IDONEITA' LICEO SPORTIVO SCIENZE MOTORIE - … · stesso modello cartilagineo con il tessuto osseo...

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IDONEITA' LICEO SPORTIVO SCIENZE MOTORIE - Sistema Osteoarticolare e Muscolare - Fusi Neuromuscolari - I Muscoli e la Forza - Chinesiologia, Kinesiologia e Kinesiologia Applicata - Il Sistema Respiratorio e Cardiocircolatorio - Le Articolazioni - L’Apparato Scheletrico - Il Sistema Linfatico - L’impulso Nervoso - L’Apparato Digerente - L’Allenamento - I Traumi più Comuni nella Pratica Sportiva - Esercizio Fisico e Benessere - La Pallavolo - L’Atletica Leggera - Il Baseball - Sport Aerobici - Il Doping

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IDONEITA' LICEO SPORTIVO

SCIENZE MOTORIE - Sistema Osteoarticolare e Muscolare - Fusi Neuromuscolari - I Muscoli e la Forza - Chinesiologia, Kinesiologia e Kinesiologia Applicata - Il Sistema Respiratorio e Cardiocircolatorio - Le Articolazioni - L’Apparato Scheletrico - Il Sistema Linfatico - L’impulso Nervoso - L’Apparato Digerente - L’Allenamento - I Traumi più Comuni nella Pratica Sportiva - Esercizio Fisico e Benessere - La Pallavolo - L’Atletica Leggera - Il Baseball - Sport Aerobici - Il Doping

SISTEMA OSTEOARTICOLARE E MUSCOLARE Lo scheletro e i muscoli costituiscono nel loro insieme un sistema dotato della duplice funzione di proteggere gli organi interni e di rendere possibile il movimento del corpo e il mantenimento delle posizioni assunte, cioè di assicurare l'equilibrio del corpo nei suoi vari atteggiamenti o nei molteplici movimenti elementari o complessi. Scheletro Lo scheletro è formato dall'insieme delle ossa, in numero di oltre 200, e dalle articolazioni che le uniscono e ne consentono e regolano i movimenti relativi. Le ossa e le articolazioni rappresentano la componente passiva dell'apparato locomotore, mentre la componente attiva è costituita dai muscoli. Ossa Le ossa hanno consistenza notevole e caratteristiche biomeccaniche (elasticità, resistenza alla pressione e alla trazione) che le rendono atte ad assicurare le più diverse condizioni statiche e dinamiche del corpo umano. Inoltre, per il loro contenuto di sali minerali, rappresentano un'importantissima riserva di sostanze inorganiche. Sono anche la principale sede dell'emopoiesi, cioè della produzione delle cellule del sangue, se si escludono i linfociti, che si formano quasi totalmente nelle linfoghiandole e nella milza. Per la loro forma si distinguono in ossa lunghe, ossa piatte e ossa corte. Nelle ossa lunghe, tali in quanto in esse il diametro longitudinale prevale sugli altri due, si distinguono un corpo (diafisi), collegato con le due estremità (epifisi) per mezzo della metafisi. Nelle ossa piatte (o larghe) la lunghezza e la larghezza prevalgono sullo spessore. Le ossa corte (o brevi) presentano le tre dimensioni ‒ lunghezza, larghezza e spessore ‒ pressoché uguali. Tutte le ossa sono rivestite da una membrana connettivale, il periostio. Sulla loro superficie possono presentare: rilievi (come apofisi, tubercoli, tuberosità, spine), destinati in genere all'articolazione con altri segmenti scheletrici o all'inserzione di muscoli, tendini e legamenti; depressioni (come cavità, fosse, solchi, docce, canali), anch'esse in grado di fungere da punti di inserzione o da elementi articolari, di accogliere formazioni viscerali o di dare passaggio a strutture di vario tipo, e in particolare a vasi e nervi. Osservate in sezione, le ossa lunghe mostrano le epifisi costituite da osso spugnoso, organizzato in trabecole, che appaiono diversamente disposte in rapporto alla richiesta funzionale a cui sono sottoposte. Le diafisi sono invece costituite da tessuto osseo compatto che, come un involucro, delimita un canale in cui è contenuto il midollo. Nelle ossa brevi l'osso spugnoso si trova nella parte centrale, mentre in quelle piatte è compreso tra le due lamine, o tavolati, di osso compatto e prende allora il nome di diploe. All'interno delle ossa è accolto il midollo osseo, che può essere rosso, a funzione emopoietica, o giallo, di tipo fibroadiposo; il

primo è contenuto nelle epifisi delle ossa lunghe e nello spessore delle ossa brevi e di alcune ossa piatte, mentre il secondo si trova alloggiato nel canale diafisario delle ossa lunghe. Le ossa, raggiunte da vasi e nervi dotati di funzione trofica e che ne assicurano la sopravvivenza, si sviluppano per mezzo dei processi di ossificazione. Nell'embrione si formano degli abbozzi cartilaginei che rappresentano i modelli che guideranno i processi di ossificazione, durante i quali avverrà la sostituzione dello stesso modello cartilagineo con il tessuto osseo definitivo (ossificazione indiretta). In alcune ossa, invece, in particolare in quelle del cranio, l'ossificazione avviene direttamente dal connettivo, senza la fase intermedia dell'abbozzo cartilagineo (ossificazione diretta o membranosa). Articolazioni Le articolazioni sono rappresentate da una serie di strutture che congiungono due o più ossa tra loro; si distinguono in sinartrosi e diartrosi. Le sinartrosi sono quelle articolazioni nelle quali tra i due segmenti scheletrici che vengono a contatto è disposto un tessuto congiungente di natura fibrosa, cartilaginea o fibrocartilaginea (articolazioni per continuità). Queste articolazioni godono per lo più di una scarsa motilità. Tra le sinartrosi si distinguono le sindesmosi, le sincondrosi, le sinfisi o anfiartrosi, e le sinostosi. Nelle sindesmosi, che possono essere fibrose o elastiche (sinelastosi), il tessuto congiungente è connettivo fibroso o elastico; tipiche sindesmosi sono, per es., le suture, che a loro volta si distinguono, a seconda della forma della linea di contatto, in armoniche, dentate, squamose, a incastro o schindilesi, e gonfosi. Nelle sincondrosi il tessuto congiungente è costituito da cartilagine ialina; nelle sinfisi da fibrocartilagine; nelle sinostosi dal tessuto osseo stesso (queste ultime articolazioni, tipiche dell'età senile, sono però secondarie all'ossificazione di sindesmosi o di sincondrosi). Le diartrosi sono quelle articolazioni in cui i capi ossei vengono a diretto contatto e sono rivestiti da cartilagine ialina (articolazioni per contiguità). La stabilità di queste articolazioni è data dall'apparato capsulolegamentoso, costituito dalla capsula articolare e dai legamenti. La capsula, che avvolge come un manicotto i capi ossei che vengono a contatto, è composta da due strati, uno superficiale fibroso e uno profondo, la membrana sinoviale; questa delimita la cavità articolare e, ai margini della capsula, si riflette e riveste le superfici ossee intrarticolari fino al bordo della cartilagine articolare. La membrana sinoviale, che in alcuni punti può presentare dei prolungamenti (frange e villi sinoviali), produce un liquido chiaro, viscoso e filante, la sinovia, destinato a lubrificare e a nutrire le cartilagini articolari. I legamenti sono formazioni fibrose che integrano la funzione della capsula articolare, che spesso contribuiscono a rinforzare. Possono essere distinti in: periferici, che hanno forma di nastri o di cordoni e sono in genere incorporati nella capsula; intrarticolari o interossei, che si trovano all'interno della cavità articolare e sono uniti alle superfici articolari; a distanza, che congiungono tra loro ossa separate da intervalli anche notevoli e hanno aspetto cordoniforme, nastriforme o membraniforme (per es. le membrane interossee della gamba e dell'avambraccio).

La forma delle superfici articolari consente di classificare le diartrosi in: artrodie, nelle quali le superfici articolari sono piane (per es., nell'articolazione fra anca e osso sacro); condiloartrosi, nelle quali le superfici articolari sono rappresentate da segmenti di ellissoide concavi o convessi, con raggio di curvatura molto diverso (per es. articolazione temporomandibolare); ginglimi, con superfici articolari cilindriche, che possono essere laterali (trocoidi), quando l'asse del cilindro è parallelo o coincidente con quello longitudinale dell'osso (come, per es., nell'articolazione fra l'atlante e l'epistrofeo), oppure angolari (a troclea), quando i due assi sono perpendicolari (come, per es., nell'articolazione tibioastragalica); a sella, o a incastro reciproco, in cui le superfici sono concave e convesse nei due piani ortogonali (per es. articolazione trapeziometacarpale); infine, enartrosi, o articolazioni a noce, che sono quelle dotate di maggiore mobilità, in quanto le superfici articolari sono rappresentate da segmenti di sfera (per es. articolazioni scapolomerale e coxofemorale). Colonna vertebrale Lo scheletro è rappresentato dai segmenti ossei, dalla cui unione hanno origine il cranio, la colonna vertebrale e il torace (scheletro assile), nonché i cingoli scapolare e pelvico e la parte libera degli arti superiori e inferiori (scheletro appendicolare). Mentre le strutture ossee delle varie regioni del corpo saranno esaminate nei rispettivi capitoli dedicati all'organizzazione topografica, viene qui descritta la colonna vertebrale, in quanto la localizzazione di questa importante struttura scheletrica nella parte mediana e dorsale dell'intero tronco fa sì che essa entri nella costituzione di diverse regioni anatomiche (collo, torace, addome, pelvi) e non sia quindi possibile prenderla in esame in maniera complessiva nella parte topografica. La colonna vertebrale, detta anche rachide, è situata nella parte posteriore del tronco, in posizione mediana e si estende dall'atlante all'apice del coccige, congiungendosi in alto con la testa e in basso col bacino. La sua straordinaria versatilità funzionale risulta immediatamente evidente, anche se si elencano soltanto alcuni dei molteplici compiti che deve svolgere simultaneamente: conferire stabilità a un cilindro altrimenti collassabile; permettere movimenti del tronco in tutte le direzioni; fornire inserzioni per numerosi muscoli e legamenti; sostenere strutture di peso considerevole, quali il capo e gli arti superiori; infine, contenere e proteggere una struttura estremamente delicata, il midollo spinale. È costituita da ossa sovrapposte, le vertebre, articolate tra loro e separate da strutture cartilaginee, i dischi intervertebrali. Tale conformazione alternata di segmenti ossei e di segmenti fibrocartilaginei, uniti tra loro da robusti legamenti, fa sì che la colonna vertebrale costituisca un sistema elastico, dotato di staticità sufficiente a sostenere il peso del corpo e a fornire inserzione a potenti masse muscolari e, al tempo stesso, di notevole mobilità. I movimenti della colonna vertebrale avvengono sia sul piano

sagittale, a livello delle regioni cervicale e dorsolombare, sia su quello frontale, principalmente nella regione lombare, e sono favoriti dalla presenza di una serie di curvature che si sviluppano lungo il piano sagittale e contribuiscono a migliorarne l'elasticità e a conferirle un certo grado di molleggio. Nell'uomo adulto si osservano quattro curve, che dall'alto in basso sono: la curva cervicale, a convessità anteriore; la curva dorsale, a convessità posteriore; la curva lombare, a convessità anteriore e, infine, la curva sacrococcigea, a convessità posteriore. Le curve a convessità anteriore sono denominate lordotiche, quelle a convessità posteriore cifotiche. Esse aumentano di dieci volte la resistenza della colonna stessa. Le curve presentano caratteristiche differenti nelle diverse età della vita: nel neonato, infatti, la colonna vertebrale è pressoché rettilinea; nel bambino che inizia a stare seduto compare la curva cervicale; quando comincia a deambulare si manifestano le diverse curve, che successivamente si accrescono fino ad assumere l'aspetto definitivo intorno ai 20-22 anni nella donna e intorno ai 22-25 anni nell'uomo; dopo i 50 anni, le curve si accentuano, specialmente quella dorsale; nella donna, durante la gravidanza, diventa temporaneamente più marcata la curva lombare. A sviluppo ultimato, in individui di media statura, la colonna vertebrale articolata ha una lunghezza di circa 73-75 cm nell'uomo e di 60-65 cm nella donna. Al termine di una normale giornata di lavoro, la lunghezza della colonna si riduce di circa 1-2 cm, che si recuperano durante la notte. a) Vertebre La colonna vertebrale è costituita da 33 o 34 vertebre, distinte in 7 cervicali, 12 toraciche, 5 lombari, 5 sacrali e 4 o 5 coccigee. Le vertebre presentano caratteristiche sia comuni sia proprie in rapporto al tratto di colonna in cui sono inserite: per es., le vertebre cervicali sono le meno voluminose, quelle lombari le più voluminose; nel tratto sacrale, le vertebre sono saldate insieme e formano l'osso sacro ecc. In generale, le vertebre sono costituite da un corpo e da un arco che delimitano il foro vertebrale. L'insieme dei fori vertebrali costituisce il canale vertebrale, nel quale è contenuto il midollo spinale. Il corpo è pressoché cilindrico, mentre l'arco è costituito dai peduncoli anteriormente e dalle lamine posteriormente. Sull'arco si attaccano alcune sporgenze ossee: i processi articolari, due superiori e due inferiori; i processi trasversi, uno destro e uno sinistro; il processo spinoso, situato posteriormente, in posizione mediana. Nella colonna articolata, la sovrapposizione dei peduncoli determina la delimitazione dei fori intervertebrali, visibili sulla faccia laterale della colonna, da cui fuoriescono i nervi spinali. Le prime due cervicali, rispettivamente atlante ed epistrofeo o asse, hanno una conformazione diversa dalle altre vertebre: infatti l'atlante è privo del corpo ed è costituito da due archi, anteriore e posteriore, e da due masse laterali, mentre la faccia superiore del corpo dell'epistrofeo è caratterizzata da una robusta salienza ossea, detta dente o apofisi odontoide. b) Articolazioni Le articolazioni della colonna vertebrale uniscono tra loro i corpi e i processi

articolari delle vertebre. Le articolazioni tra i corpi vertebrali (intersomatiche) sono delle sinfisi, in quanto tra di essi è disposta una struttura fibrocartilaginea, il disco intervertebrale. Questo è costituito da una porzione centrale, il nucleo polposo, e da una porzione periferica, l'anello fibroso. Il nucleo polposo si sposta durante i movimenti della colonna vertebrale. L'articolazione tra i corpi vertebrali è completata dai legamenti longitudinali, anteriore e posteriore, che aderiscono anteriormente e posteriormente ai corpi vertebrali e si estendono dall'occipite al sacro. Le articolazioni tra i processi articolari sono diartrosi, dotate di capsula rinforzata dai legamenti. Completano le articolazioni della colonna i legamenti a distanza, rappresentati da quelli gialli, disposti tra le lamine, da quelli interspinosi, tesi tra i processi spinosi, e da quelli intertrasversali, che uniscono tra loro i processi trasversi. Le articolazioni della colonna si modificano profondamente a livello dell'atlante e dell'epistrofeo, per realizzare la giunzione con il cranio. Le due masse dell'atlante si articolano con i condili dell'osso occipitale, mentre sulla faccia interna del suo arco anteriore esiste una piccola faccetta articolare, la fovea dentis, destinata ad accogliere il dente dell'epistrofeo, che in tal modo assume la funzione di un perno attorno al quale ruotano, in maniera solidale, l'atlante e il cranio. c) Movimenti della colonna vertebrale Nel complesso, la colonna vertebrale è una struttura che presenta limitate possibilità di movimento di un segmento rispetto all'altro, ma è comunque dotata di buone caratteristiche di flessibilità. I movimenti della colonna vertebrale si attuano a seguito di trazioni o compressioni esercitate sui dischi intervertebrali e sui legamenti e per scorrimento reciproco sulle superfici articolari. Le sezioni più mobili sono caratterizzate da una maggiore deformabilità sia dei legamenti sia dei dischi intervertebrali. Un altro fattore importante è la posizione relativa dei processi spinosi di vertebre adiacenti e delle loro faccette articolari. Considerata nel suo insieme, la colonna vertebrale presenta movimenti di flesso-estensione, di inclinazione laterale destra e sinistra, di rotazione assiale. Il movimento di flesso-estensione si attua sul piano sagittale. Alla flessione prendono parte tutte le regioni del rachide, ma in maggior misura la colonna lombare. Ciò è dovuto alla particolare forma dei processi articolari delle vertebre di questa regione, i quali consentono un'ampia flesso-estensione e limitano invece altri movimenti. L'estensione avviene più liberamente nelle regioni cervicale e lombare, mentre nella regione toracica è limitata dalla sovrapposizione dei processi spinosi. Il movimento totale di flesso-estensione è molto ampio, anche se varia notevolmente a seconda della flessibilità e dell'età dei soggetti. L'angolo massimo delimitato dalla colonna vertebrale, quando assume le due posizioni estreme del movimento di flesso-estensione, raggiunge il valore di circa 280°. Il movimento di inclinazione laterale si attua sul piano frontale ed è di entità alquanto ridotta rispetto al movimento di flesso-estensione. L'ampiezza globale è di circa 85° per ogni lato. Al movimento laterale concorrono soprattutto le regioni cervicale e lombare. Nella regione toracica, il

movimento è ostacolato dalla presenza delle coste, che, articolandosi ciascuna con due vertebre adiacenti, limitano la reciproca inclinazione laterale delle stesse. La rotazione assiale della colonna vertebrale è dovuta soprattutto alla rotazione delle regioni cervicale e toracica. Nella regione lombare, essa è fortemente limitata dall'interazione dei processi articolari di vertebre adiacenti. In questa sezione della colonna vertebrale, la rotazione massima per ogni lato è soltanto di 5°, mentre è di 35° nella regione toracica e di 50° nella regione cervicale. L'ampiezza massima di rotazione della colonna nel suo insieme è di circa 90°.

