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II° PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

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II° PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Indice

Premessa......................................................................3

Trasformazioni di energia reversibili..............................4

Trasformazioni di energia reali (irreversibili)..................7

Conclusioni delle osservazioni sperimentali..................7

Enunciato di Clausius....................................................8

Enunciato di Carnot.....................................................10

Equivalenza tra gli enunciati di Carnot e Clausius......14

Conseguenze del 2° Principio.....................................16

La proprietà entropia...................................................21

Tipi di irreversibilità......................................................24

Analogie formali tra i due Principi................................30

2

PremessaMentre il I° Principio afferma la possibilità di reciproca trasformazione tra calore e

lavoro ed il principio di conservazione dell’energia estende questa possibilità a tutte le

forme di energia note, il II° Principio si occupa della maggiore o minore “facilità” con

cui queste trasformazioni avvengono.

In effetti il I° P. assicura soltanto che il calore è una forma di energia che può

trasformarsi in altre forme ma non dice se, rispetto ad esse, il calore si comporta allo

stesso modo nei riguardi di tali trasformazioni.

Il II° P. nega il simmetrico comportamento tra il calore e le altre forme di energia che,

per distinguerle, vengono chiamate di 1a specie. Quindi, più che principio

dell’equivalenza tra calore e lavoro (affermazione impropria) si deve parlare di

“reciproca trasformabilità”.

Il calore dunque, rispetto alle altre forme di energia, si comporta in modo differente nei

riguardi delle trasformazioni di energia ottenute mediante processi continui, come se

fosse una forma di energia degradata (energia di 2a specie). Tanto più quanto più bassa è

la temperatura a cui il calore viene reso disponibile.

Per chiarire meglio il concetto di tale dissimmetria si considerino, ad esempio, 25 kg di

H2O a 22°C in un ambiente a 20°C. L’acqua raffreddandosi cederebbe 50 kcal.

La stessa quantità di calore si otterrebbe disponendo di 1 kg a 70°C che cederebbe

durante il raffreddamento ancora 50 kcal.

Nei due casi cambia il livello termico al quale avviene la cessione, cioè la temperatura a

cui il calore è reso disponibile.

Sotto il profilo energetico (metrologico) non è cambiato nulla, nel senso che, ove tale

calore si trasformasse completamente in lavoro si otterrebbero 50x427 = 21350 kgm.

Sotto l’aspetto invece della trasformabilità in lavoro (aspetto operativo della

trasformazione), ossia l’attitudine a trasformarsi in lavoro con continuità, i due casi si

differenziano nettamente.

In altre parole, nei due casi, diverso è il “valore” effettivo di tale energia termica1.

1 La capacità di ottenere idealmente del lavoro (attraverso processo continuo) da una certa quantità di calore Q può essere espressa mediante una funzione ad essa associata che prende il nome di exergia:

3

Trasformazioni di energia reversibiliSe si considerano allora trasformazioni di energia da una forma all’altra per via

reversibile, cioè in assenza di fenomeni dissipativi (tali trasformazioni non sono

osservabili sperimentalmente in quanto tutte le trasformazioni reali sono irreversibili; è

possibile, tuttavia, osservare le tendenze man mano che si riducono o si attenuano le

cause di irreversibilità), quelle riguardanti le energie di 1a specie avvengono in forma

completa.

Chiamando macchina un qualunque dispositivo o insieme di congegni atti ad operare

tali trasformazioni e introducendo per essa un rendimento, definito come rapporto tra

energia nella nuova forma E’ e l’energia nella forma originaria E, tale rendimento

risulta pari all’unità.

Ove si voglia invece convertire, attraverso una macchina termica, del calore in energia

di 1a specie (lavoro) con continuità (ciclo diretto), ossia percorrendo un ciclo che

consenta di ripartire dalle stesse condizioni iniziali, tale trasformazione non avviene mai

completamente ma se ne trasforma soltanto una parte W, la restante viene restituita dalla

macchina al mezzo esterno ad una temperatura inferiore a quella a cui il calore è stato

fornito alla macchina, in condizioni, cioè, da non essere più riutilizzabile dalla macchina

stessa.

dove T è la temperatura assoluta alla quale Q è reso disponibile e T0 la temperatura dell’ambiente esterno. Nell’esempio: E1 = 50 (1-293/295) = 0.34 kcal e E2 = 50 (1-293/343) = 7.3 kcal.

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Il calore restituito Q2, a parità di calore fornito Q1, è tanto minore, ovvero il lavoro

ottenuto è tanto maggiore, quanto più alta è la temperatura T1 e viceversa.

Se infine si volesse convertire energia di 1a specie in calore con continuità (ciclo

inverso), non soltanto questa operazione avviene in modo completo, ma si osserva che

contestualmente si verifica un altro fenomeno, e cioè, che si rende disponibile dell’altro

calore (Q2), estraneo a quello derivante dalla trasformazione dell’energia di 1a specie

(W), ad una temperatura più elevata di quella alla quale questo calore viene sottratto.

