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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PADOVA Sede amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN TERRITORIO, AMBIENTE, RISORSE E SALUTE INDIRIZZO: ECOLOGIA CICLO XX IL BOSCO DI MESTRE: POSSIBILI SCENARI DI GESTIONE SELVICOLTURALE DI UN BOSCO DI PIANURA Direttore della Scuola : Ch.mo Prof. Vasco Boatto Supervisore :Ch.mo Prof. Mario Pividori Dottorando : Raffaele Bellio data consegna tesi 31 gennaio 2008

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PADOVA

Sede amministrativa: Università degli Studi di Padova

Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali

SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN TERRITORIO, AMBIENTE, RISORSE E SALUTE

INDIRIZZO: ECOLOGIA

CICLO XX

IL BOSCO DI MESTRE: POSSIBILI SCENARI DI GESTIONE

SELVICOLTURALE DI UN BOSCO DI PIANURA

Direttore della Scuola : Ch.mo Prof. Vasco Boatto

Supervisore :Ch.mo Prof. Mario Pividori

Dottorando : Raffaele Bellio

data consegna tesi 31 gennaio 2008

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Riassunto 5 Abstract 5 Premessa 6 1. Introduzione 7 1.1 Aspetti legislativi 7 1.2 Il contesto 8 1.3 Obiettivi ed ipotesi 9 1.4 L’approccio della cronosequenza 9 2. Materiali e metodi 10 2.1 Area di studio 10 2.2 Clima e suolo 11 2.3 Descrizione generale dei popolamenti 14 2.4 Modalità di realizzazione e gestione degli impianti 15 2.5 Caratteristiche dei moduli d’impianto 16 2.6 La vegetazione potenziale 18 2.7 Raccolta dei dati 18 2.8 Dati rilevati 19 2.9 Metodologia di rilevamento 20 2.10 Selezione delle aree campione 20 2.11 Obiettivi del campionamento 22 2.12 Analisi derivate 22 2.13 Analisi della distribuzione diametrica 22 2.14 Analisi dell’area basimetrica 25 2.15 Analisi delle relazioni ipsometriche 26 2.16 Analisi delle relazioni ipsodiametriche della chioma 27 2.17 Analisi della relazione diametro-età 29 2.18 Analisi della relazione altezza-età 30 2.19 Analisi dello stato fitosanitario 30 2.20 Analisi della rinnovazione naturale 31 2.21 Analisi della vegetazione erbacea 31 3. Risultati e discussione 33 3.1 Composizione 33 3.1.1 Composizione generale 33 3.1.2 Composizione per posizione sociale 34 3.1.3 Composizione per età 34 3.1.4 Composizione per stazione ed età 35 3.1.5 Composizione boschi relitti 36 3.2 Distribuzione diametrica 39 3.2.1 Distribuzione diametrica per posizione sociale 39 3.2.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie 41 3.2.3 Distribuzione diametrica per stazione ed età 44 3.2.4 Distribuzione diametrica tra stazioni 46 3.2.5 Analisi cronologica per specie e posizione sociale 49 3.2.6 Distribuzione diametrica dei querco-carpineti relitti 51 3.3 Area basimetrica 53 3.3.1 Distribuzione area basimetrica per specie 53 3.3.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie 55 3.3.3 Distribuzione dell’area basimetrica per stazione ed età 58 3.3.4 Distribuzione dell’area basimetrica tra stazioni 60 3.3.5 Distribuzione dell’area basimetrica dei querco-carpineti relitti 62 3.4 Relazioni ipsometriche 64

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3.4.1 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominante 66 3.4.2 Relazioni ipsometriche del piano arboreo codominante 68 3.4.3 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominato 70 3.4.4 Relazioni ipsometriche generali del piano arboreo 72 3.4.5 Relazioni ipsometriche della farnia 74 3.4.6 Relazioni ipsometriche del carpino bianco 76 3.4.7 Relazioni ipsometriche dei boschi relitti 78 3.5 Struttura verticale 82 3.5.1 Diametro della chioma per posizione sociale 82 3.5.2 Diametro della chioma per specie e posizione sociale 85 3.5.3 Altezza di inserzione della chioma 87 3.5.4 Altezza di inserzione della chioma per specie e posizione sociale 89 3.5.5 Diametro della chioma per posizione sociale dei boschi relitti 90 3.5.6 Altezza di inserzione della chioma dei boschi relitti 93 3.6 Relazione diametro-età 94 3.7 Relazione altezza-età 97 3.8 Mortalità e problemi fitosanitari 99 3.8.1 Mortalità e problemi fitosanitari negli impianti 99 3.8.2 Mortalità e problemi fitosanitari nei boschi relitti 106 3.9 Rinnovazione naturale 109 3.9.1 Rinnovazione naturale a livello di transect 109 3.9.2 Analisi a livello di sub area 111 3.9.3 Rinnovazione naturale dei boschi relitti 117 3.9.4 Confronto tra rinnovazione degli impianti e dei boschi relitti 119 3.10 Vegetazione erbacea 121 3.11 Dinamica dei querco-carpineti 128 3.12 Problemi di gestione 130 3.13 Proposte di gestione selvicolturale per il Bosco di Mestre 132 3.13.1 Premessa 132 3.13.2 Modello di gestione 133 3.13.3 Diagramma selvicolturale 134 3.13.4 Ulteriori interventi gestionali 140 3.13.5 Conclusioni 141 4. Conclusioni generali 142 Bibliografia 144 Allegati 152

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Ringraziamenti

Tornare a studiare sui banchi dell’Università di Padova a distanza di quasi vent’anni non è stata una cosa né semplice e neppure facile. Per questo, devo un ringraziamento particolare a mia moglie ed a mia figlia che mi hanno sostenuto moralmente e mi hanno spronato ad affrontare questa sfida con me stesso. Ringrazio inoltre i colleghi e gli operai forestali della Regione del Veneto – Servizio Forestale Regionale di Treviso per la fondamentale collaborazione prestata nella realizzazione dell’indagine. Desidero inoltre ringraziare il Prof. Lucio Montecchio per i suggerimenti e le informazioni relative agli aspetti fitopatologici trattati nella tesi e per l’amicizia che da sempre coltiviamo reciprocamente. Un grazie particolare anche al Prof. Mario Pividori, sia per i preziosi consigli che mi ha saputo dare come Supervisore sia per la collaborazione che si è creata e che mi auguro possa proseguire nel futuro.

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Riassunto Secondo Pignatti, il Querco-Carpinetum boreoitalicum (1953) costituisce l’associazione forestale climax della Pianura Padana. Tale associazione è peraltro oggi ridotta a poche aree relitte che, nel Veneto, complessivamente non superano i 60 ettari, e che presentano delle gravi anomalie sia strutturali che funzionali. Questi boschi relitti, anche se frammentati in piccole superfici, rivestono una grande importanza naturalistica e pertanto vengono gestiti soprattutto come musei all’aperto, con l’adozione di tecniche selvicolturali tendenti al mantenimento ed alla conservazione del soprassuolo, anche attraverso l’ampliamento delle superfici adiacenti. Grazie alle politiche agricole comunitarie del set-aside che incentivavano l’imboschimento dei terreni agricoli, a partire dal 1988 nel Veneto sono stati messi a dimora varie centinaia di ettari di impianti con l’obiettivo di ripristinare le antiche foreste planiziali. Tuttavia questi imboschimenti, oltre a numerosi problemi derivanti soprattutto da errori di progettazione e da carenze culturali, soffrono anche della mancanza di modelli di gestione forestale. Attraverso un approccio sincronico, in 13 stazioni sono state indagate le relazioni esistenti tra l’età delle formazioni forestali e le principali variabili dendrometriche (diametro, altezza, dimensioni chioma, accrescimenti, ecc.), la rinnovazione naturale e la vegetazione erbacea. Tali relazioni sono state successivamente impiegate per definire un modello di sviluppo previsionale per il Bosco di Mestre, che con una superficie di oltre 1220 ettari in corso di realizzazione, dovrebbe diventare uno dei boschi periurbani più vasti a livello europeo. Parole chiave: Querco-Carpinetum boreoitalicum; imboschimento; boschi relitti; cronosequenza; variabili dendrometriche; rinnovazione naturale; vegetazione erbacea; modello di accrescimento; diagramma selvicolturale; Bosco di Mestre Abstract Pignatti thinks that Querco-Carpinetum boreoitalicum (1953) is the forest climax association of Pianura Padana. Nowadays these forests, located on a few patches in Veneto, that totally cover about 60 hectares, show serious problems in stands structure and functions. They are very important for the nature conservation even if they are fragmented in small stands. Foresters manage them as an open museum, adopting particular forestry tecnique to preserve and maintain the overstorey vegetation, even through new plantations near the ancient woods. By 1988, thanks to the CAP’s strategy of set-aside, hundreds hectares of agricultural land were converted to forest with the aim to restore the ancient plain forest. These new forests have a lot of problems caused by errors in the projecting phase and by cultural lacks so they need for a model for the management of the stands. The relationship between age and the most important tree variables (dbh, height, crown size, tree growth, etc.), natural regeneration and herbs vegetation, were studied by a chronosequence approach over 13 forest sites. These relationships were consequently used to develop a predictive stand growth model for the Mestre’s Wood that, with its 1220 hectares, will became one of the largest periurban forest in the EU. Keywords: Querco-Carpinetum boreoitalicum; plantations; ancient woods; chronosequence; tree variables; natural regeneration; herbs layer; growth model; stand model; Mestre’s wood

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PREMESSA

In passato sono stati condotti diversi studi e ricerche, soprattutto di carattere storico, sui boschi

che un tempo ricoprivano la Pianura Padana. I querco-carpineti rappresentano infatti anche il

primo esempio di applicazione di precise norme di politica forestale dettate dalla Repubblica di

Venezia attraverso l’esercizio attivo della coltivazione del bosco inteso ad assicurarne la

produzione e la perpetuazione (Susmel, 1994).

Tali formazioni boscate sono peraltro oggi ridotte a poche superfici relitte che, nel Veneto,

complessivamente non superano i 60 ettari, e che presentano delle anomalie sia strutturali che

funzionali. Tali relitti derivano dalle estese foreste che fino ai primi anni del 1900 ricoprivano

ancora buona parte della pianura Padana.

Il fenomeno della conversione dei boschi in terreni coltivati ha subito un costante incremento

fino agli anni ’50. Nel Veneto, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale i querceti planiziali

hanno subito pesanti interventi di taglio e quindi tali boschi hanno oggi all’incirca 60 - 80 anni e

derivano in buona parte da rinnovazione agamica.

A partire dal secondo dopoguerra, il fenomeno dell’abbandono della montagna e delle zone

meno produttive della collina ha portato all’espansione dei boschi esistenti, soprattutto nelle aree

marginali. In pianura, solamente a partire dagli anni ottanta, in cui prese avvio il movimento

ecologista, si è constatato un crescente interesse volto soprattutto alla tutela dei boschi esistenti

ed all’ampliamento delle loro superfici, soprattutto per iniziativa di soggetti pubblici intenzionati

a creare boschi urbani e periurbani.

Parallelamente, la politica europea del set-aside iniziata nel 1985, proseguita poi con il

regolamento (CEE) n. 2080/92 e con le varie edizioni dei Piani di Sviluppo Rurale, ha

determinato la riconversione di numerosi terreni agricoli in terreni a “bosco”, soprattutto da

parte degli imprenditori agricoli ma anche da parte di enti pubblici.

Tuttavia questi imboschimenti, realizzati più per gli incentivi offerti o per questioni di visibilità

“politica” che per altre motivazioni, oltre a numerosi problemi derivanti soprattutto da errori di

progettazione e da carenze culturali, soffrono anche della mancanza di modelli di gestione

forestale.

Lo studio intrapreso intende ridurre tale lacuna per quanto riguarda i boschi di pianura e

proporre una applicazione al costituendo Bosco di Mestre.

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1. Introduzione

1.1 Aspetti legislativi

Il progetto del Bosco di Mestre si basa sull’idea di ricostruire parte delle foreste che

originariamente ricoprivano la nostra pianura, riferibili alla tipologia forestale del querco-

carpineto planiziale.

L’idea di un grande bosco per la città di Mestre è nata ed ha preso forma verso la fine degli anni

’80 del secolo scorso. Il bosco, con una estensione iniziale prevista di 1330 ettari, dovrebbe

diventare uno dei più grandi parchi urbani a livello europeo. Le motivazioni alla base di questa

scelta dell’Amministrazione comunale erano di ordine storico e ambientale. Infatti, fino a tempi

abbastanza recenti (prima guerra mondiale) esistevano numerosi boschi nella terraferma

veneziana, ereditati dalla gestione forestale della Serenissima; inoltre, la degradazione

dell’ambiente dovuta alla presenza sul territorio di infrastrutture ad elevato impatto (tangenziale,

polo chimico di Marghera, autostrade, ecc.) aveva indotto a considerare di prioritaria importanza

le azioni di ripristino di condizioni minime di qualità della vita delle popolazioni residenti,

sfruttando le capacità dei boschi di abbattimento degli inquinanti presenti nell'aria, nell'acqua e

nel suolo. Gli obiettivi inizialmente previsti, pur mantenendo una loro validità generale, sono

stati dinamicamente aggiornati in base alle necessità ed alle contingenze che nel frattempo sono

emerse.

In particolare, essi si possono così riassumere (Comune di Venezia, 2004):

• abbattere la CO2 e altri composti dannosi prodotti dall’area urbana e industriale e

migliorare la qualità dell’aria e del microclima;

• aumentare la connettività ecologica tra diversi biotopi e contribuire al ripopolamento

floro-faunistico di aree agricole;

• diminuire il rischio idraulico del territorio in caso di eventi di piena critici;

• ridurre il quantitativo di nutrienti e inquinanti sversati nella Laguna di Venezia;

• incrementare la produzione di biomassa legnosa utilizzabile a fini energetici;

• recupero della funzionalità ecosistemica del territorio;

• riqualificazione del paesaggio;

• creazione di spazi fruibili per trascorrere il tempo libero a contatto con la natura;

• ricerca scientifica e didattica;

• creazione di nuove opportunità economiche.

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Nel 2005 è entrato in vigore il nuovo Piano Regolatore Generale, che prevede 1.200 ettari di

Bosco, in parte pubblico ed in parte privato, quest’ultimo reso conveniente da appositi incentivi

urbanistici.

A oggi, la superficie imboschita ammonta a oltre un centinaio di ettari, realizzati nel periodo tra

il 1990 ed il 2007, a fianco dei 2,90 ettari del querco-carpineto relitto di Carpenedo e sono in

corso di progettazione altri interventi sui terreni ancora a disposizione dell’Amministrazione

comunale.

1.2 Il contesto

La ricerca intrapresa nasce da una convenzione che l’Università degli Studi di Padova – Facoltà

di Agraria - Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-forestali ha sottoscritto con il Comune di

Venezia – Direzione Centrale Sviluppo del Territorio e Mobilità, Trasformazioni Urbane

Progetti e Piani Ambientali, per lo studio degli aspetti economici ed ecologici relativi al Bosco

di Mestre. Il progetto di ripristino ecologico del bosco planiziale di Mestre ha coinvolto un

gruppo di lavoro eterogeneo composto dalle Università di Padova e di Venezia, dal Museo di

Storia Naturale di Venezia nonchè da tecnici incaricati della progettazione e della realizzazione

degli interventi.

Il Dipartimento TeSAF, incaricato dello studio preliminare degli aspetti ecologici e forestali, ha

proposto di individuare delle aree campione permanenti negli impianti ove effettuare un

monitoraggio periodico delle seguenti variabili:

• numero di piante ad ettaro sopravvissute, distinte per specie;

• copertura delle chiome e sua variazione nel tempo;

• incremento ipsometrico;

• incremento diametrico;

• vitalità delle chiome;

• ingresso di specie erbacee nemorali;

• variazioni di biodiversità;

• evoluzione del suolo.

Poiché i termini di scadenza della convenzione (31/12/2005), già prorogata di un anno, non

consentivano di effettuare un monitoraggio completo di tutti gli indicatori proposti, si è

concordato di rilevare in questa prima fase solamente i principali fattori di variabilità del

soprassuolo arboreo ed arbustivo delle aree del Bosco di Mestre. Tale metodologia di rilievo è

stata successivamente integrata anche per gli aspetti relativi alla rinnovazione naturale ed allo

strato erbaceo ed estesa anche al di fuori del contesto territoriale del comune di Venezia nello

studio degli altri popolamenti forestali oggetto dell’indagine.

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1.3 Obiettivi ed ipotesi della ricerca

L’ipotesi della ricerca è che le specie arboree principali che costituiscono la tipologia forestale

del querco-carpineto planiziale (farnia e carpino bianco) abbiano gli stessi ritmi di sviluppo in

tutto il Veneto e quindi gli accrescimenti dipendano principalmente dall’età del popolamento.

Inoltre, l’ulteriore ipotesi da verificare è che gli schemi di impianto usati siano idonei al

raggiungimento dell’obiettivo della rinaturalizzazione del territorio.

I principali obiettivi della ricerca si posso così riassumere:

• descrivere scientificamente i popolamenti studiati (boschi naturali ed impianti artificiali)

e porre le basi per un monitoraggio di lunga durata;

• confrontare, su base cronologica, i boschi relitti con gli impianti, e stimare il grado di

rinaturalizzazione raggiunto dai principali componenti dell’ecosistema forestale (piano

erbaceo, arbustivo ed arboreo);

• definire la composizione ed il sesto d’impianto migliori per favorire nei tempi più rapidi

la rinaturalizzazione e l’instaurarsi di meccanismi omeostatici nei popolamenti artificiali;

• individuare un modello di gestione ottimale per gli impianti ai fini della

rinaturalizzazione.

1.4 L’approccio sincronico

Per raggiungere gli obiettivi della ricerca, ed in particolare per valutare la dinamica degli

accrescimenti nel tempo e il grado di rinaturalizzazione conseguito dagli impianti, è stato

adottato l’approccio sincronico o cronosequenza.

Tale tecnica, denominata anche sostituzione dello spazio al tempo (space-for-time substitution),

assume che i cambiamenti spaziali e temporali siano equivalenti.

Assieme al monitoraggio di lungo periodo su aree di saggio permanenti, la cronosequenza è

stata impiegata per studiare le successioni secondarie.

Questa tecnica ha conseguito significativi risultati nella comprensione della struttura e dei

meccanismi della successione delle piante (Foster and Tilman, 2000) sebbene essa abbia ben

riconosciute limitazioni.

In particolare, molti dei problemi nella valutazione della sostituzione dello spazio al posto del

tempo dipendono dal fatto che il tempo viene usato come un sostituto dello stato precedente del

sistema e dell’ambiente pregresso (Pickett, 1989). Inoltre, la correlazione tra l’abbondanza di

specie e gli attributi di una comunità con l’età della stazione non possono essere

indiscutibilmente attribuiti ai meccanismi della successione se ci sono altri fattori di disturbo,

come lo stato della stazione prima dell’abbandono, che può variare con l’età (Bakker et al.,

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1996). In questo studio, la cronosequenza è stata impiegata per analizzare la struttura e le

funzioni dell’ecosistema bosco attraverso una successione secondaria costituita da impianti a

querco-carpineto planiziale, in base all’assunzione che le differenze nelle proprietà

dell’ecosistema nelle diverse stazioni siano dovute solamente alla differenza in termini

temporali, poiché il tipo di suolo, di clima, di vegetazione e di gestione sono simili in tutte le

stazioni (Foster and Tilmann, 2000; Knops and Tilman, 2000). Così, in assenza di stazioni di

riferimento indisturbate, il tasso di rinaturalizzazione nel lungo periodo può essere stimato dai

cambiamenti che avvengono negli ecosistemi nel corso del tempo (Hooker and Compton, 2003).

2. Materiali e metodi

2.1 Area di studio

La Fig. 1 individua lo localizzazione nel Veneto delle aree campione che sono state selezionate

per effettuare l’indagine mentre in Tab. 1 sono riportati in sintesi i parametri geografici

stazionali e i caratteri principali degli impianti e dei boschi relitti. Sono stati selezionati 10 siti

dove sono stati realizzati degli impianti a prevalenza di farnia e carpino bianco con età variabile

tra 7 e 18 anni e 3 siti che invece ospitano dei querco-carpineti relitti. Si tratta di stazioni ubicate

principalmente nella provincia di Venezia e di Treviso, su terreni della bassa pianura (fa

eccezione il sito di Novoledo, che si trova al confine tra alta e bassa pianura) situati

generalmente ad un’altitudine di pochi metri sul livello del mare.

Fig. 1 Localizzazione delle aree campione = impianti = boschi relitti

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Tab. 1. Caratteri generali delle stazioni

Stazione Tipologia Comune e provincia Sup. (ha) Quota (m)

s.l.m.

Carpenedo Impianto Venezia (VE) 5.31 3.0-4.0

Foresto Impianto Cona (VE) 0.70 0.8-1.0

Gesia Impianto Cavarzere (VE) 0.80 0.8-1.0

Novoledo Impianto Villaverla (VI) 15.00 50.0-55.0

Osellino Impianto Venezia (VE) 8.10 0.5-1.7

Ottolenghi Impianto Venezia (VE) 25.00 1.5-2.0

Parauro Impianto Mirano (VE) 13.57 7.0-8.0

San Marco Impianto Cessalto (TV) 31.00 5.0-6.0

Bandiziol e Prassaccon Impianto

S. Stino di Livenza (VE) 116.50 0.6-3.0

Tartaro Impianto Legnago (VR) 18.98 5.0-6.0

Basalghelle Bosco relitto Mansuè (TV) 13.20 11.0-12.0

Carpenedo Bosco relitto Venezia (VE) 2.90 3.0-4.0

Olmè Bosco relitto Cessalto (TV) 25.50 1.9-4.2

2.2 Clima e suolo

Le formazioni a querco-carpineto planiziale sono localizzate in un’area a elevata uniformità

climatica (Allegato 1), dove la temperatura media è di circa 13 °C e la piovosità è compresa tra i

700 ed i 950 mm/anno, con l’unica eccezione di Novoledo che, come già detto, occupa una

posizione intermedia tra l’alta e bassa pianura.

In linea generale, dal confronto tra i dati climatici del periodo 1961-1990 e quelli del periodo

1991-2006, si può osservare una costante tendenza all’aumento delle temperature (da 12.8 °C a

13.2 °C) ed alla riduzione delle precipitazioni medie annuali (da 913 mm a 822 mm) come

indicato nelle Figg. 2 e 3.

10.5

11

11.5

12

12.5

13

13.5

14

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(C

°)

T media (1960-1990)

T media (1991-2006)

Fig. 2 Confronto fra temperature medie annue periodo 1960-1990 e 1991-2006

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Dal punto di vista climatico, secondo ARPAV (2001), dal confronto dei dati meteorologici

relativi al periodo 1995-1999 con i dati medi del trentennio 1961-1990 rilevati dal Centro di

Teolo, risultano in atto le seguenti dinamiche:

• la precipitazione media annua è costante (notevolmente diminuita però nell’area prealpina);

• gli inverni degli ultimi anni sono decisamente meno piovosi e presentano un valore medio di

precipitazioni stagionali di 150 mm al di sotto della media del periodo;

• le temperature medie massime estive ed invernali sono più elevate;

• gli eventi pluviometrici intensi sono sempre più frequenti soprattutto nel periodo autunnale.

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Carpe

nedo

Fores

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Stazioni

Pio

ggia

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mm

)

P media (1960-90)

P media (1991-2006)

Fig. 3 Confronto fra piovosità media annua periodo 1960-1990 e 1991-2006

Per quanto concerne il suolo (Tab. 3), l’indagine si è basata sui dati recentemente pubblicati

dalla Regione del Veneto ed ARPAV nonchè su alcune analisi specifiche realizzate in passato

sui querco-carpineti relitti. In particolare, i suoli che ospitano le formazioni a querco-carpineto

sono generalmente profondi, con tessitura tendenzialmente fine, a reazione alcalina,

moderatamente calcarei, con drenaggio mediocre, falda profonda e regime idrico udico.

In base alla classificazione fatta da ARPAV e Regione del Veneto, si possono distinguere le

seguenti tre “Province di suoli”:

AR (Novoledo): suoli dell’alta pianura recente, ghiaiosa e calcarea, costituite da conoidi e

terrazzi dei fiumi alpini e, secondariamente, piane alluvionali dei torrenti prealpini (Olocene) a

quote comprese tra 15 e 250 m.

BA (Carpenedo, Osellino, Ottolenghi, Parauro, San Marco, Prassaccon – parte, Basalghelle):

bassa pianura antica, a valle della linea delle risorgive, con modello deposizionale a dossi

sabbiosi e piane a depositi fini (Pleistocene) a quote comprese tra 0 e 40 m.

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BR (Foresto Superiore, Gesia, Bandiziol e Prassaccon, Tartaro e Olmè): bassa pianura recente,

calcarea, a valle della linea delle risorgive, con modello deposizionale a dossi, sabbiosi, e piane

e depressioni, a depositi fini (Olocene) a quote comprese tra 0 e 50 m.

In base alla classificazione WRB (1998), i suoli appartenenti alle province AR e BA sono

classificabili all’interno della categoria Cambisols mentre quelli della provincia AR rientrano tra

i Calcisols. Nell’Allegato 2 sono riportate le descrizioni più particolareggiate delle singole unità

cartografiche.

Tab. 3 Unità cartografiche e principali caratteristiche dei suoli per stazione

Stazione Unità

cartografica Profondità suolo (cm) Tessitura (USDA) pH

Carbonati totali (%) Drenaggio

Profondità falda (cm)

Carpenedo BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150

Foresto Superiore BR6.3 50-100 FSA, FA, FLA 7.4-7.8 1-5 mediocre 50-100

Gesia BR6.3 50-100 FSA, FA, FLA 7.4-7.8 1-5 mediocre 50-100

Novoledo AR2.4 >150 FSA, FA, FLA 7.9-8.4 5-10 buono 25-50

Osellino BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150

Ottolenghi BA3.1 50-100 FSA, FA, FLA 7.9-8.4 5-10 lento 100-150

Parauro BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150

San Marco BA3.3 50-100 A, AS, AL 7.9-8.4 10-25 lento >150

Bandiziol e Prassaccon BR3.4 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 25-40 mediocre 100-150

Prassaccon (parte) BA2.4 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.4-7.8 10-25 mediocre 100-150

Tartaro BR6.1 50-100 A, AS, AL 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150

Tartaro (parte) BR6.2 50-100 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 10-25 mediocre 100-150

Basalghelle BA3.2 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 5-10 mediocre 25-50

Carpenedo BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150

Olmè BR2.5 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 >40 mediocre >150

(Fonte: Regione del Veneto – ARPAV, 2004)

La Tab. 4 riporta invece alcuni dati derivanti da analisi specifiche fatte nell’ambito di tesi di

laurea (Bonani S., 1980; Urbinati C., 1986; Rossi M., 1990) e di progettazione di interventi

forestali per i querco-carpineti relitti.

Tab. 4 Principali caratteristiche chimico-fisiche dei terreni dei querco-carpineti relitti

Stazione Orizzonte

Spessore orizzonte

(cm) C % N % S.O. % pH Sabbia % Limo % Argilla % Tessitura

Basalghelle O-A 0-5 4.1 0.315 11.2 6.25 n.d. n.d. n.d. -

Basalghelle A 5-20 1.5 0.125 5.7 6.25 n.d. n.d. n.d. FS

Basalghelle B 20-90 1.3 0.11 5.9 5.8 n.d. n.d. n.d. A

Carpenedo O-A 0-5 n.d. n.d. n.d. 7.6 n.d. n.d. n.d. -

Carpenedo A 5-20 n.d. n.d. n.d. 4.5-5.0 n.d. n.d. n.d. LSA

Carpenedo B 20-90 n.d. n.d. n.d. 4.5-5.0 n.d. n.d. n.d. AS

Olmè O-A 0-5 5.2 0.6 8.9 7.7 15.4 19.2 23.7 -

Olmè A 5-20 2.5 0.4 4.3 7.9 14.7 14.9 24.5 LA

Olmè B 20-50 1.1 0.2 1.8 8.1 9.3 17.3 16.7 A-SL

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In linea generale, si tratta di suoli profondi appartenenti alla famiglia delle terre brune, a

tessitura variabile tra franco argillosa ed argillosa, generalmente ben dotati di sostanza organica

e pH variabile da alcalino ad acido, con un limitato orizzonte organico superficiale e con

orizzonti A e B ben sviluppati.

2.3 Descrizione generale dei popolamenti

Negli imboschimenti sono stati complessivamente rilevati, direttamente o da fonti

bibliografiche, n. 12417 soggetti arborei ed arbustivi. Per ridurre l’effetto margine, n. 1602

soggetti sono stati scartati in quanto costituivano le prime tre piante di bordo dei filari censiti. Al

fine di valutare le variazioni intercorse tra la messa a dimora e l’epoca del rilievo, sono inoltre

stati censiti anche i soggetti morti che complessivamente ammontano a 1327 unità. Il dataset

definitivo è quindi costituito da 10815 soggetti diversi (Tab. 5).

Per quanto riguarda i querco-carpineti relitti (Tab. 6), il dataset è composto da n. 5785 soggetti

arborei ed arbustivi rilevati direttamente o da dati di bibliografia, compresi n. 438 individui

morti. Nell’allegato 3 sono riportati i valori delle principali variabili oggetto di rilievo.

Tab. 5 Riepilogo generale del dataset imboschimenti

Descrizione n. % Soggetti arborei 6858 63% Soggetti arbustivi 2630 24% Soggetti morti 1327 12% Totale 10815 100%

Tab. 6 Riepilogo generale del dataset boschi relitti

Descrizione n. % Soggetti arborei 5288 91% Soggetti arbustivi 59 1% Soggetti morti 438 8% Totale 5785 100%

Tab. 7 Altri dati rilevati

Descrizione Metodologia n. rilievi Strato rinnovazione Transect 2*20 m. 80 (800 sub aree) Strato erbaceo Fitosociologico 74 Accrescimenti diametrici Carotine 170 Accrescimenti ipsodiametrici Analisi fusto 21 soggetti

(237 rotelle)

Per quanto concerne la rinnovazione naturale (Tab. 7), sono stati effettuati 80 transect di

dimensioni 2*20 metri ciascuno suddiviso in 10 sub aree di dimensioni 2*2 m.

I rilievi sono stati poi riaggregati in un dataset di 800 record che riportano le densità di

rinnovazione delle due specie arboree principali della formazione (farnia e carpino bianco) e

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quelle della componente arborea ed arbustiva. Per quanto riguarda lo strato erbaceo, sono stati

effettuati 74 rilievi su aree campione di superficie variabile da 36 a 40 m2. Per l’analisi degli

accrescimenti ipsodiametrici della farnia, sono state prelevate 170 carotine a 1,3 m da terra ed

effettuata l’analisi del fusto su 21 soggetti dominanti. Complessivamente sono state misurate

237 rotelle legnose prelevate ad intervalli di 1 metro lungo il fusto e 0,5 m per il cimale. I rilievi

sono stati condotti nei popolamenti più rappresentativi del territorio in base alla superficie e, nel

caso degli impianti, sono stati scelti quelli con più classi di età. In alcuni casi limitati, per poter

completare la cronosequenza, sono stati campionati anche impianti su superfici inferiori ad un

ettaro. Tutti gli imboschimenti sono stati realizzati su terreni coltivati in precedenza a

seminativo. In molti casi, gli stessi terreni avevano ospitato un bosco fino ad epoche storiche

recenti (Bosco San Marco, Bosco Carpenedo, Bosco Bandiziol e Prassaccon). Nei querco-

carpineti relitti, la scelta è stata di fatto obbligata in quanto si tratta di formazioni di superficie

estremamente limitata (circa 60 ettari nel Veneto) localizzati in provincia di Venezia e Treviso.

Nella stazione di Basalghelle, sono stati realizzati esclusivamente rilievi su accrescimenti

ipsodiametrici della farnia.

2.4 Modalità di realizzazione e gestione degli impianti

Le operazioni preliminari all’impianto hanno generalmente seguito gli stessi schemi in tutte le

stazioni indagate, con qualche leggera variazione (es. uso di pacciamatura vegetale al posto del

film plastico). All’aratura del terreno segue una ripuntatura profonda per rompere la suola di

lavorazione formatasi dopo anni di coltivazione. Contemporaneamente viene anche distribuito il

fertilizzante (letame maturo) che viene interrato con l’aratura. Sul terreno preparato e livellato, è

stata quindi stesa una pacciamatura, generalmente costituita da un film plastico stabilizzato ai

raggi UVA, che può apportare notevoli vantaggi soprattutto per il contenimento delle specie

erbacee infestanti, il miglioramento del bilancio idrico del suolo ed il mantenimento della

struttura del terreno. Tutto questo permette di ridurre notevolmente le spese di gestione, in

particolare per quanto riguarda lo sfalcio delle infestanti ed il risarcimento delle piantine morte.

La pacciamatura plastica dovrebbe essere generalmente eliminata alla fine del terzo anno

quando i soggetti arborei ed arbustivi si sono ormai affermati sulla vegetazione erbacea. Per

l’impianto sono stati usati prevalentemente semenzali e trapianti di uno o due anni di età, altezza

dai 40 ai 100 cm, muniti di pane di terra o a radice nuda, posti a dimora sul film plastico con

l’uso di bastoni trapiantatori. Il materiale vivaistico utilizzato è stato prodotto principalmente da

vivai pubblici e, talvolta, da vivai privati. In alcuni casi particolari, sono stati impiegati in

numero limitato soggetti a pronto effetto per dare l’impressione di un bosco già parzialmente

sviluppato.

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2.5 Caratteristiche dei moduli d’impianto

La Tab. 8 riassume le principali scelte progettuali effettuate preliminarmente all’esecuzione

dell’impianto.

Tab. 8 Caratteristiche generali del progetto d’impianto

Stazione Anno impianto Età al rilievo Disegno d'impianto

Distanza intrafilare

(m.)

Distanza interfilare

(m.)

Specie pronto effetto Pacciamatura

7 sinusoidale, a gruppi 2.0 4.0 no si

8 sinusoidale, a gruppi 1.8 3.7 no si

9 sinusoidale, a gruppi 1.7 3.3 no si

16 leggermente sinusoidale, a gruppi

2.4 3.9 no si

Carpenedo 1990 - 1998 1999

17 leggermente sinusoidale, a gruppi

2.3 3.9 no si

Foresto 1991 15 sinusoidale 1.5 4.0 no si

Gesia 1991 15 sinusoidale 1.5 4.0 no si

10 sinusoidale 1.0 2.5 no plastica e vegetale

Novoledo 1988 - 1991

18 sinusoidale 1.5 3.0 no vegetale

9 sinusoidale, a gruppi 2.3 3.2 si si

Osellino 1994

11 sinusoidale, a gruppi 2.1 3.2 si si

7 sinusoidale 2.5 3.0 no si

8 sinusoidale 2.3 3.1 no si

9 sinusoidale 2.1 3.2 no si Ottolenghi 1997-1999

10 sinusoidale 2.5 3.2 no si

Parauro 1992 12 sinusoidale, a file alterne alberi arbusti

1.7 3.1 no si anche sperimentale

9 sinusoidale 1.6 3.3 no si San Marco 1995 - 1997

11 sinusoidale 2.0 2.9 no vegetale

7 sinusoidale 1.7 3.5 no si

8 sinusoidale 1.9 3.2 no si

9 sinusoidale 1.4 3.1 no si

10 sinusoidale 1.9 3.5 no si

Bandiziol e Prassaccon

1995 - 1996 1997 - 1998

1999

11 sinusoidale 2.1 3.0 no si

Tartaro 1991 14 sinusoidale 1.2 3.0 no si

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Trattandosi di imboschimenti a prevalente finalità naturalistica, per mascherare l’effetto di

artificialità assunto soprattutto nei primi anni è stato adottato un disegno d’impianto a filari

sinusoidali.

Le distanze interfilari impiegate hanno quasi sempre tenuto conto della necessità di una

meccanizzazione delle operazioni colturali e quindi si sono attestate a circa 3 m. (minimo 2,5 m

massimo 4 m) che corrisponde alla larghezza minima consigliata per il transito di un trattore

agricolo. Per la distanza intrafilare, la media adottata è intorno a 2 m., con un minimo di 1 m

fino ad un massimo di 2,5 m.

La consociazione più usata è stata quella a singolo albero, generalmente alterando sulla fila un

soggetto di specie arborea principale ad uno di specie arborea secondaria o arbustiva. Solamente

in pochissimi casi, le piante sono state consociate a gruppi oppure sono stati lasciati dei vuoti

intrafilare. Più frequentemente, soprattutto in prossimità del perimetro esterno dell’impianto,

sono state usate per una profondità di 10-15 m delle distanze intrafilari inferiori impiegando un

maggior numero di arbusti con l’intento di simulare il mantello boschivo.

La Fig. 4 fornisce un’esempio degli schemi usati nella realizzazione degli impianti.

Fig. 4 Disegni d’impianto usati al bosco San Marco (Cessalto); (a nord, impianto realizzato nel 1997; a sud, impianto realizzato nel 1995).

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2.6 La vegetazione potenziale

Pignatti (1953) ritiene il Querco-Carpinetum boreoitalicum l’associazione forestale climax della

Pianura Padana.

Tale formazione, peraltro oggi molto limitata in termini di estensione, è dominata nel piano

arboreo da Quercus robur e Carpinus betulus con Acer campestre, Fraxinus oxycarpa e Ulmus

minor come specie secondarie (Del Favero et al., 2001b); possono essere presenti anche Prunus

avium, Acer pseudoplatanus e Fraxinus ornus (Del Favero et al., 2001b). Nella Pianura Padana

occidentale compaiono anche Fraxinus excelsior e Tilia cordata (Bracco et al., 2001; Del

Favero, 2004). In stazioni molto umide aumenta la presenza di Ulmus minor e si inseriscono

anche altre specie come Populus sp.pl., Salix alba ed Alnus glutinosa dando origine a cenosi di

transizione verso le formazioni boschive o arbustive più tipicamente igrofile proprie delle zone

umide (Bracco et al., 2001; Del Favero, 2004).

I querco-carpineti della pianura veneto-friulana sono stati molto studiati; essi conservano specie

erbacee relitte alpine o mediterranee e differiscono dai querco-carpineti della Pianura Padana

occidentale per una maggior presenza della flora alpina e soprattutto di quella orientale-

balcanica che li rende molto più simili ad analoghe formazioni slovene piuttosto che ai boschi

centroeuropei (Bracco et al., 2001). In base a queste considerazioni, è stata proposta la

definizione di un’associazione vegetale di gravitazione sudesteuropea, sicuramente valida per la

pianura veneta e friulana, cioè il querceto ad asparago selvatico, Asparago tenuifolii-Quercetum

roboris (Lausi 1966–Marincek 1994).