Muscoli I muscoli sono organi contrattili costituiti da una parte carnosa, di colore rosso, e da una parte tendinea, di colore bianco madreperlaceo, che rappresenta l'estremità connettivale fibrosa mediante la quale essi si fissano allo scheletro o ad altri punti d'inserzione; in alcuni muscoli, detti digastrici, il corpo è diviso in due parti, o ventri, da una intersezione fibrosa o da una porzione tendinea. Il colore della parte carnosa può variare in rapporto a diversi fattori, come, per es., la struttura delle fibre muscolari, l'entità della vascolarizzazione, legata alla richiesta funzionale alla quale in quel momento il muscolo è sottoposto, l'età del soggetto, nonché eventuali condizioni patologiche.

La consistenza del muscolo è legata al suo tono, cioè al normale stato di leggera e costante contrazione muscolare. Il tono muscolare è regolato dal sistema nervoso centrale e serve a opporre resistenza allo stiramento passivo del muscolo e a mantenere la postura del corpo. I muscoli del corpo umano sono 374 e il loro volume varia di molto, specialmente in rapporto all'attività cui sono sottoposti; possono andare incontro ad aumento (ipertrofia) o diminuzione (ipotrofia) del loro volume. In rapporto alla forma, si distinguono muscoli lunghi, come i bicipiti degli arti superiori e i quadricipiti degli arti inferiori; larghi, di forma appiattita, come i pettorali; orbicolari e sfinteri, le cui fibre formano un anello o un manicotto che delimita un'apertura, come, per es., il muscolo orbicolare delle labbra e lo sfintere dell'ano. In rapporto alla disposizione delle fibre, si distinguono muscoli a fibre parallele e muscoli a fibre oblique.

Nei muscoli a fibre parallele, la direzione delle fibre muscolari è la stessa delle fibre tendinee.

Nei muscoli a fibre oblique, i fasci di fibre muscolari si fissano obliquamente sul tendine. In questo secondo caso, essi si possono attaccare sui due lati del tendine (muscolo pennato) o su un solo lato (muscolo semipennato).

In rapporto alla loro funzione, i muscoli possono essere distinti in flessori ed estensori, che, rispettivamente, allontanano la parte dal piano frontale e la avvicinano a esso, come i flessori ed estensori dell'avambraccio; adduttori e abduttori, che,

rispettivamente, avvicinano un arto al piano sagittale e lo allontanano da esso, come i muscoli che agiscono sulla coscia; pronatori e supinatori, che consentono il movimento di pronazione della mano e dell'avambraccio e quello della mano sull'asse verticale, portando il dorso (pronazione) o il palmo (supinazione) della mano in posizione anteriore; rotatori interni o esterni, che permettono il movimento di un arto o di una parte del corpo sul proprio asse. In rapporto alla loro reciproca attività, i muscoli possono ancora essere distinti in agonisti e antagonisti, come per es. i muscoli flessori ed estensori, che causano un movimento opposto sullo stesso arto. Si possono infine individuare insiemi di muscoli a funzioni complesse (per es. camminare, sedersi, deglutire ecc.), che prendono il nome di catene cinetiche statiche o dinamiche e la cui attività è resa possibile dall'azione coordinata di numerosi centri, posti a vari livelli del sistema nervoso centrale e delle relative vie di conduzione. I muscoli sono provvisti di vasi arteriosi e venosi e di nervi.

La microcircolazione del muscolo scheletrico varia a seconda del tipo di muscolo; il muscolo con fibre a contrazione lenta, per es., è dotato di un microcircolo molto ricco.

Le fibre nervose, che raggiungono il muscolo unitamente ai vasi, sono sensitive, motrici e simpatiche. Organi accessori dei muscoli sono le fasce, le lacinie e i retinacoli. Le fasce, costituite da connettivo fibroso denso, delimitano gli spazi (logge) entro i quali uno o più muscoli si contraggono. Lacinie e retinacoli delimitano i canali osteofibrosi al cui interno scorrono i tendini. Le numerosissime fibre che costituiscono un muscolo scheletrico sono tenute insieme da una fitta rete di tessuto connettivo. Questa rete, penetrando nel ventre muscolare, giunge ad avvolgere ogni fibra aderendo alla membrana di quest'ultima. Inoltre, il tessuto connettivo si distribuisce in modo da riunire insieme piccoli fasci muscolari che contengono un numero variabile di fibre. All'estremità del muscolo, la rete di tessuto connettivo si fonde e diviene continua con il tessuto connettivo denso dei tendini.

FUSI NEUROMUSCOLARI

I fusi neuromuscolari sono recettori di stiramento localizzati all'interno della muscolatura striata-volontaria; con la loro attività sono in grado di captare lo stato di allungamento dei muscoli e di inviare le informazioni raccolte al midollo spinale e all'encefalo. L'attività dei fusi neuromuscolari è quindi importantissima sia per prevenire infortuni legati ad un eccessivo allungamento, sia per mantenere il normale tono muscolare, sia per eseguire movimenti fluidi in maniera armonica e controllata.

Tutti i muscoli scheletrici, ad eccezione di un muscolo della mandibola, contengono al loro interno diversi fusi neuromuscolari, che sono particolarmente concentrati a livello dei muscoli della masticazione, della colonna, degli occhi, degli arti e delle mani. Qui, i fusi neuromuscolari, lunghi circa 5-10 mm, si dispongono in parallelo alle fibre muscolari ordinarie e proprio grazie a questa particolare disposizione "fianco a fianco" riescono a captarne il grado di allungamento.

Anatomia

Il fuso neuromuscolare è costituito da una capsula di tessuto connettivo che avvolge un ristretto gruppo di fibre muscolari (da 4 a 10), dotate di una struttura citologica "speciale"; queste fibre vengono spesso chiamate intrafusali, per distinguerle da quelle ordinarie, che, per par condicio, sono insignite dell'aggettivo "extrafusali".

La fisiologia delle fibre intrafusali si spiega, innanzitutto, esaminandone nel dettaglio la struttura anatomica. Ai loro estremi sono del tutto simili alle fibre ordinarie e contengono, per questo, fibrille striate contrattili. La vera differenza sta nella porzione equatoriale, che si presenta allargata, priva di miofibrille e ricca di terminazioni sensoriali sensibili allo stiramento, immerse in una sostanza gelatinosa.

Si dice, per questo, che le fibre dei fusi neuromuscolari sono effettrici ai due poli (si contraggono in risposta ad uno stimolo nervoso) ed emettitrici al centro (da cui inviano informazioni sullo stato di allungamento).

Dal punto di vista anatomico, le fibre muscolari intrafusali si dividono in fibre a sacco nucleare (dette anche fibre a borsa o sacchetto) e fibre a catena nucleare. Le prime possiedono una zona centrale dilatata, ricca di nuclei.

Le fibre a catena nucleare presentano invece una distribuzione nucleare allungata, sempre concentrata nella regione equatoriale, ma estesa anche in periferia; sono inoltre più corte e sottili delle precedenti.

Dal punto di vista anatomico, le terminazioni sensitive del fuso neuromuscolare si dispongono, in parte arrotolandosi alla regione mediana (terminazioni anulo-spirali o primarie) ed in parte formando una diramazione ad alberello nelle regioni limitrofe (terminazioni a fiorami o secondarie).

Le terminazioni primarie sono più spesse, hanno un'elevata velocità di conduzione, appartengono alla classe delle fibre Ia, e si dipartono sia dalle fibre a sacco che da quelle a catena nucleare; le terminazioni secondarie, appartenenti alla classe delle fibre di tipo II, sono invece più sottili, meno veloci nella propagazione degli impulsi ed innervano prevalentemente le fibre a catena di nuclei.

Dal punto di vista fisiologico, invece, si distinguono fibre sensitive a conduzione veloce (di tipo Ia) e fibre sensitive a conduzione più lenta (di tipo II). Le prime, pur avendo terminazioni su entrambi i tipi di fibra, sono terminazioni anulo-spirali caratteristiche delle fibre a sacchetto di nuclei dinamiche (vedi oltre). Le fibre II, più lente, hanno invece terminazioni anulo-spirali che avvolgono le fibre a sacchetto di nuclei statiche e le fibre a catena; appartengono a questa categoria anche le terminazioni a fiorami.

A differenza delle fibre muscolari extrafusali, che ricevono afferenze dai motoneuroni alfa, le fibre del fuso si contraggono sotto l'azione dei motoneuroni gamma (fibre nervose provenienti dal corno anteriore del midollo spinale caratterizzate da un calibro ridotto).

I MUSCOLI E LA FORZA I diversi tipi di tessuto muscolare

• Liscio: ricopre gli organi interni ed è involontario

• Striato: presenta delle striature, ricopre lo scheletro ed è volontario

• Cardiaco: è quello del cuore, presenta delle striature ma è involontario

Il muscolo scheletrico

• Ricopre lo scheletro e permette il movimento

• I muscoli si legano alle ossa mediante i TENDINI

• I muscoli si contraggono (accorciano) e decontraggono (allungano) avvicinando e allontanando i capi articolari Il muscolo è formato da fibre: Queste sono formate da miofibrille Le miofibrille sono formate da miofilamenti di actina e miosina

I miofilamenti di actina e miosina costituiscono il sarcomero, l’unità funzionale del muscolo. I miofilamenti scivolando gli uni sugli altri determinano la contrazione.

Le fibre muscolari possono essere:

• Rosse: sono più sottili, ricche di capillari, sono piuttosto lente ma resistenti • Bianche: sono più spesse, più rapide, ma sono adatte a sforzi di breve durata, ma intensi • Intermedie: possono modificarsi a seconda degli adattamenti provocati dallo stile di vita o dagli allenamenti Ogni muscolo possiede tutti i tipi di fibre ma in percentuali diverse, e queste dipendono:

• Dalla funzione

• Dalla razza

• Dallo stile di vita

• Dall’ereditarietà La contrazione muscolare

La contrazione è determinata dagli impulsi provenienti del sistema nervoso. Dal SNC l’impulso attraverso il nervo motore arriva al muscolo e grazie ad una sostanza l’acetilcolina il muscolo si contrae.

Il carburante Ma i soli impulsi del sistema nervoso non basterebbero a farci muovere, come ogni macchina è necessario un carburante. Il carburante dei muscoli si chiama ATP (adenosintrifosfato) e viene sintetizzato dal nostro corpo mediante dei meccanismi di trasformazione di grassi e zuccheri Azione muscolare e capacità motorie:

• La FORZA è la capacità del muscolo di vincere, attraverso la tensione espressa dalla contrazione, una resistenza

• La VELOCITA’ è invece determinata dal tempo che il muscolo impiega a contrarsi. La forza è determinata principalmente:

• Dallo spessore del muscolo (sezione trasversa)

• Dalla percentuale di fibre bianche

• Dal numero delle unità motorie coinvolte durante una contrazione (reclutamento)

• Dalla frequenza degli impulsi nervosi che arrivano a ciascuna unità motoria

Reclutamento delle Unità Motorie Durante una contrazione non vengono attivate tutte le fibre di un muscolo: maggiore è la resistenza da vincere, maggiore è il numero di fibre attivate. Per questo motivo se sollevo un peso minimo posso tenerlo sollevato per un tempo maggiore rispetto ad un peso massimale. Nel primo caso infatti le fibre muscolari si alternano nella contrazione, avendo così la possibilità di ripristinare durante la decontrazione le proprie energie. Le diverse espressioni della forza Forza massima: è il carico massimo che un individuo riesce a sollevare si sviluppa soprattutto con il lavoro con i sovraccarichi Forza rapida: è la massima forza che il soggetto riesce ad esprimere nel minor tempo possibile. Si sviluppa soprattutto con il lavoro di salti, balzi e lanci Forza resistente: è caratterizzata da una bassa resistenza da vincere in tempi più lunghi

CHINESIOLOGIA, KINESIOLOGIA E KINESIOLOGIA

APPLICATA

Chinesiologia, Kinesiologia e Kinesiologia applicata sono tutti termini che identificano la scienza della medicina naturale che ha come scopo lo studio del sistema motorio del corpo umano.

Ma bisogna far attenzione al lessico perché non indicano la stessa cosa.

La Chinesiologia

È la disciplina medica che studia la meccanica del movimento, l’apparato motorio, muscolare, osseo, articolare.

La chinesiologia individua la problematica strutturale, lì dove presente, oppure individua il tipo di sollecitazione che il muscolo, articolazione, ossa, dovrà subire intervenendo con la riproduzione, assistita o libera, di determinati movimenti.

Questi hanno lo scopo di ripristinare la normale funzione o di rinforzare l’arto in modo da evitare l’insorgere della problematica.

È difatti applicata con la ginnastica dolce, usata in particolar modo dai preparatori atletici degli sportivi proprio come terapia preventiva di infortuni e preparatoria allo sforzo fisico.

La Kinesiologia

La kinesiologia è una delle discipline della medicina naturale che, con approccio olistico, indaga sulle condizioni di salute del corpo valutando le variazioni della fisiologia muscolare dovute a problematiche strutturali metaboliche e anche emotive.

In pratica i fondamenti della kinesiologia si basano sulla visione dell’equilibrio dell’uomo come sintesi di:

• strutture ben funzionanti ( muscoli, articolazioni, ossa…). • Biochimica (alimentazione, ambiente…). • Psiche (emozioni, stress…).

Il corpo è una “unica struttura”; il disequilibrio anche di un solo elemento fra struttura, biochimica o psiche, determina una variazione generale.

Secondo la kinesiologia, dunque, il sintomo che si manifesta non è da ritenersi specifico ed isolato, ma è sicuramente collegato ad altri fattori interni.

Ed ecco quindi che la kinesiologia si prende in carico di decifrare e studiare i sintomi trasmessi dai muscoli per risalire alla causa scatenante.

Ma perché i muscoli?

I muscoli rispondono agli input di tutti gli apparati e organi del corpo umano.

Sorridiamo e sono i muscoli facciali che tendono le labbra.

Diamo un calcio al pallone e sono i muscoli che si tendono e rilasciano la forza del calcio.

Siamo arrabbiati e sono i muscoli che stringono i pugni.

Potremmo continuare all’infinito…

Ne consegue che quando il muscolo risulta indebolito, non funzionante in maniera corretta, significa che il sistema nervoso centrale gli trasmette un segnale errato che, a sua volta, gli è stato trasmesso dalla struttura del corpo che in quel momento è in anomalia.

La kinesiologia applicata

La kinesiologia applicata è la tecnica della medicina olistica che interroga il muscolo con stimoli specifici e, in base alle risposte ricevute, il kinesiologo è in grado di risalire all’origine del sintomo intervenendo di conseguenza.

L’interrogazione avviene attraverso:

• il test kinesiologico che decodifica la risposta del muscolo ad una lieve pressione valutando, quindi, la reattività del sistema nervoso.

• Il test muscolare classico che valuta la forza ed il tono

La tecnica fu messa a punto dall’americano George Goodheart che intuì l’esistenza di legami riflessologici tra muscoli, organi e tutti gli apparati del corpo.

Esercitando una certa pressione su un muscolo notò benefici in un determinato organo interno; quindi ne conseguì che un buon tono muscolare implicava la buona salute dell’organo interno ad esso collegato.

Per interpretare il linguaggio dei muscoli il kinesiologo deve attenersi scrupolosamente a mappe e protocolli ed è molto importante effettuare i test in condizioni comunque di rilassamento soprattutto mentale per evitare di condizionare i test.

A tale proposito è consigliabile che il kinesiologo, prima della seduta, spieghi cosa si appresta a fare e perché; l’ambiente circostante deve essere tranquillo. Inoltre, il muscolo andrebbe “ripulito da tutte le altre informazioni” prima di procedere con i test; abbiamo detto che il muscolo registra tutto ciò che il corpo fa, quindi per evitare che il test inizi con i condizionamenti delle azioni già compiute, sarebbe auspicabile procedere all’applicazione, per breve tempo, del taping elastico che, con la sua particolare azione, riporta il muscolo ad uno stato originale.

