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vari temi è venuto dall'applicazione della teoria d · si- stemi al problema della localizzazione industriale red 1977; Goddard 1977; McNee 1974). A ogni modo uesto sforzo non ha raggiunto il suo scopo per divers ragioni, prime fra tutte la mancata specificazione de economia come sistema industriale centrato sul mut ento tecno- logico come principale processo all'opera, , a concezione limitata della struttura economica in ter ini di collega- menti, e la relegazione del sociale e de contraddizioni a11'esterno del sistema (Storper and W ker 1979). Una fonte teorica alternativa è ra resentata dal mar- xismo. Recentemente alcuni geog fi dustriali hanno iniziato a prendere in considerazi e Marx (es.- Hamilton 1979; Holland-1979), e i marxisf anno cominciato a in- teressarsi alla localizzazione i Bustriale (Massey 1978a; 1978b; Dunford 1977a; 1977b; astells 1975; 1977; Castells e Godard 1974; Harvey 197 ; Barnbrock 174; Bluestone e Harrrison 1980; Storper t. al. 1981; Storper e Walker 1979). Elaborare una teo marxista della localizzazione industriale non signific rifiutare tutte le intuizion i, o la maggior parte d i ess degli altri approcci; non si deve reinventare la ruota ignifica piuttosto rifiutare alcuni principi e integrar altri all'terno di un quadro com- plessivo che spess ne altera l'assetto in modo sostanziale. Per fare ciò do iamo iniziare delineando un chiaro e conciso model di riproduzione del capitalismo (parte I) . prima di ap · care i concetti marxisti ai principali pro- blemi nella cerca sulla localizzazione (parte II). I lettori che hanno amiliarità con il Capitale di Marx posso saltare direttam te alla parte II. Il nu eo fondamentale del marxismo è l'idea che la ri- produ one allargata del capitale e dei rapporti sociali capit ' isci siano una necessità strutturale della società ca- pit ·stica; di conseguenza, l'oggetto prcipale nell'ana- lis· della localizzazione industriale deve essere questa ssa struttura dinamica piuttosto che l' <<industria», la / " ocazzazione» (Io spazio) o altri singoli elementi, come 150 Capitale e localizzazione industriale il mercato, l'impresa, le scelte dirigenziali, la tecnologia o la geografia fisica. La mancanza di spazio ci impedisce di addentrarci nelle molte controversie, nel marxismo come nella teoria della localizzazione, sollevate dalla nostra esposizione. Diamo inoltre per scontata, dunque, una certa familiarità del lettore con le principali scuole d i pen- siero all'interno della teoria della locazzazione. I. Il modello base della ri p roduzione ca p italistica 1 1. Il modo di produzione capitalistico modo di produzione capitalisco emerse in Europa nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo (Marx, I, 146, 366) 2 Un modo di produzione si definisce in base ai rapporti so- ali di produzione o al la modalità di organizzazione del la- voro sociale e di esazione del plus-prodotto (Shaw 1978). Nel modo di produzione capitalistico ques rappor sono rapporti di classe: da un lato, la concentrazione dei mezzi di prodione nelle mani di una classe capitalista, dall'al- tro la mancanza di mezzi autonomi di sussistenza da parte di una classe di lavoratori salariati, costretti a vendere la propria forza-lavoro ai capitalisti (Marx, I, capitolo 6)3. La chiave per l'analisi storica è l'terazione tra rapporti La discussione della Parte I deve molto alla lettura dei lavori di Da- vid Harve in particolare il libro The limits to capitai, di prossima uscita. 2 Data la vastità dei ragionamenti che stiamo riassumendo, i riferimenti ali' opera di Marx nella parte I si lteranno spesso all'ind1cazione del capitolo o della sezione anziché della pagina. 3 Altre condizioni, necessarie ma non sufficienti, per l'emergere del ca- pitalismo sono uno sviluppo relativamente avanzato del mercato di scambio, della moneta, e delle forze produttive nella manifattura, così come la concorrenza, il richiamo del guadagno monetario (indivi- dualismo proprietario) e l'accumulazione di considerevoli ricchezze personali (Marx I, parti I e VIII). Lo spazio del capitale 151 AA.VV., Giovanna Vertova (a cura di), Lo Spazio del capitale, Editori Riuniti, Roma, 2009

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vari temi è venuto dall'applicazione della teoria d · si­stemi al problema della localizzazione industriale red 1977; Goddard 1977; McNee 1974). A ogni modo uesto sforzo non ha raggiunto il suo scopo per divers ragioni, prime fra tutte la mancata specificazione de economia come sistema industriale centrato sul mut ento tecno­logico come principale processo all'opera, , a concezione limitata della struttura economica in ter ini di collega­menti, e la relegazione del sociale e de contraddizioni a11'esterno del sistema (Storper and W ker 1979).