2.7 Raccolta dei dati

Si deve evidenziare che, pur esistendo numerosi studi e ricerche (Di Berenger A., 1859; Bonani

S., 1980; Rusalen C., 1984; Urbinati C., 1987; Rossi M., 1991; Stevanato M., 1991; Marin S.,

1994; Susmel L., 1994) sui querco-carpineti planiziali relitti del Veneto, ancora poco è stato

fatto per quanto riguarda i giovani impianti. In particolare, esistono degli studi, delle

sperimentazioni e dei monitoraggi che hanno interessato alcuni degli imboschimenti oggetto di

indagine, privi peraltro di un denominatore comune (Alzetta C., 1994; Pelleri F. et al., 2001;

Comune di Venezia, 2003; Centro Idrico Novoledo, 2005).

Le maggiori difficoltà della ricerca consistono da un lato, nella scarsa omogeneità tra i dati

raccolti e, dall’altro, nella variabilità degli imboschimenti.

Per quanto riguarda questi ultimi, si evidenziano i principali problemi che sono stati affrontati

nell’ambito della ricerca:

• età (da 7 a 18 anni)

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• composizione (specie arboree ed arbustive, densità)

• modalità di realizzazione (disegno d’impianto, pacciamatura, lavorazione terreno, materiale

vivaistico, ecc.)

• modalità di gestione (sfalcio, diserbo, sostituzione fallanze, diradamento, ecc.)

• caratteri stazionali (fertilità, struttura, disponibilità idrica, caratteristiche del suolo, ecc)

Partendo da queste premesse è evidente che i risultati ottenuti sono in buona parte di tipo

descrittivo o quasi sperimentale e quindi sono condizionati preliminarmente da questi fattori di

variabilità in misura maggiore rispetto ad un approccio di tipo sperimentale. Lo studio ha inoltre

consentito di porre le basi per la costituzione di una rete di aree campione permanenti ove poter

effettuare, anche negli anni futuri, il monitoraggio delle diverse componenti indagate.

I rilievi in campo sono iniziati a partire da luglio 2005 e si sono conclusi a marzo 2007.

L’indagine si è articolata sui seguenti livelli:

• strato arboreo

• strato arbustivo

• strato erbaceo

• rinnovazione

• accrescimento della farnia

2.8 Dati rilevati

Per i diversi livelli di indagine, sono stati rilevati i seguenti attributi:

Strato arboreo ed arbustivo

• determinazione della specie botanica

• diametro a 1,3 m dei soggetti vivi, a partire da 1 cm; per i soggetti arbustivi o per alberi

policormici, è stato rilevato il diametro del pollone/fusto più grosso; viene indicata la

media dei due diametri incrociati misurati arrotondata al centimetro inferiore

• numero dei fusti (per ceppaie o soggetti arborei policormici, rilevato in base ai fusti

aventi un diametro >1 cm. a 1,3 metri)

• altezza dendrometrica (dalla base del fusto alla gemma apicale)

• diametro medio della chioma

• altezza di inserzione della chioma (altezza in metri da terra del ramo vivo più basso)

• posizione sociale

• posizione del soggetto rispetto ad un sistema di coordinate locali

• stato fitosanitario generale (localizzazione danno, descrizione sintomo e agente del

danno)

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Strato della rinnovazione

• posizione riquadro nel transect

• determinazione della specie botanica

• numero di assi per specie botanica e classe di altezza

• specie botanica e copertura dello strato arboreo/arbustivo

• età stimata della rinnovazione

Strato erbaceo

• determinazione della specie botanica

• stima della copertura (metodo Pignatti)

Accrescimento della farnia

• carotaggio di 5 soggetti dominanti di farnia rappresentativi del complesso della

popolazione, scelti casualmente sulla superficie immediatamente circostante le diverse

aree campione. Ciascun albero campionato è caratterizzato anche dai parametri consueti

di rilievo dello strato arboreo.

2.9 Metodologia di rilevamento

E’ stata adottata la metodologia definita per la rete CONECOFOR (Petriccione e Isopi, 1996)

con alcune modifiche. In particolare, per quanto riguarda lo stato fitosanitario, poiché non

costituiva l’argomento principale d’interesse della ricerca, sono stati rilevati solamente i

parametri ritenuti indispensabili per definire la situazione del popolamento allo stato attuale.

Strato arboreo ed arbustivo

Impianti: aree campione permanenti costituite da un filare di piante di lunghezza di 100 m.

Boschi naturali: aree campione permanenti di superficie variabile da 0,04 ha a 1,00 ha.

Strato della rinnovazione

Transect di dimensioni 2x20 m suddivisi in sub aree di 2x2 m disposti sistematicamente

all’inizio ed a metà dell’area campione arboreo/arbustiva.

Strato erbaceo

Aree di superficie variabile (36-40 m2) disposte sistematicamente in corrispondenza dei transect

di rilievo della rinnovazione.

Accrescimento della farnia

Prelievo di n. 5 campioni dendroecologici a 1,3 m di altezza

2.10 Selezione delle aree campione

La scelta del tipo di aree campione è stata condizionata dalle seguenti considerazioni:

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• la limitata superficie di alcuni impianti avrebbe potuto comportare casi di aree campione

poste al limite del popolamento con conseguenti problemi di sottostima degli attributi

studiati;

• possibilità di effettuare anche negli anni futuri delle ulteriori indagini sulle stesse unità di

campionamento (aree campione permanenti) al fine di poter studiare la dinamica dei

popolamenti;

• esistenza di un gradiente lungo i filari (le piante di margine crescono meno rispetto a

quelle interne) di cui tener conto nella stima degli attributi studiati;

• problemi nel corretto posizionamento delle aree campione;

• possibilità di rappresentare graficamente, tramite il software Stand Visualization System

(USDA, 2002), le diverse situazioni dei popolamenti;

• possibile applicazione di indici di competizione dipendenti dalla distanza.

La strategia di campionamento adottata è di tipo aleatorio, stratificato in base all’età ed alla

superficie del soprassuolo studiato.

Per i rilievi degli attributi dendrometrici degli impianti, si è deciso di adottare il metodo delle

aree campione convenzionali. In linea generale, in questo caso si può parlare di campionamento

a probabilità costante poiché tutti gli alberi della popolazione considerata hanno la stessa

probabilità di essere associati al punto di campionamento prescelto.

A fini campionari, un aspetto di particolare rilevanza riguarda l’ampiezza delle aree campione. Il

principio guida è che un’area campione sia sufficientemente grande da includere un numero

rappresentativo di elementi su cui viene condotto il rilevamento ma al tempo stesso

sufficientemente piccola da non richiedere troppo tempo per eseguire il rilievo.

In ciascuna stazione è stato effettuato un precampionamento su un’area di saggio per stimare la

varianza dei parametri dendrometrici oggetto di studio. Questi, una volta elaborati, hanno fornito

il coefficiente di variazione che è servito per determinare la numerosità del campione necessaria

per rientrare nell’errore campionario prefissato del 10%, considerato valore a cui attenersi per

rilievi ordinari.

Il dimensionamento numerico del campione è stato stimato sulla specie più rappresentativa del

querco – carpineto, ovvero la farnia, considerando tra i parametri dendrometrici oggetto di

rilievo quello con maggior variabilità (dbh) attraverso la seguente formula (Corona, 2001):

n = (t * CV/ε %)²

in cui:

n: numero minimo di unità campionarie

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t: valore critico del t di Student per il livello di sicurezza statistica del 95%

CV= coefficiente di variazione

ε %= errore campionario percentuale massimo prefissato

2.11 Obiettivi del campionamento

I principali obiettivi del campionamento si possono così riassumere:

• Monitoraggio delle variazioni di accrescimento a scala individuale, di specie

componente, classe sociale e popolazione arborea ed arbustiva.

• Ricostruzione degli andamenti incrementali pregressi della specie arborea più

rappresentativa del complesso censito (farnia).

• Controllo della dinamica auxometrica e strutturale del popolamento in funzione della

mortalità naturale e di coltivazione, dei diversi ritmi di accrescimento per classe sociale e

dei caratteri bio-ecologici delle specie componenti.

• Censimento della presenza, diffusione e stato vegetativo della rinnovazione naturale.

• Valutazione della variazione della composizione dello strato erbaceo in funzione

dell’età.

2.12 Analisi derivate

Le elaborazioni dei dati raccolti hanno consentito di effettuare l’analisi delle distribuzioni di

frequenza per classi di diametro delle sub-popolazioni componenti (classi sociali), la

distribuzione di frequenza dell’area basimetrica, la costruzione della curva ipsometrica e della

relazione ipsodiametrica della chioma. Per rappresentare la struttura del popolamento è stato

utilizzato il software SVS Stand Visualization System (USDA, 2002). I rilievi dendroecologici

(carotine) e l’analisi del fusto sono invece stati utilizzati per testare le relazioni

dendroauxometriche ricavate dalle aree campione per la farnia. Dai dati raccolti è stato anche

possibile valutare lo stato fitosanitario generale del popolamento. I rilievi della rinnovazione

naturale e della vegetazione erbacea hanno consentito di effettuare ulteriori raffronti di carattere

cronologico ed ecologico tra i popolamenti studiati.

2.13 Analisi della distribuzione diametrica

In molti casi, durante la misurazione del diametro i forestali classificano gli alberi per poter

effettuare una migliore analisi a livello di particella. Una delle classificazioni più usate è quella

di Kraft basata sulla posizione dell’albero (dominanza) all’interno della struttura sociale della

particella in funzione dello sviluppo e dell’estensione della chioma. Kraft definì le classi di

piante come esemplificato nella Fig. 5.

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Fig. 5 Schema illustrativo della classificazione di Kraft. 1) Fusti predominanti; 2) Fusti dominanti; 3) Fusti

scarsamente condominanti; 4) fusti dominati: a) interposti b) parzialmente sottoposti; 5) Fusti completamente

sottostanti: a) con chioma vivente b) con chioma morta o deperiente. (da Cappelli M., 1982).

Le classi sono spesso aggregate in gruppi più ampi (es. classi 1-3 costituiscono il piano

superiore o dominante) classe 4-5 il piano inferiore o dominato. Talvolta le classi 1-3 formano il

piano dominante, il 4 il codominante e il 5 il dominato (Assmann, 1961).

La struttura sociale descritta esiste principalmente nei boschi naturali coetanei. Essa è

fortemente condizionata dai tagli e dall’attività antropica, legata agli interventi di diradamento.

L’appartenenza ad una particolare classe sociale riflette la posizione dell’individuo all’interno

della particella e, attraverso questa, esprime la sua potenzialità di crescita (Oliver e Larson,

1996).

Perciò questa informazione aggiuntiva può essere usata, ad esempio, quando si pianifica un

intervento di diradamento, per scegliere e individuare gli alberi che promettono un

accrescimento maggiore nel futuro.

Spesso quando si tratta di modellizzare la crescita e lo sviluppo di un popolamento,

specialmente usando un approccio basato sul singolo albero, è utile impiegare la posizione

sociale dell’albero come una variabile aggiuntiva del modello ipsometrico (Goff e West, 1975;

Monserud e Ek, 1977, 1979; Ritchie e Hann, 1986), oppure come parte del modello per la

valutazione della mortalità o della competizione interspecifica (Keister e Tidwell, 1975;

Monserud, 1976), oppure come parte dell’equazione per il diradamento utilizzata nel modello

(Bruchwald, 1986, 1988b). La classificazione della chioma o della posizione sociale dell’albero

può anche essere convertita nel diametro delle piante. La distribuzione diametrica totale degli

alberi può essere suddivisa in sottodistribuzioni di ciascuna classe sociale (Lonnroth, 1925;

Assmann, 1970). In ogni caso, Assmann (1961), nella descrizione di una tipica struttura di un

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popolamento in funzione della classe sociale e del piano di vegetazione ha notato che non è

raggiungibile una completa corrispondenza tra le classi della distribuzione diametrica e le classi

biologiche o sociali delle piante in quanto normalmente vi è una certa sovrapposizione nei

diametri tra le varie classi sociali. Questa sovrapposizione è in parte dovuta ad errori nella

classificazione e in parte causata dalla relazione stocastica tra le altezze delle piante e i diametri

e la variabilità nello spazio delle dimensioni delle piante nel popolamento. Assmann afferma

inoltre che la curva di distribuzione diametrica per classe sociale o per piano di vegetazione può

essere bene approssimata dalla distribuzione normale. Wroblewski (1993) ha descritto

dettagliatamente per il pino silvestre della Polonia i parametri delle diverse classi sociali delle

piante e le equazioni per determinare gli attributi della distribuzione nelle classi biosociali di

Kraft. Per almeno un secolo i forestali hanno tentato di descrivere la distribuzione diametrica

usando modelli teorici. Alcuni di questi modelli sono stati usati, tra l’altro, per scopi

selvicolturali (Meyer, 1952; Leak, 1964), per determinare lo stadio di sviluppo del popolamento,

(Goelz e Leduc, 2002), e per costruire tavole di cubatura e modelli di accrescimento (Lenhard e

Clutter, 1971; Bailey e Dell, 1973; Clutter et al., 1984; Borders et al., 1987; Shiver, 1988;

Borders e Patterson, 1990). La modellizzazione della distribuzione diametrica in popolamenti

puri coetanei è relativamente semplice ed è possibile effettuarla quasi con tutte le distribuzioni

teoriche (es. normale, beta, gamma, Weibull, ecc.). Maltamo (1997) ha modellizzato la

distribuzione di particelle miste di pino silvestre e di abete rosso. Egli ottenne risultati più

accurati usando dei parametri per ciascuna singola specie invece che modellizzare

complessivamente la distribuzione diametrica di tutta il popolamento.

Tab. 9 Classificazione sociale di Kraft e classificazione usata

Classificazione di Kraft Classificazione usata Fusti predominanti Fusti dominanti Fusti scarsamente condominanti

Fusti dominanti

Fusti dominati interposti e parzialmente sottoposti

Fusti codominanti

Fusti completamente sottostanti con chioma vivente o deperiente

Fusti dominati

L’obiettivo è quello di analizzare la struttura sociale del dataset degli impianti e dei boschi relitti

usando categorie più ampie basate sulla classificazione originale di Kraft (Tab. 9).

Per lo studio della distribuzione diametrica, non sono state considerate le specie ecologicamente

non coerenti ed a rapido accrescimento (pioppi) impiegati in alcune stazioni e la componente

arbustiva.

Al fine di definire delle curve di distribuzione diametrica con validità generale per ciascuna

specie e posizione sociale, sui dati di diametro ripartiti in classi di 2 cm è stata eseguita una

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regressione non lineare (PROC NPAR1WAY SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001) attraverso una

procedura bootstrap sui dati grezzi da cui sono stati estratti 1000 campioni con un tasso di

campionamento corrispondente al 50% della popolazione totale.

In caso di non convergenza della procedura, i risultati della regressione sono stati esclusi dalle

successive elaborazioni statistiche.

I valori dei parametri dell’equazione sono stati quindi mediati, calcolando i rispettivi limiti di

confidenza ed il valore di R2 di ciascuna funzione interpolatrice.

Per modellizzare la distribuzione diametrica dello strato arboreo per classi sociali, è stata usata

la funzione di Hoerl (Hoerl, 1954). Questa funzione è una generalizzazione della power function

e della funzione esponenziale. La stima dei parametri a, b e c è quasi senza errore e con

distribuzione normale e ha una varianza minima.

n = a*dbhb*cdbh

in cui:

n= numerosità della classe campionaria;

dbh= diametro del fusto a 1,3 m. (cm.)

a, b c= coefficienti da stimare con la regressione

Quando il parametro c=0, la funzione diventa la power function mentre quando il parametro b=0

la funzione diventa quella esponenziale.

I parametri a e b interagiscono fortemente nel controllo dell’incremento o del decremento della

curva, mentre la variazione del parametro c causa fortissime variazioni nella forma della curva.

2.14 Analisi dell’area basimetrica

L’area basimetrica è un importante indicatore della saturazione del biospazio da parte della

componente arborea ed è uno dei parametri fondamentali per il calcolo del volume legnoso

prodotto da un popolamento.

Un impianto ad alta densità è soggetto nel corso dell’accrescimento ad una mortalità dipendente

dalla densità (autodiradamento). Per una certa dimensione media, esiste un limite al numero di

piante che possono coesistere in un popolamento coetaneo su una determinata superficie. La

relazione che intercorre tra la dimensione media dell’albero (che aumenta nel tempo) ed il

numero di alberi che sopravvivono per unità di superficie (che tende a diminuire nel tempo) può

essere descritta attraverso una linea di densità limite. L’area basimetrica è un importante misura

di densità che considera contemporaneamente le dimensioni medie della pianta e il numero di

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piante per unità di area. L’area basimetrica è usata per analizzare le relazioni esistenti tra la

densità e la crescita delle piante (Assmann, 1970). Inoltre, in associazione con il numero di

piante, l’area basimetrica può essere usata per definire il tipo e l’intensità dei diradamenti

(Gadow e Hui, 1999; Staupendahl, 1999).

Per lo studio della distribuzione dell’area basimetrica per classi diametriche si è fatto riferimento

all’analisi effettuata per la distribuzione diametrica.

2.15 Analisi delle relazioni ipsometriche

La previsione dell’altezza totale basata sul diametro a 1,3 m della pianta è uno dei dati

comunemente richiesti sia nella gestione pratica che nei lavori di ricerca in campo selvicolturale

(Meyer, 1940). La stima del volume delle piante e la descrizione del popolamento e del loro

sviluppo nel tempo, richiedono la definizione di accurate funzioni che leghino l’altezza al

diametro (Curtis, 1967). Molti modelli di accrescimento richiedono come variabili di base

l’impiego dei dati di diametro ed altezza, in cui le altezze di tutti o di parte dei soggetti siano

derivate da valori diametrici misurati (Burkhart e Tennent, 1977). Nel caso in cui non siano

disponibili valori attuali di crescita in altezza, le funzioni ipsometriche possono essere

indirettamente usate per predire la crescita in altezza (Larsen e Hann, 1987).

A fini gestionali, è molto importante avere informazioni attendibili sull’altezza dei giovani

popolamenti forestali in quanto la programmazione temporale di alcune operazioni

selvicolturali, come i diradamenti, dipende in primo luogo dall’altezza degli impianti.

La curva ipsometrica costituisce una rappresentazione statica della realtà di un popolamento che

varia in funzione dell’età e degli interventi selvicolturali. Nei popolamenti coetanei l’altezza

dominante viene impiegata, a parità di età, come indice di fertilità della stazione (site index).

Al fine di definire delle curve ipsometriche con validità generale per ciascuna specie e posizione

sociale, sui dati di diametro e altezza è stata eseguita una regressione non lineare (PROC

NPAR1WAY SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001) attraverso una procedura bootstrap

analogamente a quanto effettuato per la distribuzione diametrica.

I valori dei parametri dell’equazione sono stati quindi mediati, calcolando i rispettivi limiti di

confidenza ed il valore di R2 di ciascuna funzione interpolatrice. Sono state testate tre funzioni

(Gompertz, Chapman-Richards e logistica) ampiamente usate per la modellizzazione della

relazione diametro-altezza.

Gompertz

h=1,3+a*e(-e(b-(c*dbh))

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Chapman-Richards

h=1,3+a*(1-e(-b*dbh))c

Logistica

h=1,3+a/(1+e(b-k*dbh))

in cui:

h= altezza dendrometrica (m)

dbh= diametro a 1,3 m (cm).

a, b c= coefficienti da stimare con la regressione

2.16 Analisi delle relazioni ipsodiametriche della chioma

L’ampiezza della chioma e l’area di proiezione sul terreno (Condes e Sterba, 2005) sono misure

importanti per descrivere:

• l’efficienza nell’accrescimento (Badoux, 1949; Assmann, 1961; Sterba et al., 1993;

Larocque e Marshall, 1994; Ebert e Deuschle, 2000; Ebert e Eisele, 2001);

• la competizione a livello di popolamento (Krajicek et al., 1961; Stage, 1973; Wykoff et al.,

1982; Arney, 1985; Dahms, 1966; Strub et al., 1975; Smith et al., 1992; Monserud e Sterba,

1996);

• per l’impiego in modelli di accrescimento individuale su base spaziale (Bella, 1971;

Hasenauer et al., 1994; Hasenauer, 2000; Biging e Dobbertin, 1995; Pretzsch et al., 2002).

L’ampiezza della chioma degli alberi cresciuti in un popolamento è stata usata per misurare la

“competizione per la luce” in molti indici di competizione utilizzati nello sviluppo di modelli di

accrescimento su base individuale (Biging e Dobbertin, 1995; Pretzsch et al., 2002). Ci sono

molti studi che hanno sviluppato equazioni con l’obiettivo di prevedere queste misure attraverso

altre variabili facilmente misurabili come, ad es. il diametro, l’altezza, la larghezza della chioma

ed il rapporto di chioma.

In pratica, i modelli di sviluppo della chioma dovrebbero descrivere l’intera variabilità delle

condizioni, comprese tra popolamenti con poche piante fino a quelli con densità molto elevate,

non solo per ragioni teoriche ma soprattutto per sostenere alcuni trattamenti selvicolturali tipici.

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Per il modello dell’ampiezza della chioma vengono spesso utilizzate come variabili dipendenti il

diametro a 1,3 m assieme all’altezza della pianta (Uzoh e Ritchie, 1996; Pretzsch et al., 2002).

Queste equazioni riescono a fornire il diametro della chioma con una accuratezza sufficiente a

coprire l’intero campo di variazione di valori dall’albero cresciuto isolato a quello cresciuto in

bosco per una determinata specie, soprattutto se viene inserito come parametro il rapporto tra

altezza e diametro.

Poiché l’obiettivo è quello di sviluppare delle equazioni dell’ampiezza di chioma per ciascuna

specie valide per un ampio spettro di tipologie strutturali, densità e condizioni di competizione,

le equazioni più indicate sono quelle che considerano il diametro della chioma come variabile

indipendente mentre il diametro a 1,3 m e l’altezza sono le variabili dipendenti. L’ipotesi di base

è che, nel lungo periodo, le condizioni strutturali della popolamento ed il livello di competizione

di un albero (classe di chioma) siano il riflesso di certe combinazioni di questi due parametri.

Al fine di definire delle relazioni con validità generale per ciascuna specie e posizione sociale,

sui dati di diametro del fusto, diametro della chioma ed altezza è stata eseguita una regressione

non lineare (PROC NPAR1WAY SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001) attraverso una procedura

bootstrap analogamente a quanto effettuato per la distribuzione diametrica e la curva

ipsometrica.

I valori dei parametri dell’equazione sono stati quindi mediati, calcolando i rispettivi limiti di

confidenza ed il valore di R2 di ciascuna funzione interpolatrice.

Per il modello è stata usata la seguente equazione:

ln(dch)=a+b*ln(dbh) + c*ln(h)

in cui:

dch= diametro medio della chioma (m)

dbh= diametro del fusto a 1,3 m (cm)

h= altezza dendrometrica (m)

a, b c= coefficienti da stimare con la regressione

Per quanto concerne invece l’altezza di inserzione della chioma, è stata adottata la funzione di

Gompertz.

h_ins=a*e(-e(b-(c*dbh)

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in cui:

h_ins= altezza di inserimento della chioma rispetto al suolo (m)

dbh= diametro a 1,3 m (cm)

a, b c= coefficienti da stimare con la regressione

2.17 Analisi della relazione diametro-età

Il tempo impiegato da un albero per raggiungere un certo diametro dipende da numerosi fattori

come specie, fertilità, localizzazione geografica, competizione, struttura del popolamento e

fattori ambientali difficilmente disaggregabili.

Lo studio delle relazioni diametro-età è basato sulla tecnica dell’analisi del fusto e sul prelievo

di campioni dendroecologici (rotelle e carotine) della pianta all’altezza di 1,3 m e la successiva

lettura degli anelli effettuata in laboratorio. Su ciascuna rotella è stato marcata la direzione del

nord geografico al fine di ricostruire in laboratorio le altre direzioni cardinali lungo le quali sono

stati letti gli anelli usando il dendrocronografo Aniol ed il software Catras. Sui dati medi di

raggio cumulato ed età di ciascuna rotella, è stata effettuata la regressione usando una procedura

bootstrap analoga a quella impiegata per le altre relazioni, utilizzando la funzione di Chapman-

Richards.

Rcum=a*(1-e(-b*t))c

in cui:

Rcum= valore del raggio (cm) all’età t

t= età misurata sull’anello legnoso (anni)

a, b c= coefficienti stimati con la regressione

2.18 Analisi della relazione altezza-età

Il tempo impiegato da un albero per raggiungere una certa altezza dipende da numerosi fattori

come specie, fertilità, localizzazione geografica, competizione, struttura del popolamento e

fattori ambientali. L’accrescimento in altezza degli individui cambia parzialmente la struttura del

popolamento e viceversa. Pertanto diventa molto difficile attribuire le differenze di altezza o nel

ritmo di accrescimento in altezza alla fertilità, alla competizione, alle caratteristiche genetiche,

alla dinamica del popolamento o ad altri fattori.

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I modelli di relazione altezza-età stimano generalmente l’altezza di un popolamento in funzione

della fertilità stazionale e dell’età della pianta.

Tali modelli vengono interpolati attraverso un’ampia gamma di età, spesso variabile da uno fino

all’età massima raggiunta dalla specie. Mentre la regressione di un dataset con una ridotta

gamma di età può essere piuttosto scadente a causa della rigidità della funzione matematica

usata, di solito quando il campo di variazione dell’età è maggiore si ottengono risultati

soddisfacenti nell’equazione età-altezza.

Lo studio delle relazioni altezza-età è basato sulla tecnica dell’analisi del fusto che prevede la

raccolta di campioni (rotelle) del tronco ad altezze predeterminate, di solito ogni 1-2 m, e la

lettura degli anelli effettuata in laboratorio. Per effettuare la regressione, è stata usata una

procedura bootstrap sui dati di altezza cumulata ed età, impiegando la funzione di Chapman-

Richards.

h=a*(1-e(-b*t))c

h= altezza della pianta all’età t (m);

t= età della pianta misurata sulla rotella (anni)

a, b c= coefficienti da stimare con la regressione

2.19 Analisi dello stato fitosanitario

Nell’ambito dell’indagine, è parso opportuno valutare, ove possibile, anche se in maniera non

approfondita, lo stato generale di salute dei popolamenti studiati. Per fare ciò, sono state adattate

alle esigenze specifiche le codifiche e le procedure definite dalla rete CONECOFOR

(Petriccione e Isopi, 1996) per lo studio degli aspetti fitopatologici. Per valutare la mortalità

naturale, è stata adottata la seguente funzione allometrica:

Nt= N0*K-t

Nt = numero di soggetti vivi all’età t

N0 = numero di soggetti all’impianto

K= coefficiente di mortalità

t= età dell’impianto (anni)

La stima del coefficiente di mortalità K, è stata effettuata attraverso il calcolo della media della

mortalità rilevata in ciascun impianto.

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2.20 Analisi della rinnovazione naturale

Per gli impianti, sono stati inclusi nella categoria rinnovazione naturale tutti gli individui arborei

ed arbustivi presenti negli interfilari, suddividendoli in classi di altezza (Tab. 10):

Tab. 10 Classificazione della rinnovazione naturale

Classe rinnovazione Limiti di altezza (m)

Plantule h< 0,1 m

Semenzali 0,1<h<0,5 m

Classe 1 0,5<h<1,0 m

Classe 2 1,0<h<2,0 m

Classe 3 2,0<h<3,0 m

Durante i rilievi sono state contate anche le plantule cioè gli esemplari ancora provvisti di

cotiledoni. Analisi più approfondite sono state svolte esclusivamente sulla rinnovazione delle

due specie arboree più importanti (Quercus robur e Carpinus betulus). Nelle elaborazioni

(riguardanti la distribuzione, le relazioni rispetto alla copertura di altre specie ecc…) le sub aree

di 4 m² sono state trattate come campioni distinti in modo da disporre di 10 dati per ogni transect

e quindi complessivamente di 800 campioni.

Per verificare le differenze esistenti tra le diverse variabili della rinnovazione naturale oggetto di

misurazione (composizione, densità, altezza) ed i parametri strutturali degli impianti (età,

copertura, disegno d’impianto, localizzazione, ecc.) è stata usata l’analisi della varianza (PROC

ANOVA e PROC GLM SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001), applicando il test della mediana e

di Wilcoxon basato sulla distribuzione statistica del χ2.

2.21 Analisi della vegetazione erbacea

In genere, per l’analisi della vegetazione si ritengono sufficienti aree di 10-25 m² per i prati, 100

m² per boschi di conifere, leccete e vegetazioni pioniere e 150 m² per faggete e querceti

(Pignatti, 1995) ma che possono essere ampliati fino a 500 m².

Per quanto riguarda gli impianti, i rilievi sono stati condotti su aree quadrate di circa 36-40 m²,

ubicate in corrispondenza dei rilievi della rinnovazione naturale e delimitate da tre filari di

piante, mentre nei boschi sono state fatte delle aree campione di 150 m².

Il maggior difetto di rilievi eseguiti con dimensioni troppo esigue è proprio di non riuscire a

rappresentare specie poco diffuse.

Va comunque precisato che le liste delle entità botaniche presenti nei boschi sono raramente, se

non mai, complete, perfino quando derivano da ripetute visite nella stagione e che l’analisi dei

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fattori che determinano il loro numero e distribuzione in una certa foresta è necessariamente

impreciso perché le condizioni stazionali possono variare radicalmente entro un singolo bosco.

I limiti di altezza per i vari strati di vegetazione sono stati fissati osservando le caratteristiche

degli impianti e dei boschi in esame, individuando i seguenti strati:

• strato erbaceo: 0-1 m

• strato rinnovazione: 0-3 m

• strato arbustivo: 3-5 m

• strato arboreo: > 5 m

La classificazione delle specie è stata effettuata secondo Zangheri (1976). La nomenclatura

adottata e l’attribuzione della forma biologica e del tipo corologico ad ogni specie segue quanto

riportato da Pignatti (1982).

I rilievi floristici sono stati eseguiti secondo il metodo fitosociologico di Braun-Blanquet

modificato da Pignatti (1953) valutando la percentuale di copertura di ogni specie in ogni strato

vegetale.

L’indagine svolta intende verificare l’esistenza di relazioni tra la composizione dello strato

erbaceo, età dell’impianto, copertura del suolo e condizioni ecologiche stazionali, facendo gli

opportuni confronti con i boschi relitti.

I dati stazionali sono stati ricavati indirettamente dalla vegetazione presente tramite l’utilizzo

degli indici ecologici di Ellenberg (1974). Come noto, gli indici riflettono il comportamento

ecologico di una certa specie e non le sue preferenze fisiologiche e sono stati messi a punto per il

Centro Europa.

Seguendo i suggerimenti di numerosi autori per il calcolo del valor medio stazionale di ogni

indice si è preferito adoperare una media aritmetica semplice, senza ponderazioni, basata solo

sui valori di presenza/assenza.

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3. Risultati e discussione

3.1 Composizione

3.1.1 Composizione generale

Per quanto riguarda gli impianti, le Fig. 6 e 7 mostrano rispettivamente la composizione generale

delle specie arboree ed arbustive nel dataset esaminato. Le specie arboree (farnia e carpino

bianco) caratteristiche dell’associazione costituiscono circa il 52% del totale e riflettono in gran

parte il risultato dei criteri e della composizione adottati in fase di progettazione. Analoghe

considerazioni si possono fare anche per le specie arbustive, dove invece prevale il biancospino,

seguito dalle altre specie che invece sono ugualmente rappresentate (nocciolo, frangola,

prugnolo, pallon di maggio).

umi2%

tco3%

qro34%

fox10%

for4%

cbe18%

altre13%

agl4%

aca12%

Fig. 6 Composizione del dataset specie arboree (umi= Ulmus minor; tco= Tilia cordata; qro=Quercus robur; fox= Fraxinus oxycarpa; for= Fraxinus ornus; cbe= Carpinus betulus; altre= altre latifoglie; agl= Alnus glutinosa; aca= Acer campestre)

vop10%

psp11%

fal11%

csa8%

cmo20%

cav12%

altre28%

Fig. 7 Composizione del dataset specie arbustive (vop= Viburnum opulus; psp= Prunus spinosa; fal= Frangula alnus; csa= Cornus sanguinea; cmo=Crataegus monogyna; cav=Corylus avellana; altre= altre specie)

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3.1.2 Composizione per posizione sociale

In base alla posizione sociale (Tab. 11), mediamente sono presenti circa 1005 soggetti arborei

per ettaro, di cui quasi tre quarti occupano il piano superiore e i rimanenti invece rappresentano

il piano dominato.

Tab. 11 Dati medi a ettaro per specie e posizione sociale dello strato arboreo Posizione sociale

Specie dominante codominante dominato densità ha-1 Quercus robur 201 78 76 355 Carpinus betulus 57 66 66 190 Acer campestre 23 40 60 123 Fraxinus oxycarpa 84 11 6 101 Fraxinusornus 1 8 33 42 Alnus glutinosa 25 8 6 40 Tilia cordata 6 4 16 26 Ulmus minor 19 2 1 22 Altre specie 62 22 22 106

Totale 480 240 285 1005 % 48% 24% 28% 100%

Lo strato dominante è costituito soprattutto da specie eliofile dotate di buoni ritmi di

accrescimento (farnia, frassino ossifillo, ontano nero, olmo campestre ed altre specie) che

rappresentano circa la metà del soprassuolo arboreo. Le specie arboree accessorie (acero

campestre, orniello e tiglio selvatico) sono invece fortemente rappresentate nel piano dominato

mentre il carpino bianco è equamente distribuito in tutti i piani di vegetazione.

Lo strato arbustivo è mediamente composto da 406 soggetti ha-1, rappresentati quasi

esclusivamente nel piano dominato (Tab. 12).

Tab. 12 Dati medi a ettaro dello strato arbustivo Specie Densità ha-1

Crataegus monogyna 82 Corylus avellana 47 Prunus spinosa 46 Frangula alnus 43 Viburnum opulus 40 Cornus sanguinea 33 Altre 114 Totale 406

3.1.3 Composizione per età

La composizione relativa alle diverse età (Fig. 8), soprattutto negli impianti piu vecchi (età>12

anni), è piuttosto variabile mentre tende a diventare omogenea per quelli più recenti. In media,

nella realizzazione degli impianti è stato usato un rapporto di 1:3 o 1:4 tra specie arboree ed

arbustive. Merita segnalare che in un caso è stata usata una percentuale di arbusti superiore alle

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specie arboree, mentre in un’altro caso è stato fatto un impianto iniziale di sole specie arboree

successivamente integrato da alcuni soggetti arbustivi posti a dimora in sostituzione delle

fallanze.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

7 8 9 10 11 12 14 15 16 17 18 media

età (anni)

Com

posi

zion

e

arbusti

alberi

Fig. 8 Composizione degli impianti per età

3.1.4 Composizione per stazione ed età

Per quanto concerne la composizione per stazione (Fig. 9), si possono fare analoghe

considerazioni rispetto all’età. Solamente in tre stazioni (Foresto, Gesia e Tartaro) sono state

usate negli impianti delle percentuali di arbusti superiori o in quasi uguali ai soggetti arborei

mentre in tutti gli altri casi è stato adottato il rapporto 1:3 o 1:4.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

Carpe

nedo

Fores

to

Gesia

Novole

do

Osellin

o

Ottolen

ghi

Parau

ro

San M

arco

Bandiz

iol

Tarta

ro

med

ia

stazione

Com

posi

zion

e %

arbusti

alberi

Fig. 9 Composizione degli impianti per stazione

Per maggior chiarezza, si è voluto anche riportare i dati della composizione attuale degli

impianti, considerando anche i soggetti morti a seguito della selezione naturale o delle prime

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operazioni di diradamento effettuate negli impianti più vecchi. Dalla Tab. 13 si può evincere

come le differenze nella composizione arborea/arbustiva tendano a ridursi disaggregando i dati a

livello di stazione ed età.

Tab. 13 Composizione media impianti per stazione ed età

Stazione Età Soggetti arborei

Soggetti arbustivi

Soggetti morti Note

Carpenedo 7 76% 16% 9%

Carpenedo 8 57% 25% 18%

Carpenedo 9 54% 28% 18%

Carpenedo 16 85% 10% 5%

Carpenedo 17 87% 7% 6%

Foresto 15 45% 55% n.d.

Gesia 15 48% 52% n.d. diradato

Novoledo 10 56% 27% 17% diradato

Novoledo 18 45% 33% 22% diradato

Osellino 9 73% 21% 6%

Osellino 11 65% 20% 15%

Ottolenghi 7 55% 15% 30%

Ottolenghi 8 57% 16% 26%

Ottolenghi 9 68% 22% 10%

Ottolenghi 10 75% 13% 12%

Parauro 12 59% 23% 18% diradato

San Marco 9 62% 27% 11%

San Marco 11 91% 8% 1%

Bandiziol e Prassaccon 7 64% 28% 8%

Bandiziol e Prassaccon 8 68% 27% 5%

Bandiziol e Prassaccon 9 65% 26% 8%

Bandiziol e Prassaccon 10 71% 23% 7%

Bandiziol e Prassaccon 11 66% 22% 13%

Tartaro 14 35% 28% 37% diradato

Media 64% 24% 14%

Si può inoltre apprezzare come in alcuni casi l’azione della selezione naturale si esplichi in

misura diversa tra stazioni, soprattutto in funzione della densità d’impianto e delle indispensabili

operazioni di gestione selvicolturale.

3.1.5 Composizione boschi relitti

La composizione dei boschi relitti presenta profonde anomalie e notevoli differenze tra le due

stazioni oggetto di indagine (Figg. 10 e 11).

In particolare, a Carpenedo si riscontra un generale impoverimento delle specie che

costituiscono lo strato arboreo che risulta costituito per il 90% circa da due sole specie (farnia e

carpino bianco), mentre le altre latifoglie sono relegate ai margini a costituire il mantello della

piccola formazione boscata. Ad Olmè invece è in atto una dinamica molto intensa, sia a causa

degli interventi antropici sul soprassuolo, connessi alle operazioni di diradamento ed impianto,

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37

talvolta anche di specie alloctone ecologicamente non coerenti con la tipologia forestale (es.

Juglans nigra, Fraxinus excelsior), sia per le note patologie a carico della farnia e dell’olmo

campestre che stanno portando alla regressione di queste specie tipiche del querco-carpineto.

A Olmè, il carpino bianco sembra essere una specie assolutamente marginale del popolamento,

rappresentando solamente il 3% delle specie arboree.

cbe50%

qro40%

altre10%

Fig. 10 Composizione delle specie arboree del bosco Carpenedo (qro=Quercus robur; cbe= Carpinus betulus; altre=

altre latifoglie)

aca34%

fox20%

qro16%

umi15%

rps4%

fex3%

altre8%

Fig. 11 Composizione delle specie arboree del bosco Olmè (aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; qro=Quercus robur; umi= Ulmus minor; rps= Robinia pseudoacacia; fex= Fraxinus excelsior; altre= altre latifoglie)

Maggiori analogie si possono riscontrare nella composizione dello strato arbustivo dei due

boschi relitti. Alcune specie come acero campestre, olmo campestre, biancospino e nocciolo

(Figg. 12 e 13) tendono ad essere presenti in misura più o meno abbondante in entrambi i

popolamenti mentre altre specie (fusaggine, pallon di maggio, pero selvatico, melo selvatico e

ciliegio) tendono ad essere più esclusive.

