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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLI - N. 3 - 26 gennaio 2017 DOMENICA 22 GENNAIO, ORE 11 Commemorazione di Lenin a Cavriago La commemorazione, che si svolgerà in piazza Lenin davanti al busto del grande Maestro del proletariato in- ternazionale, è promossa dal PMLI.Emilia-Romagna assieme alla Federazione di Reggio Emilia del PCI. Il compagno Denis Bran- zanti tratterà il tema “Pren- diamo esempio da Lenin per trasformare l’Italia e noi stessi”. Interverrà anche il compagno Alessandro Fon- tanesi del PCI. PAG. 16 Nel capoluogo lombardo contro l’adunata di “Forza Nuova”. Nella città emiliana contro l’apertura del circolo fascista “Terra dei Padri” PRESIDI ANTIFASCISTI A MILANO E MODENA I sindaci PD delle due città Medaglia d’Oro alla Resistenza coprono a “sinistra” le forze neofasciste IN ENTRAMBI I PRESIDI ANTIFASCISTI APPREZZAMENTI VERSO IL PMLI Milano, 14 gennaio 2017 Modena, 14 gennaio 2017 Studiare, capire e agire in base al paragrafo Il Partito del discorso di Scuderi “Da Marx a Mao” pubblicato su “Il Bolscevico” n. 34/16 e sul sito http://www.pmli.it/articoli/2016/20160914_34a_discorsoScuderiMarxMao.html A SESTO FIORENTINO GOVERNATA DA SINISTRA ITALIANA Muore profugo nell’incendio del capannone in cui viveva in condizioni subumane Manganellati davanti alla prefettura i sopravvissuti al rogo che chiedevano “casa e dignità”. I comuni di Firenze e Sesto Fiorentino e la Regione toscana continuano a negare loro i più elementari diritti I vescovi e le organizzazioni cattoliche dicono no alla riapertura di questi “luoghi di trattenimento e reclusione” NO AI CIE Corteo a Bologna dietro allo striscione “Mai più Cie, mai più razzismo” La legge regionale approvata dal “centro-sinistra” permette di sottrarre al Demanio gli “usi civici” degli angoli più belli della costa e dell’entroterra UN SESTO DELLA SARDEGNA RISCHIA DI FINIRE AI PRIVATI La legge che svende il territorio pubblico ha avuto il via libera del governo Gentiloni alla vigilia di natale LA CONSULTA BOCCIA IL REFERENDUM SULL’ART. 18 Via libera a quelli su voucher e appalti Frutto del Jobs Act di Renzi IL 39,4% DEI GIOVANI SONO DISOCCUPATI Fallito il tentativo di Grillo di accreditare il M5S presso l’establishment della UE Respinto dagli ultraeuropeisti liberali, ritorna a capo chino col razzista e rezionario. Farage accettando le sue pesantissime condizioni A NOLA (NAPOLI) In ospedale i malati vengono curati per terra I responsabili sono i governi centrale e della Campania PER CONTO DI CHI E PERCHÉ SPIAVANO I DUE FRATELLI HACKER? Giulio e Francesca Occhionero, arrestati: in sei anni di spionaggio avevano creato una banca dati di 18.327 profili, tra cui quelli di Renzi, Draghi e Monti PAG. 11 PAG. 12 PAG. 6 PAG. 2 PAG. 2 PAG. 3 PAG. 13 PAG. 4 PAG. 6

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLI - N. 3 - 26 gennaio 2017

Domenica 22 gennaio, ore 11

commemorazione di Lenin a cavriago

La commemorazione, che si svolgerà in piazza Lenin davanti al busto del grande Maestro del proletariato in-ternazionale, è promossa dal PMLI.Emilia-Romagna assieme alla Federazione di Reggio Emilia del PCI.

Il compagno Denis Bran-zanti tratterà il tema “Pren-diamo esempio da Lenin per trasformare l’Italia e noi stessi”. Interverrà anche il compagno Alessandro Fon-tanesi del PCI. Pag. 16

nel capoluogo lombardo contro l’adunata di “Forza nuova”. nella città emiliana contro l’apertura del circolo fascista “Terra dei Padri”

Presidi antifascisti a Milano e ModenaI sindaci PD delle due città Medaglia d’Oro alla Resistenza coprono a “sinistra” le forze neofascisteIn entRaMbI I PResIDI antIfascIstI aPPRezzaMentI veRsO Il PMlI

Milano, 14 gennaio 2017 Modena, 14 gennaio 2017

Studiare, capire e agire in base al paragrafo Il Partito del discorso di Scuderi “Da Marx a Mao”

pubblicato su “Il Bolscevico” n. 34/16 e sul sitohttp://www.pmli.it/articoli/2016/20160914_34a_discorsoScuderiMarxMao.html

a SeSTo FiorenTino governaTa Da SiniSTra iTaLiana

muore profugo nell’incendio del capannone in cui viveva

in condizioni subumaneManganellati davanti alla prefettura i sopravvissuti al rogo che

chiedevano “casa e dignità”. I comuni di firenze e sesto fiorentino e la Regione toscana continuano a negare loro i più elementari diritti

i vescovi e le organizzazioni cattoliche dicono no alla riapertura di questi “luoghi di trattenimento e reclusione”

no ai cie corteo a bologna dietro allo striscione “Mai più cie,

mai più razzismo”

La legge regionale approvata dal “centro-sinistra” permette di sottrarre al Demanio gli “usi civici” degli angoli più belli della costa e dell’entroterra

Un sesto della sardegna rischia di finire ai Privatila legge che svende il territorio pubblico ha avuto il via libera del governo Gentiloni alla vigilia di natale

La conSuLTa boccia iL reFerenDum SuLL’arT. 18

via libera a quelli su voucher e appalti

Frutto del Jobs act di renzi

il 39,4% dei giovani sono disoccUPati

Fallito il tentativo di grillo di accreditare il m5S presso l’establishment della ue

Respinto dagli ultraeuropeisti liberali, ritorna a capo chino col razzista e rezionario. farage accettando le sue pesantissime condizioni

a noLa (naPoLi)

in ospedale i malati vengono curati per terra

I responsabili sono i governi centrale e della campania

Per conTo Di chi e Perché SPiavano i Due FraTeLLi hacker?

Giulio e francesca Occhionero, arrestati: in sei anni di spionaggio avevano creato una banca dati di 18.327 profili, tra cui quelli di Renzi, Draghi e Monti

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2 il bolscevico / interni N. 3 - 26 gennaio 2017

Frutto del Jobs Act di Renzi

Il 39,4% deI gIovanI sono dIsoccupatIIl Jobs Act si prepara a ce-

lebrare il suo terzo compleanno con una certificazione di falli-mento assoluto. Le ultime rile-vazioni Istat ci informano che la disoccupazione giovanile è sa-lita nuovamente al 39,4% a no-vembre 2016, un tasso record da novembre 2015.

Dalle rilevazioni emerge che i 50enni continuano a lavora-re, per via della riforma Forne-ro che ha allontanato la pensio-ne, ma in condizioni sempre più precarie. Le stesse nelle qua-li lavorano gli under 49, dove però la disoccupazione è più alta. I numeri della perdita di oc-cupazione rispetto al novembre 2015 fra i 35-49enni si aggirano sui 160mila nuovi senza-lavoro, 88mila fra i 25-34enni e 5mila fra i più giovani di 24 anni.

Quindi, anche chi ha la fortu-na, per motivi anagrafici, di ave-re un lavoro, vive comunque con molte meno tutele e in con-

dizioni precarie, al pari dei più giovani. Come noi sosteniamo da tempo, è pertanto evidente che le chiacchiere sullo “scon-tro generazionale” fanno como-do solamente al capitale perché dividono i lavoratori giovani da quelli anziani, quando in realtà vivono nelle stesse condizioni di sfruttamento e hanno quindi lo stesso interesse a cambiare.

Va detto che le cifre sono in parte confuse dal fatto che, fra i numerosi nuovi disoccupa-ti, 57mila sono ex inattivi che si sono ora messi in cerca di un lavoro. Per sapere se l’han-no trovato, bisognerà aspetta-re le nuove rilevazioni. Tutta-via anche questo dato indica che chi esce dalla cosiddetta “inattività” trova tutt’altro che un mercato accogliente ed è a sua volta condannato a duri periodi di disoccupazione. Inol-tre non cambia il fatto che per una fetta larghissima di giova-

ni non c’è lavoro, senza conta-re che molti di quelli che il la-voro sono riusciti a trovarlo si trovano in condizioni tutt’altro che dignitose,magari pagati a “voucher”.

Le condizioni probabilmente peggioreranno quest’anno vi-sto che si esauriranno del tut-to gli sgravi fiscali generosa-mente concessi al padronato dal governo per assumere col

Jobs Act. Già nel 2016, col ta-glio dei bonus da poco più di 8mila euro a 3.250 euro, si è registrato un crollo delle as-sunzioni, dimostrando che la riforma del lavoro approvata

nel 2014 è tutt’altro che la pa-nacea di tutti i mali per la di-soccupazione, soprattutto gio-vanile, e non indebolisce il precariato ma lo estende a tut-ti, grazie al quale i padroni pos-sono licenziare a piacimento e l’articolo 18 non esiste più per nessuno. È questo il principale vantaggio per il capitale, ormai irrinunciabile, tanto che la Con-sulta l’ha difeso a spada tratta dichiarando inammissibile il re-ferendum per ripristinare l’arti-colo 18. Mentre non c’è stato nessun miglioramento sostan-ziale dell’occupazione.

Con buona pace di Renzi e del suo continuatore Gentiloni, il quale nel professare fedeltà agli atti dell’esecutivo del neo-duce di Rignano ha proclama-to come prima cosa che il Jobs Act non si tocca. Rivelandosi così nemico dei lavoratori tan-to quanto il suo predecessore e manovratore.

La Consulta boccia il referendum sull’art. 18 Via libera a quelli su voucher e appalti

L’11 gennaio la Corte Costi-tuzionale si è espressa sull’am-missibilità dei tre referendum proposti dalla Cgil che ha rac-colto per l’occasione 3,3 milio-ni di firme. Dei tre quesiti è sta-to bocciato quello che avrebbe permesso la reintroduzione dell’articolo 18 e la sua esten-sione alle ditte sopra i 5 dipen-denti (prima il limite era sopra i 15), di fatto abolito dal Jobs Act che ha cancellato il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, sostituendolo con un misero “risarcimento” che la-scia senza tutele il lavoratore e concede mano libera ai padro-ni. La Consulta si è comunque spaccata, in 5 (compresa la re-latrice) hanno votato per il sì e otto per il no.

Via libera invece a quello che chiede l’abolizione dei voucher, i buoni lavoro che legalizzano il lavoro nero, introdotti limita-tamente nel 2008 con il gover-no Prodi e liberalizzati da Mon-ti nel 2012 mentre il Jobs Act ne ha ulteriormente ampliato il suo utilizzo, tanto che recente-mente c’è stata una vera e pro-pria esplosione del fenomeno: negli ultimi 4 anni l’utilizzo dei voucher è decuplicato. È stato ammesso anche il terzo refe-rendum che chiede l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legi-slativo del 10 settembre 2003, cioè il ripristino della responsa-bilità dell’azienda appaltatrice, oltre a quella che prende l’ap-palto, in caso di violazioni subi-te dai lavoratori, norma che era stata cancellata dalla legge Bia-gi. Su entrambi c’è stata l’unani-mità della Consulta.

La bocciatura da parte del-la Corte Costituzionale del re-ferendum sull’articolo 18 è stata chiaramente una decisione po-litica. Per il governo sarebbero stati guai perché in caso di vit-toria il sì avrebbe assestato un colpo pesante al Jobs Act che tra tutte è la “riforma” chiave del governo Renzi rispetto al qua-le Gentiloni agisce in continuità. È molto meglio che questo re-ferendum non si faccia, anche per non intralciare il percorso

che il presidente della Repub-blica Mattarella, assieme alla maggioranza delle forze parla-mentari, ha intrapreso: aspetta-re un’altra sentenza della Con-sulta, quella sull’Italicum, la legge elettorale di stampo fasci-sta, per poi andare ad eventua-li elezioni non prima di giugno.

Naturalmente i comunicati emessi dai giudici non trattano di questo tema e tentano di giu-stificare tale decisione con mo-tivazioni strettamente tecniche. La principale è quella di un refe-rendum “manipolativo” anziché abrogativo, ovvero di un quesito che andrebbe a modificare una legge e non abrogarla, unica modalità prevista dalla nostra Costituzione affinché possa es-sere ammessa una consulta-zione referendaria. Una forza-tura bella e buona perché tutti i referendum, in ogni caso, abro-gando una legge o parte di essa vanno a modificarla e non tiene conto dei precedenti. Nel 2003 un altro referendum sull’articolo 18 che chiedeva la sua esten-sione in ogni luogo di lavoro, quindi anche in aziende con un solo dipendente, fu ammesso e si tenne regolarmente nono-

stante non raggiunse il quorum.Per rimanere sui temi tecni-

co-giuridici bisogna anche sot-tolineare come la Cgil si avva-le della consulenza di affermati costituzionalisti e prima di for-mularlo avrebbe dovuto valutar-lo meglio visto che a detta de-gli esperti in materia il quesito è molto lungo, articolato e si pote-va mettere in conto che vi erano degli appigli per respingerlo. Su quotidiani e riviste alcuni gior-nalisti hanno balenato l’ipotesi che la Cgil stessa lo abbia fatto di proposito, abbia cioè scelto di farsi rigettare dalla Consulta proprio il tema principale evitan-do il referendum e al contempo salvare la faccia davanti ai pro-pri iscritti e ai lavoratori.

Questo non possiamo sa-perlo ma non è da escludere a priori. Ad ogni modo la strate-gia della Cgil non è stata certo delle migliori visto che, tra le al-tre cose, non ha avuto neppure l’accortezza di tenersi alla larga dai voucher, metodo di paga-mento ampiamente praticato in diverse strutture sindacali, spe-cie dallo SPI, per rimborsare i pensionati che vi lavorano oc-casionalmente. Un utilizzo, sep-

pur marginale, che poco s’addi-ce a chi vuole abolirli e subito strumentalizzato dal presidente dell’Inps Tito Boeri che in un’in-tervista a “Repubblica” ha scio-rinato tutti i dati in suo posses-so sul volume dei voucher usati dalla Cgil, dati evidentemente tenuti già pronti in un cassetto in attesa di essere tirati fuori al momento opportuno.

Ma l’aspetto principale ri-guarda le implicazioni e le valu-tazioni politiche di questa boc-ciatura. In questo modo una parte della Corte Costituzio-nale ha tolto al popolo la pos-sibilità di esprimersi su que-stioni che riguardano il lavoro che nominalmente rappresen-ta un valore fondamentale del-la Costituzione come affermato nell’articolo uno: “l’Italia è una Repubblica democratica, fon-data sul lavoro”. Evidentemente lo schiaffo avuto da Renzi con il referendum costituzionale bru-ciava ancora e si è voluto evi-tare un’altra prova che potesse destabilizzare l’attuale asset-to governativo e al tempo stes-so attirarsi le critiche dell’Unio-ne Europea imperialista sempre pronta a rimbrottare l’Italia per

la sua scarsa stabilità politica.Capofila di questa cordata

è stato Giuliano Amato, il vec-chio volpone craxiano ed ex presidente del Consiglio, ades-so membro della Corte Costi-tuzionale. L’ex esponente del PSIUP, poi PSI e ora PD, si è dato un gran d’affare per soste-nere la bocciatura del referen-dum sull’articolo 18. Quasi tutti i giornali, dal Corriere della Sera, al Fatto Quotidiano, al Giorna-le di Berlusconi definiscono l’ex braccio destro di Craxi come principale “pontiere” tra i giudici costituzionali e il Quirinale, co-lui che ha avuto il ruolo del pro-tagonista nell’evitare una grana di non poco conto al governo Gentiloni.

Detto questo non ci possia-mo esimere dal criticare la Cgil, stavolta non tanto sulla strate-gia e su questioni di opportu-nità ma sul piano strettamente politico perché il sindacato della Camusso ha fatto affidamento principalmente sui referendum anziché sulla lotta di classe. Per imporre al governo la retro-marcia sul Jobs Act era neces-sario portare subito in piazza i lavoratori e le masse popola-

ri mentre quella della via legi-slativa, dei ricorsi in tribunale è una strada che spesso porta in un vicolo cieco, specie se non è supportata da una forte mo-bilitazione sociale. Già ad inizio 2014 il Jobs Act era delineato, il decreto Poletti risale al 20 mar-zo di quell’anno, e già c’erano tutti i presupposti per il contrat-tacco alle misure governative.

Invece la Cgil ha perso tem-po prezioso e al di là di critiche di circostanza è stata a guarda-re, confidando in una improba-bile azione di rettifica del Jobs Act a livello parlamentare e dentro il partito di Renzi da par-te della parolaia e inconcluden-te sinistra PD. In seguito ha lan-ciato il primo sciopero generale a dicembre 2014 quando ora-mai la legge delega (che con-teneva i decreti attuativi) era già stata approvata da un ramo del parlamento, senza dare poi seguito alla mobilitazione nel 2015. Infine annunciava che il contrasto del Jobs Act sarebbe stato trasferito nella contratta-zione ma non vi è stata traccia, anzi. Anche per i metalmecca-nici, che hanno come segre-tario Landini, che si proclama strenuo difensore dell’articolo 18, è stato firmato uno dei peg-giori accordi del settore privato.

La Camusso ha annuncia-to che la Cgil farà ricorso alla Corte europea ma all’orizzon-te si profila l’annullamento di tutti i referendum, anche per-ché eliminato quello più signi-ficativo e trainante difficilmente gli altri due avrebbero la possi-bilità di raggiungere il quorum. Questo scenario è confermato anche dalle prime dichiarazio-ni del governo che ha annun-ciato un “contenimento” dell’u-tilizzo dei voucher, limitando di poco l’importo massimo annua-le consentito e vietandolo in al-cuni settori. Aggiustamenti che di fatto non cambierebbero la natura dei voucher, strumento al servizio del lavoro nero le-galizzato, ma basterebbero alla Cgil per salvare la faccia e as-segnarsi il merito di aver regola-mentato l’uso dei buoni lavoro.