Q2 risulta tanto maggiore, ovvero reso a temperatura T1 tanto più elevata, quanto più

elevata è l’energia di 1a specie che si trasforma in calore.

Il rendimento di queste macchine (W+Q2)/W sarebbe maggiore di 1, non già perché si

crea energia (Q2), ma solo perché si rende disponibile del calore ad un livello termico

maggiore.

Per queste macchine a ciclo inverso si usa introdurre un effetto utile (, o coefficiente

di prestazione (COP), definito in relazione agli scopi che si intendono conseguire:

se lo scopo della macchina è quello di sottrarre calore Q2 (macchina frigorifera)

l’effetto utile è dato da:

f = (COPf) = Q2/|W|

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se lo scopo è quello di innalzare la temperatura di una certa quantità di calore

(pompa di calore) l’effetto utile è dato da:

c = (COPc) = Q1/W

Alla luce delle considerazioni precedenti si possono trarre le seguenti conclusioni:

Tutto va come se il calore, rispetto alle altre forme di energia, fosse una forma di

energia per così dire degradata; tanto più quanto più bassa è la temperatura a cui è

reso disponibile. Solo se la temperatura fosse teoricamente infinita esso si

comporterebbe come energia di 1a specie. Ciò equivale ad affermare che innalzare il

livello termico del calore equivale a migliorarne la “qualità” e, viceversa, abbassare il

livello significa “degradarlo”. Parimenti, trasformare calore in energia di 1a specie

corrisponde a migliorare la qualità. Ecco perché le macchine termiche reversibili

trasformano solo una parte del calore ricevuto in lavoro (nobilitazione) restituendo la

restante parte a temperatura inferiore (degradazione). Analogamente quando nelle

macchine frigorifere si trasforma energia di 1a specie in calore (degradazione), allora

in compenso viene migliorata la qualità di altro calore, estraneo alla trasformazione,

che viene restituito ad un livello termico superiore (nobilitazione).

Allora se si considera un sistema isolato (e tale è la macchina + il mezzo con il quale

essa interagisce) che possiede energia di 1a specie sotto varie forme e si considerano le

diverse trasformazioni di energia che vi si compiono, compreso il calore alle varie

temperature a cui viene scambiato, e si avesse un modo di definire il grado medio di

degradazione dell’energia, il quale dipenderebbe dall’entità delle quantità di calore in

gioco e dalle temperature di scambio, si potrebbe asserire che tutte le trasformazioni di

energia per via reversibile, comunque esse avvengano, lascerebbero inalterato il grado

medio di degradazione dell’energia posseduta dal sistema isolato.

In altre parole, tutte le trasformazioni di energia provocano sempre, nel sistema isolato,

compensazioni esatte tra fenomeni che implicano degradazione Q oppure Q(T1)

Q(T2<T1) e fenomeni opposti che implicano nobilitazione QE, Q(T2)Q(T1>T2).

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Si vedrà in seguito come l’entropia possa risolvere il problema della “misura” di tali

degradazioni.

Risulta chiaro a questo punto come il I° P. non possa essere considerato come Principio

dell’equivalenza tra calore e lavoro: è vero che possono trasformarsi l’uno nell’altro, ma

sono tutt’altro che equivalenti.

Disporre di 427 kgfm significa disporre di energia di 1a specie, disporre di 1 kcal

significa disporre della stessa quantità di energia ma di qualità inferiore (in quanto non

convertibile in 427 kgfm mediante processi continui reversibili).

Trasformazioni di energia reali (irreversibili)Considerando ora le trasformazioni caratterizzate da dissipazione, l’esperienza mostra

che quando si verificano trasformazioni di energia di 1a specie in energie ancora di 1a

specie, esse non avvengono completamente; le cause di irreversibilità implicano sempre

che una parte di energia di 1a specie si trasformi in calore, cioè degradi, e quindi il

rendimento di tali trasformazioni risulta sempre inferiore a 1.

Se si vuole trasformare in energia di 1a specie del calore, la frazione trasformata in

lavoro è minore rispetto a quanto accadrebbe se tale trasformazione avvenisse

reversibilmente; non c’è compensazione esatta tra nobilitazioni e degradazioni

dell’energia: prevalgono sempre le degradazioni.

Alla stessa conclusione si giunge quando si considerano le trasformazioni di energia di

1a specie in calore.

Con riferimento ai sistemi isolati, si può affermare che mentre i fenomeni reversibili

lasciano immutato il grado medio di degradazione dell’energia posseduta dal sistema,

quelle irreversibili lo accrescono sempre.