Una fonte teorica alternativa è ra resentata dal mar­xismo. Recentemente alcuni geog fi industriali hanno iniziato a prendere in considerazi e Marx (es.- Hamilton 1979; Holland-1979), e i marxisf anno cominciato a in­teressarsi alla localizzazione i B.ustriale (Massey 1978a; 1978b; Dunford 1977a; 1977b; astells 1975; 1977; Castells e Godard 1974; Harvey 197 ; Barnbrock 174; Bluestone e Harrrison 1980; Storper t. al. 1981; Storper e Walker 1979). Elaborare una teo marxista della localizzazione industriale non signific rifiutare tutte le intuizioni, o la maggior parte di ess degli altri approcci; non si deve reinventare la ruota ignifica piuttosto rifiutare alcuni principi e integrar altri all'interno di un quadro com­plessivo che spess ne altera l'assetto in modo sostanziale. Per fare ciò do iamo iniziare delineando un chiaro e conciso model di riproduzione del capitalismo (parte I) . prima di ap · care i concetti marxisti ai principali pro-blemi nella cerca sulla localizzazione (parte II). I lettori che hanno amiliarità con il Capitale di Marx posso saltare direttam te alla parte II.

Il nu eo fondamentale del marxismo è l'idea che la ri­produ one allargata del capitale e dei rapporti sociali capit 'istici siano una necessità strutturale della società ca­pit ·stica; di conseguenza, l'oggetto principale nell' ana­lis · della localizzazione industriale deve essere questa

}j ssa struttura dinamica piuttosto che l' <<industria», la/" ocalizzazione» (Io spazio) o altri singoli elementi, come

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il mercato, l'impresa, le scelte dirigenziali, la tecnologia o la geografia fisica. La mancanza di spazio ci impedisce di addentrarci nelle molte controversie, nel marxismo come nella teoria della localizzazione, sollevate dalla nostra esposizione. Diamo inoltre per scontata, dunque, una certa familiarità del lettore con le principali scuole di pen­siero all'interno della teoria della localizzazione.

I. Il modello basedella riproduzione capitalistica1

1. Il modo di produzione capitalistico

Il modo di produzione capitalistico emerse in Europa nelsedicesimo e nel diciassettesimo secolo (Marx, I, 146, 366)2

Un modo di produzione si definisce in base ai rapporti so­ciali di produzione o alla modalità di organizzazione del la­voro sociale e di estrazione del plus-prodotto (Shaw 1978). Nel modo di produzione capitalistico questi rapporti sono rapporti di classe: da un lato, la concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani di una classe capitalista, dall' al­tro la mancanza di mezzi autonomi di sussistenza da parte di una classe di lavoratori salariati, costretti a vendere la propria forza-lavoro ai capitalisti (Marx, I, capitolo 6)3.

La chiave per l'analisi storica è l'interazione tra rapporti

La discussione della Parte I deve molto alla lettura dei lavori di Da­vid Harvey; in particolare il libro The limits to capitai, di prossima uscita.

2 Data la vastità dei ragionamenti che stiamo riassumendo, i riferimenti ali' opera di Marx nella parte I si limiteranno spesso all'ind1cazione del capitolo o della sezione anziché della pagina.

3 Altre condizioni, necessarie ma non sufficienti, per l'emergere del ca­pitalismo sono uno sviluppo relativamente avanzato del mercato di scambio, della moneta, e delle forze produttive nella manifattura, così come la concorrenza, il richiamo del guadagno monetario (indivi­dualismo proprietario) e l'accumulazione di considerevoli ricchezze personali (Marx I, parti I e VIII).

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di produzione e forze produttive (Shaw 1978; Mishra 1979). L'espressione «forze» si riferisce sia ai mezzi di produzione sia a tutte le capacità degli esseri umani che insieme utiliz­zano questi mezzi. I rapporti di produzione determinano il contesto per la funzione e lo sviluppo delle forze produttive. Quando lo sviluppo di queste ultime è bloccato, si ha una si­tuazione di crisi, dalla quale possono emergere nuovi rap­porti di produzione. Prima di nna rottura rivoluzionaria, co­munque, i rapporti sociali del modo di produzione esistente vengono continuamente perfezionati attraverso il migliora­mento delle pratiche economiche e delle istituzioni sociali, al fine di mantenere la struttura fondamentale della società e, al tempo stesso, promuovere l'ulteriore sviluppo delle forze produttive. Questo duplice processo all'interno del modo di produzione capitalistico permette che vi siano grandi mutamenti storici senza il rovesciamento della strut­tura sociale fondamentale (vedere di seguito, sezione t 6).

