IcsART N.05 2016 Luciano Civettini

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PERIODICO della icsART N. 5 - Maggio ANNO 2016 icsART

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Rivista di arte e cultura

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In copertina: LUCIANO CIVETTINI, Nel giardino di Monet, 2015, acrilici su tela, 20x20 cm

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservatiL’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

Intervista ad un artista Luciano Civettini

News dal mondo

pag. 4

pag. 5

pag. 6-19

Nuntereggae più!Politiche culturali

Editoriale Iqbal Masih

pag. 22-23

pag. 20-21

L’arte

Mercato dell’arte? Donald Judd

1x1x1 Install-Action

icsARTsommario05Maggio 2016, Anno 5 - N.5

Storia dell’arte

Architettura

Eventi

pag. 24-25

pag. 26

pag. 27

Il microcosmo di Barbie - 2

Zaha Hadid

Bosco dei Poeti

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pag. 28

pag. 32

pag. 30

pag. 31

Untitled, 1989 (Bernstein 89-24), 1989

Untitled (DSS 134), 1968

Two symmetric prisms, 2015

Untitled,1988

Untitled (DSS 42), 1963

DONALD JUDD

DONALD JUDD

DONALD JUDD

DONALD JUDD

Omaggio a DONALD JUDD

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EROI

Iqbal MasihMuridke, 1983 - Lahore, 16 aprile 1995

Il 16 aprile di 21 anni fa, Iqbal Masih, un ragazzino pakistano di 12 anni, veniva ucciso in circostanze mai chiarite. Nato in una famiglia cristiana a Muridke, nel Punjab, all'età di 4-5 anni era stato ceduto dalla madre al proprietario di una fabbrica di tappeti per ripagare un debito di 5.000 rupie (100 dol-lari). Iqbal era così diventato uno "schiavo del debito" e il proprietario responsabile della sua vita. Doveva recarsi in fabbrica la mattina all'alba e, assieme agli altri bambini schiavi, picchiato, malnu-trito e incatenato al telaio per impedirne la fuga, lavorare 10-12 ore al giorno per sette giorni alla settimana. Solo nel 1992, grazie alla promulgazione di una sentenza che proibiva il lavoro "forzato" ottenuta dal BLLF (Bonded Labour Liberation Front), nonostante le violenze subite Iqbal era riuscito a scappare assieme alla sua famiglia minacciata di ritorsioni. In una scuola della BLLF per ex bambini schiavi aveva potuto studiare diventando lui stesso un attivi-sta dell'associazione. Dal 1993 - a 10 anni - aveva iniziato a viaggiare in tutto il mondo per spiegare e perorare la causa dei diritti di milioni di bambini pakistani schiavizzati contribuendo a liberarne oltre 3.000. Il 16 aprile 1995 notte, mentre stava tornando a casa in bicicletta, Iqbal Masih, un ragazzino pakistano di 12 anni, è stato ammazzato con una fucilata alla schiena.

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Abbasso e alè (Nuntereggae più)Abbasso e alè (Nuntereggae più)Abbasso e alè con le canzonisenza fatti e soluzionila castità (Nuntereggae più)la verginità (Nuntereggae più)la sposa in biancoil maschio fortei ministri pulitii buffoni di corteladri di pollisuper pensioni (Nuntereggae più)ladri di stato e stupratoriil grasso ventre dei commendatoridiete politicizzateevasori legalizzati (Nuntereggae più)auto blusangue blucieli bluamore blurock and blues (Nuntereggae più)Eia alalà (Nuntereggae più)pci psi (Nuntereggae più)dc dc (Nuntereggae più)pci psi pli pridc dc dc dcCazzaniga (Nuntereggae più)avvocato Agnelli Umberto AgnelliSusanna Agnelli Monti Pirelli

Avevamo in Italia un genio, e non ce ne siamo accorti. Pensavamo che fosse un cantautore il quale, con la sua ironia dissacrante e goliardica, volesse solo sfottere tutti. E invece, Rino Gae-tano, da emigrante calabrese, aveva già capito tutto dell'Italia e degli italiani con 38 anni di anticipo. "Nuntereggae più" è una canzone del 1978.

dribla Causio che passa a TardelliMusiello, Antonioni, Zaccarelli (Nuntereggae più)Gianni Brera (Nuntereggae più)Bearzot (Nuntereggae più)Monzon, Panatta, Rivera, D'Ambrosio, Lauda ThoeniMaurizio Costanzo, Mike Bongiorno, Villaggio, Raffa, Guccinionorevole eccellenza cavaliere senatorenobildonna eminenza monsignorevossia cherie mon amour (Nuntereggae più)Uè paisà (Nuntereggae più)il bricolage (Nuntereggae più)il quindici diciottoil prosciutto cottoil quarantottoil sessantottole pitrentottosulla spiaggia di CapocottaCartier Cardin GucciPortobello e illusionilotteria a trecento milionimentre il popolo si grattaa dama c'è chi fa la pattaa sette e mezzo c'ho la mattamentre vedo tanta genteche non c'ha l'acqua correntee non c'ha nientema chi me sentema chi me sentee allora amore mio ti amoche bella seivali per seici giurereima è meglio leiche bella leivale per seici giurereisei meglio tu (Nuntereggae più)

NUNTEREGGAE PIÙ!