Roma, 23 marzo 2002. Lo spezzone del PMLI fa il suo ingresso al Circo Massimo, accolto dagli applausi dei presenti, dove si svolge la manifestazione nazionale della CGIL in difesa dell’articolo 18. Considerata la più grande manifestazione di massa dal dopoguerra vide la presenza di 4 milioni di lavoratrici e lavoratori. Il PMLI partecipò con una folta delegazione nazionale diretta dal Segretario generale del Partito, compagno Giovanni Scuderi (foto il Bolscevico)

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N. 3 - 26 gennaio 2017 interni / il bolscevico 3

Per conto di chi e Perché sPiavano i due fratelli hacker? Giulio e Francesca Occhionero, arrestati: in sei anni di spionaggio avevano creato una banca dati di 18.327

profili, tra cui quelli di Renzi, Draghi e MontiOltre 18 mila account

spiati nel corso di diversi anni, appartenenti a politici - tra cui Renzi, Draghi e Mon-ti - ma anche a istituzioni, aziende, uomini d’affari, stu-di legali, e un’immensa mole di dati da 87 Gigabyte ac-cumulati in forma criptata in due server negli Stati Uniti: questa l’impressionante atti-vità di spionaggio messa in piedi da due fratelli, Giulio e Francesca Maria Occhione-ro, lui ingegnere nucleare ed esperto informatico, appar-tenente ad una loggia mas-sonica, e lei chimica, sua so-cia nelle attività di famiglia ufficiali e con un passato di “security manager” in una società dell’Iri, arrestati il 10 gennaio su ordine della Pro-cura di Roma con le accuse di “procacciamento di notizie concernenti la sicurezza del-lo Stato; accesso abusivo a sistema informatico; intercet-tazione illecita di comunica-zioni informatiche”.

L’inchiesta, denomina-ta in codice “Eye Pyramid”, dal nome del programma “malware” di vecchia genera-zione e abbastanza noto, ma che Giulio Occhionero ave-va riadattato personalmen-te per inviarlo con delle fin-te e-mail alle utenze prese di mira, in modo che una volta installatosi sui loro computer e smartphon poteva permet-tergli di carpire tutte le loro comunicazioni, era partita a marzo 2016, dopo la segna-lazione alla polizia postale di una e-mail sospetta rice-vuta da un dirigente dell’E-nav. Il direttore della polizia postale, Roberto Di legami, che pure aveva condotto con successo le indagini, è sta-to ora rimosso e trasferito ad altro incarico dal capo della polizia Gabrielli, per non aver informato in tutti questi mesi, tramite catena di comando, i servizi segreti e i politici e gli alti dirigenti le cui comunica-zioni informatiche erano sot-to attacco.

Tra le 18.327 utenze spia-te, per 1.793 delle quali i due fratelli erano riusciti anche a ottenere le password, c’era infatti anche lo smartphone dell’ex presidente del Consi-glio Renzi, che come ben si sa lo usava disinvoltamente e a profusione tanto per le sue faccende private quanto per quelle di Stato; ma anche gli account e-mail dell’allora presidente della Banca d’I-talia, Draghi, dell’ex premier Mario Monti e di altri perso-naggi politici, come l’ex mini-stro della Difesa La Russa, l’ex sindaco di Torino, Fassi-no, l’ex ministro Saccomanni e molti altri. C’erano alte ca-riche militari come Paolo Po-letti, ex vicedirettore dell’Ai-se (servizi segreti interni) e il comandante generale del-la guardia di finanza, Capo-

lupo. C’era il cardinale Gian-franco Ravasi e c’erano ex presidenti e funzionari di Re-gione, esponenti di partito, e così via.

“non è un’iniziativa isolata di due

fratelli”Non si sa a quante di que-

ste utenze siano state carpi-te anche le password, e qua-li eventuali segreti di Stato siano stati scaricati sui due server usati dalla coppia, al-meno finché i pm non siano riusciti ad ottenerli per ro-gatoria dalle autorità ame-ricane, che nel frattempo li hanno messi sotto custodia dell’Fbi. Da parte sua Giu-lio Occhionero respinge ogni addebito a suo carico, so-stenendo che la sua era una semplice attività di raccolta informazioni per il suo lavoro di consulente finanziario su indirizzi e-mai noti e accessi-bili a tutti, e che i dati criptati trovati nei suoi pc potrebbero essere stati messi dagli stes-si inquirenti durante l’indagi-ne. Nega inoltre il consenso all’accesso ai dati sui server accampando il diritto alla pri-vacy e si dice sicuro che an-che le autorità americane fa-ranno altrettanto.

Anche la sorella, che pure prima di essere arrestata aveva digitato diverse pas-sword sbagliate per bloc-care l’accesso al suo pc, nega tutto dichiarando anzi di non avere dimestichez-za coi computer. Ma i due fratelli non agivano proprio da soli, visto che anche la madre, Marisa Ferrari, do-cente della Sapienza, sem-bra stia per essere indagata per favoreggiamento, men-tre nell’inchiesta sono finiti accusati di favoreggiamen-to anche un vicebrigadiere dei carabinieri, denunciato per aver commissionato ad un suo sottoposto una ricer-ca per scoprire l’esistenza di eventuali procedimenti a ca-rico dei due fratelli, e un po-liziotto della stradale di Sala Consilina, Maurizio Mazzel-la, appartenente alla stes-sa loggia massonica di Oc-chionero, che aveva cercato per suo conto di sapere se e quali elementi avessero in mano gli inquirenti che sta-vano indagando sui tentativi di hackeraggio.

Lo stesso Gip Maria Pa-ola Tomaselli, nell’ordinan-za di custodia cautelare os-serva che la vicenda non è “un’isolata iniziativa di due fratelli”, ma si colloca “in un più ampio contesto dove più soggetti operano nel setto-re della politica e della finan-za”. Ci si chiede quindi qua-li siano questi soggetti, e a chi e a cosa servissero tut-ti questi dati carpiti dai due

spioni, giacché, come an-che gli stessi inquirenti sug-geriscono, appare inverosi-mile che servissero solo per farne un uso personale, os-sia per sfruttare informazio-ni riservate utili a speculare sul mercato finanziario, o per venderle a soggetti terzi mi-ranti allo stesso scopo. Può esserci anche questo, ma deve esserci un giro occulto ancora più vasto, altrimenti non si capirebbe la necessi-tà di tutta una frenetica atti-vità di società messe in pie-di in forma di scatole cinesi e di relazioni politiche e mas-soniche, anche internaziona-li, intessute dagli Occhionero (un nome un destino), ancor prima di iniziare il loro siste-matico programma di spio-naggio.

la pista massonica e i legami con gli usaIntanto, come sempre è

accaduto in vicende simili in Italia, c’è una pista mas-sonica: Giulio Occhionero risulta infatti membro della loggia “Paolo Ungari-Nicola

Ricciotti Pensiero e Azione” di Roma, aderente al Gran-de Oriente d’Italia (Goi), di cui secondo le indagini stava tentando la scalata con l’am-bizione di diventarne “Mae-stro venerabile”. E a questo scopo raccoglieva informa-zioni sui suoi membri, classi-ficate tra le sue centinaia di cartelle elettroniche sotto la voce “Bros”, ossia “fratelli”.

In questa loggia ci sono diversi esponenti dell’alta bu-rocrazia di Stato, tra cui un personaggio a cui Occhio-nero è molto legato: Ubaldo Livolsi, finanziere siciliano, una condanna per bancarot-ta, che per Berlusconi orga-nizzò il salvataggio finanzia-rio della Fininvest e quotò in Borsa il marchio Mediaset. Inoltre lo spione era affiliato anche ad una loggia masso-nica americana dell’Illinois, e avrebbe fatto da ponte per una sorta di gemellag-gio massonico tra questa e il Goi, partecipando anche ad una cerimonia massonica negli Stati Uniti. Curiosamen-te, poi, uno degli username di comodo usati per indiriz-

zare la posta rubata era lo stesso usato dal computer del piduista Luigi Bisignani, come risulta nell’inchiesta napoletana sulla cosiddetta P4 di cinque anni fa.

Ma i legami internaziona-li dei due spioni, in particola-re con gli Usa, non si limita-no alla massoneria. C’è per esempio la loro società di comodo, la Westlands secu-rities srl limited, con sede a Malta, usata per offrire i loro servizi di “consulenza”, una scatola cinese controllata a sua volta da due società of-fshore, di cui una con sede nel Delaware. Proprio trami-te quest’ultima gli Occhio-nero furono sponsorizza-ti dal governo americano di Bush interessato ad acqui-sire un’area nel porto di Ta-ranto per creare una base d’appoggio per la sua ma-rina militare svincolata dal comando Nato e risponden-te direttamente al comando Usa di San Diego in Califor-nia. Un progetto travestito da installazioni destinate ai con-tainer garantito dallo stan-ziamento di ben 800 milioni

di dollari da parte della ban-ca americana Bear Stearn, e dal deciso sostegno ai due fratelli dell’allora ambascia-trice Usa a Roma, Barbara Leaf. Le pressioni americane sortirono il loro effetto, visto che nel 2007 l’allora ministro delle Infrastrutture del go-verno Prodi, Antonio di Pie-tro, fece inserire un apposito comma nella Finanziaria per una deroga al piano regola-tore di Taranto, anche se poi il progetto non andò avanti.

Vedremo a quali sviluppi porterà l’inchiesta e se si po-trà capire meglio a chi servis-se l’impressionante attività di spionaggio messa in pie-di dagli arrestati. Quel che è certo è che anche questa vi-cenda conferma come poteri occulti e trame massoniche continuino a farla da padro-ne e a tirare i fili della politi-ca nel nostro Paese, anche dall’estero e segnatamente dall’altra sponda dell’Atlanti-co. E come si incrocino sem-pre gli stessi ambienti e gli stessi personaggi che da de-cenni inquinano e ammorba-no la scena pubblica italiana.

De Luca inDagato per “istigazione aL voto

Di scambio”Chiuso il primo fascicolo

aperto il 24 novembre sen-za ipotesi di reato, il 13 di-cembre la Procura di Napoli ne ha aperto un altro a cari-co del governatore piddino della Campania Vincenzo De Luca accusato di “istigazione al voto di scambio e violazio-ne delle norme elettorali” in riferimento a quanto intimato da De Luca nel corso di un incontro con circa 300 ammi-nistratori locali ai quali chie-deva di darsi da fare per far votare Sì al referendum co-stituzionale dello scorso 4 di-cembre.

“Mandatemi fax con nu-meri realistici dei voti per il Sì. Fate il porta a porta e non pensate ad altro”, aveva det-to De Luca alla platea di 300 sindaci riuniti all’hotel Ra-mada il 15 novembre scor-so, alla vigilia del referendum sulla riforma costituzionale. Un monologo di 25 minuti, condito dalla ormai celebre frase sulla “clientela orga-nizzata, scientifica, raziona-le come Cristo comanda” at-tribuita al sindaco di Agropoli Franco Alfieri invitato a porta-re alle urne la metà dei suoi concittadini: “vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non veni-re qui con un voto in meno di

quelli che hai promesso”.Il Pubblico ministero (Pm)

Stefania Buda ha iscritto il fascicolo a modello 21 che, dopo una prima fase in cui si procedeva per “fatti non costituenti notizie di reato”, consente agli inquirenti di av-viare accertamenti più appro-fonditi.

L’obiettivo è verifica-re se all’ombra dell’incontro dell’hotel Ramada possa es-sere configurata una viola-zione delle normative a tutela del voto. E questo non tanto o non solo per quella esorta-zione rivolta ad Alfieri, ma so-

prattutto per quel riferimento ai “fax con numeri realistici” chiesti ai sindaci presenti in platea.

Nel file audio, pubblica-to in esclusiva su ilfattoquo-tidiano.it. e acquisito agli atti dalla Guardia di Finanza il 24 novembre, si sente De Luca, già condannato per abuso d’ufficio, che incita i sinda-ci a darsi da fare per vota-re e far votare Sì al referen-dum costituzionale perché il premier Matteo Renzi “man-da fiumi di soldi” in Campa-nia. Si sente De Luca indica-re come esempio il sindaco

di Agropoli, Franco Alfieri, il campione “delle clientele scientifiche, che bella cosa”, spronandolo a raccogliere al-meno 4.000 voti e sollecitan-do agli altri sindaci presenti a fare come lui.

Il Pm Buda ha già sentito il portavoce del governato-re Paolo Russo, il giornalista della redazione di Salerno de “Il Mattino” indicato da De Luca come destinatario dei “fax da inviare” con il nume-ro delle persone incontrate in campagna elettorale e una indicazione più o meno preci-sa del numero dei voti che si prevedeva di raccogliere. Nei prossimi giorni toccherà ai responsabili del comitato re-ferendario campano per il Sì: Piero De Luca, figlio del pre-sidente, e Francesco Nicode-mo, ex consigliere comunale di Napoli e fino a pochi giorni fa capo della comunicazione social del premier Renzi.

Ai primi di gennaio anche alcuni sindaci che presero parte all’incontro sono stati interrogati in procura come persone informate dei fatti.

Al vaglio degli inquiren-ti ci sarebbe anche un altro aspetto dell’inchiesta ineren-te le minacce di morte rivol-te da De Luca al presidente della commissione Antima-fia Rosy Bindi “un’infame, da ammazzare“.

Vincenzo De Luca incassa il plateale sostegno dell’allora premier Matteo Renzi durante la sua campagna elettorale

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4 il bolscevico / interni N. 3 - 26 gennaio 2017

Fallito il tentativo di Grillo di accreditare il M5S preSSo

l’eStabliShMent della Ue Respinto dagli ultraeuropeisti liberali, ritorna a capo chino col razzista e reazionario

Farage accettando le sue pesantissime condizioniUna disfatta, un suicidio politi-

co, una figura disastrosa su scala internazionale: i giudizi impietosi della stampa sul “lunedì nero” del Movimento 5 Stelle si sprecano, quando Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno dapprima ten-tato, con una mossa spericolata e preparata in gran segreto, di lasciare il gruppo del razzista e reazionario Nigel Farage al par-lamento europeo e traslocare nel gruppo degli ultraeuropeisti libe-rali, facendo approvare in fretta e furia l’operazione con la solita votazione on-line; per poi, subito dopo, incassato lo schiaffo del-la sconfessione dell’accordo da parte dei maggiorenti del gruppo che li doveva accogliere, tornare con la coda tra le gambe da Fa-rage e accettare le sue umilianti condizioni per essere riammessi tra le sue file.

Tutto è cominciato domeni-ca 8 gennaio, quando sul blog di Grillo gli iscritti del M5S sono stati chiamati perentoriamente e senza alcun preavviso a votare la decisione del “capo politico” e di Casaleggio di lasciare il grup-po Effd gestito insieme agli in-glesi dell’Ukip per quello di Alde (Alliance of Liberals and Demo-crats of Europe), guidato dall’ex premier belga Guy Verhofstadt, lo stesso che un anno fa il M5S aveva definito un “impresentabi-le collezionista di poltrone” e le-ader del “gruppo più europeista esistente”. Un’operazione di cui erano stati tenuti all’oscuro non solo gli iscritti, ma persino i par-lamentari europei del movimento, rimasti del tutto spiazzati e scan-dalizzati dall’annuncio dell’accor-do negoziato con il leader liberale sopra le loro teste.

A trattare in gran segreto con Verhofstadt era stato l’eurode-putato trevigiano Davide Borrelli, copresidente del gruppo Effd, ex primo consigliere comunale stori-co del M5S nel 2008, ammiratore di Renzi e vicino a Confindustria (è stato lui a convincere l’impren-ditore Massimo Colomban ad affiancare la Raggi come con-sigliere), e soprattutto socio di Davide Casaleggio e Max Bugani nell’Associazione Rousseau, che gestisce tutta la comunicazione e la piattaforma digitale del movi-mento. Il motivo per cui gli stessi parlamentari M5S erano stati te-nuti all’oscuro dell’accordo fino al giorno della votazione on-line, era secondo Borrelli che “serviva rapidità”, e non si poteva correre il rischio di “fughe di notizie” che pregiudicassero l’esito della trat-tativa.

Un puro tornaconto economico e politico

Dopo la Brexit il riposizio-namento del M5S all’interno dell’europarlamento era diventato all’ordine del giorno, vista la per-dita di peso politico degli alleati inglesi e la loro futura sparizione. Ma a spingere Grillo e Casaleggio verso il gruppo degli eurolibera-li, il gruppo più dichiaratamente europeista e liberista, favorevole all’austerity e al trattato commer-ciale transatlantico con gli Usa, più che le porte chiuse del gruppo dei Verdi è stato il puro tornacon-to economico e politico: restare da soli e finire di conseguenza nel gruppo misto avrebbe comporta-to infatti la perdita dei lauti sussidi da 40 mila euro a deputato, pari a

680 mila euro l’anno per l’intero gruppo. Che inoltre sarebbe stato relegato in una posizione politica-mente marginale e ininfluente.

Invece, come spiegava Grillo sul blog invitando gli iscritti ad approvare l’operazione, “Alde conta 68 eurodeputati e con i nostri diventerebbe la terza forza politica al Parlamento europeo. Questo significa acquisire un peso specifico di notevole im-portanza nelle scelte che si pren-dono. Significa in molti casi rap-presentare l’ago della bilancia: con il nostro voto potremo fare la differenza e incidere sul risul-tato di molte decisioni importanti per contrastare l’establishment europeo”. Una spiegazione che mascherava ipocritamente una posta in gioco, in questo accor-do, di ben più concrete e urgen-ti ambizioni, di cui Grillo non ha fatto parola: tra cui, per quanto riguarda Verhofstadt, l’appoggio del M5S alla sua candidatura alla presidenza del parlamento di Strasburgo, in concorrenza con gli italiani Gianni Pittella per il Pse e Antonio Tajani per il Ppe; e per il M5S, oltre al mantenimento dei lauti finanziamenti, l’appoggio dei liberali alla candidatura dell’euro-deputato romano Fabio Massi-mo Castaldo alla vicepresidenza dell’europarlamento, nonché la nomina di Borrelli a presidente del nuovo gruppo Alda, forte di 85 deputati e terza forza dell’as-semblea.

