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Filosofia del linguaggio 2017-18 II-Pragmatica

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Filosofia del linguaggio

2017-18

II-Pragmatica

Ripresa di alcuni concetti fondamentali

Una definizione generale di linguaggio

Linguaggio = <sistema di segni, regole di composizione> Segno = qualcosa che sta per qualcos’altro. Ciò per cui sta un segno è il suo significato. C’è qualcosa che deve determinare per quale significato sta un certo segno (“interpretante”) Tra i segni linguistici ci sono relazioni di vario genere. Regole: in prima istanza sono formali; tuttavia alcune regole formali (ad es. quelle sintattiche) riflettono regole semantiche: combiniamo i segni in un certo modo perché costruiamo significati complessi a partire da significati più semplici (à composizionalità).

Classificazione dei segni secondo Peirce

-  INDICI: la relazione tra segni e significati è naturale (es. causale: il fumo significa, cioè indica, il fuoco).

-  ICONE: la relazione tra segni e significati è di

somiglianza (es. segnali stradali, emoticon)

-  SIMBOLI: la relazione tra segni e significati è arbitraria e convenzionale.

Nella grandissima maggioranza dei casi i segni linguistici sono simboli à Linguaggio = <sistema di simboli, regole di composizione>

Linguaggio e comunicazione

Comunicare = trasmettere significati (messaggi, contenuti, informazioni) Le nozioni di linguaggio e comunicazione vanno spesso insieme (perché, verosimilmente, la funzione primaria del linguaggio è quella comunicativa), ma: -  Non tutti i sistemi di comunicazione sono

linguistici (si può comunicare anche non linguisticamente à es. animali)

-  Non tutti gli usi linguistici sono comunicativi (es. parlare tra sé per chiarire i propri pensieri)

Linguaggio naturale

Ha senso parlare di linguaggio naturale (in quanto opposto ai “linguaggi” animali e, anche se in modo più sfumato, ai linguaggi artificiali), perché tutte le lingue esibiscono tre proprietà fondamentali: -  Discretezza -  Produttività (à Ricorsività) -  Dipendenza dalla struttura

Le tre caratteristiche

Discretezza: il flusso del parlato è costituito da unità linguistiche distinte, separate, dai confini netti. Produttività: con un numero finito di unità linguistiche semplici si possono costruire infinite unità linguistiche complesse. Dipendenza dalla struttura: Dietro l’apparente disposizione lineare dei segni in una frase c’è un’organizzazione (gerarchica): tra segni non adiacenti ci sono certe relazioni che i parlanti devono padroneggiare per comprendere la frase.

Le branche della linguistica

-  Fonetica/Fonologia: studio dei suoni linguistici -  Grammatica: studio di come unità più semplici si compongono a formare unità più complesse

-  Morfologia (struttura interna delle parole) -  Sintassi (struttura interna degli enunciati)

-  Semantica: studio del significato -  Pragmatica: studio degli usi del linguaggio (nei processi comunicativi)

Le branche della linguistica

Es. Morris (1938): La sintassi si occupa dei segni in quanto tali, prescindendo dalla loro interpretazione e dal loro uso; la semantica si occupa del significato dei segni; la pragmatica, infine, si occupa di ciò che con i segni si può fare, dei loro impieghi concreti.

Semantica vs. Pragmatica

à La semantica ha per oggetto l’insieme di relazioni che sussistono tra espressioni linguistiche e mondo. È in virtù di queste relazioni che le espressioni linguistiche possiedono significato. La pragmatica studia gli usi delle espressioni linguistiche in varie pratiche sociali, a cominciare dagli ordinari processi di conversazione e comunicazione. (Lycan 2000, p. 165)

Tipi di espressione

-  Parola = «unità libera minima» (Bloomfield). È una nozione sintattica che tuttavia sembra presupporre un principio di individuazione semantico (à “non-parole”: suoni linguistici che “mimano” il possesso di funzioni grammaticali appropriate. Es. “Il lonfo non vlaterca”) -  Enunciato = unità discorsiva minima. E’ una frase dotata di significato, ovvero qualcosa che può essere vero o falso (à qualcosa che esprime una proposizione).

Enunciati e proferimenti enunciato : proferimento = universale : particolare

(type) (token) à Si possono avere più proferimenti diversi di uno

stesso enunciato. Per molto tempo il significato è stato considerato una proprietà degli enunciati. Ma recentemente questa visione è stata messa in discussione (à contestualismo)

Enunciati e proposizioni Distinzione più controversa (esistono le proposizioni?) Due enunciati distinti possono esprimere la stessa proposizione: -  La neve è bianca / Snow is white -  Mario Martone è napoletano / Mario Martone è partenopeo -  L’uomo è mortale / Tutti gli esseri umani muoiono -  Io sono nato a Torino [detto da A.P.] / Alfredo Paternoster è nato a Torino

Semantica e pragmatica

Almeno idealmente la semantica si occupa del significato che un enunciato possiede, indipendentemente dal contesto. La semantica si occupa cioè di espressioni linguistiche considerate come tipi (generali).

Ma un enunciato è sempre proferito in un certo contesto,

da qualcuno e con un certo scopo. Quindi, in un certo senso, è difficile parlare di significati acontestuali: “c’è un senso importante in cui la maggior parte dei tipi di enunciato semplicemente non ha un significato acontestuale.” (Lycan 2000, p. 165, che si riferisce qui ad affermazioni di Austin, Strawson, Wittgenstein )

Pragmatica La pragmatica è la disciplina linguistica che si

occupa: •  dell’uso del linguaggio •  di ciò che un parlante comunica, al di là (o

invece) di ciò che dice •  della relazione tra linguaggio e contesto •  del significato nelle interazioni sociali •  di quegli aspetti del significato che la

semantica standard (verocondizionale) non cattura

•  … Queste definizioni sono tutte vere in parte e

nessuna da sola caratterizza la disciplina.

Pragmatica una definizione più ampia

Quello che diciamo è spesso incompleto, a volte oscuro o ambiguo, ricco di espressioni comprensibili solo in relazione al contesto di enunciazione (‘questo’, ‘quello’, ‘lui’, ‘qui’, ‘ora’, ecc.), quasi sempre accompagnato da gesti, sguardi, pause e intonazioni che chiariscono le nostre parole; quello che comunichiamo è in larga misura implicito, cioè non “detto” espressamente (letteralmente) con le sole parole.

La pragmatica è quella parte dello studio del linguaggio

che si occupa di svelare i meccanismi comunicativi, di portare alla luce regolarità e strategie, di analizzare i complessi sistemi di aspettative che rendono possibile la comunicazione.

Pragmatica

Il termine ‘pragmatica’ rinvia al fatto che l’uso del

linguaggio è un particolare tipo di azione o comportamento. La pragmatica è cioè lo studio dell’agire linguistico.

Poiché l’azione richiede un soggetto agente, la pragmatica

è –unica tra le discipline del linguaggio– una disciplina che studia il linguaggio in relazione a chi lo parla. Alla pragmatica interessa ciò che il parlante intende dire, non ciò che un’espressione letteralmente significa in forza delle regole o convenzioni linguistiche.