IL SISTEMA RESPIRATORIO E CARDIOCIRCOLATORIO Per comprendere gli effetti fisiologici indotti al nostro organismo dall’aria, o da altre miscele respiratorie, utilizzate durante un’immersione, bisogna conoscere il funzionamento del sistema respiratorio e quello cardiocircolatorio. Entrambi, lavorando in perfetta sinergia, garantiscono la produzione d’energia, fornendo ai nostri tessuti un rifornimento continuo d’ossigeno, necessario al processo biochimico del metabolismo cellulare. Inoltre provvedono all’eliminazione dell’anidride carbonica, il prodotto di scarto. Nei normali atti respiratori è la dilatazione della gabbia toracica a far sì che la pressione all’interno dei nostri polmoni si equilibri a quell’esterna. Al contrario di quanto si possa pensare, lo stimolo alla respirazione non è indotto dalla carenza d’ossigeno, ma dalla sovrabbondanza d’anidride carbonica nel sangue. Sono i centri del riflesso respiratorio a ricevere il messaggio, e dare l’impulso all’atto respiratorio. L’aria entra dal naso o dalla bocca e, oltrepassando l’epiglottide, che funge da valvola separatrice, tra l’esofago e la trachea, per scongiurare la possibile inalazione di liquidi o cibo, scende attraverso la trachea per arrivare ai bronchi, che a loro volta si

ramificano in passaggi d’aria sempre più piccoli: i bronchioli. Questi terminano nei circa 300 milioni d’alveoli, che costituiscono il tessuto dei nostri polmoni, conferendogli l’aspetto di una spugna porosa. E’ in queste piccole sacche d’aria, altamente vascolarizzate dai capillari polmonari, che, attraverso membrane sottilissime, permeabili ai gas, avvengono gli scambi d’ossigeno e anidride carbonica tra il sangue e gli alveoli stessi. Il principio per cui avvengono è quello del gradiente pressorio: un gas tende a diffondersi da un tessuto in cui è presente ad una determinata pressione verso uno in cui è contenuto ad una pressione inferiore. Quindi, l’aria appena inspirata, contenuta negli alveoli, arricchirà d’ossigeno il sangue giunto ai capillari dall’arteria polmonare, e cederà, invece, l’anidride carbonica di cui è carico, che sarà espulsa nella fase espiratoria. E’ proprio tramite il sangue che avvengono i processi di scambio d’ossigeno e anidride carbonica. Nel nostro organismo è contenuto in una quantità di circa 5-6 litri. E’ costituito dal 50% dal plasma, dal 45% dai globuli rossi, dal 5% dai globuli bianchi, più una piccolissima percentuale di piastrine. Il plasma, sostanza liquida giallognola, serve anche per il trasporto d’altri elementi e di sostanze come sali, proteine, grassi, zuccheri e una parte di gas che si discioglie in esso. I globuli rossi trasportano buona parte dell’ossigeno grazie all’emoglobina: una proteina che si lega facilmente all’ossigeno per il suo elevato contenuto di ferro. Dopo essersi ossigenato nei polmoni, quando il sangue raggiunge i nostri tessuti, dove i processi metabolici hanno fatto ridurre il gradiente pressorio dell’ossigeno, questo sarà rilasciato dall’emoglobina. Viceversa i tessuti cederanno al sangue l’anidride carbonica per essere eliminata. Una parte di questa si lega all’emoglobina, l’altra, trasformata in bicarbonato, è veicolata dal plasma. La circolazione del sangue è assicurata dal cuore, detto anche miocardio, che è un muscolo cavo di forma e grandezza simile al pugno chiuso di una persona. Contraendosi spontaneamente e ritmicamente, provvede al pompaggio in due circuiti: la piccola circolazione o circolo polmonare, e la grande circolazione o circolo sistemico. E’ diviso verticalmente in cuore venoso a destra e cuore arterioso, che contiene il sangue ossigenato, a sinistra. A loro volta, le due sezioni sono suddivise in atri in alto, e ventricoli in basso. Il ciclo di lavoro completo che compie il cuore, la rivoluzione cardiaca, avviene in due fasi distinte: la fase di contrazione, detta sistole, e la fase di rilascio, o di riposo, detta diastole. Il ritmo con cui il sangue è pompato prende il nome di frequenza cardiaca, che normalmente è di circa 70-75 battiti al minuto. Dall’atrio sinistro, il sangue ossigenato passa al ventricolo sinistro il quale provvede a pomparlo nel grande circolo attraverso l’aorta. Suddivisa in arterie carotidee, che ossigenano il cervello, e arterie che si ramificano nella periferia del nostro organismo, riducendosi di diametro in arteriole, fino ad arrivare ai capillari che vascolarizzano i

tessuti. Qui, le loro pareti sottili e permeabili permettono gli scambi gassosi tra il sangue e i tessuti stessi. I capillari quindi si ricongiungono nel sistema venoso, che confluendo nelle vene cave riportano il sangue povero d’ossigeno, e carico d’anidride carbonica, nell’atrio destro del cuore. Da qui passa al ventricolo destro, che baderà a pomparlo nel piccolo circolo, verso il sistema respiratorio, attraverso l’arteria polmonare.

LE ARTICOLAZIONI

Le articolazioni sono strutture anatomiche, talora complesse, che mettono in reciproco contatto due o più ossa. Per evitare fenomeni degenerativi dovuti all'usura, nella maggior parte dei casi si tratta di un contatto non diretto, ma mediato da tessuto fibroso o cartilagineo e/o da liquido.

Le articolazioni del corpo umano sono assai numerose, se ne contano in media 360, e strutturalmente molto dissimili le une dalle altre. Questa diversificazione rispecchia il tipo di funzione richiesta a quella determinata giuntura. Nel loro insieme, il compito delle articolazioni è di tenere uniti i vari segmenti ossei, in modo tale che lo scheletro possa espletare la sua funzione di sostegno, mobilità e protezione.

CLASSIFICAZIONE DELLE ARTICOLAZIONI SU BASE STRUTTURALE

Le articolazioni si suddividono, dal punto di vista strutturale, in:

articolazioni fibrose: le ossa sono unite da tessuto fibroso;

articolazioni cartilaginee: le ossa sono legate da cartilagine;

articolazioni sinoviali: le ossa sono separate da una cavità, oltre che essere legate per mezzo di strutture che descriveremo meglio in seguito.

La suddivisione più conosciuta è tuttavia quella su base funzionale. Le ossa dello scheletro umano sono infatti connesse per mezzo di articolazioni a cui sono consentiti movimenti di vario tipo e grado. Si parla, allora, di giunture immobili (sinartrosi), semimobili (anfiartrosi) e mobili (diartrosi).

CLASSIFICAZIONE DELLE ARTICOLAZIONI SU BASE FUNZIONALE

Le articolazioni si suddividono, dal punto di vista funzionale, in:

articolazioni immobili o sinartrosi: legano strettamente i capi ossei, come una cerniera lampo chiusa, tanto da impedirne i movimenti.

Articolazioni ipomobili o anfiartrosi: legano due superfici articolari, ricoperte da cartilagine, tramite legamenti interossei; tra le due superfici è interposto un disco fibrocartilagineo che permette soltanto movimenti limitati.

Nelle vertebre, per esempio, superfici ossee pianeggianti sono unite da un disco interosseo cartilagineo che funge da ammortizzatore.

Articolazioni mobili o diartrosi: permettono un ampio range di movimento, in una o più direzioni dello spazio (ginocchio, spalla, dita...)

La struttura di un'articolazione ne influenza il grado di mobilità:

Nome funzionale Nome strutturale Grado di movimento Esempio sinartrosi fibrosa fissa cranio anfiartrosi cartilaginea poco mobile vertebre diartrosi sinoviale molto mobile spalla

Le sinartrosi (articolazioni immobili) si dividono in:

Sinostosi: il grado di movimento è nullo, dal momento che uniscono le articolazioni tramite tessuto osseo (come nel cranio dell'adulto).

Sincondrosi: il grado di movimento è scarso, dal momento che uniscono le articolazioni tramite tessuto cartilagineo denso (come le prime costole dello sterno).

Sindesmosi o sinfimbrosi: il grado di movimento è limitato, dal momento che sono tenute insieme da tessuto connettivo fibroso (come la sinfisi pubica).

Le articolazioni mobili o semimobili si differenziano per la forma e per i movimenti consentiti. In proposito esistono classificazioni leggermente differenti tra loro.

L’APPARATO SCHELETRICO

È l'apparato più voluminoso del corpo umano, di cui rappresenta l'80% circa del peso. Si compone di ossa, articolazioni e muscoli.

Le ossa, organi statici, sono unite tra loro mediante articolazioni. Ossa e articolazioni insieme formano lo scheletro che svolge attività di sostegno del corpo. In misura diversa, secondo le loro caratteristiche, le articolazioni conferiscono una certa libertà di movimento reciproco alle ossa che collegano. I muscoli, organi dinamici, sfruttano queste possibilità di movimento. Infatti essi si inseriscono opportunamente in diversi punti delle ossa e contraendosi, cioè accorciandosi, esercitano trazioni sulle leve ossee, ottenendo come risultato funzionale il movimento dei diversi segmenti corporei, l'uno rispetto all'altro, o dell'intero organismo, nell'ambiente esterno, come pure il mantenimento di posizioni statiche.

Nell'apparato locomotore si distinguono tre sotto apparati corrispondenti a tre distretti corporei: testa, tronco, arti.

La testa comprende le ossa della scatola cranica, che racchiudono l'encefalo, e l'osso mandibolare, nella parte anteriore corrispondente alla faccia. I muscoli servono a regolare le aperture naturali e la mimica facciale. I movimenti della testa rispetto al tronco sono attuati da muscoli provenienti dal tronco e non da quelli intrinseci del capo.

Il tronco è strutturato attorno alla colonna vertebrale. Sulle vertebre si stratificano perlopiù dorsalmente i muscoli. La colonna vertebrale sostiene la testa, dà attacco ai muscolari delle spalle, del torace e dell'addome; verso il basso dà inserzione al bacino, su cui si inseriscono gli arti inferiori; svolge funzioni determinanti per la stazione eretta e partecipa ai movimenti del tronco e degli arti.

Gli arti superiori costituiscono il sotto apparato della prensione formato dalle spalle, dalle braccia, dagli avambracci e dalle mani; tutti i suoi settori si strutturano su una porzione scheletrica centrale rivestita di muscoli, raccolti in gruppi con funzioni flessorie, estensorie, supinatorie e così via.

Gli arti inferiori costituiscono il sottoapparato della deambulazione, che consente gli spostamenti del corpo nell'ambiente esterno; svolge attività antigravitarie, coordinate a quelle della colonna vertebrale; è costituito dal bacino, dalle cosce, dalle gambe e dai piedi.

Caratteristiche e funzioni delle ossa

Le ossa sono organi duri, formati prevalentemente da tessuto osseo, che a seconda della struttura si distingue in compatto e spugnoso. Hanno colore variabile con l'età dell'individuo (biancastro nell'infanzia, avorio nell'età adulta, giallastro nella vecchiaia), consistenza diversa in rapporto alla quantità di tessuto osseo presente. Essendo molto elastiche, le ossa sono in grado di resistere a sollecitazioni meccaniche di notevole entità e di svolgere quindi una funzione protettiva nei confronti di organi più delicati, come cuore, polmoni, cervello ecc.

Se però le sollecitazioni meccaniche sono d'intensità tale da superare le capacità di resistenza alle deformazioni dell'osso, questo può subire una frattura.

Il numero delle ossa presenti nello scheletro di un individuo in età adulta è intorno ai 200 elementi. L'approssimazione è dovuta alla possibilità che vi siano elementi ossei sovrannumerari o accessori, per mancata fusione di nuclei di ossificazione, o comparsa di ossa normalmente assenti nella specie umana, durante lo sviluppo embrionale. Oppure possono esserci ossa dovute a ossificazione di noduli cartilaginei nell'ambito di tendini o legamenti del piede o della mano, in seguito a particolari sollecitazioni meccaniche dopo la nascita.

Le ossa presentano alcune caratteristiche costanti che consentono, in presenza di pochi o anche di un solo elemento osseo, di stabilire se si tratti di un reperto umano, e in tal caso di ipotizzare certi caratteri esteriori dell'individuo a cui apparteneva.

A seconda della forma si distinguono: ossa lunghe, corte, piatte.

Le ossa lunghe possono sono caratterizzate dalla lunghezza prevalente su spessore e larghezza.

Le ossa corte, costituite perlopiù da sostanza spugnosa ricoperta da un sottile strato di sostanza compatta, hanno lunghezza, larghezza e spessore equivalenti.

Nelle ossa piatte lunghezza e larghezza prevalgono sullo spessore.

Le ossa sono costituite da tessuto osseo, ma anche da materiale connettivo: il periostio che le ricopre all'esterno e l'endostio che ne tappezza le cavità interne. Esse inoltre ospitano al loro interno il midollo osseo, tessuto in cui si formano gli elementi corpuscolati del sangue: globuli rossi, globuli bianchi, piastrine.

Nel loro insieme le ossa fungono da deposito di sali minerali, in particolare di sali di calcio, ione che riveste un ruolo importante nelle attività cellulari, nei processi della contrazione muscolare e della coagulazione del sangue.

Caratteristiche e funzioni delle articolazioni

Le articolazioni concorrono con le ossa a formare l'apparato dello scheletro, in cui assolvono a due funzioni: rendere le ossa solidali, consentire il movimento reciproco di segmenti scheletrici tra loro.

Tenuto conto del fatto che ogni elemento osseo ha più punti articolari, le articolazioni sono più numerose dei segmenti ossei.

I tipi di articolazione presenti nel corpo umano sono circa una trentina e a seconda delle parti scheletriche coinvolte, le articolazioni devono far fronte a esigenze contrastanti: una statica, l'altra dinamica.

IL SISTEMA LINFATICO

Il sistema linfatico è il complesso di capillari, vasi linfatici e organi che all'interno del nostro organismo sono predisposti a garantire la circolazione della linfa. Questa è un fluido che riempie gli interstizi presenti tra le cellule corporee: compito principale del sistema linfatico è svolgere la funzione di continuo drenaggio di tale liquido da tutti i tessuti, ad eccezione del sistema nervoso centrale, delle ossa e del tessuto epiteliale.

La linfa ha una composizione diversa a seconda della tipologia di tessuto o organo dal quale viene drenata. Tale composizione consta sempre di una parte acquosa, nella quale sono presenti in misura variabile residui di scarto del metabolismo delle cellule. Simile in questa sua parte più fluida al plasma del sangue, può contenere grassi, proteine e pochi sali minerali. Alla parte fluida della linfa se ne aggiunge una composta da corpuscoli, rappresentati per lo più dagli importanti linfociti, una particolare tipologia di globuli bianchi. Questi nascono nel midollo osseo, ma trovano in parte ricovero fino a maturazione in un altro organo appartenente al sistema linfatico, il timo, per poi raggiungere già formati anche la milza e i linfonodi. Per questo importante ruolo nella produzione e circolazione dei globuli bianchi, trasportati dalla linfa ai tessuti per rimpiazzare quelli coinvolti nel ruolo di protezione delle cellule, il sistema linfatico ha primaria importanza nella costituzione delle difese immunitarie del nostro organismo.

Le funzioni del sistema linfatico: il drenaggio

Il sistema linfatico svolge, prima di tutto, l'importante ruolo di drenare i tessuti da liquidi e sostanze di scarto in eccesso. Queste sono spinte fuori dalle cellule dalla pressione sanguigna arteriosa, e contengono sostanze di rifiuto diverse a seconda del tessuto dal quale provengono. Per esempio, il liquido interstiziale proveniente dall'apparato digestivo -in particolare dal tratto intestinale- è particolarmente ricco di lipidi. La funzione del sistema linfatico è di accogliere, attraverso le pareti permeabili dei suoi vasi, questi liquidi interstiziali e le sostanze di scarto, rimettendole in circolo dopo averle purificate. Il fatto che la linfa derivi direttamente dal plasma espulso dalle arterie la rende, nelle zone periferiche del corpo, molto simile nella composizione al plasma sanguigno, rispetto al quale si differenzia per la forte presenza di globuli bianchi e per la minore concentrazione di proteine. La funzione di

drenaggio dei tessuti svolta dal sistema linfatico impedisce il pericoloso ristagno di liquidi, e può essere considerata complementare a quella svolta dalla circolazione sanguigna.

Le funzioni del sistema linfatico: la funzione metabolica

Accanto alla funzione di drenaggio del sistema linfatico si può annoverare quella legata al metabolismo dei grassi, grazie alla quale la linfa permette l'assorbimento dei trigliceridi. Questi, a differenza di altri nutrienti, non sono direttamente assorbiti dai capillari ma si spostano verso il fegato attraverso il sistema linfatico, dopo che questo li riversa -sotto forma di una particolare forma di linfa detta chilo- nella vena succlavia.

Il sistema linfatico svolge un ruolo anche nel metabolismo delle proteine, seppure inferiore a quello svolto dalla circolazione sanguigna.

Le funzioni del sistema linfatico: la funzione immunitaria

Durante il suo percorso all'interno dei vasi linfatici, la linfa viene filtrata dai linfonodi, dove entra in contatto con i linfociti e gli anticorpi lì presenti. Mentre i linfonodi svolgono una funzione paragonabile a quella di vere e proprie stazioni di filtraggio della linfa, bloccando il diffondersi di agenti patogeni e in molti casi di cellule tumorali, i linfociti di cui si arricchisce la linfa si trasferiscono in parte al sangue, per arrivare ai tessuti e rimpiazzare quelli utilizzati per esplicare la difesa immunitaria dell'organismo.

Il sistema linfatico è il complesso di capillari, vasi linfatici e organi che -all'interno del nostro organismo- sono predisposti a garantire la circolazione della linfa. Questa è un fluido che riempie gli interstizi presenti tra le cellule corporee: compito principale del sistema linfatico è svolgere la funzione di continuo drenaggio di tale liquido da tutti i tessuti, ad eccezione del sistema nervoso centrale, delle ossa e del tessuto epiteliale.

Il legame tra sistema linfatico e sistema circolatorio sanguigno è molto stretto, tanto che il sistema linfatico è spesso definito come una sezione specializzata dell'apparato cardiovascolare. La testimonianza di questo stretto legame è riscontrabile tanto all'inizio del sistema linfatico, quanto al suo termine.

I vasi linfatici hanno inizio a fondo cieco nei tessuti del nostro organismo, dove raccolgono direttamente i liquidi rilasciati dai capillari arteriosi non assorbiti dai

tessuti stessi, in quanto in eccesso. Il rilascio da parte dei capillari di questi liquidi, e il conseguente assorbimento da parte dei vasi linfatici, avviene in presenza di determinati valori di pressione sanguigna e si disattiva quando questi valori si "normalizzano". Si può dire che il sistema linfatico svolga quindi un ruolo essenziale nel bilanciamento della pressione sanguigna arteriosa.

Al termine del suo percorso circolatorio, inoltre, la linfa arricchita da linfociti e purificata dagli agenti patogeni nei linfonodi viene reimmessa nel sistema circolatorio, riversandosi direttamente nell'apparato venoso attraverso due dotti collocati nella zona toracica.

Il "dotto toracico" e il "dotto linfatico destro" sono i vasi linfatici di raccolta della linfa proveniente -attraverso capillari linfatici più sottili e periferici- da tutto l'organismo. Il loro contenuto viene riversato nelle vene succlavie sinistra e destra, portando così a termine la circolazione della linfa con la sua immissione nel sangue.

Qual è il legame tra il sistema linfatico e l'apparato muscolare?

Caratteristica del sistema linfatico è di permettere la circolazione della linfa verso un'unica direzione, a differenza del sistema venoso-arterioso che permette un flusso chiuso e circolare del sangue. I vasi periferici appartenenti al sistema linfatico, infatti, hanno inizio "a fondo cieco" nei tessuti -dove raccolgono attraverso le proprie pareti la linfa e le sostanze che non possono essere assorbite dal sistema sanguigno. I vasi linfatici procedono poi ingrossandosi in direzione del petto, dove si riversano nel sistema venoso in prossimità del cuore. A differenza della circolazione sanguigna, quella della linfa non avviene sulla spinta di una apposita pompa -come lo è il cuore per il sangue- ma è messa in moto dall'azione meccanica dei muscoli. E' infatti per merito della contrazione e decontrazione dei muscoli corporei che i fluidi in eccesso vengono messi in movimento, defluendo dai tessuti ai vasi linfatici ed evitando il ristagno. Questa è anche la ragione per la quale l'attività sportiva ha un'importanza centrale nel combattere i gonfiori legati all'accumulo di liquidi.