Intervista a LUCIANO CIVETTINI

SICURAMENTE ERANO I PASSI DI MACCHIANERA, 2016, acrilico e pastelli su tela, 10x15 cm

CUORE DI COCTEAU, 2001, olio su carta, 40x30 cm

Ci sono artisti che dipingono per comunicare la propria visione del mondo e, indirettamente, rac-contare di sé; altri, come Luciano Civettini, che partono dal proprio vissuto per parlare anche di una realtà più generale. Civettini è un pittore il quale, dopo una lunga esperienza impegnata nella produzione di opere personali e di grande qualità in cui si riconoscono i riferimenti al surrealismo e le influenze dei maestri del moderno, in seguito a una crisi creativa, ha sentito il bisogno di abban-donare i linguaggi già sperimentati per esplorare strade diverse. Da qui il passaggio da un linguaggio astratto, colto e maturo, a un tipo di originale figurazione che fa ricorso a un ampio repertorio di immagini popolari, fantastiche, poetiche e anche kitsch, sedimentate nei suoi (e nei nostri) ricordi infantili. Animali antropomorfizzati, bambine erotiche e indifese, ragazzini volanti alieni, esseri fan-tastici, icone disneyane, citazioni di artisti famosi, astronauti-terrestri, parole oscure. I paesaggi e le atmosfere dei suoi piccoli dipinti ad olio sono misteriosi, indecifrabili, ambigui, surreali appunto, perché provenienti da una cultura di massa rivisitata attraverso il filtro della sua storia personale.Cosa rappresentino i personaggi e le situazioni dei suoi quadri delicati e teneri, l'artista lo dice chia-ramente: «le immagini hanno il sopravvento… una specie di autoanalisi». Come nell''automatismo psichico' del Surrealismo in cui il processo creativo avveniva in assenza di controlli esercitati dalla razionalità in modo che le immagini potessero liberamente salire alla superficie dall'inconscio. Dietro l'apparente ingenuità delle sue tavole favolistiche, però, si nasconde un mondo interiore più complesso e meno rassicurante che l'artista tenta di esorcizzare attraverso il sogno (i sogni son desideri?) e il ritorno alla fantasia pulita e innocente del bambino. Per Luciano «la bellezza è 'malin-conia' e l'arte una 'malinconica' ossessione»: l'artista (malinconico), quindi, non può che adottare la memoria e la nostalgia quali strumenti di critica e riscatto dal presente e, forse, dal passato.

Paolo Tomio

I FANTASMI DEL PASSATO (la casa di Renoir sulla Senna), 2015, acrilico su cartone su tavola, 20x20 cm

Quando e perché hai cominciato ad interessarti all’arte e dedicarti alla pittura?

Fin da piccolo…banale dirlo. Ho sempre dise-gnato, copiavo prima i personaggi dei fumetti e poi le opere dei grandi artisti. Non c’è stato un momento in cui è scattata la passione per l’arte. Per me è sempre stato così.

Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti

che ti hanno influenzato?

Ho sempre guardato all’arte in genere; antica, contemporanea... amo gli artisti che mi stupi-scono. Ho sempre cercato di apprendere da tutti (e tutto) quelli che osservavo. Sia da un punto di vista tecnico che umano. Tra i grandi sicuramente amo Schiele, Klee, Licini, Novelli, De Maria, Renoir, Manet...

Hai conosciuto o frequentato artisti locali o na-

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zionali che hanno contribuito alla tua formazio-ne?

Ho avuto la fortuna di incontrare frequentare artisti sia nazionali che esteri... Uno degli incontri che più ricordo comunque è quello con Tullio Crali. Persona amabile con la quale ho avuto uno scambio anche epistolare (disegni compresi), ma anche tra i locali ci sono molti artisti che stimo e frequento, con i qua-li scambio pareri, idee, e a volte si sviluppa un progetto.

REALPOP, 2008, olio e acrilico su tela, 90x90 cm

Qual è la tecnica artistica che utilizzi principal-mente nella tua attività?

Principalmente uso i colori acrilici su tela, ta-vola e carta, materiale che amo moltissimo. Da una decina di anni uso anche le resine.

Nel corso della tua attività, oltre alla pittura, hai sperimentato altre tecniche artistiche?

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Nel periodo scolastico ho provato molte tecni-che ma poche le ho poi approfondite. All’inizio mi son dedicato all fotografia compreso lo svi-luppo e la stampa. Mi piace lavorare l’argilla e la carta.

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’ar-te contemporanea?

Difficile rispondere, credo che la principale cosa che non mi piace nel contemporaneo sia l’as-senza della ricerca del bello.L’abbandono di una certa pittura del sentimen-to, dello stupore. Di contro, apprezzo le oppor-tunità tecniche.