In definitiva, il II° P. può essere enunciato, desumendolo dall’esame dei fenomeni

naturali, nel modo seguente:

Conclusioni delle osservazioni sperimentaliLe varie forme di energia, pur potendosi trasformare reciprocamente, conformemente

al principio di conservazione dell’energia, non si comportano tutte allo stesso modo:

il calore, in particolare, appare come una forma di energia inferiore tanto più quanto

più basso è il suo livello termico. Quando i fenomeni sono reversibili, si verifica

sempre un compenso esatto tra le trasformazioni di energia in modo tale da lasciare

immutato il grado medio di degradazione dell’energia posseduta dall’intero sistema di

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corpi che partecipano agli eventi (sistema isolato). I fenomeni reali (irreversibili),

invece, determinano sempre un aumento della degradazione.

Tutti i fenomeni reali sono dunque caratterizzati dalla comune tendenza a provocare la

progressiva degradazione dell’energia totale dei sistemi interessati ai fenomeni stessi.

Occorre a questo punto tradurre il precedente enunciato in una forma più concisa e

soprattutto suscettibile di deduzioni di tipo quantitativo.

Esistono più enunciati del II° P. Tra questi, quello di Clausius si riferisce ai passaggi di

calore e ne chiarisce il carattere asimmetrico; quello di Carnot riguarda le

trasformazioni energetiche nelle macchine e ne specifica i limiti

quantitativi.L’enunciato di Clausius è più direttamente collegato alle macchine a ciclo

inverso, quello di Carnot alle macchine a ciclo diretto.

Enunciato di ClausiusE’ l’enunciato con il quale si è cercato di condensare quanto di più essenziale vi è nel

II° P. Esso riguarda più propriamente i passaggi di calore ed afferma:

Il calore non passa spontaneamente da corpi freddi a corpi caldi.

Si osservi che negare la spontaneità dei passaggi freddocaldo non significa

necessariamente affermare la spontaneità dei passaggi inversi caldofreddo, i quali

potrebbero non essere mai spontanei (passaggi reversibili), ovvero esserlo solo in taluni

casi (passaggi non reversibili):

Tc

Tf Reversibili Irreversibili

Si afferma in sostanza la asimmetria in natura dei passaggi di calore tra i corpi: essi si

presentano con un carattere diverso a seconda della direzione in cui avvengono. Mentre

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N N NS

il passaggio freddo caldo non avviene spontaneamente, quello opposto, caldo

freddo, è spontaneo solo nei fenomeni reali.

Basta infatti mettere in contatto due corpi a differente temperatura per provocare, senza

ulteriori interventi, il passaggio di calore.

I passaggi inversi, secondo Clausius, non sono spontanei: non si verifica in natura che

corpi più freddi si raffreddino sempre di più cedendo calore a corpi più caldi (in verità il

II° P. non nega in assoluto questa possibilità, ma afferma che tale evento è

estremamente improbabile, il che equivale alla sua impossibilità pratica).

Questa circostanza non significa che i passaggi freddo caldo siano impossibili, ma

soltanto che non sono spontanei in natura.

Per ottenerli è necessario provocarli facendo intervenire altri fenomeni, i quali si

presentano, in ultima analisi, come fenomeni degradativi più che compensativi della

nobilitazione insita nel passaggio freddo caldo.

Si delinea quindi in natura quella tendenza alla degradazione dell’energia di cui si è

ripetutamente detto.

L’enunciato di Clausius è meno significativo nei riguardi dei processi reversibili, per i

quali i passaggi di calore non sono spontanei in nessuna delle due direzioni: qualunque

di essi tende a provocare per l’insieme dei corpi interessati a tali passaggi (sistema

isolato) un’alterazione del grado medio di degradazione dell’energia, mentre i fenomeni

reversibili lo lasciano inalterato.

Per provocarli saranno sempre necessari fenomeni collaterali di compenso: degradativi

nel passaggio freddo caldo, nobilitativi nel passaggio caldo freddo.

L’enunciato di Clausius, pur nella sua estrema semplicità e concisione dei fatti che sono

alla base del II° P., non mette in luce a sufficienza l’importanza che riveste nei riguardi

delle macchine termiche, ossia nei confronti delle trasformazioni di calore in lavoro.

Sotto questo aspetto si presta assai meglio l’enunciato di Sadi Carnot. Tale enunciato

non è dovuto allo scienziato in quanto fu formulato diversi decenni dopo la sua morte

(molto prematura), ma la sua formulazione riflette nella sostanza i risultati delle sue

importanti ricerche.

Enunciato di Carnot

Una macchina termica a ciclo diretto è costituita da un insieme di organi atti a

trasformare calore in lavoro con continuità. In pratica questo risultato è ottenuto

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costringendo un fluido a percorrere un ciclo chiuso di trasformazioni: lungo alcune parti

la macchina riceverà calore dal mezzo, lungo altre ne restituirà; alla fine restituirà meno

calore di quanto ne avrà ricevuto, la differenza sarà trasformata in lavoro che

rappresenterà il prodotto utile della macchina.

In definitiva, nella macchina termica si distinguono tre parti essenziali: una sorgente di

calore (serbatoio caldo) dal quale il sistema attinge energia, un pozzo di calore

(serbatoio freddo) nel quale la macchina restituisce la quota parte di calore non

trasformato, un insieme di organi nei quali si attua lo scambio di lavoro meccanico.

