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I tesori di Akragas Treasures of Akragas le collezioni del British Museum Masterpieces from the British Museum Agrigento, Villa Aurea 21 aprile / 13 ottobre 2017 Catalogo della Mostra a cura di Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello

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I tesori di AkragasTreasures of Akragas

le collezioni del British MuseumMasterpieces from the British Museum

Agrigento, Villa Aurea

21 aprile / 13 ottobre 2017

Catalogo della Mostraa cura di

Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello

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Assessorato Beni Culturali e Identità Siciliana

Dipartimento Beni Culturali e Identità Siciliana

I tesori di AkragasTreasures of Akragas

le collezioni del British MuseumMasterpieces from the British Museum

Agrigento, Villa Aurea

21 aprile / 13 ottobre 2017

Catalogo della Mostraa cura di

Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello

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I tesori di Akragas: le collezioni del British Museum : Agrigento, Villa Aurea 21 aprile-13 ottobre 2017 / catalogo della mostra a cura di Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello. - Palermo : Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana, Dipartimento dei beni culturali e dell'identità siciliana, 2017.ISBN 978-88-6164-452-61. Oggetti di scavo – Agrigento – Collezioni [del] British Museum – Cataloghi di esposizioni.I. Caminneci, Valentina <1966->. II. Parello, Maria Concetta <1964->.937.8221 CDD-23 SBN PAL0298279

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

Progetto scientifico / Scientific project Giuseppe Parello, Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello

Progetto allestimento mostra / Set-up project Carmelo Bennardo

Testi / Texts Valentina Caminneci, Alessandro Carlino, Graziella Parello, Maria Concetta Parello, Maria Serena Rizzo

Traduzioni / Translations Jaana Helena Simpanen

Allestimenti / Set-upImpresa ICAM s.r.l.Floridia allestimenti museali

R.U.P. / AccountantGiuseppe Grado

Collaborazione / With the collaboration ofMichele Cavaleri, Maurizio Lumia

Si ringraziano / Thanks toAntonio Infantino, Calogero Liotta, Giuseppe Presti e tutto il Personale del Parco

Foto / PhotoArchivio Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento

© The trustees of the British Museum. All rights reserved

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Presentazione. . . . . . . . . . . . . . . pag. 5Bernardo Campo

I tesori di Akragas: dal British Museum alla Valle dei Templi . . . . . » 7Giuseppe Parello

The British Museum in the Valley of the Temples . . » 9J. Lesley Fitton

La Mostra / The Exhibition . . . . . . . . . . » 13Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello

Catalogo e approfondimenti / Catalogue and insights

LA SCULTURA / SCULPTURES

Rilievo in marmo / Marble relief . . . . . . . . . » 19Valentina Caminneci

Charles Townley: la passione per l’arte classica di un country gentleman . . . . . . . . . . . . . » 23Valentina Caminneci

Testa marmorea di dea / Marble head of goddess . . » 27Valentina Caminneci

Alessandro Castellani, il mazziniano che faceva affaricon l’arte . . . . . . . . . . . . . . . . » 29Valentina Caminneci

INDICE

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I VASI / POTTERY

Anfora a figure nere di Nikosthenes / Black Figure Amphora of Nikosthenes . . . . . . pag. 33Maria Concetta Parello

La bottega di Nikosthenes . . . . . . . . . . » 35Maria Concetta Parello

Cratere del Pittore di Orestes / Red figure column krater of the Orestes Painter . . » 39Maria Concetta Parello

Dinos a figure rosse / Red figure dinos . . . . . . » 41Maria Concetta Parello

Le Amazzoni attraverso gli occhi dei Greci: marginalità e diversità . . . . . . . . . . . . » 44Maria Concetta Parello

Vaso configurato a forma di Sirena . . . . . . . » 47Maria Concetta Parello

IL DECADRAMMA DI AKRAGAS / AKRAGAS DECADRACHM

Il Decadramma di Akragas / Akragas Decadrachm . . » 51Graziella Parello

La monetazione di Akragas . . . . . . . . . . » 55Graziella Parello

Oscillum / Loom weight . . . . . . . . . . . » 59Maria Concetta Parello

Calco di matrice in gesso / Plaster cast of mould . . » 61Maria Concetta Parello

DISEGNI / DRAWINGS

I disegni di Cockerell / Cockerell’s Drawings . . . . » 65

C.R. Cockerell ed il tempio di Zeus Olimpico . . . . » 69Alessandro Carlino

Alexander Hardcastle ad Agrigento . . . . . . . » 75Maria Serena Rizzo

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Con l’esposizione “Sicily culture and conquest” la Regione Siciliana,nell’anno 2016, ha permesso - per la prima volta - l’arrivo al BritishMuseum di pezzi di un passato affascinante che, grazie a statue, de-corazioni architettoniche provenienti da templi, chiese e palazzi, mo-nete antiche e meravigliosi gioielli hanno narrato in terra anglosassonele storie dei popoli fenici, greci, romani, bizantini, arabi e normanni chehanno occupato o invaso la Sicilia, attratti dalle terre fertili e dallasplendida posizione strategica.Nel 2017, nel solco della collaborazione con l’istituzione museale lon-dinese, la realizzazione da parte del Parco Archeologico e Paesaggi-stico della Valle dei Templi del progetto “I tesori di Akragas. Le colle-zioni del British Museum” testimonia la pregevole attenzione dell’am-ministrazione regionale e della comunità scientifica e culturale inglesenei confronti di uno straordinario viaggio immaginario alla scoperta

degli antichi tesori provenienti dalla città di Akragas.Il percorso espositivo del presente progetto culturale, ed il relativo ca-talogo, accompagnerà, infatti, il visitatore alla scoperta dei meravigliosicapolavori, realizzati dai coloni Rodio-Cretesi, confluiti nei secoli scorsiin grandi collezioni archeologiche.Un’occasione unica che consentirà al Parco Archeologico e Paesag-gistico della Valle dei Templi di poter innovare l’offerta culturale da of-frire al pubblico, oltre a rappresentare un’importante opportunità dicrescita, di sviluppo e sicura visibilità del suo inestimabile patrimonio,con l’obiettivo di poter conquistare l’attenzione della platea di opera-tori e fruitori attraverso un ipotetico ponte sensoriale tra i luoghi dellacultura londinesi ed agrigentini, oggi realizzato mediante la costruzionedi questo programma di cooperazione internazionale.Una visione condivisa con le scelte operate dalla Direzione del Parco.

Bernardo CampoPresidente del Consiglio del Parco della Valle dei Templi

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PRESENTAZIONE

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Archeologia pubblica e partecipata: è questo il criterio ispiratore dellescelte del Parco Valle dei Templi in materia di valorizzazione di un pa-trimonio culturale la cui rilevanza mondiale è stata sancita dall’inclu-sione nella World Heritage List e dal conferimento da partedell’Unesco della Dichiarazione di Eccezionale Valore Universale, unriconoscimento che premia proprio l’apertura e l’attenzione verso ibisogni molteplici della comunità. Il progetto della mostra “I tesori di Akragas. Le collezioni del BritishMuseum” costituisce un evento prestigioso per la sua valenza inter-nazionale e si inscrive nel solco delle strategie intraprese per il coin-volgimento della collettività nei processi virtuosi di partecipazione aibeni culturali. L’iniziativa, inoltre, costituisce la preziosa occasione dirinsaldare un legame antico con l’Istituzione Museale Londinese econ il Regno Unito, che nei secoli ha più volte manifestato interessenei confronti della nostra Isola. A partire dagli anni Settanta del ‘700la nostra terra ha accolto numerosi viaggiatori e artisti d’oltremanica,spinti dall’amore per il bello e desiderosi di conoscenza, che hannolasciato scorci affascinanti delle nostre rovine e piacevoli appunti diviaggio. Raccontano l’avventuroso itinerario siciliano le pagine vivacidel diario di Brydone, il manoscritto della Spedizione di Payne Knight,illustrato dalle gouaches di Hackert e di Gore, e i quattro volumi deiTravels in Two Sicilies di Henry Swimburne. La tradizione empiristicaanglosassone aveva sviluppato nel gusto antiquario dell’Inghilterra il-luminista una ricercata sensibilità verso i temi della veduta naturalistica

e del paesaggio. La veduta archeologica accompagnò come ricordoil Grand Tour, viaggio sentimentale a ritroso sulle tracce del passato,coronamento del percorso formativo del gentiluomo, che si compiaceanche del collezionismo erudito di oggetti strappati alla polvere deltempo. I pezzi in esposizione, provenienti dalla città antica, confluironoproprio nelle grandi collezioni di antichità, costituitesi tra Settecentoed Ottocento, acquisite successivamente dal BritishMuseum.Questa mostra viene significativamente allestita nel luogo che meglioincarna il rapporto affettivo tra il Regno Unito e la nostra città. E’ lafascinosa magione neoclassica a pochi metri dal Tempio della Con-cordia, eletta a propria dimora negli anni Venti del secolo scorso dalCapitano Alexander Hardcastle, che la battezzò Villa Aurea. Ad Agri-gento antica, sua patria elettiva, il Capitano consacra gli ultimi anni divita, promuovendo non solo gli scavi ed i restauri del patrimonio mo-numentale, ma anche importanti opere pubbliche a beneficio dellacollettività, come dotare la Valle dei Templi, all’epoca campagna, diacqua e luce elettrica, primo passo verso la fruizione organizzata delsito archeologico. Hardcastle, fra i più grandi benefattori della nostracittà, ha a cuore il nostro patrimonio culturale, verso il quale nutre pro-fondo e disinteressato rispetto, nell’osservanza piena delle leggi ita-liane. Di tale correttezza adamantina sono prova i calchi in gessoeseguiti sui pezzi originali, recuperati durante gli scavi da lui finanziati,donati al British Museum, lasciando al proprio posto l’immenso pa-trimonio recuperato. Uno di questi calchi è esposto proprio per il forte

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I TESORI DI AKRAGAS: DAL BRITISH MUSEUM ALLA VALLE DEI TEMPLI

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Charles Gore, The two temples at Agrigentum; the temple of Juno Lucina, near the cactus-dotted foreground, beyond, the Temple of Concord, and the town of Girgenti. Watercolour1777

Charles Gore, Ruins of the temple of Jupiter at Agrigentum; scattered and overthrown blocksof masonry, with trees l, and a young man seated in the shadow of the ruins. Brush drawingin grey wash, with pen and grey ink, over graphite 1777

valore simbolico di fronte al fenomeno della fuga di opere d’arte cheha interessato per gran parte dell’800 anche il sito dell’antica Agri-gento. Questa mostra scrive un nuovo capitolo di questo rapporto fecondotra la Valle dei Templi e il Regno Unito e segna il fausto ritorno nelluogo di origine dei tesori di Akragas.