Fenomeni che suggeriscono la necessità

di una teoria pragmatica -  Dipendenza contestuale: possiamo cogliere il

significato di un enunciato solo prendendo in considerazione il contesto in cui viene emesso

-  Uso non letterale del linguaggio con conseguente divergenza tra significato letterale e significato inteso

-  La semantica standard (la semantica verocondizionale) non è abbastanza “fine” per catturare alcune differenze di significato: Esempi: -  “è salito a cavallo ed è partito al galoppo” vs. “è

partito al galoppo ed è salito a cavallo” -  ronzino vs. cavallo vs. destriero -  G. è arrivato vs. G. è già arrivato

0. Alle radici della pragmatica

Il paradigma dominante

1)  Significato di un enunciato = condizioni di verità (= modo in cui il mondo deve essere affinché l’enunciato sia vero) 2) Il significato di un’espressione complessa dipende esclusivamente dal significato dei suoi costituenti e da come questi sono legati (= principio di composizionalità) 3) Nessun fattore mentale è rilevante per il significato (= antipsicologismo)

Riferimento e verità

RIFERIMENTO = l’oggetto (non necessariamente concreto) a cui un nome o descrizione si applica

VALORE DI VERITA’ = l’essere VERO piuttosto che

FALSO CONDIZIONE/I DI VERITA’ = stato di cose o

situazione che, se sussistente, renderebbe vero l’enunciato

SEMANTICA VEROCONDIZIONALE = teoria del

significato secondo la quale il significato di un enunciato è la sua condizione di verità

Alle radici della pragmatica

La filosofia del “linguaggio ordinario” come reazione al paradigma dominante:

- Il secondo Wittgenstein - Austin e la “fenomenologia linguistica”

Una valutazione critica del paradigma dominante

(Burge 1992) “Influenzata dallo sviluppo spettacolare della logica da Frege in poi, la tradizione logico-costruttivista mirava a gettare luce sui problemi filosofici formulandoli in un sistema logico preciso. Quando le nozioni ordinarie erano vaghe o indefinite, dovevano essere sostituite da nozioni corrispondenti più precise. Lo sforzo di individuare regole di inferenza precise disvelò un’ampia matrice di distinzioni. La logica stessa può essere considerata come una chiarificazione dei concetti logici del senso comune. Il costruttivismo logico colse alcuni primi significativi successi nel produrre nuove logiche, in particolare, nell’analisi della necessità e delle nozioni temporali…

Una valutazione critica del paradigma dominante

(Burge 1992) … Come metodo filosofico, tuttavia, esso trovava un limite nella tendenza ad assumere che i problemi filosofici si sarebbero dissolti una volta sostituiti da problemi logici o da problemi di costruzione di un linguaggio scientifico. Molti problemi filosofici nascono nel discorso non scientifico e non possono essere risolti stabilendo regole per l’uso di nozioni nella scienza. Anche la maggior parte dei problemi strettamente legati alle scienze non sono risolvibili tramite la mera chiarificazione di relazioni logiche. Come approccio alla comprensione [= spiegazione del suo funzionamento] del linguaggio, il metodo di sostituzione era deliberatamente escogitato per ignorare certi aspetti dell’uso del linguaggio che andavano a detrimento degli scopi scientifici.

Un paradigma alternativo

“L’altra tradizione rimontava all’insistenza di G. E. Moore nel riconoscere un primato alle pratiche e ai giudizi ordinari quando si affrontano i problemi filosofici. Negli scritti etici ed epistemologici di Moore viene attribuito un peso maggiore agli esempi che alla teoria; e i giudizi ordinari sono accreditati di una priorità sui principi filosofici. I rilievi di Moore furono ripresi e applicati alla pratica linguistica nell’opera assai originale del secondo Wittgenstein. Negli ultimi anni Quaranta e negli anni Cinquanta, prima e dopo la pubblicazione delle Ricerche Filosofiche (1953), concentrarsi sui dettagli e sulle sfumature della pratica linguistica ordinaria divenne la parola d’ordine della cosiddetta ‘filosofia del linguaggio ordinario’” (Burge 1992)

Un paradigma alternativo

-  Il linguaggio non va riformato e irreggimentato: è “in ordine così com’è” -  I problemi filosofici non si risolvono semplicemente formalizzando le argomentazioni -  L’approccio alla filosofia del linguaggio e alla filosofia in generale non deve necessariamente mirare alla costruzione di teorie

Filosofia del linguaggio ordinario: la critica al paradigma dominante

•  Astrattezza del paradigma dominante: il paradigma dominante non dà conto di come effettivamente usiamo il linguaggio nelle diverse interazioni comunicative. L’approccio logico idealizza in misura eccessiva i fenomeni semantici, quasi disinteressandosi del fatto che il linguaggio è parlato e compreso dagli agenti umani in specifiche circostanze comunicative.

•  Nel paradigma dominante il significato delle espressioni è determinato da certi “fatti” oggettivi, indipendentemente dalle pratiche sociali . Ma i significati non sono cose che si possono studiare “al microscopio”. Il linguaggio è un tipo di comportamento, un’attività sociale, un fare. Gli enunciati non possiedono una vita di per se stessi.

•  L’unico assunto condiviso del paradigma dominante è l’antipsicologismo (con l’eccezione significativa di Grice).

Filosofia del linguaggio ordinario: caratteri generali

•  Primato delle pratiche sui principi: studiare come funziona davvero il linguaggio, piuttosto che irreggimentarlo in strutture astratte

•  Grande sensibilità per le distinzioni linguistiche. Ad es. gli enunciati non sono solo assertivi e quello referenziale non è l’unico uso delle parole.

•  Il compito della filosofia del linguaggio è quello di esplicitare e chiarire i diversi usi, non quello di costruire sistemi formali

•  I problemi della filosofia si possono dissolvere facendo vedere che nascono da un fraintendimento del linguaggio ordinario

•  Attenzione verso gli aspetti pragmatico-comunicativi. Così la filosofia del linguaggio ordinario è stata la “levatrice” della pragmatica

Il secondo Wittgenstein •  La filosofia è una pratica, l’attività di riflettere su come

funziona il linguaggio; non costruzione di teorie (come nel primo Wittgenstein, ma si accentua l’antisistematicità: meno enunciazioni di “principi”, più presentazioni di esempi)

•  Critica del modello ostensivo (o “agostiniano”) e concezione del significato come uso

•  Critica del linguaggio fenomenologico e più in generale “privato”; natura pubblica del linguaggio

•  Giochi linguistici e natura normativa del linguaggio •  Parlare/comprendere il linguaggio è un’abilità o

sapere-come (skill, know-how), non una conoscenza in senso proprio (= sapere-che)

•  Teoria delle somiglianze di famiglia

Il rifiuto del modello ostensivo

•  La classe di parole che funzionano come nomi propri o “etichette” (modello nome-portatore) è molto più ristretta di quanto non sembri a prima vista

•  Anche nei casi in cui una parola “funziona” come un nome proprio, ciò avviene sullo sfondo di una pratica e di un’abilità linguistica generale (cfr. §30-31): - definizione ostensiva è ambigua, indeterminata - olismo (§199: “comprendere una parola è comprendere un’intera lingua”)

•  L’alternativa al modello ostensivo è la tesi compendiata nello slogan “il significato è l’uso”: le parole hanno tante funzioni differenti nessuna delle quali è prioritaria (à cfr. primi paragrafi delle Ricerche)

La critica del linguaggio privato •  Contro il linguaggio fenomenologico: parliamo di

oggetti, non di dati di senso. La descrizione in un vocabolario di termini di dati sensoriali sarebbe così complicata da essere di fatto inutilizzabile. Inoltre è il linguaggio di oggetti a costituire il modello per il linguaggio fenomenologico, non viceversa

•  Argomento del linguaggio privato: un linguaggio “privato” è impossibile perché non c’è modo di sapere se chi lo parla sta usando le parole in modo appropriato à - il linguaggio è intrinsecamente normativo, governato da regole - i significati non sono enti mentali

•  Il linguaggio è radicato essenzialmente nelle pratiche sociali; i significati sono regole d’uso su cui una comunità concorda. Le regole sono fondate nella pratica (e anche seguire regole è una pratica)