Lo stretto legame di funzionamento tra il movimento dei muscoli e il sistema linfatico deriva dalla particolare struttura cellulare di quest'ultimo. Le pareti dei vasi linfatici, infatti, non sono dotate di stretti legami cellulari, allo scopo di garantirne l'alta permeabilità e favorire la penetrazione della linfa. Le cellule dei vasi sono inoltre legate al tessuto muscolare da microscopici legami, che assecondano il movimento del muscolo: la contrazione e decontrazione di quest'ultimo ha l'effetto di

tendere i filamenti, aumentando gli spazi tra le cellule delle pareti vascolari linfatiche e quindi potenziandone la permeabilità. La diretta conseguenza del movimento fisico è, dunque, l'aumento della circolazione linfatica e il migliore drenaggio dei tessuti.

Allo scopo di agevolare ulteriormente il percorso della linfa all'interno dei vasi, questi ultimi sono in grado, in certi tratti, di compiere delle contrazioni involontarie. Tutti i condotti in cui avviene la circolazione linfatica, inoltre, sono caratterizzati dalla presenza di valvole simili a quelle presenti nel sistema venoso, che ostacolano il reflusso della linfa in direzione contraria a quella di circolazione, permettendole anche di contrastare la forza di gravità.

I linfonodi

Il diramarsi dei vasi linfatici nel nostro organismo, dai capillari più sottili posti nei tessuti periferici fino ai vasi più grossi collocati nella zona toracica, è intercalato dalla presenza di snodi, costituiti dai linfonodi. Questi sono di frequente denominati anche ghiandole linfatiche, seppure l'utilizzo della dicitura "ghiandola" non sia adatto a definire i linfonodi. Le ghiandole sono infatti organi caratterizzati dalla produzione di una qualche secrezione (per esempio: la ghiandola salivare produce saliva), mentre i linfonodi sono deputati all'importante funzione di filtraggio della linfa, ma non sono preposti alla produzione di alcuna vera e propria secrezione.

I linfonodi sono, infatti, agglomerati di tessuto "linfoide" di forma tondeggiante e di varie dimensioni, disseminati lungo tutto il sistema circolatorio linfatico singolarmente o a gruppi. Il raggruppamento di più linfonodi in un unico punto dà luogo alle cosiddette stazioni linfatiche o linfonodali, presenti in più punti del nostro organismo come la zona dell'inguine e quella delle ascelle.

Il compito dei linfonodi è quello di permettere, durante la circolazione, l'incontro della linfa e di quanto in essa contenuto con le cellule del sistema immunitario, ospitate nel linfonodo stesso. Queste cellule immunitarie sono costituite per lo più da linfociti, ma anche da cellule di diverso tipo che svolgono un ruolo di difesa altrettanto importante per l'organismo. Alcune di queste, per esempio, sono quelle che conservano la memoria di precedenti attivazioni dei linfociti, a contatto con agenti patogeni presenti nell'organismo.

Quando nella linfa siano presenti cellule che in qualche modo rappresentino una minaccia per la salute, i linfociti presenti nei linfonodi ne rilevano la presenza e si moltiplicano per neutralizzarle. Proprio il moltiplicarsi dei linfociti in presenza di

agenti patogeni è alla base dell'ingrossamento che a volte interessa le ghiandole linfatiche, segnale d'allarme di un'infezione in corso.

I linfonodi sono anche detti organi linfatici secondari, insieme alla milza e al cosiddetto MALT (acronimo inglese che sta per "Mucosa Associated Lymph Tissue", ossia per "tessuti linfatici associati alla mucosa"), per differenziarli dagli organi linfatici primari o vitali, cioè midollo osseo e timo. Se gli organi linfatici sono infatti in grado di produrre i linfociti o -nel caso del timo- di permetterne la maturazione grazie alla produzione di specifici ormoni, gli organi linfatici secondari non producono autonomamente linfociti, limitandosi a ospitarli e permetterne l'accumulo.

Gli organi linfoidi

I linfonodi non sono gli unici organi appartenenti al sistema linfatico. Accanto a questi si annoverano infatti il midollo osseo, il timo, la milza e il MALT. Altri organi del sistema linfatico sono anche le tonsille. Tutti questi organi sono coinvolti nei meccanismi di funzionamento del sistema linfatico, svolgendo ruoli di importanza fondamentale per la salute del nostro organismo, ma di frequente sottovalutati.

In particolare, il midollo osseo e il timo hanno l'importante ruolo di produrre e condurre alla maturazione una particolare tipologia di globuli bianchi detti linfociti, e per questo sono -a differenza degli altri- denominati organi linfoidi primari. E' il midollo osseo a produrre entrambe le tipologie di linfociti presenti nel sistema linfatico, denominati B e T. Mentre i primi giungono a maturazione nello stesso midollo osseo, i secondi sono ugualmente lì prodotti, ma effettuano una migrazione nel timo per poter completare la propria maturazione.

Il timo

Il timo è un organo posizionato dietro lo sterno, che raggiunge l'apice della sua funzionalità durante la giovinezza -periodo durante il quale, appunto, va formandosi il sistema immunitario di un individuo- per poi gradualmente ridurla in età adulta. A questa riduzione di funzionalità si associa un evidente rimpicciolimento dell'organo stesso, che viene gradualmente rimpiazzato da tessuto grasso. La funzione del timo di portare a maturazione i linfociti T incomincia già prima della nascita, e si innesca grazie alla presenza di un particolare ormone detto timosina. Nel timo l'esposizione dei linfociti a particolari molecole consente la sopravvivenza dei soli linfociti T che hanno una reazione adeguata a manifestare la propria efficienza, mentre conduce

all'eliminazione dei linfociti non in grado di svolgere il loro compito di difesa immunitaria.

La milza

La milza è un organo linfatico secondario, in quanto non coinvolto nella produzione o nella maturazione dei linfociti. Sebbene non sia essenziale alla sopravvivenza, tanto da poter essere asportata in caso di rottura senza che per questo la vita del paziente sia messa in pericolo, i suoi compiti contribuiscono al buon funzionamento sia del sistema circolatorio che di quello linfatico. La salute della milza contribuisce, quindi, al benessere generale dell'organismo, e i soggetti privi di milza in seguito ad asportazione sono più esposti al rischio di infezioni.

Come tutti gli organi linfoidi, infatti, la milza permette l'incontro tra linfociti e agenti patogeni, bloccando le infezioni. Ma la sua funzione principale è legata al filtraggio sanguigno, svolta attraverso un meccanismo detto "emocateresi". Grazie all'alta presenza di macrofagi, particolari cellule appartenenti al sistema immunitario, la milza ripulisce il sangue i globuli rossi che hanno ormai terminato il loro ciclo vitale e non sono più in grado di svolgere il loro ruolo di ossigenazione del sangue.

Il MALT

MALT, acronimo di "Mucosa Associated Lymph Tissue", è il nome che si dà a tutti quei tessuti linfatici che si trovano associati alle mucose del nostro organismo. La generica denominazione di MALT viene sostituita da nomi più specifici a seconda della mucosa associata al tessuto linfatico preso in considerazione.

Sarà quindi possibile individuare diverse tipologie di MALT a seconda che si consideri quello associato alla mucosa intestinale (GALT), ai bronchi (BALT), alla pelle (SALT), agli occhi (EALT), al naso (NALT) e così via per ogni tipo di mucosa corporea.

Il MALT, nelle sue diverse declinazioni, svolge il compito di esercitare la funzione immunitaria locale, controllando la specifica mucosa al quale è associato. Il drenaggio conduce infatti la linfa proveniente dall'organo controllato ai linfociti e alle altre cellule immunitarie presenti nel MALT, consentendone l'incontro e permettendo la neutralizzazione degli agenti nocivi.

Nel GALT inoltre, al quale è affidato il delicato compito di controllo del tratto gastrointestinale, sono presenti particolari cellule -dette M- che isolano e inglobano le molecole provenienti dalla digestione per accelerarne l'incontro diretto con i linfociti.

Le tonsille

Come la milza e i linfonodi, le tonsille sono un organo linfatico secondario o non vitale, ossia non essenziale alla sopravvivenza, né deputato alla produzione o maturazione dei linfociti.

Sono organi costituiti da tessuto linfoide, collocati all'altezza della faringe nella cavità della gola. Le tonsille formano un anello di protezione degli orifizi nasali e orali, impedendo ai batteri provenienti dall'esterno di penetrare nei tessuti e costituendo quasi una sorta di prima barriera difensiva per l'organismo.

A seconda della loro collocazione alla base della lingua, nella gola o al termine delle cavità nasali possono essere distinte in tonsille linguali, palatine o adenoidi (anche dette faringee).

Come accade per i linfonodi, l'eventuale ingrossamento delle tonsille è sintomo della proliferazione di linfociti scatenata da un'infezione in corso. Spesso dolorose e frequenti durante l'infanzia, le infezioni croniche delle tonsille spingono spesso -anche se oggi vi si ricorre molto meno grazie al diffuso uso di terapie antibiotiche- all'asportazione delle stesse, detta tonsillectomia.

Il midollo osseo

Il midollo osseo è una particolare tipologia di tessuto contenuto nelle cavità ossee. Insieme al timo è un organo vitale, ed enorme è la sua importanza all'interno dell'organismo umano e dei vertebrati in generale. Il midollo osseo contiene infatti le preziose cellule staminali, che sono responsabili della generazione delle cellule somatiche. Alcune particolari cellule staminali contenute nel midollo osseo, dette ematopoietiche, sono responsabili della produzione delle componenti fondamentali del sangue -globuli rossi e piastrine- ma anche della produzione dei globuli bianchi (leucociti).

E' proprio la capacità di generare alcune particolari tipologie di leucociti -i linfociti B e T- che coinvolge il midollo osseo nel funzionamento del sistema linfatico, affidandogli un ruolo primario.

I linfociti B giungono a maturazione nello stesso midollo osseo prima di essere immessi nell'organismo attraverso il sistema linfatico, mentre i linfociti T maturano solo dopo aver raggiunto il timo, dove sono attivati dall'ormone timosina. Entrambe queste tipologie di linfociti sono responsabili della risposta immunitaria acquisita o specifica, agendo solo quando entrano in contatto con le cellule pericolose per l'organismo. La risposta dei linfociti al contatto con gli agenti patogeni è diversa a seconda del tipo di linfocita coinvolto. I linfociti B sono in grado di produrre anticorpi, o più tecnicamente immunoglobuline. I linfociti T, viceversa, non sono in grado di produrre anticorpi, ma segnalano la presenza di agenti patogeni stimolando l'intervento dei linfociti T e, solo in alcuni casi, sono in grado di neutralizzare la cellula pericolosa tramite distruzione diretta.

Nella maggior parte dei casi la risposta immunitaria avviene in seguito all'azione combinata e complementare di entrambi i tipi di linfociti.

Le patologie del sistema linfatico: patologie di origine traumatica

Le malattie del sistema linfatico sono numerose e di varia origine, potendo colpire tanto i singoli organi che compongono il sistema quanto il suo funzionamento generale. Il sintomo di un cattivo o mancato funzionamento del sistema linfatico è quasi sempre l'edema, ossia il ristagno localizzato o generalizzato dei liquidi negli interstizi dei tessuti, che normalmente dovrebbero essere drenati -appunto- dal sistema linfatico.

Alla base delle patologie del sistema linfatico possono esserci -banalmente- traumi o lesioni derivanti da urti o incidenti. Inseguito al trauma il vaso linfatico può rompersi e provocare un'interruzione del flusso della linfa, con conseguente ristagno di liquido nei tessuti. Se il ristagno non è associato a lesioni altrettanto importanti dei vasi sanguigni, come spesso capita durante gli incidenti, le sue conseguenze saranno visibili e non potranno essere confuse con quelle di una emorragia. Rigonfiamenti dovuti ad accumulo di liquidi in seguito a traumi sono frequenti, per esempio, nelle ginocchia e nelle articolazioni. Quando la portata del ristagno sia consistente sarà possibile accorgersene -anche se l'accumulo avvenga in zone meno visibili, come quella toracica- tramite l'osservazione di sintomi come eccessiva sete, ridotte funzioni urinarie o ingiustificata e improvvisa perdita di peso.

Le patologie del sistema linfatico: patologie derivanti da occlusione meccanica dei vasi linfatici

Tutte le interruzioni di origine meccanica dei vasi linfatici sono caratterizzate dall'impedire alla linfa il suo percorso circolatorio, con conseguente accumulo della stessa nei tessuti. La conseguenza è un evidente e abnorme rigonfiamento della zona colpita, dovuto al ristagno della linfa (linfedema). L'ingrossamento degli arti, specie di quelli inferiori, è l'effetto molto frequente di questo genere di occlusioni, le cui origini possono essere ricercate in cicatrizzazioni dei vasi seguite a traumi, in tumori o nella presenza di parassiti nel sistema linfatico. In assenza di un intervento, solitamente chirurgico o farmacologico, che permetta il superamento del ristagno e il drenaggio dei liquidi in eccesso, il linfedema potrebbe degenerare fino a rendere addirittura necessaria l'amputazione dell'arto colpito.

Di grande importanza per la terapia del linfedema che colpisca gli arti, specialmente quelli inferiori, sono i trattamenti che lo combattano già nei primi stadi del suo manifestarsi. Dato che la diretta causa del suo insorgere dipende -qualunque sia la sua origine remota- dal ristagno dei liquidi nei tessuti, si potrà favorire la circolazione corretta della linfa mantenendo gli arti in posizioni che favoriscano il flusso, accompagnando questo accorgimento con massaggi che procedano nel verso della circolazione e con l'utilizzo di apposite calze elastiche.

Le patologie del sistema linfatico: infiammazioni

Le infiammazioni del sistema linfatico possono colpire i vasi linfatici (in tal caso si parlerà di "linfangiti") o i singoli linfonodi (si parlerà in questo caso di "linfoadeniti").

Le prime tipologie di infiammazione sono spesso la conseguenza diretta di malattie che colpiscono prima gli strati di tessuto che sovrastano i vasi linfatici, come quelle che colpiscono la pelle in seguito a traumi e infezioni.

Le seconde, invece, sono spesso derivanti dalla funzione stessa dei linfonodi, che tendono a richiamare a sé gli agenti patogeni -come virus e batteri- che si introducono nel nostro organismo. I linfonodi infiammati tendono a ingrossarsi per la proliferazione dei linfociti al loro interno, e questa condizione è spesso associata a dolore e infiammazione anche dei tessuti circostanti. Questo genere di patologie dei linfonodi possono dare origine anche ad ascessi e produzione localizzata di pus.

Le patologie del sistema linfatico: i tumori dei tessuti linfoidi

I tumori che colpiscono il sistema linfatico sono numerosi e tra le più frequenti cause di morte per neoplasia. Prendono il nome di linfomi e si differenziano dalle spesso accomunate leucemie -che colpiscono il midollo osseo e il sangue- per la presenza di una massa tumorale distinta e per lo più collocata in un organo del sistema linfatico periferico.

Tradizionalmente si usa suddividere le varie manifestazioni di linfoma in "indolenti" o "aggressive", a seconda della velocità del loro decorso e della loro pericolosità. Oggi, tuttavia, si tende a considerare questo genere di ripartizioni inefficiente, e a preferirne altre basate su caratteristiche che permettono maggiore accuratezza. Secondo queste più nuove classificazioni è possibile individuare in primo luogo i linfomi che colpiscono i linfociti, distinguendoli a loro volta a seconda della tipologia o del grado di maturazione del linfocita colpito. A questi -già numerosi- tipi di tumore del sistema linfatico si aggiunge il cosiddetto linfoma di Hodgkin (così chiamato dal nome del suo scopritore), che si differenzia dagli altri linfomi per la presenza di cellule anomale che non si sviluppano nelle altre forme.

Data la grande varietà di linfomi esistenti è quasi impossibile individuare con semplicità e sintesi i sintomi comuni alle varie manifestazioni. Si può dire però che febbri costanti e apparentemente ingiustificate, nonché sudorazione eccessiva -specie durante il riposo notturno- e oscillazioni di peso prive di motivazioni manifeste siano tra i principali campanelli d'allarme.

Come migliorare il benessere del nostro sistema linfatico

Spesso ignorato e sottovalutato, il sistema linfatico ha invece un insieme di funzioni delicate e importanti, dal corretto funzionamento delle quali dipende molta parte del nostro benessere. Quando il malfunzionamento del sistema linfatico non sfoci direttamente in più gravi patologie, può comunque condurre a sintomi fastidiosi di appesantimento generale, gonfiore, depositi di adipe e abbassamento delle difese immunitarie, con tutto ciò che questo comporta.

Uno stile di vita attivo migliora nettamente la funzione drenante del sistema linfatico, grazie alla capacità di pompaggio legata all'attività muscolare. Per questo motivo può

essere utile, per chi sia costretto all'immobilità, l'attività muscolare indotta da elettrostimolazione.

Quando questo non basta, l'eccessiva stasi dei liquidi può essere evitata o ridotta grazie ad attività di linfodrenaggio meccanico, svolte manualmente attraverso massaggi o automassaggi che procedano nel verso della naturale circolazione della linfa (verso il cuore). Spesso, specialmente in fisioterapia, si può ricorrere ad attrezzi da massaggio che esercitano in maniera controllata la pressione più adatta alla zona trattata.

Il drenaggio può essere agevolato anche evitando di mantenere posizioni scorrette o di stare in piedi troppo a lungo, impedendo o rallentando il flusso dei liquidi nei vasi linfatici per effetto di momentanee ostruzioni o della forza di gravità. Per lo stesso motivo può essere utile riposare distesi mantenendo gli arti inferiori in posizione sopraelevata, usare apposite calze o bende a compressione graduata e allo stesso tempo evitare l'esposizione prolungata a fonti di calore, così come l'utilizzo di calzature costrittive o indumenti troppo stretti.

Di grande importanza in presenza di difficoltà del sistema linfatico è la cura della pelle, più facilmente esposta a lacerazioni, infezioni e difficoltà di rimarginazione in caso di tagli.