Giuseppe ParelloIl Direttore del Parco della Valle dei Templi

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who was Envoy Extraordinary to the Kingdom of the Two Siciliesbetween 1764 and 1800. His collection included terracotta figuresand furniture attachments, jewellery and the extraordinary goldbowl from a tomb at Sant’Angelo Muxaro. In 1772, CharlesTownley, antiquarian and later British Museum Trustee, went toSicily to explore the ancient ruins and purchase antiquities,particularly coins. Perhaps his most significant acquisition was afragment of a Roman historical relief, included in this exhibition,which was reportedly found off the coast of Agrigento. The maleand female subjects were originally identified as Hieron and Philistis,the famous monarchs of Hellenistic Sicily in the third century BC.This was, though, a somewhat romantic interpretation, which wouldbe questioned today. The British Museum was also drawn to Sicilythrough the activities of architects and artists such as CharlesCockerell (1788-1863) who travelled to the island in 1812 as part ofhis architectural training. He spent several months conductingresearch at various sites and attempted to reconstruct the Templeof Zeus Olympios at Agrigento, in particular the colossal telamons.Some of his fine drawings are included here. Another importantBritish figure was George Dennis (1814-1898) who worked for theBritish Consular service in various parts of the Mediterranean.Dennis became vice-consul for Sicily in 1863 and began to explorethe island and its ancient sites. Despite his lack of formal educationor training in the Classics, he became a great linguist and an

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THE BRITISH MUSEUM IN THE VALLEY OF THE TEMPLES

The British Museum is delighted to be working once again withcolleagues in Sicily to bring together important pieces for display inthis prestigious exhibition. We value our collaborative relationshipwith the Assessorato dei Beni Culturali e dell’identità Siciliana,which over many years has resulted in successful projects in bothSicily and London, and we are particularly pleased to becollaborating now with the Parco Archeologico e Paesaggisticodella Valle dei Templi di Agrigento.This exhibition celebrates the contribution of Sir AlexanderHardcastle (1872-1933) to Sicilian archaeology, and is held in hisformer residence, the Villa Aurea. Sir Alexander was a distinguishedBritish naval captain who retired to Agrigento, where he supportedexcavation and restoration works. In gratitude for this, he wasmade an honorary citizen of Agrigento and Commendatoredell’Ordine della Corona d’Italia.Yet already by Hardcastle’s time the involvement of Britishcollectors, consular employees and amateur archaeologists in Sicilyhad broadened knowledge of this politically, economically andculturally significant island. Agrigento was a major port of call formost of these early explorers, its striking location and remarkablestate of preservation allowing British travellers to get a taste of theirfirst Greek-style temples, long before Greece became a commondestination on the ‘Grand Tour’. Some of the British Museum’searliest acquisitions from Sicily came through Sir William Hamilton,

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admirable artist. He is best-known for his seminal publication, Citiesand Cemeteries of Etruria (1848), though he also published anarchaeological and historical guide to Sicily (1864), on which he hadbeen working during study trips in the preceding years.In Sicily, Dennis excavated in the cemeteries at Agrigento and thenGela, where he discovered tombs containing pottery, terracottasand other goods. The burials ranged in date from the Archaic toClassical periods. He also dug briefly at Centuripe and Syracuse.We do not know whether Dennis kept notes of what he found ineach grave at Gela: certainly none have yet come to light to assistus with assembling possible grave groups. Amongst his finds werepainted and plain-ware vessels, and many terracotta figures. Theseoften represented deities associated with the underworld and thecycle of nature, including Demeter and Persephone, or theirfollowers making offerings. George Dennis’ work in Sicily enhancedthe British Museum’s collection of Sicilian-Greek and locallyproduced artefacts. From Gela came fine black and red-figuredpottery, but from Agrigento came objects not previously included inthe British Museum’s collections, which were often more domesticin nature. An example is the loom weight which is shown in thisexhibition. It is to be hoped that further archival documents mightone day come to light that will provide more information aboutDennis’ researches. There are just a few letters in the BritishMuseum archives in which Dennis refers to his explorations in Sicilyand his acquisitions. It is clear that, while the majority came from hisexcavations, some pieces were purchased from local collectors.

Yet of all the British people who have enhanced our knowledge ofancient Sicily, Alexander Hardcastle stands out. Born in London in1872, he had a highly successful career in the Royal Navy beforesettling in Agrigento in 1920. He purchased his villa on the ancientsite, amidst the great temples, and used his own private funds tofinance both excavations and large-scale restoration works. One ofhis greatest engineering achievements was the reconstruction ofeight of the columns from the archaic temple of Herakles. He alsotraced what remained of the city’s boundary walls. Hardcastle’sgreat devotion to Agrigento, a love that almost verged onobsession, led him to spend many years trying to discover the losttheatre of ancient Akragas - but it eluded him, as it still eludesarchaeologists today. While Hardcastle was not a collector ofantiquities, he gave to the British Museum an important series ofplaster casts of the archaic moulds for the production of terracottaplaques that he discovered at Agrigento. Two of these plaster castsare included in this exhibition. There can be no doubt thatHardcastle’s work at Agrigento made a truly significant contributionto understanding of the site, and has helped millions of visitors toenjoy the monumental temples and other buildings that oncedominated this most beautifully and lavishly decorated of all ancientGreek cities. Those who visit the site today will be thrilled to seethat a bust of Alexander Hardcastle has been erected outside hishouse. The crossed arms, tightened tie and determined expressionbetray the focussed vision of a man with a mission to breathe lifeback into the wonderful ancient city that became his home.

J, Lesley Fitton Keeper Department of Greece and Rome British Museum.

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William Chambers, The Townley Collection in the Dining Room at Park Street, Westminster, watercolour, 1794, British Museum(da http://www.britishmuseum.org/research/research_projects/all_current_projects/antiquarian_drawings.aspx)

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Gli oggetti esposti in questa mostra raccontano due modi diversi diapproccio e di conoscenza delle antichità di Akragas. Il nucleo piùconsistente è costituito dagli oggetti dell’Akragas greca, dispersi nelmercato antiquario di tutta Europa, che sono giunti al British Museumattraverso le acquisizioni di alcune tra le maggiori collezioni d’arte chesi erano formate nei secoli precedenti. Tra queste ricordiamo la col-lezione Townley, appartenuta al nobile Charles Townley che comprònumerose opere d’arte antiche durante il Grand Tour, fenomeno cul-turale comunemente associato ai viaggiatori aristocratici inglesi, tappafondamentale nella vita di un gentiluomo. Il percorso a ritroso neltempo sulle tracce delle civiltà antiche elegge l’Italia come meta pre-diletta e favorisce la nascita del collezionismo privato inglese, pas-sione assai diffusa tra i nobili d’oltremanica, che facevano a gara perprocurarsi, attraverso i loro agenti, statue, colonne, monete. Tra que-ste collezioni di antichità greche e romane spicca quella di CharlesTownley, che non aveva eguali in Inghilterra, acquistata dal British Mu-seum e, secondo le disposizioni testamentarie dello stesso Townley,esibita nella Townley Gallery. Nel 1867 il British Museum acquisisce IlMusée Blacas, importante collezione raccolta dal Duca Louis de Bla-cas d’Aulps, nominato ambasciatore francese presso il Regno delleDue Sicilie nel 1816. Durante gli anni della sua permanenza in Italiaegli ammassò una ricca collezione di antichità, pubblicata in parte daTeodor Panofka nel 1830. Alla sua morte i suoi discendenti vendetterogran parte della collezione al British Museum, diretto da Charles Tho-

The objects on display in this exhibition give us two different waysto approach, and to learn about, the antiquities of Akragas. Thecentral part of the exhibition comes from the ancient Greek city ofAkragas. Track of many of these items was lost on the antiquemarkets all over Europe; they finally came into the British Museumby the acquisitions of some of the major art collections that hadbeen created in the previous centuries. The collections purchasedby the British Museum include the Townley collection, whichbelonged to the noble Charles Townley, who had bought severalantique works of art during his Grand Tour, a cultural phenomenonand a symbol of the noble Anglo-Saxon society, commonlyassociated with travellers who belonged to the English aristocracy.The Grand Tour was a key step of the education of the rich youngmen round the main destinations in Europe. Italy became, not onlythe favourite destination of this journey back in time in search of theremains of classical civilization, but also the place where the privateBritish collectors flourished. Respectable British art collectorswanted to be surrounded by statues, columns and reliefs, procuredby professionals who followed the archeological excavations in Italy,and chose the best pieces for them. The collection of Greek andRoman antiquities of the noble Charles Townley, which could rivalany other in England, was bought by the British Museum, andaccording to his testamentary dispositions, exhibited in the TownleyGallery. Charles Thomas Newton, the Director of the London

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LA MOSTRATHE EXHIBITION

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mas Newton. Questi per il museo londinese acquistò anche un lottodi reperti da Alessandro Castellani, antiquario e orafo, che con la suaoreficeria neoarcheologica, ad imitazione degli ori etruschi, dominò ilgusto e la moda europea nel corso dell’ Ottocento. L’altro nucleo deimateriali esposti è costituito dai disegni che l’architetto Charles Ro-bert Cockerell ha realizzato durante la tappa del suo Grand Tour adAkragas, dove si fermò a studiare soprattutto i Telamoni del tempiodi Zeus Olimpio proponendo un’ipotesi di ricostruzione, presto ripresada altri studiosi. Essi rappresentano dunque la testimonianza direttadi un’esperienza di viaggio sentimentale finalizzata in primo luogo allaconoscenza, allo studio ed alla comprensione dell’architettura antica.Discorso a sé merita il calco in gesso della matrice di una placca fittilecon la rappresentazione di una delle fatiche di Eracle il cui originale èstato ritrovato durante gli scavi promossi dal mecenate inglese. Ilcalco, insieme ad un nucleo consistente di altri calchi è stato donatoal British Museum da Sir Alexander Hardcastle, generoso elargitoredi fondi per il restauro dei monumenti dell’antica Akragas e per la ri-cerca archeologica affidata a Pirro Marconi. L’oggetto è stato espostoper il forte valore simbolico che assume nel contesto della fuga diopere d’arte che ha coinvolto per gran parte dell’800 anche il sito diAkragas. L’ammiraglio inglese, infatti, nell’osservanza piena delle leggidi tutela emanate dal nostro paese, mandò al “suo” museo soltantole copie dei magnifici reperti ritrovati durante le campagne di scavoda lui finanziate, lasciando al proprio posto l’immenso patrimonio re-cuperato.

Museum, bought a lot of artifacts from Alessandro Castellani, amember of an Italian family of goldsmiths and antique dealers whoproduced imitations of Etruscan gold items and dominated theEuropean taste and fashion with their neo-archaeological jewelleryduring the 19th century. The Musée Blacas, a creation of DukeLouis de Blacas d’Aulps, appointed French Ambassador to theKingdom of the Two Sicilies in 1816, was acquired by the BritishMuseum in 1867. During his stay in Italy he had collected a greatnumber of antiquities, published in part by Teodor Panofka in 1830.After the Duke’s death his heirs sold a great part of his collection tothe British Museum. The drawings made by the architect CharlesRobert Cockerell during his Grand Tour to Akragas constituteanother centre of the exhibition. Deeply devoted to the study of theatlases of the Temple of Olympian Zeus, Cockerell proposed areconstruction hypothesis which was later restudied by otherscholars. His research shows the importance of the Grand Tour thataimed primarily at knowledge, study and understanding of ancientarchitecture.The plaster cast of the clay plaque matrix representing one of thelabors of Hercules is well worth a look. The original, which wasfound during the excavations of a sanctuary of chthonic gods, wasdonated with other moulds to the British Museum by Sir AlexanderHardcastle, who was a generous donor of funds, not only for therestoration of the monuments of the ancient city of Akragas, butalso for the archaeological research carried out by Pirro Marconi. Ithad a strong symbolic value in the context of the illicit trade ofworks of art that involved also the archaeological site of Akragas formost of the 19th century. The English captain, in fact, in fullobservance of the laws enacted for the protection of our country,sent to “his” museum only copies of the magnificent artifacts foundduring excavations he himself had financed, leaving the originalarchaeological treasures untouched.

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CATALOGO E APPROFONDIMENTICATALOGUE AND INSIGHTS

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LA SCULTURASCULPTURES

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Frammento di rilievo in marmo pario raffigurante un flamen con elmoin alto rilievo e vestale velata, con infula attorno alle tempie, sullosfondo. La testa maschile aggetta ad alto rilievo ed è collegata allosfondo da dietro l’occhio sinistro. Di profilo a destra, il volto, legger-mente ruotato verso lo spettatore, non è di scorcio, ma tutti i pianisono perfettamente simmetrici. La fronte è attraversata da due solchiche si dipartono dall’attacco del naso e si uniscono alla depressioneal disopra delle sopracciglia. La bocca è appena dischiusa, segnatada una scanalatura leggermente ricurva. Grandi occhi infossati, linea-menti duri, mascella potente. Uso moderato del trapano nelle ciocchedi capelli sopra la fronte. La testa femminile, a rilievo molto basso, hai lineamenti del viso assai regolari. I capelli sono divisi in due bande,con ciocche ondulate, senza uso di trapano. Le pieghe del velo sonorese con solchi superficiali, quasi incisi. Rotto su tre lati, solo il latodestro sembra finito. Le figure si conservano fino alle spalle. Abrasionisulla superficie specie nella testa maschile.

