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IDEOLOGIE POLITICHE DELL’OTTOCENTO
Agli inizi dell’800 la Restaurazione si completò con lo stato moderno (già nato e sviluppato
dal ‘500). Questo processo partì, dunque, nel ‘500 e finì nell’800. C’erano ormai gli Stati
moderni: realtà politiche che imponevano le tasse con l’uso legittimo della forza. Questi
stati erano realtà solide e controllavano, ad esempio, il territorio in maniera efficace,
rilevavano uomini e beni ecc…
Tale realizzazione si ebbe con la nascita dei sistemi rappresentativi: Parlamenti, partiti.
Erano nate le costituzioni, parti integrandi dello Stato moderno, che segnavano che il
potere derivava dal basso. Ci dovevano essere quindi dei Parlamenti, eletti dal popolo (che
aveva scelto il contratto). Nacquero, allora, le prime forme di partiti politici. Quali erano le
principali ideologie? Il pensiero conservatore, liberale, democratico, socialista
CONSERVATORISMO
Ideologia politica che intende il cambiamento e la rivoluzione come negativi, che intende
conservare il passato. Per quale ragione? Perché hanno una concezione organicista della
realtà. Vogliono conservare l’istituzione del passato perché ritengono che la società sia un
fragile equilibrio. Esso era ereditato dal pensiero di Burke e De Maistre. Burke diceva che
l’azione rivoluzionaria era negativa: tentare un cambiamento repentino ed improvviso con
una rivoluzione era sbagliato e nocivo. Burke pensava che l’uomo era inadeguato a
governarsi; la Rivoluzione era un caos: se ci devono essere cambiamenti essi devono essere
fatti per grado e non da tutti.
Il pensiero conservatore da importanza all’ordine. La libertà e l’uguaglianza sono inferiori
alla conservazione e all’ordine. L’uguaglianza sono inferiori alla conservazione e all’ordine.
L’uguaglianza non è, in realtà, un valore fondamentale: gli uomini non sono tutti uguali.
Metternich, lo Zar, Taillerand… sono tutti politici conservatori. I conservatori non
appoggiano né l’idea di popolo né quella di nazione (che ritengono pericolosa, una massa
informe da guidare). Per Demestre la nazione è una “bestemmia cananea”.
Il pensiero conservatore è di destra. L’idea di nazione, in origine, era estranea alla destra
perché troppo simile all’idea di popolo ma ne diventerà l’ideale nel ‘900. Un pensatore
conservatore è, per alcuni, Hegel perché presenta la monarchia affiancata da un
parlamento bicamerale, come il sistema politico migliore
LIBERALESIMO
Con il “liberalesimo” si intende il pensiero generale mentre con “liberismo” riguarda solo
l’economia. Il liberalesimo nasce in Spagna nel 1809 durante l’invasione napoleonica.
Voleva dire “lotta per la libertà”. Negli anni 30 e 40 dell’800 il pensiero liberale si fonda su
idee politiche già del XVIII secolo come il pensiero di Locke e il suo giusnaturalismo, il
diritto alla proprietà, alla vita, alla libertà. La libertà non può mai essere soppressa dal
diritto positivo. Lo Stato non può mai prevaricare sul singolo. L’idea è che la libertà è più
grande e importante dell’uguaglianza. Gli uomini sono di natura uguali ma diversi in
società pertanto l’uguaglianza non assume una connotazione così importante.
Infatti, i liberali esaltano l’uguaglianza naturale e di fronte alla legge, ma non dal punto di
vista sociale.
Lo Stato non può mai entrare nelle questioni private. Il paternalismo statale è grandemente
rifiutato al pari del dispotismo.
Lo Stato deve mettere i cittadini nella condizione di preservare le loro scelte. Questa idea
contro il paternalismo è propria di Kant.
Lo Stato, quindi, non deve redistribuire le ricchezze.
Lo Stato non si deve interessare del Welfare (iniziative per il bene sociale).
Lo Stato diventa un “guardiano” che si occupa solo che le libertà fondamentali non siano
violate.
Un’altra idea è la trasparenza dello Stato. Tutte le azioni devono essere contestabili e
conoscibili dai cittadini. C’erano anche alcuni pensatori dell’800: Benjamin Constant che
pubblica nel 1819 “La libertà degli antichi e dei moderni”. Benjamin era un politico di
professione e nell’ultimo periodo napoleonico fu consigliere di Napoleone. In questo
saggio Benjamin dice che bisogna distinguere la concezione di libertà come lo era
nell’antichità e di come lo è al suo tempo. Per gli antichi la politica era la partecipazione
alla vita pubblica: votare, partecipare direttamente, dire la propria. Politica voleva dire
essere attivi direttamente nella città. La sfera privata, di fatto, non esisteva. Negli stati
moderni non è così perché essi sono molto ampi e non si può concepire lo stesso tipo di
libertà. Quella che esiste è la libertà privata, la non ingerenza dello Stato. La libertà antica
in uno Stato moderno sarebbe come sottrarre la libertà ai singoli individui. Fa una aspra
critica ai giacobini che volevano realizzare la libertà degli antichi: dare il potere al popolo.