L'IMPULSO NERVOSO

I neuroni utilizzano due tipi di segnali elettrochimici per diffondere l'impulso nervoso attraverso tutta la rete nervosa:

• I potenziali d'azione possono propagarsi senza distorsione da una estremità all'altra e si basano su processi attivi; è un evento breve che si propaga senza alterazioni lungo tutto l'assone e lungo tutte le fibre nervose con differente velocità. Queste infatti risultano più elevate negli assoni di grande diametro rispetto a quelli di piccolo diametro.

• I potenziali locali sono in grado di far svolgere alle singole cellule nervose funzioni integrative e di dare origine al potenziale d'azione; sono graduati e possono estendersi solo su brevi distanze di solito dell'ordine di 102 mm e hanno un ruolo essenziale nelle terminazioni nervose sensoriali, infine essi sono passivi e sono soggetti all'attenuazione alla distorsione.

Per comprendere i processi di trasmissione dei segnali elettrici è necessario conoscere prima alcuni aspetti strutturali riguardanti l'assone o fibra nervosa. La fibra può essere considerata come un tubo riempito con soluzione acquosa di sali, dissociati in ioni carichi negativamente e positivamente, separata dalla soluzione extracellulare per mezzo di una membrana. Il doppio strato lipidico della membrana dell'assone è, analogamente a quello delle altre membrane cellulari, impermeabile agli ioni e a gran parte delle molecole polari. Il passaggio di queste particelle attraverso la membrana dipende dalla presenza di specifiche proteine. Le proteine implicate nel trasporto di ioni attraverso le membrane si distinguono in due categorie:

• Proteine che costituiscono canali di passaggio per determinati ioni i quali si aprono e si chiudono a seconda della conformazione assunta dalla proteina, in funzione dei cambiamenti che avvengono attorno ad essa. Queste proteine sono definite canali ionici e si possono suddividere in funzione del meccanismo di regolazione della apertura in:

o canali sensibili al potenziale di membrana o recettori-canale le quali regolano l'apertura o la chiusura dei canali a

seguito del legame con specifiche sostanze chimiche presenti fuori dalla cellula (ormoni o neurotrasmettitori) o nella cellula stessa.

• Proteine con funzione di pompa: ne è un esempio la pompa sodio-potassio che agisce contro gradiente consumando energia, espellendo ioni sodio in cambio di potassio e determinando così una ridotta concentrazione di sodio e un eccesso di potassio nell'ambiente intracellulare.

Il gradiente di concentrazione ionico, che si viene a formare grazie alla azione delle pompe sui due versanti della membrana plasmatica, causa un eccesso di cariche

negative all'interno del citoplasma, definito potenziale di riposo. Possiamo così parlare di:

• Membrane polarizzata, a riposo (interno negativo, da -50 a -100 mV) • Membrana depolarizzata, se in seguito ad uno stimolo diventa meno negativa

all'interno rispetto all'esterno. • Membrana iperpolarizzata, se diventa più negativa.

Grazie a dei microelettrodi è possibile misurare la differenza di potenziale tra l'interno e l'esterno della cellula. Il potenziale di riposo è attorno a -70 mV. I valori di potenziale si possono ottenere anche usando metodi ottici, sfruttando coloranti fluorescenti che si legano alle membrane cellulari e funzionano da indicatori del potenziale di membrana. Se la membrana del neurone viene depolarizzata (per un impulso elettrico artificiale o a seguito della apertura di canali di membrana, ad esempio per la presenza di un neurotrasmettitore) si aprono canali voltaggio-dipendenti per il sodio, che lasciando entrare sodio (carico positivamente) depolarizzano ulteriormente la membrana. Il processo si amplifica da solo finché la membrana è completamente depolarizzata o addirittura l'interno della cellula diviene positivo rispetto all'esterno. I canali al sodio si inattivano rapidamente; pertanto la violenta depolarizzazione (potenziale d'azione) si spegne in pochi millisecondi e la membrane non risulta stimolabile per alcuni ulteriori millisecondi. La membrana delle zone adiacenti del neurone viene depolarizzata dal potenziale d'azione e riproduce a sua volta un potenziale d'azione: così si determina la propagazione dell'impulso nervoso. L'impulso non può tornare indietro, a causa del periodo refrattario che segue al potenziale d'azione nel segmento d'assone interessato. L'impulso nervoso si propaga lungo tutto il prolungamento principale del neurone (assone) fino a dove questo termina facendo contatto con un'altra cellula (neurone o fibra muscolare per esempio). Il punto di contatto della terminazione nervosa con un altro neurone si chiama sinapsi: qui avvengono una serie di importanti processi che permettono la trasmissione dell'impulso all'altro neurone.

La sinapsi è il punto di collegamento tra l'assone di un neurone e il dendrite del neurone successivo o la superficie di una cellula dell'organo effettore innervato. Questo collegamento non è però una continuità fisica dato che esiste uno spazio - definito spazio intersinaptico - che separa la cellula pre-sinaptica da quella post-sinaptica. La sinapsi è la giunzione specializzata che permette il passaggio, e quindi la continuazione del viaggio, dell'impulso nervoso. L'aspetto cruciale è però che l'impulso non viaggia inalterato, ma viene elaborato ed integrato dal neurone postsinaptico con gli impulsi che gli arrivano da altri neuroni attraverso altre sinapsi (anche diverse centinaia di migliaia). Il passaggio dello stimolo nervoso da un

neurone all'altro è reso possibile dalla presenza, nell'estremità presinaptica, di vescicole ripiene di particolari sostanze, dette neurotrasmettitori, la cui natura chimica varia da un tipo di sinapsi all'altro. Esistono infatti diversi tipi di sinapsi:

• Sinapsi elettrica quando gli ioni passano attraverso giunzioni comunicanti che collegano le membrane cellulari di neuroni strettamente adiacenti. Quando l'impulso nervoso passa da un neurone a quello direttamente successivo. Sono presenti in pochi sistemi e nell'uomo non sono state descritte.

• Sinapsi chimica quando l'informazione viene trasmessa nello spazio intersinaptico mediante la liberazione dei neurotrasmettitori scatenata dal potenziale d'azione quando invade la terminazione assonica. Il potenziale d'azione provoca l'apertura dei canali permeabili agli ioni calcio, consentendo a questi di entrare nell'assone. Questo ingresso provoca la fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana cellulare e lo svuotamento delle vescicole nello spazio intersinaptico. Partendo dalla cellula presinaptica i neurotrasmettitori, si combinano coi recettori (anch'essi proteine) di membrana della cellula postsinaptica provocando l'apertura di canali ionici o l'attivazione di sistemi metabolici. L'insieme delle modificazioni prodotte nella cellula postsinaptica dai neurotrasmettitori scaricati in tutte le sinapsi che coprono il suo corpo cellulare e i suoi prolungamenti dendritici può far scattare l'impulso nervoso, o semplicemente rendere la cellula più o meno suscettibile a ulteriori stimoli.

Le sinapsi chimiche si possono distinguere in:

• Eccitatorie: il trasmettitore liberato dalla terminazione presinaptica produce una depolarizzazione del neurone postsinaptico, portandone il potenziale di membrana verso la soglia del potenziale d'azione. L'attivazione della sinapsi contribuirà a scatenare il potenziale d'azione o renderà comunque il neurone più responsivo ad eventuali ulteriori stimoli

• Inibitorie: il trasmettitore tende iperpolarizzare il neurone postsinaptico e pertanto a mantenerne il potenziale di membrana sotto soglia. L'attivazione della sinapsi ostacolerà la genesi del potenziale d'azione e renderà il neurone meno sensibile ad eventuali ulteriori stimoli.

L'APPARATO DIGERENTE

L'apparato digerente provvede alla digestione e all'assimilazione di cibi e bevande, assolve cioè a funzioni nutritive. Il nome sottolinea l'importanza della digestione dei nutrienti, quell'insieme di processi che consentono la scomposizione degli alimenti introdotti in sostanze veicolabili dal sangue e utilizzabili dalle cellule nei diversi tessuti.

La porzione principale di questo apparato è l'intestino, che si presenta come un lungo tubo, il quale va dalla rima labiale, punto in cui si introducono in condizioni normali i cibi, all'orifizio dell'ano, punto in cui vengono eliminate le scorie non utilizzabili. All'intestino, che ospita nella sua parete diverse popolazioni di ghiandole esocrine, vanno aggiunti organi ghiandolari che in esso immettono le loro secrezioni; si tratta delle ghiandole salivari, del fegato e del pancreas.

Cavità orale

La cavità orale è delimitata dalle arcate dentarie; dal palato che la separa dalle fosse nasali; dal pavimento della bocca, costituito da un solo muscolo, il miloioideo; ospita un organo muscoloso, la lingua, importante per il senso del gusto, che si inserisce sull'osso ioide. Tutta la cavità orale è rivestita di mucosa. Un ruolo importante è svolto dai denti. Le pareti della cavità orale, costituite dalle guance, contraendosi favoriscono la progressione del bolo verso la faringe. La cavità è mantenuta umida da cellule che producono muco e dalle ghiandole salivari che producono la saliva. Nella saliva sono contenuti enzimi digestivi come la ptialina, importante per l'azione che esercita sugli amidi; e inoltre il lisozima, un enzima ad attività antibatterica.

Le parotidi, che sono le ghiandole salivari più grandi, si trovano dietro i rami montanti della mandibola. Il loro dotto escretore, detto di Stenone, attraversa il muscolo buccinatore e sbocca nei pressi del secondo molare superiore. La secrezione delle parotidi è di tipo sieroso.

Le sottomandibolari si trovano sotto la lingua nello spessore del pavimento orale; sotto la lingua si apre pure il loro dotto escretore, detto di Warthon, in prossimità degli sbocchi delle ghiandole sottolinguali. La secrezione è di tipo misto.

Le sottolinguali sono le ghiandole salivari più piccole e si trovano nel pavimento della bocca, al di sotto della parte libera della lingua; i loro dotti escretori sboccano vicino a quelli delle sottomandibolari; la secrezione è prevalentemente mucosa.

Faringe È un organo in comune tra apparato digerente e apparato respiratorio, e possiede pareti muscolari che facilitano la progressione del bolo alimentare. Se si eccettua la zona di contatto con le cavità nasali, è rivestita di mucosa simile a quella orale. Esofago È la continuazione del canale digerente, dopo la faringe. È un organo tubolare che percorre il mediastino, dietro la trachea e davanti all'aorta, e che, dopo aver attraversato il diaframma (hiatus esofageo), sbocca nello stomaco. Ha una parete costituita da tre strati: due muscolari e uno sottomucoso; è rivestito di mucosa, che si solleva in pliche che vengono poi distese dal passaggio del cibo.

Stomaco È il primo tratto di intestino addominale, che il cardias separa dall'esofago. Ha una tipica forma a bisaccia, con una grossa curvatura convessa a sinistra, e una piccola curvatura concava a destra.

Consta di un fondo, o recesso, che risale oltre il livello del cardias; di un corpo, ossia di una vasta porzione centrale; e infine della regione dell'antro, cui segue lo sfintere del piloro, che lo separa dal duodeno.

La mucosa gastrica si presenta sollevata in pliche per le contrazioni della tonaca muscolare. Altrimenti risulta distesa e rende visibili delle aree, dette fossette gastriche, sul cui fondo si trovano molte ghiandole.

Duodeno Dopo lo stomaco, l'apparato digerente riprende la forma di tubo. Il duodeno si trova dietro il peritoneo, è disposto a C e forma un'ansa in cui si adagia la testa del pancreas. La sua mucosa di rivestimento mostra un carattere nuovo: è provvista di sottilissime sporgenze, dette villi intestinali. Importantissimi per l'assorbimento dei principi alimentari, i villi sono comuni a tutto l'intestino tenue. La parete consta di una mucosa, di una tonaca muscolare comprendente due strati, e di una tonaca sierosa solo sulla parete anteriore. Nel duodeno si trova la papilla di Vater, che deriva dalla confluenza del coledoco con il dotto pancreatico di Wirsung, attraverso la quale il chimo, cioè cibo che ha subito l'azione del succo gastrico, entra in contatto con la bile e con i succhi pancreatici.

Intestino tenue

L'intestino tenue è detto anche intestino mesenterico, perché avvolto dal peritoneo e collegato alla parete posteriore dell'addome da una plicatura sierosa della stessa, il mesentere. Comprende due tratti: il digiuno e l'ileo.

I villi intestinali sono estroflessioni della mucosa. La loro presenza moltiplica la superficie di contatto con il materiale contenuto nel canale digerente e disponibile per l'assorbimento dei nutrienti. Ogni villo ha un asse costituito da vasi sanguigni e linfatici, fondamentali per la funzione di assorbimento; è inoltre rivestito di un epitelio di cellule cilindriche dotate, sul versante che dà sul lume, di un insieme di microvilli, digitazioni che aumentano ancora la superficie disponibile per l'assorbimento e che insieme alle cellule produttrici di muco formano il cosiddetto orletto a spazzola.

Intestino crasso

Il primo tratto di intestino crasso è costituito dal colon, suddiviso in quattro regioni: colon ascendente, colon trasverso, colon discendente e sigma (o colon sigmoideo); dove il tenue finisce, inserendosi ad angolo retto nel tratto iniziale del colon ascendente, troviamo la valvola ileocecale, che serve a impedire il reflusso del contenuto del colon nell'intestino tenue. L'inizio del colon è detto intestino cieco, e da esso prende origine l'appendice vermiforme (o appendice cecale), che possiamo considerare un diverticolo cavo comunicante col lume del cieco, ricca di tessuto linfoide.

La superficie esterna del colon mostra tre formazioni a nastro, composte di cellule muscolari lisce, dette tenie coliche. Esse delimitano aree denominate austre. Sulla superficie interna si trovano, in corrispondenza delle tenie, le pliche mucose, dette pieghe semilunari, e in corrispondenza delle austre si trovano le tasche; mancano i villi poiché l'assorbimento avviene solo nell'intestino tenue.

Intestino retto

È l'ultimo tratto del canale digerente e verso la fine presenta un insieme di fibre muscolari lisce che formano lo sfintere interno o involontario, mentre sull'orifizio cutaneo esterno, l'ano, vi sono fibre muscolari striate che costituiscono lo sfintere esterno volontario.

Nel tratto superiore la mucosa del retto mostra pliche trasversali, in quello inferiore invece esse risultano verticali (colonne di Morgagni) e unite in basso a formare i seni rettali. In corrispondenza dell'ano la mucosa intestinale trapassa progressivamente nell'epitelio corneificato, tipico del rivestimento cutaneo.

Fegato Situato nell'ipocondrio destro, il fegato è la ghiandola più grande dell'intero organismo, e può essere considerato il laboratorio principale del metabolismo corporeo. È avvolto quasi interamente dal peritoneo e rivestito da una membrana fibrosa (capsula di Glisson); risulta suddiviso in lobuli al cui centro si trova una vena, detta appunto centrolobulare, che confluendo in vasi via via di maggior diametro viene a formare le vene sovraepatiche. A partire dalla vena centrolobulare si dispongono a raggiera i cordoni di cellule epatiche.

Le cellule epatiche o epatociti formano con le loro pareti delle semidocce che, accostate a quelle di altri epatociti, danno origine a canali detti capillari biliari, perché in essi si riversa la bile prodotta dagli epatociti. Più capillari biliari confluiscono in dotti biliari, fino a formare, per successive confluenze, due dotti distinti che si uniscono poi nel dotto epatico. In questo si innesta il dotto cistico, che proviene dalla cistifellea o colecisti. Dopo di che i secreti provenienti dal dotto epatico e dalla colecisti vengono convogliati al duodeno dal coledoco, che sbocca alla papilla di Vater. La colecisti è una sacchetta che funge da serbatoio e concentra la bile prodotta costantemente dagli epatociti.

Il fegato è diviso in un lobo destro e in un lobo sinistro dal solco anteroposteriore visibile sulla faccia superiore dell'organo. La faccia inferiore invece presenta due solchi paralleli (fosse sagittali) riuniti da un terzo solco, detto solco trasverso; nell'insieme si viene a disegnare una sorta di H che delimita altri due lobi epatici: il lobo quadrato e il lobo caudato. Al solco trasverso corrisponde l'ilo del fegato, che costituisce il punto d'ingresso della vena porta e dell'arteria epatica e di uscita dei dotti biliari.

Pancreas È l'altra grossa ghiandola extraintestinale, che fa parte dell'apparato digerente almeno per la sua componente esocrina: secerne infatti molti enzimi digestivi. Il pancreas si trova in posizione retroperitoneale (cioè il peritoneo gli passa davanti e non lo riveste) ed è separato dallo stomaco, che gli sta davanti, dalla cavità virtuale detta retrocavità degli epiploon. È grossolanamente suddivisibile in una testa che a destra si adagia nella "C" duodenale, un corpo e una coda, costituita dall'estremità sinistra che raggiunge la milza. Le secrezioni pancreatiche si riversano nell'intestino percorrendo il dotto di Santorini e il dotto di Wirsung, infine sfociano alla papilla di Vater nel duodeno. Nel corpo e nella coda, soprattutto, sono rappresentate in gran numero le isole di Langerhans, che fanno parte del pancreas endocrino, il quale appartiene al sistema endocrino.

Peritoneo È la membrana sierosa composta da mesotelio che avvolge quasi tutto il canale digerente e tappezza la cavità addominale. Il peritoneo riflettendosi sugli organi addominali forma i mesi, ossia le pliche in cui decorrono i vasi e i nervi a quelli destinati.