Dimensioni: Altezza: 43,18 cm; Larghezza: 40, 64 cmProvenienza: dalla costa di Baia? dalla costa di Agrigento? Datazione: 70-100 d.C.

La storia di questo pezzo, già nella Collezione Townley, costituisce unvero giallo archeologico, a cominciare dal suo ritrovamento. Dalle an-notazioni di Taylor Combe, conservatore al dipartimento delle antichità

The marble relief fragment preserved in the British Museumrepresents two human heads, previously interpreted as a Greekrelief depicting Paris and Helen, then Pelops and Hippodamia, laterthe portraits of Hiero II and Philistis, finally the fragment has beenclaimed back to Roman art. D.E. Strong’s identification of the malefigure as a flamen is confirmed while the female figure is identifiedas a Vestal. The reported provenance from the sea near Agrigentois questioned in the light of the marble’s state of preservation, thesubject matter, and the history of the Townley collection to which itbelonged. This conjecture derived from Combe’s report that therelief had been found in the sea near Agrigento. Townley, however,recorded in his diary for 12 May 1801 that ‘it was dragged up byfisherman’s netts near the columns that appear under water beingpart of the ruins of Baiæ’. He presumably had this informationdirect from Sir William Hamilton, who had presented the relief tohim on 1 May. Baiae is a more plausible findspot than Agrigento foran object that had been acquired by Sir William Hamilton. The relieffragment appears to be carved on Greek island white marble,possibly Parian. It is broken on three sides: at the top, bottom andon the left edges. The right side is cut neatly and verticallysuggesting that the slab to which it belonged ended at this point.The fragment preserves only the heads and parts of the necks andshoulders of two figures: a man with a tight-fitting cap in very highrelief and a veiled female figure in the background. The surface

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RILIEVO IN MARMOMARBLE RELIEF

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Fregio dell’Ara Pacis con figure di flamines, Museo dell’Ara Pacis, Roma, 9 a.C. (dahttps://it.wikipedia.org/wiki/Ara_Pacis#/media/File:Ara_pacis_fregio_lato_ovest_2.JPG)

Rilievo A dal Palazzo della Cancelleria, 81-96 d.C. Musei Vaticani, Roma con scena di arrivo(adventus) dell'Imperatore Vespasiano a RomaRilievo B dal Palazzo della Cancelleria, 81-96 d.C. Musei Vaticani, Roma con scena di par-tenza (profectio) dell'Imperatorehttp://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/collezioni/musei/museo-gregoriano-profano/Rilievi-della-Cancelleria.html)

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del British Museum dal 1807 al 1826, si apprende che sarebbe statorecuperato dal mare nei pressi di Agrigento. Ma nel suo diario sir Townley, alla data del 12 maggio 1801, ricordache fu un pescatore a ritrovare il rilievo nelle sue reti gettate tra le co-lonne sommerse di Baia. Questa informazione gli fu data forse diret-tamente da Sir William Hamilton, che glielo mostrò il primo di Maggio.Il rinvenimento a Baia, considerati gli spostamenti di Hamilton in Cam-pania, risulta più plausibile che un recupero ad Agrigento, anche serimane da spiegare, comunque, l’assenza di incrostazioni marine sullesuperfici. È proprio Combe a dare la prima lettura del rilievo comeparte di una scena mitologica con Paride ed Elena sul carro, che vieneaccolta anche da Winckelmann. Diversa l’identificazione proposta da Hawkins nella prima edizione delpezzo, con una incisione a cura di H. Corbould. Sulla base di confronticon la pittura vascolare riconosce nelle due figure Pelope ed Ippoda-mia, trovando anche delle somiglianze con il ritratto descritto da Filo-strato il Giovane. Un anno dopo Sir Henry Ellis, nella monografia sulla collezione Tow-nley, riaffermava l’ipotesi di Paride e di Elena. In seguito, Lawrence,sposando la teoria di Smith che riconosceva nel rilievo un tiranno si-ciliano con la sua consorte, suppone che possa trattarsi di Hierone IIe di Filistide. Nel 1872 Helbig confermava questa tesi, sulla base dei confronti coni ritratti dei sovrani sulle monete. Con lui concordarono subito ancheBrunn-Arndt, mentre Rossbach propende per Gelone II e consorte.Non è escluso, ovviamente, che l’ipotesi sia nata sulla base della no-tizia, per nulla sicura, del rinvenimento del rilievo ad Agrigento, il chesuggeriva il collegamento con la Sicilia. Anche Biagio Pace illustra la scultura, accogliendo l’identificazionecon Hierone II e sottolineando le affinità della presunta testa di Filistidecon i ritratti coevi di Berenice. Ancora nel 1960 il Borda insiste nel ri-conoscere i due sovrani siracusani. Ma nello stesso anno Strong in-quadra correttamente il problema, riconoscendo il pezzo come un

areas of the marble have been variously affected by weathering.The man’s head is the most heavily eroded. Here the originalmarble surface has been completely altered but for a small patchon the headdress, just above the nape, on which slight traces ofrasp-marks are still visible. The right side of the face, the mostexposed part, is the worst affected. The woman’s head survives ina much better state and lacks only a few insignificant chips on theedges of the veil and on the tip of the nose. The flamen’s headstands out in very high relief and is attached to the backgroundfrom behind the left eye. It appears almost in complete profile to theright but the face is actually turned slightly towards the spectator.The face has not been foreshortened at all and the facial featuresare perfectly symmetrical. The forehead is marked by two uprightfurrows departing from the bridge of the nose and slanting inwardsto meet the depression which runs horizontally above theeyebrows. The mouth is slightly open, marked by a lightly curveddrilled groove. The big, deep-set eyes, the hard features andpowerful bone-structure, as well as the faint expression imparted bythe mouth, manifest the portrait quality of the head. The Vestal’shead is a background head, flattened out in very low relief, in strictprofile to the right. The facial features are very regular. The hair iscombed sideways along the temples in very shallow wavy strandswhere one is struck by the total absence of the use of the drill,which is employed, however, to part the lips. The neck has receiveda very linear treatment: its creases are rendered by two very shallowgrooves, almost incised. This linear, rigid and shallow treatmentprevails also in the drapery of the veil.

Museum number 1805,0703.263Dimensions: max. h. 44 cm; max. w. 40 cm; max. h. of relief 17 cm.From Baia? From Agrigento? Chronology: 70-100 ADPurchased from Peregrine Edward Townley, 1805 ex collectionCharles Townley

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http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collec-tion_object_details.­­­

frammento di rilievo storico romano con figura di flamen e vestale,alla luce di stringenti confronti stilistici con i rilievi cosiddetti del Pa-lazzo della Cancelleria, databili nella tarda età flavia (sotto Domiziano,81-96 d.C.), raffiguranti, uno, l’arrivo di Vespasiano, accolto da Do-miziano, dal Genio del Popolo romano, dalla dea Roma e dalle Vestali,l’altro, la partenza dell’Imperatore per una campagna militare. Il par-ticolare copricapo della figura maschile, infatti, non era il cappello frigiodi Paride, come pensava Combe, bensì il galerus, l’elmo tipico deiflamines, sacerdoti che accendevano il fuoco (flamma) sull’ara dei sa-crifici, che compaiono, ad esempio, nel fregio dell’Ara Pacis. La figura femminile è probabilmente una Vestale, la sacerdotessa delladea Vesta, spesso raffigurata insieme ai flamini, che indossa il siffibu-lum, il velo che le copre il capo, e l’infula, la fascia di lana che le cingele tempie. Il Bonanno, che ha attribuito il pezzo ad un’officina romana, ha ri-messo in discussione la provenienza, ipotizzando il rinvenimento aRoma, sulla base della storia della Collezione Townley, arricchitasi at-traverso le acquisizioni degli agenti Hamilton, Jenkins e Byres, che simossero per lo più tra Roma e Tivoli. Sempre il Bonanno sostiene che Agrigento nel I secolo d.C. non sa-rebbe stata città così importante da accogliere un monumento tantosignificativo. Tesi questa facilmente contestabile alla luce dell’evidenza archeolo-gica di Agrigentum, e, in particolare del programma di monumenta-lizzazione del foro agrigentino, dove tra l’età augustea e giulio claudia,viene realizzato un ginnasio e un santuario ellenistico romano con untempietto al centro di una vasta piazza porticata, abbellita da statuemarmoree, come pure della luxuria privata delle domus, riccamentedecorate da mosaici.

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Nel 1794 il pittore William Chamber dipinse due acquarelli che ritrae-vano la sala da pranzo e l’ingresso della dimora di Charles Townley aln.7 di Park Street. L’ingresso è decorato con un rosso pompeianoacceso, il soffitto adornato con affreschi in trompe l’oeil, raffiguranticolombari riempiti con busti sepolcrali e vasi.L’organizzazione simmetrica delle sculture disposte contro il murodella sala da pranzo conferisce un’aria ordinata all’esposizione alle-stita in questa casa, progettata proprio a questo scopo nel 1778 daSamuel Wyatt. La collezione di antichità, raccolta negli anni, che non aveva eguali inInghilterra, divenne presto un’attrazione per i turisti, per i quali CharlesTownley predispose un catalogo.Nato nel 1737 a Townley Hall nel Lancashire, da una famiglia cattolica,si trasferì in Francia ed entrò nella buona società parigina. Alla mortedel padre si dedicò al suo patrimonio fondiario e si prese cura dellesue tenute. Ebbe un unico grande amore, l’arte classica, coltivato at-traverso i viaggi compiuti in Italia. Nel 1767 Townley si reca in Italia,dove ritornerà anche nel 1771 e nel 1777, fermandosi a Roma, a Na-poli, in Campania e in Sicilia. Il Grand Tour è un fenomeno culturalecomunemente associato ai viaggiatori aristocratici inglesi, simbolodella società nobiliare anglosassone, che conferì un codice all’espe-rienza del viaggio, elevandolo a tappa fondamentale nella vita di ungentiluomo, delineandone gli itinerari e le destinazioni. L’Italia divienenon solo la meta prediletta di questo percorso a ritroso nel tempo alla

ricerca delle vestigia della civiltà classica, ma anche il luogo in cui fiorìil collezionismo privato inglese. Un collezionista d’oltremanica che sirispettasse doveva circondarsi di statue, colonne, rilievi, procurati daprofessionisti che seguissero i lavori di scavo e scegliessero per lui ipezzi migliori. In questo traffico di opere d’arte la mediazione venivaesercitata da semplici sensali ovvero dagli agenti, intenditori di profiloculturale più alto, assimilabili a procuratori artistici, che tutelavano gliacquirenti da falsi o frodi. Dal serrato carteggio epistolare con gliagenti di Townley, tra cui Thomas Jenkins, James Byres e Gavin Ha-milton, emerge la passione quasi compulsiva per l’arte classica delnobile inglese, che profuse tutte le sue energie e un patrimonio di oltre11,000 sterline nella sua fervida attività di collezionista. Peraltro,escluso dalla vita politica in quanto cattolico, ricoprì solo incarichi cul-turali come quello di vice-presidente della Società di Antiquari, dimembro della Società dei Dilettanti e di socio della Royal Society. Nel 1782 Johan Zoffany ritrasse Townley nella sua biblioteca di ParkStreet circondato da statue e gruppi scultorei celebri come il Disco-bolo scoperto nel 1791 a villa Adriana e aggiunto nell’opera solo dopotale anno. In questo pittoresco «spazio virtuale», gremito da tutte leantichità disseminate nella realtà nei vari ambienti della dimora londi-nese, il nobile è in compagnia di tre amici con cui condivise la pas-sione per il collezionismo, Charles Greville, Thomas Astle e PierreFrançois Hugues. A quest’ultimo, noto come il barone d’Hancarville,conosciuto ai tempi del soggiorno a Napoli e dell’assidua frequenta-

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CHARLES TOWNLEY: LA PASSIONE PER L’ARTE CLASSICA DI UN COUNTRY GENTLEMAN

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William Chambers, I marmi di Townley nella sala da pranzo al n. 7 di Park Street a Westmin-ster, acquarello, 1794, British Museum http://www.regencyhistory.net/2013/01/charles-townley-1737-1805.html

Christopher Hewetson, Busto di Charles Townley, 1769. British Museum, Londra

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zione del Museo di Portici, affidò la catalogazione della propriacollezione. Nel 1791 Townley divenne curatore del British Mu-seum e collaborò al progetto di ampliamento del Museo.Muore nel 1805 nella sua casa di Park Street a Londra, la-sciando il legato di realizzare una galleria al British Museumper allestire in modo degno i suoi pezzi pregiati. La collezione, venduta al museo londinese per la cifra di20,000 sterline, verrà esposta in una serie di stanze in stilepalladiano, la Townley Gallery, oggetto poi di un riallestimentosuccessivo ad opera dell’architetto Robert Smirke nel 1823.La folla di sculture classiche nel salotto idealizzato di Zoffanyrievoca nel modo più affascinante l’esistenza di questo sin-golare personaggio, appassionato amante e sfrenato acqui-rente dell’arte.