Normatività e giochi linguistici

•  Ci sono regole che governano l’uso delle espressioni, ma non si tratta di regole rigide

•  Il significato di una parola è in parte dato dall’insieme delle regole che determinano il ruolo di quella parola nel linguaggio (cfr. strutturalismo, inferenzialismo), ma bisogna considerare anche l’applicazione ai vari contesti extralinguistici

•  Il linguaggio non è solo un sistema di segni, ma è caratterizzato da azioni linguistiche à

•  “Giochi linguistici”: modi di usare i segni; attività svariate in cui il linguaggio ha una parte fondamentale; anzi, il linguaggio è un insieme di questi “giochi”. La filosofia deve descrivere questi giochi, non cercare proprietà del linguaggio

Giochi linguistici (segue)

Nozione sfuggente che serve a W. principalmente come metafora per portare l’attenzione sui seguenti aspetti:

-  Semplicità (es. linguaggi primitivi) -  Attività (l’uso del linguaggio avviene sempre nel

contesto di un fare, di azioni/reazioni) -  Regole (l’uso del linguaggio è governato da

regole come avviene nei giochi) -  Indeterminatezza/pluralità (tante regole, e non

rigide)

Sapere-come

•  La conoscenza del linguaggio è un’abilità, una forma di know-how, la padronanza di una tecnica.

•  Poiché gli usi di una parola sono moltissimi, comprendere il significato di una parola comporta comprendere, in un certo senso, l’intero linguaggio: l’insieme dei giochi linguistici in cui la parola è normalmente usata (olismo della comprensione)

•  La comprensione non è un processo mentale, ma un’abilità pratica che attribuiamo sulla base di criteri comportamentali (quello che gli altri dicono e fanno)

à la semantica sfuma nella pragmatica

Somiglianze di famiglia

•  Non ci sono un insieme di condizioni necessarie e congiuntamente sufficienti (= criteri) in grado di fissare l’estensione di un termine. I membri di una categoria sono caratterizzati da una rete di somiglianze. (es. ‘gioco’) – cfr. teoria del prototipo/stereotipo

•  Anti-essenzialismo. Significati e proposizioni non sono “cose”. I concetti non catturano “essenze”. Non è possibile avere una teoria sistematica che assegni a ogni enunciato la sua forma logica. Non c’è la forma logica.

Austin •  Lafilosofialinguis-cacome“fenomenologia

linguis-ca”:

-illinguaggioordinarioèorganizzatoperinteressipra-ci,èprescien-fico,incorporapregiudizi,supers-zioniefantasie

-datounproblemafilosofico,bisognafareuninventariominuziosoedesaus-voditu?oilmaterialelinguis-coper-nentealproblemainesame:stabilireinqualicircostanzediremmocosa(“checosadiremmoquando”)

•  LateoriadegliaDlinguis-ci(unapragma-caanteli0eram)

Austin Il punto di partenza è l’analisi dei concetti e dei modi d’espressione del linguaggio ordinario, la ricognizione degli usi linguistici quotidiani, con un duplice scopo: -  da un lato criticare gli errori filosofici indotti dagli usi

ordinari di certe espressioni; -  dall’altro indicare un punto d’accesso innovativo sulla

realtà a partire dalle espressioni che usiamo per descriverla. Il linguaggio non è infatti l’ultima parola in filosofia, ma è certamente la prima: in esso sono depositate tutte le distinzioni e le connessioni stabilite dagli esseri umani, come se le espressioni che usiamo quotidianamente fossero perdurate in una sorta di lotta per la sopravvivenza del più adatto (Bianchi & Berdini 2013; cfr. Austin 1961, p. 175).

Pragmatica

Aree di ricerca: -  Implicature conversazionali -  Deissi (o indicalità) -  Atti linguistici -  Presupposizioni -  Analisi del discorso

1. La teoria degli atti linguistici

(Austin 1955/1962 e cenni a sviluppi successivi)

Austin e i performativi

“Battezzo questa nave ‘Margherita’” “Con questo, vi dichiaro marito e moglie” “Scommetto 100 euro che vincerà l’Atalanta” - Non sono usati per dire qualcosa (per descrivere

come stanno le cose), bensì per fare qualcosa -  Non hanno condizioni di verità, ma condizioni di

felicità. à Distinzione tra enunciati performativi ed enunciati constativi (= descrittivi)

Austin e i performativi Performativi: hanno condizioni di felicità o buona riuscita, distinte

nelle seguenti categorie: A1) deve esistere una procedura convenzionale che abbia un effetto

convenzionale; A2) le circostanze e le persone devono essere appropriate secondo

quanto specificato dalla procedura; B) la procedura deve essere eseguita in modo corretto e completo; C) (spesso) le persone devono avere i pensieri, i sentimenti e le

intenzioni richieste dalla procedura (C1) e se è specificato un comportamento conseguente, esso deve verificarsi (C2).

Austin e i performativi Qualche esempio di violazione A1) “Divorzio da te”; “Ti sfido a duello” A2) “Vi dichiaro marito e moglie” proferito da qualcuno che non ha

l’autorità istituzionalmente riconosciuta per celebrare un matrimonio; “Ti nomino senatore” detto a un cavallo

B) Invece di rispondere “Sì, lo voglio” alla richiesta di accettazione

del/della proprio/a sposo/a si risponde “Vabbé, mi sta bene”, o “Perché no?”; oppure si risponde “No, non lo voglio”, o si fugge.

C) Dico “prometto di venire alla tua festa” quando in realtà non ne

ho la minima intenzione. Do un consiglio a X e poi rimprovero X per aver fatto quello che gli ho consigliato.

Austin e i performativi

La violazione delle condizioni dà luogo a tipi diversi di "non-riuscita": le violazioni di A e B danno luogo ad INTOPPI (o “colpi a vuoto”), vale a dire le azioni non hanno alcun esito; le violazioni delle condizioni C sono invece ABUSI: l'azione viene comunque eseguita, ma in modo inappropriato o insincero.

Proferire un performativo in modo insincero (es. senza avere

l’intenzione di rispettare un impegno preso) dà luogo a un abuso, mentre proferire un performativo in assenza di una o più condizioni necessarie alla sua riuscita dà luogo a un intoppo –l’azione non viene eseguita. (es. dire privatamente a qualcuno di volerlo nominare suo erede senza consegnare una dichiarazione a un notaio).

Austin e i performativi Austin ha cercato di caratterizzare i performativi, oltre che

con le condizioni di felicità, con criteri grammaticali: 1)  Hanno la forma di frasi attive alla prima persona

dell’indicativo presente. 2)  Il verbo principale appartiene a una classe ben

delimitata. 3)  Possono essere accompagnati dall’avverbiale “Con

questo (hereby)”

Austin e i performativi

Austin tuttavia non è soddisfatto di questa analisi perché: -  Non si riescono a trovare criteri linguistici sufficientemente

precisi per individuare la classe dei performativi. I criteri proposti non forniscono condizioni necessarie né sufficienti.

-  Anche alcuni enunciati constativi (= descrittivi) hanno condizioni di felicità, perché in diversi casi la loro emissione richiede circostanze appropriate.