Questo, però, è diventata una tirannia. La migliore forma di governo, infatti, è la monarchia
costituzionale perché non tutti possono portare avanti la politica. La Repubblica è
demagogica, per i liberali, tende a degenerare.
I liberali hanno una piccola idea di nazione e infatti rifiutano gli stati multietnici. Lo Stato è
più stabile con un’unica componente.
L’altra idea liberalista è la separazione dei poteri e l’esecutivo in particolare è concepito
come totalmente separato dal legislativo perché l’esecutivo è un organo competente e
tecnico. Chi governa non deve essere soggetto al Parlamento. I liberalisti sono contro la
fiducia, l’istituto per cui l’esecutivo può essere dichiarato decaduto dal Parlamento.
Anche il legislativo ha bisogno di pochi membri perché non tutti possono scegliere i
rappresentanti ma solo quelli che possono conoscere gli interessi comuni. Pertanto, il
popolo non è in grado di riconoscere il bene pubblico. Per i liberali esiste la conflittualità
sociale ma il bene è un’azione di pochi per tutti.
Lo Stato, quindi, deve garantire la non invadenza. Ad esempio, non si può essere arrestati
arbitrariamente perché il cittadino deve essere tutelato, ci deve essere un equo processo, ci
deve essere la magistratura imparziale, ci deve essere la libertà, il diritto alla proprietà
privata e il “self-interested” (Smith). Per i liberali c’è, infatti, l’interesse della cooperazione
tra le classi. I liberali promuovono i partiti politici (opinione di una parte per il bene di tutti)
DEMOCRATICISMO
Il pensiero democratico eredita pratiche politiche della Rivoluzione francese ma riprende
anche alcune considerazioni di Rousseau: l’idea di volontà generale. Alla radice del
pensiero democratico c’è la stessa idea organicista dei conservatori: anche i democratici
ritengono che la società sia un organismo con molte parti; tuttavia, esso deve avere
l’apporto di ogni suo organo e parte. I democratici non pongono attenzione sulla fragilità
dell’organismo sociale ma sulla sua eterogeneità, per la quale tutte le parti collaborano.
Anche per i democratici ci deve essere un sistema rappresentativo. L’elemento
fondamentale, infatti, è il suffragio universale. Un’altra idea molto importante è quella di
“popolo” che deve lottare contro la miseria, l’ignoranza e contro quegli ostacoli che
impediscono l’emergere del popolo. Lo Stato interviene, assiste, regola.
I democratici sostengono la repubblica e sono avversi alla monarchia.
LIBERAL DEMOCRATICISMO
Sia i liberali che i democratici sono rivoluzionari e sono contro i conservatori. Essi
collaboreranno contro il conservatorismo della Restaurazione. Tuttavia, a metà dell’800
queste due correnti si fonderanno nella liberal democrazia. Quelle che erano nate come
due filosofie distinte si fondano insieme. La liberal democrazia è, quindi, l’innesto di ideali
democratici a quelli liberali. Tra i liberal democratici più illustri ci sono John Stuart Mill e
Alexis Tocqueville.
TOCQUEVILLE
Tocqueville era parigino e nato nel 1805. Aveva una famiglia legittimista. Visse la
Rivoluzione e l’impero napoleonico. I moti del 1830 in Francia con Carlo X squilibrano
Tocqueville che ha una crisi e fa un viaggio negli Stati Uniti d’America, appena formati ma
molto particolari. Essa era una realtà diversa dall’Europa. Tocqueville volle studiare il
sistema penitenziale ma studiò anche la società e scrisse un saggio diviso in due parti del
1835 e 1840, intitolato “Democrazia in America”. L’intenzione di Tocqueville era di cercare
di vedere la particolarità americana rispetto all’Europa.
Definì anche la “Democrazia” come società in cui c’erano uguali condizioni di partenza
(non dove tutti vivevano in condizioni uguali e con le stesse cose). Negli USA vigeva la
uguaglianza di diritto. Tutti i cittadini erano soggetti alle stesse norme e la legge era
uguale per tutti. La realtà americana, però, non aveva solo uguaglianze di diritto ma anche
molta mobilità sociale: gli americani potevano cambiare la loro condizione di vita,
diventare altro, modificare il loro “status sociale”. Tocqueville segnò che gli USA avevano
un’aspirazione all’uguaglianza.