Il marxismo afferma la priorità del capitale nella dina­mica sociale contemporanea, ma ciò non significa che la sto­ria sociale coincida con Y accumulazione di capitale o che sia il semplice riflesso sovrastrutturale del modo di produzione capitalistico (cfr. Williams 1977; Laclau 1977; Dunford 1977;

Walzer 1978; 1981). In altre parole, l'unico utilizzo possibile del concetto di modo di produzione è in termini strutturali. Le esigenze strutturali dell'accumulazione sono le condi­zioni necessarie della riproduzione sociale, ma non sono sufficienti a definire la natura della società e della «vita quo­tidiana» - lasciando da parte le contraddizioni sociali, i modi di produzione misti, e via dicendo.

2. La produzione di merci e di capitale (plusvalore)

In un sistema di scambio generalizzato, tutti i prodotti dellavoro diventano merci4 (Marx, I, capitolo I). Le merci hanno

4 Anche la maggior parte dei beni non prodotti dal lavoro, come la terra, assumono la forma dj merce.

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l' I

tre dimensioni sociali: valore ( tempo di lavoro incorporato), valore d'uso (utilità per i consumatori) e prezzo (valore di scambio, Marx, I, capitolo I). La dimensione chiave è quella del valore (Marx, I, capitoli Il e ID). Con lo sviluppo della pro­duzione di merci il denaro cresce di importanza come misura dei prezzi, facilitatore dello scambio e deposito di valore (Marx, I, capitoli II e III). Col passare del tempo la ricerca del denaro (valore), anziché il godimento dei valori d'uso, di­viene il fine ultimo della produzione di merci (Marx, I, ca­pitolo IV). I possessori di denaro ( capitalisti) non possono ac­crescere le loro riserve di valore attraverso lo scambio se non imbrogliandosi l'uno con l'altro, dato che tutto il valore de­riva dalla produzione. I rapporti di produzione capitalistici risolvono questo problema consentendo di creare plusvalore senza violare le leggi dello scambio (Marx, I, capitoli V e VII). Il plusvalore è la differenza tra il valore di ciò che i lavoratori producono e il valore della forza-lavoro come merce, ossia il costo per la riproduzione dei lavoratori (Marx, I, capitolo VII).

L'essenza della produzione capitalistica è l'estrazione di plusvalore, anche se la questione è più complessa di quanto possa sembrare. La produzione capitalistica di merci implica tre sistemi: rapporti di valore, rapporti di prezzo e rapporti di valore d'uso. Né i capitalisti né i lavoratori «vedono» mai il valore o il plusvalore: essi operano sulla base di prezzi di mercato e di valori d'uso (tecniche; desideri e bisogni). Il pro­fitto è il prezzo del plusvalore, mentre i salari sono il prezzo del valore della forza-lavoro. La produzione capitalistica delle merci differisce dalla semplice produzione di merci per il fatto che prezzi e valori divergono sistematicamente a causa della tendenza, determinata dalla concorrenza tra ca­pitali, verso l'equiparazione dei tassi di profitto sul capitale anticipato, mentre il rapporto capitale-lavoro (la composi­zione organica del capitale) cambia a seconda dei settori pro­duttivi (Marx, III, parti 1-3)5.

5 Anche se il cosiddetto «problema della trasformazione» e la sua ina­deguata trattazione da parte di Marx complica molto la questione, le

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3. Capitale e lavoro

Tempo addietro la ricerca del profitto ha portato i capita­listi a cercare di ottenere il comando diretto sulla produzione. In questo modo essi possono controllare non solo il prodotto e il plusvalore prodotti dalla classe lavoratrice, ma il processo di lavoro stesso. La necessità di controllare l'attività del la­voratore rende l'organizzazione della produzione un pro­blema tanto sociale quanto ternico (Marx, I, capitoli X, Xill­XV; Gintis 1976; Braverman 1974; Edwards 1979). La difficoltà di mantenere questo tipo di controllo nasce dal fatto che Y alienazione dei lavoratori dalla propria attività vitale fondamentale, il lavoro, determina un antagonismo tra le classi (Marx, I, XIII-XV). Siccome il conflitto di classe è in­trinseco alla produzione capitalistica, da cui si estende alla ri­produzione della classe operaia fuori dalla fabbrica, la vo­lontà, la vita sociale e le lotte concrete dei lavoratori costituisco un elemento fondamentale dello sviluppo capi­talistico (Thompson 1968; Gutman 1977). Allo stesso tempo, la loro subordinazione alla classe capitalista e la loro ac­quiescenza alle regole della società capitalistica è solitamente ottenuta tanto con la forza quanto con 'la silenziosa coazione dei rapporti economici' che fa apparire le leggi del capitali­smo come leggi naturali (Marx, I, capitolo XXIII) 6

4. La circolazione del capitale

Anche la circolazione capitalistica inizia con la merce,la quale non solo deve essere prodotta, ma deve essere poi

intuizioni fondamentali dell'analisi del valore restano valide - per esempio il fatto che tutta la produzione è lavoro sociale, che il capi­tale sfrutta il lavoro all'interno delle leggi dello scambio giusto, che il lavoro deve essere distribuito razionalmente all'interno dei vari set­tori della produzione e che il rapporto capitale, lavoro deve essere co­stantemente riprodotto (d. Mumy 1979).