Prima di approdare al tuo attuale linguaggio

hai avuto un periodo astratto?

Sono stato (per poco tempo) allievo di Vedova. E dopo la fase figurativa/surrealista del periodo scolastico, sono approdato all’astrazione e alla transavanguardia (Novelli e De Maria). In segui-to, la passione per la scrittura (come segno) mi ha avvicinato ai movimenti della poesia visiva e per un certo periodo ho cercato di fondere la pittura con la parola. Alcuni miei lavori del periodo sono in collezione Paolo Della Grazia al MART.

Data la tua dimestichezza con l'informatica non ti è mai nata la curiosità di tentare strade più tecnologiche?

Faccio di professione il grafico ed ho quindi una certa dimestichezza con il digitale, ma pur es-sendo appassionato e apprezzando chi lavora in

E’ TUTTO VERO!, 2015, acrilici e pastelli su cartoncino, 25x50 cm

LE DUE ISOLE, 2003, acquarello e pastello su cartoncino, 20x30 cm

digitale, la mia intrusione in questo mondo si è limitata a qualche “gioco” di fotoritocco.

Come definiresti il tuo linguaggio? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono ri-conoscibile?

Credo che il mio lavoro sia molto introspettivo e autobiografico. Un bisogno personale di co-municare oltre le parole, raccontando di spazi altrimenti difficili da descrivere. Forse l’unico momento di profonda sincerità. Credo di esser riconoscibile per una certa vena poetica (sem-pre cercata e non sempre raggiunta) che lega il mio lavoro in tutte le sue fasi /periodi. La parola mi ha sempre attirato e anche nell’ultima serie

di dipinti (notti stellate), i titoli assolvono a que-sta esigenza.

Da dove nasce questo tuo interesse per un mon-do di fiabe "per adulti"?

Ad un certo punto mi sono reso conto che l’a-strazione che praticavo era insufficiente; non riuscivo a rappresentare e dire completamente ciò che intendevo. Mi sono preso così un anno di pausa totale dalla pittura non ho più dipinto, ma solo guardato. Quello che succedeva nelle gallerie e nel mondo e mi sono imbattuto nel New Pop Surrealism, corrente nata negli USA

RACCOGLITORI DI STELLE, 2005, acrilico e olio su tela, 40x40 cm

e, a quel tempo, quasi sconosciuta in Italia. Mi sono reso conto che riusciva a conciliare le mie origini figurative con le esperienze fatte con l’a-strazione. “Fiabe per adulti”, dici bene. In questo modo riesco a raccontare con relativa semplicità in-quietudini e sogni con immagini che a prima vista sembrano banali e semplici. Un modo per saltare le difese dell’osservatore e invitarlo ad approfondire la lettura.

Quando inizi un nuovo dipinto hai già in mente un tema, un soggetto o ti muovi senza vincoli predeterminati?

Riesco a controllare la prima fase del lavoro, la preparazione degli sfondi, la scenografia. Poi le immagini hanno il sopravvento… una specie di autoanalisi, ma anche uno spazio vuoto tra i pensieri, come una meditazione.

Hai mai provato ad analizzare i tuoi dipinti per comprenderne i significati nascosti?

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DELLE MIE BACCHE ROSSE, ALLA FINE DELL’INVERNO, NON TE NE FARAI NULLA, 2012,

acrilico e resine su tavola, 35x50 cmSi ho provato ad analizzare il mio lavoro e spes-so mi ritrovo a guardare in maniera distaccata i miei dipinti. Non li ho mai sottoposti ad un vera e propri “analisi“ ma sicuramente, controllan-do solo la fase iniziale del lavoro, l’inconscio ci mette del suo. Molte volte, finito di dipingere, mi accorgo di elementi che non avevo previsto. Ma questo fa parte anche dello stupore che ge-nera l’arte…

Come spieghi le dimensioni dei tuoi quadri, spesso piccolissimi?

Amo i dipinti piccoli; attraggono, impongono di avvicinarsi, entrare. E non aggrediscono l'os-servatore. In questo, ad esempio, Klee era un

maestro. Non mi dispiace comunque dipingere anche sui grandi formati e sono arrivato a di-mensioni ragguardevoli oltre i tre metri. Ma sono lavori più “concettuali” per me…

Ho visto che realizzi anche delle sculture sem-pre relative ai tuoi personaggi favolistici?

La scultura è il mio grande cruccio, mi appas-siona, la classica, la contemporanea, ma la mia indole pigra mi impedisce di applicarmi con co-stanza e impegno.

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Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni? Sei interessato ad un “messaggio” nell’opera?

Certo. Ne sono convinto. La pittura è un alfabe-to, un linguaggio, e come tale ha la prerogativa di portare messaggi. Cerco sempre un messag-gio nei lavori, nelle opere d’arte. In qualità di alfabeto, uso la pittura sempre per raccontare

IL RITORNO DELL’UOMO INVISIBILE, 2015, acrilico e pastelli su tela di juta, 20x20 cm delle storie... Le mie e quelle di chi mi sta ac-

canto.

Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi?

Lo trovo abbastanza vivace, ci sono alcuni gio-vani che si muovono bene anche a livello inter-nazionale. Di contro, trovo molti artisti “storici” ancora legati a una dimensione provinciale e ancorati a linguaggi passati, un certa diffidenza nei confronti del contemporaneo e delle nuove

E TI PORTI A SPASSO L’ANIMA, 2011, acrilici e resina su tavola, 20x20 cm

tendenze…

Tu che hai lavorato con gallerie all'estero, hai notato delle differenze con la realtà italiana?

Ho avuto la fortuna di lavorare con alcune gal-lerie estere, in prevalenza tedesche. Credo che la differenza sostanziale sia l’organizzazione e la correttezza. Qui da noi si lascia spesso al caso; all’estero si programmano mostre anche due anni prima. E poi una cosa che mi ha sempre stupito è il rap-porto tra artisti della stessa galleria o in genere.

Non ci sono le categorie del “giovane artista” o del maestro a seconda dell’età. Si è artisti, buo-ni o cattivi, perché si fa questo mestiere indi-pendentemente dall’età anagrafica. Il rapporto con i colleghi è più diretto, lineare, e lo stesso vale con mercanti.

Segui la politica culturale trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore artistico?

…sicuramente si può fare di più. E vale per en-

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PINK RIVER, 2015, acrilici su tela, 50x35 cm

RIEN, 2004, inchiostro su cartoncino, 10x10 cm

trambe le parti, l’artista e l’istituzione. Spesso manca comunicazione tra i settori.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Difficile rispondere. Per me, la bellezza è ma-linconia. Un istante. Qualche cosa che ha a che fare col ricordo più che col presente.

Cosa è per te l’arte?

L’arte? Una malinconica ossessione.

E, per finire, chi è l’artista?

Se l’arte è una malinconica ossessione, l’artista non può esser che un malinconico. O forse, è solo una persona che usa alfabeti diversi per comunicare.

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LUCIANO CIVETTINI

Nato a Trento il 5/4/1967, ho frequentato la scuola d’arte di Trento e l’Accademia di Belle arti di Venezia.Lavoro in provincia con l'ambizione di dipingere per tutto il pianeta. Quando ho capito che la mia è una pittura popolare e che non sarei mai riuscito a fare una pittura "colta" ho cominciato a lavorare con fa-cilità.Espongo dal 1989 in gallerie pubbliche, musei e gal-lerie private in Italia, Germania, Svizzera, Francia, Au-stria, Emirati Arabi e Stati Uniti.Mie opere sono in collezione presso musei e enti pubblici come la Deutsche Bank di Lipsia (D), la Kunstverein di Bielefeld (D), il Museo Arte Contem-poranea di Trento e Rovereto e il Museo della Guerra di Rovereto.Sono stato invitato ad esporre alla Biennale interna-zionale di pittura di Venezia e per due volte alla Bien-nale Internazionale Intergraf a Udine.Mostre personali e collettive a Roma, Milano, Vero-na, Trento, Bolzano, Rovereto, Bielefeld, Wiesbaden, Dortmund, Hannover, Amburgo, Parigi, Salisburgo, Dubai e Pasadena.2009, HOLYDAYS, galleria Goethe, Bolzano Italy2007, NUOVI ORIZZONTI, studio53arte gallery, Rove-reto, Italy2006, SALINA ISLAND, The Jamjar Gallery. Dubai, Uni-ted Arab Emirates2005, AFRIKA, New Jesse Gallery, Bielefeld, Germany2005, SOLO EXHIBITION, Deutsche Bank, Lippstadt,

Germany2004, PICASSO, PARIGI E IL GIOVANE FILOSOFO, Spa-zioarte Gallery, Rovereto Italy1998, KUNST AUS ITALIEN, Gutersloh, Germany1988, SOLO EXHIBITION, Chateau de Montlignon, Pa-ris, France1997, Project in Salzburg, Salzburg1997, SOLO EXHIBITION, Verona, Italy Group Exhibi-tions2011, Group Exhibition, Galerie RUE DE BEAUCE, Pa-ris, France2011, Group Exhibition, MONDOBIZZARRO GALLERY, Roma, Italy2011, NEOPOPULART, Group Exhibition, SPAZIO SAN-SOVINO, Torino,Italy2010, Group Exhibition, MIOMAO GALLERY, Perugia, Italy2008, INTERGRAF International Exhibition of graphic, Udine, Italy2007, Group Exhibition, MART museum of contem-porary art, Rovereto Italy2003, Group Exhibition, Bielefeld Kunstverein Ger-many2001, ARCHIVIO DELLA GRAZIA, MART museum of contemporary art, Rovereto Italy

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icsART N.5 2016Periodico di arte e cultura

della icsART

Curatore e responsabile Paolo Tomio

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E' possibile scaricare tutti i numeri

2012-2013-2014-2015 e 2016

della rivista icsART (ex FIDAart)

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MERCATO DELL’ARTE ?