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38

aca23%

umi23%

pav15%

ppy8%

cmo23%

cav8%

Fig. 12 Composizione delle specie arbustive del bosco Carpenedo (aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; pav= Prunus avium; ppy=Pyrus pyraster; cmo=Crataegus monogyna; cav=Corylus avellana)

eeu33%

msy23%

aca18%

vop11%

umi10% cav

4%

altre1%

Fig. 13 Composizione delle specie arbustive del bosco Olmè (eeu= Euonymus europaeus; msy= Malus sylvestris aca=Acer Campestre; vop= Viburnum opulus; umi= Ulmus minor; cav=Corylus avellana; altre= altre specie)

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39

3.2 Distribuzione diametrica

3.2.1 Distribuzione diametrica per posizione sociale

Considerando che il campo di variazione dei diametri degli impianti è molto ridotto ed al fine di

diminuire la varianza campionaria ed avere comunque sufficienti valori per effettuare le indagini

statistiche, si è deciso di adottare una soglia di 2 cm. per distinguere le classi diametriche

attribuendo a ciascuna il valore diametrico centrale (es. diametro 1-3 cm = classe dbh 2 cm).

La Tab. 14 riporta i risultati della regressione sui dati di frequenza per classe diametrica ottenuti

impiegando la funzione di Hoerl (Hoerl, 1954).

Tab. 14 Valori dei parametri della regressione, limiti di confidenza e coefficiente di determinazione su frequenza e classe diametrica degli impianti

specie pos. soc. n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca cd 1000 20.4557 1.6862 -1.0040 0.8785 30.5143 2.3832 -0.7759 0.9722 41.2139 3.1662 -0.5883 0.9959

aca dm 999 98.5542 1.0526 -1.2268 0.9616 126.1553 1.7039 -0.8746 0.9887 175.9158 2.5253 -0.6199 0.9988

aca do 1000 4.7247 1.6993 -1.0341 0.8158 8.7794 2.5173 -0.6773 0.9378 13.4893 3.7099 -0.4589 0.9851

aca tot 1000 122.9382 1.3297 -0.8340 0.9848 141.7291 1.6958 -0.6892 0.9950 165.2773 2.1003 -0.5621 0.9990

agl dm 700 2.0759 0.0000 -0.4770 0.0143 5.3105 0.0000 -0.1163 0.3440 10.7420 1.1217 0.0000 0.8966

agl do 1000 0.0000 3.6441 -1.2908 0.5270 0.0069 5.9693 -0.6157 0.7288 0.1518 14.5508 -0.3983 0.8813

agl tot 1000 0.0128 1.7066 -0.7413 0.5372 0.2443 4.0315 -0.5021 0.7488 3.6422 6.3957 -0.2606 0.8969

arb cd 1000 112.4330 1.8868 -0.7041 0.9705 131.2726 2.1353 -0.6348 0.9891 149.2260 2.4177 -0.5756 0.9981

arb dm 1000 587.1079 1.1451 -0.9605 0.9916 662.5495 1.4498 -0.8284 0.9967 754.4826 1.7610 -0.7023 0.9994

arb do 1000 28.6932 2.0881 -0.4326 0.9775 39.1138 2.3338 -0.3948 0.9868 50.4171 2.6364 -0.3626 0.9929

arb tot 1000 535.2845 0.8791 -0.3455 0.9931 564.8787 0.9617 -0.3257 0.9966 592.3651 1.0491 -0.3064 0.9988

cbe cd 1000 31.6493 1.7410 -0.8301 0.9351 40.7684 2.1848 -0.6778 0.9809 50.5316 2.7204 -0.5485 0.9973

cbe dm 1000 98.7428 1.0262 -1.1039 0.9485 126.9661 1.6286 -0.8116 0.9856 169.0644 2.3088 -0.5711 0.9987

cbe do 1000 12.0003 1.4014 -0.5551 0.8738 18.3475 1.8254 -0.4481 0.9555 24.1454 2.3589 -0.3605 0.9912

cbe tot 1000 137.8734 1.2336 -0.6113 0.9745 154.4278 1.4664 -0.5311 0.9922 172.1456 1.7297 -0.4616 0.9984

for tot 998 59.8185 0.0000 -0.6564 0.9233 71.5262 0.5058 -0.4450 0.9833 87.0600 1.0753 -0.3042 0.9989

fox cd 937 0.0308 1.6970 -1.9731 0.6503 0.7338 4.4634 -0.9184 0.9230 4.3383 9.8665 -0.3828 0.9920

fox do 1000 0.3895 3.1523 -0.7922 0.9008 1.4538 4.0774 -0.6293 0.9528 3.7370 5.3470 -0.5111 0.9816

fox tot 1000 3.1397 2.3298 -0.6367 0.9174 6.7667 2.9362 -0.5212 0.9577 11.6766 3.7767 -0.4346 0.9835

qro cd 1000 39.2501 1.7043 -0.7787 0.9554 50.3240 2.0874 -0.6601 0.9870 61.0118 2.5308 -0.5549 0.9979

qro dm 1000 196.0454 1.0120 -1.2949 0.9963 243.8340 1.6208 -0.9915 0.9994 330.3634 2.2835 -0.7410 0.9999

qro do 1000 9.8201 1.8287 -0.4231 0.9549 16.4081 2.1861 -0.3604 0.9750 23.5914 2.6776 -0.3132 0.9888

qro tot 1000 166.2482 0.6829 -0.3056 0.9852 181.3740 0.8234 -0.2769 0.9938 198.0873 0.9498 -0.2457 0.9975

tco tot 1000 15.4801 0.0000 -0.2351 0.6392 20.4844 0.0000 -0.1492 0.8297 26.6706 0.3416 -0.1037 0.9417

umi tot 1000 0.0000 2.6052 -1.8369 0.5770 0.0033 7.1690 -0.8407 0.8060 0.6351 17.0080 -0.3441 0.9349

Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominato; cd=codominante; tot=totale.

Si può notare come la funzione di Hoerl sia dotata di una estrema flessibilità che la rende

ottimale per interpolare i dati della distribuzione diametrica producendo elevatissimi valori di

R2.

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40

0

50

100

150

200

250

300

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38

dbh (cm)

N h

a-1

totale

dominante

codominante

dominata

Fig. 14 Distribuzione diametrica generale per posizione sociale

La curva generale del dataset (Fig. 14) dimostra una classica distribuzione gaussiana con la

moda centrata sui valori di 4 cm di diametro ed una lunga coda rapidamente decrescente verso

destra. Questo picco corrisponde anche al valore massimo assunto dalla curva degli individui del

piano codominante. Anche la curva dello strato dominante tende ad avere una distribuzione

gaussiana con il massimo a 6-8 cm. di diametro mentre il piano dominato presenta una curva a J

inverso con un massimo a 2 cm.

Degno di nota è l’andamento analogo e parallelo delle curve del piano dominante e codominante

fino ad un diametro di 4 cm. che potrebbe rappresentare una soglia di differenziazione tra i piani.

La curva risente del fatto che i rilievi sono stati eseguiti per classi di età ponderandoli con la

superficie occupata dagli stessi.

In linea generale, si possono distinguere due gruppi di curve, che caratterizzano le specie in base

alla posizione sociale ed alla velocità di accrescimento:

1. distribuzione a J inverso, tipica degli individui del piano dominato e delle specie

che manifestano un accrescimento diametrico più lento (es. orniello e tiglio

selvatico);

2. distribuzione gaussiana, con una coda più o meno allungata verso destra, tipica dei

soggetti che occupano il piano dominante e codominante e che manifestano un

accrescimento diametrico più rapido.

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41

3.2.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie

La curva della distribuzione diametrica per posizione sociale, oltre ad evidenziare i ritmi di

accrescimento, ben si presta a indicare le esigenze ecologiche delle diverse specie arboree.

In particolare, per quanto riguarda la farnia (Fig. 15) si può notare che fin dalle prime fasi di

sviluppo vi è una forte differenziazione tra gli accrescimenti dei soggetti appartenenti ai diversi

piani. La marcata eliofilia della specie e la rapidità di accrescimento consentono alla

maggioranza dei soggetti di farnia di svilupparsi nel piano dominante raggiungendo un massimo

in corrispondenza di 8 cm di diametro. I soggetti del piano codominante e dominato

raggiungono invece il massimo a valori di diametro rispettivamente pari a 4 cm e 2 cm,

manifestando così la scarsa tolleranza alla riduzione di luminosità e di spazio che tende a

comprometterne, talvolta in modo irreversibile, lo sviluppo.

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34

dbh (cm)

N h

a-1

totale

dominante

codominante

dominata

Fig. 15 Distribuzione diametrica della farnia per posizione sociale

0

10

20

30

40

50

60

70

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22

dbh (cm)

N h

a-1

totale

dominante

codominante

dominata

Fig. 16 Distribuzione diametrica del carpino bianco per posizione sociale

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42

Al contrario, l’accentuata sciafilia del carpino bianco consente uno sviluppo normale anche ai

soggetti che occupano il piano codominante e dominato. La Fig. 16 dimostra infatti come non vi

sia una netta separazione tra i soggetti dei diversi piani né per quanto riguarda le frequenze né

per il diametro massimo.

Simili considerazioni si possono fare anche per l’acero campestre, specie ben adattata a tollerare

ridotti livelli di luminosità.

Per quanto riguarda le altre specie, il numero esiguo di soggetti e/o le loro diverse esigenze

ecologiche non hanno sempre consentito di effettuare delle regressioni per ciascuna posizione

sociale occupata.

Si possono identificare i comportamenti simili del frassino ossifillo, dell’olmo campestre e

dell’ontano nero, specie eliofile ed a rapido accrescimento, con un massimo della curva di

distribuzione diametrica a 10 cm.

Analogia di comportamento viene dimostrata anche tra orniello e tiglio selvatico, che

rappresentano le specie arboree caratterizzate dallo sviluppo iniziale più lento e con individui

presenti quasi esclusivamente nel piano dominato.

Le rappresentazioni grafiche relative a tali specie sono riportate nell’Allegato 4.

Passando ad esaminare la distribuzione diametrica in base alla loro posizione sociale, si può

osservare che l’andamento delle curve si presenta simile tra le diverse specie.

0

50

100

150

200

250

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38

dbh (cm)

N/h

a

for

tco

agl

umi

aca

fox

cbe

qro

Fig. 17 Distribuzione diametrica totale per specie (for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa; umi= Ulmus minor; aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur)

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43

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38

dbh (cm)

N/h

atotale

qro

cbe

fox

aca

umi

agl

Fig. 18 Distribuzione diametrica del piano dominante per specie (agl= Alnus glutinosa; umi= Ulmus minor; aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

dbh (cm)

N/h

a

totale

qro

cbe

fox

aca

Fig. 19 Distribuzione diametrica del piano codominante per specie (aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur)

0

20

40

60

80

100

120

2 4 6 8 10 12 14 16 18

dbh (cm)

N/h

a

totale

qro

cbe

aca

tco

for

Fig. 20 Distribuzione diametrica del piano dominato per specie (aca= Acer campestre; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; for= Fraxinus ornus)

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44

La Fig. 17 consente di apprezzare il contributo delle singole specie nella distribuzione

diametrica media degli impianti. La farnia, il frassino ossifillo, l’olmo campestre e l’ontano

nero, vanno a costituire i soggetti più grossi del popolamento mentre le altre specie sono

fortemente rappresentate nelle classi diametriche inferiori. Le Figg. 18-20, consentono di fare

dei confronti tra specie aventi la medesima posizione sociale e confermano l’esistenza di

differenti velocità di accrescimento diametrico tra le specie arboree. Per il piano dominante,

farnia, frassino ossifillo, olmo campestre e ontano nero presentano un massimo centrato su

valori di 8-10 cm di diametro, mentre per le altre specie arboree secondarie (acero campestre,

carpino bianco) ed accessorie (tiglio selvatico ed orniello) tale valore si riduce rispettivamente a

6 cm ed a 2 cm. Per quanto riguarda il piano codominante (Fig. 19), la farnia dimostra un

rallentamento dell’accrescimento che la pone allo stesso livello dell’acero campestre e del

carpino bianco. Tale sintomo sembrerebbe confermare la “sofferenza” dei soggetti appartenenti

a queste specie soprattutto nei confronti dello spazio e dalla luce. Per quanto riguarda il frassino

ossifillo la scarsità degli individui presenti farebbe invece supporre che non vi sia una effettiva

separazione tra il piano dominante e codominante. Nel piano dominato (Fig. 20), l’analogia di

comportamento tra farnia, acero campestre e carpino bianco tende ad accentuarsi ancora di più,

arrivando quasi alla sovrapposizione delle curve delle distribuzioni diametriche. L’orniello ed il

tiglio selvatico continuano a presentare comportamenti differenziati che tenderebbero a

confermare uno sviluppo diametrico più “tardivo” rispetto alle altre specie arboree.

3.2.3 Distribuzione diametrica per stazione ed età

Al fine di evidenziare eventuali problemi di accrescimento a livello stazionale, sono stati posti a

confronto le distribuzioni diametriche per classe cronologica.

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24

dbh (cm)

N h

a-1

età 7

età 8

età 9

età 16

età 17

Fig. 21 Confronto tra le distribuzioni diametriche per classe di età della stazione di Carpenedo

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45

A Carpenedo (Fig. 21) gli impianti più vecchi hanno avuto dei problemi di accrescimento

segnalati dal relativamente più basso valore della media diametrica, centrata sugli 8 cm.

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38

dbh (cm)

N/h

a foresto

gesia

Fig. 22 Confronto tra due stazioni coetanee sottoposte a diversa gestione selvicolturale

Nelle due stazioni di Foresto e Gesia (Fig. 22), le distribuzioni diametriche hanno un andamento

molto simile: la differenza principale è costituita dal fatto che a Gesia è stato fatto un leggero

diradamento a carico del piano dominato mentre a Foresto ha agito solamente la selezione

naturale.

0

100

200

300

400

500

600

4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

dbh (cm)

N/h

a età 10

età 18

Fig. 23 Distribuzione diametrica stazione di Novoledo

A Novoledo invece (Fig. 23), si può notare la differenza tra la situazione all’età di 10 anni subito

prima del diradamento e quella attuale (età 18) alcuni anni dopo il taglio che è intervenuto sul

piano codominante lasciando inalterato il piano dominato.

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46

0

100

200

300

400

500

600

700

800

2 4 6 8 10 12 14 16

dbh (cm)

N h

a-1età 7

età 8

età 9

età 10

età 11

Fig. 24 Confronto tra le distribuzioni diametriche per classe di età della stazione di Bandiziol e Prassaccon

Nella stazione di Bandiziol e Prassaccon (Fig. 24), le età scalari degli impianti e l’uniformità

della composizione consentono di percepire meglio la dinamica dello sviluppo cronologico della

curva di distribuzione diametrica: partendo dalle età più giovani, la curva tende a passare

velocemente da una forma a J inverso (età 7 e 8 anni) ad una forma gaussiana (età > 8 anni). La

curva si appiattisce e la moda tende a spostarsi verso destra, con una coda che progressivamente

si allunga verso i diametri maggiori. Le altre distribuzioni diametriche presentano caratteristiche

simili a quelle viste sopra e si è ritenuto superfluo riportarle nell’indagine.

3.2.4 Distribuzione diametrica tra stazioni

Per effettuare un confronto tra le curve di distribuzione diametrica per età tra le diverse stazioni,

la densità arborea della singola stazione è stata trasformata in valore percentuale. Malgrado la

differenza esistente nella composizione specifica che provoca una “coda” verso destra che ne

modifica la forma, possiamo notare che fino all’età di 8 anni (Figg. 25 e 26) non vi sono

sostanziali differenze nella distribuzione delle classi diametriche maggiori. Tale fenomeno

potrebbe essere attribuibile alla mancanza di un effetto di competizione tra i diversi soggetti,

fenomeno che inizierebbe a manifestarsi solamente ad una certa età corrispondente ad un certo

sviluppo delle piante. Ciò conferma l’ipotesi che nei primi anni dalla messa a dimora lo sviluppo

dei soggetti arborei non sia influenzato dalla densità dell’impianto e neppure dalle caratteristiche

della stazione. Solamente a partire dall’età di 9 anni, comincia ad emergere il fattore densità

d’impianto che peraltro sembra avere un effetto positivo sugli accrescimenti. In particolare,

sembra che maggiore sia la densità e maggiore sia l’accrescimento dello strato arboreo (Figg. 27

e 28). Se passiamo agli accrescimenti per specie ed età, sembra evidenziarsi anche un influsso

dei fattori stazionali (terreno, disponibilità idrica, ecc.), che determinano un accrescimento

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47

maggiore nelle stazioni più fertili (Foresto, Gesia, Novoledo) rispetto a quelle meno favorevoli

alle piante.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

2 4 6 8 10

dbh (cm)

Fre

quen

za Carpenedo

Ottolenghi

Bandiziol

Fig. 25 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 7 anni)

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

50%

2 4 6 8 10 12 14 16

dbh (cm)

Fre

quen

za Carpenedo

Ottolenghi

Bandiziol

Fig. 26 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 8 anni)

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

dbh (cm)

Fre

quen

za

Osellino

Carpenedo

Ottolenghi

San Marco

Bandiz iol

Fig. 27 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 9 anni)

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48

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28

dbh (cm)

Fre

quen

za Ottolenghi

Novoledo

Bandiziol

Fig. 28 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 10 anni)

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26

dbh (cm)

Fre

quen

za Osellino

San Marco

Bandiziol

Fig. 29 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 11 anni)

In conclusione, si può notare come, pur essendoci delle differenze di crescita legate ai caratteri della stazione, queste tendano ad aumentare con il passare del tempo (Fig. 30).

0

5

10

15

20

25

0 5 10 15 20

età (anni)

dbh

med

io (

cm)

reale

stima

Fig. 30 Diametro medio per età dell’impianto

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49

3.2.5 Analisi cronologica per specie e posizione sociale

Come osservato nei paragrafi precedenti, la curva della distribuzione diametrica tende nel tempo

ad abbassarsi ed a spostare il proprio massimo verso destra. Questo vale sia a livello di

popolamento che di singola specie arborea. Per poter avere una visione dinamica di questo

fenomeno, per ciascuna specie e posizione sociale è stata fatta una regressione sui dati di

diametro medio ed età. Dalle analisi effettuate, la funzione che ha dato i migliori risultati in

termini di significatività è stata quella della retta.

dbh=a+b*eta

dove:

dbh= diametro a 1,3 m;

eta= età della pianta (anni);

a, b= coefficiente da stimare con la regressione

La Tab. 15 riporta i valori dei coefficienti di regressione ed il coefficiente di determinazione R2

stimato per ciascuna specie in base alla posizione sociale occupata.

Tab. 15 Risultati della regressione tra diametro medio ed età per specie e posizione sociale degli impianti

Specie Pos. sociale n. a b R2

Arboreo generale cd 185 -2.3530 0.7658 0.52

Arboreo generale dm 172 -2.1348 0.5396 0.48

Arboreo generale do 204 -3.0781 1.1426 0.44

Acer campestre cd 23 -1.2098 0.5535 0.47

Acer campestre dm 23 -2.8044 0.6018 0.54

Acer campestre do 18 -3.8955 0.9681 0.68

Alnus glutinosa dm 13 -2.8731 0.6263 0.50

Alnus glutinosa do 11 -9.3451 1.7412 0.80

Carpinus betulus cd 23 -2.2346 0.6968 0.68

Carpinus betulus dm 24 -0.7707 0.4016 0.58

Carpinus betulus do 24 -2.7371 0.8934 0.73

Fraxinus ornus dm 19 -1.3932 0.4062 0.61

Fraxinus oxycarpa cd 18 -0.9478 0.6683 0.53

Fraxinus oxycarpa do 21 -4.3505 1.3932 0.52

Quercus robur cd 22 -3.3415 0.8732 0.62

Quercus robur dm 21 -1.3492 0.4248 0.58

Quercus robur do 24 -8.3479 1.7188 0.68

Tilia cordata dm 12 -3.7055 0.6445 0.76

Ulmus minor do 18 1.8287 0.8197 0.43 do= dominante; cd= codominante; dm= dominato

Nelle Figg. 31 e 32 si evidenziano graficamente le relazioni per farnia e carpino bianco. I valori

di R2 non sono mai molto elevati a causa del limitato numero di dati disponibili per la

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regressione e della presenza di alcune stazione con valori outlayer: in particolare, Foresto, Gesia

e Tartaro (età 14 e 15 anni) presentano degli accrescimenti di gran lunga superiori alla media

delle altre stazioni, mentre Carpenedo (età 16 e 17 anni) tende sempre a costituire il limite di

accrescimento inferiore per ciascuna specie considerata. Di conseguenza, appare chiaro che

anche nel dataset studiato esistono differenti ritmi di accrescimento tra le stazioni che dipendono

probabilmente dalla diversa fertilità, dalle modalità di gestione e dalle provenienze impiegate.

0

5

10

15

20

25

30

0 5 10 15 20

età (anni)

dbh

(cm

)

qro cd r

qro cd p

qro dm r

qro dm p

qro do r

qro do p

Fig. 31 Regressione diametro-età per posizione sociale nella farnia (cd=codominante; dm=dominato; do=dominante; r= dati reali; p=dati interpolati)

0

2

4

6

8

10

12

14

16

0 5 10 15 20

età (anni)

dbh

(cm

)

cbe cd r

cbe cd p

cbe dm r

cbe dm p

cbe do r

cbe do p

Fig 32 Regressione diametro-età per posizione sociale nel carpino bianco (cd=codominante; dm=dominato; do=dominante; r= dati reali; p=dati interpolati)

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51

3.2.6 Distribuzione diametrica dei querco-carpineti relitti

Per la stazione di Carpenedo, dal confronto tra la curva di distribuzione diametrica (Fig. 33) del

1985 (3 aree di saggio circolari di 1256 m2), del 2003 (censimento completo) e del 2005 (4 aree

di saggio di 400 m2) è stato possibile ricavare delle indicazioni sulle tendenze dinamiche in atto.

In particolare, sembra che il popolamento stia lentamente evolvendo verso una struttura più

irregolare. Se analizziamo la composizione, possiamo vedere che la classi diametriche inferiori

sono occupate quasi esclusivamente da carpino bianco, con una scarsa partecipazione di altre

latifoglie (olmo campestre, acero campestre, robinia, platano) che costituiscono il mantello

periferico del bosco. La farnia inizia a comparire solamente per valori di dbh>10 cm. ed è la

specie esclusiva che occupa il piano dominante del bosco.

0

100

200

300

400

500

600

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60

dbh (cm)

N h

a-1

1985

2003

2005

Fig. 33 Evoluzione della curva di distribuzione diametrica del bosco Carpenedo

0

50

100

150

200

250

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90

dbh (cm)

N h

a-1

1985

2003

2006

Fig. 34 Evoluzione della curva di distribuzione diametrica del bosco Olmè

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Anche per la stazione di Olmè, dal confronto tra la curva di distribuzione diametrica (Fig. 34)

del 1985 (6 aree di saggio di 1256 m2), 2003 (censimento completo) e del 2006 (area di saggio

permanente di 1 ha) si può notare come il soprassuolo stia lentamente assumendo una struttura

meno regolare. Dal punto di vista della composizione, le classi diametriche inferiori sono

occupate esclusivamente da acero campestre, carpino bianco ed altre latifoglie appartenenti

anche a specie arbustive (biancospino e nocciolo) che ormai hanno raggiunto il diametro soglia

di quelle arboree. Analogamente a quanto avviene a Carpenedo, la farnia è totalmente assente

per diametri inferiori a 17 cm mentre diventa, assieme all’olmo campestre ed al frassino

ossifillo, la specie che compone il piano dominante del popolamento.

Merita inoltre segnalare le ulteriori differenze che si riscontrano tra le due stazioni anche in

termini di variazione del numero di individui. Poiché le soglie di rilevamento non erano le

stesse, per il confronto sono stati considerati solamente i soggetti con diametro maggiore o

uguale alla classe diametrica di 20 cm.

Nell’arco di circa 20 anni (Tab. 16), a Carpenedo sono avvenute pochissime variazioni mentre

ad Olmè si è assistito ad una notevole riduzione del piano arboreo dovuta sia alla mortalità

naturale che agli interventi selvicolturali.

Tab. 16 Variazione del numero di soggetti a ettaro con dbh>20 cm

Anno rilievo Stazione 1985 2003-5

Carpenedo 387 346 Olmè 298 166

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53

3.3 Area basimetrica

3.3.1 Distribuzione area basimetrica per specie

L’area basimetrica è un importante indicatore della saturazione del biospazio da parte della

componente arborea ed è uno dei parametri fondamentali per il calcolo del volume legnoso

prodotto da un popolamento.

Per lo studio della distribuzione dell’area basimetrica si è fatto riferimento all’analisi effettuata

per la distribuzione diametrica che eslude le specie ecologicamente non coerenti (pioppi)

impiegati in alcune stazioni in misura significativa (Osellino e Tartaro) e la componente

arbustiva che, nel caso di impianti molto giovani e con problemi di accrescimento (Carpenedo),

tende a far sottostimare i valori previsti dalla funzione di regressione (Tab. 17 e Fig. 35).

Tab. 17 Confronto tra valori reali e stimati di area basimetrica degli impianti

Stazione Età G reale (m2 ha-1) G stimata (m2 ha-1) Errore %

Carpenedo 7 1.6 0.9 -44%

Carpenedo 8 1.9 1.3 -35%

Carpenedo 9 1.8 1.7 -9%

Carpenedo 16 6.1 6.4 4%

Carpenedo 17 7.6 8.0 5%

Foresto 15 14.6 12.0 -17%

Gesia 15 14.6 15.4 6%

Novoledo 10 14.3 12.6 -12%

Novoledo 18 21.0 20.0 -5%

Osellino 9 6.4 3.8 -40%

Osellino 11 12.0 7.3 -39%

Ottolenghi 7 0.8 0.9 9%

Ottolenghi 8 1.3 1.5 16%

Ottolenghi 9 3.4 3.2 -5%

Ottolenghi 10 3.3 3.5 4%

Parauro 12 9.7 8.9 -8%

San Marco 9 5.7 5.6 -1%

San Marco 11 7.9 7.6 -3%

Bandiziol e Prassaccon 7 0.6 0.8 24%

Bandiziol e Prassaccon 8 2.0 2.1 7%

Bandiziol e Prassaccon 9 5.3 5.3 -1%

Bandiziol e Prassaccon 10 3.7 4.0 8%

Bandiziol e Prassaccon 11 4.3 4.5 4%

Tartaro 14 29.7 21.7 -27%

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54

0.0

5.0

10.0

15.0

20.0

25.0

30.0

35.0

0 5 10 15 20

età (anni)

G (

m2 /

ha)

G reale

G stima

Fig. 35 Confronto tra area basimetrica reale e stimata per età

In linea generale, la curva dell’area basimetrica è sempre caratterizzata da una distribuzione che

si approssima molto a quella normale.

La farnia si conferma come specie predominante (Tab. 18 e Fig. 36) oltre che in termini di

numerosità degli individui anche in termini di area basimetrica mentre il carpino bianco, pur

essendo numericamente superiore, viene uguagliato in termini di area basimetrica dal frassino

ossifillo a causa dello sviluppo più lento.

Tab. 18 Area basimetrica media per specie arborea

Specie G (m2 ha-1) G (%) Quercus robur 2.22 42% Fraxinus oxycarpa 0.65 12% Carpinus betulus 0.63 12% Altre specie 0.61 11% Alnus glutinosa 0.46 9% Acer campestre 0.28 5% Tilia cordata 0.20 4% Ulmus minor 0.19 4% Fraxinus ornus 0.09 2% Totale 5.33 100%

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55

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40

dbh (cm)

G (

m2 h

a-1)

for

tco

umi

aca

agl

altre

cbe

fox

qro

Fig. 36 Distribuzione dell’area basimetrica per specie arborea (umi= Ulmus minor; tco= Tilia cordata; qro=Quercus robur; fox= Fraxinus oxycarpa; for= Fraxinus ornus; cbe= Carpinus betulus; altre= altre latifoglie; agl= Alnus glutinosa; aca= Acer campestre)

3.3.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie

A livello di posizione sociale (Tab. 19 e Fig. 37), si osserva come in media non vi sia ancora una

forte competizione tra i diversi piani di vegetazione: com’era prevedibile, il piano dominante,

con il 77% dell’area basimetrica, si conferma ulteriormente come preponderante rispetto alle

altre posizioni sociali che sono del tutto marginali.

Tab. 19 Area basimetrica media per specie arborea e posizione sociale degli impianti

Specie Posizione sociale G (m2 ha-1) G % totale 2.22 100% dominante 1.89 85% codominante 0.24 11%

Quercus robur

dominato 0.09 4% totale 0.65 100% dominante 0.60 93% Fraxinus oxycarpa

codominante 0.05 7% totale 0.63 100% dominante 0.32 50% codominante 0.20 32%

Carpinus betulus

dominato 0.11 17% Altre specie totale 0.61 100%

totale 0.46 100% dominante 0.36 100% Alnus glutinosa

dominato 0.09 100% totale 0.28 100% dominante 0.08 29% codominante 0.11 40%

Acer campestre

dominato 0.09 31% Tilia cordata totale 0.20 100% Ulmus minor totale 0.19 100% Fraxinus ornus totale 0.09 100%

totale 5.33 100% dominante 4.10 77% codominante 0.82 15%

Totale

dominato 0.40 8%

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56

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40

dbh (cm)

G (

m2 h

a-1)

dominato

codominante

dominante

Fig. 37 Distribuzione dell’area basimetrica per posizione sociale

La farnia, assieme al frassino ossifillo, all’ontano nero ed all’olmo campestre rappresenta la

specie principale del piano dominante (Fig. 38).

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1)

umi

aca

agl

cbe

fox

qro

Fig. 38 Distribuzione dell’area basimetrica per specie nel piano dominante

Passando al piano codominante e dominato (Figg. 39 e 40), in termini di area basimetrica si può

notare come le specie arboree secondarie (carpino bianco e acero campestre) tendano a diventare

progressivamente più importanti rispetto alle specie principali farnia e frassino ossifillo, come

già osservato a proposito della composizione e della distribuzione diametrica.

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57

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1)

fox

aca

cbe

qro

altre

Fig. 39 Distribuzione dell’area basimetrica per specie nel piano codominante

0

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1)

agl

tco

for

aca

cbe

qro

Fig. 40 Distribuzione dell’area basimetrica per specie nel piano dominato

Per quanto riguarda la ripartizione tra le diverse posizioni sociali all’interno della medesima

specie, si confermano le tendenze già osservate e commentate a livello della composizione e

della distribuzione diametrica.

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1)

dominato

codominante

dominante

Fig. 41 Distribuzione dell’area basimetrica della farnia per posizione sociale

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58

0

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

dbh (cm)

G (

m2

ha-1)

dominato

codominante

dominante

Fig. 42 Distribuzione dell’area basimetrica del carpino bianco per posizione sociale

Nelle Figg. 41 e 42 sono illustrati i rapporti tra posizioni sociali relativi all’area basimetrica per

le due specie principali del querco-carpineto.

3.3.3 Distribuzione dell’area basimetrica per stazione ed età

A Carpenedo (Fig. 43), la distribuzione dell’area basimetrica per età conferma i problemi di

sviluppo degli impianti più vecchi già evidenziati a livello di distribuzione diametrica. La Fig.

44 evidenzia una distribuzione bimodale in cui la prima moda rappresenta le specie arboree

secondarie (carpino bianco e acero campestre) mentre la seconda individua le specie principali

(farnia e frassino ossifillo) e quelle a più rapido accrescimento iniziale (ontano nero). Le

differenze rilevabili tra le curve sono costituite dalla diversa gestione selvicolturale a cui sono

stati sottoposti i due impianti (Gesia= diradamento basso; Foresto= nessun intervento).

0.00

0.20

0.40

0.60

0.80

1.00

1.20

1.40

1.60

1.80

2.00

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24

dbh (cm)

G (

m2 /h

a)

età 7

età 8

età 9

età 16

età 17

Fig. 43 Distribuzione dell’area basimetrica per classe di età della stazione di Carpenedo

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59

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38

dbh (cm)

G (

m2/

ha)

foresto

gesia

Fig. 44 Distribuzione dell’area basimetrica tra due stazioni coetanee con diversa gestione selvicolturale

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1)

età 10

età 18

Fig. 45 Distribuzione dell’area basimetrica per classe di età della stazione di Novoledo A Novoledo invece (Fig. 45), si può notare l’evoluzione della distribuzione dell’area basimetrica

prima e dopo l’intervento di diradamento che ha interessato in parte il piano codominante e

dominante.

0.00

0.20

0.40

0.60

0.80

1.00

1.20

1.40

1.60

2 4 6 8 10 12 14 16

dbh (cm)

G (

m2 /

ha)

età 7

età 8

età 9

età 10

età 11

Fig. 46 Distribuzione dell’area basimetrica per classe di età della stazione di Bandiziol e Prassaccon

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Nella stazione di Bandiziol e Prassaccon (Fig. 46), dotata di maggiore uniformità nella

composizione e nella gestione degli impianti, si può apprezzare meglio lo sviluppo della

distribuzione dell’area basimetrica nel tempo.

Le altre distribuzioni dell’area basimetrica presentano caratteristiche simili a quelle viste sopra e

si è ritenuto superfluo riportarle nell’indagine.

3.3.4 Distribuzione dell’area basimetrica tra stazioni

Per effettuare un confronto tra le curve di distribuzione dell’area basimetrica per età tra le

diverse stazioni, la densità arborea della singola stazione è stata trasformata in valore

percentuale. Malgrado la differenza esistente nella composizione specifica che provoca una

“coda” verso destra che ne modifica la forma, possiamo notare che fino all’età di 8 anni (Figg.

47 e 48) non vi sono sostanziali differenze nella distribuzione dell’area basimetrica. Tale

fenomeno potrebbe essere attribuibile alla mancanza di un effetto di competizione tra i diversi

soggetti, fenomeno che inizierebbe a manifestarsi solamente ad una certa età corrispondente ad

un certo sviluppo delle piante. Ciò conferma l’ipotesi che nei primi anni dalla messa a dimora lo

sviluppo dei soggetti arborei non sia influenzato dalla densità dell’impianto e neppure dalle

caratteristiche della stazione. Solamente a partire dall’età di 9 anni, comincia ad emergere il

fattore densità d’impianto che peraltro parrebbe avere un effetto positivo sugli accrescimenti. In

particolare, sembra che maggiore è la densità e maggiore sia l’accrescimento dello strato arboreo

(Fig. 49 e 50).

Passando agli accrescimenti per specie ed età, sembra evidenziarsi anche un influsso dei fattori

stazionali (terreno, disponibilità idrica, ecc.), che determinano un accrescimento maggiore nelle

stazioni più fertili (Foresto, Gesia, Novoledo) rispetto a quelle meno favorevoli alle piante.

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

50%

2 4 6 8 10

dbh (cm)

Fre

quen

za Carpenedo

Ottolenghi

Bandiziol

Fig. 47 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 7 anni)

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61

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

2 4 6 8 10 12 14 16

dbh (cm)

Fre

quen

za Carpenedo

Ottolenghi

Bandiziol

Fig. 48 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 8 anni)

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

dbh (cm)

Fre

quen

za

Osellino

Carpenedo

Ottolenghi

San Marco

Bandiziol

Fig. 49 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 9 anni)

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28

dbh (cm)

Fre

quen

za Ottolenghi

Novoledo

Bandiziol

Fig. 50 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 10 anni) In conclusione, analogamente a quanto avviene anche per il diametro medio, anche nell’area

basimetrica media le differenze tra le stazioni tendono ad accentuarsi con l’avanzare dell’età

(Fig. 51).

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62

0

0.005

0.01

0.015

0.02

0.025

0.03

0.035

0 5 10 15 20

età (anni)

G m

edia

arb

orea

(m

2 )

reale

stima

Fig. 51 Area basimetrica media in funzione dell’età dell’impianto.

3.3.5 Distribuzione dell’area basimetrica dei querco-carpineti relitti

Per la distribuzione dell’area basimetrica dei boschi relitti, si possono fare delle considerazioni

analoghe a quelle fatte per la distribuzione diametrica. Per la stazione di Carpenedo (Fig. 52), le

tendenze dinamiche in atto sembrano indicare che il popolamento sta lentamente evolvendo

verso una struttura più irregolare, con un aumento dell’area basimetrica causato dall’abbandono

colturale in atto da circa 10 anni.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1)

1985

2003

2005

Fig. 52 Evoluzione della curva di distribuzione dell’area basimetrica del bosco Carpenedo

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0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90

dbh (cm)

G (

m2 ha

-1 1985

2003

2006

Fig. 53 Evoluzione della curva di distribuzione diametrica del bosco Olmè Anche per la stazione di Olmè, il confronto tra la situazione del 1985 e del 2006 della curva di

distribuzione dell’area basimetrica segnala che il popolamento sta assumendo rapidamente una

struttura meno regolare. Merita inoltre segnalare le ulteriori differenze che si riscontrano tra le

due stazioni anche in termini di variazione dell’area basimetrica ad ettaro (Tab. 20). Mentre a

Carpenedo si segnala un leggero aumento dell’area basimetrica, a Olmè si assiste invece ad una

forte riduzione dovuta sia alla mortalità naturale ed ai conseguenti interventi selvicolturali che

prelevano sostanzialmente i soggetti morti o fortemente deperienti.

Tab. 20 Variazione dell’area basimetrica (m2 ha-1) per dbh>20 cm

Anno rilievo Stazione 1985 2003-5

Carpenedo 21.0 25.9 Olmè 18.4 14.2

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3.4 Relazioni ipsometriche

Per modellizzare le relazioni ipsometriche, sono state impiegate diverse funzioni matematiche

ampiamente usate in campo forestale. Tra queste, quelle che hanno dato i migliori risultati

(Tabb. 21-22-23), in base al valore di R2, ai limiti di confidenza calcolati con una probabilità

statistica del 95% ed alla convergenza della regressione, sono state la Gompertz e la Chapman-

Richards, anche se con delle piccolissime differenze. La prima sembra essere leggermente più

efficiente nella stima degli alberi che si trovano in posizione sociale dominante, mentre la

seconda appare più idonea alla stima dello strato codominante e dominato. L’equazione logistica

invece è apparsa quella che aveva i maggiori problemi di convergenza durante la regressione

non lineare ed è stata la più efficiente in un solo caso, quello dell’olmo campestre.

Anche in questo caso, sono state indagate le relazioni esistenti tra diametro ed altezza tra le

diverse specie in base alla rispettiva posizione sociale occupata.