-  Anche alcuni enunciati performativi sembrano essere suscettibili di essere giudicati come veri o falsi

Controesempi alla distinzione P/C

“Verrò certamente alla tua festa” funziona esattamente come “Prometto che verrò alla tua festa”

“Taci!” funziona esattamente come “Ti ordino di tacere” Un enunciato constativo contenente una presupposizione di esistenza non soddisfatta (es. “L’attuale re di Francia è calvo”) può essere detto infelice, non riuscito. Alcuni enunciati che sembrano descrivere ciò che sto facendo sono sia performativi sia constativi: “Giudico che le cose stiano così” La riflessione su queste difficoltà porta Austin all’edificazione di una teoria più generale…

La teoria degli atti linguistici Tutti gli enunciati hanno un aspetto “performativo”, nel

senso che l’emissione di ogni enunciato è anche un tipo di azione, anzi di più tipi di azione allo stesso tempo:

atto locutorio: l’atto del dire qualcosa (con un certo

contenuto) atto illocutorio: l’atto che si compie nel dire atto perlocutorio: gli effetti che, col dire, si inducono

sull’interlocutore, intenzionali o meno L’atto illocutorio è la nozione centrale: è l’azione che viene

eseguita proferendo un enunciato dotato di significato in un dato contesto. È l’atto linguistico propriamente detto. Cfr. la nozione di forza in Frege.

Illocuzioni vs. perlocuzioni La distinzione tra ciò che si fa emettendo un enunciato e gli

effetti che si vogliono indurre con quell’atto sull’interlocutore in molti casi non è chiara.

Un’ipotesi è che l’atto illocutorio sia convenzionale, mentre gli effetti perlocutori non lo sono. Ma ci sono esempi, individuati dallo stesso Austin, di perlocuzioni convenzionali (à es. effetto di ricezione, effetto di sollecitazione di una risposta).

Comunque, la nozione di atto perlocutorio non è stata molto esplorata ed è considerata marginale o riducibile a implicature conversazionali, una particolare classe di inferenze che studieremo più avanti (à Grice).

Illocuzioni vs. perlocuzioni effetto di ricezione à l’esecuzione di un atto locutorio ha

normalmente come effetto la comprensione, da parte dell’interlocutore, del senso e della forza dell’enunciato

effetto di sollecitazione di una risposta à un atto illocutorio

sollecita nell’interlocutore una reazione comportamentale di un certo tipo (es. comando sollecita obbedienza, complimento sollecita ringraziamento)

La teoria degli atti linguistici

1. Tutti gli enunciati, oltre ad esprimere proposizioni, sono usati per eseguire azioni;

2. Ci sono molti modi in cui si può dire che nell'enunciare un'espressione linguistica il parlante ha fatto qualcosa: tra questi un livello privilegiato è rappresentato dall'atto illocutorio, ovvero l'atto linguistico propriamente detto; questa azione è associata per convenzione alla forma dell'enunciato in questione.

3. Sebbene una forza illocutoria possa essere comunicata in vari modi, esiste almeno una forma enunciativa (almeno in alcune lingue) che la esprime direttamente per convenzione: il performativo esplicito.

(I performativi espliciti sono modi relativamente specializzati di comunicare la forza usati per non generare ambiguità interpretative.)

Qualche esempio (esercizi di analisi “alla Austin”)

Ci sono 50 persone nell’aula accanto. Entra in camera a giocare col gatto! Non salire sul letto, per favore. Sei tu che l’hai fatto salire! Se non te ne vai chiamo il cane. Verrò certamente alla tua festa! Ti confesso che sto per licenziarmi. Taci! Non voglio sentire un’altra parola… Se non la smetti ti faccio rompere le gambe. So dove abitano i tuoi vecchi genitori… Hai una sigaretta? Mi passeresti il sale, per favore?

Un problema Un enunciato che rende grammaticalmente esplicito l’atto

illocutivo ha condizioni di verità? Se sì, quali sono? -  Se consistono nel fatto che io eseguo l’atto linguistico,

l’enunciato diventa vero banalmente. (poco intuitivo) -  Se consistono nel contenuto proposizionale (nella

locuzione e non nell’illocuzione), l’esplicitazione dell’illocuzione diviene irrilevante, contro il fatto che a volte usiamo prefissi illocutivi sofisticati.

Esempi…

Un problema

-  Premetto che non ho mai viaggiato in estremo oriente -  Giudico [Ritengo] che abbiamo acquistato troppi derivati -  Riferisco che il Collegio dei Docenti ha votato per la tua

espulsione -  Ti consiglio di vendere immediatamente quei titoli -  Ti avverto che quel Rottweiler non mangia da tre giorni

Sembrerebbero quindi esserci enunciati sia performativi sia

constativi. La nozione di atto linguistico può dar conto di questo fatto. Ma resta il problema che non sappiamo quali condizioni di verità assegnare a questo tipo di enunciati.

Gli atti linguistici tra semantica e pragmatica La forza illocutoria e il contenuto proposizionale degli enunciati sono

elementi separabili dal significato (inteso in senso ampio). Il principio centrale della teoria è cioè che la forza illocutoria è un aspetto del significato assolutamente irriducibile a questioni di verità o falsità.

In altri termini, la forza illocutoria costituisce un aspetto del significato che non può essere trattato all'interno di una semantica vero-condizionale; gli atti illocutori devono invece essere descritti nei termini delle condizioni di buona riuscita, che ne specificano l'uso appropriato. Mentre, infatti, le proposizioni descrivono (o sono correlate a) stati di cose e possono quindi essere caratterizzate nei termini delle condizioni che le rendono vere, le forze illocutorie indicano in che modo devono essere interpretati i proferimenti, ovvero che cosa ci si aspetta dall'interlocutore che riceve la proposizione espressa.

In questo senso la forza illocutoria è saldamente radicata nel dominio dell'azione, ed è in quanto tale oggetto della pragmatica.

La classificazione degli atti linguistici

Tipi di illocuzioni o, più propriamente, di verbi illocutori secondo Austin:

-  Verdettivi: assolvo, giudico, stimo, classifico… -  Esercitivi: domando, chiedo, comando, nomino,

licenzio, degrado, … -  Commissivi: prometto, giuro, scommetto, … -  Comportativi: mi scuso, mi congratulo, benedico,

maledico, … -  Espositivi: affermo, nego, credo, riferisco, …

La classificazione degli atti linguistici

Limiti della classificazione di Austin: -  È una tassonomia di verbi e non di atti (à

questione della convenzionalità) -  Ci sono verbi non illocutori (es. “avere l’intenzione”

nei commissivi) -  Vi sono sovrapposizioni, perché non c’è un unico

principio (o insieme di principi) classificatorio -  In alcuni casi i verbi non soddisfano la definizione

della classe Insomma: la classificazione è molto approssimativa

La questione della convenzionalità

“Il-podia?oillocutoriochesicompietramiteilproferimentodiunenunciato(…)spessodipendedaaspeDnonconvenzionali,cioèdafa?orilega-nontantoallecara?eris-chelinguis-chedelleenunciazioniquantoalpar-colarecontestoincuivienecompiutouna?olinguis-co.”(Domaneschi2014,pp.212-3).

Èperquestaragionechesarebbestatopiùcorre?ofareuna

tassonomiadegliaDillocutoripiu?ostocheunatassonomiadeiverbiillocutori.

Ifa?orichedeterminanoil-podiforza(“indicatoridiforzaillocutoria”)sonolessicali,sintaDcieprosodici.

La classificazione di Searle

Searle classifica gli atti linguistici sulla base di tre diversi criteri principali:

1)  Scopo illocutorio, cioè il motivo per cui si proferisce quell’enunciato. Non coincide con la forza illocutoria, bensì ne è solo una parte. Inoltre enunciati con diversa forza illocutoria possono avere lo stesso scopo illocutorio (es. ordine e richiesta)

2)  Direzione di adattamento (linguaggioàmondo vs. mondoàlinguaggio): alcuni enunciati, come quelli descrittivi, mirano ad adeguare ciò che dicono al mondo; altri mirano a modificare qualcosa nel mondo.