DONALD JUDD (1928-1994), Untitled (DSS 42), 1963, ferro zincato e alluminio, olio rosso cadmio e olio nero su legno, 193x244x30 cm, stimato $ 10-15 milioni, venduto da Christie's New York, 2013 a $ 14.165.000 (€ 10.531.600).Questo strana scultura che potrebbe sembrare un prodotto industriale, è in realtà un "oggetto industriale" di Donald Judd il quale è considera-to una figura centrale della Minimal Art benché lui abbia sempre rifiutato l’appellativo di mini-malista. infatti, Judd si è cimentato come pit-tore, critico d'arte, scultore, teorico e saggista, architetto e designer, perseguendo un proprio linguaggio rigoroso ed essenziale e anche, di-versamente dagli altri artisti di questa corrente, un forte interesse per il colore e grande atten-zione alle qualità estetiche dell'opera. Nel 1949 Judd si trasferisce dal Missouri a New York dove si laurea prima in filosofia e poi in storia dell’arte. Inizia a praticare una pittura fi-gurativa per poi passare progressivamente ad un'astrazione in cui punta all'equilibrio delle forme e alla semplificazione della composizio-ne nella logica dei 'color field paintings' di artisti come Barnett Newman. Il suo obiettivo è evi-

tare ogni pur minimo coinvolgimento emotivo del pittore per liberare l'arte dall'enfasi autore-ferenziale degli espressionisti astratti. Dal 1959 al 1965 lavora come critico per note riviste d'ar-te e ciò contribuisce a privilegiare un approccio più teorico in ossequio alla sua idea del primato del concetto sulla pratica artistica. A partire dal 1960, dopo aver riconosciuto che "lo spazio reale è intrinsecamente più potente e specifico del colore su una superficie", abban-dona la pittura per dedicarsi alla scultura, o me-glio alla costruzione di 'forme tridimensionali' in cui è centrale la nozione di 'materialità'. Tutti i suoi pezzi sono realizzati in officina secondo le specifiche tecniche dell'autore, convinto che uno degli obbiettivi fondamentali sia il supera-mento dell'esecuzione manuale dell'opera da parte dell'artista al fine arrivare a oggetti privi di connotazioni personali. Sviluppa anche un particolare interesse per l'architettura che lo porta a progettare le sue 'sculture' in rapporto agli spazi che devono contenerli. Nel 1963 presenta la sua seconda mostra per-sonale alla Green Gallery di New York esponen-do le sculture direttamente a terra piuttosto che sul classico basamento per sottolinearne l'autonomia e cancellare la distanza, sia fisi-ca che psicologica, tra opera d'arte e fruitore. Tra il 1964 e il 1966 Judd perfeziona un proprio vocabolario formale che sarà definito Minima-lismo dai critici, ed espone le sue teorie nell'ar-ticolo-manifesto 'Oggetti specifici' del 1965 in cui sostiene un'arte basata su materiali tangi-bili, opere semplici, rigorose, fredde e fondate su un’essenzialità geometrica che non alluda a niente oltre la propria presenza fisica. I suoi "oggetti specifici" sono caratterizzati da un'ese-cuzione e finiture perfette che li rendono simili a dei prodotti di raffinato design in cui sia as-

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DONALD JUDD

sente, però, qualsiasi funzione. L'artista stesso spiega che i suoi oggetti non sono "né pittura, né scultura". Nel 1966, la Leo Castelli Gallery, uno delle più importanti di New York, organizza la sua terza mostra personale (prima di una lun-ga serie) che, a 38 anni, ne decreta il successo.La forma preferita di Judd è la 'scatola', sia chiu-sa, semi-vuota o trasparente e assolutamente neutrale, in modo da confutare qualsiasi con-notazione simbolica; in molti lavori propone dei sistemi seriali, sia come semplice progressione matematica sia come ripetizione di unità stan-dard: gli scatolati sono assemblati in file oriz-zontali in cui si alternano pieni e vuoti o in pile verticali aggettanti dal muro (vedi in basso), di uguali dimensioni, materiale e colore, posti a distanze regolari tra di loro. I materiali 'costrut-tivi' più utilizzati sono l'acciaio, zincato, inox o verniciato e l'alluminio anodizzato, spesso in combinazione con altri materiali industriali, in particolare plexiglass colorato; in seguito use-rà anche legno laminato, corten e calcestruz-zo. I suoi lavori rifuggono dal tocco personale dell’artista e sono improntati ad una perfezione geometrica e una rigorosa essenzialità che pri-vilegia la chiarezza ed esalta la bellezza formale e l’ordine. Come scrive l’artista "L'ordine sotten-de, sovrasta, è dentro, sopra, sotto, oltre ogni cosa”. Nei primi anni 1970, Judd inizia a lavo-rare a pezzi di grandi dimensioni e sempre più complessi che si inseriscono nello spazio e nella luce col rigore geometrico delle loro forme e a installazioni appositamente studiate per deter-minare il rapporto tra questi oggetti e l'ambien-te occupato. Negli anni ottanta Judd inizia ad applicare le sue teorie minimaliste anche a mo-bili in legno o in metallo prodotti in piccola serie numerata, una sorta di multipli che si situano in una via di mezzo tra l'arredo e la scultura.