Tab. 21 Risultati della regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione di Gompertz degli impianti

specie pos

sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca cd 1000 6.067 0.416 0.211 0.386 6.670 0.687 0.328 0.485 7.538 0.995 0.457 0.591

aca dm 1000 4.161 0.421 0.105 0.437 5.390 0.576 0.272 0.525 9.775 0.988 0.597 0.610

aca do 996 7.840 0.519 0.021 0.551 10.823 0.739 0.152 0.648 199.730 1.439 0.365 0.748

agl dm 165 3.533 0.423 0.122 0.354 4.545 0.766 0.344 0.572 8.340 2.064 1.106 0.761

agl do 558 8.492 0.427 0.086 0.092 11.277 0.645 0.154 0.638 14.140 20.113 10.000 0.773

arb cd 1000 8.024 0.564 0.053 0.507 11.388 0.647 0.125 0.550 31.032 0.948 0.223 0.591

arb dm 1000 4.323 0.525 0.173 0.480 4.918 0.679 0.361 0.529 6.997 0.938 0.541 0.569

arb do 1000 13.882 0.613 0.057 0.695 16.816 0.655 0.081 0.716 20.964 0.735 0.118 0.736

cbe cd 1000 6.753 0.566 0.098 0.475 7.658 0.731 0.269 0.551 14.517 0.939 0.360 0.638

cbe dm 1000 4.266 0.371 0.113 0.374 5.053 0.531 0.320 0.453 8.951 0.846 0.545 0.538

cbe do 1000 8.205 0.603 0.143 0.602 10.131 0.715 0.186 0.666 11.814 0.872 0.287 0.732

for dm 1000 3.522 1.213 0.677 0.530 3.765 1.583 0.887 0.610 4.060 2.114 1.117 0.698

fox cd 784 5.326 0.753 0.244 0.319 6.108 1.357 0.493 0.519 8.540 2.491 0.915 0.684

fox do 1000 11.099 0.646 0.133 0.622 11.298 0.755 0.151 0.679 11.568 0.900 0.174 0.727

qro cd 990 9.179 0.744 0.033 0.604 17.470 0.918 0.101 0.680 157.760 1.489 0.197 0.748

qro dm 1000 4.053 0.849 0.066 0.511 5.486 1.029 0.370 0.590 37.536 1.304 0.658 0.651

qro do 1000 12.491 0.789 0.123 0.783 13.299 0.858 0.142 0.805 14.329 0.931 0.160 0.826

tco dm 709 3.462 0.522 0.019 0.366 6.310 1.086 0.196 0.492 2493.464 2.033 0.864 0.632

umi do 682 7.757 0.847 0.098 0.023 13.348 1.214 0.165 0.614 16.723 20.314 10.000 0.721

Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale.

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65

Tab. 22 Risultati regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione di Chapman-Richards degli impianti

specie pos

sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca cd 1000 6.230 0.082 0.649 0.385 7.025 0.220 1.070 0.483 8.995 0.374 1.770 0.586

aca dm 851 4.295 0.001 0.522 0.480 6.205 0.120 0.726 0.552 67.298 0.443 1.501 0.626

aca do 722 7.892 0.016 0.631 0.544 10.788 0.111 0.947 0.645 25.943 0.327 2.109 0.744

agl dm 119 3.428 0.005 0.506 0.357 4.604 0.284 1.188 0.586 24.203 1.026 5.263 0.756

agl do 788 10.427 0.027 0.647 0.503 12.146 0.095 0.990 0.630 18.771 0.189 1.792 0.745

arb cd 450 8.514 0.005 0.626 0.522 12.731 0.052 0.747 0.559 49.191 0.146 1.007 0.597

arb dm 927 4.606 0.001 0.575 0.502 6.169 0.131 0.782 0.538 64.513 0.353 1.307 0.574

arb do 840 15.608 0.004 0.637 0.708 25.103 0.020 0.719 0.727 60.702 0.063 0.968 0.745

cbe cd 800 6.955 0.002 0.635 0.469 8.077 0.176 1.086 0.544 70.911 0.282 1.555 0.629

cbe dm 914 4.456 0.000 0.491 0.382 6.326 0.111 0.658 0.461 83.469 0.384 1.228 0.548

cbe do 971 8.625 0.032 0.728 0.598 12.124 0.087 0.922 0.664 19.253 0.199 1.350 0.727

for dm 1000 3.525 0.560 2.191 0.519 3.770 0.826 3.809 0.598 4.106 1.146 8.896 0.687

fox cd 974 5.401 0.164 1.153 0.330 6.136 0.461 3.139 0.503 8.586 0.803 9.700 0.672

fox do 1000 11.399 0.085 0.997 0.628 11.685 0.107 1.194 0.676 12.224 0.130 1.432 0.722

qro cd 406 8.433 0.010 0.775 0.598 14.181 0.068 1.002 0.661 40.201 0.159 1.305 0.714

qro dm 592 4.062 0.139 0.992 0.543 5.289 0.288 1.390 0.601 7.172 0.563 2.342 0.656

qro do 1000 12.904 0.069 1.062 0.777 14.059 0.096 1.272 0.799 16.104 0.120 1.488 0.820

tco dm 265 3.296 0.022 0.582 0.365 4.178 0.345 1.192 0.522 12.640 0.979 4.191 0.658

umi do 888 11.235 0.044 1.045 0.505 14.404 0.120 1.988 0.612 21.449 0.231 4.429 0.713

Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale. Tab. 23 Risultati regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione logistica degli impianti

specie pos

sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca cd 889 3.763 0.000 0.282 0.030 4.214 0.000 0.746 0.176 7.213 1.013 1.244 0.445

aca dm 785 2.463 0.000 0.169 0.021 4.878 1.114 0.289 0.441 9.159 1.929 2.975 0.553

aca do 827 5.857 0.000 0.074 0.328 10.905 1.444 0.188 0.643 86.950 3.263 0.476 0.744

agl dm 955 4.026 1.513 0.115 0.385 1029.923 6.856 0.172 0.609 4059.568 8.791 0.879 0.806

agl do 989 10.001 0.959 0.119 0.489 11.007 1.230 0.196 0.623 13.523 1.676 0.287 0.746

arb cd 1000 7.565 1.214 0.121 0.478 10.486 1.399 0.195 0.538 19.929 1.945 0.320 0.581

arb dm 573 2.319 0.000 0.195 0.015 4.406 1.222 0.472 0.438 8.220 61.427 50.229 0.528

arb do 1000 13.150 1.363 0.089 0.673 15.310 1.443 0.129 0.705 19.259 1.552 0.175 0.730

cbe cd 536 4.811 0.000 0.126 0.310 8.107 1.439 0.319 0.545 23.084 2.104 0.514 0.634

cbe dm 977 2.952 0.000 0.183 0.191 4.430 0.978 0.533 0.354 8.449 1.590 1.038 0.506

cbe do 987 7.810 1.281 0.217 0.595 9.478 1.496 0.278 0.664 10.905 1.736 0.423 0.731

for dm 351 3.477 2.223 0.947 0.551 3.766 2.866 1.232 0.637 4.030 3.599 1.539 0.720

fox cd 833 4.322 0.000 0.319 0.125 5.892 2.170 0.655 0.485 7.580 3.488 1.014 0.686

fox do 1000 10.864 1.330 0.180 0.630 11.045 1.495 0.205 0.679 11.234 1.701 0.235 0.726

qro cd 995 8.911 1.589 0.126 0.595 14.200 1.950 0.196 0.675 39.161 2.867 0.289 0.744

qro dm 966 3.790 1.678 0.178 0.456 5.084 2.121 0.594 0.576 21.070 2.660 0.965 0.643

qro do 1000 12.122 1.626 0.183 0.782 12.784 1.721 0.205 0.804 13.595 1.819 0.227 0.826

tco dm 819 3.664 1.406 0.113 0.367 228.607 5.030 0.140 0.486 1998.740 7.409 0.973 0.629

umi do 930 10.535 1.707 0.149 0.509 12.447 2.381 0.261 0.623 15.237 3.243 0.375 0.728

Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale.

Si è deciso pertanto di impiegare l’equazione di Gompertz che complessivamente si è dimostrata

quella più valida nell’interpolazione dei dati e quindi si farà riferimento ad essa nel proseguo

dell’indagine.

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3.4.1 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominante

La curva ipsometrica dello strato dominante degli impianti (Fig. 54) denota un primo tratto di

crescita molto simile e senza particolari differenze tra le diverse specie arboree esaminate. In

questo piano, il tiglio selvatico e l’orniello, a causa del lento accrescimento iniziale, sono

rappresentati solamente da un esiguo numero di individui per cui non è stato possibile tracciarne

la curva ipsometrica.

Questa fase iniziale è caratterizzata da un accrescimento dei soggetti che dipende soprattutto dai

fattori stazionali e dalla manutenzione in quanto non si è ancora innescata la competizione per lo

spazio e la luce.

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39

dbh (cm)

h (m

)

arb

umi

qro

fox

aca

cbe

agl

Fig. 54 Curva ipsometrica per specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)

Il grafico indica che la differenziazione tra le specie arboree principali (farnia, olmo campestre e

frassino ossifillo) ed accessorie (acero campestre, carpino bianco, ontano nero) avviene ad un

diametro di circa 11-12 cm ed un’altezza variabile tra 8 e 10 m., corrispondente ad una età

media compresa tra 10 e 15 anni in funzione della velocità di accrescimento. A titolo di

confronto è stata introdotta anche la curva ipsometrica complessiva del piano arboreo dominante

che rappresenta pertanto la media di tutte le specie arboree, con esclusione del genere Populus e

delle altre specie non coerenti con la composizione del querco-carpineto. Tale curva risulta

fortemente influenzata soprattutto dalla farnia che rappresenta la specie maggiormente

rappresentata negli impianti indagati. I dati riportati nella Tab. 24 indicano chiaramente che le

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specie arboree principali sono anche quelle che dimostrano un più rapido accrescimento e che, di

conseguenza, raggiungono il diametro soglia ad una età media inferiore rispetto alle specie

arboree secondarie ad accrescimento più lento.

Tab. 24 Valori medi e limiti di confidenza per specie e posizione sociale dominante con dbh cm 11-12

specie pos.

sociale n q5_eta q5_h Q5_d_ch q5_h_ins età h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins

arb do 358 9 7.0 3.0 0.0 11 9.5 5.0 1.0 17 12.0 6.0 5.0

umi do 24 8 7.0 4.0 0.0 10 9.0 5.0 0.5 14 14.0 8.0 2.0

qro do 153 9 7.5 3.0 0.0 10 9.6 5.0 1.0 17 11.5 6.0 5.0

fox do 52 9 7.0 3.0 0.0 10 10.0 5.0 1.0 17 12.0 6.0 3.0

aca do 11 11 7.9 4.0 0.2 15 8.0 5.0 0.8 17 10.0 5.0 2.0

cbe do 23 9 6.5 3.5 0.0 14 8.6 5.0 0.0 17 11.0 6.0 1.5

agl do 41 9 7.9 4.0 0.0 15 8.6 4.0 4.0 15 13.0 7.0 8.0 Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione

A tale proposito, si deve osservare che il frassino ossifillo, nella prima fase di crescita, non

dimostra un ritmo di accrescimento così elevato come la farnia e l’olmo campestre tanto che si

sarebbe portati a classificarlo tra le specie arboree secondarie. Un altro dato interessante che

conferma l’inizio della competizione è il valore del diametro medio della chioma che si attesta

per tutte le specie intorno a 5 m: se si considerano i valori medi del sesto d’impianto e si

confrontano con le dimensioni delle chiome, si comprende come queste ultime, dopo una prima

fase di crescita libera, siano ormai parzialmente sovrapposte e compenetrate e quindi inizino a

scarseggiare la luce e lo spazio. Un ulteriore elemento è dato dall’altezza media di inserimento

della chioma sul fusto, pari a circa un metro, che rivela l’inizio del fenomeno di autopotatura dei

rami più bassi per carenza di illuminazione. Il valore di tale fattore rispecchia anche il trend che

varia in base alla maggiore o minore esigenza di luce, passando da 4 m per l’ontano nero (specie

eliofila) a zero per il carpino bianco (specie sciafila). Passando ad esaminare la curva

dell’incremento corrente in altezza (Fig. 55), si nota che essa raggiunge il suo valore massimo a

7-8 cm di diametro per le specie arboree principali (olmo campestre e farnia), mentre per le

specie arboree secondarie (acero campestre, carpino bianco e ontano nero) e frassino ossifillo il

valore si attesta su 5-6 cm. Per quanto concerne il valore medio di incremento dello strato

arboreo, la curva ha un andamento molto meno accentuato rispetto alle singole specie con un

valore massimo a 9 cm di diametro ed un accrescimento ancora sostenuto anche per diametri

maggiori.

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39

dbh (cm)

Ih (

m)

arb

umi

qro

fox

aca

cbe

agl

Fig. 55 Curva dell’incremento corrente in altezza per le specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)

3.4.2 Relazioni ipsometriche del piano arboreo codominante

La curva ipsometrica dello piano codominante (Fig. 56) degli impianti denota un primo tratto di

crescita molto simile e senza particolari differenze tra le diverse specie arboree esaminate,

analogamente a quanto visto per il piano dominante. Anche in questo caso, si può affermare che

la fase iniziale è caratterizzata da un accrescimento dei soggetti che dipende soprattutto dai

fattori stazionali in quanto non si è ancora innescata la competizione per lo spazio e la luce.

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

h (m

)

arb

qro

fox

aca

cbe

Fig. 56 Curva ipsometrica per specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)

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Non è stato possibile effettuare la regressione per l’olmo campestre, per il tiglio selvatico,

l’ontano nero e l’orniello a causa del ridotto numero di soggetti rappresentati.

La principale differenza osservabile tra i due piani è che le diverse specie sembrano non

rispettare il medesimo ordine di accrescimento. In particolare, la farnia sembra prevalere sul

piano arboreo totale: questo comportamento tende a confermare l’ipotesi che per tale specie

esista un'unica posizione sociale dominante-codominante. Un ulteriore giustificazione

dell’andamento della curva del piano arboreo codominante è dovuta al fatto che la stessa è

influenzata dalle specie arboree secondarie dotate di accrescimenti più lenti. Si può inoltre

osservare una vicarianza tra frassino ossifillo, che diventa la specie ad accrescimento più lento, e

carpino bianco, che invece assume un ritmo di crescita più sostenuto.

Tab. 25 Valori medi e limiti di confidenza per specie e posizione sociale codominante con dbh cm 8-9 specie n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins

qro 39 9 5 2 0 11 7 4 1 17 10 5 5 arb 123 9 5 2 0 12 7 4 0 17 10 6 4 cbe 34 9 5 4 0 12 7.5 5 0 18 13.5 7 3 aca 9 9 5 4 0 12 7 5 0.5 17 9 6 3 fox 7 10 4.5 2 0 16 8 3 2 17 8.5 6 3.5

Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione I risultati dell’analisi della media (Tab. 25) indicano come in questo caso, rispetto al piano

dominante, la differenziazione tra le specie arboree avvenga ad un diametro di circa 8-9 cm ed

un’altezza variabile tra 7 e 8 m, corrispondente ad una età media compresa tra 11 e 16 anni in

funzione della velocità di accrescimento. Rispetto al piano dominante, i soggetti dimostrano un

accrescimento diametrico della chioma inferiore, ad eccezione delle specie più sciafile che

invece riescono a svilupparsi anche in condizioni di luminosità ridotta. Anche per quanto

riguarda l’altezza di inserimento della chioma sul fusto, si può notare un trend legato

all’esigenza di luce: fa eccezione il frassino ossifillo che manifesta una certa sofferenza a

permanere in questo piano come dimostrato dal basso numero di soggetti della stessa specie che

lo occupano.

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

dbh (cm)

Ih (

m)

qroaca

foxarbcbe

Fig. 57 Curva dell’incremento corrente in altezza per le specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)

Rispetto alla curva dell’incremento corrente (Fig. 57), si possono distinguere due diversi

raggruppamenti: il primo, costituito da carpino bianco, acero campestre e frassino ossifillo in cui

il massimo incremento in altezza corrisponde ad un diametro di 3 cm ed un secondo gruppo,

costituito dalla farnia con massimo a 9 cm. Dal punto di vista ecologico, il rapido declino del

frassino ossifillo fa presupporre per la specie un temperamento eliofilo simile a quello della

farnia, come peraltro confermato dalla pressochè totale assenza di individui della stessa specie

nel piano dominato.

3.4.3 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominato

La curva ipsometrica dello piano dominato (Fig. 58) denota un andamento molto simile per tutte

le diverse specie arboree esaminate. L’analisi del dataset mostra come i soggetti compresi nel

piano dominato siano prevalentemente individui che hanno avuto nei primi anni di vita dei

problema di accrescimento, dovuti a svariate cause (attecchimento, ristagno idrico, attacchi di

funghi e insetti, ecc.) oppure appartenenti a specie con scarsa dominanza apicale e forte tendenza

policormica o pollonifera (ontano nero e tiglio selvatico) che ne condizionano lo sviluppo in

altezza. Si nota la mancanza della curva dell’olmo campestre e del frassino ossifillo, che

conferma il temperamento eliofilo delle due specie arboree.

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dbh (cm)

h (m

)

qro

aca

cbe

arb

for

tco

agl

Fig. 58 Curva ipsometrica per specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa)

Il massimo di incremento corrente ipsometrico (Fig. 59 e Tab 26) si ha con diametri molto bassi,

compresi tra 2 e 3 cm ed un’altezza variabile tra 3,5 e 3,8 m a cui corrisponde un’età di 9-10

anni.

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

dbh (cm)

Ih (

m)

qro

aca

arb

cbe

for

tco

agl

Fig. 59 Curva dell’incremento corrente in altezza per le specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa)

Fa eccezione il tiglio selvatico che invece sembra avere l’accrescimento ipsometrico più

contenuto ed un massimo a 5-6 cm di diametro all’età di 11 anni.

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Un’altra eccezione è rappresentata dall’orniello che, al contrario, sembra avere un forte

accrescimento iniziale con un massimo a 1-2 cm di diametro seguito da un rapidissimo

decremento.

Questo dato sembra confermare che nei soggetti del piano dominato il massimo incremento in

altezza avviene a diametri relativamente minori rispetto ai soggetti del piano codominante e

dominante.

Tab. 26 Valori medi e limiti di confidenza per specie e posizione sociale dominata con dbh cm 2-3

specie n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins

qro 215 7 2.0 1.0 0.0 9 3.5 2.0 0.0 16 5.0 4.0 2.0

arb 765 7 2.0 1.0 0.0 9 3.5 2.0 0.0 16 5.0 4.0 1.0

cbe 168 7 2.5 1.0 0.0 9 3.8 2.5 0.0 15 5.0 5.0 0.0

aca 163 8 2.5 1.0 0.0 10 3.5 2.0 0.0 16 5.0 4.0 0.0

agl 11 7 2.0 1.0 0.0 9 3.5 1.3 0.0 14 4.4 1.5 0.0

for 98 7 2.0 0.7 0.0 9 3.0 1.0 0.0 17 5.0 2.0 1.0

tco 38 9 1.5 1.0 0.0 10 3.1 2.0 0.0 15 5.0 4.0 0.5 Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione

Si tratta comunque di soggetti con uno sviluppo molto modesto, con chioma stretta e inserita

fino al livello del terreno in cui non è visibile alcun fenomeno di autopotatura dei rami.

Dal punto di vista ecologico, il rapido declino della farnia e dell’ontano nero fa presupporre un

futuro ormai segnato per questo gruppo di soggetti che, nell’arco di qualche anno, andranno a

costituire la necromassa del popolamento. Al contrario, il carpino bianco e l’acero campestre,

grazie alla maggior sciafilia, potranno continuare a permanere ed a svilupparsi nel piano

dominato.

3.4.4 Relazioni ipsometriche generali del piano arboreo

Le curve ipsometriche generali del piano arboreo (Fig. 60) hanno un andamento parallelo fino ad

un diametro di 6 cm, dove inizia il rapido declino del piano dominato mentre gli altri due

continuano con lo stesso andamento fino a circa 13 – 14 cm, soglia limite a cui avviene la

differenziazione.

Il piano dominato sembrerebbe essere costituito da individui che presentano un accrescimento

iniziale in diametro ed altezza decisamente inferiore rispetto agli altri. Tale accrescimento

ridotto tende a protrarsi anche nel futuro destinandoli o a permanere nello stesso piano, qualora

siano in grado di sopportare bassi livelli di luminosità, o a soccombere alla concorrenza degli

altri piani.

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39

dbh (cm)

h (m

) dominante

codominante

dominato

Fig. 60 Curva ipsometrica generale del piano arboreo per posizione sociale Tab. 26 Valori medi e limiti di confidenza del piano dominato nello strato arboreo per dbh 6 cm

Pos. sociale n. q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins

q95_eta

q95_h

q95_d_ch

q95_h_ins

do 321 8 4.5 2 0 9 6 3.5 0 12 9 5 1

cd 202 9 4.5 2 0 10 6 3.5 0 16 8 5 4

dm 91 9 3.2 1.5 0 12 5 3 0 17 7 6 4 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione

I dati della Tab. 26 indicano che tra il piano dominante e codominante esistono generalmente

solo delle differenze legate all’età media, mentre il piano dominato è nettamente differenziato in

tutti i valori dei parametri arborei dimostrando un rallentamento nella crescita.

Tab. 27 Medi e limiti di confidenza del piano codominante nello strato arboreo per dbh 13-14 cm Pos.

sociale n. q5_eta q5_h q5_d_c

h q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_et

a q95_h

q95_d_ch

q95_h_ins

do 222 9 7.5 4 0 11 10.5 5 1 17 13 7 5

cd 9 11 7 4 1 14 9 5 2 18 14 6 7

dm 3 14 7 4 0 14 8 5 0 18 11 6 3.5 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione

Le analisi dei valori medi del dataset (Tab. 27) riportano come in corrispondenza di un diametro

di 13-14 cm sembra avvenire la differenziazione tra il piano codominante e dominante: in

particolare, i dati della tabella indicano una netta differenziazione sia in termini di età che di

altezza tra gli individui dei due piani. La numerosità dei diversi piani sembra peraltro indicare

che la selezione naturale non sta ancora agendo in maniera incisiva, e quindi la composizione

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iniziale degli impianti sembra mantenersi abbastanza inalterata nel tempo, creando la necessità

di un intervento selvicolturale per consentire un armonico sviluppo del popolamento.

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39

dbh (cm)

Ih (

m) codominante

dominante

dominato

Fig. 61 Curva dell’incremento corrente in altezza del piano arboreo per posizione sociale

Si conferma la tendenza generale che gli individui del piano dominato (Fig. 61) sono quelli che

si caratterizzano per il diametro più basso (dbh = 2-3 cm) a cui avviene il massimo

accrescimento ipsometrico seguito poi da un rapido declino della curva dell’incremento corrente.

Al contrario, i soggetti del piano dominante tendono ad avere un ritmo di crescita in altezza che

segue quello diametrico. Ad un dbh = 9 cm avviene il massimo accrescimento ipsometrico,

seguito da una riduzione graduale della curva dell’incremento corrente.

Per il piano codominante, la curva ha il massimo incremento corrente per un diametro di 5-6 cm,

in posizione intermedia tra gli altri due piani.

3.4.5 Relazioni ipsometriche della farnia

La curva ipsometrica della farnia (Fig. 62) sembrerebbe indicare una apparente incongruenza in

quanto il piano dominante, dopo un primo tratto praticamente coincidente, diventa molto simile

al piano codominante, venendone talvolta addirittura superato per diametri maggiori di 17 cm.

Tale comportamento potrebbe essere dovuto al temperamento fortemente eliofilo della farnia,

che la spinge a crescere in altezza alla ricerca della luce, soprattutto nel caso di impianti ad

elevata densità. Qualora il soggetto di farnia venga superato in altezza dalle piante vicine, inizia

una fase di deperimento che dopo breve tempo lo porta a soccombere alla concorrenza. Il piano

dominato è infatti costituito da soggetti molto deperienti ed il cui sviluppo è fortemente

compromesso per la carenza di luminosità.

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A livello ecologico, considerando l’analogia esistente tra le curve dello strato dominante e

codominante della farnia, si ritiene opportuno interpretarle come un’unica curva.

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33

dbh (cm)

h (m

) codominante

dominante

dominato

Fig. 62 Curva ipsometrica generale della farnia per posizione sociale

La differenziazione tra i due piani dominante-codominante e dominato, inizia quando i soggetti

di farnia arrivano ad un diametro di circa 5-6 cm che corrisponde ad un’altezza di compresa tra 5

e 6 metri: qui comincia la fase di competizione che, come evidenziato sopra, porta rapidamente i

soggetti perdenti alla morte.

In termini cronologici, le farnie dominanti raggiungono il diametro soglia all’età media di 9 anni

mentre quelle codominanti e dominate lo raggiungono l’anno successivo. I soggetti dominanti e

codominanti presentano una chioma maggiormente sviluppata rispetto a quelli del piano

dominato che, oltretutto, manifestano anche precoci segni di autopotatura dei rami come sintomo

di sofferenza per la mancanza di luce. La percentuale di individui che vanno a costituire i diversi

piani conferma come la farnia sia una specie a temperamento eliofilo, dotata di accrescimenti

elevati rispetto alle specie secondarie (carpino bianco e acero campestre) che la fanno pertanto

rientrare tra le specie arboree principali.

Nel corso dei rilievi, si è notato che nel primo periodo successivo all’impianto, i soggetti

presentano generalmente un aspetto cespuglioso e dei ridotti accrescimenti in altezza, senza una

evidente differenziazione di un apice della chioma; poi, dopo 4-5 anni, un ramo prende il

sopravvento sugli altri e diventa l’asse principale, mantenendo tale funzione anche nel futuro

sviluppo della pianta.

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Passando ad esaminare la curva dell’incremento corrente in altezza (Fig. 63), si può notare una

netta differenziazione tra i piani dominante-codominante e dominato. Nel primo caso,

l’incremento corrente in altezza raggiunge il suo massimo in corrispondenza di un diametro

medio compreso tra 6 e 9 cm mentre per lo strato dominato il massimo scende a 3-4 cm a

conferma che gli individui della specie risentono precocemente degli effetti dell’aduggiamento

da parte di soggetti concorrenti.

I dati relativi ai valori medi ed ai limiti di confidenza per posizione totale (Tab. 28)

sembrerebbero indicare che se a 10 anni il soggetto non ha raggiunto almeno il diametro minimo

di 6 cm ben difficilmente riuscirà ad avere qualche possibilità di sopravvivenza come dimostra il

basso numero di soggetti dominati della specie in rapporto a quelli delle altre classi sociali.

Tab. 28 Valori medi e limiti di confidenza per posizione sociale della farnia per dbh = 5-6 cm

pos. sociale n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins

do 215 8 4.5 2 0 9 6 3.5 0 11 7.5 5 0.5

cd 145 8 4.5 1.5 0 10 5.5 3.5 0 11 7.5 5 4

dm 59 9 3 1.5 0 10 5 3 1 17 7 5 4 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33

dbh (cm)

Ih (

m) codominante

dominante

dominato

Fig. 63 Curva dell’incremento corrente in altezza della farnia per posizione sociale

In termini percentuali, si può ipotizzare che complessivamente circa il 22% delle farnie, che

costituiscono il piano dominato, siano destinate a morire entro i primi anni di età a causa della

concorrenza esercitata dai piani arborei superiori.

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77

3.4.6 Relazioni ipsometriche del carpino bianco

Mentre le curve ipsometriche (Fig. 64) dei piani dominante e codominante si sovrappongono

esattamente fino ad un diametro di 5-6 cm, quella del piano dominato sembra invece

differenziarsi da subito.

In particolare, tale piano sembrerebbe essere costituito da individui, spesso policormici, che

presentano un accrescimento iniziale in diametro ed altezza decisamente inferiore rispetto agli

altri. Tale accrescimento tende a mantenersi anche nel futuro destinando i soggetti a permanere

ed a svilupparsi nello stesso piano grazie alla maggior plasticità della specie ed alla capacità di

sopportare bassi livelli di luminosità.

0

2

4

6

8

10

12

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

h (m

) dominante

codominante

dominato

Fig. 64 Curva ipsometrica generale del carpino bianco per posizione sociale

Tab. 29 Valori medi e limiti di confidenza per posizione sociale del carpino bianco per dbh = 5-6 cm

Pos.sociale n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins

do 86 8 4.5 1.5 0 10 6.0 3.5 0 12 9 5 0

cd 122 9 4.5 2.0 0 10 6.0 3.5 0 12 8 5 0.5

dm 65 9 2.4 2.0 0 11 5.5 4.0 0 17 7 6 2 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione

La differenziazione inizia quando i soggetti raggiungono un diametro soglia di 5-6 cm ed

un’altezza di circa 5,5-6 m, a cui corrisponde una età variabile tra i 10 e gli 11 anni (Tab. 29).

Si tratta di individui con chioma normalmente sviluppata ed inserita sino al livello del suolo.

Solamente nel piano dominato, i soggetti presentano una chioma leggermente più ampia

probabilmente per compensare la riduzione di luminosità. La percentuale di individui che vanno

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78

a costituire i diversi piani conferma che il carpino bianco è una specie a temperamento sciafilo e

dotata di accrescimenti più modesti rispetto alle specie principali (farnia e olmo campestre) che

la fanno pertanto rientrare nelle specie arboree secondarie.

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

Ih (

m) dominante

codominante

dominato

Fig. 65 Curva dell’incremento corrente in altezza del carpino bianco per posizione sociale

La curva dell’incremento corrente in altezza (Fig. 65), pur dimostrando una netta

differenziazione tra i diversi strati sociali, presenta un picco massimo unico in corrispondenza di

un diametro di 2 cm e quindi decresce progressivamente con un ritmo più sostenuto per gli

individui del piano codominante e dominato. Tra le specie considerate, il carpino bianco è quella

che presenta il più alto incremento corrente in altezza in termini di valore assoluto. Per l’analisi

delle curve ipsometriche relative alle altre specie arboree analizzate per posizione sociale, si

rinvia all’Allegato 5.

3.4.7 Relazioni ipsometriche dei boschi relitti

Dall’analisi preliminare delle relazioni diametro-altezza dei boschi relitti, è emersa una certa

analogia tra i due popolamenti studiati soprattutto per quanto attiene l’altezza dominante. Inoltre

la diversità di composizione e la netta ripartizione di quasi tutte le specie in due piani

(dominante e dominato) non ha permesso di fare delle indagini specifiche per effettuare i

successivi confronti tra stazioni. Per tale motivo, le elaborazioni sono state fatte sull’intero

dataset dei due boschi in esame ed i risultati sono riportati nella Tab. 30. La prima osservazione

da fare è che le equazioni di Gompertz e Chapman-Richards utilizzate per la regressione non

hanno dato risultati soddisfacenti, probabilmente a causa della limitatezza dei valori di altezza

per i diametri più bassi. La funzione logistica si è rivelata in questo caso l’equazione migliore in

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79

quanto dotata di maggiore flessibilità rispetto alle altre. I valori di R2 sono quasi tutti piuttosto

bassi, soprattutto se riferiti alle singole posizioni sociali. In particolare, il piano codominante

presenta i valori di convergenza della regressione e di R2 più bassi, e può essere ecologicamente

interpretabile come una assenza di questo strato oppure da errori nell’attribuzione della

posizione sociale.

Tab. 30 Risultati della regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione logistica dei boschi relitti

specie pos.

sociale n. q5_a q5_b q5_k q5_rsq a b k rsq q95_a q95_b q95_k q95_rsq

arb totale 999 29.256 1.884 0.101 0.590 29.668 1.985 0.107 0.608 30.134 2.091 0.113 0.626

arb cd 151 18.131 0.000 0.118 0.000 19.103 0.313 0.147 0.151 19.485 16.575 1.744 0.188

arb do 932 29.739 0.000 0.053 0.179 30.366 0.000 0.060 0.210 31.174 0.000 0.066 0.244

arb dm 1000 12.852 0.680 0.161 0.091 13.177 1.276 0.219 0.147 13.666 1.995 0.284 0.205

cbe totale 910 20.789 0.887 0.047 0.499 25.701 1.106 0.073 0.700 32.304 2.297 0.113 0.776

aca totale 1000 22.045 1.086 0.077 0.323 23.431 1.326 0.099 0.367 25.315 1.610 0.122 0.409

qro totale 1000 28.923 0.074 0.038 0.249 30.107 0.623 0.069 0.310 33.185 1.377 0.103 0.370

umi totale 730 23.630 1.685 0.097 0.017 28.758 1.994 0.114 0.564 29.815 45.969 6.030 0.616

fox totale 999 30.628 1.078 0.087 0.429 31.338 1.495 0.107 0.487 32.255 1.923 0.127 0.537

Specie: cbe= Carpinus betulus; aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; arb= arboree totale. Pos. Sociale= do= dominante; cd= codominante; dm= dominata.

La Figura 66 mostra come il piano dominante sia costituito esclusivamente da tre specie arboree:

• frassino ossifillo, che raggiunge i valori di altezza maggiori nel popolamento;

• olmo campestre e farnia, con analoghi accrescimenti ipsometrici.

Merita segnalare che l’unica specie del piano dominante numericamente ben rappresentata in

entrambi i boschi relitti è la farnia, mentre tutte le altre sono quasi esclusive del bosco Olmè.

0

5

10

15

20

25

30

35

1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73 76 79

dbh (cm)

h (m

)

cbe

aca

umi

fox

qro

arb

Fig. 66 Curva ipsometrica delle specie arboree dei boschi relitti (cbe= Carpinus betulus; aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; arb= arboree totale;)

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80

Il carpino bianco (a Carpenedo) e l’acero campestre (a Olmè) occupano invece il piano

dominato, riuscendo talvolta localmente a penetrare nei livello superiore grazie alla capacità di

accrescimento anche in condizioni di scarsa luminosità.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.91 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73 76 79

dbh (cm)

Ih (

m)

cbe

aca

umi

fox

qro

arb

Fig. 67 Curva dell’incremento corrente in altezza per specie arborea boschi relitti (cbe= Carpinus betulus; aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; arb= arboree totale;)

Le specie che dimostrano il maggiore incremento ipsometrico corrente assoluto (Fig. 67) sono il

frassino ossifillo e l’olmo campestre mentre tutte le altre specie tendono ad avere incrementi

relativamente inferiori. La culminazione dell’incremento in altezza tende a verificarsi per tutte le

specie ad un diametro compreso tra 14 e 19 cm. Se facciamo un confronto con gli impianti,

vediamo che gli incrementi delle singole specie sono molto simili e assolutamente paragonabili

tra loro. La Fig. 68 rappresenta invece i rapporti esistenti tra le diverse posizioni sociali nei

boschi in esame.

0

5

10

15

20

25

30

35

1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77

dbh (cm)

h (m

)

totale

dominante

dominato

codominante

Fig. 68 Curva ipsometrica delle specie arboree per posizione sociale

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81

Ritenendo “fittizio” il piano codominante per le considerazioni svolte in precedenza, si può

osservare la netta suddivisione esistente tra il piano dominante ed il piano dominato come

peraltro indicato anche da alcuni autori (Susmel, 1994; Del Favero, 2004).

Se confrontiamo la curva dell’incremento corrente in altezza per posizione sociale (Fig. 69) con

quella degli impianti, possiamo notare l’esistenza di un analogo trend nelle relazioni

ipsometriche tra gli individui appartenenti al medesimo piano di vegetazione.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

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0.9

1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77

dbh (cm)

Ih (

m)

totale

dominante

dominato

codominante

Fig. 69 Curva dell’incremento corrente in altezza per posizione sociale

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82

3.5 Struttura verticale

3.5.1 Diametro della chioma per posizione sociale

L’ampiezza della chioma è una importante misura di alcuni fattori chiave nella gestione forestale

(Pretzsch et al., 2002). Su base individuale, essa aiuta a descrivere la competizione esistente fra

soggetti arborei ed essendo correlata alla dimensione dei rami, indirettamente esprime anche la

qualità del legname prodotto (Van Laar, 1973), e quindi il valore economico di una pianta. Su

base di popolamento, serve ad esprimere il grado di copertura delle chiome, che d’altra parte è

sia un indicatore della competizione generale esistente sia un’importante misura della qualità

dell’habitat forestale.

In analogia con la linea di indagine precedente, nell’ambito della ricerca si è ritenuto di

analizzare anche le relazioni esistenti tra il diametro del fusto e il diametro della chioma a livello

di posizione sociale e specie arborea.

La Tab. 31 riporta i risultati dell’analisi di regressione effettuata seguendo una procedura

bootstrap analoga a quella impiegata per la distribuzione diametrica e la curva ipsometrica.

Tab. 31 Risultati della regressione sul diametro della chioma per specie e posizione sociale degli impianti

specie pos. soc.

n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca cd 1000 -0.300 0.339 0.127 0.929 -0.097 0.456 0.316 0.941 0.132 0.590 0.494 0.952

aca dm 1000 -0.330 0.158 0.218 0.898 -0.111 0.310 0.491 0.916 0.123 0.506 0.730 0.931

aca do 1000 -0.136 0.127 0.080 0.927 0.156 0.299 0.320 0.942 0.435 0.475 0.545 0.955

agl dm 905 -1.367 0.297 -0.719 0.488 -0.429 0.507 0.079 0.877 0.672 1.119 1.021 0.966

agl do 1000 -1.345 0.178 0.084 0.957 -0.634 0.483 0.423 0.976 -0.038 0.832 0.777 0.988

arb cd 1000 -0.038 0.416 0.053 0.922 0.063 0.486 0.152 0.929 0.162 0.554 0.255 0.935

arb dm 1000 -0.271 0.370 0.230 0.860 -0.170 0.431 0.340 0.872 -0.069 0.500 0.448 0.885

arb do 1000 0.114 0.401 0.040 0.958 0.232 0.449 0.101 0.962 0.341 0.501 0.163 0.965

cbe cd 1000 -0.554 0.345 0.223 0.933 -0.332 0.485 0.413 0.945 -0.125 0.617 0.643 0.955

cbe dm 1000 -0.358 0.348 0.150 0.900 -0.073 0.470 0.372 0.917 0.160 0.592 0.636 0.932

cbe do 1000 -0.491 0.318 0.189 0.937 -0.272 0.465 0.363 0.947 -0.052 0.588 0.571 0.955

for dm 1000 -0.895 0.221 0.396 0.737 -0.752 0.364 0.567 0.814 -0.619 0.494 0.730 0.865

fox cd 1000 -0.441 0.375 -0.975 0.867 0.223 0.821 -0.389 0.912 0.877 1.157 0.133 0.940

fox do 1000 -0.034 0.492 -0.181 0.935 0.153 0.589 -0.044 0.943 0.347 0.685 0.084 0.950

qro cd 1000 0.201 0.410 -0.307 0.913 0.358 0.568 -0.096 0.930 0.531 0.723 0.108 0.943

qro dm 1000 0.064 0.353 -0.287 0.776 0.237 0.491 -0.046 0.814 0.427 0.656 0.152 0.850

qro do 1000 0.129 0.371 0.048 0.968 0.227 0.439 0.133 0.973 0.319 0.500 0.233 0.977

tco dm 1000 -1.023 -0.162 0.603 0.794 -0.619 0.077 0.952 0.865 -0.284 0.312 1.366 0.911

umi do 1000 -0.097 0.246 0.048 0.966 0.136 0.432 0.193 0.977 0.427 0.588 0.358 0.985

Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante.