Ad esempio in un’ordinaria motrice a vapore queste tre parti si identificano nella

caldaia, nell’atmosfera e nell’organo (cilindro motore) in cui il fluido (vapore) si

espande.

Nei più moderni impianti a vapore il pozzo è costituito da un condensatore (ciclo

chiuso) e la terza parte da una pompa di alimento della caldaia e da una turbina.

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Il rendimento della macchina è dato dal rapporto tra l’energia nella forma nuova

(W=Wi) e quella originaria (Q1):

in cui Q1 è dato dalla somma delle quantità di calore ricevute e |Q2| il valore assoluto

delle quantità restituite.

L’aspetto operativo di maggior interesse per le prestazioni energetiche di una macchina

termica è rappresentato dalle temperature estreme di funzionamento Tmax (TH) e Tmin

(TC) raggiunte del fluido nel percorrere il ciclo.

Ad esempio nel ciclo aperto sono la temperatura di immissione del vapore nel cilindro

motore e quella di scarico libero nell’atmosfera (100°C).

Ora, fissate TH e TC il ciclo di massimo rendimento (o meglio tra quelli di massimo

rendimento) è quello reversibile costituito da due trasformazioni isotermiche intercalate

da due trasformazioni adiabatiche (ciclo di Carnot).

Dal punto di vista concettuale, il ciclo di Carnot può essere ottenuto disponendo di un

gas e di 4 cilindri tra loro collegati.

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E.I

C.I

WE

QH

WE

C.AE.A

|WC||QC|

|WC|

L’espansione isoterma è ottenuta fornendo calore QH durante l’espansione in modo da

neutralizzare la tendenza del gas a raffreddarsi. All’opposto, la compressione isoterma è

ottenuta sottraendo calore QC durante la compressione.

Lo scambio termico tra il fluido motore ed un fluido secondario viene ottenuto facendo

circolare quest’ultimo nella camicia che circonda il cilindro.

Le trasformazioni adiabatiche si ottengono conducendole in modo sufficientemente

rapido da non consentire scambi apprezzabili con l’ambiente esterno.

Gli scambi di calore QH e QC interessano le trasformazioni isotermiche, gli scambi di

lavoro WE e Wc tutte quattro le trasformazioni.

L’area del ciclo fornisce sul piano p-v una rappresentazione grafica del lavoro netto o

lavoro utile, ossia quello utilizzato ad ogni ciclo, essendo tale area il risultato della

somma algebrica di tutti i lavori in gioco (aree sottese dalle singole trasformazioni).

Una macchina siffatta viene anche chiamata macchina termica perfetta, non già perché

trasforma tutto il calore ricevuto in lavoro, ma perché presenta il massimo rendimento

assegnate le temperature estreme di funzionamento.

Ciò premesso, l’enunciato di Carnot si articola in due parti. La prima riguarda tutte le

macchine termiche senza distinzioni; la seconda si riferisce alla macchine perfette.

1. Nessuna macchina termica a funzionamento continuo (ciclica) è capace di

trasformare interamente il calore ricevuto in lavoro anche se tutte le

trasformazioni sono reversibili: una parte di questo calore deve necessariamente

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essere restituito dalla macchina a temperatura più bassa di quella alla quale è

stato ricevuto. Il rendimento è dunque sempre inferiore all’unità;

2. il rendimento delle macchine termiche perfette dipende unicamente dalle

temperature tra le quali esse operano; in particolare, non dipende dalla natura del

fluido impiegato.

La prima parte dell’enunciato afferma che, dato un insieme di fenomeni reversibili, ogni

nobilitazione dell’energia (trasformazione di calore in lavoro) è sempre accompagnata

un corrispondente fenomeno compensativo di degradazione (restituzione di parte del

calore a temperatura inferiore).

Afferma dunque la tendenza dei fenomeni reversibili a lasciare immutato il grado medio

di degradazione dell’energia della macchina e del mezzo.

E’ da notare che questa parte dell’enunciato non si limita affatto ad asserire una verità

universalmente nota, vale a dire che nessuna macchina di qualunque tipo, termica o non

termica, non ha mai rendimento unitario.

Nelle macchine termiche, difatti, questo accade soltanto perché sono presenti sempre,

accanto ai fenomeni fondamentali nei quali consiste il loro funzionamento, fenomeni

secondari parassitari (attrito), che costituiscono appunto le cause di irreversibilità. E,

ove tali fenomeni parassitari mancassero, il rendimento sarebbe unitario, ed è questa la

tendenza osservabile man mano che si riducono le cause di irreversibilità.

Nelle macchine termiche invece il rendimento non sarebbe mai unitario neanche quando

le trasformazioni fossero reversibili, cioè anche in assenza di dissipazioni.

Ciò è legato alla circostanza che la forma di energia fornita a queste macchine (calore) è

una forma inferiore a quella che esse restituiscono (lavoro), circostanza che non si

verifica nelle macchine di altro tipo.