Gli americani non erano economicamente uguali, Tocqueville lo sapeva. C’era, infatti, una
sperequata distribuzione della ricchezza. Gli americani, però, avevano un’indole che li
spingeva a ricercare l’uguaglianza. Ciò aveva cause storiche e geografiche. Tocqueville
sottolineò i gruppi religiosi primitivi che aspiravano all’uguaglianza, vivevano in comunità
ecc.... I cittadini, per questo, erano sempre stati abituati alla democrazia. Un’altra
motivazione era l’esteso territorio che rendeva impossibile la libertà fondiaria: c’era tanta
terra accessibile a tutti. Gli USA erano anche la patria della libertà: lo Stato governava ma
non amministrava (questo lo faceva uno Stato civile). Gli americani partecipavano
fattivamente alle scelte. Inoltre, il federalismo consentiva la amministrazione portata avanti
dai singoli individui con dei sistemi democratici. Queste erano le ragioni positive
dell’America. Tutto questo in Europa non era accaduto perché non c’erano state le stesse
cause.
Tocqueville, però, non accettò totalmente il sistema USA. C’erano anche dei lati negativi. La
società americana era tendenzialmente mediocre, caratterizzata da prosaicità: mancavano
gli elementi nobili, i migliori, mancava la singolarità…tutto tendeva al conformismo. La
tendenza ad essere uguali in partenza aveva rischiato di provocare la tendenza ad
uniformarsi. Essa, da un lato produceva il conformismo e dall’altro un eccessivo
individualismo in quanto il soggetto che si perdeva nella massa si ripiegava su sé stesso.
Da un lato si conformava alla volontà generale ma, dall’altro, sentendosi perduto nella
massa, si concentrava solo su sé stesso, egoisticamente; si perdevano i legami sociali.
Nella società europea gli individui si sentivano parte di un unico corpo, pur non essendo
tutti uguali; non si sentivano isolati. La società degli americani e la sola democrazia
portavano ad un pericolo: la dittatura della maggioranza. Si dovevano apportare dei
correttivi che valorizzassero la singolarità. La democrazia, in sostanza, doveva essere
mitigata dal liberalesimo. I correttivi erano tre:
1) Decentramento amministrativo: uno Stato centralista imponeva maggiormente
l’uniformità di pensiero.
2) Associazionismo: rendere possibili delle associazioni (religiose, culturali, sociali) in cui i
membri sono chiamati ad esprimere la propria individualità.
3) Dare spazio ai leghisti: uomini di legge che fanno riflessioni aristocratiche, mature,
diverse da quelle del popolo.
SOCIALISMO: SAINT SIMONE
Nacque in Francia agli inizi dell’800. Il fondatore fu Saint Simone, sebbene egli non usi mai
questo termine; gli intellettuali futuri glielo attribuiranno. Fu uno degli ultimi illuministi. Era
convinto che l’Europa era coinvolta in un processo di razionalizzazione sociale, economica,
politica e di progresso. Anche se Saint Simone non accettò eventi come la Rivoluzione
Francese, aveva una visione organicistica della realtà. Riteneva che le azioni violente non
potevano produrre effetti positivi. La società era un organismo e le trasformazioni
dovevano essere meditate, lente e stabili. Se si trasformava velocemente e
improvvisamente subiva dei danni. La società era fragile, richiedeva distribuzione organica
delle risorse. Essa doveva essere come le moderne industrie: secondo un modello
razionale. Nelle industrie, infatti, tutto era pianificato, nulla era spontaneo o casuale ma
tutto era frutto di un’organizzazione gerarchica, razionale, coerente. Nelle industrie tutto
era “pianificato” nei tempi, nella produzione, nella scansione dei ritmi lavorativi e del lavoro
stesso. Anche le società antiche erano gerarchiche. Si doveva, però, passare ad un
organismo solidale, cioè, basato sul servizio del singolo al lavoro degli altri. Ci voleva meno
individualismo e un modello di società tipo fabbrica. L’organismo medievale aveva una
separazione medievale; quello moderno era caratterizzato da una solidarietà pianificata. Ne
“Il sistema industriale” (1821) e “Il catechismo degli industriali” (1823) l’idea fondamentale
è la pianificazione della società. Economicamente non ci si poteva affidare alla legge del
mercato, alla iniziativa privata, che faceva sì che il mercato liberamente giungesse ad auto
pianificarsi. La libertà economica produce uno spreco di risorse, problemi, danni. L’azione
del singolo andava regolamentata, pianificata.
Tutti contribuivano alla società, tutti sono solidali; le persone erano felici se veniva tolto
loro qualcosa perché se ne arricchiva l’intera società. Si redistribuiva, insomma, l’intera
ricchezza (tutto seguendo il modello industriale). Nella industria i manager, gli ingegneri e
gli operai contano tutti allo stesso modo e cooperano verso un unico fine. La fabbrica
aveva insegnato a gestire le società moderne, ovvero, società in cui non c’erano parassiti
(clero e burocrazia), governata da tecnici e scienziati (senza spreco di risorse) e
razionalizzata.