6 ln altre parole, se il libero arbitrio della classe operaia è fortemente co-

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venduta nel mercato, dove il valore sì «realizza» come de­naro. Tuttavia, il punto di partenza per la circolazione del capitale non è la produzione; il capitale inizia sotto forma di denaro, che viene investito negli elementi della produzione, i quali vengono messi al lavoro per produrre merci, che vengono a loro volta vendute in cambio di de­naro - e profitto - e così via, all'infinito. La formula di Marx è D-P-M-D'. Questo è il circuito primario del capi­tale. In esso il capitale assume tre forme differenti: capitale monetario, capitale produttivo, capitale-merce (Marx, II, parte 1, in particolare p. 104-5). Modelli di circolazione più complessi (non-primari) emergono assieme alla necessità di investire in capitale fisso, costruire magazzini, stimolare la spesa dei consumatori, fare ricerca sul prodotto e così via. Queste attività contribuiscono solo in modo indiretto alla produzione e alla circolazione del plusvalore, ossia al circuito primario del capitale industriale (Harvey 1978; Marx, II, capitolo VII).

La circolazione richiede tempo, e la velocità alla quale il capitale completa il suo movimento da D a D' determi­nerà il suo tasso di crescita. Nel circuito primario il «tempo di rotazione» consiste principalmente nel tempo di pro­duzione sommato al tempo di circolazione (vendita) delle merci (Marx, II, p. 121; capitoli XIII e XIV). Nei àrcuiti non­primari il tempo di rotazione è solitamente più lungo. Inoltre, la circolazione comporta dei costi che devono es­sere sottratti al plusvalore complessivamente prodotto7

(Marx, II, capitolo VI, p. 129-32). La continuità è essenziale

stretto, ciò non significa che non esista, come vorrebbero molti pen­satori convenzionali. L'idea che il capitale abbia delle forze creative in sé, indipendentemente dal lavoro sociale che gli dà vita, è un effetto di ciò che Marx chiama «feticismo del capitale» (Gurley 1971; Walker 1979). Tuttavia, poiché l'alienazione del lavoro è un prodotto reale del dominio di classe, il capitale è in grado di «prendere in prestito» la forza del lavoro sociale e di costringere il lavoro a seguire le leggi del suo sviluppo (Marx I, prefazione).

7 Nessun nuovo valore, per definizione, può aggiungersi nello scam-

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per ridurre i tempi e i costi della circolazione (Marx, II, p. 102, p. 266). Inoltre, l'equilibrio deve essere raggiunto collegando i singoli capitalisti in un flusso coordinato, nell'assenza di un piano sociale (Marx, II, parte 3).

5. L'accumulazione di capitale

Il capitale in movimento è plusvalore investito nellaproduzione per creare altro plusvalore; è valore in espan­sione (Marx, I, capitolo XXIV). La riproduzione allargata del capitale - accumulazione di capitale - è la forza fon­damentale per la crescita economica nelle società basate sul modo di produzione capitalistico. L'impulso all'accu­mulazione ha origini diverse, come la smania per la ric­chezza personale, ma è rinforzato prima di tutto dalla pressione collettiva della concorrenza (Marx, I, p. 592). Il vantaggio competitivo derivante dal contenimento dei costi (deprezzamento delle merci) offre ai capitalisti la possibilità di fare maggiori profitti e/ o di inserirsi in mer­cati più grandi, mentre lo svantaggio competitivo rap­presenta la minaccia di un eventuale fallimento (Marx, I, capitolo Xli, p. 316-19). Un altro stimolo fondamentale per l'accumulazione è la crisi, che mette in pericolo tutti i ca­pitali ( vedere di seguito, sezione I, 7). Il terzo è il progresso scientifico8

.

L'impulso all'accumulazione costringe i capitalisti a cercare di accrescere la produzione e la circolazione di plu-

bio (Marx, I, capitolo V, p. 509). Il lavoro della circolazione, perciò, è necessario ma, :;trettamente parlando, improduttivo di valore. Il ri­sparmio dei capitalisti, in ogni caso, 'crea' del plusvalore che non sa­rebbe altrimenti disponibile per l'accumulazione. I capitalisti possono ricavare profitti anche investendo nella circolazione; questi vengono sottratti al plusvalore complessivamente prodotto (Marx, III, parte 4 e�

8 Anche se è necessario ricordare che una scoperta scientifica può as­sumere una logica parzialmente indipendente dalla ricerca sistema-

156 Capitale e localizzazione industriale

svalore9• Ciò richiede, prima di tutto, il reinvestimento dei

profitti. E comporta lo sviluppo delle forze produttive.

