché, come è evidente, tale figura non potrebbe rivestire un ruolo di rappresentatività delle istanze locali. Per ciò che concerne l’esercizio dell’iniziativa legislativa prevista dalla norma statutaria, la legge regionale stabilisce che il Presidente del CAL debba nominare un relatore che provveda ad illustrare la proposta di legge dinanzi alle competenti commissioni consiliari, secondo quanto stabilito dal regolamento dei lavori del Consiglio regionale.
Il regolamento interno del CAL riconosce il diritto di ciascun componente di presentare al Presidente schemi di proposte di legge regionale. Tali schemi sono esaminati dall’Ufficio di presidenza per verificarne l’ammissibilità 44 e quindi sottoposti all’esame dell’Assemblea per la relativa deliberazione, da dover assumere, ai sensi dello Statuto, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il CAL.
In merito alla funzione consultiva che il CAL è chiamato ad esercitare, la legge regionale interviene per definire le modalità per la richiesta dei pareri, la tempistica per il loro rilascio nonché in ordine alla maggioranza necessaria per l’adozione degli stessi.
Relativamente al primo aspetto, la legge regionale dispone che sia il Presidente del Consiglio regionale a trasmettere al CAL gli atti per i quali, a termini di Statuto, il CAL è tenuto ad esprimere parere 45. Qualora, invece, la richiesta attenga ad atti per i quali non è prescritto il parere obbligatorio del CAL, le relative richieste devono provenire “da parte del Presidente
44 La verifica dell’ammissibilità di tali iniziative è effettuata dall’Ufficio di presidenza in relazione all’oggetto delle stesse - che deve riguardare la revisione statutaria, le funzioni degli enti locali o i rapporti tra questi e la Regione – ed alla sussistenza di elementi formali, quali la redazione del testo in articoli e la presenza di una relazione di accompagnamento. 45 Tutti gli atti per i quali è previsto il parere obbligatorio del CAL sono, infatti, di competenza consiliare.
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della Regione o di almeno un quarto dei componenti il Consiglio regionale
sugli atti di loro rispettiva competenza”. Un’immediata considerazione che può essere effettuata, in proposito,
riguarda gli atti per i quali il Presidente della Regione sia legittimato a richiedere il parere (facoltativo) al CAL.
Appare evidente che, secondo un’interpretazione meramente letterale di tale disposizione, il Presidente della Regione potrebbe avvalersi di tale facoltà esclusivamente per gli atti di propria competenza - decreti, ordinanze, direttive, etc. - restando quindi esclusi tutti quegli atti, normalmente più rilevanti sotto l’aspetto politico ed istituzionale, e per tale motivo sottoposti ad una valutazione collegiale di competenza della Giunta. Un’interpretazione della disposizione di tal tipo non appare quindi plausibile, in quanto non consentirebbe al Presidente della Regione, ad esempio, di richiedere un parere al CAL in merito ad una proposta di regolamento o ad una proposta di deliberazione della Giunta che avessero oggettivamente una rilevante portata a livello territoriale o socio-economico.
Per il rilascio dei pareri obbligatori la legge assegna al CAL un termine di 15 giorni dal ricevimento della richiesta, eventualmente prorogabile fino ad ulteriori 15 giorni 46. Decorsi infruttuosamente tali termini, il mancato parere deve essere inteso come “espresso in senso favorevole”. E’ richiesto sempre il voto favorevole della maggioranza dei componenti, tranne che per i pareri relativi a proposte di legge d’interesse diretto degli enti locali 47, per le quali necessita, comunque, il voto favorevole dei due terzi. Relativamente a tale ultima fattispecie, la l.r. 1/2007 ha operato la scelta per una maggioranza particolarmente qualificata, cui in realtà lo Statuto fa riferimento limitatamente all’eventualità in cui il
46 Il rispetto di tali termini non è oggettivamente agevole, in considerazione dei tempi necessari per l’esame dell’atto soggetto al parere. Il regolamento interno del CAL prevede che una volta pervenuta la richiesta il Presidente del CAL provveda tempestivamente alla nomina del relatore, assegnandogli un termine per la stesura del documento che dovrà essere sottoposto all’esame dell’Assemblea. Al fine di razionalizzare e rendere più celere, per quanto possibile, l’intera procedura, è stato sottoscritto nel mese di novembre 2009 un protocollo d’intesa tra i Presidenti del Consiglio regionale e del CAL. Può essere utile segnalare che la normativa che disciplinava le funzioni della Conferenza Regione-autonomie locali, di cui al paragrafo 1., prevedeva un termine di trenta giorni, eventualmente rinnovabile, per il rilascio dei pareri da parte di tale organismo. 47 Trattasi delle più volte menzionate proposte concernenti il conferimento di funzioni agli enti locali o di modifica del riparto di competenze tra gli stessi e la Regione.