La seconda parte dell’enunciato è, come si vedrà, quella suscettibile di deduzioni

quantitative; l’ultima parte è ridondante ed ha unicamente ragioni storiche perché servì a

stroncare ogni tentativo tendente a migliorare il rendimento delle macchine termiche

con l’impiego di fluidi convenienti.

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Equivalenza tra gli enunciati di Carnot e ClausiusMalgrado l’apparenza diversa, è facile mostrare l’equivalenza tra gli enunciati di Carnot

e Clausius.

Si parta ad esempio da quest’ultimo per dimostrare la seconda parte dell’enunciato di

Carnot.

All’uopo, si considerino due macchine perfette funzionanti tra le stesse isoterme TH e TL

e si scelgano i cicli e le quantità di fluido circolanti in modo che le macchine eroghino

gli stessi lavori utili (W’ = W”).

La reversibilità assicura che tali scelte non influiscono sui rendimenti. Considerando per

semplicità di annotazione i valori assoluti dell grandezze energetiche, per ipotesi si ha:

W’ = Q’H – Q’L = W” = Q”H – Q”L ovvero Q’H – Q”H = Q’L – Q”L

’ = 1 – Q’L/Q’H ; ” = 1 – Q”L/Q”H

Si supponga ora di invertire il funzionamento della seconda macchina e di accoppiare

fisicamente le due macchine calettandole sullo stesso albero.

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L’insieme delle due formano un sistema che può scambiare solo calore con il mezzo

circostante se le quantità Q’H e Q”H, ad esempio, fossero tra loro diverse. In questo caso

la differenza Q’H – Q”H = Q’L – Q”L (per ipotesi), se positiva, implicherebbe un

passaggio caldo freddo, ovvero un passaggio freddo caldo se negativa.

In entrambi i casi si avrebbe un’alterazione del grado medio di degradazione

dell’energia nel sistema isolato costituito dall’insieme delle due macchine e dal mezzo

(in questo caso la traccia si localizzerebbe nel mezzo in quanto le macchine sono

cicliche).

Poiché tale circostanza contraddice l’ipotesi per la quale le trasformazioni reversibili

non alterano il grado medio dell’energia di un sistema isolato, la differenza Q’H – Q”H =

Q’L – Q”L non può che essere nulla e quindi Q’H = Q”H e Q’L = Q”L.

Ne discende che i rendimenti delle due macchine ’ = ” e poiché nessuna ipotesi è

stata fatta sulla natura dei fluidi questa conclusione è generalizzabile.

E poiché anche il tipo di ciclo è fissato (Carnot), il rendimento delle macchina perfette

dipende soltanto dalle temperature delle isoterme.

In forma più intuitiva, l’uguaglianza dei rendimenti discende dal fatto che se si ammette

che le trasformazioni reversibili non alterano il grado medio di degradazione

dell’energia di un sistema isolato (Clausius), allora, fissate le temperature TH e TL tra le

quali opera una macchina perfetta, ossia la degradazione che corrisponde a questi due

livelli termici, è anche determinato il fenomeno collaterale che dovrà compensare tale

degradazione.

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E poiché il compenso è rappresentato dalla frazione del calore ricevuto che si trasforma

in lavoro, il rendimento dipende unicamente dalle temperature TH e TL.

Conseguenze del 2° Principio

Si consideri ancora il ciclo di Carnot e lo si rappresenti sul piano di Clapeyron.

Affermare che il rendimento dipende unicamente dalle temperature 1 e 2, misurate

secondo una certa scala per ora non precisata, tra le quali opera il ciclo, equivale ad

asserire che il rapporto tra le quantità di calore scambiate Q1/Q2 non varia né

modificando la posizione delle adiabatiche né operando con fluidi differenti.

In linguaggio analitico ciò si esprime con:

nella quale spicca l’assenza entro il simbolo di funzione di qualunque grandezza

all’infuori delle temperature.

Ora, considerando 2 adiabatiche qualsiasi e infinite trasformazioni isoterme tra le quali

si scelga ad arbitrio una qualunque di esse come isoterma di riferimento 0,

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1

2

si individuano infiniti cicli di Carnot operanti tra 0 (comune) e ciascuna delle altre

infinite isoterme i . Per ciascuno di questi cicli vale la relazione:

In altre parole è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra gli infiniti rapporti

Qi/Qo e le coppie i,0, ossia gli infiniti valori di che può assumere la temperatura.

Esistono tutti i presupposti per poter definire una scala delle temperature2 sulla base

della misura dei rapporti Qi/Q0 (proprietà termometrica).

Per costruire la scala occorre, sotto il profilo operativo, fissare arbitrariamente 0 e il

legame funzionale tra i rapporti Qi/Qo e le coppie i,0, ossia la forma della scala.