6. Lo sviluppo delle forze produttive (il progresso tecnologico eorganizzativo)

Ci sono molti metodi per far avanzare le forze produt­tive. Alcuni dipendono dagli sforzi dei singoli capitalisti, mentre altri sono effetti non previsti della loro azione col­lettiva. A fini euristici; possiamo distinguere le forze che accrescono la produzione, le forze che facilitano la circo­lazione e quelle che fanno entrambe le cose.

Ci sono due modi per produrre più plusvalore: allun­gare la giornata lavorativa (plusvalore assoluto) e aumen­tare la produttività (plusvalore relativo10

, Marx, I, parte 3 e 4). Storicamente, la produttività del lavoro è progredita attraverso la cooperazione (incluse le economie di scala), la divisione del lavoro e la meccanizzazione (Marx, I, ca­pitolo 12-14; Braverman 1974). L'applicazione del macchi­nario al lavoro manuale dei lavoratori è stato l'elemento chiave della rivoluzione industriale (Marx, I, capitolo 15). Questo cambiamento nei rapporti sociali di produzione pone il lavoro su di un piano strettamente tecnico, che per­mette il rapido sviluppo delle fonti di energia meccanica, dei processi a flusso continuo e dei controlli automatici (Marx, I, capitolo 15, sezione 1). Inoltre dà origine a una se-

tica all'interno dell'impresa moderna, e che non è semplicemente il prodotto di altri impulsi all'accumulazione.

9 Questo si applica tanto alle industrie capitalistiche quanto a quelle che operano solo nella sfera delJa circolazione, come, per esempio, i mer­canti e i finanzieri.

10 Il singolo capitalista cerca di ottenere un vantaggfo competitivo de­prezzando le merci. Il mutamento tecnologico richiesto .non fa ri­sparmiare lavoro in termini di prezzo, ma lo farà in termini fisici e di valore, come la teoria marxiana e l'evidenza storica insegnano (Ha­mer 1973; Rosenberg 1972). Gran parte della meccanizzazione sarà in-

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parazione tra ideazione ed esecuzione dei compiti, con il perfezionamento di quest'ultima attraverso la scienza, i si­stemi informatici, etc. (Braverman 1974).

La logica del!' accumulazione porta i capitalisti ad au­mentare le vendite e a ridurre i tempi e i costi della circo­lazione. Ci sono svariati mezzi per ottenere questo risul­tato, come l'incremento della produttività del lavoro improduttivo, il miglioramento dei sistemi di trasporto e comunicazione, l'introduzione di nuovi prodotti, la pub­blicità e il perfezionamento della continuità e dell'equili­brio dei movimenti di capitale (Marx, II, parte 2).

Marx introduce anche la categoria di «leve dell' accu mulazione», che si riferisce ai modi attraverso cui si pro­muove la rapida crescita della dimensione effettiva del ca­pitale e del lavoro sociale. Tra questi troviamo la centralizzazione di capitale, che si realizza attraverso l' as­sorbimento dei piccoli competitori e la fondazione di so­cietà per azioni, e la creazione di un esercito industriale di riserva mediante la distruzione degli artigiani e la sosti­tuzione del lavoro con le macchine (Marx, I, capitolo 25).

Infine, ci sono delle istituzioni sociali che provvedono a tutte le funzioni appena elencate. L'istituzione sociale principale è il mercato; oggi la sua estensione e la sua ef­ficienza consentono grandi vendite, transazioni veloci e l'incremento della produzione a un livello mai visto prima. Il mercato non è solo un presupposto del capitali­smo, qualcosa che viene sistematicamente sviluppato nel tempo dalla produzione capitalistica. Tre altri sottosistemi integrano e a volte sostituiscono il mercato: il sistema del credito, la corporation e lo stato moderno (cfr. Mandel 1975) 11. Tali istituzioni servono inoltre a perfezionare i

trodotta non solo per ragioni di costi, ma anche al fine di controllare o eliminare l'elemento problematico della produzione, i lavoratori(Marx, I, p. 436; Braverman 1974).

11 Le funzioni del credito, dello stato e delle società per azioni (antenate delle corporation) sono spesso menzionate nel Capitale. Tuttavia, la loro

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rapporti di produzione (cfr. sezione I, 1). Un mercato mi­gliore, per esempio, stabilisce rapporti di valore mag­giormente esigenti.