DONALD JUDD, Untitled, 1977, plexiglass acciaio inox in 10 parti, 305x80x68 cm, venduto da Sothe-

by's New York, 2007 a $ 7.433.000 (5.066.802 €)

DONALD JUDD, Untitled (88-28 A-B Menziken) 1988, in alluminio spazzolato con plexiglas blu

2 unità, ogni unità 50x100x50 cm

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1x1x1

"1x1x1, Install-Action" è probabilmente ìl si-stema per installazioni artistiche più piccolo ed economico del mondo. Inventato dall'arti-sta finlandese Tapio Seikkonen per fornire uno strumento compatto e maneggevole a realtà locali distanti dai centri urbani importanti e dal budget limitato, "1x1x1" sta a indicare la cassa

di legno (vedi in alto), un cubo delle dimensioni di 1 metro, in cui trova posto tutto il materiale che serve per costruire le Install-Actions, cioè le strutture artistiche tridimensionali con cui organizzare fisicamente gli eventi programmati. In questa unica cassa sono accuratamente im-paccate trenta scatole di cartone ondulato di tutte le misure, assieme a tutto il materia-le d'uso necessario per gli allestimenti: nastro adesivo, taglierini, barattoli di colore all'acqua, pennelli fil di ferro, pinze, pennarelli, teli di car-ta da riparare il pavimento e da trasformare in grembiuli ecc. Materiale comune facilmente reintegrabile nel corso del lavoro, così come le stesse scatole che possono benissimo essere sostituite o rimpiazzate dalle scorte quando ne-cessario. Ovviamente, trattandosi di un sistema aperto e ripetibile a piacere, si possono utiliz-zare più casse "1x1x1" per ampliare il numero delle scatole di cartone messe a disposizione del pubblico che partecipa. Una volta estratti dalla cassa, i trenta scatoloni sono riportati alla loro forma di parallelepipe-di e mantenuti chiusi con del semplice nastro adesivo. L'allestimento non consiste in un'ope-ra d'arte la cui composizione finale sia già de-cisa da un artista-demiurgo ma è il risultato di un intervento lasciato alla libertà progettuale e creativa del pubblico presente a cui si chie-de di trasformarsi da spettatori passivi ad attori e protagonisti nell'azione che si sta svolgendo. Superati i primi momenti di imbarazzo o timore, le persone di tutte le età si fanno coinvolgere nel gioco partecipando ad una costruzione, in parte individuale e in parte collettiva, di spazi e strutture resi possibili dall'assemblaggio di scatoloni leggeri, maneggevoli, trasformabili e manipolabili a piacere. L'idea di questa sor-ta di "cassa magica" è nata in Seikkonen dopo

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1x1x1 Install-Action

la constatazione che le opere d'arte esposte in musei e gallerie sono sempre accompagnate dall'avvertenza di "guardare ma non toccare", perché soggette alla netta separazione tra chi crea, l'artista, e chi fruisce, il pubblico. Se ciò ha senso per le opere più delicate, è evidente che una scultura di marmo o di bronzo - per essere compresa e apprezzata - dovrebbe essere fru-ita oltre che con gli occhi anche con un senso fondamentale, il tatto. Per queste ragioni, l'at-tenzione dell'artista finlandese si è indirizzata sul privilegiare quegli aspetti sempre dimenti-cati da chi opera nel mondo dell'arte: la libertà di interagire, la libertà di modificare, libertà di toccare-manipolare-trasformare senza alcun limite-controllo-censura-indirizzo precostituito.In sintesi: "offrire a tutti la libertà di creare". Il timore iniziale di molti organizzatori che il pubblico di adulti o bambini potesse interveni-re in modo troppo caotico e casuale o, peggio, non fosse interessato alle possibilità offerte dal sistema, si è rivelata infondato perché in tutti è sempre scattato il piacere di provare, di spe-rimentare e inventare soluzioni nuove, strane, inaspettate. Dato che le scatole sono in cartone rigido, resistente all'urto e anche a pesi elevati, le situazioni spaziali che si possono sviluppare sono infinite e assolutamente imprevedibili. Inutile dire che l'età e la formazione delle per-sone del pubblico coinvolte incide profonda-mente sugli atteggiamenti e sui risultati otte-nuti, ma quasi sempre, i risultati più stimolanti arrivano dai bambini i quali, più portati al gioco e all'invenzione slegata da schemi mentali pre-fissati, propongono organizzazioni delle forme più libere e inaspettate. "1x1x1" è una specie di grande gioco non sog-getto a problemi funzionali e totalmente aper-to a qualsiasi tipo di trasformazione si intenda

realizzare poiché privo di vincoli di ordine eco-nomico. Quando chiedono a Seikkonen a cosa serva l'Install-Action e se sia vera arte oppure solo un gioco, l'artista, convinto che alla fanta-sia non vadano posti limiti e che vada coltivata e incentivata ad ogni età perché alla base dell'e-voluzione del cervello umano, risponde che "L'arte è la capacità di giocare anche da adulti".