In linea generale, i valori di R2, i limiti di confidenza ed il numero di convergenze indicano che

la funzione utilizzata sembra interpolare molto efficacemente la relazione studiata. Poiché il

valore del diametro della chioma viene espresso in funzione delle due variabili diametro fusto ed

altezza dendrometrica, per rappresentare graficamente le equazioni delle diverse specie sono

state usate le coppie di valori derivanti dalla curva ipsometrica.

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83

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39

dbh (cm)

dch

(m)

arb

qro

cbe

aca

agl

fox

umi

Fig. 70 Relazione diametro fusto-diametro chioma per specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)

Ad un diametro del fusto di 11-12 cm, corrispondente al livello di differenziazione ipsometrico

tra le specie arboree principali ed accessorie, le chiome dei soggetti dominanti raggiungono un

diametro medio compreso tra 4 e 5,3 m. Se consideriamo i sesti d’impianto utilizzati, al

raggiungimento di questo diametro del fusto le chiome hanno ormai cominciato a compenetrarsi

in modo più o meno consistente soprattutto qualora nella progettazione siano state privilegiate le

specie arboree rispetto alle arbustive. Appare chiaro che la chiusura della copertura delle chiome

è funzione del sesto d’impianto e delle specie impiegate. In linea generale, si può affermare che

con i sesti d’impianto impiegati la copertura tende a chiudersi piuttosto precocemente e

comunque entro i primi 10-12 anni. Per quanto riguarda lo strato dominante (Fig. 70), tutte le

specie presentano un accrescimento analogo della chioma, anche se con qualche leggera

differenza. Infatti, a parità di diametro, la massima variazione riscontrata tra le specie

nell’ampiezza della chioma è di circa un metro. Le specie eliofile (farnia ed olmo campestre)

sono anche quelle dotate di chioma più ampia e di accrescimenti iniziali superiori alla media. Il

carpino bianco, dopo una crescita iniziale simile alle altre specie, a partire da un diametro del

fusto di circa 8 cm diventa la specie che si accresce più velocemente. L’acero campestre sembra

essere l’unica specie che, dopo un buon accrescimento iniziale, tende a rallentare ed a declinare

lo sviluppo della chioma.

Questo comportamento è probabilmente dovuto al fatto che nella fase iniziale la luminosità

avvantaggia maggiormente le specie eliofile. Le specie sciafile o mesofile prendono il

sopravvento quando lo strato arboreo tende a saturare lo spazio ed esse diventano più efficienti

nell’utilizzo della radiazione solare.

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84

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

dbh (cm)

dch

(m)

arb

qro

cbe

aca

fox

Fig. 71 Relazione diametro fusto-diametro chioma per specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)

Passando allo strato codominante (Fig. 71), si può notare che le specie sciafile o mesofile come

il carpino bianco e l’acero campestre sono quelle con la chioma più sviluppata. Al contrario, le

specie eliofile (farnia e frassino ossifillo) manifestano la chioma più ridotta probabilmente a

causa della scarsità di luminosità che tende a sfavorirle nei confronti delle specie più

ombrivaghe e tolleranti l’ombreggiamento.

0

1

2

3

4

5

6

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

dbh (cm)

dch

(m)

arb

qro

cbe

aca

agl

for

tco

Fig. 72 Relazione diametro fusto-diametro chioma per specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; qro= Quercus robur; agl= Alnus glutinosa; tco= Tilia cordata)

Nel piano dominato (Fig. 73), si conferma in maniera ancora più accentuata la situazione già

osservata nel piano codominante. A fronte di uno sviluppo della chioma ridotto e stentato delle

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85

specie eliofile, le specie sciafile o mesofile continuano a svilupparsi grazie alla maggiore

efficienza nello sfruttamento della radiazione solare.

3.5.2 Diametro della chioma per specie e posizione sociale

L’indagine è poi proseguita anche nell’analisi delle relazioni esistenti tra le diverse posizioni

sociali all’interno di ciascuna specie arborea.

0

1

2

3

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5

6

7

8

9

10

1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40

dbh (cm)

dch

(m) dominante

codominante

dominato

Fig. 74 Relazione diametro fusto-diametro chioma dello strato arboreo per posizione sociale

Le specie che compongono lo strato arboreo tendono a sviluppare la chioma in modo

complementare tra di loro in misura quasi uguale tra i diversi piani sociali (Fig. 74).

Solamente per il piano dominato, a partire da un diametro di circa 10-12 cm, si inizia ad

osservare qualche segno di riduzione della chioma, probabilmente a causa del declino di qualche

soggetto appartenente a specie eliofile. L’assenza di differenziazione tra i piani è confermata

anche dal punto di vista dello sviluppo verticale della struttura dei popolamenti studiati, che

generalmente si presenta biplana.

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0

1

2

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6

7

8

9

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33

dbh (cm)

dch

(m) dominante

codominante

dominato

Fig. 75 Relazione diametro fusto-diametro chioma della farnia per posizione sociale

La farnia invece (Fig. 75) conferma una rapida differenziazione tra le diverse posizioni sociali

che si riflette profondamente nello sviluppo della chioma, soprattutto tra individui dello strato

dominante e dominato.

Questa differenziazione si manifesta fin dalle fasi iniziali dell’impianto e tende ad accelerare con

l’avanzare del tempo e l’aumentare della copertura arborea.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

dch

(m) dominante

codominante

dominato

Fig. 76 Relazione diametro fusto-diametro chioma del carpino bianco per posizione sociale

Al contrario, il carpino bianco (Fig. 76) conferma la sua sciafilia e la sua capacità di sfruttare al

massimo la radiazione luminosa all’aumentare della copertura: la strategia della specie, in

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87

risposta alla riduzione di luminosità, si manifesta nell’ampliamento delle dimensioni della

chioma.

L’analisi è stata condotta anche per le altre specie arboree ed i risultati sono riportati

nell’Allegato 6.

3.5.3 Altezza di inserzione della chioma

Parallelamente allo sviluppo della copertura arborea, si assiste ad una progressiva riduzione

della quantità di radiazione luminosa in grado di raggiungere le parti inferiori della chioma, che

tende pertanto ad un progressivo disseccamento. La velocità del fenomeno di autopotatura dei

rami è connessa alle loro esigenze ecologiche ed è direttamente proporzionale all’eliofilia della

specie.

La Tab. 32 riporta i risultati della regressione sui dati di diametro e altezza di inserzione della

chioma sul fusto ed i valori del coefficiente di determinazione. Tra tutte le funzioni studiate,

ques’ultima relazione è quella che ha prodotto i valori più bassi di R2.

Tab. 32 Risultati della regressione tra diametro e altezza di inserzione della chioma degli impianti specie pos.

sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca cd 451 1.067 2.330 0.128 0.122 1.767 7.455 0.821 0.433 108.036 17.283 2.496 0.829 aca dm 421 0.056 2.465 0.378 0.011 0.468 6.034 1.394 0.086 272.611 12.315 2.759 0.545 aca do 464 1.070 1.973 0.041 0.199 2.660 2.837 0.275 0.535 591.077 17.080 1.690 0.797 agl do 95 2.245 2.064 0.433 0.234 3.062 5.822 0.937 0.392 4.206 17.980 5.055 0.598 arb cd 968 2.202 1.736 0.079 0.151 4.334 2.077 0.196 0.234 19.228 2.875 0.358 0.329 arb dm 957 0.802 1.323 0.106 0.080 1.472 1.656 0.338 0.118 10.698 2.536 0.738 0.165 arb do 1000 2.413 1.792 0.148 0.249 3.040 2.328 0.221 0.289 3.923 2.958 0.304 0.329 cbe cd 282 0.447 2.205 0.048 0.036 1.850 4.182 0.398 0.187 1648.102 16.801 2.504 0.485 cbe dm 331 0.269 2.175 0.131 0.064 0.587 8.133 1.950 0.141 884.212 15.393 3.933 0.468 cbe do 281 0.056 2.261 0.150 0.028 1.152 6.254 0.529 0.203 1513.640 14.416 1.478 0.744 for dm 624 0.482 1.275 0.067 0.066 1.369 2.109 0.448 0.164 150.370 7.215 2.168 0.382 fox cd 552 1.373 1.282 0.047 0.148 2.499 2.566 0.468 0.330 587.717 13.774 2.197 0.594 fox do 389 1.124 1.387 0.020 0.117 4.190 1.736 0.102 0.189 924.911 7.652 1.065 0.292 qro cd 946 2.307 1.827 0.097 0.292 4.040 2.598 0.326 0.405 18.872 5.094 0.705 0.539 qro dm 915 1.250 1.161 0.044 0.131 4.163 1.462 0.249 0.214 156.452 3.744 1.459 0.322 qro do 1000 3.885 1.963 0.153 0.396 4.641 2.535 0.224 0.457 5.626 3.273 0.304 0.516 umi do 337 0.798 1.376 0.019 0.068 1.312 3.603 0.409 0.153 182.790 15.421 1.678 0.295

Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale.

Se prendiamo in esame le funzioni interpolatrici, possiamo notare in tutte le specie un

andamento analogo, più o meno accentuato a seconda delle esigenze ecologiche soprattutto nei

riguardi della luce.

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4.5

5

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39

dbh (cm)

H in

serz

ione

(m

)qro

cbe

fox

umi

arb

agl

aca

Fig. 76 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma per specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)

Per quanto concerne il piano dominante (Fig. 76), possiamo notare che l’inizio dei fenomeni di

autopotatura si inizia a percepire (0,2-0,5 m di altezza) per quasi tutte le specie quando gli

individui raggiungono un diametro del fusto di 8 cm. Fa eccezione in carpino bianco che, grazie

alla sua sciafilia, mantiene i rami verdi fino a diametri superiori a 10 cm.

Il disseccamento della parte bassa della chioma procede con velocità diverse: in linea generale è

maggiore per le specie eliofile mentre è di minore intensità per le specie mesofile o sciafile.

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

dbh (cm)

H in

serz

ione

(m

) qro

cbe

fox

aca

arb

Fig. 77 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma per specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)

La tendenza vista per i soggetti del piano dominante tende ad accentuarsi per quelli del piano

codominante (Fig. 77) e dominato (Fig. 78): si individuano i due gruppi di specie sciafile o

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mesofile (carpino bianco e acero campestre) che tendono a mantenere la chioma verde anche per

diametri maggiori mentre le specie eliofile (farnia e frassino ossifillo) manifestano un

disseccamento precoce della parte basale.

0

0.5

1

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

dbh (cm)

H in

serz

ione

(m

)

qro

cbe

aca

arb

for

Fig. 78 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma per specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; qro= Quercus robur)

3.5.4 Altezza di inserzione della chioma per specie e posizione sociale

Passando all’analisi per specie in base alla posizione sociale, emerge un comportamento analogo

tra tutte le specie a prescindere dalle differenti esigenze ecologiche (Figg. 79-80 e 81): gli

individui del piano dominante sono i soggetti che possiedono la chioma più sviluppata come

estensione verticale e che risentono in misura minore dei fenomeni di autopotatura.

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0.5

1

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3.5

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1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40

dbh (cm)

H in

serz

ione

(m

)

dominante

codominante

dominato

Fig. 79 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma dello strato arboreo per posizione sociale

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1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33

dbh (cm)

H in

serz

ione

(m

)

dominante

codominante

dominato

Fig. 80 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma della farnia per posizione sociale

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0.2

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1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

H in

serz

ione

(m

)

dominante

codominante

dominato

Fig. 81 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma della farnia per posizione sociale

L’analisi è stata condotta anche per le altre specie arboree ma, considerando i bassi valori di R2,

si è ritenuto superfluo riportarne i grafici.

3.5.5 Diametro della chioma per posizione sociale dei boschi relitti

La Tab. 33 propone i risultati dell’analisi di regressione per le specie arboree e per le posizioni

sociali dei querco-carpineti relitti, effettuata seguendo una procedura bootstrap analoga a quella

impiegata per la distribuzione diametrica e la curva ipsometrica.

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Tab. 33 Risultati della regressione sul diametro della chioma per specie e posizione sociale dei boschi relitti

Specie Pos. sociale

n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

aca totale 83 -1.017 0.740 0.000 0.951 -0.721 0.828 0.000 0.962 -0.480 0.932 0.000 0.978 arb totale 1 0.000 0.572 0.000 0.986 0.000 0.572 0.000 0.986 0.000 0.572 0.000 0.986 arb do 1 0.000 0.577 0.000 0.992 0.000 0.577 0.000 0.992 0.000 0.577 0.000 0.992 arb cd 1 0 0.597 0.000 0.976 0.000 0.597 0.000 0.976 0.000 0.597 0.000 0.976 arb dm 155 0.001 0.209 0.016 0.950 0.139 0.363 0.153 0.961 0.468 0.501 0.335 0.971 cbe totale 261 -1.272 0.774 0.000 0.975 -0.765 0.910 0.000 0.984 -0.400 1.058 0.000 0.989 fox totale 11 -2.345 0.578 0.000 0.990 -1.801 1.086 0.000 0.994 0.000 1.236 0.000 0.996 qro totale 1 0.000 0.545 0.000 0.987 0.000 0.545 0.000 0.987 0.000 0.545 0.000 0.987 umi totale 229 -2.440 0.709 0.000 0.986 -1.161 0.893 0.000 0.992 -0.599 1.233 0.000 0.997

Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor. Pos. Sociale= do= dominante; cd= codominante; dm= dominato

Merita segnalare come in questo caso la regressione abbia sempre stimato uguale a zero il

coefficiente c della funzione, ad eccezione del piano arboreo dominato. Dal punto di vista

geometrico, ciò comporta che quasi tutte le curve tendano ad assumere un andamento rettilineo

(Fig. 82) ed a essere dipendenti solamente dal diametro del fusto e non dall’altezza della pianta,

come riportato anche da alcuni autori (Gering L. R., May D. M., 1995; Hemery G. E. et al.,

2005).

0

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6

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1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61

dbh (cm)

dch

(m)

qro

cbe

aca

fox

umi

arb

Fig. 82 Diametro della chioma per specie (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)

Se si confrontano le relazioni esistenti negli impianti con quelle dei boschi relitti, si può notare

una forte similitudine negli andamenti. In particolare, in entrambe le situazioni, il carpino bianco

è la specie che manifesta la chioma più ampia in relazione alla dimensione del fusto.

Se si esaminano i rapporti esistenti tra le diverse posizioni sociali (Fig. 83), si nota un trend di

accrescimento molto simile ove i soggetti del piano codominante sembrerebbero avere le chiome

leggermente più sviluppate di quelli degli altri piani. Il medesimo trend è peraltro riscontrabile

anche negli impianti.

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1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61

dbh (cm)

dch

(m)

totale

dominante

dominato

codominante

Fig. 83 Diametro della chioma per posizione sociale

Nella Fig. 84, è stato riportato anche il rilievo planimetrico dell’area campione permanente di un

ettaro realizzata ad Olmè. Oltre allo sviluppo della copertura delle chiome è anche visibile la

distribuzione delle specie sull’area, che presenta delle grosse lacune nel piano dominante.

Fig. 84 Rilievo planimetrico dell’area campione permanente di un ettaro ad Olmè (aca= Acer campestre; cav= Corylus avellana; cbe= Carpinus betulus; cmo= Crataegus monogyna; fox= Fraxinus oxycarpa; jni= Juglans nigra; pal= Populus alba; pni= Populus nigra; qro= Quercus robur; rps= Robinia pseudoacacia; uca= Ulmus minor)

N

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93

In particolare, si può notare che alcune specie eliofile (pioppi, nocciolo, biancospino, robinia ) si

localizzano esclusivamente sul bordo dell’area in corrispondenza dei margini del bosco o della

viabilità interna di servizio ove possono beneficiare di un maggior grado di illuminazione. Il

frassino ossifillo e l’acero campestre tendono ad essere distribuiti più omogeneamente sulla

superficie mentre l’olmo campestre e la farnia sono rappresentati ormai da pochi individui

viventi fortemente compromessi da punto di vista fitosanitario. Il carpino bianco, specie che a

Carpenedo costituisce quasi completamente il piano arboreo dominato, è numericamente poco

significativo e sembra non mostrare una forte capacità di espansione forse a causa della

pressione dell’invadente piano arbustivo.

3.5.6 Altezza di inserzione della chioma dei boschi relitti

Come già visto per gli impianti, la relazione tra diametro del fusto ed altezza di inserzione della

chioma (Tab. 34) è quella che fornisce i valori più bassi del coefficiente di determinazione ed i

maggiori problemi di convergenza della regressione.

In particolare, è stata usata l’equazione logistica in quanto la funzione di Gompertz mal si

adattava all’interpolazione dei dati.

Ulteriori problemi sono anche sorti per la farnia che, a causa dei noti problemi legati alla

sindrome da deperimento, tende al disseccamento dei rami principali ed all’emissione di rami

epicormici dal fusto.

Tab. 34 Risultati della regressione sul diametro della chioma per specie e posizione sociale dei boschi relitti

Specie Pos.

sociale n. q5_a q5_b q5_k q5_rsq a b k rsq q95_a q95_b q95_k q95_rsq

aca totale 678 4.433 0.750 0.096 0.033 5.007 4.284 0.399 0.119 6.025 19.379 1.675 0.248

arb totale 994 10.375 2.845 0.160 0.402 11.099 3.515 0.203 0.477 11.825 4.205 0.245 0.546

arb do 146 10.714 1.668 0.163 0.014 11.331 5.151 0.294 0.069 12.104 162.313 9.330 0.158

arb dm 988 4.338 2.048 0.070 0.160 5.501 3.819 0.300 0.263 267.060 9.604 0.867 0.390

arb cd 2 6.367 12.322 0.800 0.138 6.559 12.604 0.849 0.157 6.751 12.887 0.899 0.177

cbe totale 963 2.279 0.157 0.032 0.068 24.133 4.274 0.062 0.400 4580.134 8.568 0.648 0.703

fox totale 447 10.594 0.000 0.014 0.023 11.582 1.910 0.158 0.085 50.685 82.513 5.952 0.231

qro totale 15 12.404 0.141 0.080 0.005 13.185 5.464 0.275 0.087 15.504 227.151 9.930 0.359

umi totale 834 7.696 1.536 0.046 0.149 9.263 24.403 1.935 0.517 16.485 102.998 8.031 0.835

Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor Dal punto di vista ecologico, il carpino bianco, seguito dall’acero campestre, si conferma come

la specie più resistente alla riduzione di luminosità che si manifesta a livello del piano dominato

(Fig. 85).

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1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61

dbh (cm)

h in

serz

ione

(m

) qro

aca

cbe

fox

umi

arb

Fig. 85 Altezza di inserzione della chioma per specie arborea (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)

I rapporti tra i diversi piani di vegetazione arborea (Fig. 86), sembrano confermare la presenza

“fittizia” di un piano codominante, il quale sarebbe invece assimilabile alla posizione sociale

dominata come già descritto in precedenza a proposito della relazione ipsometrica. Non

sembrerebbero peraltro emergere differenze significative tra il piano dominante e quello

dominato come invece appare nel caso degli impianti.

0

2

4

6

8

10

12

1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61

dbh (cm)

h in

serz

ione

(m

)

totale

dominante

dominato

codominante

Fig. 86 Altezza di inserzione della chioma per posizione sociale

3.6 Relazione diametro-età

Sui dati di accrescimento radiale cumulato derivati dall’analisi dendrocronologica delle carotine

e delle rotelle delle piante di farnia abbattute, è stata fatta una regressione non lineare con

procedura bootstrap attraverso la funzione di Chapman-Richards. Una piccola parte dei dati

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elaborati derivano da tesi di laurea (Marin, 1994) e da indagini specifiche (Pelleri, 2001

Mezzalira, 2004) che comprendono anche altre specie arboree (frassino ossifillo e ontano nero)

che però non sono state oggetto di elaborazione in questo contesto. La Tab. 35 indica i valori dei

parametri delle funzioni di regressione ed i limiti di confidenza della stima.

Tab. 35 Valori dei parametri di regressione della relazione età-raggio per la farnia

Descrizione n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

impianti fert. 1 32 14.944 0.028 1.432 0.626 34.162 0.042 1.780 0.669 48.103 0.122 2.485 0.714

impianti fert. 2 1000 6.832 0.105 2.530 0.611 8.613 0.159 3.331 0.655 12.261 0.217 4.438 0.698

boschi relitti 1000 18.085 0.032 1.436 0.760 19.318 0.039 1.616 0.779 20.942 0.047 1.833 0.797 fert. 1= stazioni di fertilità 1; fert. 2 = stazioni di fertilità 2)

Dall’analisi del dataset è emerso come nelle stazioni oggetto dei rilievi vi siano almeno due

velocità distinte di accrescimento della farnia:

1. stazione di Novoledo, Tartaro e Bandiziol e Prassaccon - parte, dove gli accrescimenti della

farnia sono più sostenuti (fertilità 1);

2. altre stazioni (Carpenedo, Osellino, Ottolenghi, Bandiziol e Prassaccon – parte e San Marco)

dove gli accrescimenti sono invece più ridotti (fertilità 2).

Come già visto in precedenza, le località del gruppo 1 si differenziano dalle altre anche per le

caratteristiche del suolo e, probabilmente, per la fertilità delle stesse che si manifesta in una

crescita diametrica diversa.

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77

età (anni)

ragg

io (

cm)

boschi relitti

impianti fert. 1

impianti fert. 2

Fig. 87 Relazione tra età e incremento radiale della farnia (fert. 1= stazioni di fertilità 1; fert. 2 = stazioni di fertilità

2)

La Fig. 87 riporta le curve di incremento radiale degli impianti e dei boschi relitti in base a tale

differenziazione. Si può osservare come gli impianti realizzati nei terreni più fertili (fert. 1)

sembrino dimostrare gli accrescimenti più elevati in assoluto, mentre gli altri (fert. 2)

manifestino un leggero ritardo nello sviluppo rispetto ai boschi.

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96

Tale comportamento può essere imputabile al fatto che i soggetti campionati nei boschi relitti

sono, in gran parte, di origine agamica, in quanto derivanti dai tagli irrazionali prodotti

soprattutto nel corso dell’ultima guerra mondiale. E’ noto infatti che il ritmo di accrescimento

ipsodiametrico dei polloni è superiore rispetto ai soggetti derivanti da seme e che questo tende a

culminare precocemente. Merita inoltre citare il particolare comportamento osservato per la

farnia negli impianti che, nei primi anni, tende a sviluppare un robusto apparato radicale e solo

successivamente anche la chioma. E’ abbastanza comune infatti trovare negli impianti di 5-6

anni ancora molti soggetti con un portamento cespuglioso che non raggiungono ancora il

diametro minimo di 1 cm usato come soglia di cavallettamento. A partire da questa età, un apice

della chioma assume la dominanza e si assiste ad un accelerazione esponenziale della crescita

ipsodiametrica tanto che i soggetti sono in grado di superare, al 6° anno, lo sviluppo delle piante

cresciute in bosco. Non è escluso inoltre che, nel caso degli impianti, la qualità del materiale

vivaistico utilizzato possa averne rallentato lo sviluppo iniziale. Si sa per certo che, in alcune

situazioni (Osellino, San Marco) sono stati usati soggetti a pronto effetto che, come noto, hanno

maggiori problemi di attecchimento dovuti allo stress da trapianto ed è inoltre nota la difficoltà

di trapianto dei semenzali di farnia a causa del rapido sviluppo dell’apparato radicale fittonante.

La giovane età degli imboschimenti non consente peraltro di dare delle indicazioni che possano

confermare anche per il futuro i livelli di crescita osservati nei primi anni. In ogni caso, la

riduzione di pendenza delle curve sembra confermare quanto si osserva in natura e cioè quanto

maggiore è la velocità di accrescimento e tanto minore è la durata dello stesso. In particolare,

l’andamento parallelo delle curve sembrerebbe indicare che gli impianti di fertilità 2 abbiano

degli incrementi radiali simili a quelli dei boschi.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77

età (anni)

IC r

aggi

o (c

m)

boschi relitti

impianti fert. 1

impianti fert. 2

Fig. 88 Relazione tra età ed incremento corrente radiale della farnia (fert. 1= stazioni di fertilità 1; fert. 2 = stazioni

di fertilità 2)

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La curva dell’incremento corrente radiale (Fig. 88) presenta un massimo per gli impianti di

fertilità 1 corrispondente ad un’età di 13-14, analoga a quella che si riscontra per i boschi relitti.

Nel caso degli imboschimenti di fertilità 2, il culmine dell’incremento radiale avviene invece ad

una età più precoce (circa 8 anni) e quindi si riduce velocemente a valori inferiori a quelli dei

boschi. Per questi ultimi, si può inoltre osservare che l’incremento radiale raggiunge al massimo

la metà di quello degli impianti di maggior fertilità. Superata la soglia dei 65-70 anni, le farnie

sembrano subire un progressivo ma inesorabile rallentamento nella crescita radiale,

probabilmente ascrivibile al cosiddetto deperimento della quercia.

3.7 Relazione altezza-età

Analoghe considerazioni si possono fare per la farnia anche per quanto riguarda lo sviluppo in

altezza rispetto all’età anche se, in questo caso, le curve sono molto più prossime tra loro (Fig.

89, Tab 36). Non è stato purtroppo possibile effettuare l’analisi di regressione sugli

accrescimenti ipsometrici della farnia relativa alle stazioni di fertilità 1 in quanto non erano

disponibili dati derivanti da analisi del fusto. Il massimo incremento in altezza si verifica a circa

6-7 anni sia per gli impianti che per i boschi relitti. Mentre negli impianti si può notare

l’esistenza di una buona sincronizzazione temporale tra incremento radiale e ipsometrico, nel

caso dei boschi sembra che la farnia tenda prima ad accrescersi in diametro e successivamente a

svilupparsi in altezza. Questo fatto tende a confermare l’ipotesi che i soggetti studiati dei boschi

relitti siano derivati da rinnovazione agamica piuttosto che da seme.

0

5

10

15

20

25

30

35

1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77

età (anni)

alte

zza

(m)

impianti

boschi relitti

Fig. 89 Relazione tra altezza ed età della farnia

L’equazione di Chapman-Richards usata per la regressione è sostanzialmente corretta per i

valori più bassi mentre, per le età più avanzate, tende a sovrastimare gli accrescimenti.

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Tab. 36 valori dei parametri di regressione della relazione età-altezza per la farnia Descrizione n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq

impianti fert. 2 920 8.556 0.054 1.402 0.773 12.328 0.159 2.242 0.845 24.791 0.311 4.293 0.897

boschi relitti 976 34.354 0.017 1.078 0.946 39.249 0.023 1.170 0.954 46.373 0.029 1.289 0.961

Anche in questo caso, a partire dai 65-70 anni i soggetti mostrano un rallentamento nella crescita

ipsometrica annua (Fig. 90) che tende ad accentuarsi con l’invecchiamento delle piante.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1 6 11 16 21 26 31 36 41 46 51 56 61 66 71 76

impianti

boschi relitti

Fig. 90 Relazione tra incremento corrente in altezza ed età della farnia

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3.8 Mortalità e problemi fitosanitari

3.8.1 Mortalità e problemi fitosanitari negli impianti

Nell’ambito dell’indagine si è ritenuto di ampliare il rilievo anche agli aspetti fitosanitari con

l’obiettivo di poter disporre almeno di un quadro generale della salute dei popolamenti studiati.

Uno dei principali aspetti che si è cercato di valutare riguarda il tasso di mortalità degli impianti,

fenomeno che peraltro dipende da numerosi fattori:

1. progettazione ed esecuzione (scelta delle specie, densità e disegno d’impianto, messa a

dimora piantine, uso di pacciamatura, ecc.)

2. grado di manutenzione (sfalcio infestanti, sostituzione fallanze, attrezzature usate, ecc.)

3. presenza di problemi della stazione (ristagno idrico, profondità della falda, tessitura del

suolo, ecc.)

4. eventi climatici estremi (siccità, gelate, vento, ecc.)

5. attacchi parassitari

6. interventi colturali

7. competizione per la luce, lo spazio e le sostanze nutritive

8. predazione da parte della selvaggina

E’ chiaro che solamente un monitoraggio di lunga durata effettuato su aree campione permanenti

potrebbe dare delle risposte attendibili su ciascuno di questi fattori. I soggetti censiti come morti

negli impianti sono complessivamente 1327, pari a circa il 12% dell’intero dataset. Tale quantità

comprende sia i soggetti morti effettivamente rilevati sia gli spazi vuoti che teoricamente

avrebbero dovuto essere occupati in base al disegno d’impianto. Ipotizzando che tutti gli

impianti siano stati gestiti in maniera ordinaria, partendo dalla densità iniziale e dal numero di

soggetti morti rilevato in ciascuna area campione è stata quantificata la mortalità media annua in

base all’età del popolamento.

Dall’analisi sono stati esclusi tutti gli impianti in cui erano stati effettuati degli interventi

selvicolturali in quanto era impossibile distinguere la selezione naturale da quella antropica.

Si può osservare (Fig. 91) come in media muoiano dai 10 ai 20 soggetti ha-1anno-1.

Nel grafico sono anche stati inseriti degli impianti che si possono considerare come outlayer per

l’eccessiva mortalità (superiore a 40 soggetti ha-1anno-1) probabilmente dovuta ad anomalie

stazionali e ad errori di manutenzione oppure per la mortalità troppo bassa (età 16 e 17 anni)

causato da un intervento di rinfoltimento tardivo (dopo 8 anni dall’impianto iniziale) che ha

falsato il dato.

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100

0.0

10.0

20.0

30.0

40.0

50.0

60.0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

età (anni)

Sog

getti

mor

ti (N

/ha)

Fig. 91 Mortalità media annua degli impianti in funzione dell’età

0.00%

0.50%

1.00%

1.50%

2.00%

2.50%

3.00%

3.50%

4.00%

4.50%

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

età (anni)

mor

talit

à an

nua

%

Fig. 92 Mortalità media annua percentuale degli impianti in funzione dell’età

In termini percentuali (Fig. 92), si tratta comunque di una mortalità estremamente bassa,

compresa tra 0,5% e 1,5% che indica l’assenza o una limitatissima competizione tra i soggetti

arborei ed arbustivi.

0.00%

0.50%

1.00%

1.50%

2.00%

2.50%

3.00%

3.50%

4.00%

4.50%

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500

densità iniziale (N/ha)

mor

talit

à an

nua

%

Fig. 93 Mortalità media annua percentuale degli impianti in funzione della densità iniziale

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101

Se confrontiamo la mortalità in termini di densità iniziale dell’impianto (Fig. 93), possiamo

notare una scarsa correlazione tra le variabili. Questo conferma quanto già visto in precedenza e

cioè che, data la giovane età dei popolamenti, non è ancora iniziata una vera e propria lotta per la

sopravvivenza. L’interpretazione è in linea con la teoria della densità limite del popolamento

(Reineke, 1933) secondo cui le piante tendono ad accrescersi con una bassa mortalità finchè non

viene raggiunto la densità limite, superata la quale inizia ad agire con forza la selezione naturale.

Questa teoria è confermata dai dati rilevati a distanza di circa due anni sulle medesime piante

nella stazione di Osellino. I dati di Tab. 37 indicano che dal momento dell’impianto fino all’età

di 9 anni, la mortalità media annua era contenuta nei limiti degli impianti di tale età. Nei rilievi

condotti nel 2005, quando le chiome delle piante avevano ormai raggiunto una copertura totale

del suolo, la mortalità ha invece subito una brusca accelerazione.

Tab. 37 Variazione della mortalità nella stazione di Osellino

Periodo n. vivi n. morti Mortalità media annua

1994-2003 490 49 1.1% 2003-2005 451 26 2.9%

Per tale stazione è stato anche possibile disaggregare la mortalità del periodo 2003-2005 a livello

di specie (Tab. 38). Come prevedibile, la mortalità ha colpito quasi esclusivamente specie

arboree ed arbustive a temperamento fortemente eliofilo che sono quelle più sensibili alla

competizione per la radiazione luminosa. Un dato da tenere in debita considerazione nella

progettazione degli interventi è quello relativo alla farnia: gli individui morti appartengono al

piano dominato e non sono riusciti a vincere la competizione iniziale per la luce con soggetti

arborei vicini.

Tab. 38 Mortalità 2003-05 stazione Osellino per specie legnosa Specie n. morti

Quercus robur 20 Crataegus monogyna 2 Prunus spinosa 1 Rosa canina 1 Salix alba 1 Salix viminalis 1 Totale 26

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102

0

500

1000

1500

2000

2500

1 7 13 19 25 31 37 43 49 55 61 67 73 79

età (anni)

N/h

a

carpenedo 7

carpenedo 8

carpenedo 9

osellino 9

osellino 11

ottolenghi 7

ottolenghi 8

ottolenghi 9

ottolenghi 10

san marco 9

san marco 11

bandiziol 7

bandiziol 8

bandiziol 9

bandiziol 10

Fig. 94 Curva di mortalità per stazione ed età degli impianti

Nella Fig. 89, è stata invece riportata la curva di mortalità media per gli impianti calcolata con la

funzione allometrica in base alla densità iniziale ed al tasso di decremento medio annuo

verificatosi a partire dalla messa a dimora delle piantine fino al momento del rilievo. Per poter

correttamente computare la mortalità riferita alla composizione media del dataset, alla

componente arborea media (n. 1005 soggetti ha-1) è stata aggiunta anche la componente media

arbustiva (n. 406 soggetti ha-1). E’ chiaro che si tratta di una semplificazione in quanto la curva

presuppone che la mortalità sia costante nel tempo mentre in effetti, ciò non si verifica. Per le

considerazioni fatte in precedenza, è prevedibile che la curva, dopo il primo tratto a mortalità

piuttosto bassa, ben rappresentato dal grafico, subisca un forte abbassamento a seguito della

competizione che si innesca tra le piante a partire dai 10-12 anni di età. Per la determinazione

della mortalità naturale, si potrebbero anche utilizzare altri metodi, basati ad esempio sulla

spaziatura relativa (Wilson, 1951) in cui il numero di piante vive viene legato all’altezza

dominante oppure all’indice di densità del popolamento di Reineke (1933) in cui viene usato il

diametro medio. Il vero problema (Valclay, 1994), è che tutti questi metodi indicano il numero

degli alberi sopravvissuti ma non individuano quali alberi muoiano e, di conseguenza, è

necessario fare delle ipotesi aggiuntive al modello. Alcuni autori ipotizzano che siano le piante

più piccole quelle che muoiono per prime, ma questo non è necessariamente corretto, soprattutto

nel caso di studio in cui vi sono specie arboree con valenze ecologiche molto diverse. Dalle

osservazioni effettuate in campo, qualora possibile, si è proceduto all’identificazione della

specie a cui apparteneva il soggetto morto. Come si può vedere (Tab. 39), anche in questo caso i

dati confermano quanto già emerso per la stazione di Osellino. Le specie più sensibili alla

mortalità negli impianti sono quelle a temperamento eliofilo oppure quelle che hanno comunque

dimostrato una particolare sensibilità ai problemi fitopatologici.

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Tab. 39 Mortalità del dataset per specie negli impianti Specie N. morti

Quercus robur 47 Sambucus nigra 17 Alnus glutinosa 8 Crataegus monogyna 8 Acer campestre 5 Rosa canina 4 Salix alba 4 Ligustrum vulgaris 3 Prunus spinosa 3 Viburnum lantana 3 Salix viminalis 2 Frangula alnus 1 Viburnum opulus 1

Totale 106

In ogni caso, l’incidenza della mortalità naturale sembrerebbe del tutto insufficiente a garantire

la crescita ottimale dei soggetti messi a dimora. Per quanto concerne lo stato fitosanitario, nelle

Tab. 40 e 41 sono riportati per le principali specie arboree ed arbustive e gli eventuali problemi

rilevati.

Tab. 40 Incidenza dei problemi fitopatologici per specie arborea negli impianti

Specie n. totale n. soggetti con problemi

Frequenza %

Acer campestre 823 65 8% Alnus glutinosa 260 18 7% Carpinus betulus 1267 41 3% Fraxinus ornus 304 17 6% Fraxinus oxycarpa 669 100 15% Quercus robur 2352 454 19% Tilia cordata 179 31 17% Ulmus minor 146 20 14% Altre specie 858 88 10% Totale 6858 834 12% Tab. 41 Incidenza dei problemi fitopatologici per specie arbustiva negli impianti

Specie n. totale n. soggetti con problemi

Frequenza %

Cornus sanguinea 216 5 2% Corylus avellana 305 15 5% Crataegus monogyna 532 7 1% Frangula alnus 281 14 5% Prunus spinosa 299 0 0% Viburnum opulus 260 4 2% Altre specie 737 40 5% Totale 2630 85 3%

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104

Le specie arboree sono interessate da problemi fitosanitari con una frequenza di gran lunga

superiore rispetto alle arbustive. Tra queste, la farnia si rivela come la specie più sensibile

mentre il carpino bianco è, all’opposto, quella più resistente.

Nella maggior parte dei casi, i danni rilevati sono di lieve entità in quanto localizzati a livello

dell’apparato fogliare e raramente si sono osservati attacchi a livello degli organi permanenti

(rami, tronco e radici) che, in limitatissimi casi, possono aver prodotto la morte (Tab. 42 e 43).

Tab. 42 Localizzazione del danno nelle specie arboree degli impianti

Localizzazione del danno Specie

Foglie Rami e gemme

Tronco e radici Totale

Acer campestre 63 2 65 Alnus glutinosa 4 2 12 18 Carpinus betulus 40 1 41 Fraxinus ornus 9 7 1 17 Fraxinus oxycarpa 99 1 100 Quercus robur 434 14 6 454 Tilia cordata 31 31 Ulmus minor 19 1 20 Altre specie 72 4 12 88 Totale 771 30 33 834 % sul totale 92% 4% 4% 100% Tab 43 Localizzazione del danno nelle specie arbustive degli impianti

Localizzazione del danno Specie

Foglie Rami e gemme

Tronco e radici Totale

Cornus sanguinea 5 5 Corylus avellana 15 15 Crataegus monogyna 4 3 7 Frangula alnus 4 10 14 Prunus spinosa 0 Viburnum opulus 4 4 Altre specie 27 3 10 40 Totale 59 3 23 85 % sul totale 69% 4% 27% 100%

Per quanto riguarda i sintomi riscontrati (Tab. 44), si evidenziano al primo posto i segni di

presenza di funghi seguiti dagli insetti responsabili di erosioni e deformazioni fogliari, talvolta

presenti contemporaneamente sul medesimo soggetto attaccato.

In parecchi casi, soprattutto nei rilievi effettuati nei mesi estivi sugli impianti più giovani, è stata

rilevata una filloptosi anticipata a causa della perdurante siccità. Tali sintomi sono stati registrati

nella categoria “altro”.