La grande impresa moderna, in particolare, non solo concentra in sé una maggiore quantità di capitale, ma la pone sotto il controllo di un unico corpo dirigenziale, che può distribuirla in modo sofisticato nei differenti rami della produzione per massimizzare i guadagni (divisione organizzativa); mette in relazione l'offerta dei materiali con i processi di lavorazione (integrazione a monte); col­lega produzione e commercializzazione (integrazione a valle); incorpora le funzioni della circolazione non pri­maria, come pubblicità e Ricerca & Sviluppo, all'interno di un sistema organizzato di produzione e circolazione; unisce progressivamente rami scollegati della produzione (conglomerazione, Chandler 1962). Si tratta di soluzioni organizzative a problemi che nascono nella produzione e nella circolazione del capitale, e sono la conseguenza lo­gica dell'impulso all'accumulazione. Così, pur modifi­cando la topografia sociale, la corporation non contraddice le caratteristiche tipiche del capitalismo, come la concor­renza tra capitali o le tendenze alla crisi 12•

7. Crisi e cambiamento

L'accumulazione di capitale incontra periodicamente ostacoli che, se non vengono superati, deviano l'economia dal sentiero della crescita sostenibile conducendola verso una crisi (recessione, Harvey 1975a; 1978; Lebowitz 1978). Le radici potenziali della crisi sono tante quante sono le

importanza non è stata generalmente riconosciuta da alcuni marxisti, mentre altri hanno pensato che togliesse la terra sotto i piedi all'ana­lisi del valore di Marx (Baran e Sweezy 1966). La nostra posizione, af­fine a quella di Mandel (1975) e Harvey, è l'esatto contrario.

12 Ci sembra sconcertante che sia stata fatta tanta pubblicità ai risultati relativamente scarsi che le grandi corporation hanno ottenuto nel li-

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sfaccettature della riproduzione capitalistica, ma le cause principali dipendono dalle dinamiche essenziali caratte­ristiche dell'accumulazione. In primo luogo, dato l'im­pulso all'accumulazione e il carattere competitivo e non pianificato della produzione, i capitalisti nel loro insieme tendono a investire più del necessario (Devine 1980). In più, a causa dei tempi lunghi che intercorrono tra gli in­vestimenti e la creazione di nuova capacità, i capitalisti non possono vedere chiaramente gli effetti della loro azione collettiva; gli investimenti, inoltre, si incorporano nel capitale fisso. Per queste ragioni il sistema non è in grado di regolarsi in modo automatico (cfr. Marx, II, 186). In secondo luogo, i capitalisti tendono a sviluppare le forze produttive troppo rapidamente, per esempio espan­dendo eccessivamente il sistema del credito rispetto alle capacità attuali del lavoro sociale di produrre e far circo­lare il plusvalore (Marx, III, 508). In entrambi i casi avremo un sovra-accumulazione di capitale rispetto alle possibi­lità di realizzare profitti oppure la caduta tendenziale del saggio di profitto (Marx, ID, p. 251; Harvey 1978)13

L'effetto de11a crisi sarà la svalutazione del capitale in eccesso, in particolare attraverso i fallimenti, e di stimolare la classe capitalista a compiere vigorosi sforzi per pro­muovere la produzione e la circolazione del plusvalore, utilizzando strumenti quali la fusione di imprese, l'inter­vento pubblico e l'introduzione, il consolidamento e la dif­fusione di nuove tecnologie (Harvey 1978; Mandel 1975; Marx, III, p. 253-55). Oltretutto, «ogni crisi è il punto di

mitare la concorrenza all'interno di certi mercati. Come osserva Mandel (1975, p. 327-42), la concorrenza ha molte dimensioni, e non è stata significativamente indebolita a livello mondiale. Inoltre, come puntualizza Chandler, le corporation stesse hanno scoperto presto i li­miti di questo metodo di favorire l'accumulazione; l'entusiasmo ini­ziale per la costruzione di trust è scomparso al cambio del secolo (ChandJer 1962).

13 Non c'è accordo sulla teoria della crisi tra i marxisti contemporanei, anche se concordano tutti sul fatto che le tendenze verso la crisi e i li-

11,n t.anitale e localizzazione industriale

··�

partenza per nuovi sostanziosi investimenti» (Marx, Il, 186). L'accumulazione segue così un percorso ciclico, ca­ratterizzato da boom di investimenti (solitamente brevi) seguiti da periodi di crescita rallentata o negativa (cfr. Abramowitz 1977; Mandel 1975; Schumpeter 1939). Ogni nuova stagione di investimenti inaugura nuove configu­razioni di forze produttive e di istituzioni sociali - ossia nuove configurazioni di quella che possiamo chiamare «struttura sociale dell'accumulazione» (Gordon 1978b; Walker 1981). Per questo possiamo ragionevolmente par­lare di stadi dell'evoluzione storica nel capita1ismo14