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Johann Zoffany, Charles Townley nella galleria di Scultura, olio su tela, 1782. ArtGallery and Museum, Burnley.(da https://it.wikipedia.org/wiki/La_bibilioteca_di_Charles_Townley_al_n._7_di_Park_Street_a_Westminster)

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La testa marmorea è una copia eseguita tra I e II secolo d.C. di unoriginale greco attribuito alla scuola di Fidia, databile intorno al 420a.C. Proveniente da Agrigento, forse rilavorata in età moderna, faparte di un lotto di reperti che fu venduto nel 1873 dall’antiquario eorafo Alessandro Castellani al Conservatore del British Museum Char-les Thomas Newton. La testa, che raffigura verosimilmente la deaGiunone o Cerere, è assai pregevole: l’ovale delicato del volto, i linea-menti ben disegnati, la bocca morbida e appena dischiusa, gli occhidal taglio allungato. Il viso è incorniciato fin sotto le tempie dallachioma, ripartita in due bande corpose di ciocche ondulate definitead incisione, lievemente chiaroscurate, che dovevano raccogliersi inuno nodo basso sulla nuca che non si è conservato. Cinge il capo lasphendone, una fascia che lasciava libero lo chignon. Il tipo potrebberifarsi alla statua di Hera, attribuita da Pausania ad Alkamenes, ovveroalla Nemesi di Agorakritos, allievi di Fidia, che collaborarono con ilmaestro alla realizzazione del complesso programma scultoreo delPartenone. Per l’acconciatura e la levità dei tratti richiama le ergastinaidel fregio del Partenone o le figure aggraziate della pittura vascolaredella fine del V secolo a.C. e, in particolare, la produzione del Pittoredi Kleophon, di Meidias, e di Eretria, che risentono della coeva scul-tura postfidiaca. La testa si inserisce nell’ambito della fiorente produzione di copie dellascultura greca ad opera delle officine neoattiche attive tra l’età tardoellenistica e l’età imperiale. La riproduzione seriale delle statue clas-

Head of marble statue of an Olympian goddess, perhaps Demeteror Hera, wearing sphendone; chignon lost from back of head;surface worked over in modern times.Roman, 30-180 AD, following a fifth century BC model of a Greekoriginal of about 420 BC.Purchased from Alessandro Castellani,1873Museum number 1873,0820.740http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.­­­Height: 40.5 centimetres (max)Height: 630 millimetres (including base)Width: 330 millimetresDepth: 360 millimetre

siche, che attinge ad un repertorio significativo di capolavori della pla-stica di V e IV secolo a.C., incontrava il gusto colto della committenzaromana, che amava abbellire i giardini delle proprie ville con le sculturepiù famose. Il copista rivaleggia con l’originale, contaminandolo o ar-ricchendolo in un rapporto di emulazione. Spesso, quindi, non si trattadi semplici copie, ma di reinterpretazioni, vere e proprie varianti e rie-laborazioni eclettiche di schemi iconografici, consacrati dalla tradi-zione artistica come modello imperituro.

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TESTA MARMOREA DI DEAMARBLE HEAD OF GODDESS

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Alessandro Castellani (da specchioromano.it)

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Vera e propria dinastia di orafi, antiquari e conferenzieri, i Castellaniconquistarono il favore degli ambienti culturali europei dell’800. Erastato Fortunato Pio ad iniziare la collezione di antichità, nell’intento diappropriarsi delle tecniche dell’oreficeria etrusca. Fondatore dell’azienda di famiglia, nonché massimo esponente dellascuola di oreficeria neoarcheologica italiana, asseriva d’aver rinvenutoil segreto della granulazione etrusca tra i maestri del centro marchi-giano di Sant’Angelo in Vado e di averla poi replicata nel proprio atelierromano. Anche il figlio Alessandro, nato nel 1823, nonostante avesse perso lamano in un incidente di caccia, si dedicò all’arte orafa, ereditandooltre all’attività paterna anche la collezione. Seguace di Mazzini, ap-poggiò la Repubblica Romana, ma con il ritorno di Pio IX fu imprigio-nato con il fratello Augusto. Rilasciato, viene arrestato una seconda volta e poi internato in mani-comio. Condannato all’esilio nel 1859, si reca a Parigi dove apre unasuccursale della ditta paterna agli Champs Elysées. I gioielli Castellani si diffondono in Europa e poi negli Stati Uniti e Alessandro viene introdotto nella brillante società parigina dall’amicoGioacchino Rossini. Per l’imperatore Napoleone III comprò anche numerosi reperti peril Musée Napoléon III, trasferiti poi al Louvre e altri ne vendette al BritishMuseum, diretto da Charles Thomas Newton. Lasciata Parigi, Alessandro riprese l’attività politica nelle file dei de-

mocratici, finanziando diversi tentativi insurrezionali nello Stato Pon-tificio. Dopo Porta Pia, costituì una “Commissione per la tutela deimonumenti a Roma”, che propugnava il passaggio dei Musei Vati-cani allo Stato italiano. Concepì il progetto, che piacque anche a Ga-ribaldi, di deviare il corso del Tevere per scongiurare le inondazioni eper ritrovare i reperti archeologici sul letto del fiume. Alessandro Ca-stellani muore nel 1883. Nel 1862 aveva partecipato all’International Exhibition e nel 1867 al-l’Exposition Universelle, presentando oltre quattrocentocinquantaesemplari tra collane, orecchini, pendenti, ornamenti da testa, meda-glioni e fasce battesimali, bottoni e amuleti di fattura popolare italiana,ordinati in dieci vetrine secondo criteri geografici. La collezione fu acquisita per circa 1,100 sterline, su interessamentodi Henry Cole, direttore del museo e segretario dello Science and ArtDepartment, dal South Kensington Museum, oggi Victoria and AlbertMuseum. La richiesta dei gioielli archeologici fece sorgere imitatori in tutta Eu-ropa e gli oggetti antichi e le riproduzioni dei Castellani arrivarono, nel1876, alla Centennial Exposition di Filadelfia e, l’anno seguente, alMetropolitan Museum of Art. Alla fine dell’800 l’ultimo dei Castellani, Alfredo, figlio di Augusto, orafoe restauratore, cedette allo Stato italiano la collezione di oggetti di an-tiquariato, insieme all’oreficeria prodotta in decenni di attività dall’ate-lier, che dal 1919 è esposta presso il Museo di Villa Giulia.

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ALESSANDRO CASTELLANI, IL MAZZINIANO CHE FACEVA AFFARI CON L’ARTE

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I VASIPOTTERY

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Sul lato A del collo sono raffigurati due lottatori che stanno per affron-tarsi, nudi e barbuti. Su ciascun lato un giudice che guarda verso diloro, barbuto e con una lunga chioma fermata da una benda, Indossaun himation ed in mano tiene un bastone. Sul lato B sono rappresen-tati due atleti che si confrontano nel pugilato, nudi e barbuti, con ipugni avvolti da caesti realizzati con strisce di cuoio; entrambi spu-tano sangue. Su entrambi i lati un giudice di gara.Sul lato A del corpo sono rappresentati due atleti che si confrontanoin una gara di pugilato, nudi e barbuti, con i pugni avvolti dai caesti;il pugile di sinistra perde sangue dal naso, quello di destra da una fe-rita sulla fronte. Tra di loro l’iscrizione NIKOΣΘENEΣEΠOIEΣEN,­ Νικοσθένηςεποίησεν. Sul lato B due lottatori aggrappati alle braccia l’uno dell’altro, nudi ebarbuti. Sull’anfora sono rappresentate scene di lotta e di pugilato, sports ap-prezzati e diffusi nel mondo greco, praticati negli agoni sportivi cele-brati durante le feste panelleniche. La lotta, che faceva parte del pentathlon, prevedeva il coinvolgimentodi due atleti che si ungevano il corpo con l’olio, su cui cospargevanodella polvere per favorire la presa. I due avversari si prendevano perle braccia cercando di stendere a terra l’avversario. La sfida preve-deva tre round e la vittoria veniva assegnata all’atleta che stendeval’avversario almeno due volte. Nel pugilato i due atleti che si sfidavano,

Designs black on deep buff ground, with a band of network below;accessories of purple. Handles thin and grooved; under each, apalmette and lotus pattern.On the neck: (a) Two wrestlers about to engage, nude and bearded.On either side a brabeus (adjudicator) looking on, bearded, withlong hair, fillet, embroidered himation, and wand in hand, (b) Twoathletes, nude and bearded, boxing, each with caestus (gauntlet)on both hands; both are spitting blood. On either side, a brabeus,as last.On the body: (a) Two athletes boxing, nude and bearded, withcaestus on their hands; the one on the left bleeds heavily at thenose; the other from a wound in the forehead. Between them isinscribed: NIKOΣΘENEΣEΠOIEΣEN,­Νικοσθένης εποίησεν, (b)Two wrestlers, each grasping the other’s right arm, nude andbearded Made by Nikosthenes (potter) Attic Chronology: 550 BC-540 BC (circa)From: AgrigentoDimensions Height: 21.59 cmMuseum number: 1867,0508.968http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.­­­ex collection: Louis, Duc de Blacas d’Aulps

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ANFORA A FIGURE NERE DI NIKOSTHENESBLACK FIGURE AMPHORA OF NIKOSTHENES

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così come è rappresentato nel vaso, si colpivano con i pugni rivestitida strisce di pelle di bue che rendevano più potenti i colpi e più vio-lenta la gara.Fabbricata da NikosthenesProduzione atticaCronologia: 550-540 a. C. Da: AgrigentoDimensioni:Altezza: 21.59 cm

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La firma di Nikosthenes è quella che ricorre maggiormente in tutta la produzione attica a figure nere, spesso accompagnata dal verbo“epoiesen”, su vasi dipinti da mani diverse. Si tratta certamente di unvasaio o di un proprietario di una bottega la cui produzione si distinguesoprattutto per una qualità piuttosto corrente e per mancanza di in-ventiva. Ma la gamma dei suoi prodotti è enorme e l’originalità del suolavoro è stata rintracciata nella peculiarità di alcune forme dette ap-punto “nicosteniche”, come le coppe, derivate dalle coppe ad oc-chioni, ma con un piede molto più largo. Il prodotto più caratteristicodella bottega è sicuramente l’anfora nicostenica appunto, la cui forma,soprattutto nella modellazione delle anse, richiama esemplari in buc-chero etrusco. La versione a figure nere fabbricata nella bottega diAtene fu sicuramente un modello da esportazione e costituisce un in-dicatore importante della capacità imprenditoriale di Nikosthenes chevende i suoi prodotti soprattutto a clienti etruschi. Le anfore infatti sonostate trovate a Caere ma soprattutto a Vulci. Anche un’altra forma va-scolare, il kyathos, è mutuata dal repertorio morfologico etrusco a cuisi adatta un repertorio figurativo ateniese, ed è stata individuata ancheuna pisside riconfigurata caratteristica della nostra bottega. Altra in-venzione attribuita alla bottega è la cosiddetta Tecnica di Six, che pre-vedeva la realizzazione della silouhette delle figure in bianco su unfondo completamente nero. Abbastanza nutrito era poi lo staff dei pit-tori nell’atelier di Nikosthenes, il più talentuoso e forse anche uno deiprimi che lavorò nella bottega fu il pittore BMN, che decorò soprattutto

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LA BOTTEGA DI NIKOSTHENES

Anfora nicostenica attribuita al Pittore N, Parigi, Museo del Louvre F111

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coppe e anfore della “Classe di Bellerofonte”, mentrein Pittore N sembra aver decorato tutte le anfore nico-steniche ed altre diverse forme. Secondo il Boardman,anche lo stesso Nikosthenes dipinse alcuni dei suoivasi tra il 530 ed il 520 a. C. Esperto nella realizzazionedi figure di grandi dimensioni lo fu molto meno nellaresa delle immagini piccole, spesso approssimative emonotone. I migliori artisti che lavorarono nella bottegafurono sicuramente quelli che realizzarono i vasi a fi-gure rosse che costituiscono l’ultima produzione del-l’atelier, tra questi Oltos, Epiktetos e il cosiddettoPittore di Nikosthenes.