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105

Tab 44 Riepilogo dei sintomi riscontrati negli impianti

Sintomo n. Incidenza % erosioni fogliari 109 11.9% decolorazioni fogliari 24 2.6% Microfillia 0 0.0% segni di insetti 121 13.2% segni di funghi 255 27.7% necrosi 65 7.1% rottura o piegamento 6 0.7% deformazioni 32 3.5% flussi di linfa 3 0.3% lesioni corticali 7 0.8% ferite 10 1.1% altro 163 17.7% erosioni fogliari+funghi 68 7.4% erosioni fogliari+deformazioni 14 1.5% altri sintomi associati 42 4.6% Totale 919 100.0%

Funghi ed insetti, anche in associazione tra loro, sono gli agenti responsabili in ugual misura dei

danni rilevati (Tab. 45) sulle piante. Anche i fattori abiotici (siccità, vento) hanno un certo

rilievo mentre tutte le altre cause sono del tutto irrilevanti o addirittura assenti.

Tab. 45 Riepilogo degli agenti del danno negli impianti

Agente del danno n. Incidenza % pascolo e selvatici 3 0.3% insetti 293 31.9% funghi 281 30.6% fattori abiotici 171 18.6% fattori antropici 5 0.5% fuoco 0 0.0% inquinamento atmosferico 0 0.0% altro 47 5.1% insetti+funghi associati 102 11.1% altri attacchi associati 17 1.8% Totale 919 100%

Tra le specie fungine responsabili dei problemi fitosanitari, l’oidio è la malattia che più

frequentemente si rileva sulla farnia, sull’acero campestre e sul biancospino e che provoca i

maggiori danni, soprattutto di ordine estetico. Altre manifestazioni fungine, riconducibili a

ruggini ed a ticchiolature, sono comunemente osservate su farnia, tiglio cordato, sanguinello e

frangola.

Tra gli insetti, quelli più frequentemente associati alla farnia appartengono al genere Caliroa e

Periclista, della famiglia dei Tentrenidi. Si tratta di fillofagi presenti soprattutto sulle piante più

giovani, le cui larve si alimentano con il parenchima fogliare provocando il disseccamento della

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106

chioma con limitate ripercussioni sull’accrescimento. Sempre su farnia, sono presenti anche

afidi galligeni spesso associati agli insetti e funghi precedentemente descritti.

Sul frassino ossifillo, soprattutto nelle stazioni di San Marco e Bandiziol-Prassaccon, sono

segnalati il curculionide Stereonychus (=Cionus) fraxini ed il cecidomide Dasyneura fraxini

specie responsabili, rispettivamente, di erosioni della pagina fogliare e di deformazioni del

rachide fogliare. Tali insetti sono presenti da anni nel vicino bosco Olmè dove provocano

intense defoliazioni che portano ad uno stress delle piante attaccate costrette alla riemissione

delle foglie in pieno periodo estivo (Fig. 95). Un altro insetto con una certa diffusione sull’acero

campestre è Heterarthrus aceri, la cui larva minatrice provoca il parziale disseccamento del

lembo fogliare. Altre patologie di un certo rilievo sono il giallume dell’ontano, una fitoplasmosi

che provoca ingiallimento, foglie di ridotte dimensioni, arrossamenti autunnali precoci e caduta

anticipata delle foglie, degenerazione progressiva delle branche e proliferazione di germogli

ascellari e Xanthogaleruca (=Galerucella) luteola, coleottero comunemente presente

esclusivamente sugli olmi dove provoca la scheletrizzazione delle foglie.

3.8.2 Mortalità e problemi fitosanitari nei boschi relitti

Carpenedo

Dal confronto tra i dati del 2003 e quelli del 2005 (Tab. 46), sembra emergere un generale

degrado della vitalità delle piante, sia a carico della farnia ma anche del carpino bianco. Pur con

i limiti impliciti in una codificazione soggettiva dello stato fitosanitario adottata nei rilievi, le

piante fortemente deperienti o addirittura morte (17%) appaiono di molto superiori rispetto a

quanto rilevato nel 2003 (6%). Di particolare evidenza è un tasso di mortalità del carpino bianco

simile a quello della farnia.

Tab. 46 Variazione dello stato fitosanitario per specie a Carpenedo Condizione fitosanitaria 2005 Condizione fitosanitaria 2003

Specie buona discreta mediocre pessimo morto totale normale precario morto Totale

Quercus robur 21% 41% 19% 0% 19% 100% 83% 12% 5% 100%

Carpinus betulus 53% 16% 13% 1% 16% 100% 91% 2% 7% 100%

Altre specie 80% 20% 0% 0% 0% 100% 92% 8% 0% 100%

Totale 42% 27% 14% 1% 16% 100% 89% 5% 6% 100%

La differenza riscontrata potrebbe essere in parte giustificata dalla diversa epoca di effettuazione

dei rilievi. Infatti, nel 2003 il rilievo è stato fatto in primavera e quindi non erano stimabili con

precisione i danni alla chioma a causa dell’incompleta emissione dell’apparato fogliare. E’

inoltre probabile che l’anomalia climatica del 2003 (forte siccità primaverile-estiva) possa aver

avuto un ruolo importante nell’accelerare il deperimento dei soggetti fino a causarne la morte. Il

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107

carpino presenta evidenti sintomi di sofferenza (disseccamento cima e rami, fessurazione e

cancri corticali, Fig. 96), che sembrano diffondersi a macchia d’olio anche su superficie

discretamente ampie (150-300 m2) e che portano alla morte i soggetti colpiti. Se è ben noto il

fenomeno del deperimento della farnia, meno nota è invece tale patologia a carico del carpino

bianco. Dai primi rilievi eseguiti, sono stati isolate le due specie fungine Citospora spp. e

Phomopsis spp. (Montecchio L. 2005, comunicazione personale) che potrebbero essere

responsabili di tale deperimento.

Fig. 95 Forti defoliazioni di Fraxinus oxycarpa a Olmè Fig. 96 Cancri corticali su Carpinus betulus a

Carpenedo

Olmè

La Tab. 47 illustra i risultati emersi dal confronto tra i dati riportati all’ettaro della particella b

(superficie totale 2,45 ha) raccolti nel censimento eseguito dal Servizio Forestale Regionale di

Treviso nel 2003 ed i rilievi eseguiti nel 2006 sull’area campione permanente di un ettaro

predisposta nella stessa particella. Pur con i limiti derivanti dalla non omogeneità della

distribuzione delle diverse specie arboree sulla particella, i risultati dimostrano una buona

congruenza tra i due rilievi, soprattutto nel numero dei soggetti vivi con dbh>17 cm.

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108

Tab. 47: Variazione dello stato fitosanitario per specie a Olmè (dati ad ettaro)

Condizione fitosanitaria 2006 Condizione fitosanitaria 2003 Specie n. vive n. morte n. totale n. vive n. morte n. totale

Acer campestre 53 8 61 49 3 52 Corylus avellana 3 3 2 2 Carpinus betulus 8 8 4 4 Crataegus monogyna 1 1 0 0 Fraxinus oxycarpa 96 1 97 71 1 72 Juglans nigra 8 8 9 9 Populus alba 4 4 8 8 Populus nigra 1 1 0 0 Quercus robur 16 4 20 14 6 20 Robinia pseudoacacia 11 4 15 11 2 13 Ulmus minor 15 41 56 42 4 46 Morus alba 3 3 3 3 Totale 216 61 277 214 16 230 Totale % 78% 22% 100% 93% 7% 100%

Il censimento del 2003 sembrerebbe peraltro aver fortemente sottostimato il livello degli

individui morti. Il problema potrebbe derivare sia dall’omessa imputazione di alcuni individui

morti (es. piante stroncate) sia da problemi locali di mortalità che tendono a concentrarsi

maggiormente su alcune aree o su alcune specie (es. olmo). La variazione del tasso di mortalità è

comunque molto forte e paragonabile a quanto sta avvenendo a Carpenedo. I dati della Tab. 47

sembrano confermare il “passaggio a fustaia” di specie mesofile (acero campestre) o comunque

in grado di tollerare una certa copertura, almeno in fase giovanile (frassino ossifillo), che

tendono a sostituire le specie arboree principali (farnia e soprattutto, olmo campestre) in fase di

rapido declino a causa dei noti problemi fitopatologici.

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109

3.9 Rinnovazione naturale

L’analisi della rinnovazione naturale è stata condotta a due livelli:

• transect

- composizione

- classe di altezza

• sub area

- classe di superficie

- posizione

- copertura dello strato arboreo

- età impianto

- classe di altezza

Uno degli obiettivi che si dovrebbe porre il selvicoltore nella progettazione di un imboschimento

con finalità di ricostituzione boschiva dovrebbe essere la velocità con cui si intende

rinaturalizzare un territorio. Tale velocità è comunque collegata alla rinnovazione naturale che

quindi andrebbe favorita fin dall’impianto attraverso adeguate tecniche gestionali. Si è voluto

pertanto verificare se esistano per le specie caratteristiche del querco-carpineto planiziale (farnia

e carpino bianco) e per l’insieme delle specie arboree ed arbustive, delle differenze legate al

sesto d’impianto. Considerando che i disegni d’impianto usati si differenziano sia per le distanze

intrafilare che tra filari, è stata utilizzata come variabile la superficie media unitaria disponibile

per ciascuna pianta, calcolata in base alla densità d’impianto. I dati rilevati sono stati riordinati

costituendo delle classi in base alla superficie media unitaria disponibile per ciascuna pianta

(Tab. 48) calcolata in base al sesto ed al disegno d’impianto.

Tab. 48 Riclassificazione dei rilievi in base alla superficie media unitaria

Classe di superficie Superficie media unitaria (m2) 1 3.3< sup <5.5 2 5.6< sup <7.7 3 7.8< sup <9.9

3.9.1 Rinnovazione naturale a livello di transect

Al fine di poter fare dei confronti, è stata effettuata una trasformazione in percentuale dei dati di

presenza della rinnovazione. La Tab. 49 riporta i valori di frequenza con cui si rinvengono le

diverse specie arboree ed arbustive nella rinnovazione naturale degli impianti. Come possiamo

vedere, le specie arboree del querco-carpineto sono le meglio rappresentate e tra le più diffuse a

livello complessivo di rinnovazione.

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110

Tab. 49 Composizione della rinnovazione nei transects degli impianti

Specie arboree Presenza Specie arbustive Presenza Quercus robur 81% Crataegus monogyna 91% Acer campestre 79% Prunus spinosa 86% Ulmus minor 63% Cornus sanguinea 74% Fraxinus oxycarpa 54% Rosa canina 51% Carpinus betulus 44% Frangula alnus 49% Fraxinus ornus 16% Ligustrum vulgaris 41% Prunus avium 14% Euonimus europaeus 41% Malus sylvestris 7% Corylus avellana 41% Populus nigra 6% Rhamnus cathartica 37% Pyrus pyraster 4% Viburnum opulus 23% Juglans regia 4% Ligustrum japonica 13% Fraxinus excelsior 4% Prunus laurocerasus 10% Populus alba 4% Viburnum lantana 10% Morus alba 3% Sambucus nigra 9% Quercus cerris 3% Cornus mas 7% Acer pseudoplatanus 3% Laurus nobilis 6% Prunus mahaleb 3% Vitis sylvestris 3% Celtis australis 1% Trachicarpus fortunei 1% Alnus glutinosa 1% Eleagnus angustifolia 1% Ulmus laevis 1% Parthenocyssus quinquefolia 1% Prunus insititia 1%

Tra le specie arbustive, possiamo notare che le specie più diffuse sono quelle legate a

meccanismi di disseminazione zoocora e di riproduzione agamica. Anche in questo caso, le

specie sono ecologicamente coerenti con la flora arbustiva del querco-carpineto anche se vi è

una presenza più cospicua di specie alloctone che tendono a diffondersi soprattutto negli

impianti più vecchi e ubicati in prossimità di aree urbane e periurbane.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

h<0.1 0.1<h<0.5 0.5<h<1.0 1.0<h<2.0 2.0<h<3.0

classe di altezza

% tr

anse

cts

sp. arboree

sp. arbustive

totale

Fig. 97 Presenza della rinnovazione nei transect per classi di altezza

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111

Per quanto riguarda lo stadio di sviluppo della rinnovazione, possiamo vedere dalla Fig. 97 che

in quasi tutti i transect vi è la presenza sia di plantule che di semenzali di altezza inferiore a

mezzo metro in misura simile tra specie arboree e specie arbustive mentre la presenza di

rinnovazione affrancata per classi superiore a 0,5 m tende a diminuire con l’aumentare

dell’altezza.

In particolare, possiamo notare che le specie arbustive sono quelle che si insediano per prime

negli impianti e rappresentano la maggior parte della rinnovazione appartenente alle classi di

altezza superiori a 0,5 m.

Degno di nota è il fatto che la maggior parte dei soggetti che costituiscono la rinnovazione

affrancata è di origine agamica ed è rappresentata da polloni radicali di prugnolo, sanguinello,

olmo campestre e pioppo bianco.

3.9.2 Analisi a livello di sub area

Per effettuare questa analisi, poiché la distribuzione della densità della rinnovazione delle

diverse specie non è normale, si è cercato di operare una trasformazione dei dati che non ha

conseguito alcun miglioramento dei risultati.

E’ stato pertanto applicato un test di Levene, attraverso una procedura ANOVA, per verificare se

le varianze tra i gruppi fossero omogenee e, qualora fosse verificato tale requisito, è stato

applicato il test non parametrico della mediana e di Wilcoxon.

Come possiamo vedere dalla Fig. 98, le curve della densità della rinnovazione naturale in base

alla classe di superficie media unitaria d’impianto hanno un andamento di tipo esponenziale e

sono molto simili tra loro.

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

0.5

2.5

4.5

6.5

8.5

10.5

12.5

14.5

16.5

18.5

20.5

24.5

densità (N/m 2)

% n

elle

sub

are

e

3.3<sup<5.5

5.6<sup<7.7

7.8<sup<9.9

Fig. 98 Distribuzione della rinnovazione per classe di superficie unitaria

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112

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

0.5

2.5

4.5

6.5

8.5

10.5

12.5

14.5

16.5

18.5

20.5

24.5

densità (N/m 2)

% p

lot 3.3<sup<5.5

5.6<sup<7.7

7.8<sup<9.9

Fig. 99 Frequenza cumulata della rinnovazione per classe di superficie unitaria

Se si considera la curva della frequenza cumulata (Fig. 99), si può notare che, oltre a non esserci

alcuna differenza tra le classi di superficie, la densità della rinnovazione è piuttosto bassa a

conferma del fatto che gli impianti sono molto giovani ed i soggetti arborei ed arbustivi stanno

iniziando a fruttificare. Infatti nel 80% delle sub aree si possono rinvenire al massimo 7

soggetti/m2 derivanti da rinnovazione naturale mentre densità più elevate tendono a diventare

abbastanza rare e legate a particolari circostanze (aree di bordo, presenza di radure,

caratteristiche ecologiche della specie che si rinnova, rinnovazione agamica, ecc.). Il test della

mediana (chi-square= 2.0631; pr= 0.3565) conferma che non vi è alcuna differenza dei valori

delle densità globali della rinnovazione tra le diverse classi di superficie.

Tab. 50 Risultati test della mediana/Wilcoxon per superficie vs classe di densità

Specie chi-sq p>chi-sq significativitàCarpinus betulus 10.255 0.006 ** Quercus robur 4.528 0.104 n.s. Totale arboree 10.589 0.005 ** Totale arbustive 32.250 <0.0001 ***

Se scendiamo invece a livello di singola specie o gruppo di specie, possiamo vedere che i test

statistici indicano (Tab. 50) come invece vi sia una influenza altamente o molto significativa

della superficie sulla rinnovazione naturale del carpino bianco e delle specie arbustive ed

arboree mentre sembra mancare per quanto riguarda la farnia che tenderebbe invece a rinnovarsi

indifferentemente dal sesto d’impianto.

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113

Il risultato complessivo che emerge è che nessuno tra i disegni d’impianto usati sembra essere

migliore degli altri nel favorire la quantità di rinnovazione naturale. Il disegno d’impianto

sembra invece avere una certa influenza sulla rinnovazione delle singole specie, ad eccezione

della farnia che invece tende ad essere ubiquitaria.

0%

5%

10%

15%

20%

25%

0.5

2.5

4.5

6.5

8.5

10.5

12.5

14.5

16.5

18.5

20.5

23.5

25.5

densità (N/m2)

% n

elle

sub

are

e

interno

margine

Fig. 100 Distribuzione della rinnovazione per posizione nell’impianto

Analoghe considerazioni si possono fare confrontanda la rinnovazione presente al margine e

quella localizzata all’interno dell’impianto (Fig. 100 e Tab. 51). Anche se ci si poteva aspettare

un valore superiore per la localizzazione di margine, si può ipotizzare che, trattandosi in gran

parte di impianti molto giovani, non vi sia una reale differenza nelle condizioni ecologiche tale

da modificare in maniera evidente il grado di rinnovazione.

Tab. 51 Risultati test della mediana per posizione vs classe di densità

Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 0.021 0.885 n.s. Quercus robur 1.164 0.281 n.s. Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive 2.903 0.088 n.s.

E’ stato verificato anche se esistono delle differenze tra le densità della rinnovazione delle

diverse specie in base alla posizione (margine o interna all’impianto).

Fatta eccezione per il gruppo di specie arboree, in cui non si è potuto effettuare l’analisi a causa

della varianza non omogenea tra i gruppi, il test della mediana indica che non vi sono differenze

significative tra le due posizioni per nessuna specie o gruppo di specie studiate confermando

quanto osservato a livello generale.

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Tab. 52 Risultati test di Wilcoxon per livello di copertura del piano arboreo vs classe di densità

Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 16.619 0.120 n.s. Quercus robur 14.296 0.282 n.s. Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive 46.324 <.0001 ***

Sono stati effettuati anche dei test per verificare l’esistenza di differenze tra la copertura dello

strato arboreo ed arbustivo e la densità di rinnovazione tra le varie specie o gruppi di specie. Il

test di Wilcoxon (Tab. 52) dimostra che farnia e carpino bianco tendono a rinnovarsi

indipendentemente dal grado di copertura mentre per le specie arbustive sono segnalate

differenze altamente significative della rinnovazione tra i diversi gradi di copertura. Per le specie

arboree, non è stato possibile condurre il test in quanto la varianza tra le classi di copertura si è

rivelata non omogenea.

0.00%

1.00%

2.00%

3.00%

4.00%

5.00%

6.00%

0.5

2.5

4.5

6.5

8.5

10.5

12.5

14.5

16.5

18.5

20.5

23.5

25.5

densità (N/mq)

% n

elle

sub

are

e

età 8

età 9

età 10

età 11

età 12

età 13

età 15

età 16

età 18

Fig. 101 Distribuzione della rinnovazione per età dell’impianto

L’indagine è stata inoltre ampliata anche alla ricerca dell’esistenza di rapporti all’interno della

stessa specie tra la densità della rinnovazione e l’età dell’impianto. Non è stato tuttavia possibile

effettuare i test statistici in quanto la varianza non è omogenea tra le classi studiate.

La Fig. 101 mostra invece come sembri non esserci una variazione reale nella rinnovazione tra le

diverse età degli impianti.

Per le specie principali del querco-carpineto, l’analisi è stata approfondita a livello di classe di

altezza. E’ noto infatti che la rinnovazione di farnia è molto sensibile ai fattori ambientali e le

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115

numerosissime plantule che si sviluppano anche nel sottobosco al massimo dopo due anni sono

destinate a soccombere per numerose cause, ancora non del tutto note, ma che sicuramente

comprendono la carenza di luce. E’ pertanto molto importante analizzare la rinnovazione di

questa specie nell’ottica delle classi di altezza per verificare l’esistenza di rinnovazione

affermata.

0%

5%

10%

15%

20%

25%

0.5 1.5 2.5 3.5 4.5 5.5 6.5

densità (N/m2)

pres

enza

%

cbe<0.1 m

0.1<cbe<0.5 m

0.5<cbe<1.0 m

qro<0.1 m

0.1<qro<0.5 m

0.5<qro<1 m

Fig. 102 Distribuzione della rinnovazione di farnia (qro) e carpino bianco (cbe) per classe di altezza

La farnia è una specie che si rinnova con più facilità rispetto al carpino bianco ed è quella che si

ritrova più frequentemente nelle sub aree (Fig. 102). Tuttavia, considerata la giovane età degli

impianti, il livello di sviluppo della rinnovazione è assai modesto e solamente in alcuni casi

particolari è stata osservata della rinnovazione che si può dire affermata.

E’ questo il caso di un impianto eseguito nel 1998 a Carpenedo localizzato in prossimità del

querco-carpineto relitto esistente. La lavorazione del terreno localizzata sulle file ha portato alla

luce lo strato minerale che ha consentito l’insediamento di una rigogliosa rinnovazione di farnia

(Fig. 102), soprattutto lungo i filari ed in prossimità delle vecchie siepi perimetrali che hanno

contribuito alla dispersione del seme.

Un altro caso che merita attenzione è quello osservato sempre a Carpenedo nell’impianto

realizzato nel 1990 per gruppi monospecifici. In particolare si è notata la vicarianza della

rinnovazione di farnia che tende a svilupparsi sotto la copertura leggera del frassino ossifillo e

dell’orniello. Poiché i semenzali sono giovani (età massima 2-3 anni) non è ancora del tutto

superata la fase critica iniziale e quindi sarebbe opportuno continuare con il monitoraggio anche

per gli anni futuri per verificare la reale portata del fenomeno.

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Fig. 102 Carpenedo - impianto 1998 (area di 4 m * 4 m) in rosso, rinnovazione di farnia (43 esemplari, h max= 0.7 m - h min= 0.1 m), in azzurro, rinnovazione di carpino bianco (276 esemplari, h max= 0.7 m - h min= 0,05 m).

Le specie che tendono ad insediarsi per prime sono quelle arbustive legate alla disseminazione

zoocora. I nuclei di rinnovazione sono fortemente legati allo sviluppo dei soggetti posti a dimora

ed alla copertura del suolo esercitata dalle chiome. In particolare, si osserva che i soggetti

arborei a rapido accrescimento (pioppi, olmi, salici, frassini), costituendo i posatoi preferiti

dall’avifauna, tendono a diventare i nuclei di espansione della rinnovazione naturale.

I soggetti messi a dimora negli impianti iniziano a fruttificare molto precocemente, talvolta

anche a 6-7 anni per le specie arboree ed a 3-4 anni per le specie arbustive. Spesso però fino a

questa età (e talora anche successivamente), i proprietari eseguono annualmente lo sfalcio degli

interfilari con le prevedibili conseguenze sulla prerinnovazione che tende ad insediarsi.

Peraltro si ricorre sempre più spesso ad interventi di trinciatura dello strato erbaceo senza

asportazione dei residui; questa operazione, oltre ad eliminare eventuali semenzali presenti negli

interfilari, mette a disposizione ingenti sostanze nutritive prontamente disponibili alle specie

infestanti con il conseguente abnorme sviluppo dello strato erbaceo. In tali condizioni, i

semenzali di farnia che annualmente germinano, anche qualora non venissero sfalciati,

riuscirebbero a sopravvivere solamente per uno-due anni e poi sarebbero destinati a soccombere

a causa della concorrenza dello strato erbaceo. In tale situazione, riescono a svilupparsi

solamente arbusti appartenenti a specie molto rustiche (biancospino, spin cervino, prugnolo) che

sopportano il taglio oppure specie arboree dotate di polloni radicali (pioppo bianco, olmo

campestre).

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117

3.9.3 Rinnovazione naturale dei boschi relitti

Molti studi sono stati fatti sulla rinnovazione dei boschi relitti, in particolare per quanto riguarda

la farnia (Susmel L., 1994; Rusalen C.,1984; Stevanato M., 1990; Urbinati C., 1986; Gallina M.,

1994; Mason F., 2004). La conclusione di tutte queste ricerche è comune: la farnia non riesce a

rinnovarsi naturalmente nei boschi relitti. Le cause che sono state di volta in volta indicate sono

molteplici: la scarsità di luce presente nel sottobosco, il disseccamento estivo degli orizzonti

superficiali, l’azione di patogeni, le anomalie nella struttura del terreno, ecc.

Ancora oggi le cause del fenomeno non sono completamente conosciute e sono in corso ulteriori

ricerche (es. bosco Olmè) per verificare quale sia il ruolo svolto dalle micorrize nel meccanismo

di rinnovazione della farnia.

Si deve inoltre evidenziare che le indagini sono state condotte in due boschi relitti (Carpenedo e

Olmè) profondamente diversi dal punto di vista della composizione, della struttura, ecc. e su un

limitato numero di transect che comunque si possono ritenere rappresentativi della situazione

reale.

Tab. 53 Composizione della rinnovazione per specie nei transect dei boschi relitti Specie Presenza Specie Presenza

Ulmus minor 80% Euonimus europaeus 100% Acer campestre 50% Ligustrum vulgaris 70% Malus sylvestris 50% Corylus avellana 60% Quercus robur 50% Crataegus monogyna 60% Carpinus betulus 40% Prunus spinosa 60% Prunus avium 40% Sambucus nigra 50% Fraxinus ornus 30% Viburnum opulus 40% Juglans regia 20% Prunus laurocerasus 20% Pyrus pyraster 20% Cornus sanguinea 10% Fraxinus oxycarpa 10% Frangula alnus 10% Laurus nobilis 10% Rosa canina 10%

Dal confronto con gli impianti, si può notare nei boschi una forte riduzione del numero di specie

sia arboree che arbustive presenti nella rinnovazione.

Nei boschi relitti (Tab. 53) inoltre sono maggiormente rappresentate specie a temperamento

sciafilo (Euonimus europaeus, Ligustrum vulgaris) soprattutto nella componente arbustiva

oppure dotate di capacità pollonifera (Ulmus minor). Le specie a temperamento eliofilo tendono

a rinnovarsi esclusivamente nelle radure oppure ai margini del bosco.

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118

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

h<0.1 0.1<h<0.5 0.5<h<1.0 1.0<h<2.0 2.0<h<3.0

classe di altezza

% tr

anse

cts

sp. arboree

sp. arbustive

totale

Fig. 103 Presenza della rinnovazione nei transect per classi di altezza Per quanto concerne la struttura della rinnovazione, la Fig. 103 mostra che nei boschi relitti

possiamo trovare una quantità superiore di rinnovazione affermata rispetto agli impianti, con una

netta prevalenza nella composizione delle specie arbustive rispetto alle arboree. Le anomalie

nella struttura dei querco-carpineti relitti si ripercuotono ovviamente anche sul piano della

rinnovazione. In particolare, nel bosco Olmè manca del tutto la rinnovazione della farnia e del

carpino bianco e, di conseguenza, per tali specie non è stato possibile eseguire alcun confronto

statistico. Per quanto riguarda invece le specie arbustive, la varianza tra i campioni non è

omogenea tra le stazioni mentre, per le specie arboree, il test di Wilcoxon segnala che non vi

sono differenze statistiche nella densità di rinnovazione (chi-sq= 0.7967, pr= 0.3721).

Tab. 54 Risultati test di Wilcoxon per densità vs posizione transect

Specie chi-sq p>chi-sq Significatività Carpinus betulus n.d. n.d. - Quercus robur n.d. n.d. - Totale arboree 4.212 0.040 * Totale arbustive 27.601 <.0001 ***

Per la posizione del transect (margine del bosco o interno), il test di Wilcoxon (Tab. 54) segnala

delle differenze significative e altamente significative rispettivamente nella densità delle specie

arboree e delle specie arbustive.

Tab. 55 Risultati test di Wilcoxon per livello di copertura del piano arboreo vs classe di densità

Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 1.395 0.925 n.s. Quercus robur 4.315 0.505 n.s. Totale arboree 8.423 0.393 n.s. Totale arbustive 10.548 0.308 n.s.

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119

La densità della rinnovazione delle diverse specie non sembra essere influenzata dalla copertura

delle chiome (Tab. 55).

0%

2%

4%

6%

8%

10%

0.5 1.5 2.5 3.5 4.5 5.5 6.5

densità (N/m2)

pres

enza

%

cbe<0.1 m

0.1<cbe<0.5 m

0.5<cbe<1.0 m

qro<0.1 m

0.1<qro<0.5 m

Fig. 104 Distribuzione della rinnovazione di farnia (qro) e carpino bianco (cbe) per classe di altezza

Come già detto in precedenza, nei rilievi effettuati nel bosco Olmè manca del tutto sia la

rinnovazione di farnia che di carpino bianco e quindi la Fig. 104 rappresenta la situazione

solamente del bosco Carpenedo. Si conferma la difficoltà già registrata da altri autori della

rinnovazione di farnia, composta esclusivamente da plantule e da rari semenzali di 2-3 anni,

comunque privi di futuro.Il carpino bianco sembra invece essere presente con un numero

maggiore di individui più sviluppati che lentamente tendono ad affrancarsi.

3.9.4 Confronto tra rinnovazione degli impianti e dei boschi relitti

Per verificare il grado di convergenza tra impianti e boschi relitti, sono stati fatti dei confronti

statistici tra i parametri comuni oggetto di rilevazione.

Tab. 56 Risultati test della mediana per classe di densità della rinnovazione tra boschi relitti e impianti

Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 7.158 0.008 ** Quercus robur n.d. n.d. - Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive n.d. n.d. - Totale rinnovazione 0.476 0.4902 n.s.

I risultati indicati nella Tab. 56 sembrano indicare che non esistano differenze significative nella

densità della rinnovazione complessiva presente nei boschi relitti e negli impianti mentre

esistono invece delle differenze significative nella rinnovazione del carpino bianco.

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120

Tab. 57 Risultati test di Wilcoxon per classe di densità della rinnovazione vs copertura tra boschi relitti e impianti

Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 17.725 0.0882 n.s. Quercus robur 15.984 0.192 n.s. Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive 42.315 0.0001 *** Totale rinnovazione n.d. n.d. -

Farnia e carpino bianco tendono a rinnovarsi in maniera analoga sia negli impianti che nei

boschi relitti indipendentemente dalla copertura esercitata dallo strato arboreo (Tab. 57) mentre,

per le specie arbustive, vi sono delle differenze altamente significative tra i due gruppi.

Tab. 58 Risultati test della mediana e di Wilcoxon per classe di densità ed altezza della rinnovazione tra boschi relitti e impianti

Specie Classe di altezza Chi-square Pr>chi-sq Significatività Carpinus betulus plantule 6.5655 0.0104 * Carpinus betulus h<0.5 m 3.7745 0.0520 n.s. Quercus robur h<0.5 m 2.348 0.1254 n.s. Specie arboree plantule 1.5025 0.2203 n.s. Specie arboree h<0.5 m 0.1583 0.6907 n.s. Specie arboree 0.5<h<1 m 4.4041 0.0359 * Specie arboree h>2 m 1.0591 0.3034 n.s. Specie arbustive plantule 14.0516 0.0002 *** Specie arbustive h<0.5 m 0.8283 0.3628 n.s. Specie arbustive 0.5<h<1 m 1.6076 0.2048 n.s. Specie arbustive 1<h<2 m 5.795 0.0161 *

La Tab. 58 indica che, in linea generale, non vi sono differenze significative tra la rinnovazione

rilevata nei boschi e quella negli impianti come già visto sopra.

Solamente nel caso delle plantule di specie arbustive si registrano differenze altamente

significative che, come visto in precedenza, sono legate soprattutto ad ambienti aperti e luminosi

che si possono più facilmente rinvenire negli impianti rispetto ai boschi relitti.

Altre differenze significative sono indicate per le plantule di carpino bianco, le specie arboree di

classe 1 e le specie arbustive di classe 2.

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121

3.10 Vegetazione erbacea

Come noto, l’imboschimento di terreni (Kirby, 1993) provoca notevoli variazioni

nell’ecosistema e nei suoi componenti, in particolare per quanto riguarda:

• struttura

• suolo

• flora e fauna

• microclima locale, ecc.

Relativamente allo strato erbaceo, nei nuovi impianti il movimento del suolo è profondo

(aratura) e ciò comporta lo sviluppo delle numerose specie ruderali che normalmente occupano i

margini delle coltivazioni.

Quando la copertura arborea si chiude, la maggior parte delle specie erbacee competitive tende

ad essere espulsa dall’impianto anche se alcune specie riescono comunque a sopravvivere.

Gli studi effettuati in Europa (De Keersmaekera et al., 2004) dimostrano che un elevato numero

di specie nemorali sono associate con le foreste antiche e tale fenomeno indica che la

vegetazione forestale è fortemente determinata dalla storia nell’uso del suolo. Molti studi si sono

focalizzati sulla scarsa capacità di diffusione delle specie nemorali e sui meccanismi di

colonizzazione nelle successioni secondarie (Matlack, 1994; Brunet e von Oheimb, 1998;

Bossuyt et al., 1999b).

La qualità dell’habitat delle giovani foreste può condizionare le capacità di colonizzazione delle

specie nemorali. A seguito dell’imboschimento, le caratteristiche di molti suoli agricoli tendono

a modificarsi gradualmente spostandosi verso quelle dei suoli forestali (Goovaerts et al., 1990;

Muys et al., 1992; Catt, 1994; Bossuyt et al., 1999a; Verheyen et al., 1999). Peraltro, anche dopo

un lungo periodo di tempo, si possono osservare differenze persistenti tra i suoli dei boschi

primari e quelli delle successioni secondarie. In genere, i suoli agricoli imboschiti possiedono un

livello di nutrienti più elevato, soprattutto nel fosforo (Koerner et al., 1997; Wilson et al., 1997;

Honnay et al., 1999) che potrebbe essere una delle cause della difficoltà di insediamento delle

specie nemorali negli impianti attraverso l’aumento dell’esclusione competitiva.

Generalmente, l’insediamento nel nuovo impianto di specie tipiche del sottobosco è limitata a

quelle più efficienti nella dispersione dei semi a lunga distanza come, ad esempio, il rovo.

Come dimostrato da vari autori (Corbit et al.,1999; Sitzia, 2004; Zinato, 2005) le siepi, anche di

età inferiore ai 50-60 anni, svolgono un ruolo estremamente importante come habitat di specie

nemorali e come corridoi ecologici, soprattutto per le specie epi- ed endozoocore.

Peraltro, a fronte dell’estrema rarefazione dei boschi di pianura, la maggior parte delle siepi del

territorio può ricondursi alla categoria delle siepi isolate, che in genere ospitano solo la metà

delle specie nemorali rilevate nelle siepi relitte adiacenti alle formazioni boscate.

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Date queste premesse, è evidente che nei giovani impianti, per arrivare ad una certa stabilità

nella composizione floristica, dovranno passare parecchi cicli colturali.

Le specie tipiche della precedente vegetazione tendono gradualmente a ridursi nel corso del

tempo ma in modo piuttosto lento attraverso cicli successivi di coltivazione a bosco. In modo

analogo avviene l’incremento di specie tipiche del sottobosco.

Fig. 105 Composizione dello strato erbaceo degli impianti

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%

Poa annua

Galium aparine

Galium verum

Vicia sativa

Galium mollugo

Hypericum perforatum

Medicago sativa

Avena fatua

Geranium molle

Sonchus oleraceus

Trifolium pratense

Geranium dissectum

Torilis arvensis

Prunella vulgaris

Artemisia vulgaris

Bromus sterilis

Festuca ovina

Centaurea nigra

Picris echioides

Bromus erectus

Oxalis fontana

Pulicaria disenterica

Ranunculus acris

Plantago lanceolata

Cichorium intybus

Hedera helix

Aster squamatus

Aster salignus

Ranunculus repens

Arrhenaterum elatius

Cirsium arvense

Lotus corniculatus

Medicago lupulina

Verbena officinalis

Silene italica

Potentilla reptans

Trifolium repens

Dactylis glomerata

Rumex sanguineus

Daucus carota

Erigeron annuus

Convolvolus arvensis

Taraxacum officinale

Poa pratensis

Presenza %

0% 5% 10%

Vicia villosa

Melilotus alba

Stachys arvensis

Lactuca saligna

Alopecurus myosuroides

Chenopodium album

Setaria glauca

Tussilago farfara

Carex hirta

Brachipodium pinnatum

Carex mucronata

Holcus lanatus

Epilobium hirsutum

Eupatorium cannabinum

Mentha longifolia

Oenanthe aquatica

Peucedanum oreoselinum

Stachys palustris

Lychnis flos-cuculi

Peucedanum palustre

Lonicera japonica

Anagallis arvensis

Crepis vesicaria

Bromus mollis

Cardamine hirsuta

Conyza canadensis

Ajuga reptans

Iris pseudoacorus

Equisetum palustre

Dipsacus fullonum

Galium glaucum

Lolium perenne

Calystegia sepium

Ranunculus bulbosus

Agrimonia eupatoria

Cerastium glomeratum

Veronica arvensis

Carex repens

Carex riparia

Agropyron repens

Cirsium vulgare

Plantago major

Vicia cracca

Scrophularia nodosa

Presenza %

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Fig. 105 (continua) Composizione dello strato erbaceo degli impianti

Fig. 106 Composizione dello strato erbaceo dei boschi relitti

0% 1% 2%

Glecoma hederacea

Helianthus tuberosus

Armoracia rusticana

Cynodon dactylon

Centaurium erythraea

Carex distans

Poa bulbosa

Poa trivialis

Phleum pratense

Bellis perennis

Viola hirta

Apium nodiflorum

Salvia pratensis

Linaria vulgaris

Doricnium pentaphyllum

Galega officinalis

Inula salicina

Peucedanum venetum

Picris hieracioides

Humulus lupulus

Parthenocissus quinquefolia

Polygonum aviculare

Presenza %

0% 20% 40% 60% 80% 100% 120%

Lamium orvala

Carex pendula

Ranunculus lanuginosus

Euphorbia dulcis

Asperula taurina

Lonicera caprifolium

Glecoma hederacea

Viola reichenbachiana

Ornithogalum pyrenaicum

Ranunculus ficaria

Leucojum vernum

Veratrum album

Primula acaulis

Pulmonaria officinalis

Polygonatum multiflorum

Arum maculatum

Anemone nemorosa

Hedera helix

Vinca minor

Presenza %

Confrontando la composizione dello strato erbaceo tra impianti (Fig. 105) e boschi relitti (Fig.

106) possiamo notare che l’unica specie in comune è rappresentata da Hedera helix L.

La flora dei boschi relitti è formata esclusivamente da specie nemorali mentre quella degli

impianti è costituita prevalentemente da specie ruderali e nitrofile legate alle precedenti pratiche

di coltivazione agricola.

Il livello di emerobia, cioè il rapporto tra specie alloctone ed autoctone è piuttosto basso (8

entità esotiche contro 102 autoctone) e segnala un territorio complessivamente ben conservato

dal punto di vista della componente erbacea.

In base alla concezione di Raunkiaer, le forme biologiche erano utilizzate come indici

bioclimatici. In tale ottica, dall’analisi delle forme biologiche (Tab. 59) si può desumere che il

fattore climatico, in particolare la temperatura, risulta prevalente nella distribuzione di queste

forme biologiche: in generale le fanerofite sono prevalenti nei territori con temperature elevate

(equatore o aree planiziali) e diminuiscono notevolmente passando dall’equatore al polo o con

l’altitudine, dove sono sostituite da camefite ed emicriptofite. Queste ultime sono nettamente

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124

dominanti nelle aree a clima temperato o temperato-freddo, mentre le terofite sono

climaticamente legate ad aree con temperature elevate e fenomeni di aridità. Geofite e idrofite

non sembrano invece legate ad un clima particolare.