3)  Lo stato psicologico espresso: il tipo di atteggiamento mentale che il parlante nutre nei confronti della proposizione espressa (credenza, desiderio, intenzione ecc.)

La classificazione di Searle

Incrociando i tre (e altri) criteri, Searle ottiene le seguenti categorie di atti linguistici (nb sono atti, non verbi)

- Rappresentativi: asserire, concludere, … - Direttivi: chiedere, ordinare, supplicare… - Commissivi: promettere, minacciare, offrire, … - Espressivi: scusarsi, ringraziare, … - Dichiarativi: battezzare, dichiarare guerra, licenziare, … Esempio: Direttivi: 1) far fare qualcosa a qualcuno; 2)

mondoàlinguaggio; 3) volontà o desiderio

La classificazione di Searle

Criteri sintattici: - Rappresentativi: Io+verbo (che)+ p - Direttivi: Io+verbo+te/ti+verbo futuro (SN) (Avverbio) - Commissivi: Io+verbo+te/ti+verbo futuro (SN) (Avverbio) - Espressivi: Io+verbo+te/ti [+per+verbo passato SN] - Dichiarativi: Io+verbo+pron sing/plur

Atti linguistici indiretti

Cisonoenuncia-che,oltreallaloro“forzale?erale”,possiedonounaforzaindire0achedeveessereinferita,echeèil“vero”scopodell’a?o.

Questatesipresupponechesiafondatoilconce?odi“forzale?erale”:

Ipotesidellaforzale?erale-  Iperforma-viesplici-hannolaforzaindicatadalverbo

performa-vo;-  Itre-piprincipalidifrase,cioèl’impera-vo,

l’interroga-voeildichiara-vo,hannolaforzatradizionalmenteloroassegnata(ordine-domanda/richiesta-affermazione)

Atti linguistici indiretti

Teoria delle espressioni idiomatiche (Sadock 1974) Gli ALI funzionano come le espressioni idiomatiche: li

comprendiamo direttamente come se fossero parole.

Teoria delle inferenze (Searle 1975) La forza (non letterale) viene inferita dal proferimento

sulla base del contesto. (visione intenzionalista piuttosto che convenzionalista)

2. H.P. Grice (1913-1988) e la teoria dell’intenzione comunicativa

- Meaning, 1957 - Logic and Conversation, 1967/1975

Contesto storico-teorico dell’opera di Grice

Il contesto filosofico in cui si colloca Grice è quello della fioritura della cosiddetta filosofia del linguaggio ordinario (autori di riferimento: Austin, Strawson, il secondo Wittgenstein), un paradigma alternativo a quello della semantica verocondizionale, che pone l’accento sulla concretezza degli usi linguistici quotidiani e rifiuta la tesi secondo cui il linguaggio naturale è imperfetto e sotto certi aspetti inadeguato.

Il contributo di Grice si inscrive, sotto molti aspetti, in questa tradizione ma, allo stesso tempo, egli mantiene attenzione per gli aspetti logico-formali della teoria del significato, senza porsi in rottura col paradigma verocondizionale.

Grice può quindi essere considerato una sorta di mediatore tra i due paradigmi di ricerca sul linguaggio.

Grice: la teoria del significato

Significato naturale (significato-N) Il fumo significa fuoco Gli anelli sul tronco significano l’età dell’albero Quelle pustole significano rosolia Significato non-naturale (significato-nN) Il suono della campana significa che la lezione è finita ‘Faîtes comme vous voulez’ significa che devi andare “a

quel paese” ‘scapolo’ significa maschio adulto non sposato; Il significato linguistico è convenzionale e intenzionale (=

mediato dall’intenzione di un parlante)

Significato dell’espressione e significato del parlante

•  Il significato del parlante è ciò che il parlante intende

comunicare con un’emissione linguistica. Può essere diverso dal •  significato dell’enunciato, che è ciò che l’enunciato

convenzionalmente dice. Grice ritiene prioritario il significato del parlante, in quanto il

significato convenzionale è solo un mezzo che i parlanti hanno a disposizione per lasciar intendere il significato del parlante: “quello che le parole significano è questione di quello che la gente intende con esse.” (Grice 1989)

Grice: significato come intenzione

“La comprensione verbale non consiste nella decodifica di segnali in messaggi, ma è una forma di attribuzione di uno stato mentale al parlante: la comunicazione è espressione e riconoscimento di intenzioni.” (Bianchi 2009, p. 11).

“Decodifica di segnali in messaggi” vuol dire:

individuazione del significato convenzionale di un segno linguistico sulla base di una conoscenza condivisa (= competenza linguistica intesa come conoscenza di un codice).

I proferimenti sono indizi forniti intenzionalmente di ciò che il parlante vuole comunicare. Per cogliere ciò che il parlante intende comunicare l’interlocutore deve fare inferenze a partire dagli indizi.

Grice: significato come intenzione

Dunque: - La comunicazione linguistica è conoscenza reciproca di un’intenzione comunicativa - Il significato, prima che “delle espressioni”, è “del parlante” (e il significato inteso dal parlante può anche essere difforme dal significato delle espressioni)

In un certo senso non contano le parole che uso, quello che conta è che venga riconosciuta la mia intenzione comunicativa.

Grice: significato come intenzione

Il parlante P significa-nN con l’espressione E = = P intende che la sua emissione di E produca un certo effetto nell’interlocutore, in forza del riconoscimento di questa intenzione. Ovvero:

1.  P intende produrre un certo effetto nell’interlocutore (tipicamente, una modifica del suo stato epistemico)

2.  P intende che l’interlocutore riconosca la sua intenzione comunicativa

3.  P intende che il riconoscimento della sua intenzione sia parte della produzione dell’effetto

“Le intenzioni comunicative hanno la caratteristica di essere orientate verso un agente, aperte (manifeste, trasparenti) e riflessive” (Bianchi 2009, p. 18)

Grice: significato come intenzione

Le clausole 1-3 vengono introdotte per caratterizzare la comunicazione linguistica in opposizione al trasferimento non intenzionale di informazione. La comunicazione è prerogativa degli agenti intenzionali ed è deliberata.

In particolare: La clausola 1 è necessaria per escludere i casi in cui

l’intenzione del parlante è irrilevante per indurre l’effetto sull’interlocutore.

La clausola 2 è necessaria per escludere i casi in cui l’effetto viene indotto senza che l’interlocutore riconosca la mia intenzione (p. es. io potrei riuscire nell’intento di spaventare qualcuno senza che questi si renda conto che la minaccia veniva da me)

Grice: significato come intenzione

“Ciò che vogliamo trovare è [i] la differenza tra far sapere qualcosa a qualcuno

deliberatamente e apertamente e dire e [ii] [la differenza] tra indurre qualcuno a pensare qualcosa e

dire” (Grice 1957)

La comunicazione non è mero trasferimento di informazioni (che può essere anche non intenzionale).

Far sapere qualcosa a qualcuno deliberatamente e apertamente può essere un atto intenzionalmente non comunicativo (à inganno)

Indurre qualcuno a pensare qualcosa è un atto comunicativo non manifesto.

Grice: significato come intenzione

Qualche esempio di comunicazione non linguistica che le clausole vogliono scartare.