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Anfora nicostenica, attribuita ad Oltos, Parigi, Museo del Louvre G2

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Coppa nicostenca, Berlino, Altes Museum. Antikensammlungen

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Sul lato A è rappresentata una scena di partenza. Al centro un gio-vane con i capelli trattenuti da una benda e ricadenti dietro le orec-chie, un petaso sulle spalle, un mantello su entrambe le braccia, duelance nella mano sinistra afferra la mano di un uomo barbuto e cintoda una corona di alloro rappresentato mentre tiene nella mano sinistrauno scettro seduto su uno sgabello. Indossa un lungo chitone rico-perto da un himation. Dietro di lui è una donna rappresentata in at-teggiamento di lutto: con la mano destra regge il braccio sinistromentre appoggia il mento sul palmo della mano sinistra. Indossa unchitone dorico ed un mantello che le copre entrambe le spalle. Allasinistra è un uomo barbuto e con lunghi capelli, coronato di alloro.Indossa un himation, tiene una lancia lungo il suo braccio sinistromentre solleva la destra in segno di sorpresa o di dolore. Alla sinistraè un giovane che guarda verso di loro. Indossa un chitone e nella de-stra tiene una lancia. Sul lato B sono rappresentati tre efebi ammantati. Quello di centromuove verso destra guardando indietro e sollevando con la sinistrauna kotyle. Tutti indossano una benda.Il tema della partenza, ricondotto generalmente a contesti funerari, èpresente su altri vasi provenienti dalle necropoli di Akragas da cui po-trebbe provenire anche il nostro, giunto al British attraverso l’acquisi-zione della collezione dell’antiquario e diplomatico francese PierreLouis Jean Casimir de Blacas negli anni ‘60 dell’’800.Attribuito al Pittore di Oreste

(a) Departure-scene. In the centre a youth with hair looped upbehind with fillet and falling over ears, a petasos at back, a mantleover both arms, and two spears in left, grasps the hand of abearded man wreathed with laurel and holding sceptre upright inleft who is seated in a chair to left; he wears a long chiton and abordered himation. Behind him stands a woman in a mourningattitude, her right hand supporting her chin, the elbow resting in thepalm of her left hand; she wears a Doric chiton with apoptygma, afillet, and a veil or mantle, passing over her shoulders and the backof her head. On the right stands a bearded man with long hair,wreathed with laurel, wearing an himation, who has a spear alonghis left arm, and raises his right hand in surprise or grief. On the lefta youth stands looking on, wearing himation and fillet, and holdingspear upright in his right hand.(b) Three draped ephebi. One in centre moves to right, looking backand holding up on his left a cotyle; the other two rest right hand ona staff; each wears a fillet.Late stage of large style. Purple fillets. Brown inner markings. Oneach side, pattern of dots; above tongue pattern. On neck andupper surface of lip, linked lotus-buds; on upper surface of handles,palmette. Round lip, double row of dots.Attributed to: The Orestes Painter, Athenian red-figure vase-painterwhose name is unknown. Nevertheless consistent individualcharacteristics of style suggest the existence of a unique artistic

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CRATERE DEL PITTORE DI ORESTESRED FIGURE COLUMN KRATER OF THE ORESTES PAINTER

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Produzione atticaCronologia: 450 -440 a.C. (circa)Da: AgrigentoDimensioniAltezza: 46,99 cmDiametro: 39,37 cm

BIBLIOGRAFIA

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Beazley ARV² 1112-1113;

T. Mannack, The Late Mannerists in Athenian Vase-Painting, Oxford2001, pp. 31-33.

personality. Beazley called him the Orestes Painter naming him afterthe subject (Orestes at Delphi) he painted on a krater in the BritishMuseum.

Attic Chronology: 450 -440 BC (circa)From: AgrigentoDimensionsHeight: 46.99 cmDiameter: 39.37 cmMuseum number 1867,0508.1127http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.­­­Purchased from Louis, Duc de Blacas d’Aulps, 1867.

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Combattimento tra eroi attici ed Amazzoni in tre gruppi:(1) Teseo con la sua spada incombe su Andromaca ferita e cadutache brandisce un’ ascia da battaglia mentre nella sinistra tiene l’arco.L’amazzone indossa un elmo greco mentre Teseo è armato di elmoe scudo. Dietro di lui si trova Piritoo, armato allo stesso modo ma conuna lancia al posto dello scudo. Vicino ai tre combattenti si trovanole iscrizioni che riportiamo di seguito: OEΣEVS,­Θησεΰς;­A.­.­POMA.,­Ά[νδ]ρομά[χη];­...­ΡΙΘΟΣ,­Πei]piθo[o]s. Della scena fa parte anchePhorbas (nome non visibile). Dietro l’Amazzone caduta altre tre com-pagne che montano al galoppo fianco a fianco. La più lontana ha ac-canto l’iscrizione E­..­VOΓΓIH,­Ίπ­πολ[ΰτ]η; indossa un elmo frigiocon leoni sulle estremità laterali. Delle altre due una indossa un co-pricapo di pelle di volpe ed un abito a maniche corte e brandisce unaascia da battaglia, l’altra regge un arco ed una lancia. (2) Dietro un albero di olivo un’Amazzone con elmo munito di cimiero,spada e pelta si gira per colpire con una lancia un greco che tenta diincrociare con la sua corta spada l’arma della donna. Dietro di lui Aca-mante avanza con cautela. Vicino a lui l’iscrizione �ΖAMA.­ Α,Ά[κ]άμας•. Alla sinistra dei tre si trova un’Amazzone con ascia dabattaglia, arco e faretra che si affretta per aiutare gli altri.(3) Un giovane greco (Melaneus?), che è caduto sulle sue ginocchiaè sul punto di essere ucciso da un’ Amazzone che infila la sua spadanel torace. Vicino all’uomo è l’iscrizione ΜΕΛΑ.­.­VΣ.Meλa-[νe]υs­e...­ΛAΣ. Sulla destra, Sthenelos cerca di recuperare la sua spada, vi-

Combat of Attic heroes with Amazons in three groups: (1) Theseus strides forward to despatch with his sword the fallenand wounded Andromache, who brandishes a battle-axe, her lefthand holding a bow; she wears a Greek helmet; Theseus is armedwith helmet and shield. Behind him is Peirithoos, similarly armed,but with spear in place of shield. These three are inscribedrespectively OEΣEVS,­Θησεΰς;­A.­.­POMA­.,­Ά[νδ]ρομά[χη];­...ΡΙΘΟΣ,­Πei]piθo[o]s. Next is Phorbas (name not visible). Beyondthe fallen Amazon, three mounted ones gallop up side by side, thefurthest being inscribed E­..­VOΓΓIH,­Ίπ­πολ[ΰτ]η; she wears ahelmet in the form of a Phrygian cap, with lions (?) on the cheek-pieces. Of the other two, one wears a fox-skin cap and sleevedjerkin, and swings a battle-axe; the other has sleeved jerkin, bow,and spear. (2) Beside an olive tree an Amazon with crested helmet, sword, andpelta, moves away and turns to thrust with spear at a Greek, whoaims a cross-stroke at her with a short sword; on his shield is thedevice of an eagle with serpent in beak. Behind him Akamasadvances cautiously (device on shield, fore-part of boar); he isinscribed �ΖAMA.­Α,­Ά[κ]άμας• On the left of the tree an Amazonwith battle-axe, bow, and quiver runs at full speed to help theother. (3) A young Greek (Melaneus?), who has fallen on his knees, is onthe point of being killed by an Amazon who thrusts her sword into

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DINOS A FIGURE ROSSERED FIGURE DINOS

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cino a lui l’iscrizione �ΣOΕ.....,­ΣΘe(veλos). L’intera scena si svolgein un paesaggio roccioso.Attribuito al Gruppo di Polignoto

Produzione attica Cronologia:440-430 a.C. DimensioniAlt.: 25 cmLargh: 34 cm

BIBLIOGRAFIA

Recent Acquisitions of the British Museum, in The Classical Review,Vol. 13, No. 7 ,Oct., 1899, pp. 371-373

CVA British Museum 6 III Ic, Pl. 103, 1

A. Calderone, Catalogo, in Veder Greco. Le Necropoli di Agrigento,Roma 1989, pp. 188-189

S. B. Matheson, Polygnotos and Vase Painting in Classical Athens,Wisconsin Studies in Classics, The University of Wisconsin Press,1996

his chest;they are inscribed respectively ΜΕΛΑ.­.­VΣ.Meλa-[νe]υsand­...­Λ AΣ. On the right, Sthenelos comes to the rescue with hissword (shield with device of lion); he is inscribed ΣOΕ.....,ΣΘe(veλos).The whole scene takes place on rocky ground. Band of alternate key pattern and chequer squares below thedesign, which is in the form of a continuous frieze. Laurel wreathdesign round the lip and egg pattern on the outer edge.Attributed to: The Group of Polygnotos (undetermined member) Attic Chronology: 440-430 BCDimensions: Height: 25 cm, Width: 34 cm, Depth: 34 cmMuseum number 1899,0721.5http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.­­­Purchased from Forman sale, 1899.