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STORIA DELL’ARTE IL MICROCOSMO DI BARBIE - 2

La storia della Barbie è piuttosto intrigante poi-ché, in un mondo apparentemente dolce come quello dei giocattoli, è stata oggetto di feroci controversie e costose cause legali e si ritrova-no tutte le tipiche problematiche delle grandi multinazionali. Già nella sua origine si ricono-sce la classica mitologia americana del self-ma-de man (anche se sarebbe più giusto self-made woman), il quale grazie al proprio ingegno, rie-sce a costruire un impero dal nulla.Tutto prende le mosse quando Ruth Mosko, moglie di Elliot Handler, il fondatore della Mat-tel, guardando giocare la figlia Barbara, intui-sce che alla bambina piace far recitare alle sue bambole ruoli da grandi; da questa osservazio-ne germoglia l'idea di una bambola dall'aspetto

adulto completamente diversa dai soliti neo-nati paffuti. La soluzione si presenta nel 1956 quando Ruth acquista in Europa una bambolina di plastica molto sensuale, la 'Bild Lilli', prodot-ta in Germania per un pubblico maschile, che corrisponde perfettamente a ciò che lei aveva in mente. Al suo ritorno negli Stati Uniti, con l'a-iuto di un ingegnere progetta una nuova bam-bola molto simile alla 'Bild Lilli', a cui viene dato il nome "Barbie" (come la figlia degli Handler). La testa, le gambe e le braccia sono vincolate al torso e possono ruotare e piegarsi (twist and turn) grazie a snodi e giunture invisibili ricoper-te dalla "pelle" elastica: un giocattolo totalmen-te flessibile e trasformabile a piacere. La prima Barbie (vedi immagini), prodotta in Giappone con una trentina di abiti cuciti a mano da donne a domicilio, viene messa in commer-cio il 9 marzo 1959 in due versioni, bionda e bruna. Una snella e sinuosa 'pin-up' molto at-traente coperta da un costume da bagno zebra-to, il trucco piuttosto marcato, capelli arricciati e legati con la coda di cavallo e orecchini pen-denti, collo e gambe esageratamente lunghi, seno pronunciato, fianchi ben definiti da un vitino a vespa. Dopo una iniziale diffidenza dei venditori e dei genitori nei confronti dell'ano-mala bambola sexi, già nel primo anno ne sono venduti 350mila pezzi. E' l'inizio di una rivolu-zione culturale che trasformerà radicalmente il modo di giocare dei bambini di tutto il mondo. Nel 1964 la Mattel compra tutti i brevetti e i di-ritti d'autore della 'Bild Lilli' e ne interrompe la produzione eliminando così il concorrente più pericoloso. Grazie a una massiccia campagna pubblicitaria televisiva, Barbie invade il merca-to diventando un esempio dell''american style of life', in cui la donna corrisponde a uno ste-reotipo di perfezione fisica e formale finalizza-

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STORIA DELL’ARTE

to al consenso maschile e alla conquista di un ruolo sociale attraverso la bellezza e l'eleganza. Nel corso degli anni la bambola viene dotata di un guardaroba composto da migliaia di abiti e accessori alla moda specifici per ogni occasio-ne e momento, così da garantirle un'esistenza perfetta pienamente e felicemente consumista.L'altra lungimirante intuizione della Mattel con-siste nel creare una vera e propria "vita reale" per Barbie (il cui nome completo è Barbara Mil-licent Roberts) con una famiglia composta da sorelle e fratelli, un fidanzato Ken Carson (di-minutivo di Kenneth, altro figlio degli Handler), cugini, più di 40 animali, amiche e amici di tutte le etnie che costituiranno negli anni un com-plesso sistema di personaggi e relativi accessori da vendere a ragazzine e collezionisti. L'aspetto di Barbie cambia molte volte nel cor-so dei suoi 57 anni di vita, ad esempio nel 1971, quando è stato raddrizzato lo sguardo pudico-malizioso 'in tralice' del modello originale (vedi in basso); la sua tipologia rimane però sempre improntata a un ideale di bellezza americana: lunga chioma bionda, grandi occhi azzurri, ma-scella pronunciata, labbra carnose. Un modello standardizzato che sarà adottato da milioni di adolescenti e dalle sorelle maggiori che si rico-noscono nello stile 'Barbie girls'. In questa sua continua evoluzione estetica, cul-turale e sociale, è possibile individuare i periodi in cui avvengono i cambiamenti più evidenti.Il periodo "Vintage" che va dal 1959 al 1966 delle 'Barbie ponytail' (con coda di cavallo), l'eyeliner nero marcato e iride bianca, rossetto vivace e orecchini a cerchio. Il periodo "Mod", dal 1966 al 1972/77: le labbra chiuse diventano color rosa naturale, gli occhi azzurri, in alcuni casi le ciglia sono vere, i capelli si allungano. ll periodo "Superstar", dal 1977 al 1995: il viso

delle nuove Barbie si ispira apertamente all'at-trice Farrah Fawcett (che, a sua volta, sembrava una Barbie), la bocca aperta in un sorriso che mostra i denti, ombretto azzurro e, in alcuni modelli, le fossette alle guance.

