III Canto Inferno
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7/23/2019 III Canto Inferno
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III Canto Inferno
Dante e Virgilio giungono alla porta dell'Inferno. Ingresso nell'Antinferno, dove incontrano gli
ignavi (tra loro Celestino V). Incontro con Caronte, taghettatore dei dannati sul fiume Acheronte.Terremoto e svenimento di Dante.
È la sera di venerd ì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300.
La porta dell'Inferno (1-21)
Dante e Virgilio giungono di fronte alla porta dell'Inferno, su cui campeggia una scritta di colore
scuro. Essa mette in guardia chi sta per entrare, ammonendo che tale porta durer à in eterno e che
una volta varcata non c'è speranza di tornare indietro. Dante non ne afferra subito il senso e Virgilio
lo ammonisce a sua volta a non aver paura e a prepararsi all'ingresso nell'Inferno, tra le anime
dannate. Quindi il poeta latino prende amorevolmente Dante per mano e lo conduce attraverso laporta.
Gli ignavi. Celestino V (22-69)
Una volta varcata la soglia, Dante sente un orribile miscuglio di urla, parole d'ira, strane lingue che
lo spingono a piangere in quel luogo buio e oscuro. Dante chiede a Virgilio chi emetta quegli
orribili suoni e il maestro spiega che sono gli ignavi, le anime di coloro che non si schierarono né
dalla parte del bene né da quella del male e che ora risiedono nel Vestibolo dell'Inferno. Sono
mescolate agli angeli che non si schierarono né con Dio né con Lucifero; le anime degli ignavi sono
tanto misere che secondo Virgilio non sono degne di essere guardate da Dante troppo a lungo.Dante vede che le anime corrono dietro un'insegna senza significato, che gira vorticosamente su se
stessa. Formano una schiera infinita e tra esse Dante crede di riconoscere papa Celestino V, che per
viltà rinunciò al soglio pontificio. Il poeta è sicuro che questi siano proprio gli ignavi, che
spiacquero tanto a Dio quanto ai suoi nemici: essi sono punti e tormentati da vespe e mosconi, che
gli fanno colare il sangue dal volto, il quale cade a terra mischiato alle loro lacrime e viene raccolto
da vermi ripugnanti.
Il fiume Acheronte. Caronte (70-105)
Poco dopo i due poeti giungono nei pressi di un grande fiume (l'Acheronte), sulla cui sponda sono
accalcate le anime dannate. Dante è ansioso di sapere da Virgilio chi siano quelle anime e cosa le
renda in apparenza pronte a varcare il fiume, ma il maestro risponde che avrà tutte le risposte
quando raggiungeranno l'Acheronte. Dante prosegue senza aggiungere altro e poco dopo vede
giungere Caronte, il traghettatore dei dannati, che rema verso di loro a bordo di una barca: è un
vecchio dalla barba bianca, che grida minaccioso alle anime di essere venuto a prenderle per
portarle all'Inferno, tra le pene eterne.
Caronte si rivolge poi a Dante e lo invita ad andarsere, essendo ancora vivo; aggiunge anche che
Dante dopo la morte non andrà l ì, bens ì in Purgatorio. Il demone è zittito da Virgilio, che gli ricorda
che il viaggio di Dante è voluto da Dio e lui non può opporsi. A quel punto il nocchiero, che ha gli
occhi circondati di fiamme, tace, mentre le anime tremano di terrore e bestemmiano Dio, i lorogenitori, il momento della loro nascita.
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Caronte porta via i dannati (106-129)
I dannati si accalcano lungo la sponda e Caronte fa loro cenno di salire sulla sua barca: stipa le
anime dentro di essa e batte col suo remo qualunque anima tenti di adagiarsi sul fondo. I dannati si
gettano dalla riva alla barca proprio come le foglie cadono dagli alberi in autunno. Caronte le porta
dall'altra parte del fiume e, prima che siano scese, sulla sponda opposta si è formata un'altra schiera.Virgilio spiega a Dante che tutti i dannati finiscono sulle sponde dell'Acheronte e qui la giustizia
divina li spinge a desiderare ardentemente di passare dall'altra parte. Perciò non c'è da stupirsi se
Caronte protesta per la presenza di Dante in quel luogo, dal momento che il poeta è destinato ad
essere salvo.
Terremoto e svenimento di Dante (130-136)
Alla fine delle parole di Virgilio, il suolo infernale è scosso da un tremendo terremoto, cos ì
spaventoso che Dante ne ha paura al solo ricordo. Si vede una luce rossastra, la quale fa perdere isensi a Dante; il poeta cade svenuto a terra.
Interpretazione complessiva
Il canto si apre con la famosa descrizione della porta infernale: non viene detto dove essa
precisamente si collochi, qui viene citata soltanto la scritta che campeggia su di essa, di coloreoscuro (forse anche quanto al senso, visto che Dante deve chiedere spiegazioni a Virgilio).
L'ingresso nell'Inferno ha un effetto traumatico per Dante, colpito da sensazioni visive (l'oscurità
fitta) e uditive (le disperate grida dei dannati) che lo fanno angosciare e provocano in lui il pianto,
come altre volte avverrà nella Cantica.