Ma soprattutto con questa operazione Grillo e Casaleggio miravano ad accreditarsi come forza “responsabile” presso l’establishment europeo, nel qua-dro della strategia di legittimazio-ne del M5S come futura forza di

governo in Italia. Un matrimonio d’interesse in piena regola, dun-que, in barba alle sempre procla-mate convinzioni antieuropeiste di Grillo, e poco importa che il vi-cepresidente della Camera e pre-mier cinquestelle in pectore, Lu-igi Di Maio – l’unico del vecchio Direttorio a cinque, insieme ad Alessandro Di Battista, ad essere al corrente della trattativa con gli euroliberali – abbia cercato di mi-nimizzarne la portata politica so-stenendo che sarebbe stata “solo una scelta tecnica”.

lasciato in mezzo al guado dagli

euroliberaliNon ci hanno creduto neanche

molti europarlamentari M5S, che non hanno mancato di esprimere malumori e dissensi, anche per il metodo antidemocratico tenuto da Grillo e Casaleggio. Nel grup-po pentastellato è stato avanzato addirittura il sospetto che dietro l’operazione vi fosse un inte-resse privato della Casaleggio Associati, di guadagnare influen-ze nell’europarlamento in vista dell’imminente ridefinizione a li-vello europeo del mercato unico digitale, e quindi della legislazio-ne sulla rete, sull’e-commerce e l’editoria on-line, che riguardano proprio il core-business dell’as-sociazione. Tanto che Casaleggio non aveva aspettato neanche la conclusione della votazione on-line per volare a Bruxelles per fir-mare l’accordo con Verhofstadt. Mentre Grillo, altrettanto sicuro del suo esito scontato, se ne ri-maneva a godersi il sole nel suo

dorato ritiro di Malindi.Ma i due banditi avevano fatto

i conti senza l’oste, che nella fat-tispecie erano i maggiorenti del gruppo euroliberale, soprattutto i francesi, i finlandesi e i tedeschi, che alla notizia dell’accordo con i cinquestelle si sono immediata-mente ribellati e lunedì 9 hanno imposto al loro capogruppo una clamorosa marcia indietro, con la motivazione ufficiale che “non ci sono sufficienti garanzie di porta-re avanti un’agenda comune per riformare l’Europa”. Allo scornato Grillo non restava altro che ma-scherare il disastro politico con questa ridicola dichiarazione sul blog: “L’establishment ha deciso di fermarci, tutte le forze possi-bili si sono mosse contro di noi, abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima”. E supplicare in ginocchio Farage di riammet-terlo nel suo gruppo da cui si era appena staccato, per non restare col cerino in mano, rifiutato da tutti i gruppi e senza neanche i soldi del finanziamento.

Grillo torna in ginocchio da Farage

Da parte sua il leader dell’Ukip ha acconsentito a riprenderselo, ma non senza porre al capo del M5S una serie di umilianti condi-zioni: a cominciare dalla testa di Borrelli, destituito dalla carica di copresidente del gruppo; dalla rinuncia di Castaldo a candidar-si per la vicepresidenza dell’eu-roparlamento e del suo collega Piernicola Pedicini a candidato di bandiera del gruppo per la presi-denza; nonché dalla perdita del coordinamento delle attività del

gruppo nelle due commissioni parlamentari che si occupano di ambiente, giustizia, diritti civili e immigrazione.

E come se non bastasse, lo sconquasso provocato dalla mal-destra operazione nel gruppo M5S, ha avuto come conseguen-za la defezione di due europarla-mentari: il pizzarottiano Marco Af-fronte, che se ne va con i Verdi, e il lombardo Marco Zanni, passato al gruppo dei lepenisti in cui milita anche la Lega di Salvini. E solo per un pelo è rientrata la fuga verso i Verdi dell’eurodeputata Daniela Aiuto, convinta a rimanere dopo una telefonata di Grillo, mentre non si esclude che altri abbando-ni possano verificarsi in seguito, nonostante le sue minacce di far pagare ai transfughi multe salate da 250 mila euro.

Farage ha anche preteso da Grillo una riaffermazione di impe-gno politico coerente con la linea euroscettica, razzista e xenofoba del suo gruppo, che il leader del M5S si è affrettato a dargli di-chiarando ancora una volta che “occorre espellere rapidamente gli immigrati irregolari nel giro di qualche giorno”. Tutto ciò a ulteriore dimostrazione dell’op-portunismo e del qualunquismo di destra di questo monarca e imbroglione borghese, che pas-sando autoritariamente sopra la testa dei suoi stessi seguaci non si vergogna di cambiare due vol-te alleanza nel giro di due giorni. Per poi tornare a tuonare contro l’establishment europeo, ma solo dopo aver fallito il tentativo di accreditarsi presso di esso per spianarsi la strada al potere.

Una cricca di iMprenditori vicini alla ’ndranGheta Si Spartivano Gli appalti pUbblici in loMbardia

14 arresti per tangenti nelle Ferrovie nordIl 3 ottobre 2016 su ordine

del Giudice per le indagini pre-liminari (Gip) di Milano, Alessan-dra Simion, quattordici persone sono finite in carcere nell’am-bito di un’inchiesta condotta dalla Dda su un vorticoso giro di tangenti messo in piedi da una cricca di imprenditori ber-gamaschi e calabresi vicini alla ’ndrangheta per accaparrarsi i subappalti di opere pubbliche in Lombardia ivi compreso quelli relativi alla linea ferroviaria che dovrà collegare il terminal 1 al terminal 2 di Malpensa.

Tra gli arrestati figura fra gli altri anche Davide Lonardoni, di Nord Ing, controllata di Ferrovie Nord. Si tratta del figlio dell’ex direttore generale di Ferrovie Nord, Dario Lonardoni.

Lonardoni junior, originario di Saronno (Varese) e residente a Milano, si occupa principalmen-te di sicurezza nei cantieri gesti-ti dalla società specializzata ne-gli interventi di potenziamento e ammodernamento della rete ferroviaria. Mentre il padre, dg di Ferrovienord fino al 2012 e

attualmente in pensione, è as-sessore ai Lavori pubblici nel Comune di Saronno, guidato da un’amministrazione di centro-destra.

In manette anche il faccen-diere bresciano Alessandro Rai-neri (ritenuto uomo a libro paga degli imprenditori, in contatto con numerosi funzionari di am-ministrazioni ed enti pubblici sia a livello locale che nazionale) e l’imprenditore bergamasco Pie-rino Zanga, dipendente delle società ma di fatto dominus del circuito di ditte aggiudicatrici finito nel mirino della procura. Manette anche per Salvato-re Piccoli, imprenditore nato a Catanzaro; per le due presunte “teste di legno”, Pierluigi An-tonioli e Giuseppe Colelli; per l’imprenditore bergamasco Venturino Austoni, e poi ancora per Antonio Stefano e Graziano Macrì, ritenuti dagli investigatori vicini a clan della ’ndrangheta. E poi ancora per l’imprenditore Giuseppe Gentile, originario di Reggio Calabria e per il com-mercialista Giuseppe Tarantini.

Agli arresti domiciliari, invece, sono finiti il dipendente della Nord Ing, Massimo Martinelli, Gianluca Binato, dipendente della società Itinera, e l’impren-ditore Livio Peloso.

Tutti gli arrestati sono accu-sati, a vario titolo, di associazio-ne a delinquere finalizzata alla commissione di reati di corru-zione diretta all’acquisizione dei lavori. Contestati anche reati di natura fiscale, per presunta “utilizzazione di fatture per ope-razioni inesistenti” e “indebite compensazioni”, e poi ancora la truffa ai danni dello Stato, la bancarotta fraudolenta, l’inte-stazione fittizia di beni e com-plessi societari e la “illecita con-correnza realizzata attraverso minaccia e violenza”.

Secondo l’indagine, le diver-se ditte intestate a dei presta-nome e apparentemente prive di legami tra loro facevano parte di un vero e proprio “sistema” utilizzato per alternarsi nell’ag-giudicazione di subappalti con cadenza biennale. Un “sistema” che aveva lo scopo di eludere

eventuali controlli di natura fi-scale.

Raineri, secondo la procura, ha anche millantato alcuni con-tatti e conoscenze “anche a li-vello romano” nei suoi rapporti con imprenditori. L’indagine ha svelato una rete di “complicità

e relazioni con soggetti operanti nel settore finanziario, economi-co ed imprenditoriale” che si è sviluppata a seguito dell’attività di Raineri il quale intascava sol-di “a fronte del suo asserito in-teressamento a livello istituzio-nale” per la “risoluzione di loro

problemi di varia natura”.La Gdf ha anche accertato

“violazioni penali e tributarie”, tra fatture false e “indebite com-pensazioni per crediti inesisten-ti”, per “oltre 20 milioni di euro” dal 2010 in poi.

Accade nulla attorno a te?RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’

Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le con-dizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.

Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a:

Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 FirenzeFax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]

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N. 3 - 26 gennaio 2017 interni / il bolscevico 5“Razionalizzazione della spesa a danno dei cittadini”

Bocciato il bilancio del comune di RomaL’assessore Mazzillo costretto a ritirare il documento contabile

La Raggi deve subito diMetteRsi

anche i paRlamentaRi m5s costano caRo al popolo italiano

il solo di maio ha ottenuto rimborsi di 108mila euro in tre anni oltre allo stipendio

di 3mila euro mensiliIl vicepresidente della Ca-

mera Luigi Di Maio e buona parte della truppa di parla-mentari pentastellati nel cor-so degli ultimi tre anni, oltre allo stipendio di tremila euro al mese hanno intascato rim-borsi forfettari per “attività sul territorio” dell’ordine di centi-naia di migliaia di euro.

Se da un lato è vero che i parlamentari 5 stelle conti-nuano a restituire parte della loro indennità fissa (Di Maio a maggio 2016 ha restituito 1.686 euro su 4.945), dall’al-tro lato, è altrettanto vero che, da quando si sono ac-comodati sulle poltrone par-lamentari, la quota “variabile” delle restituzioni è diminui-ta drasticamente, come di-mostra il grafico del sito ma-quantospendi.it, che analizza i dati forniti dal M5S su tiren-diconto.it.

A maggio 2016 che è l’ul-timo rendiconto pubblicato, dei 7.193 euro di rimborsi for-fettari che i deputati somma-no all’indennità, Di Maio ha restituito 460 euro. Un an-damento simile a quello dei mesi precedenti e migliore di quello di molti suoi colle-ghi pentastellati che spesso, quota fissa dello stipendio base a parte, non restituisco-no nulla.

108 mila 752 euro di rim-borsi al solo Di Maio sono

un bel gruzzolo, specie se si pensa che i parlamenta-ri sommano una sterminata serie di benefit tra cui anche le spese di viaggio in treno e aereo tutto gratis; e comun-que sono quasi il quadruplo rispetto a quanto rendicon-tato dal presidente della Vi-gilanza Rai Roberto Fico, secondo in classifica con 31.600 euro di rimborsi, se-guito dal senatore Carlo Mar-telli con 28.484 euro, Carla Ruocco con 25mila, Barbara Lezzi con 22mila. Alessandro Di Battista è solo diciottesimo con poco più di 16mila euro, ma era prima del ‘Costituzio-ne coast to coast’ che po-trebbe aver cambiato le cose sebbene il deputato romano vanti spesso di essere ospi-tato spesso da militanti e atti-visti del Movimento che oltre a vitto e alloggio “ci regalano anche la benzina”.

Altro che “politica a co-sto zero”, altro che “dimez-zamento dello stipendio dei parlamentari”, i 5 stelle ormai si trovano così bene nella mangiatoia borghese forag-giata coi soldi rubati al popo-lo che ormai anche il vecchio slogan “uno vale uno” potreb-be essere cambiato in “uno vale 108 mila euro” e gli altri si arrangiano.

Dopo gli arresti e gli avvi-si di garanzia delle settimane scorse la giunta pentastella-ta di Virginia Raggi deve fare, anzi rifare, i “conti” anche con l’Oref, l’Organismo di Revisio-ne Economica e Finanziaria del Comune di Roma, che il 20 dicembre ha bocciato il bilan-cio di previsione 2017-2019 e provocato il conseguente an-nullamento della discussio-ne già in corso di svolgimento nell’aula consiliare.

A dare l’annuncio il pre-sidente d’aula Marcello De Vito che scandisce: “Comu-nico all’aula che è pervenu-to il parere dell’Organismo di revisione e che tale parere è non favorevole”. Contestual-mente l’assessore al bilancio Andrea Mazzillo rinuncia alla presentazione del documento contabile e in pochi minuti an-che l’enfasi con cui la giunta Raggi nei giorni scorsi aveva annunciato una grande “ra-zionalizzazione delle spese” si scioglie come neve al sole.

Nelle 60 pagine con le quali i revisori dei conti del Comune giudicano “non suf-ficienti gli spazi di finanza pubblica necessari al rispetto dell’equilibrio finanziario in re-lazione alle necessità che po-trebbero rivelarsi rispetto al riconoscimento dei debiti fuo-

ri bilancio, alle passività po-tenziali comunque presenti e a tutte le criticità evidenziate nel presente parere ed espri-me parere non favorevole, sulla proposta di approvazio-ne del bilancio di previsione 2017-2019 e relativi allegati”.

In sostanza il documen-to evidenzia che nel tentativo di estinguere buona parte dei debiti fuori bilancio del Comu-ne, certificati in 215 milioni nelle scorse settimane, l’ente potrebbe poi trovarsi in diffi-coltà a pagare eventuali som-me che potrebbero essere ri-chieste da eventi improvvisi.

Dunque l’Oref sottolinea che la bocciatura del bilancio è dovuto esclusivamente a un disequilibrio di cifre e non cer-to a una politica economica a vantaggio delle masse popo-lari e lavoratrici come più vol-te hanno promesso i 5 Stelle. Non a caso gli stessi reviso-ri giudicano “positivamente la politica ispirata a principi di prudenza” della giunta Rag-gi che rilancia in sostanza la stessa politica di lacrime e sangue delle precedenti giun-te fasciste e piddine di Ale-manno e Marino. Infatti anche

due anni fa lo stesso organi-smo aveva bocciato anche il “Piano di rientro” varato dalla giunta Marino. E ora come al-lora sul Campidoglio incombe sempre più minaccioso il pe-ricolo dell’esercizio provviso-rio e persino il commissaria-mento.

I revisori evidenziano infat-ti che i risparmi previsti dal-la giunta derivanti da quello che eufemisticamente viene definita “razionalizzazione della spesa”, non appaiono possibili “se non a danno del-la qualità dei servizi erogati dall’ente ai cittadini”. L’organi-smo punta il dito sulle “previ-sioni di entrate non strutturali” messe a bilancio: concessioni edilizie, contravvenzioni, re-cupero dell’evasione tributa-ria ecc.. e sottolineano che il pareggio verrebbe raggiunto sulla scorta di “una non cor-

retta previsione degli ingen-ti e imminenti oneri derivanti dai debiti fuori bilancio”, cioè dalle voci di spesa non inclu-se nel documento finanziario.

Sotto la lente dei revisori ci sono anche le possibili criti-cità legate alle “passività po-tenziali comunque presenti e tutte le altre criticità eviden-ziate nel presente parere” a cominciare dai debiti fuori bi-lancio, i cantieri della Metro C, le fideiussioni per i punti verde qualità, la riscossione delle tariffe e le possibili pas-sività delle partecipate.

Su quest’ultimo punto in particolare l’Oref conside-ra poco realistiche anche le previsioni sull’attuale gestio-ne delle aziende partecipa-te che rischia di trasformarsi in un vero e proprio campo di battaglia per il regolamento di conti interno al Movimento e il

conseguente avvio di un pia-no di dismissioni e privatizza-zioni per far quadrare il bilan-cio.

In risposta alla grandinata di critiche piovute sul Cam-pidoglio sia dalla destra che dal PD che chiedono a gran voce le “dimissioni della sin-daca per manifesta incapaci-tà”, il capogruppo dei 5 Stel-le in consiglio Paolo Ferrara si appella ancora una volta alla “situazione drammatica per la Capitale, che abbiamo ereditato e stiamo cercando con tutte le forze di risolvere”; si dice convinto della tenuta dell’amministrazione e invita le “opposizioni a ressegnarsi perché noi non molliamo e fa-remo di tutto per difendere i diritti dei cittadini”. Sic!

Insomma, il 2016 è finito con una gragniuola di arresti e avvisi di garanzia che han-

no decimato proprio la giun-ta che doveva essere il fiore all’occhiello del nuovo modo di governare “onesto e puli-to” pentastellato, il 2017 è co-minciato anche peggio per la Raggi che ora si trova a fare letteralmente i “conti” con i re-visori contabili e per giunta in gestione provvisoria, senza un vero programma di spesa e con solo due mesi di proro-ga (già concessa dal governo a tutti gli enti locali) per evita-re il commissariamento.

Vicende che confermano come, da una parte, il M5S di Grillo e Raggi ha stretti e inconfessabili legami proprio con quel torbido mondo (di destra) del malaffare che in campagna elettorale diceva di voler estirpare e, dall’altra, che le marce e corrotte istitu-zioni borghesi sono irriforma-bili e finiscono per avere sem-pre la meglio sulle velleità di cambiamento proclamate da quei partiti e movimenti come il M5S davanti agli elettori.

26 arresti tra i clan calabresi

la ’ndRangheta contRolla gli appalti sulla saleRno-Reggio

e anche sui lavori per il Ponte sullo stretto. intercettato il sindaco di villa san giovanni, già sospeso

All’alba dello scorso 15 no-vembre tra Archi e Villa San Giovanni, in provincia di Reg-gio Calabria, 23 persone sono finite in carcere, 3 agli arresti domiciliari nell’ambito dell’o-perazione denominata ‘San-sone’ nella quale la magistra-tura della città dello Stretto ha messo sotto inchiesta com-plessivamente 40 persone, tra i quali figurano esponenti della ’ndrangheta, imprenditori e un appartenente alle forze dell’or-dine.

Coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, l’operazione ‘Sanso-ne’ è uno dei filoni dell’inchie-sta ‘Meta’ che, nel 2010, aveva svelato gli intrecci tra ’ndran-gheta, soprattutto la famiglia Condello, e mondo impren-ditoriale strettamente colluso con l’organizzazione criminale nella stessa provincia, e a di-stanza di sei anni gli inquirenti scoprono che la collusione tra i poteri criminali e il mondo del-le imprese in quella parte del-la Calabria non soltanto non è finito, ma addirittura si è note-volmente ampliato.

Infatti stavolta, oltre a espo-nenti del clan Condello come Andrea Vazzana - uomo di fi-ducia del boss Pasquale Con-dello - sono finiti in carcere an-che esponenti di spicco della cosca Zito-Bertuca come Do-menico Zito e Vincenzo Bertu-ca, e della cosca Buda-Imerti come Santo Buda.

Ai 26 arrestati i magistra-ti reggini contestano reati che vanno dall’associazione a de-linquere di stampo mafioso e dalla detenzione di armi al fa-voreggiamento di latitanti e alla procurata inosservanza della pena.

Dal lavoro degli inquirenti reggini emerge che le cosche controllavano sistematicamen-

te gli appalti sull’autostrada Salerno - Reggio Calabria e che guardavano con estremo interesse ai progetti per la co-struzione del ponte sullo Stret-to di Messina, soprattutto tra-mite l’imprenditore Pasquale Calabrese, il quale, secondo l’ordinanza di custodia caute-lare che lo ha portato in carce-re, aveva già da tempo messo le mani sugli appalti che era-no destinati alla realizzazione “dell’allestimento dei luoghi in-dividuati per i sondaggi (a ciò servono le trivelle), propedeu-tici alle realizzazioni dell’A3 e del Ponte”.