L'ALLENAMENTO

"Per allenamento sportivo si intende l'insieme delle procedure effettuate per migliorare la prestazione sportiva. Indica quindi un complesso processo pedagogico che si pone l'obiettivo di intervenire in forma pianificata e organizzata mediante la ripetizione dell’esercizio fisico in maniera costante e progressivamente crescente in quantità e qualità al fine di accrescere l’efficienza fisica e quindi la capacità di prestazione." (C.Vittori)

La capacità di prestazione è determinata in massima parte dallo sviluppo delle capacità motorie e dal livello di apprendimento delle abilità specifiche. Per procedure si intendono gli esercizi e le esercitazioni che compongono il carico di allenamento. Il carico per produrre adattamenti deve essere:

• Progressivo • Crescente • Costantemente somministrato

Il carico non produce in tutti gli stessi adattamenti e soprattutto ognuno ha tempi di adattamento diversi. Il carico ha due parametri: il volume (quantità) e l'intensità (qualità). Un esempio pratico: Un atleta si prepara per una gara di 5 km. Quando lavorerà sul volume correrà un maggior numero di km rispetto a quelli di gara (p.es. 8 km) ad una velocità più bassa, quando lavorerà sull'intensità correrà alla velocità che intende portare in gara naturalmente riducendo quindi i km. Nell'allenamento sono presenti la figura di chi si allena (atleta) e la figura di chi indirizza l'allenamento (allenatore)

COSA VIENE ALLENATO Vengono allenate le capacità motorie ( vedi post LE CAPACITÀ MOTORIE) In particolare quelle condizionali: rapidità, forza, resistenza, mobilità articolare, ma anche quelle coordinative e le abilità ad esse collegate. Le capacità condizionali: riguardano lo sviluppo dei vari organi e apparati:

· rapidità dipende dal sistema neuro muscolare · forza dipende dal sistema neuromuscolare · resistenza dipende dal sistema cardiocircolatorio e respiratorio · mobilità articolare dipende dal apparato muscolo scheletrico

Le capacità coordinative dipendono principalmente dal sistema nervoso. TIPI DI ALLENAMENTO Allenamento di condizione: Riguarda il miglioramento o il mantenimento dell’efficienza delle capacità condizionali Allenamento tecnico: Riguarda l’apprendimento e il perfezionamento di abilità specifiche. Differenza tra abilità e capacità

· Le capacità sono innate e le sviluppiamo durante la crescita in maniera diversa in base a diversi fattori (genetici, sessuali, ambientali, ecc.)

· Le abilità si apprendono, ma il livello di apprendimento e il perfezionamento è

strettamente legato allo sviluppo delle capacità coordinative. es. la tecnica della corsa ad ostacoli si apprende, ma il risultato tecnico è strettamente connesso allo sviluppo del senso ritmico, della capacità di differenziazione, di equilibrio, ecc.)

Allenamento tattico: è relativo soprattutto ai giochi di squadra e riguarda le strategie da adottare per raggiungere un obbiettivo. E’ strettamente connesso sia alle capacità tecniche e di condizione della propria squadra sia a quelle degli avversari. Oltre alle capacità condizionali e alle abilità tecniche degli atleti gioca un ruolo fondamentale la capacità di anticipazione e di reazione.

I CONTENUTI DELL'ALLENAMENTO Vengono organizzati all'interno di piani di allenamento che hanno come obiettivo quello di migliorare le capacità specifiche per la prestazione che si deve allenare. Lontano dalla gara o all'inizio di un programma di allenamento si lavora più su esercitazioni generali e sul volume, mentre vicino alla gara più su esercizi specifici e quindi sull'intensità. Queste pianificazioni o periodizzazioni si concretizzano nelle lezioni o sedute di allenamento. La lezione o seduta di allenamento si divide in tre fasi: 1^fase:, il " Riscaldamento " ha una funzione preparatoria ed è estremamente importante sia perché attiva le varie funzioni del corpo (fa "salire di giri" il motore!), sia perché previene infortuni. Consta in genere di due parti:

- Riscaldamento generale: con una fase di attivazione cardio vascolare ( corsa, giochi a ritmo blando, andature, ecc) e una fase di attivazione muscolare e articolare ( stretching, mobilità articolare, andature, skip, esercizi di potenziamento muscolare

generale. - Riscaldamento specifico: riguarda l'attivazione di quei meccanismi neuro muscolari

collegati all'aspetto tecnico dell'attività che ci prefiggiamo di fare nella parte centrale.

2^ fase: È la parte principale, in cui si perseguono gli obiettivi programmati per quella particolare seduta. Può essere un allenamento tecnico e/o tattico, un allenamento di condizione, o misto. 3^ fase: Il "defaticamento" ha l'obiettivo di favorire il ritorno ad una condizione di normalità dopo lo sforzo.

COME AGISCE L'ALLENAMENTO Il carico (stimolo allenante) porta a una variazione dell'equilibrio biochimico dell'organismo . Per essere meglio preparato a futuri carichi dello stesso tipo, il corpo reagisce con un adattamento, dal quale risulta un migliore stato funzionale (supercompensazione). Il nostro corpo si caratterizza per la capacità che ha di adattarsi a stimoli esterni (o anche interni) che vanno a variare le sue condizioni di equilibrio organico funzionale. in condizioni normali il nostro corpo ha un certo livello di efficienza funzionale e di energia. quando arriva un qualcosa a stressarlo (nello specifico un carico allenante), dopo un primo momento di riduzione di questi livelli, il corpo durante il recupero provvede non solo a ripristinare i livelli iniziali, ma ad incrementarli per essere pronto ad ulteriori stress. Questo incremento rispetto ai livelli iniziali va sotto il nome di supercompensazione.

Affinché ci sia supercompensazione è importante che gli stimoli allenanti (carichi) siano:

· Progressivamente più intensi · Costanti · Diversificati

Un ruolo fondamentale lo gioca quindi il riposo in cui c’è il ripristino dell’ efficienza fisica. Se questo è: troppo lungo si perdono gli effetti della supercompensazione e non si ottiene miglioramento; se è troppo breve il corpo non riesce a recuperare e pertanto si finisce per accumulare fatica e per sconfinare nel sovrallenamento (superaffaticamento). IL SOVRALLENAMENTO Il termine sovrallenamento descrive una serie di sintomi causati, sostanzialmente, da un alterato rapporto tra allenamento e recupero. Il sovrallenamento si può manifestare tramite uno dei seguenti sintomi:

· battito cardiaco a riposo accelerato · fatica eccessiva durante l'allenamento · apatia, insonnia, irritabilità, depressione · amenorrea (nelle donne) calo eccessivo di peso · perdita di appetito · abbassamento delle difese immunitarie · variazioni ormonali: eccesso di cortisolo, ACTH e prolattina · indolenzimento muscolare cronico, e problemi articolari

I TRAUMI PIU' COMUNI NELLA PRATICA SPORTIVA

Le più comuni lesioni negli sport sono quelle relative agli apparati del movimento (scheletrico e muscolare) con contusioni, distorsioni, lesioni a tendini, muscoli ed articolazioni fino alle fratture e alle lussazioni.

Strappo muscolare Si verifica quando uno o più muscoli sono stati superestesi o strappati in seguito ad un movimenti improvviso o imprevisto. E’ caratterizzato da dolore violento e improvviso a livello della lesione con rigidità del muscolo e/o crampi. Edema nel punto della lesione. Fate assumere all’infortunato la posizione più comoda, applicate una borsa di ghiaccio o una compressa imbevuta d’acqua fredda se lo strappo si è appena prodotto. Immobilizzate e sostenete la zona lesa con un bendaggio e sollevate l’arto colpito. Distorsione Si verifica a livello di un’articolazione quando si ha stiramento o lesione della capsula articolare e dei legamenti. Provoca dolore e ipersensibilità intorno all’articolazione, acuiti dal movimento. Edema e successiva comparsa di ecchimosi. Sistemate e sostenete la zona lesa in maniera confortevole. Mettete a nudo l’articolazione e, se la distorsione è recente, applicatevi una borsa di ghiaccio o una compressa imbevuta di acqua fredda. Lussazione E’ la perdita permanente, per distacco violento, dei rapporti fra capi articolari. L’infortunato accusa dolore molto intenso nella zona dell’articolazione. Il movimento è impossibile, l’articolazione lesa sembra deformata, edema e più tardi, ecchimosi nel punto di lesione. Frattura E’ l’interruzione completa o incompleta della continuità di un osso. Le fratture si classificano in due gruppi, chiuse ed esposte, entrambe possono complicarsi. La frattura chiusa non lede la superficie cutanea. Si ha frattura esposta quando l’estremità di un osso rotto è uscita all’estero oppure una ferita raggiunge la frattura. Lo scopo fondamentale del soccorritore è d’impedire qualsiasi movimento a livello della lesione. In tutti i casi chiamare il soccorso qualificato. Il paziente non dovrebbe essere spostato se ciò non è assolutamente necessario. Mettetelo nella

posizione più confortevole possibile, immobilizzate la parte lesa ed aspettate l’arrivo del soccorso. Epistassi (Emorragia dal naso): E’ una situazione abbastanza comune dovuta ad una emorragia dei vasi sanguigni presenti nelle fosse nasali. Tuttavia del liquido tinto di sangue che esce dal naso può essere indicativo di una frattura cranica. Fate sedere l’infortunato con la testa leggermente china in avanti, slacciategli gli abiti intorno al collo e al torace. Consigliategli di respirare con al bocca e di pinzare il naso con due dita. Se ha del sangue in bocca fateglielo sputare, perché il sangue deglutito provoca nausea e vomito. Dopo 10 minuti smettete la pressione alle narici. Se il sangue non è cessato continuate il trattamento per altri 10 minuti. Non fategli mai sollevare il capo. Sempre tenendo la testa china, consigliategli di pulire delicatamente attorno al naso e alla bocca con un telo pulito imbevuto di acqua tiepida. Non toccate il naso. A emorragia cessata, consigliategli di non fare sforzi e di non soffiare il naso per almeno 4 ore, per non impedire la formazione del coagulo. Se l’emorragia continua per più di 30 minuti, o riprende, chiamate il medico. Ferite e abrasioni Le piccole ferite vanno lasciate sanguinare per qualche secondo in quanto si contribuisce a pulire le stesse dalla sporcizia e dai microrganismi. Se la ferita è di poco conto, dopo esservi lavati bene le mani, lavatela bene con acqua corrente, pulite accuratamente la pelle circostante con acqua e sapone e asciugate la pelle dal centro della ferita verso l’esterno rinnovando via via la compressa e tamponando dolcemente per non eliminare il coagulo in formazione. Se continua a sanguinare effettuate la compressione locale quindi ricoprite le piccola ferita con un cerotto e tenete sollevata la parte lesa. Per la disinfezione non ricorrete a pomate o polveri, ma solo a disinfettanti quali l’Acqua Ossigenata. Per ferite di maggiore entità, fermare l’emorragia con materiale pulito, Evitare di usare disinfettanti direttamente sulla stessa, ma eventualmente pulire i bordi con movimenti che vanno dal bordo della ferita verso l’esterno ALTRI TRAUMI COMUNI Emorragie Provvedimenti in caso di forte emorragia esterna: • Adagiare l’infortunato in posizione supina (la perdita massiva di sangue causa una diminuzione di pressione con conseguente possibilità di svenimento.

• Comprimere la ferita con garza, fazzoletti, materiale pulito (se non vi sono fratture nella stessa zona). Per arrestare un’emorragia senza interferire col resto della circolazione, si deve premere direttamente sulla ferita. Questo tamponamento comprime i vasi sanguigni sul posto e rallenta il flusso del sangue, favorendo la formazione di un coagulo. Il tamponamento deve essere mantenuto da 5 a 10 minuti, per evitare la ripresa spontanea dell’emorragia. Se l’emorragia è su un arto, può essere arrestata con la compressione a monte della ferita, sempre tra la ferita e il cuore. Questo metodo viene usato per controllare l’emorragia arteriosa. Il punto di compressione è il luogo dove potete comprimere un’arteria contro l’osso sottostante per impedire il flusso del sangue oltre questo punto. Tuttavia, poiché questa compressione impedisce la circolazione del sangue nei tessuti di tutto l’arto, questo metodo deve essere usato solo quando la compressione locale è impossibile o inefficace. Non applicare mai lacci emostatici, soprattutto con materiale improvvisato, poi difficile da rimuovere, se non in caso di estremo bisogno e come ultimo rimedio dopo che tutti gli altri non hanno avuto successo. In tal caso segnare l’ora di applicazione, l’uso del laccio emostatico può causare gravi lesioni all’arto ed anche la morte. Le emorragie interne non sono visibili e quindi localizzabili. Ustioni Le ustioni sono classificate in vari gradi a seconda della gravità del danno presente ai tessuti: • Primo grado: arrossamento della cute a volte molto doloroso ma generalmente non grave (es. scottatura solare). Sono interessati solo gli strati più superficiali della pelle. • Secondo grado: oltre ad un arrossamento si formano sacche di liquido sieroso (vescicole). Sono interessati strati più profondi della pelle senza però danni permanenti (a patto di cure appropriate). • Terzo grado: il tessuto appare secco e nerastro a causa della sua distruzione. Solo un intervento di chirurgia plastica può riparare il danno causato. • Vi sono altri gradi, di competenza però prettamente medica. La gravità di un ustione non è data solo dal grado, ma anche dalla sua estensione. E’

comunque da sottolineare che può essere senz’altro più grave (fino al pericolo di morte) un’ustione di primo grado generalizzata (grave scottatura solare) di un ustione di terzo grado localizzata. Per questo è sempre bene non sottovalutare mai un’ustione e sentire comunque il parere del medico. Tutte le ustioni vanno immediatamente raffreddate con abbondante acqua corrente e in seguito ricoperte con materiale pulito. Per ustioni alle dita, separare le stesse con garze bagnate. Per ustioni agli occhi, coprite entrambi (anche se uno solo è coinvolto) con garze bagnate. Non cercate mai di staccare oggetti o 00vestiti bruciati adesi alla pelle del paziente, ma lavare il tutto abbondantemente con acqua corrente e coprire con materiale pulito. La prassi da seguire per le ustioni chimiche è la stessa delle ustioni termiche, tranne i casi in cui le sostanze chimiche possono reagire con l’acqua (es. calce viva). In questi casi bisogna prima rimuovere le sostanze con le dovute cautele. Ustioni e scottature minori: Mettete la parte ustionata sotto acqua corrente fredda (ma con getto moderato) o immergetela in acqua fredda per 10 minuti, più a lungo se il dolore persiste. Se non è disponibile acqua, usate qualsiasi liquido freddo innocuo come latte o birra. Togliete delicatamente anelli, braccialetti, orologi, cinture, scarpe o abiti intorno alla parte ustionata prima che incominci a gonfiare. Ricoprite la zona con tessuto pulito, possibilmente sterile, che non perda peli. Non applicate cerotti, non applicate mai alcool, pomate, oli o grassi sull’ustione, non forate le vescicole, non asportate i lembi di pelle e non intervenite in alcun modo sull’ustione.

ESERCIZIO FISICO E BENESSERE

Il concetto di BEN-ESSERE è strettamente legato a quello di salute. Per salute si intende uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale (OMS) Si passa da una concezione di salute “statica”, vista come assenza di malattia ad una “dinamica” che riconosce lo stato di salute come adattabilità. La salute è determinata principalmente da fattori genetici, ambientali e da ciò che mettiamo in atto in termini di prevenzione Pertanto l’educazione alla salute promuove attività che favoriscono comportamenti responsabili a sostegno della salute e del benessere individuale e collettivo. I pilastri dell’educazione alla salute sono:

• Attività fisica, alimentazione, sonno • Prevenzione • Educazione all’ambiente e alla cittadinanza

Attività fisica, alimentazione, sonno Abbiamo detto prima che lo stato di salute è basato sull’adattabilità: il nostro corpo ha da sempre la capacità di adattarsi, questo però può avvenire sia in meglio che in peggio. L’attività fisica, l'allenamento rappresentano un adattamento che aumenta la nostra disponibilità energetica, la nostra efficienza fisica e dunque le nostre potenzialità Anche la sedentarietà comporta una forma di adattamento, ma è un adattamento in diminuzione: il nostro corpo si adatta a richieste energetiche sempre più basse riducendo progressivamente la propria efficienza fisica La sedentarietà:

• E’ al II° posto tra i fattori di rischio delle malattie dopo il fumo di tabacco • E’ responsabile dell’ 80% delle cardiopatie insieme al fumo e alla cattiva

alimentazione • Fa aumentare le patologie degenerative dovute all’età • Predispone al sovrappeso e all’obesità

Gli effetti negativi della sedentarietà sull’Apparato cardio circolatorio:

• La struttura cardiaca perde elasticità e quindi forza contrattile; • Aumenta la pressione arteriosa perché anche i vasi sanguigni diventano meno

elastici, più rigidi anche perché più facilmente si accumulano grassi lungo le pareti. Il corpo per far circolare adeguatamente il sangue è costretto ad aumentarne la pressione e questo

aumenta di conseguenza il rischio di ictus e infarto Effetti negativi della sedentarietà sull’apparato muscolo scheletrico

• Fa perdere tonicità ai muscoli • Riduce la mobilità articolare • Riduce il ricambio osseo • Aumenta quindi il rischio di traumi, paramorfismi, artrosi, osteoporosi, ernie

Effetti negativi della sedentarietà sul metabolismo La sedentarietà aumenta il rischio di sovrappeso dovuto al rallentamento metabolico e al conseguente aumento della massa grassa Il sovrappeso

• La quantità di cibo da assumere giornalmente deve essere in relazione ai consumi della nostra giornata

• Le entrate devono essere pari alle uscite. • Se le entrate sono superiori il corpo “ingrassa”

I pericoli del sovrappeso e dell’obesità Non è solo un problema estetico: è una vera patologia; va curata perché può mettere in pericolo il buon funzionamento del nostro corpo. In particolare compromette il funzionamento:

• dell'apparato cardiocircolatorio (maggiore rischio di infarto e ictus) • dell’apparato scheletrico (dolori e degenerazioni a carico alle articolazioni

degli arti inferiori, mal di schiena).

Quanto mangiare? Per rispondere a questa domanda è fondamentale conoscere la composizione degli alimenti e il loro apporto calorico per poter calcolare le “entrate”. Per ciò che attiene le "uscite" entrano in gioco due fattori:

• metabolismo basale (energia necessaria per il fabbisogno energetico a riposo). Questa quota dipende dalla struttura fisica, dall'età, dal sesso, dal periodo di accrescimento;

• energia necessaria per svolgere le normali attività quotidiane e l'eventuale attività fisica periodica.