8. Relazioni spaziali

Il rapporto tra l'accumulazione di capitale e le relazionispaziali è di tipo dialettico-strutturale (cfr. sezione I, 1). L'organizzazione spaziale della società capitalistica non è semplicemente l'ombra dell'accumulazione che si muove lungo la faccia della terra. Lo sviluppo capitalistico im­plica necessariamente una componente spaziale (Castells 1977, 115; Mingione 1977; Harvey 1975; Walker 1978; 1981). Una delle ragioni che legano indissolubilmente ca­pitale e spazio è la necessità per la gran parte dell'indu-

miti dell'accumulazione dipendono dalle contraddizioni interne del capitale, non da interventi esterni (Wright, 1878; Mandel, 1975; URPE, 1978; Harvey, 1978; Lebowitz; Divine, 1980). Pochi restano fedeli alla spiegazione che Marx diede della caduta tendenziale del saggio di profitto, legata alla crescente composizione organica del capitale (Marx, Ill, parte 2). La maggior parte, tuttavia, ha mantenuto una vi­sione troppo ristretta del problema, elevando questa o quella parti­colare caratteristica del modo di produzione e circolazione capitali­stico, come la necessità di vendere le merci o la lotta sul salario, al rango di causa primaria. La nostra posizione è simile a quella di De­vine (1980) e Harvey, e per alcuni aspetti a quella di Mandel (1975).

14 Anche se l'evidenza è piuttosto controversa, vorremo prendere in con­siderazione stadi di sviluppo di circa 50 anni, combinando lunghe fasi di accumulazione relativamente vigorosa, come il periodo post-bel-

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stria di assumere una forma immobile, ossia il problema stesso della localizzazione. Un'altra ragione è la necessità di creare, oltre alle fabbriche, un ambiente costruito fatto di strade, abitazioni, etc. Una terza ragione risiede nella comunità spazialmente determinata che è spesso formata dai lavoratori. Di conseguenza, il capitalismo produce necessariamente un paesaggio sociale, o «geografia del-1' accumulazione», coerente in termini generali con la strut­tura sociale dell'accumulazione ma mai strettamente de­terminato da questa.

9. Conclusioni della parte I

Alla base di ogni teoria della localizzazione industrialevi sono alcuni assiomi basilari riguardanti i processi sociali ed economici coinvolti nella creazione del paesaggio in­dustriale. Prima di addentrarci nel fitto bosco della teoria della localizzazione, vogliamo dunque insistere sulle molte differenze assiomatiche tra il precedente modello marxista e altri approcci alla localizzazione industriale, come l'economia neoclassica, il comportamentismo e la teoria dei sistemi (c.fr. introduzione).

- Il sistema in questione non è semplicemente un'eco­nomia di scambio, né solo un sistema industriale, bensì un �odo di pro�uz_io�e capit�listico e una società s�tturatam modo cap1tahst1co che li comprende entrambi.

- Il fine della produzione capitalistica è la realizza­zione del profitto, e l'imperativo strutturale dell'economia nel suo insieme è l'accumulazione di capitale. Non si stratta di una posizione rigidamente funzionalista, dal momento che a) le strade possibili per raggiungere que-

lico, e periodi di crescita lenta e difficile, segnati da crisi più serie e da ristrutturaziorù economiche significative, come sta succedendo oggi (cfr. Mandel 1975; Schumpeter 1939; Gòrdon 1978b; Walzer 1977).

162 Capitale e localizzazìone industriale

sto risultato sono molte e c'è un alto grado di libertà di comportamento o culturale; b) non tutto nella società si muove verso quel risultato senza generare contraddi­zioni; c) gli obiettivi potrebbero non essere raggiunti, e in tal caso le imprese o l'economia non sarebbero in grado di riprodursi. Un'analisi dialettico-strutturale non si fonda su relazioni lineari di causa ed effetto.

- Il cambiamento tecnologico, o lo sviluppo delle forzeproduttive, non nasce al di fuori del sistema economico. Nonostante gli imperativi tecnologici appaiano sotto forma di leggi di natura, il mutamento tecnologico è un prodotto sociale nel senso che: a) il progresso tecnico è spinto principalmente dall'impulso all'accumulazione; b) entro certi limiti, i capitalisti possono scegliere tra diverse tecnologie; c) la scelta di una tecnica dipende tanto dalla preoccupazione del capitalista per il controllo quanto dal mero calcolo economico.

- La moderna corporation (stato, sistema finanziario,etc.) non costituisce la base per un approccio completa­mente nuovo all'economià e alla localizzazione. La rea­lizzazione dei profitti e la concorrenza continuano a diri­gere l'azienda. Ciononostante, le aziende costituite da un unico stabilimento e perfettamente competitive hanno una rilevanza limitata.