Un sistema, insomma, nel quale le organizzazioni della ’ndrangheta e imprese in ap-parenza perfettamente legali agivano in piena sinergia per la realizzazione di numero-se opere quali, solo per citar-ne alcune, il Lido del finanziere sulla costa Viola a quelli per il complesso edilizio La Panora-mica, un sistema nel quale tutti gli imprenditori, se da una par-te dovevano pagare la maz-zetta alla ’ndrangheta, dall’al-

tra venivano favoriti in tutti i modi nell’attribuzione degli ap-palti più svariati, tanto che non sfuggivano a questo sistema neanche ditte incaricate di fon-damentali servizi pubblici quali la società messinese Mts, che aveva ricevuto l’appalto dello smaltimento dei rifiuti solidi ur-bani del Comune di Villa San Giovanni, e altre importanti dit-te che si occupavano della ma-nutenzione straordinaria della sede della direzione marittima Calabria-Lucania e della capi-taneria di porto.

Ovviamente la ’ndrangheta non avrebbe mai potuto coor-dinare le attività imprenditoriali legate agli appalti senza ave-re forti legami con le ammini-strazioni pubbliche, e infatti gli inquirenti hanno acquisito mol-te notizie utili sui rapporti tra le cosche, il mondo imprendito-riale e quello politico-istituzio-nale dalle intercettazioni del sindaco di Villa San Giovanni, Antonio Messina, condannato il 12 novembre scorso in pri-mo grado a un anno di carcere per falso e abuso d’ufficio per

la costruzione di un lido, e già sospeso dall’incarico per tale vicenda.

Nell’inchiesta “Sansone” inoltre risulta indagato anche un appartenente alle forze dell’ordine, accusato di forni-re notizie ai clan di ’ndranghe-ta sulle indagini a loro carico: questo testimonia come la cri-minalità organizzata ha ormai stretto legami inscindibili non solo con il mondo delle impre-se e con quello della politica, ma anche con quello delle isti-tuzioni, e nello specifico con le forze di polizia, e non è certo la prima volta che si scopre che appartenenti a corpi di polizia siano organicamente al soldo della ’ndrangheta, come testi-moniano gli arresti a Cosenza ad aprile scorso di un carabi-niere e di un poliziotto, quello di agenti della polizia peniten-ziaria a gennaio di quest’an-no a Pavia e a febbraio dello scorso anno a Catanzaro, sen-za dimenticare il clamoroso ar-resto di tre appartenenti alla guardia di finanza a Milano a gennaio 2011.

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6 il bolscevico / interni N. 3 - 26 gennaio 2017

I vescovi e le organizzazioni cattoliche dicono no alla riapertura di questi “luoghi di trattenimento e reclusione”

No aI CIe Corteo a Bologna dietro allo striscione “Mai più Cie, mai più razzismo”

La legge regionale approvata dal “centro-sinistra” permette di sottrarre al Demanio gli “usi civici” degli angoli più belli della costa e dell’entroterra

Un sesto della sardegna rischia di finire ai privati

La legge che svende il territorio pubblico ha avuto il via libera del governo Gentiloni alla vigilia di natale Gentiloni ha fatto un gran bel

regalo di natale ai privati nella se-duta del Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2016, decidendo di non impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge regionale della Sardegna, 26 ottobre 2016 n.26. In pratica il governo, in que-sto modo, spalanca la strada a una norma che potrebbe sottrar-re al Demanio un sesto del terri-torio sardo regalandolo ai privati, come sostiene Stefano Delipe-ri dell’associazione ambientalista “Gruppo di Intervento Giuridico”, che da anni si occupa della que-stione degli “Usi Civici” dell’isola, terre splendide e ricche site dal Gennargentu ad Orosei.

La legge regionale fu appro-vata furtivamente in quattro e quattr’otto la notte del 25 ottobre 2016 e riguarda potenzialmente gli oltre 400 mila ettari dei dema-ni civici sardi; altro che “una leg-ge indispensabile per intervenire solo su pochi casi”, come affer-mato all’indomani dell’approva-zione dall’assessore regionale dell’urbanistica Cristiano Erriu, che ha giustificato così l’interven-to, sottolineando in primis la ne-cessaria bonifica dell’inquinatis-simo bacino dei “fanghi rossi” di Portovesme, e di altri siti simili. Una menzogna facile da smentire poiché, per questi casi, le moda-lità applicabili potevano essere la permuta, l’alienazione, il trasferi-mento dei diritti di uso civico, pe-raltro già previsti dal quadro nor-mativo. (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928

e s.m.i., legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).

Gli “usi civici”Esistono in tutta Italia, ma in

Sardegna gli “usi civici” riguarda-no 4 mila chilometri quadrati sui

24 mila dell’isola. Un sesto del-la regione. Vi rientrano aree an-cora selvagge, ma anche zone di grandissimo pregio e di enor-me valore immobiliare, in parti-colare lungo la costa. Tra i casi più noti si ricorda Capo Altano, di fronte all’isola di Carloforte, c’è poi la Costa di Baunei a Orosei, le coste di Montiferru che salgono il monte Urtigu, l’entroterra con il Monte Prama, e infine buona par-

te del Gennargentu e del Sulcis. Gli “usi civici” sardi derivano

dal feudalesimo e fanno parte in-tegrante della storia dell’isola. Gli appetiti nei confronti di questo tesoro cominciarono già allora, quando i terreni tolti ai feudatari furono divisi tra possidenti privati

e semplici utilizzatori. Con l’arrivo del Regno di Sardegna fu emes-so l’Editto delle Chiudende che autorizzava i contadini utilizzato-ri a recintare i terreni che prima erano proprietà collettiva. Oggi la popolazione può utilizzarli per il pascolo, la semina e la raccol-ta della legna e ricoprono così un istituto indispensabile per l’eco-nomia, per il tessuto sociale e per la cura dell’ambiente dell’isola.

Nei tempi recenti, a una tradi-zionale profonda incuria da parte delle amministrazioni locali nella gestione, e ai mancati recuperi delle migliaia di ettari di terreni a “uso civico” occupati illecitamen-te, alla mancata promulgazione di oltre120 provvedimenti di accer-

tamento dei demani civici e alla pressoché totale assenza di con-trolli, si è aggiunto prepotente-mente un vero e proprio disegno di sdemanializzazione, portato avanti in un clima di silenzio po-litico generale teso soprattutto a celare i reali interessi speculativi che vi sono dietro, quali, solo per fare due eclatanti esempi, la na-scita di complessi turistici a Costa Rei e vicino a Orosei.

La continuità nell’aprire la strada alle privatizzazioniGià nel 2013 la giunta regio-

nale di “centro-destra” di Ugo Cappellacci tentò di aprire le por-te alla sclassificazione. In pratica i Comuni potevano chiedere che i terreni degli “usi civici” fosse-ro tolti dal Demanio con la con-seguenza di sottrarli innanzitut-to alla tutela paesaggistica della legge Galasso, aprendo così alla possibilità di cessione ai priva-ti. In quel contesto però, a dif-ferenza di oggi, lo Stato fece ri-corso alla Corte Costituzionale che bocciò la legge del “centro-destra”. Il “centro-sinistra” sardo, in sostanza, l’ha riproposta oggi trovando il complice consenso del governo Gentiloni che, non “impugnandola” in Corte Costi-tuzionale, l’ha sdoganata in pie-na continuità con l’opera dell’ex nuovo duce di Rignano sull’Arno di svendita del patrimonio pubbli-co e di saccheggio del territorio e dell’ambiente, mostrato a forti tinte con il decreto “Sblocca Ita-lia” e con il boicottaggio al refe-rendum sulle trivellazioni in mare dello scorso aprile.

È utile sottolineare che oltre al “centro-sinistra” sardo, anche la cosiddetta “sinistra radicale”, come viene definita dai media, si è resa complice dell’infame leg-ge; inoltre nella seduta consilia-re regionale del 23 marzo 2016, è stato presentato l’emendamen-

to n. 519 a firma degli “onorevo-li” Manca, Cerchi e Congiu del Partito dei Sardi, Pinna, Tendas e Forma del PD, Busia e Desini del Centro Democratico, ai qua-li si è aggiunto anche Alessan-dro Unali, esponente di Rifonda-zione-Comunisti Italiani-Sinistra Sarda, finalizzato addirittura a eliminare i vincoli temporali per la proposizione delle richieste di sdemanializzazione da parte dei Comuni alla Regione autonoma della Sardegna. In pratica, con tali disposizioni, sarebbe sempre possibile depredare i demani ci-vici dei comuni sardi dopo occu-pazioni illecite e vendite non au-torizzate. Fortunatamente questo ulteriore peggioramento non è stato riscontrato nella stesu-ra definitiva della legge, che co-munque rimane potenzialmente devastante.

In ultimo, dopo aver di fatto decretato la possibile fine degli “usi civici” per lo meno nelle aree di pregio e d’interesse servite su un piatto d’argento ai capitalisti, la Regione ha dichiarato di vo-ler costituire un gruppo di lavoro con esperti anche esterni per stu-diare i problemi legati, appunto, agli usi civici. Invece di rivolgersi ai numerosi tecnici della Regione già stipendiati, le casse pubbliche avranno un costo ulteriore di circa 300 mila euro. Quindi, nei fatti, ol-tre il danno ai beni pubblici per gli effetti della legge stessa, anche la beffa della spesa pubblica che pagherà coloro che normeranno la svendita ai privati.

L’annuncio, fatto alla fine del-lo scorso mese di dicembre dal ministro dell’Interno Domenico Minniti, di voler aprire un Cen-tro di Identificazione e di Espul-sione per migranti in tutte e venti le regioni italiane ha provocato la più ferma condanna da parte del mondo cattolico.

Dopo la Caritas, la Fondazio-ne Migrantes e il Centro Astalli il 10 gennaio si è schierata contro questi veri e propri lager la Con-ferenza Episcopale Italiana in un comunicato stampa emesso dallo stesso segretario della Cei, mon-signor Nunzio Galantino, che li ha definiti “luoghi di trattenimento e reclusione”.

I Cie - ovvero i Centri di Identi-ficazione e di Espulsione per mi-granti istituiti con la legge Turco-Napolitano nel 1998 e che sono strutture di reclusione per mi-granti che sono in attesa di es-sere espulsi nei loro Paesi di origine - sono attualmente sol-tanto cinque in tutto il territorio italiano (Caltanissetta, Trapa-ni, Bari, Roma e Torino), mentre fino ad alcuni anni fa erano 13, gran parte dei quali sono stati co-munque chiusi per trasformarli in hub - ossia centri nei quali i mi-granti possono vivere e muover-si liberamente, pur in condizioni precarie - in attesa dell’evasio-ne delle pratiche amministrative che riguardano il riconoscimento dell’asilo politico, e la proposta di

Minniti preoccupa soprattutto alla luce degli accordi che il gover-no Renzi ha fatto con alcuni Stati africani per il rimpatrio rapido dei migranti.

Lo stesso Minniti del resto si è recentemente recato in Libia dove ha stipulato un accordo con il capo del governo locale Serraj finalizzato sia al rimpatrio dei mi-granti sbarcati in Italia dalla Libia sia all’arresto delle partenze dei migranti dalla Libia verso l’Euro-pa: è chiaro il timore che la ge-neralizzata riapertura dei Cie sia finalizzata a vere e proprie depor-tazioni di massa di migranti verso Stati che non offrono alcuna ga-ranzia, data la natura autoritaria, circa il trattamento di questi esse-ri umani.

Oltre al mondo cattolico, con-tro i Cie si è recentemente mobi-litato anche quello dei Centri so-ciali e di altre forze progressiste e democratiche.

A Bologna infatti lo scorso 7 gennaio si è svolta un’importan-te manifestazione partita dall’ex Cie di via Mattei (ora chiamato hub di immigrazione) organizzata da collettivi e centri sociali del ca-poluogo bolognese - Tpo, Làbas Hobo, Vag61 e Social Log in te-sta insieme a varie realtà dell’an-tifascismo militante bolognese - per chiedere la definitiva chiusura di tutti i Cie italiani nei quali ven-gono imprigionati i migranti, per portare la solidarietà a tutti i mi-

granti che si trovano in condizio-ne di clandestinità e di precarie-tà in territorio italiano e anche, e forse soprattutto, in risposta alla provocazione per lo svolgimento di un presidio statico organizzato dal consigliere regionale di Forza Italia, Galeazzo Bignami, anche esso originariamente previsto da-vanti all’ex Cie, con l’adesione di Lega Nord e di Fratelli d’Italia con lo slogan “No ai clandestini”, per protestare contro il trasferimento al centro bolognese di un centina-io di migranti provenienti da Cona

(Venezia).La questura ha poi deciso di

spostare la manifestazione di de-stra (che praticamente è fallita, avendo partecipato soltanto po-che decine di persone, quasi tut-ti militanti della Lega e anche di Casapound).

La manifestazione antifascista invece ha visto la partecipazione di molte centinaia di persone tra militanti antifascisti bolognesi e migranti il cui slogan era “Mai più Cie, mai più razzismo” e si è svol-ta in maniera pacifica, nonostan-

te il clima teso creato all’inizio della manifestazione dalla scelta degli operatori dell’hub di tenere chiuso il cancello della struttura e quindi di impedire ai rifugiati di unirsi ai manifestanti.

Dopo alcuni minuti di incita-zioni e cori, tuttavia, i migranti sono riusciti ad uscire e prende-re parte alla testa del corteo, che da via Mattei è arrivato a Piazza dei Colori, zona residenziale più vicina.

Durante il corteo, in testa al quale c’erano proprio i migran-

ti usciti dal centro di via Mattei, commoventi parole hanno ricor-dato Sandrine Bakayoko, la ri-fugiata ivoriana morta nei giorni scorsi nel centro di Cona.

Le parole di Minniti hanno co-munque lasciato un segno anche a Bologna: infatti nello stesso po-meriggio del 7 gennaio, dopo la fine del corteo antirazzista con-tro i Cie, Lucia Borgonzoni del-la Lega Nord bolognese ha lan-ciato la proposta che il locale hub venga al più presto trasformato in Cie.

Bologna, 7 gennaio 2017. Lo striscione di apertura della manifestazione di protesta contro i Cie

Una delle belle zone della Sardegna che potrebbe essere svenduta ai privati

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N. 3 - 26 gennaio 2017 corruzione / il bolscevico 7Dalla Corte dei conti

Confermata la ConDanna Del sottosegretario Del Basso De Caro

Dovrà risarcire 18mila euro per “spese pazze”. Tra i 56 condannati ci sono Caldoro, boss di Forza Italia, e Caputo europarlamentare del PD

Il 20 dicembre, proprio men-tre Gentiloni lavorava alla lista dei vice ministri del suo gover-no di matrice renziana antipo-polare, piduista e fascista, la Corte dei conti ha confermato la condanna per danno eraria-le a carico dell’ex consigliere e capogruppo del PD in Cam-pania Umberto Del Basso De Caro riconfermato sottosegre-tario alle Infrastrutture.

Del Basso De Caro: masso-ne “sempre a disposizione” del vecchio boss democristiano Nicola Di Muro, è stato con-dannato nell’ambito dell’inchie-sta sullo scandalo delle “spese pazze” in Regione negli anni 2011 e 2012 e deve risarcire 18 mila euro.

Nelle 54 pagine di motivazio-ni della sentenza è scritto che il boss del PD si fece rimbor-sare dalla Regione Campania un contratto di collaborazione intestato al PD di Benevento. Secondo la Corte dei conti,

quell’assunzione rappresenta-va un contributo al PD e non una spesa di supporto alle at-tività istituzionali del consigliere regionale.

In tutto sono cinquantasei gli ex consiglieri della Regio-ne Campania condannati dalla Corte dei Conti al pagamento di un milione di euro per i co-siddetti rimborsi facili non ren-dicontati ma erogati solo sulla base dell’autocertificazione.

Tra i condannati anche l’ex presidente della Regione Ste-fano Caldoro (10.410 euro), l’attuale presidente del consi-glio regionale Rosetta D’Amelio (20.468 euro), il boss regionale di Forza Italia Domenico De Siano, l’europarlamentare PD Nicola Caputo e i suoi compa-ri di partito Mario Casillo, Lello Topo, Antonio Marciano, fino ai forzisti Fulvio Martusciello, Ermanno Russo e ad Alberico Gambino di Fratelli d’Italia.

Insieme a loro figura anche

Sandra Lonardo, moglie del sindaco di Benevento, Clemen-te Mastella (21.691 euro).

Le cifre dei rimborsi si aggi-ravano per ciascun consigliere regionale sui 30.987,40 euro per il 2011 e i 28.405,09 per il 2012. I rimborsi venivano ri-chiesti direttamente dai consi-glieri e le erogazioni avvenivano sulla scorta di un’autocertifi-cazione, con la quale gli stessi consiglieri attestavano, sotto la propria responsabilità, di aver sostenuto le spese. Sta di fatto che i consiglieri, su richiesta dei giudici, non hanno saputo esi-bire le relative certificazioni per gran parte di questi rimborsi. A nulla sono valsi gli scontrini per le spese di ristorazione con-sumati anche nei giorni festivi, secondo quanto redatto dai giudici, così come i contributi ai partiti e alle associazioni. La Corte dei Conti della Campa-nia ha quindi accolto integral-mente l’impianto accusatorio

dei Pubblici ministeri Ferruccio Capalbo e Pierpaolo Grasso e condannato i 56 consiglieri re-gionali per danno erariale. La Guardia di Finanza attraverso le indagini ha constatato tra l’altro che nei rimborsi erano inserite anche le spese telefoniche e la comunicazione delle segreterie di partito.

La D’Amelio, fra l’altro, ha utilizzato, nel corso della pas-sata consiliatura, i soldi del gruppo democratico in Assise regionale per pagarsi la came-riera in un immobile a Lioni, in provincia di Avellino, lì dove, se-condo le dichiarazioni rilasciate dalla diretta interessata ai giudi-ci contabili, era insediata la sua segreteria politica. Circostanza, questa, che la D’Amelio non è mai stata in grado di documen-tare.

Del Basso De Caro comun-que è in buona compagnia nel governo Gentiloni risultando insieme a Vito De Filippo, Giu-

seppe Castiglione e Simona Vi-cari il quarto sottosegretario fi-nito nelle grinfie dei magistrati.