Come mangiare? E’ bene sottrarsi alla “moda delle diete” e alle “diete di moda”! Non esistono infatti diete “miracolose” che vanno bene per tutti. Alimenti notoriamente salutari possono essere dannosi per altri o comunque diventarlo se ingeriti costantemente. Il regime alimentare deve essere improntato alla varietà, seguendo la piramide nutrizionale e adattandola all’età, allo stile di vita, al sesso e ad eventuali patologie. Metabolismo ed attività fisica Non tutti hanno lo stesso metabolismo, alcuni hanno un metabolismo accelerato, altri rallentato. Un metabolismo rallentato oltre che alla sedentarietà può essere dovuto a patologie ormonali o a disfunzioni metaboliche. Quale esercizio fisico? I lavori aerobici (di resistenza) come walking, running, cardiofitness, ecc.

• Migliorano l’efficienza dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio • Accelerano il metabolismo dei grassi

I lavori di forza e di tonificazione come gymtonic, pesistica,

• Migliorano l’efficienza muscolare (maggiore capacità di contrazione, maggior elasticità miglior tono muscolare)

• Offrono un miglior sostegno della struttura scheletrica • Hanno una funzione positiva sulle cellule ossee (ossa più forti) • Tutto ciò riduce il rischio di traumi

I lavori di mobilità articolare (pilates, posturale, yoga flying, ecc.) soprattutto quelli a carico della colonna vertebrale hanno una funzione preventiva sull’insorgenza di

• Patologie articolari quali artrosi, artrite, ernie discali • Traumi quali distorsioni, lussazioni, fratture ecc.

Il sonno Il sonno è fondamentale per il riposo e la rigenerazione e un’eventuale carenza è causa di molteplici disturbi. Tuttavia un buon sonno non è legato solo al numero di ore ma anche alla qualità del sonno. La qualità del sonno dipende da diversi fattori, uno tra questi è l’orario del sonno, che è strettamente legato al Ritmo Circadiano e alle fasi di luce e buio. Per esempio la melatonina sostanza che favorisce il sonno, diminuisce con la luce del giorno per favorire il risveglio. Le fasi di sonno Non Rem (sonno profondo) sono più lunghe rispetto alle fasi Rem nella prima parte della notte. Inoltre ci sono alcuni nemici del sonno come una cena troppo pesante con conseguente digestione troppo laboriosa, alcolici, caffeina, apparecchi elettronici (soprattutto quelli che emettono luce blu). 4 regole per il benessere:

1. Una alimentazione sana e bilanciata

2. 30’ di attività fisica o come dicono alcuni esperti 10000 passi al giorno

3. Un numero adeguato di ore di sonno

4. Evitare stili di vita dannosi (fumo, alcool e droghe)

Benessere e tecnologia La tecnologia aiuta il monitoraggio del nostro benessere, dalle app dello smartphone come RUNTASTIC, RUNNING WALKING FITNESS,WORKOUT MIX MUSIC PLAYER, ecc. che sono specifiche per le attività fisica del camminare e correre ai FITBIT che sono orologi che sincronizzati con smartphone o pc e ci danno informazioni relative ai passi, ai km percorsi, alle calorie e al sonno.

LA PALLAVOLO La Pallavolo nasce negli Stati Uniti nel 1896 fu inventata da William G. Morgan, coordinatore di educazione fisica dell'YMCA del Massachussetts, che la descriveva come "un gioco che si può praticare in palestra o all'aperto e che consiste nel lanciare una palla da una parte all'altra di una rete; gli avversari debbono impedire che la palla tocchi il suolo". Il campo

Il terreno di gioco è un rettangolo di m 18 x 9 Il campo è diviso in due dalla linea di metà campo In ogni metà campo viene tracciata la linea d'attacco a 3 m di distanza da quella di

centro campo, per delimitare la zona d'attacco.

La rete è disposta ad un'altezza di 2,43 m per gli uomini e di 2,24 m per le donne Una squadra conquista un punto:

quando la palla cade a terra nel campo opposto; quando la squadra avversaria commette un fallo; quando la squadra avversaria riceve una “penalizzazione”

La partita è divisa in SET Per vincere una partita bisogna vincere 3 dei 5 set

Un set (eccetto il 5° decisivo set) è vinto dalla squadra che per prima consegue 25 punti con uno scarto di almeno due punti. Nel caso di parità di set, 2-2, il set decisivo

(5°) è giocato a 15 punti con uno scarto di almeno due punti. Ogni squadra è formata da 6 giocatori I tre giocatori posizionati lungo la rete sono gli avanti ed occupano le posizioni:

4(sinistro-avanti), 3 (centro-avanti) e 2 (destro-avanti). Gli altri tre sono i difensori occupanti le posizioni:

5 (sinistro-dietro), 6 (centro-dietro) e 1 (destro- dietro). Il LIBERO è il giocatore che in campo indossa una maglia di colore diverso. Ha un ruolo difensivo e non può compiere azioni d’attacco. Quando la squadra in ricezione conquista il diritto a servire, i suoi giocatori debbono ruotare di una posizione in senso orario: il giocatore di posizione 2 si porta nella posizione 1 per servire, il giocatore in 1 si porta in 6, ecc. I fondamentali individuali Per "fondamentale" si intende un'azione specifica che compie il giocatore di pallavolo Il palleggio

• Si effettua con due mani contemporaneamente • Serve ad “alzare” la palla ad un compagno che si prepara a “schiacciarla” • Oppure a rimandarla nel campo avversario

Il bagher L'uso del bagher è legato soprattutto alla ricezione della battuta, alla difesa e in qualsiasi altro tocco dove la palla è troppo bassa per essere palleggiata o schiacciata. La schiacciata E’ il fondamentale che si identifica con l'attacco È il colpo o lo "schiaffo" che si dà alla palla, con una sola mano, cercando generalmente di colpire il più forte possibile affinché l'avversario non riesca a giocarla. Il muro Si chiama "muro" la parete formata dagli arti superiori che uno o più giocatori di prima linea possono innalzare oltre la rete al fine di arrestare il colpo avversario Il servizio Si chiama "servizio" il colpo netto che mette in gioco la palla inviandola nel campo avversario.

LE REGOLE

· Un “tocco” è qualsiasi contatto della palla con un giocatore in gioco. · La palla deve essere colpita con un “tocco” netto · Ogni squadra ha diritto ad un massimo di tre tocchi (oltre quello di muro) per

rinviare la palla. · Il contatto della palla da parte del muro non è conteggiato come un tocco di

squadra · Conseguentemente, dopo il tocco del muro, la squadra ha diritto a tre tocchi per

rinviare la palla. · Il primo tocco dopo il muro può essere effettuato da qualsiasi giocatore, compreso

quello che ha toccato la palla a muro Le infrazioni di “tocco” della palla

· QUATTRO TOCCHI: una squadra tocca la palla quattro volte prima di rinviarla · Palla TRATTENUTA o ACCOMPAGNATA · DOPPIO TOCCO: un giocatore tocca la palla due volte consecutivamente o la

palla tocca successivamente varie parti del suo corpo Le invasioni Il contatto con la rete non è fallo, eccetto quando un giocatore la tocca durante la sua azione di giocare la palla o interferisce con il gioco avversario. Falli sul servizio Non si può rispondere al servizio con schiacciata o muro o comunque colpire la palla sopra il bordo superiore della rete. LA DIFESA Uno degli schemi più comuni è la Ricezione a W : il giocatore che non partecipa all’azione è quello che ha il compito di costruire l’attacco e cioè di alzare la palla per gli attaccanti.

L’ATLETICA LEGGERA L'Atletica leggera è un insieme di discipline sportive che possono essere sommariamente suddivise in: CORSE, SALTI E LANCI

Le origini dell’atletica leggera sono molto antiche proprio perché, essendo il correre, il saltare e il lanciare movimenti naturali, da sempre si è cercato il più veloce o quello che lanciava più lontano. Nelle Olimpiadi dell’Antica Grecia le gare di corsa, di salto in lungo, di lancio del disco e del giavellotto non erano molto diverse da quelle che caratterizzano l’atletica leggera moderna. Celebri testimonianze anche nella scultura classica, il famoso discobolo di Mirone ne è un esempio. Una curiosità: Oggi noi chiamiamo stadio il campo sportivo, in realtà questo nome indicava nell’antica Grecia una misura, lo “stadio“ appunto, che corrisponde all’incirca ai nostri 200m. Lo stadio era una gara di corsa che corrispondeva al giro completo del campo.

Il campo di atletica è composto dalla pista formata da 6-8 corsie dove si svolgono le gare di corsa e di marcia e una parte interna o esterna alla pista dove ci sono le pedane per le gare di salti e di lanci. La pista misura al cordolo interno 400m Le CORSE si dividono in : •Corse di velocità •Corse di resistenza Le corse di velocità si dividono in: •Corse ad ostacoli (100hs f- 110 hs m-400hs) •Corse piane (100 – 200 – 400)

•Staffette (4x100 – 4x400) In tutte le gare di velocità è prevista la partenza dai blocchi che sono dei supporti regolabili per i piedi. Assumendo una particolare posizione carponi i blocchi servono ad aiutare l’accelerazione dopo il segnale di partenza. Inoltre nelle gare di velocità è obbligatorio correre tutta la gara nella propria corsia Le corse ad ostacoli consistono in gare di velocità che prevedono il superamento di 10 ostacoli. L’altezza di questi varia in base alla categoria e alla gara. Nelle gare dei 100hs femminili e dei 110hs maschili gli ostacoli sono più alti e più vicini uno all’altro mentre nelle gare di 400 hs gli ostacoli sono più bassi e più distanti l’uno dall’altro. Gli ostacoli vanno superati e non saltati intendendo con questo che il movimento di scavalcamento deve essere il più rapido possibile e deve mirare a modificare il meno possibile il ritmo della corsa. La staffetta è l’unica specialità dell’atletica leggera ad essere a squadre. Ogni staffetta è composta da quattro atleti che percorrono ognuno 100 m nella 4x100 e 400m nella 4x400.

Nella staffetta 4x100m la pista è divisa in 4 frazioni ognuna delle quali assegnata ad un frazionista. Tra la prima e la seconda frazione, tra la seconda e la terza e tra la terza e la quarta si trova una zona di cambio che misura 20m in cui avviene il passaggio del testimone. Prima di questa zona esiste una zona di precambio che misura 10 m in cui l’atleta che deve ricevere il testimone può cominciare a correre ma non può prendere il testimone. Se il cambio avviene fuori dalla zona di cambio la squadra viene squalificata.

Corse di resistenza •corse di mezzofondo (800 -1500m) •corse di fondo (3000 siepi, 5000m, 10000m, maratona) •marcia Nei 3000 siepi gli atleti devono percorrere 3000 m in pista, con la difficoltà di dover saltare durante la gara 5 ostacoli per ognuno dei 7,5 giri da 400 m da effettuare. Dei 5 ostacoli del giro, quattro sono barriere mobili posizionate sulla pista. Invece il penultimo ostacolo consiste in una barriera simile alle altre, con la differenza che dopo l'ostacolo c'è una vasca piena d'acqua, scavata all'interno della pista, chiamata “riviera” La Maratona è la gara più lunga dell’atletica e misura 42,195 km, nelle manifestazioni internazionali su pista, la partenza e l’arrivo avvengono in pista ma la gara si svolge sulle strade cittadine. Per il resto la Maratona è una gara che si svolge su strada; famose le Maratone di New York, di Londra, di Roma, ecc. La gara si svolse la prima volta alle Olimpiadi di Atene del 1896 per celebrare un personaggio dell’antichità: Filippide, un soldato greco che fece di corsa la strada tra Maratona e Atene per portare la notizia della vittoria degli ateniesi sui persiani. Per lo sforzo dopo il suo arrivò morì e la distanza di poco più di 40 km è proprio la distanza tra Atene e Maratona.

Marcia: consiste in una progressione costante ed armonica di passi eseguita in modo tale che l'atleta mantenga il contatto con il terreno almeno con uno dei due arti inferiori. La gamba avanzante deve essere tesa al momento del contatto con il terreno. SALTI Le gare di salto così come quelle di lancio sono chiamate anche concorsi perché l’atleta può ripetere la prova più volte per migliorare la prestazione I salti si dividono in Salti in estensione: Salto in lungo, Salto triplo Salti in elevazione: Salto in alto, Salto con l’asta Tutti i salti hanno 4 fasi in comune:

• Rincorsa • Stacco • Fase di volo • Atterraggio

Ogni saltatore dispone di tre salti per migliorare la prestazione; i primi 6-8 atleti

effettuano poi altri tre salti. L’atterraggio nei salti in estensione è particolarmente importante ai fini del risultato, mentre nei salti in elevazione è importante ai fini della sicurezza dell’atleta. Il salto in lungo si effettua su una pedana composta da un rettilineo al termine del quale si trova una buca di circa 8 m di lunghezza riempita di sabbia. A uno o due metri dalla buca si trova l’asse di battuta, un asse di legno su cui è posta della plastilina. L’atleta effettua la rincorsa e prima dell’asse di battuta effettua lo stacco. Se il piede tocca la plastilina il salto è nullo. Il salto triplo si effettua sulla stessa pedana ma lo stacco è posto a 13m (cambia a seconda delle categorie) e lo spazio tra lo stacco e la buca viene coperto da passi particolari: un balzo sulla stessa gamba, un passo e infine il salto in buca.

Il salto in alto prevede una pedana formata da due ritti su cui è poggiata un’asticella e da due grandi materassi che costituiscono la zona di caduta. La rincorsa è costituita da una parte rettilinea (quella iniziale) e una seconda curvilinea che serve all’atleta per trovarsi nella posizione ideale per valicare l’asticella dorsalmente e ricadere poi sui materassi.

La pedana del salto con l’asta è costituita da un rettilineo al termine del quale si trova una zona di salto, simile al salto in alto, ma di dimensioni molto più grandi. Al termine della rincorsa l’atleta valica l’asticella con l’aiuto di un’asta. LANCI Nelle gare di lancio l’atleta deve lanciare il più lontano possibile un attrezzo , con un solo braccio e senza oltrepassare col proprio corpo la pedana.

•Lancio del peso : si effettua su una pedata circolare e con un attrezzo di forma sferica. Per essere regolare, l’attrezzo non può essere staccato dal collo fino al momento del lancio.

•Lancio del disco: si effettua su una pedana circolare più grande di quella del peso e circondata da una gabbia con una sola apertura sul settore di lancio. La gabbia serve a proteggere gli spettatori, i giudici e gli altri concorrenti dalla perdita dell’attrezzo da parte dell’atleta durante i giri di accelerazione che precedono il lancio. L’attrezzo ha la forma di un disco con un ispessimento nel centro. •Lancio del martello: si effettua sulla stessa pedana del disco e con le stesse modalità, ma l’attrezzo è costituito da una sfera tipo il peso legata ad un’asticella di ferro alla cui estremità c’è una maniglia che serve all’atleta per impugnare l’attrezzo.

•Lancio del giavellotto: si effettua su una pedana rettilinea e con un attrezzo simile ad una lancia. Al termine della rincorsa l’atleta scaglia l’attrezzo il più lontano possibile.

IL BASEBALL

Il baseball viene giocato su un campo a forma di quarto di cerchio, suddiviso in territorio buono e in territorio foul. Nel territorio buono sono poste, su un quadrato di mt. 27,43 di lato, le "basi": i cuscini di 1^ 2^ e 3^ base ed un pentagono di gomma detto "casa base" o "piatto". A mt. 18,44 dalla casa base, sulla diagonale della 2^ base, è posta la pedana del lanciatore.

Una partita si compone, normalmente, di 9 riprese o "innings". Ogni ripresa è suddivisa in due fasi, "battuta" o attacco e "difesa". Una ripresa termina quando una squadra si è alternata sia alla battuta sia alla difesa. Una fase ha termine quando tre giocatori dell'attacco vengono eliminati. Ogni squadra è formata da 9 giocatori più le riserve che assumono, quando la squadra è in difesa, le posizioni di: lanciatore, ricevitore, prima base, seconda base, terza base, interbase, esterno sinistro, esterno centro ed esterno destro. Solo la squadra che è alla battuta può segnare punti ed i suoi giocatori si presentano alla battuta uno per volta, secondo un ordine prestabilito, assumendo il nome di "battitori". Il battitore deve tentare di battere le palline lanciategli (dal lanciatore) che attraversano "l'area dello strike" o "area di battuta", cioè quello spazio sopra la casa base compreso tra la linea delle ginocchia e la linea delle ascelle. Se le lascia passare o tenta di batterle senza riuscirsi, l'arbitro gli chiamerà uno strike. Dopo tre strike il battitore è eliminato.

Sarà pure eliminato se la pallina da lui battuta verrà presa al volo o se verrà tirata da un difensore in 1^ base prima che lo stesso battitore raggiunga tale traguardo. Se la pallina lanciatagli non attraversa l'area dello strike, l'arbitro chiamerà un ball a suo favore; dopo 4 ball il battitore acquisisce di diritto la prima base. Riassumendo, compito del lanciatore è di ottenere o con tre strike o concedendo delle battute pessime, l'eliminazione dell'avversario. Compito del battitore è raggiungere salvo la prima base, o con una buona battuta o con una base per ball. Il battitore, non appena batte la pallina, o non appena guadagna la 1^ base per ball, diventa "corridore" e da questo momento costituisce, per la squadra in difesa, il principale pericolo, poichè egli può segnare un punto. Infatti, approfittando o di una battuta di qualche suo compagno di squadra, o degli errori dei difensori, o "rubando" le basi successive, tenterà di raggiungere (dopo aver toccato tutte le basi nell'ordine), il piatto di casa base dove segnerà un punto.