- Mercato, corporation e sistema industriale non sonostrettamente auto-regolati; sono soggetti a disfunzioni. Le principale fonti di contraddizione e cambiamento, ol­tretutto, si trovano all'interno del sistema capitalistico, non nelle perturbazioni provenienti dall'ambiente esterno o dall'innovazione tecnologica. In particolare, né la con­correnza né la crisi sono state definitivamente superate.

- L'avanzato livello sociale e tecnologico delle mo­derne economie capitalistiche non ha ancora inaugurato un'economia post-industriale, né tantomeno un'econo­mia post-capitalistica. Le cosiddette funzioni terziarie o 'dei servizi' riguardano principalmente la circolazione (finanza, commercio, trasporti, pubblicità, etc.), il mana-

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gement e la riproduzione della forza-lavoro (scuole, ospe­dali, servizi domestici}, tutte cose che dipendono forte­mente dalla produzione di merci (alcune di esse, come il servizi all'impresa, sono esse stesse forme di produzione di merci).

- Tutte le attività e le trasformazioni industriali hannouna dimensione sociale. Questa dimensione comprende l'elemento vivente della produzione sociale - il lavoratore. E, oltretutto, lo include all'interno di rapporti sociali di do­minio di classe, sfruttamento e alienazione.

Tenendo presenti questi assiomi possiamo ora affron­tare i problemi più specifici legati alla teoria della localiz­zazione industriale, declinando, allo stesso tempo, le ul­teriori implicazioni del modello marxista.

., II. Localizzazione industriale

Abbiamo iniziato presentando il modello/4 riprodu­zione capitalistica per tre ragioni: ci fo

�-se .tlcuni concetti

chiave e alcuni assiomi di base per l' i della localiz-zazione; presenta questi el.ementi e parti di un si-stema piuttosto che come intuizi9rlì isolate, in contrasto con l'eclettismo di tanti stu

�i s }fa localizzazione; infine,

stabilisce la priorità eleme re dell'accumulazione ri­spetto al «problema>} della) calizzazione. Quest'ultima af­fermazione rappres

�nt Ìl punto di partenza per la se­

conda parte del sag · . Utilizzando il modello neoclassico dell'equilibrio pa9 ale ( weberiano) come paragone, la ri­flessione si svily.pperà in due parti. La prima, composta da tre sezioni, présenterà il punto di vista secondo cui la geografia ,sJ.éll'industria si sviluppa principalmente come consemehza della dinamica dell'accumulazione, piutto­sto ché'come risultato della collocazione ottimale delle at-thjtà in base alla distribuzione dei mercati, della forza-la­

���!,, e dei materiali. La seconda parte, composta da ·quattro sezioni, analizzerà più da vicino il ruolo dei fattori

164 Capitale e localizzazione industriale

I

/'' f

di mercato nella distribuzione e nel movimento d"ell'in-dustria, con particolare attenzione al fattore cru.dale rap­

J'

presentato dalla forza-lavoro. /

1. Localizzazione e investimenti /,/

I I,,

Secondo la teoria weberiana cla,Lca della localizza­zione, la 'scelta del luogo' è il punt6 di partenza per l' ana­lisi della localizzazione. Ciò sigiµtica che il problema della localizzazione è visto princip9-1inente come un problema di allocazione - di ottimizz�&ione spaziale (massimizza­zione dei profitti) in base plla distribuzione dei mercati e dei fattori della produziqne. Il modello di riproduzione ca­pitalistica descritto n�la parte I, da un lato, suggerisce come punto di parte.ç1.za per la teoria della localizzazione, l'impegno di capitpfe monetario, ossia le scelta degli in­vestimenti (seziope I, 5). Oltretutto, si tratta di un punto nel tempo che 1f'on può essere isolato o congelato: costi­tuisce un mo17rènto nella circolazione continua del capitale (sezione J, 4J Gli investimenti, ossia la trasformazione di capitale m

10netario in elementi della produzione, è una

fase� d l Jrcuito del capitale industriale, D-P-M-D' (se­zione I 4). Il «problema della localizzazione» sorge quan il capitale diventa capitale produttivo (P), perché la pr�uzione implica un insieme di elementi fissi - sta­bilipenti, uffi_ci, neg��i, macchine - ?:e de_vono essere ef­fe�1vamente 1mmob1h per essere utilizzati 15•

( La teoria neoclassica della localizzazione prende in /�onsiderazione un solo aspetto dell'intero circuito, D-P-M-

15 Non consideriamo, in questo caso, gli adattamenti che intervengono nella circolazione del capitale, materie prime, magazzini e forza-la­voro, anche se questi possono rappresentare spesso i fattori più im­portanti per i mutamenti di breve periodo della localizzazione del-1' attività econonùca (Woodbury, 1953; James e Huges, 1973).

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