Vito De Filippo ex governato-re della Basilicata e boss della Margherita in Lucania, nel 2013 è stato coinvolto in un’inchiesta e poi viene rinviato a giudizio per peculato nello scandalo per i rimborsi elettorali in Re-gione. Nel novembre scorso la Corte dei Conti, che condanna a pagare più di ventimila euro l’attuale presidente della Basi-licata Marcello Pittella, annulla la condanna per danno erariale. Nell’aprile del 2016 viene però indagato nuovamente a Po-tenza per induzione indebita in un filone dell’inchiesta “Tempa Rossa”. A De Filippo è conte-stato uno scambio di favori con l’ex sindaco di Corleto Pertica-ra, Rosaria Vicino, in carcere in-sieme ad altri cinque funzionari del centro Eni di Viggiano, dove viene trattato il petrolio estratto in Val d’Agri.

Giuseppe Castiglione, ex DC e boss alfaniano in Sicilia, sot-tosegretario alle politiche agri-cole, dopo diversi prosciogli-menti, nel 2015 viene indagato per turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta della procura di Catania sull’appalto della ge-stione del Cara di Mineo. A fine novembre scorso le indagine si sono concluse e la procura ipotizza il rinvio a giudizio per il reato di corruzione finalizzata a ottenere vantaggi elettorali.

Simona Vicari, sottosegreta-rio NCD alle infrastrutture, prima di passare alla cosca di Alfano è stata vicina a Totò Cuffaro. Da maggio 2015 è indagata dalla procura di Roma per concorso in falso. Vicari avrebbe fatto fa-vori all’ex governatore Cuffaro durante la sua detenzione nel carcere di Rebibbia, come ad esempio far passere per suoi assistenti dei fedelissimi di Cuf-faro, così da poterlo incontrare in prigione.

Ha favorito la fonDazione maugeri in CamBio Di tangenti e regali

formigoni condannato a sei anni per corruzione Sequestrati beni per 6,6 milioni all’ex governatore della Lombardia e senatore del Nuovo centrodestraLo scorso 22 dicembre la

decima sezione penale del Tri-bunale di Milano ha condanna-to Roberto Formigoni - espo-nente di spicco di Comunione e Liberazione, ex presidente della Regione Lombardia, e at-tualmente senatore di Ncd - a 6 anni di reclusione per corru-zione alla fine del processo di primo grado sul caso Maugeri e San Raffaele, per il quale il poli-tico era imputato con altre nove persone.

Il Tribunale peraltro ha forte-mente diminuito la pena rispet-to alle richieste del PM, che aveva chiesto per lui 9 anni, contestandogli anche la par-tecipazione ad associazione a delinquere.

Il Tribunale ha anche irrogato a Formigoni la pena accessoria di 6 anni di interdizione dai pub-blici uffici e gli ha imposto - in solido con i coimputati, nonché membri di Comunione e Libera-zione, Pierangelo Daccò e An-tonio Simone - di versare una provvisionale complessiva alla Regione Lombardia di 3 milioni di euro a titolo di risarcimento del danno.

La vicenda per cui Formigo-ni è stato condannato è quella relativa all’offerta di denaro, viaggi, vacanze e favori vari che il boss politico lombardo ha ri-cevuto in qualità di presidente della Regione Lombardia - ca-rica che ha rivestito ininterrot-tamente dal 1995 al 2013 - in cambio di facilitazioni sui rim-borsi per i ricoveri alla Fonda-zione Maugeri di Pavia, uno dei più importanti ospedali lombar-di, specializzato in terapie di ri-abilitazione.

Le indagini della Procura del-la Repubblica di Milano, iniziate

nel 2010, portarono all’arresto, il 13 aprile 2012, di cinque per-sone accusate di avere sottrat-to 56 milioni di euro dalle casse della Fondazione e il 6 maggio del 2014 iniziava il processo che vedeva imputato Formigoni insieme ad altre otto persone: secondo l’accusa il presiden-te della Regione Lombardia - che, ricordiamo, ha sempre dichiarato di vivere, all’interno del movimento di Comunione e Liberazione, come memor domini, ossia come laico che osserva i precetti della regola monastica benedettina consi-stenti nella povertà, castità e obbedienza - aveva ricevuto nell’arco di molti anni vantaggi patrimoniali per ben 8 milioni di euro elargiti in denaro contan-te, viaggi, cene in ristoranti di lusso e la piena disponibilità di tre yacht in cambio di appoggi illeciti all’ex assessore della Re-gione Lombardia, Antonio Si-mone e all’imprenditore Pieran-gelo Daccò, entrambi tra l’altro sodali del Formigoni in Comu-nione e Liberazione e suoi amici di vecchia data.

Inutilmente Formigoni ha tentato di giustificare le elargi-zioni proprio con il rapporto di amicizia con i due, in quanto il flusso di denaro e di elargizioni che ha nel tempo ricevuto da Daccò con la piena connivenza di Simone è troppo alto, tanto che i pubblici ministeri milanesi Antonio Pastore e Laura Pedio hanno individuato tra i tre una vera e propria associazione a delinquere della quale ritengo-no essere stato a capo proprio il Formigoni, tanto che nella loro requisitoria avevano richiesto al Tribunale di condannare a nove anni di carcere il memor domi-

ni lombardo come promotore dell’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e ad altri reati, per avere messo a di-sposizione, assieme ad altri im-putati, la sua funzione - scrivo-no i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio - “per una cor-ruzione sistematica nella quale tutta la filiera di comando della Regione è stata piegata per fa-

vorire gli enti suoi amici che poi lo pagavano”.

Con la sentenza del 22 di-cembre i giudici milanesi hanno anche disposto la confisca de-gli ingenti beni di cui il memor domini aveva piena disponibili-tà: si tratta di oltre 6 milioni e 600mila euro tra i quali quadri d’autore, quote di proprietà di abitazioni di lusso a Sanremo,

Lecco e Arzachena, cinque uni-tà immobiliari (due box, un ter-reno, un ufficio e un negozio) a Lecco, tre auto di lusso e conti correnti.

Insieme a Formigoni sono stati condannati anche Pieran-gelo Daccò (9 anni e 2 mesi), Antonio Simone (8 anni e 8 mesi), l’ex direttore amministra-tivo della Maugeri, Costantino

Passerino (7 anni), e l’impren-ditore Carlo Farina (3 anni e 4 mesi), mentre sono stati assolti gli altri cinque imputati, ossia gli ex funzionari regionali Nicola Sanese e Alessandra Massei, Alberto Perego (amico di For-migoni), Carla Vites (moglie di Simone) e Carlo Lucchina, ex direttore generale della Sanità alla Regione Lombardia.

Studiare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao

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8 il bolscevico / interni N. 3 - 26 gennaio 2017

Rapporto Demos

Si allarga la Sfiducia delle maSSe verSo le iStituzioni

Il XIX rapporto dedicato a “Gli italiani e lo Stato”, curato dall’istituto Demos per il quo-tidiano Repubblica, conferma pienamente una tendenza in atto ormai da anni, ossia che ormai le masse popolari ita-liane vedono con grande diffi-denza, se non con ostilità, le istituzioni dello Stato borghe-se.

La tendenza alla sfiducia è ormai in corso da decenni ma ha avuto una grande accele-razione a partire dall’inizio, quasi un decennio fa, della grave crisi economica che ha investito il sistema capitalista, per cui lo Stato e chi lo rap-presenta viene ormai percepi-to da sempre più larghi strati della popolazione come una sovrastruttura che ha il com-pito di difendere un sistema economico la cui ingiustizia ha ormai alienato grandi sim-patie, anche della classe me-dia, che un tempo erano date per acquisite.

È il caso dei corpi di polizia, che riscuotono nel 2016, se-condo il sondaggio, la fiducia di soltanto il 71% della popo-lazione, ossia quasi un italia-no su tre nutre indifferenza nei loro confronti se non addirittu-ra ostilità, evidentemente per-

ché gli appartenenti a tali strut-ture vengono percepiti come tutori di un ordine economico, politico e sociale ingiusto e di classe: se venti o trenta anni fa tali strutture riscuotevano del consenso della quasi tota-lità della popolazione, i conti-nui scandali che fanno quan-tomeno dubitare della tanto sbandierata “ottima condotta” dei pubblici ufficiali che li com-pongono (spesso non passa settimana, e spesso addirittu-ra non passa giorno nel quale non si legga notizia di arresti, processi e condanne che col-piscono gli appartenenti ai più svariati corpi di polizia) insie-me alla funzione politica che tali strutture svolgono per il mantenimento dell’ordine co-stituito, stanno facendo cola-re a picco la loro credibilità in sempre maggiori strati della popolazione.

Certamente influisce sul giudizio sempre più negativo degli italiani sui corpi di polizia il fatto che essi rappresentano la parte delle istituzioni più re-frattaria, in un sistema che si dice “democratico”, a qualsia-si tipo di controllo democrati-co, e che si presta proprio per questo a ogni abuso.

Se Atene piange, del re-

sto, Sparta non ride di certo. E Sparta in questo caso è rap-presentata dalla presidenza della Repubblica, nei cui con-fronti la fiducia delle masse popolari è scesa dal 2010 al 2016 del 22%, attestandosi al 49%.

L’istituzione del Comune è anche essa oggetto di una stima non alta, ma stabile ne-gli ultimi sei anni (39%), men-tre la fiducia dei cittadini nella magistratura è scesa del 12% nel periodo che va dal 2010 al 2016, attestandosi lo scorso anno al 38%.

È evidente che anche le tre ultime istituzioni conside-rate (Presidente della Repub-blica, Comune e Magistratu-ra) risentono di un pesante giudizio politico da parte del-le masse popolari che per-cepiscono tali strutture come sempre più lontane rispetto ai propri bisogni e al loro soddi-sfacimento: sicuramente ha pesato nel pesante giudizio sulla Presidenza della Re-pubblica l’operato di Giorgio Napolitano prima, con i suoi governi tecnici di Monti e Let-ta e poi l’incarico a Renzi sen-za che nessuno dei tre abbia avuto uno straccio di voto po-polare; per il Comune pesano

(soprattutto in quelli grandi) la sempre maggiore inefficien-za nell’erogazione dei servi-zi alla cittadinanza; e per la Magistratura la complessiva inefficienza del settore del-la giustizia in cui però i magi-strati pagano colpe che sono in gran parte colpa dei politici che lesinano risorse ai magi-strati per poter poi meglio ap-profittare dell’inefficienza così creata.

La fiducia delle masse po-polari nell’Unione Europea, nella Regione, nello Stato e nel Parlamento è poi rispetti-vamente del 29%, 27%, 20% e 11%, con un drastico calo negli ultimi sei anni rispetti-vamente del 21%, 6%, 10% e 3%.

Per l’Unione Europea il dra-stico calo di fiducia è perfetta-mente spiegabile con gli av-venimenti che negli ultimi anni hanno visto la Germania im-porre i propri interessi a tut-to il resto del continente, Ita-lia compresa, mentre per le altre tre istituzioni considera-te hanno avuto un peso de-terminante le considerazioni sul fatto che esse ormai non rispecchiano in nulla la volon-tà dei cittadini, proponendosi quindi come istituzioni sempre

più lontane dai loro interessi e dalla risoluzione dei loro pro-blemi.

Passando alle istituzioni economiche, le Associazio-ni degli Imprenditori hanno goduto nel 2016 della fiducia soltanto del 22% della popo-lazione, mentre le Banche e il sistema bancario (compresa la Banca d’Italia) hanno godu-to del favore soltanto del 14% da parte delle masse popolari, con un calo del 9% dal 2010 al 2016, segno evidente che è diffusa la sfiducia non soltan-to nelle istituzioni politiche, ma anche in quelle economiche.

Passando alle istituzioni sindacali, la Cgil nel 2016 ha goduto del 16% della fiducia popolare (calato in sei anni dell’11%) mentre la Cisl e la Uil hanno goduto del 14% del consenso (con un calo del 7% in sei anni).

Per ciò che riguarda poi i partiti politici borghesi, essi ri-scuotono ormai della fiducia di soltanto il 6% della popo-lazione, e questo spiega per-fettamente il crescente asten-sionismo elettorale che si è verificato negli ultimi anni.

Anche la Chiesa cattolica, che qualche decennio fa go-deva della fiducia incontrasta-

ta delle masse popolari italia-ne, ora gode solo della fiducia del 44% della popolazione, mentre l’istituzione del Papa-to ha goduto nel 2016 della fiducia dell’82% degli italia-ni, con un aumento del 31% dal 2010 al 2016, un risulta-to eclatante e in controten-denza rispetto a tutte le altre istituzioni considerate, che deve essere messa in relazio-ne con la personalità dell’at-tuale pontefice Francesco (in carica dal 2013) e con la sua attuale visione di riformista, antitetica sotto vari aspetti ri-spetto a quella del suo prede-cessore Benedetto XVI, del governo della Chiesa.

Del resto però, a ben guar-dare, la visione riformista di Bergoglio è una vera e propria politica camaleontica, l’unica visione che possa permettere alla Chiesa cattolica di riscuo-tere in questa fase storica un minimo di consenso presso le masse popolari che, al contra-rio, riservano alla Chiesa nel suo complesso poco più del-la metà della fiducia che riser-vano invece al suo capo, se-gno evidente più della presa d’atto delle gravi responsabi-lità dell’intera macchina eccle-siastica.

Controllata al 51% dal Comune di Roma della Raggi e presieduta dal renziano Irace

Le mani dell’Acea spa su Acqualatina Continua a essere calpestato vergognosamente il referendum del 2011

La nuova amministrazio-ne pentastellata del Comune di Roma presieduta dal sin-daco Raggi sta vergognosa-mente e sprezzantemente oltraggiando la volontà popo-lare espressa nel 2011 nel re-ferendum sull’acqua pubblica, smentendo e sconfessando peraltro la linea del movimen-to politico, al quale appartiene la stessa Raggi, che si è bat-tuto affinché l’acqua rimanes-se pubblica.

Eppure sembrerebbe che anche il nuovo sindaco, che controlla la società multiser-vizi Acea in quanto il Comu-ne di Roma detiene il 51% del suo capitale sociale, non sia in grado oppure, peggio, non voglia, tradurre in atti ammi-nistrativi ciò che in tutta Ita-lia, compresa Roma, i cittadi-ni hanno chiaramente voluto, ossia togliere dalle mani dello sfruttamento di società private la gestione degli acquedotti e della distribuzione dell’acqua.

Infatti Acea, il cui ammini-stratore delegato è il renziano Alberto Irace, ha annunciato con un comunicato lo scor-so 10 novembre che erano in fase avanzata le trattative, per 22 milioni di euro, finalizzate all’acquisto da parte di Acea delle quote societarie di parte privata, già appartenenti alla francese Veolia, di Acqualati-na spa, la società privata che gestisce la distribuzione idri-ca sul territorio di 38 Comuni e 270.000 famiglie in Provin-cia di Latina, il cui capitale è

al 51% pubblico e al 49% pri-vato.

E questo è avvenuto no-nostante i sindaci dei territori serviti da Acqualatina spa si siano battuti da anni affinché la società tornasse interamen-te pubblica, come chiedono a gran voce le relative popo-lazioni interessate che han-no dovuto subire dalla società aumenti senza precedenti nel-le bollette, e che avevano da sempre fatto valere il loro di-ritto di prelazione sul 49% del capitale privato.

Invece Acea, con fini evi-

dentemente speculativi, è di-ventato il nuovo socio privato di Acqualatina spa acquistan-do le sue quote private, e la giunta capitolina presieduta dalla Raggi era informata del-le trattative in corso, in quan-to il Comune è socio di mag-gioranza, dalla scorsa estate, eppure non ha mosso un solo dito per impedire l’acquisizio-ne e si è limitata - il 17 novem-bre, ossia una settimana dopo l’annuncio delle trattative da parte di Irace - a rendere pub-blico il suo dissenso all’ope-razione speculativa da parte

di Acea, dichiarando tra l’al-tro nella sua nota che “sareb-be opportuno tenere in con-siderazione la coerenza delle azioni da voi attivate con gli esiti della consultazione refe-rendaria tenutasi nel mese di giugno 2011”.

Cinque giorni dopo, il 22 novembre, un comunica-to congiunto di Acea e di Ac-qualatina rendeva noto che il contratto era stato già stipula-to, per cui le quote private di quest’ultima società passava-no sotto il controllo di Acea.

Da questa vicenda posso-

no dedursi due conclusioni politiche, entrambe dramma-tiche e illuminanti per tutti co-loro che hanno riposto la fidu-cia nel Movimento 5 Stelle: o il sindaco Raggi è talmente in-capace da non riuscire a im-porre la sua volontà politica agli enti, come Acea, control-lati dal Comune che lei ammi-nistra, oppure fa il doppio gio-co, ossia finge di criticare ma in realtà non fa nulla per im-pedire.

Alla luce degli ultimi avve-nimenti come l’arresto del suo braccio destro, non si esclu-

de che la seconda eventuali-tà sia quella giusta, e tale tesi confermerebbe che il capitale privato, e come conseguenza l’interesse privato, è un ele-mento in grado di piegare al proprio volere gli amministra-tori pubblici eletti in questo si-stema, e di conseguenza di vanificare totalmente la volon-tà popolare che, nel caso in esame, ha chiaramente detto che l’acqua e la sua gestione devono restare solo e soltanto pubbliche.

UTILIZZATE Invito agli operai, lavoratori, compresi i precari, disoccupati, pensionati, donne, giovani, studenti

il bolscevico mette a disposizione di tutti i suoi lettori non membri del PMLI, senza alcuna discriminazione ideologica, religiosa, politica e organizza-tiva, fatta salva la pregiudiziale antifascista, alcune rubriche affinché possiate esprimere liberamente il vostro pensiero e dare il vostro contributo personale alla lotta contro la classe dominante borghese e il suo governo, le giunte locali e regionali, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, il neofascismo e i mali vecchi e nuovi del capitalismo, per l’Italia unita, rossa e socialista.

Alla rubrica “LETTERE” vanno indirizzate le opinioni di sostegno al Bol-scevico, al PMLI e ad ogni sua istanza anche di base, nonché le proposte e i consigli tendenti a migliorare il nostro lavoro politico e giornalistico.

Alla rubrica “DIALOGO CON I LETTORI” vanno indirizzate le questioni ideologiche e politiche che si intendono dibattere con “Il Bolscevico”, anche se sono in contraddizione con la linea del PMLI. Le lettere non devono supe-

rare le 3.600 battute spazi inclusi.

Alla rubrica “CONTRIBUTI” vanno indirizzate le opinioni riguardanti l’at-tualità politica, sindacale, sociale e culturale in Italia e nel mondo.

Tali opinioni non necessariamente debbono coincidere in tutto con quelle del PMLI, ma non devono nemmeno essere contrapposte alla linea del no-stro Partito. In tal caso non si tratterebbe di un contributo alla discussione e all’approfondimento dei temi sollevati dal PMLI e da “Il Bolscevico”, ma di un intervento contraddittorio adatto tutt’al più alla rubrica “Dialogo con i lettori”.