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Per il mondo greco le Amazzoni costituivano la dimensione della di-versità in uno spettro di declinazioni abbastanza ampio. Straniere elontane, formavano un esercito di donne guerriere, armate e temibili. Tra gli autori antichi che parlano delle Amazzoni, Omero le descrive“forti come uomini“: nell’Iliade infatti compaiono in un racconto diPriamo (Iliade III, 181ss.) e nel racconto del nipote di Bellerofonte(Iliade VI, 186) che dell’avo ricorda le prodezze nei confronti delleAmazzoni. Erodoto, lo storico che prova a dare una lettura di tipo et-nografico alla leggenda, le colloca nella lontana Scizia, giunte lì da Te-miscira in seguito ad una sconfitta subìta da parte dei Greci che, però,furono ugualmente decimati dalla forza bruta delle guerriere. Lo sto-rico le indica come fondatrici della popolazione dei Sarmati insiemead un gruppo di uomini Sciti che le seguono nel loro cammino versola Scizia. Nel suo racconto, Erodoto vuole anche esaltare il carattere guerrierodelle Amazzoni riportando il fatto che nessuna fanciulla avrebbe po-tuto sposarsi se prima non avesse ucciso almeno un nemico. Il qua-dro che ne viene fuori è quello di una femminilità dalle notazioni diprofonda estraneità rispetto al modello culturale greco. Guardando alle fonti letterarie, un altro riferimento alle Amazzoni risultaevidente nella Lisistrata di Aristofane, dove l’autore le paragona alledonne greche che, nell’intenzione di interrompere la guerra tra Spartae Atene e denunciare malgoverno e corruzione politica, propongonoun particolare modello di sovvertimento dell’ordine pubblico, richia-

mando così una versione del mito che vedeva le Amazzoni, giunte adassediare l’Acropoli, sconfitte da Teseo che, già nel passato, le avevaaffrontate insieme ad Eracle. All’interno dei canoni dell’iconografia greca, dunque, viene presto ela-

LE AMAZZONI ATTRAVERSO GLI OCCHI DEI GRECI: MARGINALITÀ E DIVERSITÀ

Cratere con Amazzonomachia. Particolare. Attribuito al Pittore di Napoli. Universitat Wur-zburg, Martin von Wagner Museum

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borato un modello di rappresentazione delle Amazzoni in cui alla loro equivoca femminilità edal conseguente dichiarato allontanamento dai canoni femminili consueti corrispondeva ed alcontempo ne veniva esaltato il loro essere esperte ed avezze alla guerra. Le loro immaginimantengono sempre una sorta di ambiguità: infatti pur essendo armate come soldati, vengonorappresentate con vesti di varia lunghezza, spesso trasparenti ma mai in completa nudità.Combattono con l’arco di bronzo, tipica arma delle popolazioni orientali, e sorreggono anchelancia, spada e scudo. Il loro esotismo viene spesso enfatizzato dalla pelle di animale che av-volge i loro corpi. Tutto ciò ovviamente serviva agli artisti greci per evidenziare la diversità diqueste donne che furono ampiamente rappresentate nell’arte greca; basti ricordare, per tutte,l’Amazzone di Fidia.

Anfora con Achille e Pentesilea. Attribuita ad Exechias (550-530 a.C.). London. British Museum

Cratere con Amazzonomachia. Attribuito al Pittore dei Nio-bidi (470-445 a.C.). Agrigento. Museo archeologico regio-nale “P.Griffo”

Fidia, Amazzone ferita, copia di età romana da originalegreco della seconda metà del V sec. a.C.

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Nell’immaginario greco, il combattimento tra eroi ed Amazzoni è sem-pre sbilanciato e molto difficile. Per l’uomo greco infatti non era con-cepibile uno scontro alla pari con una donna, nonostante questarappresentasse la sovversione di ogni ordine, e dunque il confrontocon le Amazzoni costituisce un’impresa di una difficoltà tale da potereessere affrontata unicamente da eroi superiori. Non a caso i prota-gonisti di simili fatiche sono Achille, Bellerofonte e soprattutto Eracle,prototipi di una società maschilista e patriarcale, chiamati a ristabilirel’ordine infranto da donne la cui natura non era affatto congrua all’im-magine standard del femminile nel mondo antico. Lo status e le gestadi queste donne guerriere infatti suscitavano sgomento in una societàcome quella greca, in cui la donna occupava un ruolo marginale espesso di subalternità. Per questi motivi, le gesta degli eroi che, aven-dole affrontate, ne uscivano vittoriosi, erano considerate eccezionalie degne di riconoscimento sociale. Qualche volta, però, gli eroi stessi rimangono vittime del loro indubbiofascino, come accadde ad Achille che, rapito dalla bellezza di Pente-silea, se ne innamora quando questa, colpita dall’eroe Acheo, è inpunto di morte.

BIBLIOGRAFIA

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J. A. Blok, The Early Amazons: Modern and Ancient Perspectives ona Persistent Myth, Leiden, New York 1995

S. Andres, Le Amazzoni nell’immaginario occidentale: il mito e la storiaattraverso la letteratura, Pisa 2001

A.M. Andrisano, Il mito delle Amazzoni tra letteratura e attualità, inAnnali Online di Ferrara-Lettere, vol. 2, 2006, pp. 43-59

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Coppa con Achille e Pentesilea. Attribuita al Pittore di Pentesilea (460-440 a.C.). Monaco.Antikensammlungen

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La testa della Sirena è coronata da un alto copricapo (polos), adagiatosull’acconciatura a cercine. Le ali e il piumaggio della donna uccellosono dipinti a vernice bruna sul corpo del vaso, mentre la coda è resaplasticamente. Il vaso configurato con beccuccio e ansa a nastro eraforse utilizzato come poppatoio. La provenienza dell’oggetto, databileverso il 500 a.C., è ignota, ma non è escluso possa essere stato partedi un corredo funerario. Le Sirene sono mostri semiferini, figlie dellaTerra e ancelle di Persefone, la signora dell’oltretomba, che dimoravanoalle soglie degli Inferi, per alleviare il dolore dei familiari in lutto, unendosiai lamenti funebri e per facilitare il passaggio del defunto nell’aldilà. Nelcaso delle morti dei bambini svolgevano il compito di nutrici.Dimensioni: altezza 18 cm, Provenienza: Agrigento

BIBLIOGRAFIAM. Bettini, L. Spina, Il mito delle Sirene. Immagini e racconti dalla Gre-cia ad oggi, Torino 2007.

L. Mancini, Sirene tra il mito classico e l’immaginario occidentale, inAnima dell’Acqua, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 29novembre-29 marzo 2009) Roma 2009, pp. 214-227.

A. Pautasso, M. Albertocchi, Nothing to do with trade? Vasi configu-rati, statuette e merci dimenticate tra Oriente e Occidente, in R. Pan-vini, C. Guzzone, L. Sole (a cura di) Traffici, commerci e vie didistribuzione nel Mediterraneo tra Protostoria e V sec. a. C., Palermo2009, pp. 283-290.

Terracotta jug in the form of a siren.Date 500 BC (circa)Production place Sicily (?)From: Agrigento (?)DimensionsHeight: 18 centimetresMuseum number 1846,0512.14http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.­­­Purchased from T. Towell, 1846.

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VASO CONFIGURATO A FORMA DI SIRENA

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IL DECADRAMMA DI AKRAGASAKRAGAS DECADRACHM

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AR 409 a. C ca.g. 43,58D/ Quadriga in corsa veloce verso sinistra, guidata da un efebo; inalto aquila in volo verso sinistra con un serpente tra gli artigli, in bassogranchio. sopra i cavalli.R/ Due aquile, una con testa rivolta verso il basso, l’altra con testa ri-volta in alto, afferrano una lepre riversa su una roccia; a sinistra ca-valletta rivolta verso l’altoSeltman 8 bLa moneta donata al British Musem nel 1946 da Jessie Lloyd provienedal ripostiglio di Naro (Naro 1925 IGCH 2118) andato disperso ed inparte ricostruito da Mildenberg, che comprendeva, oltre a questoesemplare, un altro decadramma di Akragas (Lisbona, ex Gulben-kian), insieme a 26 decadrammi siracusani e 60 tetradrammi proba-bilmente tutti di zecca siracusana.

Un capolavoro di incisione ed un’emissione straordinariaLe notizie più antiche su questa emissione, come ricostruito dalla We-stermark, risalgono al XVII secolo, ma si riferiscono ad un esemplareidentificato successivamente come un falso. Ad oggi sono noti 12esemplari, di cui due (ex coll. Weiss) di dubbia autenticità, che atte-stano l’esistenza di almeno due conii del diritto e tre conii del rove-scio.Lo studio del 1948 del Seltman ha individuato, grazie a dei confronti

Decadrachm (silver, c. 409 BC, 43,58 g.)D / A quadriga galloping to the left, driven by an ephebe; an eagleflying high to the left with a snake in its claws; below, a crab. ������� above the horses.R / Two eagles, one with its head facing downwards, another onewith its head facing upwards grab a hare lying on a rock; on the lefta grasshopper facing upwards.Seltman 8 bThe coin, donated to the British Museum in 1946 by Jessie Lloyd,comes from the storage room of Naro (Naro 1925 ICGCH 2118),whose items were lost, and partly recovered by Mildenberg. Itincluded, in addition to this example, another decadrachm ofAkragas (Lisbon, former Gulbenkian), along with twenty-sixSyracuse decadrachms and sixty tetradrachms all probably mintedin Syracuse.Donated by Mrs Jessie Lloyds, 1946.

A masterpiece of engraving and an example of an outstanding issueThe oldest news on this issue, as reconstructed by Westermark,dates back to the seventeenth century, but refers to a specimensubsequently identified as a fake. Today we know twelvespecimens, two of which (former Weiss collection) of questionableauthenticity, proving the existence of at least two coinages of the

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IL DECADRAMMA DI AKRAGASAKRAGAS DECADRACHM

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con la coeva monetazione akragantina in Myr(on) l’incisore del coniodel diritto e in Poly(ainos) il maestro incisore del rovescio.Di particolare pregio al D/ la rappresentazione della quadriga, raffigu-rata nell’atto di piegare verso sinistra, con un rapido scarto in unacorsa velocissima. I limiti spaziali convenzionalmente segnati dallalinea di esergo vengono completamente eliminati dal maestro incisoree la quadriga appare quasi in volo. L’auriga viene identificato da Sel-tman come Helios, divinità particolarmente venerata a Rodi, alla guidadella sua quadriga, in viaggio tra il mare, simboleggiato dal granchio,ed il cielo, simboleggiato dall’aquila. Lacroix invece riconosce nel-l’efebo, Akragas, figlio della ninfa Asterope, basandosi sulla nuditàdella figura, la presenza dell’aquila e del granchio, attributi della divinitàfluviale, oltre che sull’iscrizione che lo identifica. La scena del R/ è stata ricondotta alla descrizione che si ritrova nellaprima strofa del primo coro della tragedia Agamennone di Eschilo,nella quale le due aquile raffigurano simbolicamente i dui Atridi chedistruggono Troia e la sua discendenza.Diverse le ipotesi avanzate per connettere a precise circostanze sto-riche l’emissione di una moneta di un nominale così alto. Alcuni stu-diosi suggeriscono una valenza commemorativa e la legano alla se-conda vittoria di Exainetos nella Olimpiade del 412 a.C. Altri la colle-gano all’imminenza della spedizione cartaginese del 410 a.C. controle città greche, vedendo in essa insieme una volontà propagandistica,tesa a ridabire il prestigio e la ricchezza della città ed una finalità eco-nomica, volta a garantire una immediata disponibilità in un momentodi pericolo.

obverse and three coinages of the reverse.Seltman (1948) identified, through comparisons with the coevalcoinage of Akragas, Myr (on) as the engraver of the obverse, andPoly (ainos) as the master engraver of the reverse. Therepresentation on the obverse, that depicts a chariot in the act ofbending to the left, while swerving at great speed, is particularlyvaluable. The spatial limits, conventionally defined by the exergueline, are completely eliminated by the master engraver, and thequadriga appears to be flying. Seltman identified the charioteer asHelios, a god particularly venerated in Rhodes, driving his chariotbetween the sea, symbolized by the crab, and the sky, symbolizedby the eagle. Lacroix, instead, identified the charioteer as Akragas,the son of the nymph Asterope. His view is based on thenakedness of the figure, the presence both of the eagle and thecrab, attributes of the river-god, as well as the inscription thatidentifies him.The scene on the reverse has been traced back to the descriptionthat can be found in the first verse of the first chorus of Aeschylus’Agamemnon, in which the two eagles symbolically represent thetwo Atridae that destroy Troy and its descendants.Several hypotheses have been made to connect the issue of thiscoin of high symbolic value to specific historical circumstances.Some scholars suggest it shows every sign of being acommemorative coin and connect it to the second victory byExaenetus at the Olympic Games held in 412 BC. Others think thecoin may have been produced shortly before the Carthaginianexpedition against the Greek cities in 410 BC. They argue the coincould have been used for propaganda purposes, aiming to highlightboth the prestige and wealth of the city, as well as for economicobjectives to ensure an immediate availability at a time of danger.