Continua

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EVENTIZAHA HADID

ZAHA HADIDIl 31 marzo è morta a 65 anni per un attacco cardiaco in un ospedale di Miami, dove era ricoverata per una bronchite, Zaha Hadid. Irachena naturalizzata britan-nica, è unanimemente considerata l'architetta più im-portante nella storia della professione. Nata a Baghdad da famiglia agiata, Hadid si è laureata in matematica a Beirut e poi in architettura alla presti-giosa Architectural Association di Londra. Dopo aver lavorato con Rem Koolhaas di cui diventa anche socia dello studio, nel 1979 fonda lo Zaha Hadid Architects, affiancando alla libera professione l'insegnamento in diverse note università. Hadid ha progettato opere in tutto il mondo, molte delle quali ancora sulla carta o in costruzione, ma co-struito relativamente pochi edifici nella sua carriera: il suo primo progetto realizzato è del 1983 ed è solo nel 2000 che la sua attività decolla veramente. Ha la-vorato anche in Italia (a Salerno, a Napoli e a Mila-no City) ma è conosciuta in particolare per il museo MAXXI di Roma, da alcuni considerato il suo miglior lavoro. Tantissimi i riconoscimenti: nel 2004 è la pri-ma donna a vincere il premio Pritzker (il Nobel degli architetti), nel 2008 è inserita da Forbes al 69esimo posto tra le 100 donne più influenti al mondo, nel 2009, il Premio Imperiale del Giappone e, nel 2016, la Royal Gold Medal del RIBA. Il suo linguaggio, coraggioso e sempre interessato a nuove sperimentazioni, dopo i primi approcci vicini a un'architettura decostruttivista "maschile" (vedi in alto), è diventato sempre più personale grazie a uno stile organico curvilineo vicino a una sensibilità più "femminile". Molti dei suoi ultimi lavori di architettu-ra e di design presentano complesse curve definite da qualche critico "stravaganti anche se innegabilmente voluttuose", influenzate probabilmente dalla sua for-mazione universitaria in matematica, che sembrano recuperare gli stilemi antichi e il decorativismo natu-ralistico della sua terra d'origine.

Vitra fire station, 1993, Weil am Rhein, (Ge)

Museo della Scienza Phaeno, 2005, Wolfsburg, (Ge)

Sotto: Centro Heydar Aliyev, 2016, Baku, Azerbaigian

EVENTI

DOMENICA 15 MAGGIO dalle ore 10.00

"Festa dell'Arte" al Bosco dei Poeti Dolcè (VR) al Km 318 S.S Brennero

- Saranno esposte 466 Tavolette dipinte dell'Archivio Carlo Palli- 15 Performance di Artisti Internazionali- Saranno riaperti i percorsi di Arte e Natura con 1000 opere di 600 artisti Durante la giornata sarà garantito un ottimo servizio di cucina alpina

per info: www.boscodeipoeti.it

NB! In caso di pioggia la manifestazione avverrà lo stesso alla Cantina Valdadige di Rivalta

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News dal mondo

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Untitled, 1989 (Bernstein 89-24), 1989

Untitled (DSS 134), 1968

Two symmetric prisms, 2015

Untitled,1988

Untitled (DSS 42), 1963

Maggio 2016, Anno 5 - N.5

DONALD JUDD

DONALD JUDD

DONALD JUDD

DONALD JUDD

Omaggio a DONALD JUDD

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DONALD JUDD, Untitled (DSS 42), 1963, colore rosso e nero su legno, ferro e alluminio, 193x244x30 cm, venduto da Christie's New York, 2013 a $ 14.165.000 (7.976.844 €)

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DONALD JUDD, Untitled,1988, acciaio galvanizzato

100x100x100 cm (ognuno)

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DONALD JUDD, Untitled 1989 (Bernstein 89-24), 1989, rame e plexiglass rosso, dieci elementi 23x102x79 cm, venduto da Christie New York nov. 2012 a $ 10.162.500 (7.976.800 €)

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DONALD JUDD, Untitled (DSS 134), 1968, plexiglass

verde e acciaio inox, 84x173x122 cm, venduto da

Sotheby New York 2013 a $ 4.533.000 (3.365.000 €)

PAOLO TOMIO, Omaggio a DONALD JUDD Two symmetric prisms pink and orange, 2015fine art su Dibond, 120x90 cm

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