Questa rubrica è a disposizione delle operaie e degli operai non membri del PMLI che vogliono esprimere la loro opinione sugli avvenimenti politici,

sindacali, sociali e culturali, o che vogliono informare le lettrici e i lettori de “Il Bolscevico” sulla situazione, sugli avvenimenti e sulle lotte della loro azienda

Alla rubrica “CORRISPONDENZA DELLE MASSE” vanno indirizzate le denunce e le cronache di avvenimenti sociali, politici, sindacali che interes-sano la propria fabbrica, scuola e università e ambiente di vita, quartiere di abitazione, città o regione.

Sbatti i signori del palazzo in 1ª paginaLibere denunce dei lettori

Alla rubrica “SBATTI I SIGNORI DEL PALAZZO IN 1ª PAGINA” vanno indirizzate le denunce delle ingiustizie, angherie, soprusi, malefatte e mascal-zonate che commettono ministri, governatori, sindaci, assessori, funzionari pubblici, insomma chiunque detenga del potere nelle istituzioni borghesi.

Utilizzate a fondo queste rubriche per le vostre denunce, vi raccomandiamo solo di essere brevi, concisi, chiari... e coraggiosi. Usate la tastiera o la penna come spade per trafiggere i nemici del popolo, come un maglio per abbattere il governo Gentiloni, come scope per far pulizia delle idee errate e non proletarie che i revisionisti e i riformisti comunque mascherati inculcano al proletariato e alle masse lavoratrici, giovanili, femminili e popolari, come un energetico per incoraggiare le compagne, i compagni e le masse ad andare fino in fondo nella lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo.

GLI ARTICOLI VANNO INVIATI A:[email protected]

IL BOLSCEVICO - Via del Pollaiolo 172a - 50142 FIRENZE - Fax 055 5123164La Redazione centrale de “Il Bolscevico”

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10 il bolscevico / PMLI N. 3 - 26 gennaio 2017

Luminoso Futuro pubblica l’articolo de “Il Bolscevico” sulla proposta di Scalfari di riconoscere lo Stato islamico e di trattare con esso

Anche stavolta non sono passate che poche ore dal-la divulgazione in rete dell’articolo de “Il Bolscevico” n. 2/2017 “Scalfari su ‘Repubblica’ avanza la proposta di ri-conoscere lo Stato islamico e negoziare con esso” che Luminoso Futuro blog del PC(ML) di Panama lo rilancia tradotto in lingua spagnola-castigliano.

Fra l’altro nello stesso giorno era stato precedente-mente pubblicato anche l’articolo “L’intellettuale cinese Wang Hui, pubblicato dal ‘manifesto’, deforma il pensie-ro di Mao e la rivoluzione culturale” con una nota del cu-ratore del blog, compagno Quibian Gaytan, portavoce ufficiale del Comitato centrale del PC(ML)P, nella qua-le Luminoso Futuro avvisa i suoi lettori e visitatori che il blog si prende tutte le responsabilità se la traduzio-ne dall’italiano allo spagnolo non è perfetta e per que-sta ragione si scusa con loro e, insieme, coi compagni del PMLI.

La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta e di propaganda, assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università.

Frequentiamola il più possibile per diffondere i messaggi del Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più a esse.

STAREIN PIAZZA

Complimenti per 2 articoli e una

opinioneSalve,volevo complimentarmi per

i seguenti due articoli pubbli-cati sul vostro giornale:

- articolo su “Il Bolscevico” del 12 gennaio 2017 a pagi-na 13 scritto dal PMLI Rufina, inerente la situazione della Belfiore. Condivido tutto ciò che c’è scritto in particolare il discorso che non esistono imprenditori “buoni”. Bravo al PMLI Rufina per averlo scrit-to e detto e ricordato.

- articolo su “Il Bolscevico” del 19 gennaio 2017 a pagi-na 13 “Corrispondenze Ope-raie” a cura di Andrea Opera-io del Mugello. Mi è piaciuto molto l’articolo e condivido tutto ciò che scrive.

Poi volevo dire la mia opi-nione in merito a questo: An-cora nelle cosiddette “regio-ni rosse” (Toscana, Umbria, Emilia-Romagna) vige que-sto sillogismo, che è ben in-culcato nelle persone più anziane, in avanti con l’età che consiste nel votare PD perché è l’erede del PCI ed è comunista. Questo ragio-namento è profondamen-te sbagliato, oltre che falso ma purtroppo molte perso-ne in buona fede ci cascano. Occorre trovare il tempo per spiegare e dialogare con le persone più anziane che non è così!

Grazie.Alessandro -

Sesto Fiorentino (Firenze)

A proposito della posizione di Scalfari

sull’IsisEsponente tipico e accre-

ditato della sinistra borghese, “Barbapapà” Eugenio Scalfa-ri non può certo essere defi-nito un “minus habens”, uno sciocco (cosa che invece vale, per esempio, per il mini-stro Poletti, che torna impru-dentemente sulla sua frase a proposito dei giovani emigra-ti all’estero... ovviamente era meglio tacere... se proprio...). Fondatore di Repubblica, grande manovratore negli in-trallazzi della politica della

dittatura borghese (prima con Craxi, poi contro, andreottia-no e poi anti-andreottiano, per Renzi poi contro, etc.), Scalfari è “saggio”, accorto, sa destreggiarsi. La proposta attuale, pur se appunto con-traddittoria, come opportuna-mente segnalato da “Il Bol-scevico”, lascia comunque in qualche modo aperta la stra-da a un riconoscimento, a li-vello di diritto internazionale, dell’ISIS.

Probabilmente nelle se-grete stanze, tra politici, ban-chieri, massoni, alti prelati e spie si è pensato che i costi attuali della guerra imperiali-sta si stanno alzando troppo,

che quindi per lo stesso impe-rialismo capitalista conviene scendere a “più miti consigli”, trattando. Certo, non sarà mai, in nessun caso, un rico-noscimento vero (l’imperiali-smo non deroga ai suoi fini e ai suoi “principi”), ma già aver lasciato ventilare, da parte di un “pezzo da novanta”, tale possibilità, credo sia signifi-cativo di un mutato clima da parte dei facitori della guer-ra imperialista che, appun-to, stanno “facendo i conti” e sanno che nessuna guerra imperialista riuscirà a domare chi, comunque, dell’imperiali-smo non accetta la logica.

Eugen Galasso - Firenze

“Leggendo ‘Il Bolscevico’ ci si riscalda”(Risposta del compagno fiorentino Andrea Panari al Segretario genera-le del Partito, che per telefono interno alla Sede centrale gli domandava se aveva freddo. In quel momento il compagno Andrea stava leggendo lo scorso numero de “Il Bolscevico”, che aveva appena fatto stampare per sé e per altri compagni)

Richiedete gli opuscolin. 3, 9, 13, 15, 16 di Giovanni ScuderiLe richieste vanno indirizzate a: [email protected]

PMLIvia A. del Pollaiolo, 172/a 50142 Firenze - Tel. e fax 055 5123164

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N. 3 - 26 gennaio 2017 antifascismo / il bolscevico 11Presidio antifascista a Modena contro l’aPertura

del circolo fascista “terra dei Padri”In piazza la “Gazzetta di Modena” intervista il Responsabile locale del PMLI ma poi cita solo la

presenza del Partito. Censurato dai media borghesi il comunicato del PMLIDal corrispondente �dell’Organizzazione di Modena del PMLINell’ultimo anno il neofa-

scismo e il neonazismo hanno messo piede a Modena, oramai in pianta stabile, fino ad aprire il “circolo culturale” la “Terra dei Padri” in via Nicolò Biondo. Ricordiamo che il 16 gennaio 2016 Forza Nuova aveva ma-nifestato liberamente nella città e che “Terra dei Padri” è una maschera, dietro al “circolo” infatti si nascondono dirigen-ti e militanti di Fratelli d’Italia, Lega Nord, Forza Nuova, Casa Pound, Lealtà e Azione.

Il sindaco di Modena, fal-so amico del popolo, il piddi-no Gian Carlo Muzzarelli, si è espresso solamente riguardo alla “sicurezza” e ha speso qualche parola sull’antifasci-smo, ma il suo è un antifasci-smo di facciata tutt’altro che convinto, è comunque compli-ce, insieme a questore e pre-fetto, dell’apertura in quanto il “circolo” sarebbe a “norma di legge”. Probabilmente hanno il prosciutto sugli occhi, si affer-mano come sempre servi del capitalismo difendendo i neo-

fascisti loro scagnozzi ed amici più fidati.

Per chiedere l’immediata, irrevocabile e definitiva chiusu-ra del circolo nero centinaia di antifascisti sabato 14 gennaio sono scesi in piazza a Mode-na, donne e uomini, giovani e meno giovani tutti uniti gre-mendo piazza Torre, di fronte al Sacrario dei Caduti dove si vedono centinaia di foto di gio-vani ammazzati dai fascisti e dai nazifascisti.

L’Organizzazione di Modena del PMLI, intervenuta alla vigilia con un comunicato di condan-na dell’inaugurazione del circo-lo fascista (pubblicato a parte, ndr), ha partecipato in modo militante al presidio organizzato da ANPI, ALPI e FIAP, suscitan-do molto interesse. Alcuni ma-nifestanti, ammirando la rossa bandiera del Partito del proleta-riato, si sono complimentati per la presenza del PMLI e hanno confidato l’odio verso il gover-no diretto dal PD, sia a livello nazionale che a livello locale e la necessità del socialismo vero.

Durante il presidio il compa-gno Responsabile dell’Organiz-

zazione locale del PMLI è stato intervistato dalla “Gazzetta di Modena”, senza però alcun ri-scontro poiché essa ha poi ci-tato solo la presenza del PMLI e non le sue motivazioni. Il co-municato stampa del Partito è stato invece del tutto censurato sia da tale quotidiano sia dagli altri media borghesi.

Nei comizi finali, penoso quello dell’amministrazione comunale per bocca del vice-sindaco Gianpietro Cavazza, l’ANPI ha ricordato quello che ha subìto la nostra città durante il fascismo e durante la guerra imperialista mondiale. Nel suo intervento la presidente di Mo-dena dell’associazione parti-giana, Aude Pacchioni, ha cita-to la lettera aperta indirizzata ai parlamentari eletti nella nostra provincia perché si impegnino affinché le organizzazioni fasci-ste vengano messe fuori legge in base alla Costituzione e alle leggi vigenti.

Contemporaneamente al presidio si è svolto un corteo antifascista organizzato tra gli altri dal Collettivo “Guernica”, marcato stretto dalle “forze dell’ordine”. Tra gli slogan, “La

storia partigiana l’ha insegnato, il fascismo da Modena va cac-ciato”. Circa duecento i parte-cipanti a questa manifestazione aperta dallo striscione “Uniti contro ogni fascismo” e che ha provato ad avvicinarsi al circolo “Terra dei Padri”.

Noi marxisti-leninisti ci unia-mo decisi alla richiesta di chiu-sura immediata dei covi fasci-sti e ribadiamo la necessità di costruire un grande fronte unito antifascista. Il PMLI è sempre pronto al dialogo e porge la mano a chiunque voglia unirsi

sinceramente per abbattere il governo Gentiloni e il governo locale Muzzarelli, in nome del vero antifascismo, per la liber-tà del popolo dall’oppressione capitalista e dei suoi governi centrale e locali.

coMunicato staMPa dell’organizzazione di Modena del PMli

il PMli condanna l’apertura del circolo la “terra dei Padri”

Presidio antifascista contro l’adunata di forza nuova a Milano

Il PMLI punta il dito contro il governo Gentiloni e il sindaco PD Sala, complici e tolleranti con i nazifascisti nonostante le leggi vigenti, riscuotendo notevole

successo tra i manifestantiMetteRe fuoRILeGGe Le oRGanIzzazIonI faSCISte I marxisti-leninisti di Mo-

dena e provincia, nello spiri-to dei valori della Resistenza e dell’antifascismo militante, condannano con forza l’aper-tura della “Terra dei Padri”, che si terrà in città sabato 14 gennaio 2017 e si schierano con tutte le forze antifasciste presenti sul territorio per con-trastare l’orda neofascista.

La “Terra dei Padri”, nuovo “circolo culturale” con tanto di modulo d’iscrizione e tessera-mento, nasce con l’obiettivo di promuovere “dibattiti” e “iniziative” nella nostra città. Questo “circolo culturale” non è nient’altro che una masche-ra dove si nascondono diri-genti e militanti dell’estrema destra locale, Fratelli d’Italia in collaborazione con com-ponenti di Casa Pound, Forza Nuova, Lealtà e Azione.

Non ci spieghiamo come mai sia stato concesso, da questura e prefettura, a dei movimenti, banditi dalla Co-stituzione italiana, spazio per esprimere liberamente le loro idee cariche di odio, mentre continuano gli sgomberi degli spazi antifascisti, con tanto di manganello.

Al momento il sindaco e falso “amico” del popolo Gian Carlo Muzzarelli ha dichiarato solamente, in un comunicato stampa del 13 gennaio, “che niente deve diventare prete-sto per scatenare violenze e vandalismi in una città che, per la sua storia e tradizione, ha sempre fatto prevalere la forza del dialogo e delle idee,

chiedendo al contempo alle autorità che devono vigilare sull’ordine pubblico e sul ri-spetto delle leggi di essere rigorosi e di controllare che il nuovo circolo ‘Terra dei padri’ rispetti come ogni altro le leg-gi vigenti e non sia veicolo di idee di odio e di apologia del fascismo, contrarie ai principi costituzionali sui quali è fon-data la Repubblica italiana”. Ma come può un sindaco esprimersi in questo modo, contraddittorio e ambiguo, e essere accondiscendente all’apertura della “Terra dei Padri” grazie anche agli ap-poggi di Fratelli d’Italia e Lega Nord e come può il Comune di Modena aderire al presidio antifascista di domani, orga-nizzato da Anpi, Alpi e Fiap a difesa dei valori della Modena democratica e antifascista? Infatti, stranamente il sindaco non sarà presente ma vi sarà il vice sindaco Gianpietro Ca-vazza.

Per noi marxisti-leninisti il comportamento dell’ammi-nistrazione comunale locale è vergognoso, deplorevole e smaschera la natura fascista del PD.

Ribadiamo la necessità e l’invito a costruire insieme a tutte le forze antifasciste un grande fronte unito antifa-scista, a Modena, Medaglia d’Oro alla Resistenza e sim-bolo della lotta partigiana.

L’Organizzazione di Mo-dena del Partito marxista-leninista italiano

13 gennaio 2017

Redazione di Milano �Per sabato 14 gennaio, For-

za Nuova ha indetto a Milano una sua adunata concernen-te in una manifestazione na-zifascista nazionale, ossia un corteo con partenza da piazza Duomo, suscitando la giusta indignazione e protesta del Co-mitato permanente antifascista del quale fanno parte l’Anpi, il Comitato Lombardo Antifasci-sta ed il gruppo Memoria Anti-fascista, che hanno organizza-to nel pomeriggio dello stesso giorno un presidio in piazza Fontana, poi trasformatosi in corteo fino a Piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino (Sede

della giunta del sindaco PD Giuseppe Sala), per dire basta al reiterarsi di manifestazioni e iniziative di tipo dichiaratamen-te fascista, che offendono e oltraggiano Milano, città Meda-glia d’Oro della Resistenza.

A seguito dell’annunciata mobilitazione antifascista il sin-daco PD Giuseppe Sala non ha autorizzato lo svolgimento del corteo nazifascista da piazza Duomo per motivi di “ordine pubblico”, una presa in giro vi-sto che l’iniziativa nazifascista è stata solo spostata all’arco della Pace adiacente al centra-lissimo corso Sempione dove è stato consentito agli squadristi

nazifascisti di svolgere un nero presidio. Questo atto è un ulte-riore prova della considerazione e dello spazio sempre maggiore che questo regime neofascista e le sue istituzioni danno alle organizzazioni di matrice nazi-fascista.

Militanti della cellula “Mao” di Milano del PMLI hanno par-tecipato al presidio antifasci-sta con il cartello realizzato dal Comitato Lombardo del PMLI riportante da un lato la scrit-ta “Mettere fuorilegge i gruppi nazifascisti – applicare la legge n.645 del 20 giugno 1952” e dall’altra “Opponiamoci al go-verno Gentiloni di matrice ren-ziana, antipopolare, piduista e

fascista – Lottiamo per aprire la strada al socialismo e al potere politico del proletariato”, che ha riscosso notevole successo tra i presenti, e la rossa bandiera del Partito. I marxisti-leninisti mila-nesi rivendicano la messa fuori legge di tutti i gruppi nazifasci-sti in base alla XII disposizione transitoria finale (comma primo) che vieta sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del disciolto partito fascista e l’applicazione della legge 645 del 20 giugno 1952 e della legge Mancino che punisce l’apologia del fascismo e le pratiche xenofobe e discri-minatorie che tale ideologia si porta dietro.

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI

202024

Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Ta - Trasporto Aereo – Sciopero dei lavoratori del settore rappresentato dalle

associazioni Assaereo, Assaeroporti, Fairo, AssohandlersCub trasporti, OSR – Sciopero del personale trasporto aereo delle soc. Sea di Milano Linate e Malpensa e del personale

gruppo Alitalia-Sai

Cobas Pt-Cub-Usb – Poste-Comunicazioni – Sciopero dei lavoratori di Poste Italiane SpA

GENNAIOCgil, Cisl, Uil, Ugl e Orsa Trasporti – Sciopero dei

lavoratori Trenitalia con modalità regionali diversificate8-25

Modena 14 gennaio 2017. Il PMLI ha partecipato al presidio antifascista a Modena contro l’apertura del circolo fascista “Terra dei Padri” (foto il Bolscevico)

Milano 14 gennaio 2017. Il sit-in antifascista contro il raduno di Forza nuova. Al centro il manifesto e la bandiera del PMLI (foto il Bolscevico)

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12 il bolscevico / cronache locali N. 3 - 26 gennaio 2017

A Sesto Fiorentino governata da Sinistra italiana

Muore proFugo nell’incendio del cApAnnone in cui vivevA in condizioni SubuMAne

Manganellati davanti alla prefettura i sopravvissuti al rogo che chiedevano “casa e dignità”. I comuni di Firenze e Sesto Fiorentino e la Regione toscana continuano a negare loro i più elementari diritti

�Redazione di FirenzeNella notte di mercoledì 11

gennaio Ali Muse Mohamud, profugo somalo di 44 anni, è morto nel rogo di un capanno-ne abbandonato dove viveva in condizioni subumane, insie-me a un centinaio di profughi e immigrati, alle porte di Firenze nella zona industriale dell’O-smannoro, comune di Sesto Fiorentino amministrato da Sinistra italiana. Allo scoppio dell’incendio, probabilmente causato dalle stufette utilizza-te per difendersi dall’ondata di gelo, gli occupanti sono ri-usciti tutti a fuggire, ma Alì si è gettato di nuovo fra le fiamme per recuperare i documenti necessari al ricongiungimen-to familiare con la moglie e i tre figli attualmente in Kenya, ricongiungimento atteso da oltre due anni a causa delle lungaggini burocratiche, addi-rittura gli era stato richiesto il test del dna per certificare la paternità dei figli. Nel rogo del

capannone altri due migranti sono rimasti feriti.