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parere fosse negativo ed esclusivamente con riguardo agli effetti da esso prodotti 48.
Una riflessione conclusiva appare meritevole di essere svolta, sempre in tema di esercizio della funzione consultiva, operando un raffronto tra gli atti che, in base allo Statuto, debbano essere oggetto di parere obbligatorio del CAL e quelli che l’art. 20 della l.r. 14/1999 sottoponeva al parere della Conferenza Regione- autonomie locali 49.
La Conferenza era tenuta infatti ad esprimere parere su una serie di atti ulteriori rispetto a quelli che la normativa vigente richiede al CAL. In particolare, tra essi risultavano anche i regolamenti regionali - che peraltro all’epoca dell’entrata in vigore della l.r. 14/1999 erano di competenza del Consiglio regionale mentre oggi rientrano in quella della Giunta, ad eccezione della specifica tipologia dei regolamenti delegati concernenti materie di spettanza statale - per i quali, invece, non è oggi previsto il rilascio del parere da parte del CAL.
Inoltre, la precedente normativa prevedeva che fossero oggetto di parere “le proposte degli strumenti regionali di programmazione economica-sociale e di pianificazione territoriale”, cioè anche gli atti programmatori a carattere settoriale ed intersettoriale, mentre la normativa attuale limita la funzione consultiva ai soli atti di programmazione e di pianificazione di carattere generale 50.
La differenza è rilevante, se si considera la ben diversa frequenza con la quale vengono approvati atti programmatori a carattere settoriale rispetto a quelli di carattere generale.
Le asimmetrie riscontrabili dal raffronto delle normative che si sono succedute potrebbero per altro aspetto, almeno a prima vista, porre problemi in sede applicativa. L’articolo 16 della l.r. 1/2007, infatti, nel disporre l’abrogazione dell’articolo istitutivo della Conferenza Regione-autonomie locali a decorrere dalla data del primo insediamento del CAL, ha anche stabilito che da quel momento “i compiti e le funzioni della Conferenza, in quanto compatibili con la presente legge” debbano essere esercitati dal CAL. E’ da segnalare, in proposito, che tale rinvio alle norme che oggi
48 Cioè il già menzionato obbligo del Consiglio regionale di approvare a maggioranza assoluta. 49 Si veda il paragrafo 1. 50 La legge regionale 25/2001 individua tali strumenti generali di programmazione economico-sociale e di programmazione territoriale rispettivamente nel PERG e nel PTRG. Tali documenti sono integrati e specificati da parte dei rispettivi piani intersettoriali e/o settoriali.
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risultano abrogate è effettuato con legge ordinaria della Regione, diversamente da quanto lascerebbe intendere l’art. 67, comma 3, dello Statuto, secondo cui “Il Consiglio delle autonomie locali esercita le ulteriori funzioni previste dallo Statuto.” 51.
Tali problemi applicativi potrebbero riguardare non le tipologie di funzioni che le normative che si sono succedute hanno attributo dapprima alla Conferenza e quindi al CAL, pressoché coincidenti, ma piuttosto gli atti oggetto di parere.
In ogni caso, un sistema basato sulla leale collaborazione tra i diversi organi regionali è certamente in grado di prevenire ogni possibile diversa valutazione che dovesse emergere su specifici provvedimenti, mediante richieste al CAL di pareri a carattere non obbligatorio.
Infine, per ciò che riguarda l’attività di concertazione, la legge regionale ha stabilito che tale funzione venga esercitata per il CAL da parte di un’apposita delegazione formata da non più di undici membri, compreso il Presidente che ne fa parte di diritto, nella quale siano rappresentate tutte le componenti del CAL. In base al regolamento interno del CAL compete all’Ufficio di presidenza il compito di predisporre la lista dei nominativi da sottoporre all’esame dell’Assemblea per la conseguente deliberazione.
51 Le altre funzioni cui fa riferimento l’art. 67, comma 3, dello Statuto sono ricavabili dall’art. 41, comma 4 - facoltà di proporre al Presidente della Regione di ricorrere alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia delle Comunità europee - e dall’art. 68, comma 7 – richieste di pareri e pronunce al Comitato di garanzia statutaria.
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