A) arrivo a casa scuro in volto e scontroso (vs. dico di essere di umore nero) B1) lascio sulla scrivania di X una foto che raffigura la moglie di X in atteggiamento tenero con Y B2) do a X una fotografia che raffigura la moglie di X in atteggiamento tenero con Y B3) do a X un disegno che raffigura la moglie di X in atteggiamento tenero con Y Mentre nel caso B2 il riconoscimento delle mie intenzioni da parte di X non sembra essere determinante per indurre un certo effetto epistemico su X, nel caso B3 lo è. (à terza clausola)

Grice: significato come intenzione

à Grice sta cercando di caratterizzare un atto comunicativo intenzionale linguistico (un atto in cui si vuole dire qualcosa), distinguendolo da un atto comunicativo intenzionale qualsiasi (un atto in cui si vuole mostrare qualcosa)

Alcuni problemi: - Difficoltà di fissare condizioni necessarie e sufficienti per il

significato inteso (= avere un’intenzione comunicativa non è né necessario né sufficiente per significare qualcosa)

- regresso infinito sui riconoscimento delle intenzioni: P intende che la sua intenzione comunicativa venga riconosciuta da D, che a sua volta intende che il suo riconoscimento venga riconosciuto da P, e così via… . (“Io intendo che tu intendi che io intendo che…”)

Problemi: condizioni per il significato inteso

-  Avere un’intenzione non è una condizione necessaria per

significare (= significato senza intenzione comunicativa) Es. Parlare a se stessi, scrivere un diario, risposte degli studenti nelle interrogazioni Replica: interlocutori come-se; riformulazione intenzione -  Avere un’intenzione non è una condizione sufficiente per

significare (= intenzione comunicativa senza significato) Es. usi idiosincratici del linguaggio Replica: l’intenzione deve essere pubblica.

Grice: significato come intenzione

-  La teoria di Grice può essere considerata una semantica psicologica, in quanto l’intenzione è una proprietà mentale. Ma si tratta di una psicologia filosofica, non di psicologia empirica: l’intenzione di Grice non è un meccanismo psicologico, ma un concetto primitivo (‘mentale’ o ‘psicologico’ in un senso intuitivo e non analizzato).

-  I significati sono sempre significati di qualcuno -  Il significato di un enunciato tipicamente va ben al di là

di quello che dicono letteralmente le parole. Su quest’ultima tesi Grice costruirà la teoria delle implicature conversazionali, una teoria pragmatica del significato comunicato.

Significato letterale e significato implicito (= detto/implicato)

Il significato del parlante si divide in -  Ciò che è detto (letteralmente) -  Ciò che è implicato

Es. P: “Ti piacciono i libri di Virginia Woolf D: Alcuni Implicito: mi piacciono alcuni libri di V. Woolf ma non tutti. Ci volgiamo adesso a considerare il significato del parlante e specificamente in quali modi il parlante implica più di quanto dice.

Il principio di cooperazione

L’uso del linguaggio è un comportamento razionale, cooperativo e orientato a uno scopo.

Sebbene possano apparire disordinate e a volte confuse, le conversazioni quotidiane sono regolate da una sorta di tacita collaborazione tra gli interlocutori.

Questa forma di tacita collaborazione rende la comunicazione effettivamente possibile.

Grice ha formalizzato queste intuizioni attraverso la

nozione di principio di cooperazione.

Il principio di cooperazione: le massime

Principio di cooperazione Fornisci il tuo contributo, così come è richiesto, al momento

opportuno, dagli scopi o dall'orientamento della conversazione in cui sei coinvolto.

Massime -  Quantità: fornisci informazioni nella misura appropriata

(tanto quanto richiesto e non di più) -  Qualità: dì quello che credi vero (non mentire e non

fare affermazioni per cui non hai prove adeguate) -  Relazione: sii pertinente -  Modo: sii perspicuo (= non oscuro, non ambiguo,

conciso, ordinato)

Il principio di cooperazione: le massime Le massime non vanno intese come descrizioni fedeli di

caratteristiche dei processi comunicativi reali, perché è evidente che ci sono diversi casi in cui non vengono rispettate.

D’altra parte le massime non vanno intese neanche come vere e proprie norme o prescrizioni, perché tendiamo ad attenerci spontaneamente ad esse, se siamo interessati a comunicare efficacemente. Le violazioni delle massime non vengono sanzionate e hanno un determinato significato (variabile), comunicativo o meno.

L’idea è piuttosto che le massime siano caratteristiche di una situazione comunicativa ideale.

“Le massime della conversazione possono essere definite come un insieme di regole che è conveniente seguire per rendere una conversazione il più razionale e cooperativa possibile.” (Domaneschi 2014, p. 46)

Alcune obiezioni

Il modello è troppo idealizzato. Le conversazioni non sono sempre motivate da uno scopo condiviso.

In alcuni casi gli interlocutori possono avere scopi diversi e conflittuali.

Ci sono differenti livelli di cooperazione. Es. (livello di cooperazione minimo ma non nullo) P: Come stai? D: Non ti interessa P: Non mi vuoi parlare? D: No à Distinzione tra scopi terminali e scopi strumentali

(Castelfranchi & Parisi)

Violazioni delle massime

Di fatto le massime possono non venir rispettate, per ragioni diverse. Distinguiamo:

-  Violazioni nascoste a scopo di inganno (caso non cooperativo) -  Dissociazioni esplicite per volontà di non comunicare (caso minimalmente cooperativo) - Violazioni manifeste (“sfruttamenti” e “oltraggi”) a scopo di comunicare qualcosa che va al di là di ciò che letteralmente si dice (caso cooperativo)

Esplicito/Implicito

Le violazioni manifeste sono un fenomeno molto interessante su cui Grice ha costruito la sua ingegnosa teoria delle “implicature conversazionali”.

Idea generale: il parlante usa un enunciato con un certo

significato letterale ma intende comunicare un significato diverso (significato “inteso” o “implicito”). Per segnalare questa intenzione comunicativa viola una o più massime della conversazione in modo più o meno smaccato.

Si definisce ‘implicatura conversazionale’ la proposizione che il parlante intende comunicare. Le implicature conversazionali si collocano quindi nel dominio dell’implicito.

Implicatura conversazionale

E’ un tipo di inferenza la cui origine è esterna all’organizzazione della lingua, e si trova nei principi generali che regolano l’interazione comunicativa.

Il tipo di inferenza chiamato ‘implicatura’ è sempre intenzionale (à significato-nN)

Mostra come sia possibile intendere più di quanto si dice letteralmente.

Le implicature sono un esempio paradigmatico della natura

e del potere delle spiegazioni pragmatiche dei fenomeni linguistici.

Implicatura conversazionale

Esempio: P: “ti è piaciuta la torta che ti ho preparato?” D: “Mmm, stasera fa caldo, vero?” La risposta di D viola in modo evidente la massima della

pertinenza. D vuole quindi comunicare qualcosa di diverso da quello che letteralmente dice. L’“implicito” di D è che la torta non gli è piaciuta, e questo implicito può essere inferito da ciò che D dice esplicitamente.

[L’esempio si presta a una obiezione: non sembra molto corretto

affermare che D voleva comunicare che la torta non gli era piaciuta. La sua risposta serve proprio a evitare di comunicare direttamente tale opinione]

Inciso: il concetto di inferenza

Inferire è trarre una conseguenza (o conclusione) da una o più assunzioni (o premesse). L’inferenza è allora la relazione logica che lega la proposizione-conseguenza alla/e proposizione/i assunta/e.

Es. X ha regalato un mazzo di rose _________________________ X ha regalato un mazzo di fiori (la linea orizzontale è il simbolo usato per indicare

l’inferenza. Un altro simbolo utilizzato è: ├ )

Grice: la teoria delle implicature

Implicatura conversazionale: Le inferenze chiamate ‘implicature’ si compiono per

mantenere l’assunto di cooperazione: con quell’enunciato il parlante intende più (o altro) di ciò che l’enunciato letteralmente dice, perché in caso contrario il principio di cooperazione non sarebbe rispettato (qualche massima sarebbe violata).