Fra le principali cause che nell’immediato hanno causato questo dramma gli occupanti hanno subito denunciato l’ar-ticolo 5 della legge 80/2014, voluta dal governo di Matteo Renzi, che prevede il distacco delle utenze negli stabili oc-cupati. Polizia e tecnici dell’E-nel erano intervenuti anche sul capannone bruciato all’O-smannoro, per cui gli occu-panti avevano realizzati degli allacci alla rete elettrica privi di sicurezza.

Questo dramma è ma-turato per la vergognosa e colpevole assenza del-lo Stato italiano e delle isti-tuzioni locali nell’accogliere un gruppo di profughi soma-li, arrivati a Firenze, in fuga dalla guerra, intorno all’anno 2000; come si vede la rea-zionaria negazione dei diritti per profughi e migranti è una costante anche nella Tosca-

na governata dalla “sinistra”.Sono stati finanziati spo-

radici “progetti”, finalizzati a “creare opportunità” o a tam-ponare emergenze abitative, e ingrassare le associazioni e cooperative coinvolte, secon-do la filosofia di sussidiarietà che ispira il liberismo dilagan-te, ma non sono stati garanti-ti i diritti fondamentali. Per cui dopo 15 anni molti dei profughi somali, nucleo principale degli occupanti del capannone, pur avendo i documenti in ordine, non avevano domicilio, e quin-di niente medico curante, nien-te accesso ai bandi per le case popolari, ecc., molti lavorava-no a nero per 2-3 euro l’ora nei capannoni di imprenditori cinesi nella zona. Questi pro-fughi nel corso degli anni han-no occupato diversi stabili, da cui sono stati via via cacciati; nel 2013 un altro giovane so-

malo si era suicidato, stremato dalla burocrazia per ottenere il permesso di soggiorno, nello stabile occupato in via Slapa-ter a Firenze, da cui il gruppo è stato allontanato; all’epoca la Regione toscana ha investi-to 400mila euro in una coope-rativa sociale per “parlare con gli occupanti”.

Per questo, dopo la notte di terrore e il ricovero di fortu-na in un tendone del comune di Sesto Fiorentino, gli occu-panti del capannone il gior-no seguente hanno portato in piazza la loro giusta indigna-zione e le loro rivendicazioni. Prima davanti alla Prefettura, dove hanno improvvisato un sit-in bloccando la centrale via Cavour, poi a Palazzo Stroz-zi, dove è stato impedito loro di accedere ai locali della mo-stra di un artista internaziona-le proprio sui profughi. Negli

striscioni e negli slogan le loro sacrosante ragioni: “Ali Muse è morto per colpa dello Stato”, “Vogliamo una casa e una vita dignitosa”, “Vergogna, vergo-gna”, “Basta morti”.

Sabato 14 mattina gli oc-cupanti hanno portato di nuo-vo la loro protesta davanti alla Prefettura. Volevano parteci-pare all’incontro del prefetto con i sindaci di Firenze e Se-sto Fiorentino e il presidente della Regione Enrico Rossi per decidere la loro sorte, ma un nutrito cordone di poliziot-ti li ha tenuti lontani con due cariche e colpi di manganello. Nel primo pomeriggio il verti-ce ha deciso che la proposta per i rifugiati politici del ca-pannone bruciato fosse quella dell’emergenza freddo: dormi-tori, sparsi in tutta la provin-cia di Firenze, in cui è possibi-le stare dalle 20 alle 7, e solo

fino a marzo. La decisione è stata presa in pieno dispregio delle richieste che a gran voce venivano espresse dai mani-festanti.

Lunedì 16 agli assistenti sociali il compito di far rientra-re la protesta con colloqui in-dividuali, gli occupanti hanno risposto con una delegazione che ha chiesto una contratta-zione collettiva esprimendo il loro rifiuto unanime a una so-luzione temporanea e inade-guata. Per le persone mala-te o invalide, hanno chiesto di sapere con precisione il luo-go, le condizioni e la durata della permanenza e hanno continuato per ore a respinge-re i tentativi da parte degli as-sistenti sociali di dividerli.

Questo è l’epilogo, le am-ministrazioni comunali e re-gionale perseverano nella po-litica di negazione dei diritti ai profughi e migranti; sono ipo-crite lacrime di coccodrillo i proclami di cordoglio, come quello dell’assessore al Wel-fare e Sanità, Accoglienza e Integrazione, Pari Opportunità e Casa del Comune di Firen-ze, Sara Funaro (PD, nipote di Piero Bargellini, il sindaco DC degli anni Sessanta), con cui ha annunciato che il Comune si farà carico dei funerali di Ali Muse.

Noi marxisti-leninisti espri-miamo tutto il nostro cordoglio e solidarietà alla famiglia di Ali Muse e a tutti gli occupanti del capannone, condanniamo du-ramente il vergognoso com-portamento verso di loro degli amministratori di Sinistra ita-liana di Sesto fiorentino e di quelli del PD di Firenze e del-la regione Toscana, e invitia-mo le masse popolari antiraz-ziste a battersi con decisione per i diritti dei profughi e dei migranti, a partire da quelli del capannone andato a fuoco.

per reAti coMMeSSi quAndo erA SindAco di reggio cAlAbriA

condannato a 5 anni di reclusione l’ex governatore della regione calabria Scopelliti

Giuseppe Scopelliti, il fa-scista mal-ripulito ex gover-natore della Regione Cala-bria è stato condannato in appello a 5 anni di reclusione per il caso “Fallara”, per falso in atto pubblico e abuso d’uffi-cio, per irregolarità dei bilanci del comune di Reggio Cala-bria ai tempi in cui era sinda-co (che portarono al tracollo finanziario la città dello stret-to) e per le autoliquidazioni della dirigente dell’ufficio ra-gioneria del comune, Orso-la Fallara, morta “misterio-samente” suicida dopo aver ingerito acido muriatico.

L’ex sindaco secondo i magistrati della corte d’ap-pello, avrebbe utilizzato le finanze del comune per co-struire consenso intorno a sé

e ai suoi sodali nel tentativo, poi riuscito, di scalare la Re-gione, con l’appoggio eletto-rale anche della ‘ndrina dei De Stefano-Tegano di Archi (come ha svelato l’inchie-sta “Mammasantissima” che coinvolge anche lui e i suoi uomini).

Ruolo chiave in questo quadro quello della Fallara la quale, si legge nella senten-za di primo grado “era una perfetta esecutrice di diretti-ve precise che provenivano dal sindaco Scopelliti, che, tramite lei, ha creato un siste-ma accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti colo-ro che avrebbero potuto osta-colarlo (cioè i dirigenti non asserviti al suo dominio e gli assessori che eventualmente

avessero voluto svolgere le loro funzioni correttamente)”.

Condannati anche a 2 anni e 4 mesi i revisori dei con-ti del Comune Carmelo Stra-cuzzi, Domenico D’Amico e Ruggero Ettore De Medici, in-terdetti dai pubblici uffici per 5 anni.

Ma le tegole per l’ex del-fino calabrese di Fini non fi-niscono qui. Pochi giorni pri-ma della sentenza la Guardia di finanza gli ha notificato un avviso di garanzia per rici-claggio, nel quale è coinvol-ta anche la moglie Barbara Varchetta, per i fatti riguar-danti l’acquisto per 2 milioni e mezzo di euro da parte del comune di Reggio dell’area ex Italcitrus, con la scusa di trasformarlo in una sede Rai,

cosa mai avvenuta, quando in realtà il valore dell’area di proprietà dell’imprenditore Emidio Francesco Falcone era intorno al 20% della cifra versata.

Condannato dalla Cor-te dei Conti a risarcire il co-mune per centinaia di miglia-ia di euro e obbligato a non prelevare soldi dai suoi con-ti per non apparire fintamente non in grado di mettere ripa-ro almeno in parte al danno fatto alle tasche dei reggini, Scopelliti ha invece effettua-to bonifici per almeno 80mila euro alla moglie, prosciugan-do i suoi conti in banca, con l’evidente obiettivo di sottrar-si al pagamento nei confron-ti del comune. Rischiano ora entrambi dai 4 ai 12 anni di

carcere.Scopelliti e compari so-

gnano comunque un ritorno in politica, al peggio sembra non esserci mai fine in Ca-labria, gravitando oggi, dopo l’abbandono di Forza Italia e l’ennesimo cambio di casac-

ca, nell’orbita di Azione Na-zionale di Gianfranco Fini (la cui moglie Elisabetta Tullia-ni è sotto inchiesta anch’es-sa per riciclaggio per le note vicende della casa di Monte-carlo) e l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno.

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Firenze, 12 gennaio 2017. L’occupazione di protesta dell’ingresso della mo-stra di Ai wei wei da parte dei migranti contro la morte nel rogo di Ali Muse

Firenze 14 gennaio 2017. La polizia ha represso a colpi di manganello il presidio dei migranti davanti alla prefettura

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N. 3 - 26 gennaio 2017 cronache locali / il bolscevico 13A Nola (Napoli)

IN ospedAle I mAlAtI veNgoNo curAtI per terrA

I responsabili sono i governi centrale e della Campania �Redazione di NapoliMentre a Napoli si con-

suma la chiusura clamoro-sa dei nosocomi “Annunzia-ta” nella zona a ridosso di via Forcella e “San Genna-ro” in piena zona Sanità - ral-lentata soltanto dalla prote-sta delle masse popolari del quartiere che si sono costitu-iti in Comitati di lotta – conti-nua il disastro della sanità in Campania a causa delle po-litiche sociali del governato-re plurinquisito De Luca che ha anche la delega alla Sa-nità (ancora commissariata).

Tutto era cominciato con alcuni dispacci Ansa che sot-tolineavano come l’Ospedale di Nola, il “Santa Maria del-la Pietà”, in provincia di Na-poli, che dovrebbe tutelare la salute di un’area di circa 600mila abitanti, si trovas-se in condizioni pessime al punto che si parlava di “ma-lati adagiati a terra”. Il caso scoppia con le prime fotogra-fie che ritraggono ciò che si percepiva nell’aria: un pron-to soccorso con i malati per terra soccorsi alla buona da una infermiera; la mancanza totale di barelle per prestare il primo soccorso ai pazien-ti; la scoperta di un “repar-to fantasma” adibito a spo-gliatoio; mancanza di lavori di ristrutturazione immedia-ti e mai partiti che dovevano garantire quei nuovi posti let-to in grado di ridare respiro a un’area falcidiata dal taglio di reparti e poi dalla chiusura di altri presidi dell’hinterland, uno eliminato a Pollena, l’al-

tro a Palma Campania. Fino alle scandalose foto del 9 gennaio che ritraggono i ma-lati in condizioni vergogno-se finite alla velocità della luce su internet: in particolar modo le immagini di Franca e Maria, due pazienti adagia-te su coperte e assistite dai medici e infermieri sul pavi-mento.

E se il pronto soccor-so è in condizioni fatiscenti, la fase successiva che do-vrebbe accogliere i pazienti in codice giallo, verde o ros-so sembra essere uno stillici-dio ancora più inaccettabile, con ore per avere una Tac, o solo una semplice radiogra-fia e con il laboratorio di ana-lisi dell’ospedale che non rie-sce a smaltire le richieste in un tempo adeguato. Per non parlare del tanto chiacchie-rato reparto abbandonato da anni, ossia la vecchia Orto-pedia dismessa ora adibita a spogliatoio per centinaia di operatori.

Così giustifica il direttore sanitario, De Stefano: “In ef-fetti, chi c’era prima di me fu spinto a chiudere il reparto. L’ala ovest infatti, il reparto della vecchia Ortopedia, ven-ne dichiarata non agibile dai Nas. Sono anni che siamo in attesa di un progetto di ri-strutturazione, questo è vero. E non avendo spazi idonei per gli spogliatoi, che pure devono essere tutti utilizza-bili dal personale, abbiamo temporaneamente allocato questi servizi nell’area dove un tempo c’erano posti letto”.

In risposta allo scanda-lo di Nola, il governatore De Luca ha chiesto, in qualità di commissario del governo dal dicembre scorso, il licen-ziamento dei tre medici e diri-genti di Nola ottenendo dalla manager della ASL 3, Anto-nietta Costantini, la sospen-sione del capo dell’emergen-za Felice Avella, del direttore sanitario Andrea De Stefano e del medico e coordinatore

del pronto soccorso, Andrea Manzi, che così commenta: “che le devo dire? Siamo qui come sempre a fare del no-stro meglio, intanto abbiamo avuto prima l’annuncio della sospensione e ora la solida-rietà del commissario regio-nale che ci dice ‘non è col-pa nostra, dobbiamo seguire delle procedure’”, risponden-do stizzito ai diktat dell’ex sindaco di Salerno.

A sostegno dei sospesi sembra essere il Ministro del-la Sanità, Beatrice Lorenzin, che attacca velatamente De Luca affermando che “il pro-blema degli ospedali in Cam-pania sta nella mancata or-ganizzazione: nella capacità o incapacità di direttori gene-rali e manager di organizza-re presidi e servizi. E di mo-nitorare quello che accade”. Dovrebbe, invece, chieder-si come da quattro anni non si sia accorta dell’incredibile sfascio in cui versa la sanità campana da quando fu nomi-nata il 28 aprile 2013 dal go-verno Letta Ministro per poi essere riconfermata dal neo-duce Renzi e dal suo sodale Gentiloni.

Uno scaricabarile degno del miglior teatro del regime neofascista e per ora vola-no solo gli “stracci” ossia i di-rigenti locali dell’Ospedale, mentre a dimettersi dovreb-bero essere in tandem sia il ministro Lorenzin che il go-vernatore De Luca, i veri re-sponsabili politici dell’invere-condo disastro della sanità in Campania..

Nola (Napoli). Come in un ospedale improvvisato in una zona di guerra alcuni ricoverati vengono curati su una coperta stesa in terra

A due ANNI dAllA AbolIzIoNe delle provINce uN Altro flop dell’ex pm

de magistris non riesce a dare una direzione alla “città metropolitana”

Con la controriforma Delrio voluta dal governo Renzi l’hinterland partenopeo viene completamente abbandonato

�Redazione di Napoli

Si tratta di un autentico flop politico e organizzativo la co-stituzione della “città metro-politana” a Napoli, l’organi-smo che doveva sostituire il “carrozzone” delle provin-ce e dare la stura a una nuo-va macchina organizzativa e amministrativa. Ad ottobre si erano svolte le elezioni di tale organismo nell’indifferenza delle masse popolari di Na-poli e provincia, tenuto conto che la nuova legge elettorale esclude l’elettorato attivo de-stinando il voto ai soli ammi-nistratori locali che scelgono i consiglieri della città metropo-litana. Né più né meno il ten-tativo di controriforma costitu-zionale del Senato voluto da Renzi-Boschi – bocciato dal-le masse popolari lo scorso 4 dicembre con una valanga di NO al referendum – ma in mi-

niatura, tagliato per la destra e la “sinistra” del regime ne-ofascista e le loro appendici (M5S incluso).

L’intento iniziale voluto dai sostenitori della “città metro-politana” – e contenuto nel-la controriforma Delrio - era quello di “dare cornice, coor-dinamento e azione comune alle grandi aree urbane che circondano le dieci città italia-ne più grandi” tra cui Napoli e sostituire le province. In real-tà con risorse dimezzate ri-spetto al vecchio ente locale e i dipendenti assorbiti in al-tri settori della pubblica am-ministrazione, il progetto della “città metropolitana” è sbiadi-to fin dalla sua fase genetica con un forte potere concen-trato in una unica mano, quel-la del sindaco metropolitano, in questo momento occupato dal sindaco De Magistris che non ha né giunta né assessori

e decide sostanzialmente da solo.

A fare da comparsa vicino all’ex pm il Consiglio metro-politano e la Conferenza me-tropolitana, organi per lo più consultivi e svuotati quasi di ogni potere, visto che, tra l’al-tro, hanno forti difficoltà a ri-unirsi con sedute deserte e organismi fermi soprattutto la Conferenza metropolitana che dovrebbe raccogliere i 92 sindaci della provincia napo-letana. Anche la fantomatica “Stazione unica appaltante” – ossia l’idea di costruire un si-stema centrale per uniformare la spesa dei comuni, rispar-miare sulle economie di sca-la, realizzare sinergie tra gli enti per gli appalti superiori a 40 mila euro - è miseramente fallita, appoggiata da soli 6 co-muni su 92.

Particolarmente critici con De Magistris gli altri sinda-

ci che, a dir loro, sta facendo solo il “bene” di Napoli ma non dell’hinterland: basti pensare che dei 308 milioni di euro del Patto col nuovo duce Renzi, solo 8 milioni sono stati desti-nati alle province abbandona-te: praticamente briciole.

Questa situazione, dove De Magistris sta facendo il padrone in questa “nuova” amministrazione, sta già por-tando 48 milioni di euro di per-dite nel 2015 e un crollo del-le entrate tributarie del 14% che andranno a ricadere, con nuovi balzelli, sulle masse po-polari napoletane e della pro-vincia. Una gestione che ri-guarda 3.109.000 di abitanti ma anche un patrimonio im-mobiliare di mezzo miliardo di euro che ora rischia di essere disperso per una controrifor-ma voluta da Renzi e accet-tata a testa bassa dal “super” sindaco De Magistris.

A civitavecchia (roma)

Iniziata la raccolta delle firme per il referendum

cittadino contro il megaforno crematorioLa giunta pentastellata, indifferente alle richieste e alle motivazioni della

popolazione, ha iniziato i lavori �Dal corrispondente dell’Organizzazione di Civitavecchia del PMLIMalgrado il freddo pun-

gente nei punti strategici di Civitavecchia (Roma) è ini-ziata la raccolta delle firme per il referendum cittadino contro il megaforno crema-torio industriale. Grande la partecipazione della popo-lazione per firmare ai ban-chini, organizzati dal comi-tato contro il forno, al quale partecipa attivamente an-che l’Organizzazione di Ci-vitavecchia del PMLI.