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Museum number 1946,0101.817

http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collec-tion_object_details.­­­

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Didramma di Akragas 490-483 a.C.

Didramma di Himera sotto il dominio di Terone e Trasideo 483-472 a.C.

Didramma di Akragas 473-430 a.C.

Trias meta V sec. a.C.

Tetradramma di Akragas 420-406 a.C.

Tetradramma di Akragas 420-406 a.C.

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510-480 a.C.La prima monetazione di Akragas è costituita da didrammi in argento,emessi a partire dal 510 fino al 483/480 a.C. I tipi delle prime emissioni sono al D/ Aquila, al R/ Granchio. Secondoil Jenkins le emissioni possono essere distribuite in 4 gruppi, di cuisono noti finora 78 conii di D/ e 134 conii di R/. L’aquila è un’evidente allusione a Zeus, divinità venerata ad Akragassia con l’attributo di Atabyros, sia come Zeus Olimpio. Il granchio,probabilmente di fiume, potrebbe essere l’emblema parlante dellacittà.Dal punto di vista metrologico, il didramma di circa 8,70 g, fa collocarela moneta nella cosiddetta “area del didramma”, diffusa nella Siciliasud-occidentale, della quale facevano parte anche Selinunte e Gela. All’inizio il tondello appare più largo, poi col tempo subisce una lentaevoluzione formale, divenendo più stretto e spesso e compaiono simbolie nomi, che sono evidenti segni di controllo delle emissioni, denotandouna sempre maggiore attenzione verso l’organizzazione della zecca.

480-472 a.C.Dopo la conquista di Himera, nel 483 a.C., ad opera del tiranno Te-rone, la zecca di Akragas interrompe la sua attività.Di contro a Himera, dove sorge il governo di Trasideo, figlio di Terone,viene abbandonato il sistema calcidese (basato su una dramma dica. 5,70 g) a favore del sistema di Akragas e vengono emesse serie

monetali con i tipi delle due città, al D/ il tipo imerese del gallo e al R/il tipo akragantino del granchio.Probabilmente tali emissioni obbediscono a nuove esigenze di circo-lazione e di mercato, dal momento che la conquista di Himera costi-tuisce per Akragas l’apertura verso nuovi scambi commercialiattraverso il mar Tirreno. Il successivo conflitto tra Akragas e Siracusa, guidata da Hierone, chesi risolse con la sconfitta di Trasideo nel 471 a.C., vede la caduta dellatirannide ad Akragas ed Himera e l’instaurazione di un governo de-mocratico.

473-430 a.C.Dopo la caduta della tirannide la monetazione ad Akragas fu ripristi-nata con i tipi tradizionali dell’aquila al D/ e del granchio al R/, ma conun nuovo sistema, non più basato sul didramma ma sul tetradrammaattico, sul modello di Siracusa e con maggiore precisione nei dettaglie l’aggiunta di figure secondarie.A partire dalla seconda metà del V sec. a.C. è attestata un moneta-zione in bronzo prodotta per fusione, sorta di pesetti di forma cam-paniforme, che recano su un lato un’aquila o una testa d’aquila,sull’altro il granchio e sulla base il segno che indica il valore: 4 globettiindicano il Tetras, 3 globetti il Trias, 2 globetti l’ Hexas, mentre la litra,di forma amigdaloide, presenta testa di aquila su un lato e chele digranchio dall’altro.

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LA MONETAZIONE DI AKRAGAS

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Tetradramma di Akragas 410-406 a.C.

Emilitron con contromarca 400 a.C. ca.

Emidracma 338-287 a.C.

420-406 a.CL’ultimo quarto del secolo, periodo estremamente convulso dal puntodi vista degli avvenimenti storici, è invece, per quel che riguarda le emis-sioni, un momento di grandissimo splendore. Le serie databili in questoarco di tempo fanno registrare importanti mutamenti tipologici e un si-gnificativo aumento della produzione monetale. La zecca di Akragas,grazie al contributo di maestri incisori che firmano le loro produzioni,emette monete di squisita fattura sostituendo il tipo canonico con di-verse serie. Nel primo gruppo si ritrova al D/ Due aquile che ghermi-scono una lepre e al R/ Granchio e pesce oppure granchio e Scilla. Una seconda serie datata a partire dal 413 a.C. presenta al D/ il tiposiracusano della quadriga mentre il tipo delle due aquile viene spo-stato al R/. Gli stessi tipi si ritrovano nella emissione del decadramma(cfr. supra). Sono attestate anche due rare emissioni in oro, tetra-drammi D/ Aquila e la lepre e R/ Granchio ed il pesce oppure D/Aquila e serpente e al R/ Granchio ed il nome di un magistrato.

400-338 a.C. La distruzione della città ad opera dei Cartaginesi nel 406 a.C. ed ilsuccessivo rientro dei cittadini sotto l’egida di Dionisio I, segnano unperiodo di crisi politica ed economica della città, che si riflette nell’im-poverimento della monetazione. La zecca di Akragas continua a pro-durre emettendo serie sporadiche, di difficile datazione. Intorno al 400a.C. ca. è attestata la circolazione di hemilitra della seconda metà delV sec. con diverse contromarche.

338-287 a.C. La città continua ad emettere serie in argento con emidrammi D/ Cavallo libero R/ Granchio; stateri D/ Testa laureata di Zeus, R/AKRAGANTINWN Aquila frontale; litre D/ Testa barbata di dio flu-viale, R/ AKRAGANTINWN Aquila frontale e serie in bronzo con emi-litra D/ AKRAGAS Testa di giovane dio fluviale R/ Aquila frontalesopra una colonna in atto di guardare indietro. Nel campo granchio

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BIBLIOGRAFIA

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U. Westermark, The fifth century bronze coinage of Akragas in AA.VV.,Le origini della monetazione in bronzo in Sicilia e Magna Grecia, AttiVI Conv. Int. Studi Numismatici (Napoli 17-22 april 1977), Suppl. AIINXXV, 1979, pp. 3-15.

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U. Westermark, The bronze Hemiltra of Akragas in Numismatica eAntichità Classiche, Quaderni ticinesi 13, 1984, pp. 71-84

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con 6 globetti; trias D/ AKRA Testa di Zeus R/ Aquila e lepre oppureD/ Testa di Zeus R/ AKRAGANTINWN Fulmine alato

287-279 a.C.Il tiranno Finzia, impadronitosi del potere, dopo la sconfitta subita dagliagrigentini ad opera dei cartaginesi emette moneta bronzea con il ti-tolo di re: tetras con D/ Testa di Apollo D/ BASILEOS FINTIA Cin-ghiale oppure D/ Testa di Artemide. SWTEIRA R/ CinghialeBASILEOS FINTIA

279-241 a.C.Nel periodo drammatico che vide la distruzione della città durante laprima guerra punica nel 265 a. C. e la ripresa dell’occupazione car-taginese nel 255 vengono emesse litre in argento con D/ Testa diZeus incoronata di alloro R/ AKRAGANTINOS Aquila con le ali di-stese stante a destra e monete in bronzo Trias con D/ Testa di Apolloa destra. R/ Due aquile con una lepre. Hemilitron con D/ Testa lau-reata di Apollo a destra R/ AKRAGANTINWN Tripode oppure D/Testa laureata di Apollo a destra R/ AKRAGANTINWN Guerrieronudo a destra in atto di colpire con la lancia oppure con D/ Testa diZeus rivolta a destra R/ AKRAGANTINWN Verga con serpente.

Tetras emesso da Finzia 287-279 a.C. Trias 279- 241 a.C.

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Il peso discoidale in terracotta, convenzionalmente indicato nella let-teratura archeologica con il nome di oscillum, presenta la raffigura-zione a rilievo di un cavaliere con corazza e mantello, inserita tra i duefori passanti, a cui si assicuravano i fili dell’ordito del telaio, allo scopodi tenerli perfettamente tesi. Questi oggetti potevano essere anchetroncopiramidali o conici e spesso recavano bolli con simboli o iscri-zioni. I pesi discoidali con decorazione a rilievo, databili al IV-III secoloa.C., sono documentati nei santuari magnogreci e sicelioti, dedicaticome ex voto verosimilmente dalle donne.

Cronologia:350-300 a. C.Luogo di produzione: Agrigento Da: Agrigento, scavi di George Dennis, 1863

DimensioniSpessore: 2.5 cmDiametro max: 10.16 cm

Terracotta loom-weight with a warrior on horseback, wearing acuirass and cloak.

Chronology:350 BC-300 BC (circa)Production place: Agrigento From: Agrigento, excavated by George Dennis, 1863

DimensionsHeight: 2.5 centimetresDiameter: 9.5 centimetres (depth)Diameter: 10.16 centimetres (width)Museum number 1863,0728.206http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collec-tion_object_details.

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OSCILLUMLOOM WEIGHT

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Il calco di matrice di placchetta di terracotta (pinax) raffigura Eracleche porta il cinghiale di Erimanto ad Euristeo che, terrorizzato, si rifu-gia dentro un grande vaso (pithos). L’eroe riempie quasi tutto lo spaziodella tavoletta mentre in basso è la figura compressa di Euristeo lecui mani fuoriescono dal pithos in cui si è rifugiato. Le forme anato-miche di Eracle sono tozze e voluminose; le gambe e la testa sonorappresentate di profilo mentre il busto è di prospetto. La modella-zione del volto rimanda all’impianto della protome femminile di tipo“milesio” di età arcaica. Donato al British Museum nel 1929 dal Cap.Alexander Hardcastle, che lo fece eseguire su un originale del 525a.C. il pinax rappresenta una parte della ricca produzione di coropla-stica akragantina, destinata alle aree santuariali della città. Lo stessomito del cinghiale di Erimanto è rappresentato sulle coeve metopearcaiche del Tempio B di Himera e dell’Heraion del Sele e sulla pitturavascolare. L’immagine richiama l’offerta sacrificale dell’animale, evocala caccia, i boschi ed il mondo selvaggio e liminare.

Cronologia: 1900 – 1920Datazione originale: 525 a.C. Dimensioni Altezza 16 cmDa: Agrigento Donato dal Capitano A. Hardcastle

Description:Plaster cast of terracotta mould for relief of male figure carryingboar over shoulders.

DateAD 1900 - 1920DimensionsHeight: 16 centimetresOriginal from: Agrigento Donated by: Capt A. Hardcastle, 1929 Museum number 1929,0612.3http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collec-tion_object_details.