Da questo punto di vista il 2° Principio non fornisce indicazioni ma non pone nemmeno

vincoli: si è dunque liberi di operare la scelta in modo del tutto arbitrario.

Va da sé che essa dovrà ispirarsi a criteri di convenienza e semplicità. Quale che sia la

scelta resta il fatto fondamentale che la scala termometrica risulta indipendente dalla

natura del fluido (che rappresenta la sostanza termometrica) presentandosi come una

scala assoluta, valida concettualmente nell’intero campo di variazione delle

temperature.

2 La temperatura, rispetto alle grandezze fisiche per le quali basta fissare l’unità di misura, non gode della proprietà additiva. Occorre per essa fissare l’origine, l’unità di misura e la legge mediante la quale si attribuiscono i valori ad ogni isoterma, ossia si deve definire l’intera scala.

17

i

0

Tra tutti i legami possibile Kelvin scelse quello lineare giungendo alla semplicissima ma

fondamentale relazione:

Tale relazione è il frutto di una convenzione il quale, però, è stato reso possibile dalla

veridicità del 2° Principio di cui può riguardarsi come una conseguenza diretta; anzi, un

inizio di traduzione analitica.

Assumendo poi come stato di riferimento lo stato corrispondente all’equilibrio delle tre

fasi solido, liquido e vapore dell’acqua (punto triplo) e attribuendo ad esso il valore di

273.16 K, la scala termodinamica assoluta coincide esattamente con quella del gas

ideale3:

La scala termodinamica assoluta si presenta dunque come un nuovo modo di definire la

scala termometrica normale, la quale può essere considerata come una traduzione

sperimentale pratica della scala termodinamica nel campo di comune applicazione.

Immediata conseguenza della scelta operata da Kelvin è che:

Il rendimento di una macchina perfetta potrà dunque esprimersi in funzione delle

temperature assolute delle isoterme misurate nella consueta scala termometrica normale:

3 La scala del gas ideale si ottiene estrapolando (per pressione nulla) la scala cosiddetta normale che utilizza un termometro a idrogeno a volume costante. La pressione P t al punto triplo dell’acqua è di 1 m di colonna di Hg. Variando il gas termometrico e diminuendo la sua massa fino a far tendere la pressione P t

a zero, i valori misurati (diversi da gas a gas) tendono tutti ad un limite comune (temperatura del gas ideale).

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La relazione precedente permette di avere subito un ordine di grandezza del rendimento

termodinamico ottenibile con le usuali macchine termiche.

Posto, ad esempio, T1=473K (temperatura del vapore alla pressione di 15.5 atm) e

T2=373K nelle motrici a vapore a scarico libero e T2=313K per gli impianti dotati di

condensatore, il rendimento assume nei due casi i valori teorici:

Soltanto il 21% ( o il 34%) del calore somministrato alla macchina si trasforma in

lavoro; i rendimenti effettivi sono ancora più bassi sia perché ci si discosta dal ciclo di

Carnot per ragioni pratiche, sia a causa della irreversibilità dei cicli.

Uno dei motivi che ha impedito per decenni di scoprire che il calore poteva convertirsi,

sia pure parzialmente, in lavoro era che nelle macchine primitive la frazione di calore

trasformata era talmente piccola da essere praticamente mascherata dalle inevitabili

incertezze di misura.

Per ottenere un lavoro di 1 CVh = 632 kcal occorreva bruciare 4-5 kg di carbone, pari

alla somministrazione di diverse decine di migliaia di kcal, mentre la quantità

trasformata di cui si doveva avvertire la scomparsa era di appena 700-800 kcal.

La relazione =1-T2/T1 mostra che per ottenere un miglioramento del rendimento

conviene innalzare T1 e abbassare T2, ma ciò non può essere fatto oltre certi limiti e con

cicli diversi da quelli di Carnot, e cioè con rendimenti relativi inferiori. Considerando

come limite inferiore Ta e come limite superiore T (inferiore al limite tecnologico)

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da cui

Assegnata la temperatura T a cui è disponibile Q, il massimo lavoro ottenibile è

l’exergia E data da:

mentre la frazione non trasformabile è l’anergia A data da:

Il calore Q dunque si ripartisce tra l’exergia E (lavoro massimo ottenibile) e l’anergia

(quantità non trasformabile):

Riscrivendo la relazione valida per i cicli di Carnot considerando ciascuna quantità con

il proprio segno si ha:

La proprietà entropiaEssa vale per i cicli di Carnot ma può essere generalizzata per qualunque ciclo

reversibile immaginando di intersecarlo con una serie infinita di trasformazioni

adiabiatiche infinitamente ravvicinate.

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Tracciando, per i punti di intersezione del contorno, degli archi infinitesimi di isoterme,

questi possono sostituire i tratti infinitesimi del ciclo senza commettere errori

apprezzabili (infinitesimi di ordine superiore).

Il ciclo dato può allora pensarsi come somma degli infiniti cicli elementari di Carnot

essendo ogni adiabatica percorsa prima in un verso e successivamente nel verso

opposto: percorrere gli infiniti cicli di Carnot equivale a percorrere il contorno del ciclo.