Una società non poteva essere definita razionale se vigeva il diritto di proprietà privata e di
eredità perché non si potevano pianificare tutte le risorse. L’interesse principe era la società
nel suo complesso; l’interesse era per l’intera società e passava per la pianificazione delle
risorse (spirituali, economiche, umane) e attraverso la solidarietà (che rendeva la società
più armoniosa e ricca e che precludeva l’azione privata, contro la pianificazione).
SOCIALISMO: CHARLES FOURIER
Fu un erede di Saint Simone. Fourier immise un’ulteriore ideologia, un’eredità illuminista: la
bontà naturale dell’uomo. Secondo Fourier, l’uomo era buono per natura (come diceva
Rousseau con il “buon selvaggio”). I problemi iniziavano con un’organizzazione sociale,
basata sulla proprietà privata. Le strutture sociali e la civilizzazione deformavano la bontà
naturale umana. Si dovevano togliere tutte le limitazioni sociali per l’uomo e renderlo
libero, sottrargli gli elementi competitivi post-civilizzazione. La società era decaduta dopo
la proprietà privata e la civilizzazione. Il lavoro era divenuto schiavile, servile per la
proprietà privata. Si doveva ristrutturare la società dove tutti collaboravano liberamente.
C’erano falangi: singole e piccole comunità lavorative dove i lavoratori erano liberi.
Ognuno si sentiva parte di questa comunità e ne rispettiva le regole. Nelle falangi, Fourier
ipotizzava la famiglia collettiva: un mondo amoroso.
SOCIALISMO: AUGUSTE BLANQUI
Auguste Blanqui era un altro socialista. Era erede del pensiero radicale della Rivoluzione
Francese, della parte di Robespierre e dei giacobini. Blanqui era un giacobinista e fu il
primo a teorizzare l’abolizione della proprietà privata in maniera chiara e precisa. Blanqui
diceva che la proprietà privata andava eliminata. Il modo per fare ciò era la rivoluzione;
ogni mutamento doveva essere rivoluzionario. Per Blanqui nessuna società giusta poteva
essere istituita ma si doveva portare a termine la Rivoluzione Francese. Le rivoluzioni
dovevano essere fatte dal proletariato, dalla forza sociale che animava l’intera società. Il
proletariato doveva realizzare la “dittatura del proletariato”, cioè, nella società i poveri,
quelli che avevano solo i figli, si dovevano imporre e guidare lo Stato. La dittatura doveva
essere istituita per abolire la proprietà privata
SOCIALISMO: JOSEPH PROUDHON
Era l’ispiratore di una componente fondamentale dell’anticapitalismo. Fu molto critico
verso l’economia di mercato. La riflessione anticapitalistica era basata sulla separazione dei
lavoratori dai mezzi di produzione. Il capitalismo privava i lavoratori dei frutti del proprio
lavoro. Nel capitalismo i lavoratori avevano un salario che non era pari all’energia
impiegata nel lavoro ma corrispondeva ad una minima parte. Il salariato era, secondo
Proudhon, sfruttato. Lo sfruttamento generava ricchezza che andava ai gestori e non ai
lavoratori. Perché? Perché il capitale era la parte di ricchezza non per i bisogni ma per
poter essere investita in altre attività. Il capitale era un furto. Il sistema capitalistico
sfruttava l’operaio e si basava sul furto della ricchezza all’operaio.
Se, quindi, ognuno godeva dei frutti del proprio lavoro, si poteva arrestare la spirale
capitalistica. In America, ad esempio, c’era tanta terra a disposizione e quindi tanta
possibilità di accedere ai mezzi di produzione.
La soluzione era la non separazione dei mezzi di produzione. La visione di Proudhon,
pertanto, assume un carattere anarchico. Nessuno doveva possedere la proprietà privata,
neanche lo Stato. Inoltre, non era condivisa la visione rivoluzionaria dei fatti. Ci doveva
essere una diversa gestione: doveva esistere l’accesso ai mezzi di produzione che erano
affidati in gestione alle aziende autoregolate.
Dopo il 1848, Proudhon divenne più indulgente sulla proprietà privata e così ideò
un’organizzazione federale dello Stato perché l’oppressione capitalistica venisse limitata.
SOCIALISMO: ROBERT OWEN
Fu l’ultimo socialista. Era un teorico del miglioramento dell’ambiente lavorativo. Secondo
Owen, non si potevano avere buoni risultati finché non ci si preoccupava delle condizioni
lavorative degli operai. Non lo faceva per ragioni di ordine umano ma di ordine
economico. Per Owen bisognava pianificare, combattere per le misure ambientali.