L’utilizzo delle forme biologiche consente allo stesso tempo la caratterizzazione del paesaggio:

la fisionomia è definita sulla base della predominanza di una forma sulle altre. Inoltre, la

possibilità di costruire lo spettro biologico consente confronti tra territori distinti, sia a livello di

paesaggio, che di comunità, permettendo di differenziarli sia a scala spaziale che temporale.

La struttura del paesaggio dell’area in esame è quella tipica di un clima temperato-freddo che

nel tempo è stata sottoposta a deforestazione, bonifiche ed intenso sfruttamento agricolo.

Tutto ciò è confermato dalla bassa percentuale delle forme arboree (fanerofite) tenendo conto

che alcune di quelle presenti derivano da coltivazione (specie ornamentali). L’elevata

percentuale di terofite indica un disturbo cui è sottoposta l’area. Essendo le piante meglio

adattate alla disseminazione, risultano più competitive nei terreni aperti. Questa categoria

include piante ruderali che presentano la tendenza ad un ciclo vitale breve, annuale o biennale, e

specializzazione legata allo sfruttamento di habitat (coltivi, ex coltivi, bordi di strade) con

caratteristiche variabili nel tempo. Un’altra caratteristica è la capacità di crescita molto rapida

che facilita il completamento del ciclo vitale e la veloce produzione di semi. In molte specie

ruderali infatti, la fioritura avviene già ai primi stadi di sviluppo della pianta e, molto spesso,

nella stessa infiorescenza troviamo fiori ancora in boccio e altri che stanno già disseminando:

dove il disturbo ripetuto causa una elevata mortalità, la selezione naturale favorisce le specie in

grado di maturare velocemente i semi.

Come si può desumere dalla Tab. 59, la dominanza di specie erbacee (emicriptofite, terofite e

geofite) e il sottodimensionamento di forme legnose (camefite e fanerofite) confermano la

presenza di un paesaggio con struttura e fisionomia semplificata.

Tab.59 Distribuzione delle forme biologiche

Impianti Boschi relitti Forma biologica n. % n. %

Emicriptofite 60 55% 6 32% Terofite 29 26% 0 0% Geofite 12 11% 9 47% Camefite 5 5% 2 11% Fanerofite 4 4% 2 11% totale 110 100% 19 100%

Al contrario, per i boschi la totale assenza di terofite indica l’assenza di disturbo antropico

mentre la predominanza di geofite, assieme alle forme legnose, confermano il carattere di

elevata stabilità della flora nell’ecosistema.

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Per gli impianti, la forte domesticazione del territorio è confermata dall’analisi dello spettro

corologico (Tab. 60). Mancano elementi di pregio quali, ad esempio, entità endemiche o specie

al limite dell’areale ed i popolamenti sono dominati da specie ad ampia distribuzione geografica.

Al contrario, nei boschi dominano le specie dell’area geografica nord-orientale e balcanica, che

indicano il raggiungimento di un elevato grado di omeostasi della componente erbacea.

Tab. 60 Confronto tra spettro corologico degli impianti e dei boschi relitti

Impianti Boschi relitti Distribuzione n. % n. %

510 PALEOTEMP. 22 20% 520 EURASIAT. 19 17% 4 21% 310 EURIMEDIT. 13 12% 2 11% 810 CIRCUMBOR. 12 11% 2 11% 540 EUROP.-CAUCAS. 8 7% 3 16% 980 AVV. NATURALIZZ. 8 7% 940 SUBCOSMOP. 7 6% 820 EUROSIB. 4 4% 1 5% 950 COSMOPOL. 4 4% 530 S-EUROP.-SUDSIB. 2 2% 1 5% 930 EURIMEDIT.-TURAN. 2 2% 320 N-EURIMEDIT. 1 1% 1 5% 536 SE-EUROP.-PONTICA 1 1% 550 EUROP. 1 1% 551 E-EUROP. 1 1% 610 EUROP.(SUBATL.) 1 1% 611 SW-EUROP. (SUBATL.) 1 1% 651 EURIMEDIT.-SUBATL. 1 1% 720 OROF. SE-EUROP. 1 1% 1 5% 613 W-EUROP. (ATL.) 1 1% 480 NE-MEDIT.-MONT. 1 5% 560 CENTRO-EUROP. 3 16% Totale 110 100% 19 100%

Dal punto di vista fitosociologico, la comunità prevalente negli impianti è il Dauco - Picridetum

hieracioidis Gors 1966.

Si tratta di una comunità ruderale e nitrofila che colonizza terreni scoperti, rimossi ed

eutrofizzati. Come tutte le comunità sinantropiche, deve la sua origine ad un'intensa azione

umana protratta nel tempo e si distingue da altri tipi, che pure sono a determinismo antropico

quali boschi cedui, siepi, prati e pascoli, per l'intensità con la quale sono state esercitate le azioni

modificatrici, che hanno finito per impartire alla vegetazione reale, fisionomia, struttura, assetto,

composizione floristica che non hanno ormai quasi nulla in comune con l’originaria vegetazione

potenziale.

Le comunità appartenenti alla Classe Artemisietea sono estremamente polimorfe: il carattere che

le accomuna è la nitrofilia dei biotopi colonizzati. Grazie all'abbondanza di nutrienti si formano

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comunità dominate da emicriptofite di grandi dimensioni, spesso stolonifere e policormiche.

Esse svolgono un ruolo considerevole nella circolazione dell'azoto poiché assumono i nutrienti

disponibili in grandi quantità, li elaborano, e li restituiscono al terreno, con le loro parti morte, in

forma assimilabile da parte di altre specie. Alcune di esse (ad esempio le specie del genere

Rumex) sono in grado di sopportare nei propri tessuti concentrazioni di nitrati che per altre

piante sarebbero tossiche, di sottrarle in questo modo al dilavamento da parte della pioggia,

restituendole poi al terreno e contribuendo, quindi, al mantenimento del carattere nitrofilo del

biotopo. Le comunità che si organizzano negli habitat secondari, e in particolare quelle degli

Artemisietea, a causa di ricorrenti disturbi, presentano spesso tratti aperti che vengono invasi da

neofite, comportandosi da comunità "insature". Da alcuni decenni, infatti, queste comunità

subiscono l'ingresso di molte neofite (esotiche) che sono entrate, più o meno stabilmente, a far

parte della loro composizione specifica; tra le più comuni possiamo citare Helianthus tuberosus,

Conyza canadensis, Erigeron annuus, ecc.. Queste cenosi hanno anche un certo carattere di

insularità, in quanto la colonizzazione degli habitat sconvolti è in qualche modo paragonabile a

quella di isole di recente formazione. In entrambi i casi, l'anemocoria è la strategia di più

generale adozione per la diffusione dei semi, prodotti generalmente in grande quantità.

Nel caso dei boschi relitti invece, la componente floristica, sebbene talvolta impoverita come a

Carpenedo (Caniglia, 1974), rispecchia in maniera fedele l’associazione del Querco-carpinetum

boreoitalicum Pignatti 1953 che, secondo tale autore, rappresenta l’associazione climax della

zona. I cambiamenti ambientali nei valori di luce, umidità, nutrienti, pH, ecc. derivanti

dall’imboschimento possono essere descritti attraverso gli indici di Ellemberg che impiegano le

specie vegetali come indicatori ecologici.

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

7.00

8.00

7 8 9 10 11 13 17 60

età (anni)

Val

ori I

ndic

e di

Elle

mbe

rg L

T

C

U

R

N

Fig. 107 Confronto indici di Ellemberg tra impianti e boschi relitti (L= luminosità; T= temperatura; C = continentalità U = umidità R = reazione N = azoto)

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127

Tab. 61. Variazione degli indici di Ellemberg con l’età

Età L T C U R N 7 7.10 6.06 5.04 4.83 6.37 5.02 8 7.12 6.30 5.11 4.72 6.06 5.09 9 7.06 5.94 5.07 5.09 6.38 5.48 10 6.91 6.44 5.00 4.95 6.00 5.56 11 7.21 6.20 4.97 5.34 6.42 5.91 13 6.65 6.17 5.08 4.56 6.00 5.62 17 6.70 5.94 4.68 5.05 5.94 5.17 60 4.61 5.29 4.68 5.50 6.31 5.71

(L= luminosità; T= temperatura; C = continentalità U = umidità R = reazione N = azoto)

Come possiamo vedere nella Fig. 107 e nella Tab. 61, gli indici di Ellemberg che segnalano

delle differenze tra impianti e boschi sono quelli di luminosità (L) e di temperatura (T): in

particolare, il primo indica una riduzione di luminosità negli impianti con l’avanzare dell’età e

quindi dell’aumento della copertura anche se le differenze tra gli imboschimenti più giovani e

quelli più vecchi sono comunque molto contenute. Il secondo indica per i boschi condizioni di

vegetazione tipica di collina/bassa montagna mentre per gli impianti una vegetazione intermedia

della Pianura Padana.

Tutti gli altri indici (C = continentalità U = umidità R = reazione N = azoto) sembrano indicare

una certa uniformità nei diversi fattori ecologici tra impianti e boschi relitti.

Tab. 62 Numero medio di specie per rilievo

Età n. specie/rilievo 7 15.33 8 15.50 9 14.05 10 10.75 11 10.25 13 6.50 17 8.75 60 7.45

Fino all’età di 10-11 anni (Tab. 62), la copertura degli individui arborei, accompagnata dalla

loro ordinata disposizione in file, non riesce a determinare una modificazione marcata delle

condizioni ecologiche al suolo tali da portare a sostanziali variazioni del popolamento vegetale.

In ogni caso, come confermato dalla letteratura (Kirby, 1993) si assiste ad una progressiva

riduzione del numero di specie erbacee presenti con l’aumentare della copertura e dell’età degli

impianti anche se l’ingresso di specie nemorali è legato alla presenza di vecchie siepi o boschi

relitti.

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128

3.11 Dinamica dei querco-carpineti

Secondo Del Favero, (2004), i querco-carpineti costituiscono nella maggior parte dei casi dei

sistemi forestali di tipo A cioè costituite da una specie leader che si svilupperebbe in formazioni

pure se fosse nel proprio optimum. In questo caso, la specie leader è rappresentata dal carpino

bianco che forma gruppi con il seguente funzionamento (Tab. 63):

Tab. 63 Dinamica del querco-carpineto

Fasi Descrizione

Rinnovazione

Inizia sotto la copertura dei soggetti del vecchio ciclo; lunga tolleranza alla carenza di luce; distribuzione multiplana, copertura regolare colma (limitate e brevi diminuzioni di copertura in occasione delle morti); tessitura fine

Competizione

Media durata, spesso ancora sotto la protezione del vecchio ciclo; distribuzione multiplana, copertura regolare colma e tessitura fine

Stabilizzazione

Media o lunga durata (la durata cresce al diminuire della quota); forte impoverimento degli strati arboreo, arbustivo ed erbaceo; si conclude con il raggiungimento dei massimi livelli di biomassa; distribuzione monoplana per frequente fusione dei gruppi (soprattutto alle quote inferiori), copertura regolare colma; tessitura tendente al grossolano

Decadenza

Lunga durata (soprattutto alle quote elevate); presenza contemporanea con le fasi di rinnovazione e di competizione del nuovo ciclo; morte per vecchiaia individuale o di pochi soggetti; dimensioni gap 200-800 mq; distribuzione multiplana, copertura regolare colma (diminuisce in occasione delle morti; tessitura fine

Il mosaico silvatico presenta una tessitura generalmente fine in quanto i gruppi sono piccoli (da

200 a 800 m2) in quanto la morte interessa singoli o piccoli insiemi di alberi e non vi sono

fenomeni perturbativi.I fenomeni di fusione fisionomica tra gruppi sono particolrmente

pronunciati dove vi sono condizioni termiche più favorevoli. La scarsità di perturbazioni che

interessano questi sistemi è dovuta, per quelle di natura abiotica, alle favorevoli condizioni

stazionali mentre quelle di natura biotica (epidemie, infestazioni, ecc.) sono ben tollerate grazie

alla elevata resistenza dovuta a fattori di carattere genetico ed al vigore vegetativo dovuto alla

mancanza di stress. Nei giovani querco-carpineti planiziali la struttura verticale è

prevalentemente biplana, a copertura regolare scarsa, con un piano dominante a prevalenza di

farnia e uno dominato a carpino bianco. Con l’avanzare dell’età, il carpino bianco tende a

colmare gli spazi liberi dei piani superiori lasciando sguarnito il piano inferiore che, a causa

della carenza di luce, s’impoverisce della vegetazione arbustiva ed erbacea. I processi di

degradazione e mineralizzazione della sostanza organica tendono a rallentare e si forma uno

strato più o meno spesso di sostanza organica solo parzialmente decomposta. Il seme di quercia

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germina facilmente ma già uno o due anni dopo la sopravvivenza delle piantine è pressochè

nulla, soprattutto a causa della carenza di luce e per altri motivi non ancora del tutto noti. La

rinnovazione della farnia è assente anche ai margini del bosco e nelle aperture del soprassuolo

createsi a seguito di schianti come invece avviene, anche se con qualche difficoltà, in altri

querco-carpineti. In particolare, a seguito delle aperture del soprassuolo si insedia una fitta

vegetazione di specie nitrofile che impediscono l’insediamento della rinnovazione. Dopo un

certo numero di anni, esaurita la fertilità della lettiera accumulata negli strati superficiali del

suolo, si insedia lentamente una rinnovazione di carpino bianco mentre manca completamente

quella di farnia. Nel contempo, sulle farnie che hanno raggiunto i 60-70 anni di età si nota un

progressivo disseccamento della chioma e la comparsa di marciumi radicali, che conducono ad

una regressione quantitativa della farnia ed a un progressivo cambiamento di composizione

verso il carpineto puro. Ciò è causato dalla maggior efficienza del carpino rispetto alla farnia in

termini di accrescimento della chioma (modello di Troll contro modello di Rahu).

La quantità di argilla che condiziona i movimenti dell’acqua nel suolo crea delle diverse

situazioni edafiche che favoriscono localmente la composizione arborea del querco-carpineto.

La microvariabilità stazionale che condiziona la disponibilità del fattore acqua è alla base della

dinamica dei querco-carpineti. In particolare, nei boschi del Friuli Venezia Giulia, Veneto e

Lombardia (escluso Bosco Fontana), all’aumentare della quantità d’acqua nel suolo la farnia si

accompagna con il carpino bianco nei terreni più aridi, olmo (frassino ossifillo) oppure c’è la

totale sostituzione con ontano nero nei terreni con maggiore quantità di acqua nel suolo. Quindi

considerare i querco-carpineti planiziali come l’unica o assolutamente prevalente vegetazione,

anche solo potenziale, della Pianura Padana, come spesso avviene, è certamente una comoda

semplificazione mentre la variabilità delle condizioni, soprattutto edafiche, induce a

riconsiderare questa ipotesi affermata da parte di eminenti autori (Beguinot, Pignatti, Tomaselli,

Chiesura, Caniglia, Zanetti, Susmel).

Questa teoria è sostenuta anche da Johnson et al. (2002), secondo i quali la quercia non avrebbe

il ruolo di specie climax ma sarebbe solamente una specie intermedia tra quelle pioniere e quelle

climax. La sua presenza sarebbe stata favorita dall’uomo fin da epoche primitive ed il suo

mantenimento negli attuali boschi sarebbe collegabile alla sua resistenza ai danni da incendio,

alla longevità e alla capacità di rigenerazione agamica.

La tendenza naturale dei querco-carpineti planiziali sarebbe di evolvere verso formazioni pure a

carpino ove la farnia e le altre specie sono solamente marginali. L’attuale diffusione “massiccia”

della farnia sarebbe legata a fenomeni di coltivazione che l’avrebbero favorita rispetto al

carpino. Di conseguenza, pensare di mantenere la quercia come specie predominante e non

come secondaria in tali popolamenti potrebbe significare dover continuare ad intervenire con

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interventi più agronomici (lavorazione del terreno, semina o impianto di semenzali, ripuliture,

ecc.) che selvicolturali. La farnia infatti si insedia naturalmente sul suolo smosso, dove vengono

riportati alla luce gli orizzonti più profondi e quindi è legata a utilizzazioni forestali, a

lavorazioni agricole del terreno (es. trattamento dei querceti francesi), semina artificiale ed a

successivi interventi di ripulitura. Inoltre la farnia ha una scarsa stabilità meccanica e viene

facilmente sradicata dal vento a causa dell’apparato radicale piuttosto superficiale.

Anche nei sistemi naturali (Tab. 64), la farnia è una specie numericamente “secondaria” rispetto

alle altre presenti con un numero di circa 70 soggetti a ettaro, simile alla norma di matricinatura

adottata nei cedui composti del Friuli.

Tab. 64 Parametri dendrometrici di un querco-carpineto “vergine” della foresta di Bolintin, nella piana di Vlasia in Romania

Specie Parametri dendrometrici Farnia Frassino Tiglio

cordato Carpino bianco

Totale

Numero alberi ha-1 (senza soglia di rilevamento)

70 10 245 135 460

Diametro medio (cm) 71 55 27 17 Diametro massimo (cm) 94 64 48 24 Altezza media (m) 32,5 29,4 25,2 22,2 Altezza massima (m) 36 36 30,5 27 Area basimetrica (m2 ha-1) 28 2,4 14,5 3,1 48 Massa (m3 ha-1) 465 37 186 37 725

Non bisognerebbe pertanto farsi troppi problemi sulla scarsa rinnovazione della farnia nei

querco-carpineti planiziali. In ogni caso, il mantenimento della farnia nel querco-carpineto

planiziale è legato a precisi interventi di carattere selvicolturale.

3.12 Problemi di gestione

Se si escludono le siepi relitte, è evidente che ormai la superficie forestale vera e propria

rappresenta una percentuale infinitesima di tutto il territorio planiziale veneto: il bosco oggi è

solo un misero ricordo del passato circondato dalle bonifiche agrarie e dalle monocolture

cerealicole. Ciò nonostante i boschi e le siepi rimasti conservano ancora peculiarità floristiche di

grande rilievo e rivestono anche per la fauna locale un’enorme importanza ecologica.

Disboscamento, alterazione del sottobosco, inquinamento dell’aria, del suolo e delle falde,

drenaggi, alterazione dell’assetto idrico, antropizzazione, coltivazioni industriali ed espansione

urbana minacciano spesso la sopravvivenza delle aree forestali (Del Favero et al., 2001). D’altra

parte, l’isolamento dei singoli popolamenti e le loro limitate estensioni non sono fattori di

rischio trascurabili, soprattutto se si ragiona in termini di lungo periodo. Di fatto, tutti i boschi

planiziali veneti presentano una superficie inferiore alla MDA (Minimum Dynamic Area), cioè

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alla superficie minima che consenta al bosco la sopravvivenza e la perpetuazione nel futuro. Ciò

significa anche che essi non sono in grado di riparare totalmente gli effetti di un eventuale

fattore naturale di disturbo, in genere rappresentato dal vento (trombe d’aria). Per i querco-

carpineti planiziali si ritiene che l’MDA sia compresa tra i 100 e i 200 ha (Bracco et al., 2001):

nel contesto territoriale in questione, si può quindi affermare che i rischi di estinzioni locali a

seguito di perturbazioni sono molto alti (Bracco et al., 2001; Del Favero, 2004). Va poi

sottolineato che, nei casi più estremi, isolamento e limitata estensione possono determinare

fenomeni di “depressione da inbreeding” con conseguente successiva estinzione di popolazioni

locali a seguito di una eccessiva riduzione del numero di individui della stessa specie.

Un’ultima considerazione associata alla limitata estensione dei boschi planiziali riguarda il

cosiddetto “effetto margine”. Come è ben risaputo, la fascia marginale (ecotono) di una qualsiasi

cenosi forestale presenta caratteristiche bio-fisiche diverse da quelle presenti all’interno del

bosco; essa è una fascia di transizione tra esterno ed interno, con ampiezza media di circa 30 m

(Bracco et al., 2001), che agisce come un filtro tra la cenosi forestale e le aree limitrofe

limitando così anche l’impatto di eventuali fenomeni perturbatori esterni (es. fertilizzanti,

diserbanti ed antiparassitari utilizzati sulle coltivazioni limitrofe, inquinanti, rumore, vento) sulla

stabilità ecologica del bosco (Forman, 1995). In corrispondenza della fascia di ecotono, si

sviluppa il cosiddetto “mantello”, caratterizzato dalla presenza di molti arbusti ed, in generale,

da un’elevata densità di specie floristiche, le stesse specie che costituiscono le formazioni

forestali lineari (siepi), assimilabili appunto al margine di un bosco; all’interno di quest’ultimo si

ritrovano invece entità floristiche caratterizzate da spiccata sciafilia ed estremamente esigenti in

termini di microclima. Le ridotte dimensioni dei boschi planiziali veneti rendono l’effetto

margine molto importante limitando notevolmente la parte forestale interna e con essa anche la

presenza delle specie nemorali che, relitti di antiche migrazioni floristiche, rappresentano

proprio per la loro rarità le peculiarità floristiche di maggior valore. La limitata superficie non

consente neppure il sostentamento di popolazioni faunistiche di mammiferi e, qualora fossero

presenti, dovrebbero essere esclusi per i problemi gestionali che comportano al bosco ed ai

frequentatori (danni alla vegetazione, alla rinnovazione, acari e zecche, ecc.). Si ricorda infine

che tutti i boschi oggi presenti nella pianura veneta sono stati da sempre sfruttati dall’uomo con

alterne vicissitudini. Nel corso della storia quindi, essi hanno subito tagli più o meno frequenti e

irrazionali, talvolta totali (come durante le due guerre mondiali), con conseguenze inevitabili

sulla composizione floristica e sulla struttura che sono oggi molto lontane da quelle delle

formazioni naturali primarie (Zanetti, 1985). Attualmente, la maggior parte di questi boschi

viene lasciata all’evoluzione naturale e conservata a scopo naturalistico; in genere si tratta quindi

di cedui invecchiati avviati verso una conversione più o meno guidata a fustaie. D’altra parte, da

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alcuni anni nei querco-carpineti si stanno manifestando diversi fenomeni di deperimento

soprattutto a carico della farnia che mostra grossi problemi di rinnovazione e senescenza precoce

degli individui adulti (Del Favero, 2004; Bracco et al., 2001). Accanto a diverse motivazioni più

o meno importanti, come la diffusione di funghi parassiti, i ristagni idrici, l’abbassamento delle

falde (ed i conseguenti stress idrici estivi) o l’inquinamento da fitofarmaci proveniente dai campi

agricoli limitrofi, vari studiosi hanno evidenziato come l’assenza di luce dovuta alla forte

copertura e ai mancati tagli periodici (effettuati in passato con la ceduazione del carpino)

impedisca l’affermazione delle plantule di farnia che per di più faticano a svilupparsi su una

lettiera costituita da residui della stessa specie. Accanto alla progressiva scomparsa della farnia,

và invece affermandosi la presenza del carpino bianco che si rinnova abbondantemente e senza

difficoltà (Del Favero, 2004).

3.13 Proposte di gestione selvicolturale per il bosco di Mestre

3.13.1 Premessa

L’obiettivo principale che ci si è posti nel delineare le indicazioni per la futura gestione

selvicolturale del bosco di Mestre è stato quello di massimizzare la stabilità ecologica degli

impianti artificiali nel minor tempo possibile. Esistono però altri obiettivi da raggiungere che

potrebbero essere più o meno in conflitto con questo (es. funzione culturale-ricreativa, funzione

produttiva, ecc.). Tali funzioni rappresentano dei “servizi”che saranno in un prossimo futuro

sempre più richiesti dalla popolazione, soprattutto quella che vive nei centri urbani: si pensi ad

esempio, alla funzione dei boschi di termoregolazione del clima locale, soprattutto nel periodo

estivo (emergenza caldo, siccità, black-out elettrici, ecc.). Il bosco nel suo complesso avrà molte

caratteristiche che lo avvicinano ad un parco urbano (sentieri, piste ciclabili, percorsi vita,

infrastrutture di servizio, tabellazione, centri studio, aree umide, ecc.) e quindi il modello di

gestione dovrà tener conto, soprattutto in alcune aree più frequentate dal pubblico, delle finalità

ricreative e sociali piuttosto che delle finalità produttive. E’ indispensabile spiegare agli

Amministratori ed ai cittadini, perché è necessario gestire (cioè tagliare) il bosco, al fine di

prevenire pericolosi fenomeni di contestazione che potrebbero derivare dalle utilizzazioni

boschive. Tra i problemi sociali derivanti dalla creazione del bosco, si devono inoltre

considerare anche un possibile aumento della microcriminalità, atti di vandalismo,

vagabondaggio, discariche abusive, prostituzione, ecc. che imporranno all’Amministrazione

comunale un aumento della sorveglianza al fine di garantire la sicurezza dei cittadini. In tale

contesto, è necessario evidenziare che una produzione legnosa di qualità potrebbe parzialmente

compensare i costi “sociali” che derivano dagli interventi di manutenzione ambientale necessari

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alla fruizione del bosco da parte del pubblico. Il bosco potrà inoltre produrre legna da ardere che

potrà essere utilizzata in centrali a biomassa, contribuendo a ridurre le emissioni di gas ad effetto

serra come previsto dal protocollo di Kyoto. Sarà necessario definire uno specifico piano di

gestione che preveda una zonizzazione con aree “wilderness” dove lasciare il bosco

all’evoluzione naturale e vietare o limitare l’accesso al pubblico.

3.13.2 Modello di gestione

Per quanto riguarda i residui lembi di querco-carpineto del Veneto, la destinazione a “museo

naturalistico” crea molti problemi in relazione alla stabilità della composizione ulteriormente

aggravata dalla limitata estensione delle superfici. L’abbandono all’evoluzione naturale

porterebbe ad una drastica riduzione della farnia come ampiamente dimostrato dai tentativi

effettuati finora per mantenerla che hanno dato scarsi risultati. Se si decide per questa soluzione,

si dovranno adottare degli interventi più simili al giardinaggio (rinnovazione artificiale e

successive cure colturali pluriennali) che alla selvicoltura (Del Favero, 2004). L’alternativa

potrebbe essere quella di mantenere costanti nel tempo le condizioni di primitività del suolo e di

giovinezza del soprassuolo, allevando un popolamento più rado come proposto da vari autori

(Klepac, Susmel, Boudru, Galoux, Ciancio) per le diverse forme di governo del bosco. Si

potrebbe creare una fustaia disetanea mista a prevalenza di quercia, formata da pochi alberi

grossi in cui la rinnovazione dovrebbe comunque essere assistita attraverso cure colturali che

riducano la concorrenza esercitata dalle specie nitrofile sulle giovini piantine. Secondo Susmel,

per una fustaia normale disetanea, il numero delle piante a ettaro con diametro superiore a 17,5

cm dovrebbe essere compreso tra 150 e 250, area basimetrica tra 10 e 15 m2 e massa tra 130 a

250 m3ha-1, di gran lunga inferiori a quelli che si ritrovano nei boschi relitti esistenti (Del

Favero, 2004). Se per i boschi relitti è da escludere a priori l’adozione di simili modelli a causa

delle forti pressioni derivanti dall’opinione pubblica per la conservazione integrale dei siti, per

gli impianti da realizzare in futuro potrebbe anche rappresentare una soluzione gestionale che

richiederebbe comunque degli interventi antropici. Nel caso del bosco di Mestre, poiché sono

già stati realizzati impianti aventi un certo grado di sviluppo e interessanti una estensione di oltre

un centinaio di ettari, si ritiene di proporre un modello che si rifà concettualmente ai principi

della selvicoltura di qualità, generalmente applicata in Francia e in Svizzera nelle fustaie di

farnia e rovere per la produzione di legname di pregio (Bouchon e Trencia, 1990; Courraud,

1990; Ningre, 1990; Schutz, 1993; Sevrin, 1997). Si è deciso inoltre di adottare un turno più

breve rispetto a quello impiegato oltralpe in considerazione dei problemi di deperimento

attualmente in atto sia ad Olmè che a Basalghelle. In Pianura Padana, la farnia si trova verso il

limite meridionale del proprio areale come confermato dagli elevati accrescimenti diametrici

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(circa 1 cm anno-1), praticamente due volte e mezza rispetto agli accrescimenti dei querceti

francesi. Poiché vi una diretta correlazione tra velocità di accrescimento e longevità, dal punto di

vista biologico si ritiene difficilmente proponibile un ciclo colturale plurisecolare, come invece

avviene nei paesi d’oltralpe. Si deve inoltre tener conto dei gravi fenomeni di deperimento della

quercia che si manifestano nei relitti di boschi planiziali, ulteriormente acuiti, nel caso del bosco

di Mestre, dal diffuso inquinamento ambientale persistente derivante dalle zone industriali e dal

traffico veicolare. I cambiamenti climatici in atto, pur necessitando di ulteriori conferme,

possono comportare sulla vegetazione arborea i seguenti effetti:

• allungamento del periodo vegetativo e “disorientamento” stagionale (parziale emissione di

foglie in autunno, prolungata attività del cambio con produzione di legno, ritardata chiusura

delle gemme e conseguenti possibili danni da gelate) delle specie arboree;

• aumento della sensibilità delle piante ai patogeni sia per aumento della popolazione delle

specie dell’entomofauna parassite sia per le condizioni invernali più favorevoli che consentono

la sopravvivenza ad un maggior numero di insetti;

• sradicamento delle piante in caso di eventi meteorologici intensi;

• creazione di condizioni che favoriscono il fenomeno del deperimento della quercia.

Per tali motivazioni, si ritiene prudente adottare un turno di 80 anni per la programmazione degli

interventi selvicolturali.

3.13.3 Diagramma selvicolturale

I risultati delle indagini cronologiche sviluppate in precedenza sul dataset per le diverse variabili

dendrometriche sulla farnia sono stati utilizzati per fare delle ipotesi sugli interventi

selvicolturali da proporre per la gestione del Bosco di Mestre. I dati iniziali del modello relativi

alla densità ed alla mortalità sono stati calcolati sui valori medi di questi fattori. Inoltre,

ipotizzando interventi colturali ravvicinati nel tempo, si può ritenere che la mortalità sia

omogenea e costante nel tempo, soprattutto per le specie arboree principali. Un’ulteriore ipotesi

è che i soggetti di tutte le specie arboree abbiano i medesimi accrescimenti in diametro, altezza e

diametro della chioma determinati per la farnia in posizione sociale dominante. Inoltre,

considerando che gli accrescimenti in diametro ed altezza sono molto simili tra impianti e boschi

relitti, ai fini selvicolturali si è considerata la curva di sviluppo cronologico dei boschi.

Per l’interpretazione grafica del modello con SVS, è stata utilizzata la distanza media tra i

soggetti arborei, ipotizzando così che la mortalità influisca facendo aumentare progressivamente

la distanza intrafilare delle specie arboree.

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135

0

100

200

300

400

500

600

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

età (anni)

N/h

a

qro

cbe

arb

abs

0

5

10

15

20

25

30

35

40

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

età (anni)

dbh

(cm

)

qro

Fig. 108 Curva di mortalità per specie legnosa ed età (qro= Quercus robur; cbe= Carpinus betulus; arb= altre arboree abs= arbusti)

Fig. 109 Relazione tra diametro ed età (qro= Quercus robur)

0.0

5.0

10.0

15.0

20.0

25.0

30.0

35.0

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

età (anni)

alte

zza

(m)

qro

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

0 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40 44 48 52 56 60 64 68 72 76 80

età (anni)

diam

etro

chi

oma

(m)

qro

Fig. 110 Relazione tra altezza ed età (qro= Quercus robur) Fig. 111 Relazione tra diametro chioma (dch) ed età

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Tab. 65 Modello alsometrico del Bosco di Mestre (dati riferiti all’ettaro)

Anno n. qro n. cbe n. arb n. tot arb n. abs n. morte n. totale dbh (cm) h (m) dch (m) d (m) sup (m2) d_arb (m)

5 336 182 450 969 266 127 1235 2.4 2.9 2.3 2.4 8.1 3.0

10 305 165 408 878 241 243 1119 6.2 6.1 3.6 2.6 8.9 3.3

15 276 150 370 796 219 347 1015 10.4 9.2 4.6 2.9 9.9 3.7

20 250 136 335 721 198 443 919 14.4 12.1 5.4 3.2 10.9 4.0

25 227 123 304 653 180 529 833 18.0 14.8 6.0 3.5 12.0 4.5

30 206 111 275 592 163 607 755 21.2 17.2 6.5 3.9 13.2 4.9

35 186 101 250 537 148 678 684 24.0 19.4 6.9 4.3 14.6 5.4

40 169 91 226 486 134 742 620 26.4 21.5 7.3 4.7 16.1 6.0

45 153 83 205 441 121 800 562 28.5 23.3 7.5 5.2 17.8 6.6

50 139 75 186 399 110 853 509 30.2 24.9 7.8 5.7 19.6 7.3

55 126 68 168 362 100 900 462 31.6 26.4 8.0 6.3 21.7 8.1

60 114 62 153 328 90 944 418 32.8 27.8 8.1 7.0 23.9 8.9

65 103 56 138 297 82 983 379 33.8 29.0 8.2 7.7 26.4 9.8

70 94 51 125 269 74 1018 344 34.7 30.1 8.3 8.5 29.1 10.8

75 85 46 114 244 67 1051 311 35.4 31.0 8.4 9.4 32.1 11.9

80 77 42 103 221 61 1080 282 35.9 31.9 8.5 10.3 35.4 13.2 n. qro= n. soggetti di Quercus robur; n. cbe= n. soggetti Carpinus betulus; n. arb= n. soggetti altre specie arboree;

n. abs= n. soggetti arbustivi; d= distanza intrafilare; sup= superficie media per soggetto vivente; d_arb= distanza media intrafilare tra i soggetti arborei

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35 anni 30 anni 25 anni 20 anni 15 anni 10 anni 5 anni

Fig. 112 Rappresentazione schematica tridimensionale dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre

35 anni 30 anni 25 anni 20 anni 15 anni 10 anni 5 anni

Fig. 113 Rappresentazione schematica planimetrica dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre

Come si può vedere (Figg. 112-113-114 e 115, Tab. 65), all’età di 10 anni le chiome dei soggetti

iniziano a toccarsi e ciò tende ad innescare i fenomeni di competizione per la luce e lo spazio

come confermato anche dai risultati ottenuti su altri impianti anche se con un'altra densità

d’impianto e con condizioni stazionali più favorevoli all’accrescimento della farnia (Buresti et

al., 1998; Pelleri et al., 2001).

A 15 anni, le chiome sono già parzialmente compenetrate e la copertura è quasi colma. La

competizione per la luce e lo spazio tende ad aumentare fortemente ed inizia la fase di

eliminazione dei soggetti più deboli e sottomessi. In questa fase, sono soprattutto gli individui

del piano dominato appartenenti alle specie eliofile ad essere interessati dalla mortalità come

confermato dai dati relativi alla farnia nel Bosco Osellino riportati nel capitolo 3.8.

Se si vuole assicurare una crescita ottimale, risulta pertanto necessario effettuare a questa età un

primo intervento di diradamento di tipo medio a carico del piano codominante tendente a

favorire i soggetti di specie arboree coerenti con il querco-carpineto, eliminando le specie a

rapido accrescimento (pioppi e salici) che hanno esaurito la funzione scenica iniziale attraverso

la cercinatura in modo da favorire la creazione di legno morto atto ad aumentare la biodiversità.

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La scelta del tipo di diradamento si è ispirata soprattutto ai seguenti motivazioni ecologico-

colturali non tralasciando tuttavia le motivazioni economiche (Pelleri et al., 2001):

Criteri ecologico-colturali: il tipo di diradamento dovrebbe consentire di regolare la

composizione degli individui, la mescolanza delle specie e di mantenere un elevato grado di

biodiversità favorendo la conservazione delle specie secondarie. La liberazione della chioma

delle piante d'élite consente di ottenere localmente un sufficiente livello d'illuminazione del

suolo che può favorire l'insediamento della rinnovazione delle specie arboree ed arbustive,

conferendo una struttura più articolata al popolamento e un più elevato valore naturalistico agli

impianti.

Criteri economici: il metodo è finalizzato a produrre legname di pregio a costi più bassi

aspettando che i soggetti d'élite si differenzino in modo naturale, limitando gli interventi diffusi

su tutto il soprassuolo e concentrando l'attenzione su una porzione limitata del popolamento

(Bastien e Wilhelm, 2000). La selezione precoce delle piante "d'avvenire" consentirà di

modulare gli interventi a vantaggio di questi individui, su cui si concentrerà la produzione

lasciando indisturbata la restante porzione del soprassuolo. Tali piante saranno oggetto di idonee

cure colturali (es. potature) finalizzate alla produzione di legname di pregio.

Gli impianti, pur concepiti con una prioritaria finalità naturalistica, possono in quest’ottica

offrire anche delle interessanti prospettive di tipo economico e interventi analoghi avranno

maggiori possibilità di sviluppo sul territorio laddove si dimostri la loro sostenibilità economica,

legata alle produzioni legnose oltre che agli incentivi pubblici per la forestazione (Mezzalira,

2005). Dal punto di vista pratico, si potrebbero adottare due diverse modalità d'intervento

(Pelleri, 2001):

a) un diradamento selettivo (libero) concentrato intorno a 100 piante d'avvenire ad ettaro, densità

che può essere considerata prossima a quella definitiva. I soggetti dovrebbero essere individuati

prevalentemente tra le specie arboree principali del querco-carpineto (farnia, frassino ossifillo,

olmo campestre) appartenenti al piano dominante. Al fine di mantenere una giusta mescolanza,

andrebbero individuati anche alcuni soggetti di altre specie arboree secondarie (carpino bianco,

acero campestre, tiglio selvatico, orniello) sempre nel piano dominante-codominante.

L'intervento andrebbe concentrato attorno a questi individui eliminando le più immediate

concorrenti (2-3 per pianta scelta) e lasciando indisturbato il resto dell’impianto. Il piano

dominato verrebbe preservato il più possibile allo scopo di conservare una composizione e una

struttura articolata dell'impianto, cercando di favorire la costituzione di un popolamento

accessorio in grado di controllare l'emissione dei rami epicormici e di accompagnare i fusti delle

piante d'avvenire. Con l'intervento si potrebbero anche creare o allargare le eventuali radure

esistenti al fine di favorire l’insediamento della rinnovazione naturale.

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b) un diradamento selettivo più diffuso con individuazione di circa 250 piante d'avvenire ad

ettaro, da ridurre progressivamente con i successivi diradamenti. In questo secondo caso,

l’eliminazione delle più immediate concorrenti (1-2 per pianta scelta) consentirebbe di regolare

meglio la mescolanza delle specie e la composizione futura del soprassuolo e di rinviare in una

fase successiva, la scelta definitiva delle piante d'élite. Rispetto al precedente, questo intervento

ha anche il vantaggio di poter essere meglio distribuito sull’intera area.

E’ opportuno che il grado di intensità dei diradamenti non sia troppo forte per prevenire, da un

lato, fenomeni di discesa della chioma nella farnia e dall’altro, problemi di instabilità delle

piante a fronte di eventi atmosferici estremi.