Il Vestibolo (o Antinferno) è il primo luogo dell'Oltretomba a essere visitato. Esso è abitato dagli
ignavi, non propriamente dannati ma in ogni caso condannati a una pena molto severa, in cui è
visibile un contrappasso: l'insegna che essi devono inseguire è senza significato, come priva di
scopo è stata la loro vita terrena (infatti Dante li definisce sciaurati, che mai non fur vivi). Tra essi è
citato, indirettamente, papa Celestino V, colui / che fece per viltade il gran rifiuto: Dante gli
rimproverava di aver ceduto la tiara a Bonifacio VIII, suo acerrimo nemico e artefice del suo esilio
in seguito alla vittoria dei Neri a Firenze. L'identificazione pare certa, anche se non sono mancati
commentatori che hanno visto in lui altri personaggi, come Esaù, Pilato, Giuliano l'Apostata.
Insieme a loro vi sono anche gli angeli che, al momento della ribellione di Lucifero contro Dio, non
si schierarono né da una parte né dall'altra, restando neutrali; la presenza di questi personaggi
nell'Antinferno è motivata da Virgilio col fatto che i dannati potrebbero attribuirsi dei meriti rispetto
a loro, il che spiega anche il disprezzo mostrato dal maestro e il suo invito a Dante affinché non si
soffermi troppo sulla loro pena.
Il vero protagonista dell'episodio è poi Caronte, il traghettatore delle anime dannate che Dante
descrive traendo spunto dal personaggio virgiliano del libro VI dell'Eneide: rispetto al Caronte
classico, tuttavia, quello dantesco appare con tratti decisamente demoniaci (soprattutto gli occhi
circondati di fiamme) e ciò è coerente con la interpretazione in chiave cristiana delle figuremitologiche, in quanto le divinità infere venivano spesso considerate personificazione del diavolo e
lo stesso farà Dante con altre creature infernali, come ad esempio Minosse, Cerbero, Pluto. La
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reazione del demone all'apparire di Dante è analoga a quella degli altri guardiani infernali che il
poeta incontrerà più avanti, in quanto anche Caronte tenta di spaventarlo e di impedire il suo
viaggio attraverso l'Inferno: queste figure simboleggiano gli impedimenta di natura peccaminosa
che ostacolano il cammino di redenzione dell'anima umana, non a caso infatti è sempre Virgilio
(allegoria della ragione) a zittirli e a consentire il passaggio di Dante. Significativo è il fatto che qui
Caronte predica a Dante la sua salvezza, dicendogli che approderà ad altri porti e che sarà portatoda una barca più lieve della sua, ovvero quella dell'angelo nocchiero del Purgatorio; Virgilio lo
riduce al silenzio con una formula (vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non
dimandare) che userà, con lievi varianti, anche con Minosse e con Pluto.
I dannati sono descritti nella loro fisicità, come corpi nudi e prostrati, che si assiepano sulla riva
dell'Acheronte ansiosi di passare dall'altra parte (Virgilio spiega a Dante che è la giustizia divina a
spronarli in tal senso). I dannati bestemmiano e maledicono il giorno in cui sono nati, secondo i
modelli biblici di Giobbe e di Geremia; hanno un aspetto corporeo, in quanto le pene che dovranno
subire provocheranno in loro un dolore fisico. Il loro gran numero, come del resto quello degli
ignavi, lascia intendere la diffusione del male e del peccato sulla Terra, come appare chiaro dal fatto
che Caronte cerchi di stiparne il più possibile sulla sua barca (colpendo col remo chiunque tenti diadagiarsi sul fondo, per occupare meno spazio) e dal particolare che, prima che il traghettatore sia
giunto sull'altra sponda, su quella opposta si è già formata una schiera altrettanto folta. Alquanto
enigmatica, infine, la chiusa dell'episodio col terremoto la cui causa non è chiarita da Dante, e che
sembra avere l'unica funzione di espediente narrativo per descrivere lo svenimento del poeta e farlo
poi risvegliare al di là del fiume infernale (qualcosa di molto simile avverrà anche alla fine del
Canto V, dopo l'episodio di Paolo e Francesca).
I terremoti ultraterreni
Il Canto si chiude con una violenta scossa di terremoto, causato da un vento sotterraneo come
riteneva la fisica medievale; insieme a una luce rossastra, la cui origine è sconosciuta, provoca lo
svenimento di Dante che si risveglierà all'inizio del Canto seguente dall'altra parte dell'Acheronte,
nel Limbo. Dante ricorre qui a un espediente narrativo per non dover descrivere il passaggio del
fiume, cosa che accadrà anche alla fine del Canto V (Dante sverrà sopraffatto dall'angoscia di Paolo
e Francesca).
A un terremoto allude forse anche la ruina che sarà descritta nel Canto V, di fronte alla quale i
lussuriosi bestemmiano la virtù divina (potrebbe essere stata prodotta dal terremoto che invest ì tutta
la Terra il giorno della morte di Cristo). Allo stesso evento si riferisce invece in modo esplicito il
diavolo Malacoda nel Canto XXI, 112-114, quando spiega ai due poeti che il ponte di roccia chepermette il passaggio dalla V alla VI Bolgia è crollato in seguito al terremoto: le sue parole
permettono di datare con precisione il viaggio dantesco, essendo trascorsi 1266 anni dalla morte di
Cristo (quindi siamo nell'anno 1300, il giorno del sabato santo).
Di natura ben diversa il terremoto che investe il Purgatorio al momento in cui l'anima di un
penitente completa la sua espiazione e può finalmente ascendere all'Eden. È quanto avviene alla
fine del Canto XX, quando il poeta Stazio termina la sua pena e spiega in seguito a Dante (Canto
XXI) e a Virgilio che al di sopra della porta del Purgatorio non possono verificarsi normali eventi
«sismici», se non per espressa volontà divina.