La difesa può eliminare un corridore se riesce a toccarlo, mentre egli non è a contatto con una base, con la mano che tiene saldamente la pallina, oppure eliminandolo facendo arrivare la pallina al difensore a contatto con la base verso cui stà dirigendosi detto corridore, quando quest'ultimo è costretto ad andarci per liberare la base su cui si trova (gioco forzato). Se un battitore colpisce la pallina in maniera da mandarla al di là della recinzione esterna del campo corrispondente al territorio buono, ottiene un "fuori campo"; nel qual caso a diritto a compiere l'intero giro delle basi conquistando egli un punto più gli eventuali punti dei compagni che si trovavano sulle basi (non potendo la difesa recuperare la pallina per tentare di eliminarli). Vince la squadra che segna più punti in nove riprese. Nel Baseball non esiste il pareggio. Se dopo nove riprese il punteggio è in parità si continua ad oltranza, fino a quando non si termina un inning completo con una delle due squadre in vantaggio. A parte le partite delle squadre giovanili, nel Baseball non esiste limite di tempo. Mediamente una partita dura dalle due alle tre ore, arrivando anche alle quattro ore e mezzo.

SPORTS AEROBICI Nelle scienze motorie, un esercizio ginnico-condizionale viene definito aerobico quando l'ossigeno diventa parte determinante del processo di risintesi dell'ATP. Fisiologicamente, un esercizio aerobico diventa tale quando le scorte di glicogeno muscolare non sono più sufficienti a consentire la ri-trasformazione dell'acido piruvico in ATP. Per questo motivo, un esercizio comincia ad essere aerobico solo quando lo sforzo è prolungato per più di 3-4 minuti; un esercizio totalmente aerobico è uno sforzo prolungato per più di venti minuti circa. A livello di consumo energetico, un esercizio aerobico è certamente meno efficace ma sicuramente più efficiente di un esercizio anaerobico. Sport che coinvolgono un tipo di metabolismo aerobico sono tutti quelli a sforzo prolungato, ad esempio: • ciclismo • podismo • sci di fondo • triathlon • Nuoto Benessere in movimento Sport aerobico, grande amico del cuore Nuoto, jogging, sci di fondo o anche solo una semplice camminata a passo sostenuto: l’universo delle attività cosiddette aerobiche, cioè che richiedono uno sforzo fisico medio-basso prolungato nel tempo, non è solo vario e alla portata di tutti. non è solo un toccasana per il benessere psicofisico maschile e femminile. È anche la migliore arma preventiva per proteggere molti organi vitali - cuore, polmoni, ossa, sistema circolatorio, sistema nervoso – e per mantenere efficienti tutte le funzioni più importanti che regolano l’organismo. Ecco perché continuano a moltiplicarsi gli studi che giungono alla medesima conclusione: il movimento aerobico è il più formidabile alleato che cura e tiene alla larga numerosi disturbi, il vero elisir anti-invecchiamento che mantiene giovani e scattanti, che migliora davvero la qualità di vita a ogni età. Tutti ne parlano, tutti lo elogiano, ma pochi sanno cosa indichi esattamente il termine tecnico “aerobico” applicato al movimento. Ebbene: si tratta semplicemente di un’attività di lunga durata (oltre i 20- 30 minuti), che richiede uno sforzo di intensità medio-bassa (correre o nuotare non è come sollevare pesi) e che, per queste caratteristiche, è in grado di mantenere le pulsazioni cardiache costanti (in inglese si parla di “ steady state ”). Allenamento, non maratona con l’attività aerobica, in sostanza, il cuore viene allenato in modo progressivo, lento, morbido, evitando che vada incontro a un superlavoro che lo sovraffaticherebbe in modo eccessivo e che potrebbe rivelarsi un boomerang a livello del sistema cardiocircolatorio. D’altra parte, si sa che “chi va piano, va sano e va lontano”: e un cuore che si allena “piano”

è in grado effettivamente di andare lontano, cioè di stimolare l’apertura di capillari periferici che normalmente restano chiusi ( capillarizzazione ). Questo si traduce automaticamente in una maggiore ossigenazione dei tessuti e dei muscoli, ma anche in una migliore eliminazione delle scorie, a vantaggio dell’intero organismo. E della linea: perché l’attività aerobica agisce direttamente sui depositi di grasso cattivo e drena i ristagni di liquidi, dando scacco a cellulite e gonfiori localizzati. Inoltre, ha un effetto regolatore sull’ insulina , l’ormone che regola il rilascio di zuccheri nel sangue. Un toccasana anche per i polmoni Il movimento aerobico, poi, induce a respirare in maniera lenta e profonda, in modo che l’ossigeno non resti imbrigliato a livello della trachea, ma sia letteralmente “spinto” a contatto con gli alveoli , la parte del polmone che respira, portando ossigeno nel sangue ed eliminando anidride carbonica. Per una respirazione davvero profonda, capace di ossigenare anche i distretti più remoti del corpo, è però indispensabile che il sistema parasimpatico , cioè quella parte del sistema nervoso centrale che presiede al benessere generale dell’organismo, sia dominante. Ecco perché, oltre alle attività aerobiche, ben vengano discipline come lo yoga e lo stretching (esercizi di allungamento), che insegnano a respirare correttamente, cioè a livello diaframmatico e addominale, e a stimolare il sistema parasimpatico. A questo scopo, è fondamentale il sonno: durante un riposo di almeno 7-8 ore, tutti i sistemi coordinati del parasimpatico vengono ritarati a livello ottimale. Se il sonno manca, si verifica un vero e proprio sbilanciamento organico che risveglia il sistema simpatico , quello che stimola la produzione delle due sostanze chiave dello stress: l’ adrenalina e il cortisolo . Un occhio di riguardo all'alimentazione L’accoppiata vincente per mantenere il cuore in salute è una sola: movimento aerobico-alimentazione sana. Regime dietetico sano non significa solo limitare il consumo di grassi, sale e zuccheri semplici, ma anche non saltare mai l’appuntamento quotidiano con la colazione e il pranzo, indispensabili per ricaricare l’organismo e per fare scorte di energia da consumare la mattina e il pomeriggio. I tempi e la frequenza Per sua stessa natura, l’esercizio aerobico richiede un minimo di tempo e di impegno. Che si tratti di camminare, correre o nuotare, è necessario prevedere almeno 20-30 minuti di attività: chi non è allenato, può giocare sull’intensità dello sforzo, che può essere all’inizio dell’allenamento anche molto bassa. Due o tre volte alla settimana, poi, è la frequenza minima da rispettare per ottenere reali benefici dall’attività aerobica.

IL DOPING Il fenomeno del doping sta assumendo sempre più importanza a livello mondiale in seguito sia ai potenziali effetti nocivi sulla salute psicofisica degli atleti, che ai crescenti interessi economici che lo sostengono. Si definisce "doping" l'utilizzo di qualsiasi intervento esogeno (farmacologico, endocrinologico, ematologico, ecc.) o manipolazione clinica che, in assenza di precise indicazioni terapeutiche, sia finalizzato al miglioramento delle prestazioni, al di fuori degli adattamenti indotti dall'allenamento. E’ doping tutto ciò che infrange il regolamento stabilito dalla WADA LA RICERCA DI ELEMENTI DOPANTI Si effettua su due fronti: - Verificare che non ci sia superamento della soglia fisiologica di sostanze già presenti nell’organismo. - Verificare la presenza di sostanze esterne all’organismo.

Diritti e doveri dell'atleta

L'atleta ha il dovere di reperibilità. Deve cioè comunicare domicilio e campo/ palestra di allenamento e eventuali variazioni degli stessi anche se temporanei. L'atleta ha il dovere di informarsi sui prodotti vietati perché è responsabile di tutto ciò che assume.

L'atleta non può essere in possesso di sostanze vietate.

L'atleta può essere sanzionato in caso di: uso o tentato uso di sostanze e metodi vietati; mancata presentazione o mancata reperibilità.

Sanzioni: Presenza di sostanze, tentato uso, possesso di sostanze: Invalidazione risultato sportivo. Prima violazione: 2 anni di squalifica.

Somministrazione e/ o traffico: squalifica da 4 anni- a vita. Se coinvolge un minore squalifica a vita.

Mancata presentazione, tentata manomissione, mancate informazioni sulla reperibilità: da 1 a 2 anni.

Tali sanzioni possono essere alleggerite se l'atleta dimostra concretamente ( con prove) in che modo la sostanza è entrata nel suo corpo o in suo possesso o perché si siano verificati disguidi nella comunicazione della reperibilità. Soprattutto deve dimostrare che non ci sia stato intento doloso. A tal punto la sanzione può essere dimezzata.

LE SOSTANZE SI DIVIDONO IN:

- Sostanze pre-gara: hanno il compito di sostenere l’allenamento e in alcune discipline sportive vengono somministrate fin dai 12 anni

- Sostanze da gara: sono sostanze che stimolano il S.N. come la cocaina o che stimolano il ricambio di O2 come l’EPO

- Sostanze post gara: sono sostanze o metodi rigeneranti come l’emotrasfusione per rigenerare il sangue fortemente depauperato in gara

- Sostanze mascheranti : hanno il compito di aiutare ad espellere le sostanze proibite. Sono per esempio i diuretici. DOPING E GIUSTIZIA Il doping non è punito solo dalla giustizia sportiva, ma anche da quella penale in quanto l’assunzione di sostanze atte a migliorare artificialmente la prestazione, costituisce una frode. LA DIFFUSIONE DEL DOPING · Molteplici sono le responsabilità nella diffusione di questo fenomeno: Innanzitutto la scarsa professionalità dei medici perché non si può nascondere che i principali responsabili siano proprio loro e poi dei tecnici. Spesso chi lavora nelle palestre non è un laureato, non ha una formazione scientifica adeguata. · L’ignoranza degli atleti sui reali danni provocati dal doping. I “bibitoni di calcio” somministrati nelle palestre sono prodotti da sostanze di scarto della lavorazione del formaggio e causano danni permanenti ai reni. Il testosterone somministrato alle donne stravolge la mente e il fisico. · Una cultura che affonda le sue radici molto lontano. Nell’antica Grecia venivano già

somministrate sostanze in grado di migliorare le prestazioni degli atleti (carne di capra per i saltatori, carne di antilope per i saltatori…). Nel seicento i marinai olandesi assumevano un miscuglio di sostanze (“doop” da cui il termine doping)per affrontare le tempeste. Durante le due guerre mondiali i soldati assumevano sostanze stimolanti per vincere la paura e aumentare la capacità di reazione. · La ricerca in campo farmacologico che ha permesso una rapida diffusione del doping. A partire dalle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles abbiamo i primi casi di doping ematico e l’EPO entra nel mondo dello sport. Nel 1988 a Seul si diffonde l’uso del GH e del TSH, si moltiplicano i controlli e iniziano con Ben Johnson le squalifiche eccellenti. Nel 2000 alle Olimpiadi di Atene si comincia a parlare di biofarmaci (THD) e di doping genetico. · La pressione dei genitori o il disinteresse sono anche questi fattori che favoriscono la diffusione del doping fra i giovani. Nel primo caso si opera un vero doping psicologico: per arrivare dove non sono riusciti loro si operano pressioni e si caricano di pesanti responsabilità i giovani che pur di soddisfare le aspettative dei genitori sono disposti a tutto. Il disinteresse di contro favorisce nel giovane il bisogno di catturare interesse a qualunque costo. E in questo la scuola non riesce a sostituirsi alla mancanza della famiglia. Il fenomeno del doping non è quindi circoscritto ai soli professionisti , ma investe le categorie amatoriali e giovanili. In Svezia il 3,6 %di giovani atleti fa uso di sostanze oppiacee e di alcool. In Germania gli atleti adolescenti sono più dopati dei professionisti. LE MOTIVAZIONI AL DOPING

- CAUSE PSICOFISIOLOGICHE strettamente legate alla volontà da parte di un atleta di controllare il dolore, l’energia e l’attivazione psicofisica

- CAUSE PSICOLOGICHE ED EMOTIVE connesse con aspetti psicologici che possono riguardare soprattutto l’area dell’identità e quella dell’autostima (paura di fallire, insicurezza sulle proprie capacità, desiderio di essere competitivo o più semplicemente dalla ricerca di una perfezione psicofisica sovraumana.

- CAUSE SOCIALI Sempre più spesso, infatti, un forte stimolo al ricorso a sostanze dopanti è legato alle pressioni del gruppo, di altre persone dell’ambiente sportivo, elementi dello staff o degli sponsor.

LE SOSTANZE DOPING FARMACOLOGICO STIMOLANTI: Sono eccitanti del S.N. Migliorano il grado di attenzione e concentrazione e aumentano la resistenza alla fatica e la tolleranza allo sforzo. NARCOTICI: Fanno parte della classe degli oppioidi e derivati (morfina, eroina, metadone). Svolgono un'azione analgesica centrale e calmante. Vengono utilizzati per spegnere la sensazione dolorifica come nel pugilato; per contrastarne in parte l'effetto di spegnimento dell'attenzione vengono assunti in combinazione con sostanze stimolanti. Danno tossicodipendenza: DOPING ENDOCRINOLOGICO ANABOLIZZANTI: Gli steroidi anabolizzanti sono sostanze con azione simile a quella dell'ormone maschile testosterone. Producono modificazioni tipiche legate alla differenziazione sessuale, principalmente un aumento della massa muscolare e della forza. ORMONI PROTEICI, GLICOPROTEICI E ANALOGHI. Gli ormoni sono sostanze naturali che fungono da "messaggeri" all'interno dell'organismo. I DIURETICI L’uso dei diuretici ha due funzioni: si tratta di una forma di doping specificamente adottata negli sport ove esistono categorie di peso come la lotta, il sollevamento pesi e il pugilato. Riescono a far smaltire più velocemente tracce di altre forme di doping. Tuttavia, la disidratazione è causa di ridotta funzione neuromuscolare e di difficoltà di termoregolazione in quanto il processo di sudorazione è meno efficiente DOPING EMATOLOGICO EMOTRASFUSIONE L'emotrasfusione rappresentava lo strumento adottato per aumentare la massa dei globuli rossi e quindi la capacità di trasporto dell'ossigeno nel sangue. Attualmente la pratica è in disuso essendo stata soppiantata dall'assunzione di EPO. MANIPOLAZIONE FARMACOLOGICA, CHIMICA E FISICA Con questo termine si intendono procedure atte ad alterare i risultati dei test antidoping. Un esempio è rappresentato dall'assunzione del probenecid, un farmaco antigotta che inibisce la secrezione renale di ormoni steroidei e può quindi mascherare l'assunzione di anabolizzanti.

SOSTANZE CON RESTRIZIONE CANNABINOIDI: Gli effetti variano con la dose: a basso dosaggio si ha euforia, a dosaggio medio si ha disinibizione, a dosi elevate aggressività. CORTICOSTEROIDI: Trattamenti prolungati con corticosteroidi sono possibili su precise indicazioni mediche (in particolare in caso di asma e rinite allergica). BETABLOCCANTI: Si tratta di farmaci che, tra le loro azioni, riducono la frequenza cardiaca. In alcune discipline, come nei tiri (arco, carabina, pistola), l'agitazione fa aumentare la frequenza cardiaca e questo sicuramente disturba la fase di puntamento. ANESTETICI: Si tratta di farmaci che bloccano reversibilmente la trasmissione dello stimolo dolorifico verso il sistema nervoso centrale. EFFETTI NOCIVI DEL DOPING I suoi effetti nocivi dipendono da numerosi parametri (tipologia delle sostanze assunte, durata dell'assunzione, condizioni di somministrazione e stato generale dello sportivo, quantità utilizzata). Le principali sostanze proibite dal C.I.O. ed i loro effetti dannosi sulla salute sono: Stimolanti: irritabilità, tremori, insonnia, allucinazioni, dolori addominali. L’assunzione di dosi eccessive può provocare convulsioni ed emorragie cerebrali. inducono dipendenza. Narcotici: depressione del respiro, edema polmonare, rallentamento della frequenza cardiaca; nausea e vomito; debolezza muscolare, tremori; mancanza di concentrazione, cefalea. Anabolizzanti: effetti dannosi generali: rottura di tendini sotto sforzo, ipertensione arteriosa, infarto del miocardio, trombosi e morte improvvisa per arresto cardiaco, psicosi, aumento dell’aggressività. Sfera sessuale: per l’uomo, diminuzione della dimensione dei testicoli, impotenza; per la donna, acne, perdita dei capelli, mascolinizzazione, modificazione del timbro della voce. Diuretici: ipotensione severa che porta a collasso, eccessiva perdita di potassio che può degenerare in arresto cardiaco, insufficienza renale e alterazione della funzionalità epatica. Ormoni peptidici e glicoproteici: Eritropoietina: più nota negli ambienti sportivi come EPO, questa sostanza innalza il numero dei globuli rossi nel sangue

conseguentemente ne aumenta la viscosità, causando ipertensione arteriosa rischio d’infarto del miocardio ed ictus cerebrale. Somatotropina (Ormone della crescita GH): i suoi effetti collaterali sono; iperglicemia, ipotiroidismo, dolori muscolari e debolezza, acromegalia, impotenza, cardiopatia. Procedura di esame antidoping nel calcio ½ ora prima dell’inizio della partita viene firmata dai responsabili delle due squadre la lettera d’incarico all’ispettore giunto sul posto. L’arbitro consegna la distinta dei giocatori. Durante l’intervallo si aprono le buste con i numeri degli atleti che saranno sottoposti a controllo. Al 40° del II tempo la panchina viene informata sull’identità degli atleti che dovranno essere sottoposti a controllo. Subito dopo gli atleti prescelti vengono accompagnati nei pressi del locale adibito all’antidoping. Questo deve avere la doccia, vi si trovano bevande non alcoliche e l’atleta deve essere completamente nudo. A questo punto viene aperto dall’atleta il kit dell’antidoping in cui sono presenti due contenitori A e B. L’atleta apre i contenitori e in ognuno va versata una quantità di almeno 75ml di urina. Una volta chiusi i contenitori non possono più essere aperti se non con una speciale chiave presente nei laboratori del CONI. A questo punto viene stilato il verbale in quattro copie. Uno anonimo andrà al laboratorio di analisi, uno all’atleta, uno alla federazione e un altro al Coordinamento per l’attività anti doping. Nel verbale vanno inseriti: i codici presenti sul kit, informazioni relative all’uso di sostanze a restrizione d’uso che eventualmente l’atleta può aver usato. Il contenitore A serve per le analisi, mentre quello B eventualmente in caso di positività e se l’atleta lo richiede per le controanalisi. L’analisi oltre a ricercare la presenza di sostanze proibite, controlla il ph per verificare che non ci sia troppa diluizione.