80 anni 70 anni 60 anni 55 anni 50 anni 45 anni 40 anni

Fig. 114 Rappresentazione schematica tridimensionale dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre

80 anni 70 anni 60 anni 55 anni 50 anni 45 anni 40 anni

Fig. 115 Rappresentazione schematica planimetrica dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre

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Grazie alla forte reattività ed alla giovane età degli impianti, entro pochi anni le chiome dei

soggetti rimanenti tenderanno a chiudersi e sarà quindi opportuno intervenire nuovamente all’età

di circa 25 anni, quando la concorrenza ritornerà a incidere sulla sopravvivenza delle piante.

A questa età, i soggetti del piano dominante si saranno differenziati e si potrà fare la scelta

definitiva delle piante d’élite favorendo quelle che presentano gli accrescimenti ipsodiametrici

maggiori, ramificazione regolare, buon stato fitosanitario.

Questo tipo di diradamenti potrà proseguire con cadenza decennale fino all’età di 50-60 anni,

portando gradualmente la densità del piano dominante verso quella finale di circa 100

soggetti/ettaro. A questo punto potranno iniziare i tagli di rinnovazione del soprassuolo: il forte

taglio di sementazione (eliminazione > 50% della copertura) dovrà garantire il rilascio di un

adeguato numero di soggetti portaseme in grado di assicurare la disseminazione su tutta la

superficie interessata. Si suggerisce l’adozione della tecnica dei tagli successivi a orlo, cercando

di orientare le strisce in direzione est-ovest per aumentare l’illuminazione del suolo e favorire la

rinnovazione della farnia.

Sempre a tale scopo, è opportuno iniziare i tagli a partire dal confine tra una particella giunta a

maturità ed un neoimpianto e procedere alla lavorazione superficiale del terreno. In tal modo si

potrebbe sfruttare la situazione di “grande buca” dove si verrebbe a creare un microclima più

favorevole alla rinnovazione della quercia rispetto al carpino. Per il triennio successivo, dovrà

essere garantita la ripulitura della tagliata dallo strato erbaceo ponendo particolare attenzione al

rispetto della rinnovazione di farnia in fase di insediamento.

Dopo 5-10 anni, si potrà procedere al taglio di sgombero delle piante rimaste ed eseguire il

nuovo taglio di sementazione sull’orlo più interno della particella.

3.13.4 Ulteriori interventi gestionali

Al fine di conseguire nel più breve tempo possibile gli obiettivi di rinaturalizzazione delle aree

imboschite, sono inoltre ipotizzabili i seguenti ulteriori interventi:

• ridurre l’isolamento dei querco-carpineti relitti attraverso l’ampliamento delle superfici;

• creazione di corridoi biologici;

• incrementare il volume legnoso concentrando la massa sui vecchi soggetti di farnia;

• apporto di specie erbacee, di terriccio, humus e di legno morto da boschi esistenti per

ricostituire la biodiversità negli impianti;

• favorire la conservazione del legno morto;

• attuare una gestione particolare della vegetazione lungo strade e piste forestali;

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• favorire artificialmente la rinnovazione della farnia;

• creare un inventario standardizzato da estendere anche ai filari e alle alberature campestri

• implementare un sistema di monitoraggio degli impianti e dei boschi relitti di lungo

periodo

• valorizzare al pubblico le specie dell’entomofauna facendole conoscere e adottando

particolari tecniche di gestione (mantenimento di superfici a ceduo, ecc.).

E’ molto importante inoltre coinvolgere nella gestione forestale i soggetti del mondo

dell’associazionismo che operano nel settore naturalistico-ambientale al fine di concertare

specifiche modalità di intervento selvicolturale che siano ampiamente condivise dall’opinione

pubblica.

Infatti il Bosco di Mestre è nato, oltre che dalla lungimiranza politica degli amministratori

comunali, anche grazie alla forte spinta della cittadinanza, che continua a sostenere il progetto

attraverso l’azione dell’Associazione appositamente costituita.

Per il futuro, sarebbe opportuno che la Regione del Veneto attui una modifica alla normativa

della LR 13/2003 che consenta l’accesso ai contributi anche ai soggetti privati in modo da

incentivare la realizzazione del Bosco di Mestre. Una ulteriore spinta verso l’imboschimento dei

terreni e la realizzazione di siepi, boschetti e fasce tampone ed altre azioni di tipo agroambientale

potrà inoltre essere data attraverso il nuovo Programma di Sviluppo Rurale 2006-2013, in corso

di attuazione da parte della Regione del Veneto. In tale ambito, l’Amministrazione comunale

avrebbe titolo e potrebbe impegnarsi a presentare un apposito Piano Integrato di Area

coordinando le domande dei singoli agricoltori e privati in modo da creare quella rete ecologica

necessaria all’ampliamento ed al consolidamento di quanto già realizzato. Questo permetterebbe

di sfruttare appieno le risorse pubbliche concentrando l’azione in determinati ambiti territoriali

incentivando e valorizzando le attività rurali che ruotano attorno al Bosco di Mestre.

3.13.5 Conclusioni

La densità, il rapido sviluppo ed il precoce instaurarsi della competizione che si riscontrano in

tutti gli impianti oggetto di studio, caratterizzati da una composizione e una struttura articolata

con mescolanza di numerose specie aventi diverse esigenze ecologiche, evidenziano come sia

necessario fin dai primi anni guidare l’evoluzione del soprassuolo mediante i diradamenti al fine

di avvicinarsi ad una composizione ottimale per una cenosi planiziale, correggendo eventuali

valutazioni erronee effettuate in fase di progettazione.

Il precoce insediamento della rinnovazione delle specie arboree e arbustive, presente anche in

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soprassuoli molto giovani, sembra creare buoni presupposti per una rapida rinaturalizzazione di

questi impianti che potrebbe essere stimolata mediante l'applicazione di idonee tecniche

colturali, in primis evitando lo sfalcio indiscriminato della vegetazione erbacea. Va fatto

comunque uno sforzo anche nella progettazione degli impianti, evitando l’uso di specie

ecologicamente non coerenti con la stazione e la tipologia forestale, adottando sesti più ampi e

consociazioni per gruppi monospecifici.

Il forte dinamismo e la notevole capacità di colonizzazione, evidenziata dalla componente

arbustiva, rende sicuramente più economico, ma ugualmente valido, l'impianto degli arbusti

secondo filari o gruppi ed in percentuali più ridotte di quanto effettuato finora.

E' necessario ricordare che questi impianti sono un insieme artificiale di alberi ed arbusti, che

non possono essere considerati un vero bosco, pur presentando una composizione e, dopo pochi

decenni, anche una struttura articolata che si ispira a quella riscontrabile nelle foreste planiziali.

Per ricostituire un bosco sono necessari tempi molto lunghi indispensabili per arricchire la

biocenosi della miriade di componenti minori (funghi, batteri, invertebrati, erbe ecc) ora assenti

e difficilmente introducibili in modo artificiale, ma componenti fondamentali di un ecosistema

forestale. A tale proposito tuttavia, in alcune aree di studio (Novoledo, Bandiziol e Prassaccon)

sono state sperimentate tecniche di introduzione di piote erbose prelevate da sottoboschi naturali

che funzionano da nuclei di espansione della flora nemorale e di tutto il complesso di

microrganismi tipico dei suoli forestaIi (Manfron, 1998). Tali interventi, i cui risultati dovranno

essere verificati e monitorati, indicano una strada percorribile per accelerare per quanto possibile

lo svolgimento dei processi naturali. (Pelleri, 2001).

3.14 Conclusioni generali

L’indagine ha consentito di descrivere scientificamente i popolamenti studiati (boschi naturali ed

impianti artificiali) e di porre le basi per un monitoraggio di lunga durata, confrontando, su base

cronologica, i querco-carpineti relitti con gli impianti, e stimare il grado di rinaturalizzazione

raggiunto dai principali componenti dell’ecosistema forestale (piano erbaceo, arbustivo ed

arboreo).

Lo studio ha permesso di verificare la parziale correttezza dell’ipotesi iniziale della ricerca e cioè

che le specie arboree principali che costituiscono la tipologia forestale del querco-carpineto

planiziale (farnia e carpino bianco) abbiano gli stessi ritmi di sviluppo in tutto il Veneto. Come

confermato dai risultati, fino all’età di circa 9-10 anni non vi sono differenze di accrescimento

tra le diverse stazioni per le specie esaminate e quindi gli accrescimenti dipendono

principalmente dall’età del popolamento. Dopo tale età, i fenomeni di competizione legati alla

stazione (caratteri del suolo, disponibilità idrica, fertilità, ecc.) ed alle caratteristiche

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dell’impianto (densità, composizione, disegno, sesto, ecc.) tendono ad influenzare

significativamente gli accrescimenti. In particolare, per la farnia sono stati individuati nel

territorio studiato due gruppi di stazioni caratterizzate da distinti ritmi di accrescimento

ipsodiametrico.

L’indagine ha inoltre confermato che gli schemi usati negli impianti, pur consentendo

generalmente la rinnovazione delle specie arbustive, raramente invece favoriscono

l’insediamento delle specie arboree. In particolare, per quanto riguarda la farnia, solamente in un

caso molto particolare è stata riscontrata una azione positiva dello schema di impianto, in

abbinamento alle tecniche colturali, che ha permesso l’affermazione della rinnovazione. Si

suggerisce pertanto l’introduzione di nuovi schemi d’impianto e diverse modalità di gestione

della vegetazione erbacea che siano idonei al raggiungimento dell’obiettivo della

rinaturalizzazione del territorio.

I risultati dell’indagine hanno permesso di sviluppare un diagramma selvicolturale (Oldemann,

1990) che è stato impiegato per definire i criteri di gestione selvicolturale per il Bosco di Mestre.

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Allegato 1 Principali caratteri climatici Dati 1960-1990 Dati 1991-2006 Riferimenti (periodo, stazione)

Stazione T° media annua

T° media max

T° media min

P media annua (mm)

N° gg P P max (mm)

P min (mm)

T° media annua

T° media max

T° media min

P media annua (mm)

n° gg P P max (mm)

P min (mm)

T° (Annali Idr.)

P (Annali Idr.)

P (ARPAV)

T° (ARPAV)

Carpenedo 13.1 14.4 11.3 877 84.5 1174 539 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre

1961-1990 Mestre

1992-2006 Treporti

1992-2006 Treporti

Foresto Superiore

11.7 12.9 8.8 725 77.1 897 471 13.6 12.9 8.8 678 77.1 897 471 1964-1990 Legnaro

1961-1990 Conetta

1998-2006 Rovigo

1998-2006 Rovigo

Gesia 11.7 12.9 8.8 725 77.1 897 471 13.6 12.9 8.8 678 77.1 897 471 1964-1990 Legnaro

1961-1990 Conetta

1998-2006 Rovigo

1998-2006 Rovigo

Novoledo 12.8 13.8 12.1 1260 90.1 1642 582 13.4 15.4 12.6 1147 88 1791 804 1961-1990 Vicenza

1961-1990 Isola vicentina

1992-2006 Malo

1992-2006 Malo

Osellino 12.9 14.4 11.3 877 84.5 1174 539 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre

1961-1990 Mestre

1992-2006 Treporti

1992-2006 Treporti

Ottolenghi 12.9 14.4 11.3 877 84.5 1174 539 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre

1961-1990 Mestre

1992-2006 Treporti

1992-2006 Treporti

Parauro 12.9 14.4 11.3 851 81.3 1080 651 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre

1961-1990 Gambarare

1992-2006 Treporti

1992-2006 Treporti

S. Marco 13.2 14.3 11.5 988 87.5 1390 705 12.9 13.7 12.1 812.2 78 1165 613 1961-1990 Portogruaro

1961-1990 Concordia Sagittaria

1992-2006 Eraclea

1992-2006 Eraclea

Bandiziol e Prassaccon 13.2 14.3 11.5 1062 92.2 1517 707 12.9 13.7 12.1 812.2 78 1165 613 1961-1990

Portogruaro1961-1990 Portogruaro

1992-2006 Eraclea

1992-2006 Eraclea

Tartaro 12.9 14.5 11.9 728 80.1 961 506 13.5 14.6 12.2 804 76 1129 520 1961-1990 Cologna Veneta

1961-1990 Cologna Veneta

1991-2006 Lonigo

1991-2006 Lonigo

Basalghelle 13.0 14 12.4 1004 81.5 1511 736 13.1 13.7 12.3 943 83 1196 686 1961-1990 Treviso

1941-1996 Oderzo

1992-2006 Breda di Piave

1992-2006 Breda di Piave

Olmè 13.2 14.3 11.5 988 87.5 1390 705 12.9 13.7 12.1 812.2 78 1165 613 1961-1990 Portogruaro

1961-1990 Concordia Sagittaria

1992-2006 Eraclea

1992-2006 Eraclea

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Allegato 2 Descrizione dei suoli BA2.1 (Carpenedo, Osellino, Parauro) Pianura modale del Brenta e dell’Astico, di origine fluvioglaciale, pianeggiante (0.1-0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi fortemente calcarei. Quote: 0-40 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Bk-Ckg, profondi, tessitura media, reazione alcalina, scarsamente calcarei, estremamente calcarei in profondità, drenaggio mediocre, con accumulo di carbonati in profondità, falda profonda. WRB (1998): Gleyic Calcisols; USDA (1998): Oxyacquic Eutrudept fine-silty, mixed, mesic. BR6.3 (Foresto e Gesia) Aree palustri nella pianura alluvionale di Po e Adige, ad accumulo di sostanza organica in superficie, a deposizioni fini, con pochi canali, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: argille e limi, molto calcarei. Quote: da –2 a +2 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: acquico Suoli a profilo Ap-Bg-Oa-Cg, moderatamente profondi, a contenuto di sostanza organica moderatamente alto in superficie, tessitura moderatamente fine, reazione subalcalina, non salini, molto salini in profondità, scarsamente calcarei, con orizzonti organici in profondità, acidi, drenaggio lento, falda moderatamente profonda. WRB (1998): Gleyi-Fluvic Cambisols (Mollic); USDA (1998): Cumulic Humaquept fine-silty, mixed, non acid, mesic. AR2.4 (Novoledo) Depressioni di interconoide con depositi fini derivanti da rocce di origine vulcanica (basalti), non o scarsamente calcarei, pogginati su depositi ghiaiosi dei fiumi alpini, dolcemente inclinate (0.5-2% di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, non o scarsamente calcarei. Quote: 45-160 m. Uso del suolo: seminativi (mais), e prati. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-C, molto profondi, tessitura moderatamente fine, reazione alcalina, moderatamente calcarei, drenaggio buono, discreta tendenza a fessurare durante la stagione estiva. WRB (1998): Fluvi-Vertic Cambisols (Hiperneutri); USDA (1998): Vertic Eutrudept fine-loamy, mixed, mesic. BA3.1 (Ottolenghi) Aree depresse nella painura alluvionale del Brenta e dall’Astico, pianeggianti (0.1-0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, fortemente calcarei. Quote: 0-10 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-BCkg-Ckg, moderatamente profondi, tessitura moderatamente fine, reazione alcalina, moderatamente calcarei, fortemente calcarei nel substrato, drenaggio lento, con accumulo di carbonati in profondità, falda profonda. WRB (1998): Gleyic Calcisols; USDA (1998); Acquic Eutrudept fine, mixed, mesic. BA3.3 (San Marco) Aree depresse nella pianura alluvionale del Piave, pianeggianti (<0.2 di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, estremamente calcarei. Quote: da -1 a +17 m. Uso del suolo: vigneti e seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Bk-Cg, moderatamente profondi, tessitura da moderatamente fine a fine, reazione alcalina, molto calcarei, estremamente calcarei in profondità, drenaggio lento, con accumulo di carbonati in profondità e driscreta tendenza a fessurare durante la stagione estiva, falda molto profonda. WRB (1998): Gleyi-Vertic Calcisols; USDA (1998): Vertic Eutrudept fine, mixed, mesic. BR3.4 (Bandiziol e Prassaccon) Piana di divagazione a meandri del Piave, pianeggiante (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi e sabbie fortemente calcarei. Quote: 1-18 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia) e vigneti. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bk-Cg, profondi, tessitura media, reazione alcalina, fortemente calcarei, drenaggio mediocre, con concrezioni di carbonato di calcio in profondità, falda profonda. WRB

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(1998): Hypercalcic Cambisols; USDA (1998): Oxyacquic Eutrudept coarse-silty, carbonatic, mesic. BA2.4 (Prassaccon-parte) Pianura modale del Tagliamento con incisioni fluviali, pianeggiante (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, estremamente calcarei. Quote: 0-12 m. Uso del suolo: seminativi (soia, mais) e vigneto. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bk-Ckg, profondi, tessitura media, reazione subalcalina, molto calcarei, fortemente calcarei in profondità, drenaggio mediocre, con accumulo di carbonati in profondità, falda profonda. WRB (1998): Gleyic Calcisols; USDA (1998); Oxyacquic Eutrudept fine-silty, mixed, mesic. BR6.1 (Tartaro) Aree palustri nella pianura alluvionale di Po e Adige, ad accumulo di sostanza organica in superficie, a deposizioni fini, con pochi canali, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: argille e limi, molto calcarei. Quote: 1-14 m. uso del suolo: seminativi (mais, soia, frumento). Regime idrico: acquico. Suoli a profilo Ap-Bg-Ab-Cg, moderatamente profondi, a contenuto di sostanza organica molto alto, tessitura fine, reazione alcalina, scrasamente calcarei, drenaggio lento, falda profonda. WRB (1998): Gleyi-Fluvic Cambisols (Mollic); USDA (1998): Fluventic Eutrudept fine-loamy, carbonatic, mesic. BR6.2 (Tartaro parte) Aree palustri bonificate nella pianura alluvionale di Po e Adige, ad accumulo di sostanza organica in superficie, a deposizioni grossolane, con numerosi canali, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi, sabbie nei canali di rotta, molto calcarei. Quote: da –1 a +10 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: acquico Suoli a profilo Ap-Bg-Cg, moderatamente profondi, a moderato contenuto di sostanza organica in superficie, tessitura media, reazione alcalina, molto calcarei, drenaggio lento, falda profonda. WRB (1998): Gleyi-Fluvic Cambisols (Mollic, Calcaric); USDA (1998): Cumulic Endoaquol coarse-silty, mixed, calcareous, mesic. BA3.2 (Basalghelle) Aree depresse nella pianura alluvionale del Piave, pianeggianti (<0.2 di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, estremamente calcarei. Quote: 4-43 m. Uso del suolo: vigneti e seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Ck-Ckg, profondi, tessitura da moderatamente fine a fine, reazione alcalina, moderatamente calcarei, estremamente calcarei in profondità, drenaggio mediocre, con accumulo di carbonati in profondità e driscreta tendenza a fessurare durante la stagione estiva. WRB (1998): Hypercalcic-Vertic Calcisols; USDA (1998): Vertic Eutrudept fine, mixed, mesic. BR2.5 (Olmè) Dossi fluviali del Piave, Sile e Livenza, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: sabbie e limi, estremamente calcarei. Quote: 0-20 m. uso del suolo: seminativi (mais, soia) e vigneti. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Cg, profondi, tessitura media, reazione alcalina, estremamente calcarei, drenaggio mediocre, falda profonda. WRB (1998): Hypercalcari-Fluvic Cambisols; USDA (1998): Oxyacquic Eutrudept fine-silty, carbonatic, mesic.

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Allegato 3 Riepilogo dati per stazione ed età stazione eta n. densita_ini densita_att dbh_arb n_poll_arb h_arb d_ch_arb h_ins_arb dbh_abs n_poll_abs h_abs d_ch_abs h_ins_abs

Carpenedo 7 4 1244 1138 3.5 n.d. 4.7 2.2 0.1 2.2 n.d. 3.2 2.4 0.1

Carpenedo 8 11 1541 1347 4.1 1.7 4.3 2.5 0.0 2.1 5.7 2.8 2.1 0.0

Carpenedo 9 9 1771 1564 3.9 1.8 4.0 2.6 0.0 1.9 3.8 2.7 1.5 0.0

Carpenedo 16 5 1079 1028 8.2 1.6 7.5 3.1 1.1 4.4 3.6 5.2 2.4 0.1

Carpenedo 17 8 1090 1049 8.9 1.6 7.9 3.5 1.1 3.6 4.4 5.0 2.5 0.1

Foresto 15 8 1669 1669 12.5 2.8 7.7 n.d. n.d. 9.2 6.7 6.3 n.d. n.d.

Gesia 15 5 1670 1670 13.6 1.8 8.1 n.d. n.d. n.d. 3.8 n.d. n.d. n.d.

Novoledo 10 13 4000 3326 7.6 2.1 7.5 n.d. n.d. 4.4 2.1 5.5 n.d. n.d.

Novoledo 18 2 2217 1733 14.2 1.0 14.2 5.9 5.0 5.9 1.0 7.2 5.1 1.0

Osellino 9 20 1359 1280 6.8 1.6 5.9 n.d. n.d. 3.0 6.2 3.6 n.d. n.d.

Osellino 11 9 1483 1278 9.9 n.d. 9.0 4.4 2.5 3.5 n.d. 4.5 3.7 0.2

Ottolenghi 7 3 1311 922 3.0 1.4 4.2 2.7 0.0 2.2 4.3 2.5 1.9 0.0

Ottolenghi 8 9 1378 1012 4.0 1.3 4.6 2.9 0.0 1.8 3.8 2.6 1.5 0.0

Ottolenghi 9 14 1480 1328 5.2 1.7 4.9 3.1 0.1 2.9 4.4 2.8 2.2 0.0

Ottolenghi 10 21 1288 1134 5.4 1.8 5.0 2.9 0.1 2.1 5.2 3.0 2.1 0.0

Parauro 12 12 1906 1559 8.4 1.0 9.4 4.4 0.9 2.4 1.0 4.5 2.9 0.2

San Marco 9 6 1932 1729 6.6 1.6 5.6 3.5 0.2 2.7 3.9 3.7 2.6 0.0

San Marco 11 8 1724 1703 7.0 1.3 6.5 3.6 0.5 3.0 4.3 3.9 2.9 0.1

Bandiziol e Prassaccon 7 6 1705 1571 2.2 1.5 2.9 1.8 0.0 1.0 4.2 1.8 1.2 0.0

Bandiziol e Prassaccon 8 8 1696 1621 3.6 1.4 3.9 2.6 0.1 1.5 4.4 2.4 1.9 0.2

Bandiziol e Prassaccon 9 4 2194 2015 6.0 1.7 5.8 3.3 0.2 2.2 3.8 3.2 1.8 0.0

Bandiziol e Prassaccon 10 6 1495 1395 5.8 1.4 5.5 3.6 0.3 2.3 3.8 3.3 2.8 0.0

Bandiziol e Prassaccon 11 2 1600 1417 6.1 1.3 5.9 4.5 0.4 2.5 5.4 3.8 3.1 0.0

Legenda: n.= numero aree campione, densita_ini= densità iniziale impianto, densita_att= densità soggetti vivi al momento del rilievo, dbh_arb=diametro medio strato arboreo (cm), n_poll_arb=numero medio di polloni per soggetto arboreo, h_arb=altezza dendrometrica media strato arboreo (m), d_ch_arb=diametro medio della chioma dello strato arboreo (m), h_ins_arb=altezza media di inserzione dal terreno del primo ramo vivo dello strato arboreo (m), dbh_abs=diametro medio dello strato arbustivo (cm), n_poll_abs=numero medio di polloni per soggetto arbustivo, h_abs=altezza dendrometrica media dello strato arbustivo (cm), d_ch_abs=diametro medio della chioma dello strato arbustivo (m), h_ins_abs=altezza media di inserzione da terra del primo ramo vivo dello strato arbustivo (m).

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Allegato 3 Riepilogo dati per stazione Carpenedo Foresto Gesia Novoledo Osellino

MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD

n 1891 1891 1891 1891 1891 534 534 534 534 534 334 334 334 334 334 1433 1433 1433 1433 1433 1297 1297 1297 1297 1297

dbh (cm) 24 5 1 1477 4 34 12 2 247 6 38 14 3 158 7 30 7 2 1017 4 51 7 1 1166 6

n. polloni 20 2 0 1360 2 21 6 1 396 4 16 3 1 334 2 3 1 1 155 1 35 3 1 812 3

h (m) 14.0 5.0 0.5 1639 2.7 12.4 7.6 1.3 247 3.0 12.4 8.1 1.5 158 3.1 20.0 7.4 2.0 1017 2.8 24.0 6.2 1.0 1169 3.6

dch (m) 8.0 2.6 0.0 1639 1.5 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 12.0 5.5 2.0 104 1.8 10.0 4.3 0.5 357 1.9

hins (m) 6.0 0.3 0.0 1588 0.9 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 12.0 3.3 0.0 104 3.2 8.0 1.8 0.0 342 1.9

interd (m) 7.0 2.0 0.5 1891 0.8 1.5 1.5 1.0 534 0.0 1.5 1.5 1.5 334 0.0 2.6 1.0 0.2 1433 0.2 4.1 2.2 1.5 1297 0.3

sup. disp. (m2) 41.3 8.4 3.0 1586 3.56 6.0 6.0 6.0 534 0.0 6.0 6.0 6.0 334 0.0 15.0 6.0 2.4 1097 1.8 16.8 7.8 5.4 1122 1.7

ind. hegyi 44.0 5.7 0.2 1210 5.9 20.3 3.3 0.4 108 3.2 18.2 4.3 0.2 70 3.5 43.3 8.3 0.2 871 7.7 102.9 7.5 0.1 1030 9.9

età (anni) 17 11 7 1891 4 15 15 15 534 0 15 15 15 334 0 18 11 10 1433 2 11 10 9 1297 1

sn 400 135 44 1477 63 72 64 36 247 10 72 62 33 158 10 300 113 65 1017 25 400 113 37 1166 48

Allegato 3 Riepilogo dati per stazione Ottolenghi Parauro San Marco Bandiziol e Prassaccon Tartaro

MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD

n 2026 2026 2026 2026 2026 709 709 709 709 709 782 782 782 782 782 1475 1475 1475 1475 1475 334 334 334 334 334

dbh (cm) 28 5 1 1491 3 34 7 1 578 6 24 6 1 734 4 17 4 1 1296 3 46 14 2 159 8

n. polloni 21 2 0 1632 2 1 1 1 428 0 15 2 0 735 2 20 2 0 1371 2 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.

h (m) 14.0 4.5 0.0 1716 2.1 20.0 8.1 1.0 580 3.8 15.0 5.7 1.0 735 2.1 12.0 4.0 0.0 1370 1.9 20.0 7.6 1.0 174 4.2

dch (m) 8.0 2.8 0.0 1711 1.5 12.0 4.1 0.5 580 1.8 8.0 3.4 0.2 735 1.4 7.0 2.6 0.0 1371 1.4 10.0 5.2 1.0 129 2.3

hins (m) 4.0 0.1 0.0 1702 0.2 8.0 0.6 0.0 570 1.2 5.0 0.3 0.0 723 0.6 10.0 0.1 0.0 1358 0.4 7.0 2.1 0.0 126 1.7

interd (m) 4.0 2.3 0.1 2026 0.7 2.4 1.7 1.2 709 0.6 4.0 1.8 0.5 782 0.4 6.0 1.8 0.0 1475 0.8 1.2 1.2 1.2 334 0.0

sup. disp. (m2) 33.6 8.7 4.0 1699 3.8 18.6 6.4 3.7 570 2.5 10.5 5.9 2.2 723 1.1 17.5 6.4 2.3 1279 2.3 12.6 5.3 2.4 165 2.4

ind. hegyi 72.0 7.7 0.2 1129 8.4 67.2 8.1 0.2 494 9.6 75.0 8.2 0.1 653 9.9 100.0 7.1 0.1 1130 8.5 26.8 4.2 0.3 90 4.8

età (anni) 10 9 7 2026 1 12 12 12 709 0 11 10 9 782 1 11 9 7 1475 1 14 14 14 334 0

sn 450 134 30 1491 64 500 158 44 578 71 360 116 44 734 56 460 149 46 1295 74 160 66 17 155 21

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156

Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arborea

specie Quercus robur Carpinus betulus Acer campestre Fraxinus oxycarpa Fraxinus ornus

% 22% 12% 8% 6% 3%

n. 2352 1267 823 669 304

MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD

dbh (cm) 33 7 1 2297 5.1 21 5 1 1227 2.8 23 4 1 795 2.8 38 9 1 653 5.5 12 3 1 271 2.2

n. polloni 11 1 0 1767 0.7 10 2 0 939 1.0 6 2 1 660 1.1 4 1 1 553 0.6 6 2 1 259 1.2

h (m) 20.0 6.4 0.5 2335 3.2 16.0 5.3 0.5 1243 2.1 15.0 4.8 1.0 812 2.0 15.0 7.2 2.0 654 2.5 12.0 3.8 0.5 304 2.0

dch (m) 12.0 3.4 0.0 1643 1.7 7.0 3.1 0.2 913 1.5 6.0 2.9 0.0 670 1.4 8.0 3.6 0.0 524 1.4 5.0 1.5 0.0 290 0.9

hins (m) 12.0 0.8 0.0 1643 1.6 10.0 0.1 0.0 913 0.6 8.0 0.1 0.0 670 0.5 6.0 0.7 0.0 524 1.1 5.0 0.3 0.0 290 0.7

interd (m) 5.0 2.0 0.0 2352 0.8 4.5 1.9 0.0 1267 0.7 4.0 2.0 0.0 823 0.7 6.0 2.1 0.0 669 0.8 4.0 2.1 0.0 304 0.7

sup. disp. (m2) 24.0 7.6 0.0 2296 2.8 41.3 7.7 0.0 1242 3.2 33.6 7.7 0.0 811 3.1 26.4 8.1 0.0 648 3.3 16.8 8.4 0.0 298 2.8

ind. hegyi 87.6 5.7 0.1 1889 6.6 57.0 6.9 0.2 1012 6.3 69.3 7.7 0.2 616 7.6 51.0 3.8 0.1 503 4.2 67.2 9.8 0.5 228 9.7

età (anni) 18 10 7 2352 3 18 10 7 1267 3 18 11 7 823 3 17 11 7 669 3 17 11 7 304 4

Sn 400.0 112.3 36.8 2297 45.7 400.0 130.7 43.8 1227 58.5 400.0 132.9 41.7 795 55.7 400.0 96.9 32.6 653 38.2 400.0 143.0 45.5 271 59.9

Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arborea

specie Alnus glutinosa Tilia cordata Ulmus campestris Altre

% 2% 2% 1% 8%

n. 260 179 146 858

MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD

dbh (cm) 21 9 1 257 4.3 19 6 1 170 4.5 32 9 1 146 4.8 51 9 1 840 7.6

n. polloni 5 2 1 163 1.2 7 2 1 144 1.4 2 1 1 139 0.4 12 2 1 670 1.5

h (m) 16.0 7.6 1.0 260 2.8 12.0 5.2 0.5 178 2.9 17.0 7.6 2.3 145 3.3 24.0 7.8 1.0 851 4.2

dch (m) 8.0 3.0 0.2 77 1.9 6.0 2.4 0.1 115 1.5 10.0 4.4 1.0 144 1.7 12.0 3.9 0.4 715 2.0

hins (m) 8.0 1.6 0.0 77 2.0 6.0 0.1 0.0 115 0.6 6.0 0.5 0.0 144 0.9 10.0 0.7 0.0 715 1.4

interd (m) 5.0 1.7 1.0 260 0.7 3.0 1.9 1.0 179 0.6 4.5 2.0 0.0 146 0.8 4.0 1.9 0.5 855 0.6

sup. disp. (m2) 19.2 6.7 2.4 255 2.2 14.4 6.7 0.0 179 2.1 31.4 8.2 0.0 143 4.8 24.0 7.3 2.3 840 2.9

ind. hegyi 47.8 5.5 0.4 159 7.5 47.6 10.1 0.5 117 9.0 14.3 2.6 0.1 114 2.3 58.4 4.3 0.1 693 5.7

età (anni) 17 12 7 260 3 15 12 7 179 3 17 10 7 146 2 18 10 7 858 1.8

sn 350.0 95.3 40.0 257 43.6 400.0 120.0 45.0 170 70.7 280.0 93.1 46.4 145 39.0 400.0 105.7 22.2 840 46.9

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157

Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arbustiva specie Crataegus monogyna Corylus avellana Prunus spinosa Frangula alnus

% 5% 3% 3% 3%

n. 532 305 299 281

MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD

dbh (cm) 18 5 1 474 2.4 7 2 1 138 1.3 12 3 1 175 1.9 7 3 1 219 1.3

n. polloni 6 2 1 296 1.2 35 10 1 266 4.5 20 3 1 252 2.2 10 3 1 184 2.1

h (m) 14.0 5.3 1.2 479 1.9 10.0 3.6 0.5 163 1.7 8.0 3.6 1.0 196 1.4 7.0 4.1 1.0 231 1.1

dch (m) 8.0 3.5 0.5 234 1.4 7.0 2.6 0.5 147 1.6 6.0 2.9 0.4 168 1.4 4.0 1.9 0.2 171 0.9

hins (m) 20.0 0.3 0.0 234 1.4 0.0 0.0 0.0 147 0.0 2.0 0.0 0.0 168 0.2 3.0 0.2 0.0 171 0.5

interd (m) 6.0 1.4 0.2 526 0.6 7.0 1.5 1.0 302 0.5 5.0 1.6 1.0 298 0.5 4.0 1.5 1.0 281 0.6

sup. disp. (m2) 19.5 6.0 2.9 510 1.8 20.0 5.8 2.9 291 1.9 19.2 6.3 2.2 296 2.3 19.2 6.5 2.9 277 2.7

ind. hegyi 75.6 8.8 0.4 414 7.9 65.0 9.7 0.8 119 9.8 67.0 10.2 0.6 144 10.2 65.1 11.4 0.3 195 10.4

età (anni) 18 11 7 532 3 15 12 7 305 3 17 11 7 299 3 17 11 7 281 3

sn 400.0 125.1 16.7 474 43.5 460.0 217.7 50.0 138 84.3 400.0 146.7 50.0 174 68.4 500.0 176.5 40.0 217 75.8

Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arbustiva

specie Viburnum opulus Cornus sanguinea Altre

% 2% 2% 7%

n. 260 216 737

MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD

dbh (cm) 7 2 1 133 1.2 8 2 1 75 1.2 24 2 1 447 2.1

n. polloni 18 6 1 163 3.5 30 6 1 177 4.5 21 4 1 584 3.9

h (m) 6.0 3.0 1.0 158 1.1 7.0 3.1 1.0 111 1.2 11 2.7 0.5 674 1.4

dch (m) 6.0 2.5 0.5 123 1.2 8.0 2.9 0.3 85 1.4 10 1.9 0.1 594 1.4

hins (m) 1.0 0.0 0.0 123 0.1 2.0 0.0 0.0 85 0.2 2 0.0 0 594 0.1

interd (m) 2.3 1.4 1.0 258 0.4 4.0 1.6 1.0 215 0.5 4 1.5 1 729 0.5

sup. disp. (m2) 10.8 5.7 3 252 1.5 16.8 6.1 2.4 212 1.9 24.8 5.9 2.4 712 2.7

ind. hegyi 102.9 12.5 0.9 117 12.5 54.0 13.2 1.7 70 9.8 100 15.5 0.48 391 14.7

età (anni) 15 11 7 260 3 17 12 7 216 3 17 9.5 7 737 2

sn 400.0 176.7 42.9 133 71.0 400.0 209.4 50.0 75 92.4 500 192.1 36.84 446 86.1

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158

Allegato 4 Distribuzione diametrica delle altre specie arboree per posizione sociale

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22

dbh (cm)

N h

a-1

totale

dominante

codominante

dominato

Distribuzione diametrica acero campestre per posizione sociale

0

5

10

15

20

25

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34

dbh (cm)

N h

a-1

totale

dominante

codominante

Distribuzione diametrica frassino ossifillo per posizione sociale

0

1

2

3

4

5

6

7

8

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22

dbh (cm)

N h

a-1

totale

dominante

dominato

Distribuzione diametrica ontano nero per posizione sociale

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159

0

1

2

3

4

5

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

dbh (cm)

N h

a-1

dominante

Distribuzione diametrica olmo campestre in posizione sociale dominante

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

dbh (cm)

N h

a-1 tco

for

Distribuzione diametrica tiglio selvatico (tco) e orniello (for) in posizione sociale dominata

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160

Allegato 5 Curve ipsometriche altre specie arboree

0

2

4

6

8

10

12

14

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23

dbh (cm)

h (m

) dominante

codominante

dominato

Curva ipsometrica acero campestre per posizione sociale

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23

dbh (cm)

Ih (

m) dominante

codominante

dominato

Curva incremento corrente in altezza acero campestre per posizione sociale

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161

0

2

4

6

8

10

12

14

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37

dbh (cm)

h (m

) dominante

codominante

Curva ipsometrica frassino ossifillo per posizione sociale

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37

dbh (cm)

Ih (

m) codominante

dominante

Curva incremento corrente in altezza frassino ossifillo per posizione sociale

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162

0

2

4

6

8

10

12

14

16

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31

dbh (cm)

h (m

)

dominante

Curva ipsometrica olmo campestre in posizione sociale dominante

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31

dbh (cm)

Ih (

m)

dominante

Curva incremento corrente in altezza olmo campestre in posizione sociale dominante

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163

0

2

4

6

8

10

12

14

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

h (m

) dominante

dominato

Curva ipsometrica ontano nero per posizione sociale

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

Ih (

m) dominante

dominato

Curva incremento corrente in altezza ontano nero per posizione sociale

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164

0

1

2

3

4

5

6

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

dbh (cm)

h (m

) for

tco

Curva ipsometrica orniello (for) e tiglio selvatico (tco) in posizione sociale dominata

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

dbh (cm)

Ih (

m) for

tco

Curva incremento corrente in altezza orniello (for) e tiglio selvatico (tco) in posizione sociale dominata

Page 165: IL BOSCO DI MESTRE: POSSIBILI SCENARI DI GESTIONE …paduaresearch.cab.unipd.it/582/1/bellio_r.pdf · Pianura Padana. Nowadays these forests, located on a few patches in Veneto, that

165

Allegato 6 Relazione diametro fusto-diametro chioma

0

1

2

3

4

5

6

7

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23

dbh (cm)

dch

(m) dominante

codominante

dominato

Relazione diametro fusto-diametro chioma dell’acero campestre per posizione sociale

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37

dbh (cm)

dch

(m)

dominante

codominante

Relazione diametro fusto-diametro chioma del frassino ossifillo per posizione sociale

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166

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31

dbh (cm)

dch

(m)

dominante

Relazione diametro fusto-diametro chioma dell’olmo campestre in posizione sociale dominante

0

1

2

3

4

5

6

7

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

dbh (cm)

dch

(m)

dominante

dominato

Relazione diametro fusto-diametro chioma dell’ontano nero per posizione sociale

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

dbh (cm)

dch

(m)

for

tco

Relazione diametro fusto-diametro chioma del’orniello (for) e del tiglio selvatico (tco) in posizione sociale dominata