Dunque, c’è un’implicatura tutte le volte che, in caso contrario

(= se non si traesse l’implicatura), ci sarebbe una violazione delle massime.

Grice: la teoria delle implicature

Vi sono in effetti tipi diversi di implicature (anche se tra gli studiosi non vi è accordo su come classificarle).

La classificazione più articolata è la seguente: -  Implicature convenzionali -  Implicature conversazionali

- generali - particolari

- Implicature scalari Il concetto centrale è quello di implicatura conversazionale.

Cominciamo quindi da queste.

Implicature conversazionali (1) Sai che ore sono? Mah, è appena passato il postino. (2) Dov’è Carlo? C’è una VW gialla davanti alla casa di Anna. (3) Cosa volevi dirmi? Chiudi la porta. (4) Apri la porta cfr. Fai una lieve pressione sulla chiave e ruotala in senso orario,

quindi spingi (5) La regina Vittoria era di ferro. (6) Teheran è in Turchia, vero professore? E Londra è in Armenia,

suppongo. (7)  a. La guerra è guerra b. Se l’ha fatto, l’ha fatto

Implicature conversazionali (8) Manifestazione NO-TAV. Non si sono registrati incidenti. Cfr. Apertura di una rosticceria sul Sentierone. Non si sono registrati

incidenti. (9) Penso proprio che Rossi sia un gran … Bella giornata, vero? (10) Ragazzino (al fratello): andiamo a giocare a pallone. Madre: come

va coi compiti di scuola, Giorgio? (11) La Singer ha emesso una serie di suoni corrispondenti fedelmente

alla partitura di un’aria del Rigoletto [cfr. La Singer ha cantato un’aria del Rigoletto]

(12) Gianni è una macchina (13) Elena questa sera esce con un uomo (14) Dove diavolo è finito l’arrosto? Il cane ha un aspetto beato

Implicature conversazionali (15) Come vanno gli amori di Bea? Bea è andata spesso a Torino ultimamente. (16) Dove abita Bea? Da qualche parte nel sud della Francia. [“implicatura da conflitto”] (17) Sono proprio assolutamente sicura e certa che Francesca e Pietro

sono buoni amici e sarei pronta a giurarlo. (18) Che giornata meravigliosa! (Tuoni e fulmini…) (19) Francesca è entrata in un giardino e ha trovato un gatto. (20) Hai mai pensato di iscriverti al partito X?

No, grazie, sono ricco di famiglia.

Altri tipi di implicatura

(21) Il soldato salì a cavallo e cavalcò fino a notte fonda Cfr. Londra è la capitale dell’Inghilterra e Parigi è la capitale

della Francia. (22) ?? Il soldato cavalcò fino a notte fonda e salì a cavallo. (23) La bandiera è bianca +> La bandiera è completamente

bianca (cfr. La bandiera è bianca, rossa e blu) (24) Carlo ha due lauree +> Carlo ha esattamente due lauree Giuseppe ha tre figli +> Giuseppe ha solo tre figli, non di più. (25) Molti studenti hanno passato l’esame +> Non tutti hanno

passato l’esame (26) Bea va spesso in vacanza in Sardegna +> Non sempre

Implicature conversazionali

Dipendono dal particolare contesto. Lo stesso enunciato in un contesto diverso non genera quella implicatura o ne genera una diversa.

In questo senso sono “particolari”. Si danno però casi in cui la generazione dell’implicatura è

sostanzialmente stabile (es. 12, 13, 19) perché dipende in modo più stretto dal signif icato dell’espressione usata. In questo caso si parla di implicature “generalizzate” (ma la distinzione è sottile)

Implicature conversazionali

Violazioni clamorose o “oltraggi” delle massime indicano particolari dispositivi retorici:

-  Oltraggio della massima di qualità: ironia, metafora -  Oltraggio della massima di modo: eufemismi (altra

forma di ironia) -  Oltraggio della massima di relazione (cambiamento di

discorso): segnala all’interlocutore l’inopportunità di quello che sta dicendo

In questo senso la teoria dell’implicatura di Grice contiene un abbozzo di teoria delle figure retoriche.

Implicature convenzionali

Sono implicazioni generate “automaticamente” dall’uso di certe espressioni, come ‘ma’, ‘nonostante’, ‘ancora’, ‘sebbene’ e molte altre.

L’interlocutore riconosce immediatamente queste implicature sulla base della sua competenza linguistica.

Es. (cfr. anche 21, 22, 23) - Richard è inglese ma detesta il tè (+> gli inglesi tipicamente amano il tè) - Richard non è ancora arrivato (+> Richard sarebbe già dovuto arrivare) - Nonostante tutte le sigarette, Richard ha scalato il Mortirolo (+>: scalare il Mortirolo richiede ottima salute, e in particolare polmoni non “corrotti” dal fumo).

Implicature scalari

Ci sono espressioni (“scalari”) che si distribuiscono lungo una scala di valori. Ad es. pochi-alcuni-molti-la maggior parte-tutti.

L’uso di un’espressione scalare implica convenzionalmente la negazione dell’espressione superiore sulla scala.

Es. Molti professori sono narcisisti +> Non tutti i professori

sono narcisisti Si noti come invece, da un punto di vista logico, la verità

dell’enunciato che genera l’implicatura sia compatibile con la verità dell’enunciato con l’espressione superiore. Infatti possiamo dire:

Molti professori, anzi, in realtà tutti, sono narcisisti (dove evidentemente l’implicatura è cancellata)

Implicature scalari

Dal punto di vista logico, le espressioni scalari implicano quelle inferiori sulla scala:

Tutti sono narcisisti à Molti sono narcisisti à … Dal punto di vista pragmatico, le espressioni scalari implicano

convenzionalmente che l’uso di una espressione di livello inferiore o superiore darebbe luogo a un enunciato falso o almeno inappropriato (in quanto sarebbe violata una massima)

Tutti sono narcisisti +> Non è vero che (solo) molti sono narcisisti

(se dicessi “molti” invece di “tutti” violerei la massima della quantità).

Implicature conversazionali: proprietà Proprietà caratteristiche (= criteri per distinguerle da altri tipi di inferenza) 1)  Cancellabilità (o distruttibilità) 2)  Non-distaccabilità 3)  Calcolabilità 4)  Non-convenzionalità

Cancellabilità

Se si aggiunge qualche premessa al proferimento che genera l’implicatura, l’implicatura scompare (in modo analogo a quanto avviene nelle inferenze induttive).

P: “Dove hai messo l’auto?” D: “Non lo so perché non voglio che la prendi” L’implicatura generata da “non lo so” viene cancellata dalla

sua affermazione esplicita. (ciò che era implicito viene esplicitato)

Anche le implicature scalari sono cancellabili. Es.: Carlo ha tre mucche, anzi quattro Carlo ha tre mucche, se non di più

Non-distaccabilità L’implicatura è “attaccata” al contenuto semantico di ciò

che è detto, non alla sua forma (con l’eccezione delle implicature generate dalla massima di modo)

Es. Sei un vero genio = Sei un prodigio mentale = Sei un

cervellone … vs. ‘Carlo non è riuscito a raggiungere la vetta’ implica che

Carlo ha cercato di raggiungere la vetta. Ma non si tratta di un’implicatura conversazionale, perché se dico ‘Carlo non ha raggiunto la vetta’ (stesso contenuto ma diversa forma), l’implicazione non scatta più.

Invece le implicature convenzionali…

- non dipendono dal contesto (vengono attivate in ogni circostanza comunicativa), né dalle intenzioni del parlante.

- Sono distaccabili, ovvero l’implicatura è generabile anche

con altri mezzi linguistici, non necessariamente con quel particolare enunciato.