Per ogni ciclo di Carnot potrà scriversi una relazione infinitesima del tipo:

e così di seguito. Sommando membro a membro si ottiene:

relazione nota come equazione di Clausius.

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E poiché ad essa si è pervenuti attraverso considerazioni legate alla definizione della

scala termodinamica assoluta delle temperature, cioè del 2° Principio, essa può

considerarsi una traduzione analitica del 2° Principio valida per i cicli reversibili.

Il suo significato fisico è chiaro. Si tratta di immaginare l’intero ciclo suddiviso in tratti

infinitesimi e di considerare per ciascuno di essi la quantità di calore scambiata con il

mezzo e la temperatura assoluta alla quale avviene tale scambio e di sommare

(algebricamente) i rapporti Q/T.

L’equazione di Clausius esprime che tale somma (integrale) effettuata lungo l’intero

ciclo è sempre nulla qualunque siano la forma (purché reversibile) e la natura del fluido.

Questa proprietà dell’integrale consente di identificare una proprietà dei corpi

dipendente unicamente dagli stati di equilibrio.

Si considerino all’uopo due stati A e B di un fluido e due trasformazioni reversibili

qualsiasi e che li collegano.

Invertendo il verso di percorrenza di uno delle due, per esempio , si ottiene un ciclo

reversibile per il quale potrà applicarsi l’equazione di Clausius:

Essendo le trasformazioni AB e AB reversibili per ipotesi, l’inversione di una di esse

comporta unicamente l’inversione della direzione dei passaggi di calore. Pertanto:

e sostituendo

Poiché le trasformazioni e sono qualsiasi ne deriva che l’integrale è una

funzione dipendente unicamente dagli stati estremi raggiunti e non dalla successione

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degli stati intermedi, cioè dalla trasformazione. Esiste dunque una proprietà

caratteristica dei sistemi, l’ENTROPIA, definita univocamente in ogni stato di

equilibrio la cui variazione SB-SA è misurata dal valore dell’integrale lungo

una delle infinite trasformazioni reversibili che li collegano. Si avrà:

oppure in forma infinitesima:

dove dS, al contrario di Q, è un differenziale esatto. 1/T è il fattore che moltiplicando

Q lo rende un differenziale esatto.

Un enunciato sintetico del 2° Principio è che “1/T è il fattore integrante di Q”.

Al pari del 1° Principio anche il 2° identifica una funzione di stato e ne dà una modalità

operativa per calcolare le sue variazioni.

Potrebbe dubitarsi a questo punto che il concetto di entropia, dedotto con considerazioni

relative alle trasformazioni reversibili, debba riferirsi soltanto a queste e che, viceversa,

rivesta nullo o scarso interesse nei fenomeni reali.

Intanto può osservarsi che, essendo l’entropia una funzione di stato la sua esistenza

prescinde totalmente dal modo in cui si perviene nello stato considerato attraverso, cioè,

trasformazioni reversibili o meno. La reversibilità interviene solamente nel calcolo della

variazione dell’entropia.

Il vero problema che si presenta allorché si prendano in esame i fenomeni irreversibili è

quello di sapere come si modificano le relazioni:

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Tipi di irreversibilitàUn processo reale comporta sempre delle irreversibilità. Esse variano a seconda dei

fenomeni e dei sistemi considerati. Si classificano in 3 tipi:

1. Irreversibilità meccaniche (presenza di effetti dissipativi)

2. Irreversibilità termiche (presenza di squilibri finiti di temperatura)

3. Irreversibilità chimiche (variazioni spontanee della composizione chimica, della

composizione, della densità, di fase, della struttura interna,…)

1 Le irreversibilità meccaniche sono di due specie: esterne ed interne. Quelle esterne

riguardano tutte quelle trasformazioni che comportano la conversione di lavoro in

energia interna del mezzo (conversione isoterma) o di lavoro in energia interna del

sistema (conversione adiabatica). Rientrano in questa tipologia:

1.1 Agitazione di un fluido viscoso quale ad esempio:

a) Conversione isoterma di lavoro |W| in energia interna del mezzo

Ss = 0 , Sm = |Q|/T = |W|/T = Stot > 0

b) Conversione adiabatica di lavoro |W| in energia interna di un sistema di massa M

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Sm = 0 , Ss = = Stot > 0

1.2. Deformazione anelastica di un solido

1.3. Dissipazione jouleiana in un resistore

1.4. Isteresi magnetica in una sostanza ferromagnetica

Le irreversibilità meccaniche interne riguardano quei processi che comportano, per

effetto di viscosità, trasformazioni di energia interna in energia meccanica e ancora

in energia interna. Ad esempio:

1.5. Espansione di un gas ideale nel vuoto (T=cost)

Sm = 0 , Ss = = = Stot > 0

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1.6. Espansione di un gas attraverso un mezzo poroso (laminazione)

sup di controllo

1.7. Contrazione di un filo in tensione

Scoppio di una bolla di sapone a seguito di un pizzico

2 Le irreversibilità termiche sono presenti in quei processi caratterizzati da

passaggi di calore provocati da squilibri termici finiti

(a) Interna : gli squilibri finiti sono interni al sistema

(b) Esterna : gli squilibri si manifestano tra sistema e sorgente

Nel caso di passaggio di una certo flusso di calore da una sorgente calda T1 a

una sorgente fredda T2:

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:

3 Le irreversibilità chimiche sono caratterizzate da variazioni spontanee di

struttura interna, composizione chimica, densità, ecc….