La popolazione è schi-fata dall’atteggiamento ar-rogante del sindaco Coz-zolino e della sua giunta a maggioranza M5S che, in-differente alle richieste e alle motivazioni contro que-sta ingiusta decisione, ha iniziato i lavori al cimitero

nuovo. Tutta la città è tap-pezzata da manifesti contro l’amministrazione comuna-le che nel frattempo perde pezzi: Alessandra Riccetti è uscita dalla maggioranza e dal M5S proprio perché in disaccordo con l’agire poco limpido e trasparente degli amministratori pentastellati che invece “dovevano apri-re le istituzioni come scato-lette di tonno”.

Dopo il parere negativo della commissione tecnica sul referendum, il comitato ha deciso di fare ricorso e di proseguire la raccolta fir-me. Il consiglio comunale deve ancora discutere sul parere della commissione: se i consiglieri la impugnas-sero, negherebbero il diritto alla popolazione di decide-re sulla propria salute.

contro la mancanza di riscaldamento e le gravi carenze strutturali

ImportANte gIorNAtA dI scIopero deglI studeNtI pAttesI

A Patti (Messina), giovedì 12 gennaio ha avuto luogo lo sciopero indetto dagli studen-ti del liceo V. Emanuele III in-dirizzo scientifico, ospitati nel-la sede di contrada Rasola, per protestare contro le gravissime carenze strutturali che affliggo-no entrambe le sedi del suddet-to indirizzo, in particolare con-tro il non funzionamento degli impianti di riscaldamento, che costringe i ragazzi ad anda-re a scuola con le coperte. Allo sciopero hanno partecipato an-che piccole rappresentanze de-gli indirizzi classico e linguisti-co (tra cui io e circa metà della mia classe), oltre ai ragazzi del-lo scientifico ospitati nella sede di piazza Gramsci.

La dimostrazione ha avuto luogo nel cortile della sede di contrada Rasola, di proprietà di un privato che riceve non pochi soldi dalla regione, e ha visto la partecipazione di circa un cen-tinaio di studenti, più molti altri che hanno dato la loro solidarie-tà semplicemente non entran-do, sortendo i seguenti effetti: 5 classi dello scientifico saran-no momentaneamente trasferite nella sede centrale del classico, e è stata inviata all’ex provincia di Messina una richiesta di inter-vento immediato, che ha avuto risposta la sera stessa. L’ex pro-vincia ha infatti promesso che manderà due geometri a verifi-care le criticità denunciate da-gli studenti. Si spera che questo porti almeno alla risoluzione del problema riscaldamento.

Si può quindi dire che la pro-testa abbia sortito effetti tutto sommato positivi, con la consa-

pevolezza che il problema della sistemazione del liceo scientifi-co, che attende una sede tutta sua da più di vent’anni, è ancora lontano dalla risoluzione.

Devo però muovere due cri-tiche: una è per gli studenti del-lo scientifico che hanno orga-nizzato lo sciopero con troppa fretta, senza prendere in consi-derazione soluzioni alternative (che comunque dubito avreb-bero avuto la stessa incisività) e senza avere così modo di or-ganizzare la cosa in modo più partecipato. Infatti la comuni-cazione dell’iniziativa è arrivata ai rappresentanti d’istituto, tutti studenti del classico in quanto il liceo è uno solo diviso in tre in-dirizzi, solo due giorni prima, e a loro volta (e qui arrivo alla se-conda critica) l’hanno comuni-cato a noi studenti solo il giorno prima, oltretutto rifiutandosi di aderire insieme alle quinte clas-si, da loro frequentate, con le motivazioni che lo sciopero fos-se organizzato di fretta e male e che la preside non fosse sta-ta informata in modo corretto. Comportandosi in questo modo hanno scoraggiato moltissimi studenti a partecipare, facendo venire meno lo spirito di unità di cui si erano tanto riempiti la boc-ca nei mesi scorsi. Resta il fat-to che quella di giovedì sia sta-ta una protesta sacrosanta, che andava sostenuta in massa, in-dipendentemente dai pur giusti dubbi sulla frettolosità e sulle modalità, e che può aver pian-tato un seme importante per le lotte future.

Giuseppe – Patti (Messina)

Corrispondenza delle masseQuesta rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico”

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N. 3 - 26 gennaio 2017 esteri / il bolscevico 15Alla prima conferenza stampa da presidente eletto degli Usa

TrUmp: LA rUssiA pUo’ AiUTArmi A bATTere Lo sTATo isLAmico

L’approssimarsi della data del suo insediamento alla Casa Bian-ca, il 20 gennaio, è stato scandito dal nuovo presidente americano, il miliardario fascista, razzista, xe-nofobo e misogino Donald Trump, da una serie di dichiarazioni pub-bliche e interviste iniziate con la conferenza stampa dell’11 genna-io tenuta nel suo palazzo, la Trump Tower di New York. Dichiarazioni, sopratutto in politica estera, che riprendono sostanzialmente gli argomenti più volte citati nelle sue sparate della campagna elettorale, in attesa di essere tradotte in com-portamenti concreti della nuova amministrazione.

Fra le altre sottolineiamo quelle relative al rapporto che la nuova amministrazione americana inten-de stabilire con il presidente russo Vladimir Putin, tenendo conto che la Russia e la Cina di Xi Jinping sono le principali concorrenti im-perialiste mondiali del declinante imperialismo Usa. Un argomento che unisce Washington e Mosca Trump lo ha già individuato e ri-guarda la guerra allo Stato islami-co.

Nella conferenza stampa dell’11 gennaio Trump ha sostenuto di es-sere sicuro che la Russia “rispet-terà di più gli Usa” quando ci sarà lui alla Casa Bianca. “Se a Putin

piace Trump è una cosa positi-va. Non so che relazioni avrò con Putin, ma spero siano positive“, auspicava sottolineando che l’alle-anza con Mosca può essere utile a Washington anche contro il ter-rorismo. “La Russia – ha affermato Trump – può aiutarci a combattere l’Isis. L’attuale amministrazione ha creato l’Isis andandosene dall’Iraq e creato un vuoto di potere che ha dato vita all’Isis”.

Un concetto che aveva già espresso in campagna elettorale quando alla fine dello scorso luglio aveva affermato che “io tratterei Vladimir Putin con fermezza ma non c’è nulla che preferirei fare di

più che avere la Russia come ami-ca, al contrario di quello che ab-biamo ora, così possiamo sconfig-gere insieme lo Stato Islamico con altri Paesi”.

AfghAnisTAn

La nato invia i bersaglieri italiani a farah. i talebani attaccano a Kabul

Nel novembre 2015 il gover-no di Kabul sosteneva di avere il controllo del 72% del territorio nazionale, una percentuale scesa al 63,4% nell’agosto 2016. Una semplice valutazione statistica che evidenzia la vitalità della resistenza afghana, dei talebani che si può dire abbiano celebrato il 15° anni-versario dell’aggressione imperia-lista guidata dagli Usa in Afghani-stan iniziata il 7 ottobre del 2001 con il successo di diversi attacchi contro il governo fantoccio di Ka-bul. Costringendo i comandanti del contingente militare di occupazio-ne imperialista a rafforzare la pre-senza in almeno un paio di regioni cruciali, con l’invio di bersaglieri italiani a Farah e di marines nella regione di Helmand.

Lo scorso 2 gennaio l’agenzia di stampa afgana Pajhwok, citando un rapporto trimestrale del SIGAR, l’Ispettorato speciale americano per la ricostruzione dell’Afghani-stan, ha riconosciuto che i talebani dell’Emirato islamico dell’Afghani-stan controllano 33 dei 407 distretti

del paese contro i 258 in mano al governo mentre 116 sono consi-derati “contesi”. E sono all’attacco in particolare nelle province sud occidentali di Helmand e Farah ma anche in altre zone del paese, compresa la capitale Kabul.

Il 10 gennaio un attacco della resistenza a Lashkargah, capoluo-go della provincia dell’Helmand, ha causato 7 morti tra uomini dei ser-vizi governativi. Lo stesso giorno con un’auto imbottita di esplosivo i talebani hanno colpito un autobus che trasportava personale dei ser-vizi segreti e percorreva la strada Darulaman a Kabul, nei pressi del nuovo Parlamento e non lontano dall’università americana presa di mira lo scorso agosto; almeno 30 morti e una settantina i feriti. La giornata si concludeva con un attacco della resistenza contro la sede del governatore di Kandahar ritenuto uno dei luoghi più protetti e inaccessibili del Paese. Al mo-mento dell’attacco era in corso un incontro tra il governatore e l’am-basciatore degli Emirati arabi in Af-

ghanistan con una delegazione.L’amministrazione Obama a

fronte degli attacchi di una resi-stenza sempre viva aveva deciso di aumentare i raid aerei. Secon-do i dati resi pubblici dallo US Air Forces Central Command e ana-lizzati dal Washington Post, nel 2016 1.137 le bombe sganciate sul territorio afghano sono state oltre un migliaio, con un incremento del 40% rispetto agli anni precedenti. Il contingente di occupazione in-quadrato nell’Operazione Resolute Support, che formalmente avrebbe solo compiti di addestramento, as-sistenza e consulenza per le forze di sicurezza afghane è stato re-centemenre impiegato sempre più spesso in prima linea in appoggio alle truppe del governo fantoccio.

Al Pentagono, in attesa delle di-rettive della nuova amministrazione Trump, hanno deciso il 9 gennaio di rimandare i marines nell’Hel-mand da dove si erano ritirati nel 2014 ritenendo conclusa la mis-sione di combattimento. La stessa situazione della provincia di Farah

dove sono arrivati subito circa due-cento soldati della missione a gui-da Nato, dei quali una settantina di bersaglieri italiani.

L’arrivo dei rinforzi nella pro-vincia di Farah era resa nota dal portavoce del governo provinciale che rivelava come la richiesta di appoggio fosse venuta dal gover-no provinciale “data la crescente insicurezza” provocata dalla pres-sione dei talebani. “Fino a quando le attività dell’insorgenza continue-ranno – ha affermato – questo con-tingente resterà nella provincia”.

Era il 29 ottobre del 2013 quan-do i Bersaglieri del 6° Reggimento di Trapani lasciavano, allora fu det-to definitivamente, la Base Avanza-ta (Forward Operative Base – FOB) “Dimonios” di Farah con una ce-rimonia che sanciva il passaggio di responsabilità nel settore della sicurezza del territorio, affidato dal 2006 ai militari italiani, all’Esercito afgano. Ma già nell’ottobre scorso i soldati italiani, il cui contingente principale è schierato a Herat, era-no intervenuti a supporto di una

controffensiva dell’esercito gover-nativo per allontanare le forze dei talebani, arivate alle porte di Farah City, il capoluogo dell’omonima provincia. Adesso ritornano nella zona a tempo indeterminato.

Lo stesso faranno i marines americani nelle province sud occi-dentali di Helmand dove 6 dei 13 distretti sono in mano ai talebani. Il contingente governativo è prati-camente barricato nel capoluogo Laskar Gah e nella ex base anglo-americana di Camp Leatherneck; in suo soccorso arriverà a breve una task force di marines appo-sitamente costituita nella base di Camp Lejeune nella Carolina del Nord.

Attualmente sono presenti in Af-ghanistan circa 12 mila militari dei paesi imperialisti, tra i quali 8.400 statunitensi e un migliaio ciascuno di italiani e tedeschi, inseriti per lo più nell’operazione Nato Resolute Support. Possibile che restino dato che anche il nuovo presidente Usa Donald Trump durante la campa-gna elettorale aveva riconosciuto

che il ritiro definitivo delle truppe americane avrebbe fatto collassare il governo di Kabul.

Quindici anni fa, all’indomani dell’invasione in Afghanistan, l’allo-ra Segretario alla Difesa Rumsfeld affermò che dopo la distruzio-ne delle basi di al-Qaeda gli Usa avrebbero lasciato il Paese “perché è giusto che l’Afghanistan costrui-sca da solo la propria democrazia”. Come se l’imperialismo rispettasse i diritti dei popoli quando non tie-ne conto financo dei principi della sua democrazia borghese quando non servono a mantenere il suo dominio. Così l’imperialismo ame-ricano è arrivato in Afghanistan con l’amministrazione Bush, ci è rimasto con Obama e continuerà con Trump; al suo seguito resterà l’imperialismo italiano, arrivato nel paese con Berlusconi e rimasto con Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Finché non saranno cacciati dalla resistenza afghana. È più onorevo-le ritirarsi subito, è quanto chiedia-mo al governo italiano

Aumentano i bombardamenti Usa

A TripoLi

forze di opposizione assaltano sedi del governo fantoccio libico La Russia tratta col generale Haftar per installare una base militare in Cirenaica

IL goveRno dI TobRUk denUnCIA L’ITALIA: “AmbAsCIATA e nAvI dA gUeRRA, è UnA nUovA oCCUpAzIone”La cerimonia ufficiale lo scor-

so 9 gennaio della riapertura dell’ambasciata italiana a Tripoli e gli incontri del ministro dell’Inter-no italiano Marco Minniti con Fa-iez Serraj, presidente del Governo di Accordo Nazionale designato dalle Nazioni Unite, sembravano confermare il processo di “nor-malizzazione” della situazione in Libia sotto la tutela dell’imperia-lismo italiano e l’avallo dell’Onu. Niente di tutto ciò, Serraj non ha il controllo del territorio, il suo governo fantoccio non riesce a garantire fino in fondo la sicurez-za neppure a Tripoli e subisce le manovre del sempre più potente avversario libico, il comandan-te dell’esercito nazionale che fa capo all’Assemblea dei deputati di Tobruk, Khalifa Haftar. Bastava aspettare pochi giorni per averne conferma.

Apriva le danze il ministero degli Esteri del governo guidato da Abdullah al Thani a Tobruk che

l’11 gennaio inviava una “nota diplomatica urgente” a tutte le ambasciate e i consolati libici all’estero per informarli di quel-lo che veniva definito “il ritorno militare dell’ambasciata italiana” a Tripoli. Nella stessa nota si di-chiarava che “una nave militare italiana carica di soldati e muni-zioni è entrata nelle acque territo-riali libiche. Si tratta di una chiara violazione della Carta delle Na-zioni unite e una forma di ripetuta aggressione”. Detto in altre paro-le per il governo di Tobruk le ini-ziative dell’Italia sono “una nuova occupazione” della Libia.

Il 12 gennaio entravano in azione le milizie di Khalifa Gh-well, capo del disciolto governo di salvezza nazionale, l’esecuti-vo islamista di Tripoli insediatosi nell’agosto del 2014 e costretto a sciogliersi nell’aprile del 2016 per lasciare il campo a Serraj.

Col premier fantoccio assente per la visita ufficiale al Cairo le mi-

lizie di Khalifa Ghwell assaltavano a Tripoli le sedi dei ministeri della difesa, del lavoro e degli invalidi di guerra. Qualche ora dopo erano cacciate dalle forze speciali ma Ghwell, non nuovo a questi atti finora sostanzialmente simbolici, aveva avuto il tempo di tenere una conferenza stampa dal suo quartier generale all’Hotel Rixos per attaccare il governo Serraj, definito fallimentare e illegittimo.

Nella conferenza stampa ave-va tra l’altro duramente denuncia-to l’evidente ingerenza dell’Italia nelle questioni libiche. La presen-za italiana, denunciava Ghwell, è mirata a portare avanti le “proprie ambizioni storiche” come al tem-po del “colonialismo fascista, sui quei territori dove gli italiani uc-cisero i nostri nonni. Ai traditori del consiglio presidenziale (il go-verno Serraj, ndr) non importa di vendere il Paese ai colonizzatori italiani”. “Condanniamo la visita del capo di stato maggiore Clau-

dio Graziano e chiediamo che i militari italiani lascino Misurata”, dichiarava inoltre Ghwell rife-rendosi alla visita a Misurata del 27 dicembre del Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, che aveva di-chiarato che “le nostre Forze ar-mate continueranno ad assicura-re la missione fino a quando sarà ritenuto necessario dalle autorità libiche”. Un appoggio militare al governo fantoccio di Serraj, rite-nuta una ingerenza in Libia anche dal generale Haftar.

Ghwell accusava anche il co-mandante delle forze del governo di Tobruk, Haftar, di favorire un in-tervento militare esterno. “Abbia-mo visto manovre e parate, ma per chi signor Haftar?”, si chiede-va riferendosi alla visita che il ge-nerale di Tobruk aveva compiuto a bordo dell’ammiraglia della flot-ta russa, la portaerei Ammiraglio Kuznetsov, giunta presso le coste libiche nel viaggio di ritorno verso

la base di Severomorsk una volta terminata la missione in Siria.

La visita sulla portaerei russa dove aveva avuto una videocon-ferenza con il ministro della difesa di Mosca, Sergei Shoigu, confer-mava che continua il dialogo tra la Russia di Putin e il governo di Tobruk per installare una base militare in Cirenaica, una della opzioni discusse a fine novembre scorso con la visita ufficiale di Haftar al Cremlino, negli incon-tri col ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Già allora si parlava della richiesta russa di aprire a Bengasi una base militare gemellata con quella di Hmeimim, a Latakia, in Siria. Col beneplaci-to dell’altro sponsor del governo di Tobruk, l’Egitto del boia Al Sisi, e quantomeno l’avallo della Fran-cia. Da Tobruk porte chiuse per l’imperialismo italiano ma aperte per quello russo che, incassato almeno per ora il successo par-

ziale nell’intervento in Siria, sta cercando il modo di allargare la sua influenza nel Mediterraneo.

Il governo Gentiloni, col nuo-vo ministro degli Esteri Angelino Alfano, ha provato a tendere una mano verso Tobruk e alle accuse all’Italia di avere una nuova “poli-tica coloniale” a Tripoli e di volersi “ingerire negli affari interni della Libia” rispondeva con una offerta di medicinali e altri aiuti umanita-ri alla Cirenaica. “Non possiamo lamentarci dell’attenzione russa verso Haftar”, aveva detto il mi-nistro Alfano “ma dobbiamo agi-re interloquendo anche con l’Est della Libia”. E il 17 gennaio alle Camere dichiarava che “noi siamo stati i primi a dire che un ruolo per Haftar era indispensabile”. Un ten-tativo caduto nel vuoto e liquidato da Haftar con un commento lapi-dario: “rifiutiamo qualsiasi aiuto dall’Italia prima che le sue le navi da guerra e le truppe italiane ab-biano lasciato Tripoli e Misurata”.

Una significativa caricatura sul presidente Usa Trump pubblica-ta dal blog “Luminoso futuro”. Dall’alto si legge: “Presentato da un sistema crudele e totalmente marcio - Mein Trump - un cane fascista cento per cento statuni-tense”

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