- Sono non cancellabili, ovvero l’implicatura non può essere

eliminata tramite altre enunciazioni. Il parlante non si può dissociare dall’implicatura che ha generato.

(ma questo non vale per le implicature scalari, come già visto) Le implicature convenzionali sono davvero un fenomeno

pragmatico?

Calcolabilità e non convenzionalità Calcolabilità Per ogni presunta implicatura è possibile costruire un

argomento del tipo seguente (schema generale di individuazione di un’implicatura):

1) P ha detto che E 2) P rispetta il principio di cooperazione 3) In virtù delle massime, P deve implicare che C 4) È conoscenza condivisa che P implichi C (sempre alla

luce delle massime) 5) P non ha detto/fatto nulla per impedirmi di pensare che

C 6) à P intende (vuole) che io pensi che C e nel dire E ha

implicato C Non-convenzionalità. Le implicature dipendono dal

contesto e non sono riconducibili a regole.

La questione della calcolabilità La descrizione che Grice dà del “calcolo” delle implicature

non dice nulla sugli effettivi processi cognitivi che hanno luogo nella testa di chi calcola l’implicatura.

Quello che Grice offre è “la ricostruzione razionale del genere di giustificazione che verrebbe accettata dagli interlocutori: quale tipo di informazioni D prende in conto e come queste informazioni sono organizzate logicamente.” (Bianchi 2009, pp. 43-44).

Critiche alla teoria della implicature

1. Critica alla nozione di implicatura convenzionale (Bach 1999). Le implicature convenzionali non esistono. Sono contenuti espliciti, che si collocano al livello di “ciò che è detto”, come è dimostrato dal caso del discorso indiretto (Bach 1999) “Luca è grosso ma agile” (detto da X)

(i) X ha detto che Luca è grosso ma agile (ii) X ha detto che Luca è grosso e agile

Non diremmo che il secondo proferimento riporta in modo accurato quello che ha detto X; ciò indica che la presunta implicatura generata da ‘ma’ è parte della proposizione espressa.

Critiche alla teoria della implicature

2. Critica alla tripartizione griceana delle implicature conversazionali in standard, da conflitto e da oltraggio.

Classificazione di Sbisà: implicature di prevenzione vs. implicature di riparazione. Le prime sono generate da proferimenti a proposito dei quali non è chiaro se c’è una violazione delle massime. Le seconde sono generate da violazioni ostentate delle massime. La distinzione di Sbisà sposta il fuoco dal parlante all’ascoltatore. Prevenzione = Standard Riparazione = Oltraggi Conflitto = dipende (a volta standard a volte oltraggi)

Critiche alla teoria della implicature

3. Critica dell’implausibilità cognitiva Grice postula una serie di intenzioni che è

improbabile se non impossibile che i parlanti possiedano realmente. È come se postulasse dei superuomini dotati di una razionalità ideale. Replica (Sbisà): la nozione di implicatura è normativa. Un’implicatura è ciò che il destinatario dovrebbe in linea di principio trarre, date quelle circostanze comunicative. Inoltre le informazioni necessarie per trarre l’implicatura sono disponibili, quindi è possibile che il destinatario tragga l’implicatura.

Critiche alla teoria della implicature

Secondo Sbisà le implicature non coincidono con ciò che il parlante intende implicare né con quello che il destinatario effettivamente inferisce. Le implicature sono significati aggiuntivi o correttivi resi disponibili dal testo stesso, da ciò che è detto. ‘Resi disponibili’ significa non solo che il destinatario è nelle condizioni di recuperarli, ma anche che “è autorizzato ad attribuire al parlante l’intenzione di comunicarli” (Sbisà 2007, p. 126). Secondo Bianchi (2009) questa interpretazione normativa dell’implicatura non è coerente con l’impianto teorico di Grice, perché questi non ammetterebbe l’idea di implicature non intese dal parlante.

Cenni a sviluppi (teorie alternative) La distinzione tra esplicito ed implicito, ovvero tra ciò che è detto e ciò che è implicato, è largamente condivisa. Non c’è accordo, invece, su come tracciare la distinzione, su dove passa la linea di frontiera. Grice pensava che l’esplicito fosse completamente o quasi completamente determinato dal significato convenzionale dell’enunciato. Autori post-griceani pensano invece che il significato convenzionale non sia in generale sufficiente e che anche la determinazione dell’esplicito richieda processi pragmatici di natura inferenziale. (à contestualismo, teoria della pertinenza) Ma ci sono anche autori cosiddetti “neogriceani”, che riformulano le massime restando all’interno del quadro teorico di Grice.

Neo-griceani

(Atlas,Gazdar,Harnish,Levinson,…)Ancheladeterminazionedellivelloesplicito(di“ciòcheè

de?o”)puòrichiedereprocessipragma-ci.Lemassimegriceanecos-tu-vedelprincipiodicooperazione

vannoriviste,perchédannoluogoaunamol-plicazioneindiscriminatadiimplicature(alcuneestraneealleintenzionidelparlante).

à  4livellidisenso:1)significatoconvenzionale;2)proposizioneminimale;3)proposizionemassimale;4)sensoimplicito

Neo-griceani

Esempio:“mangioalcuni-pidicarne”(inrispostaalladomanda“Seivegetariano?)

1)  Xmangiaalcuni-pidicarne2)  Alfredomangiaalcuni-pidicarne3)  Alfredomangiaalcuni-pidicarne,manontuD(=

implicaturascalarediGrice)4)  Alfredononèvegetariano

Levinson: le euristiche

S.Levinson(2000)proponedisos-tuirelemassimegriceanecontreeuris-che(Q,IeM),ovverotre-pidiregoleinferenziali,ciascunadellequalisideclinainunaregolaperilparlanteeinunaperl’interlocutore.

Leeuris-chesono“regolediragionamentopra-co

(consideratedagliinterlocutoricomeopera-vedidefault,amenodiindizicontrari)checonsentonodiricostruireilsignificatoimplicatodaunparlanteescludendointerpretazionipocointui-ve,seppurcompa-biliconilsignificatodell’espressione.”(Domaneschi2014,p.83).

Levinson: le euristiche

-  Euris*caQ-parlante:Nonfornireunenunciatoinforma-vamentepiù

debolediquelloconsen-todallatuaconoscenza.-des-natario:Ciòchenonède?ononèavvenuto,nonsidà

-  Euris*caI-parlante:producil’informazionelinguis-caminimaalloscopodi

soddisfareituoiscopicomunica-vi-des-natario:Ciòcheède?oinmodononmarcatorappresenta

unasituazionestereo-pica-  Euris*caM

-parlante:indicaunasituazioneanormaleusandoespressionimarcate

-des-natario:Ciòcheède?oinmodomarcatorappresentaunasituazioneanormale

Le euristiche: esempi

-  Euris*caQImplicaturescalari(“Alfredomangiaalcuni-pidicarne”)

-  Euris*caILisapreselachiaveeaprìlaportaHomerèunoscapolo

-  Euris*caMHomerhacausatol’arrestodellamacchina(vs.Homerhafermatolamacchina)QeIsonolegateallamassimadiquan-tà;Mallamassimadimodo.

Implicature conversazionali (per concludere…)

A. Il suo cane morde? B. No (A accarezza il cane e il cane lo morde) A. Aveva detto che non mordeva! B. Ma questo non è mica il mio cane! Gli abbiamo fatto una proposta che non si poteva rifiutare. (Il Padrino) Dove vai? A Milano. Bugiardo! Mi dici che vai a Milano per farmi credere che non vai a Milano, e invece vai proprio a Milano! (Achille Camapanile)