Reazioni chimiche (formazione di nuove specie chimiche)

Mescolamento di sostanze diverse (diffusione di 2 gas)

Cambiamenti di stato di aggregazione spontanei (solidificazione di un

liquido sopraffuso o condensazione di un vapore soprassaturo)

Passaggio di materia tra diverse fasi a contatto (osmosi, soluzione di un

solido in acqua, …)

Nel caso di diffusione di gas ideali diversi, si può pensare a due espansioni libere

e

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L’insieme dei fenomeni irreversibili esaminati è caratterizzato da uno o entrambi i

seguenti caratteri:

Discontinuità : i processi sono provocati da squilibri finiti nelle variabili di

stato

Dissipazione : i processi avvengono in presenza di fenomeni dissipativi

quali l’attrito, viscosità, resistenza elettrica, isteresi magnetica,

elettrochimici, termoelettrici, ecc…

La reversibilità avviene in assenza di tali caratteri che non esistono in natura: ci si

avvicina nei cambiamenti di stato di aggregazione con modesti salti termici

Con riferimento ad un ciclo di Carnot internamente reversibile ma che interagisce con

sorgenti (serbatoi) a T1 e T2 diverse dalle isoterme del ciclo. Poiché T’1 < T1 e T’2 > T2

affinché gli scambi possano avvenire realmente (irreversibilità termica esterna), si ha:

Considerando anche le irreversibilità meccaniche esterne (attrito, viscosità, …)

internamente al ciclo, a parità di Q1 fornito, il calore Q2 restituito risulterà superiore

rispetto al caso in cui l’attrito non ci fosse per cui:

a maggior ragione.

Generalizzando per un ciclo reale qualsiasi si ha:

dove con T si è indicato la temperatura delle sorgenti.

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La relazione precedente è nota come disequazione di Clausius e rappresenta la

traduzione analitica del 2° Principio per i cicli irreversibili.

La variazione di entropia del sistema è ed è sempre nulla mentre quella del mezzo

è ed è, per l’inequazione di Clausius, sempre positiva. La variazione di

entropia del sistema e del mezzo (sistema isolato) risulta:

Sirr rappresenta l’aumento, sempre positivo, di entropia dovuto alle irreversibilità, detto

anche produzione entropica. Per una trasformazione infinitesima si ha:

e integrando tra A e B:

Considerando infine un sistema isolato (Q=0):

(Principio di accrescimento dell’entropia per i sistemi

isolati).

Analogie formali tra i due PrincipiI due Principi della Termodinamica possono riassumersi nel modo seguente:

1° Principio

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1. Esiste una forma di energia connessa con lo stato dei corpi, l’energia interna U, le

cui variazioni Uf-Ui sono misurabili mediante la differenza Q – L calcolata lungo

una delle infinite trasformazioni che collegano gli stati iniziale e finale;

2. La somma di tutte le energie nelle varie forme relative all’universo, ossia all’intero

sistema di corpi che partecipano alle trasformazioni di energia (sistema isolato), è

un’invariante. Pertanto la variazione di energia totale E è nulla.

2° Principio

3. Esiste una proprietà dei corpi, l’entropia S, le cui variazioni Sf-Si sono misurabili

mediante Q/T calcolata lungo una delle infinite trasformazioni reversibili che

collegano gli stati iniziale e finale;

4. La variazione di entropia totale dell’universo (sistema isolato) Stot è sempre

positiva e tende a zero alla reversibilità.

I punti 1) e 3) sono molto simili ed affermano l’esistenza di 2 funzioni di stato U e S e

forniscono delle relazioni operative per calcolare le loro variazioni.

I punti 2) e 4) dipendono dai punti precedenti e rappresentano gli enunciati formali dei

due principi.

Considerando un sistema isolato e tenendo conto di tutte le forme di energia in gioco, il

1° Principio assume un carattere conservativo, il 2° Principio si riduce ad un principio

conservativo solo se le trasformazioni sono reversibili.

In natura, l’energia di un sistema isolato si conserva ma si degrada progressivamente

(accrescimento dell’entropia).

Si notino le analogie (formali) dei due principi:

energia interna entropia (proprietà dei corpi, funzioni di stato)

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dU = Q – L dS = Q/T (relazioni operative)

E = 0 Stot 0 (sistemi isolati)

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