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CALCO DI MATRICE IN GESSO PLASTER CAST OF MOULD

BIBLIOGRAFIA

P. Marconi, Agrigento. Topografia e arte, Firenze, 1929.

G. Adornato, Akragas arcaica. Modelli culturali e linguaggi artistici diuna città greca di Occidente, Milano, 2011.

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Rovine del Tempio di Giove Olimpico ad Agrigento; matita di colore marrone e grigio.View of the ruins of the Temple of Jupiter Olympius Agrigentum; graphite with brown and grey wash. Museum number 2012,5001.488

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I DISEGNIDRAWINGS

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Quattro studi di una figura maschile stantenella posa dei Telamoni del Tempio di GioveOlimpico ad Agrigento e due studi di un’an-tica statua egiziana, su un foglio di carta bluattaccato al primo foglio. Matita con coloregrigio. Alt. cm 42,5; Largh. cm 29,9

Four studies of a male figure standing inthe pose of the telamons from the Templeof Jupiter Olympius at Agrigento, and twostudies of an ancient Egyptian statue on asheet of blue paper stuck down on to thefirst sheet. Height: 425 millimetres; Width:299 millimetresMuseum Number 2012,5001.494

Studio di un Telamone del Tempio di GioveOlimpico ad Agrigento. Matita. Alt. cm 23;Largh. cm 18,7

Study of male figure standing in the poseof the telamons from the Temple ofJupiter Olympius at AgrigentoGraphite. Height: 230 millimetres; Width: 187 millimetresMuseum Number 2012,5001.491

Due studi della testa e delle braccia di un Telamone dal Tempio di Giove Olimpico ad Agrigento. Veduta frontale e laterale. Matita. Alt. cm 10,5; Largh. cm 23,4Two studies of the head and upper arms of a telamon from the Temple of Jupiter Olympius at Agrigento; front and side view. Height: 105 millimetres Width: 234 millimetres. Museum Number 2012,5001.490

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Lotto di disegni eseguiti a penna o matita su carta da Charles RobertCockerell tra il 1812 ed il 1830, donati al British Museum nel 1930 daMrs.Mary Cockerell. Gli schizzi raffigurano i “telamoni del Tempio diGiove Olimpio ad Agrigento” e sono in un caso corredati da annota-zioni di pugno dello stesso Cockerell.Dalle parole annotate sul suo diario apprendiamo la genesi di questidisegni:Dopo il mio ritorno a Girgenti, vi rimasi fino al 14 di Novembre, appli-candomi con grande attenzione e infinita soddisfazione nel tentare diricostruire il tempio di Giove Olimpio. L’esame delle pietre e il continuoesercizio di ingegno mi hanno tenuto molto impegnato, e alla fine laricostruzione del tempio coronata da successo mi ha dato un talepiacere superato solo dal concepimento originario del disegno…Negliultimi giorni del mio soggiorno la mia popolarità crebbe. Il Caffè deiNobili, il Vescovo e tutti quanti appresero con grande meraviglia cheio ero venuto a capo del mosaico, e che tutti i pezzi che compone-vano i giganti esistevano ancora e potevano essere di nuovo ricom-posti. Il Ciantro Panitteri mi mandò un messaggio con cui mi dicevadi segnare i blocchi e dare direttive per la ricostruzione di uno dei gi-ganti e che lui avrebbe sostenuto le spesse di tutto ciò. Fui tentatoda questa offerta e dalla fama che ciò mi avrebbe dato. Completai ilmio progetto e glielo portai. Fu immediatamente copiato con il mionome e mandato a Palermo. Poi andai sui luoghi con Raffaello Politie contrassegnai le pietre con i numeri corrispondenti al disegno…

I DISEGNI DI COCKERELLCOCKERELL’S DRAWINGS

Series of drawings by: Charles Robert Cockerell, 1812-1830 Associated with: AgrigentoDonated by: Mrs Mary Cockerell Acquisition date 1930 (Probably. See Officers Reports 5th May 1930)http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.­­­

Samuel Pepys Cockerell (ed.), ‘Travels in Southern Europe and theLevant, 1810-1817. The Journal of C. R. Cockerell, R.A.’ (1903,Reprinted 1999), p.207-208:‘...After my return to Girgenti, I remained there till 14th November,applying myself with close attention and infinite pleasure toattempting to reconstruct the Temple of Jupiter Olympius. Theexamination of the stones and the continual exercise of ingenuitykept me very busy, and at the end the successful restoration of thetemple gave me a pleasure which was only to be surpassed by thatof originally conceiving the design. My days went by in great peace and content...In the last few daysof my stay my fame got about. The Caffe dei Nobili, the bishop andall, heard with astonishment that I had unravelled the puzzle, andthat all the morsels composing the giants were still existing andcould be put together again. A dignitary of the Church, (Don ?)Candion Panettieri, sent me a message to say that if I would mark

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the stones and give directions for the setting up of one of thegiants, he would undertake the expense of doing it. I was temptedby this offer and the immediate notoriety it would give me, andagreed and completed my sketch as far as it could be carried andtook it to him. It was copied immediately, and with my nameappended as the author, sent to Palermo. Then I went over thefragments with Raffaelle Politi and marked the stonescorresponding with the numbers in the design...’

Studio di un Telamone del Tempio di Giove Olimpico ad Agrigento, con note e misure. Verso:Studi di un Telamone dal Tempio di Giove Olimpico ad Agrigento con note e misure. Pennae inchiostro bruno e matita su due fogli di carta, uno attaccato all’altro. Recto: Annotazionedi Charles Robert Cockerell in penna e inchiostro sul foglio di carta attaccato in cima al primofoglio (traduzione italiana): “[cancellato] Pianta delle Catacombe di Siracusa [ridotto?] da Mi-rabella’s e a destra: “queste figure ora giacciono tra le rovine” e dietro “ricalco di un disegnolasciato a Girgenti con il Vescovo”. Verso: Annotazione di Charles Robert Cockerell in pennae inchiostro (testo originale): “Sghizzo degli pezzi che compangono / [uno?] degli giganti iquali sostenevano / il cornicione del tetto Hypethrale del tempio de giove olimpia in agrigentofatto da C-R Cockerell / del memoro 1 retrovato pezzo 1 /del 2”, e in matita: “one of [?] leftbreast / found”, e “Sir Joshua Reynolds”. Alt. cm 32,6; Largh. cm 41,3.

Study of a telemon from the Temple of Jupiter Olympius at Agrigento, with notes andmeasurements. Verso: studies of a Telemon from the Temple of Jupiter Olympius atAgrigento, with notes and measurements Pen and brown ink, and graphite on two sheetsof paper, one attached to the other. Recto: Inscription Content Inscribed by CharlesRobert Cockerell in pen and ink on the sheet of paper stuck down on to the first sheet attop: “[crossed out] Plan of the Catacombs at Syracuse / [reduced?] from Mirabella’s”, andat right: “These figures correspond with the pieces (also figured) now lying amongst theruins._”, and at bottom: “Tracing of a drawing left at Girgenti with the Bishop of thatplace.” Inscribed by Charles Robert Cockerell in pen and ink at top left upside down:“Sghizzo degli pezzi che compangono / [uno?] degli giganti i quali sostenevano / ilcornicione del tetto Hypethrale del tempio de giove olimpia in agrigento fatto da C-RCockerell / del memoro 1 retrovato pezzo 1 /del 2”, and in graphite: “one of [?] left breast /found”, and “Sir Joshua Reynolds”. Height: 326 millimetres; Width: 413 millimetresMuseum Number 2012,5001.495

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Quattro studi di una figuramaschile stante nella posadei Telamoni del Tempio diGiove Olimpico ad Agrigento.Matita di colore grigio. Alt. cm42,5; Largh. cm 29,8

Four studies of a male figurein the pose of the telamonsfrom the Temple of JupiterOlympius at AgrigentoHeight: 425 millimetresWidth: 298 millimetresMuseum Number2012,5001.492

Due studi di una figura maschile stante nella posa dei Telamoni del Tempio di Giove Olimpicoad Agrigento Matita di colore grigio. Alt. cm 42,5; Largh. cm 36

Two studies of a male figure standing in the pose of the telamons from the Temple ofJupiter Olympius at Agrigento Graphite with grey wash 1812-1830. Height: 425millimetres; Width: 360 millimetres. Museum Number 2012,5001.493

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C.R. Cockerell, Veduta delle rovine del tempio di Giove Olimpio ad Agrigento (in Cockerell 1830)

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solo per ricordarne alcune: sublimi descrizioni in cui però prevaleval’elemento “pittoresco” e “romantico” su quello architettonico ogget-tivo. Le campagne di scavo di inizio Ottocento effettuate sul sito, sotto laguida della Regia Custodia delle Antichità, invertiranno questa ten-denza. La ricerca sul campo e il reale riscontro dei resti del tempio di-verranno la base e il nuovo parametro di una documentazione scien-tifica che servirà, in conclusione, a poter determinare la reale strutturadel monumento. Nel 1803, un disegno di Giuseppe Lo Presti, il responsabile dei lavorisul campo, chiarisce la conformazione della pianta: i limiti dello stilo-bate sono certi; le fonti antiche vengono aggiornate al dato archeo-logico e, finalmente, si ha un’idea concreta dell’effettivo impianto diun edificio, indubbiamente, fuori dal comune, che colpiva per il datodimensionale e per l’aspetto formale non canonici. Un tempio senzaun’effettiva peristasi, senza colonne libere, con una scansione delcorpo centrale, scandita dalla successione dei pilastri, individuati negliscavi, “altra” rispetto agli esempi noti. Con la peculiarità della frontecon sette semicolonne, che lasciava molti dubbi sulla collocazionedella o delle porte di ingresso.Tali caratteristiche avevano portato alle ipotesi ricostruttive più dispa-rate. Da quella di Quatremère de Quincy (1805) che colloca otto co-lonne sulle fronti brevi e non si avventurava nella ricostruzione dellacella; a Wilkins (1807) che disegna il tempio come una sorta di anfi-

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Prima di molte altre regioni del sud Italia, la Sicilia entra nel percorsodel Grand Tour, isola da raggiungere via mare, scavalcando da Napolia Palermo tutto il mezzogiorno. Dalla metà del Settecento, con la ri-scoperta “della più bella città dei mortali” di pindarica memoria, l’anticaAkragas diventa una tappa fondamentale nel viaggio verso la risco-perta delle radici classiche della cultura europea. In questo contesto vedono la luce le opere dei viaggiatori e studiosiche arrivano in Sicilia alla scoperta delle vestigia classiche. I loro re-soconti testimoniano l’evoluzione e i mutamenti di sensibilità della ri-cerca: da un’iniziale erudizione antiquaria intrisa di estetismi edonistici,più che di un’effettiva consapevolezza storica, si arriva, a partire daiprimi anni del XIX secolo, a studi che serviranno a fondare le modernebasi della ricerca archeologica. Un caso emblematico in questo processo è rappresentato dal piùgrande e controverso santuario dorico agrigentino: il tempio di GioveOlimpico. A partire dagli scritti di Pancrazi (1752) e Winckelmann (1759), il mo-numento aveva assunto un ruolo quasi mitico, un’architettura che so-pravviveva attraverso le testimonianze delle fonti classiche, di DiodoroSiculo in particolare, che era divenuto purtuttavia un archetipo idealedell’arte greca, ma, in realtà, quasi del tutto sconosciuto nelle sue veree peculiari forme. Ad accrescerne la fama, ed il mistero, saranno gliscritti e i repertori figurativi che si susseguiranno fino alla fine del XVIIIsecolo come ad esempio quelli di Riedesel, Goethe, Hoüel, Denon,

C.R. COCKERELL ED IL TEMPIO DI ZEUS OLIMPICO

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A.C. Quatremère de Quincy, Veduta del fronte del tempio diGiove Olimpico ad Agrigento (in Quatremère de Quincy,1815)

R. Smirke, Doric Order Septastyle Temple (Yale Center forBritish Art, Paul Mellon Collection, B1977.14.592, matita,330 × 502 mm)

G. Lo Presti, Schizzo di pianta del tempio di Giove Olimpico(Biblioteca Comunale di Palermo, ms. 4 Qq D 42, c. 78)

W. Wilkins, Pianta ed elevazione restaurata del tempio diGiove, comparazione della grandezza di questo tempio conquello della Concordia 1807 (in Wilkins 1807, tav. XIV)

R. Smirke, Architectural Drawing of a Temple (Yale Centerfor British Art, Paul Mellon Collection, B1977.14.593, matita487 × 286 mm)

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prostilo, con una fila di colonne libere sui lati brevi, e una fantasiosadistribuzione interna influenzata probabilmente da modelli greci. Aquella, poco nota, di Robert Smirke (1804) – che doveva aver vistogli scavi in corso e, probabilmente, i disegni di Lo Presti – in cui lapseudoperistasi è scrupolosamente rappresentata, integrata conl’ipotesi di sei fornici posizionati tra gli intercolumni del lato orientaleche consentivano l’ingresso al tempio. I pilastri della cella, infine, ven-gono erroneamente interpretati come basi per delle colonne libere,che rendono lo spazio interno più simile ad una moderna basilica tri-partita che ad un tempio dorico del V secolo a.C.Con le ultime ipotesi descritte – e nelle dispute che le accompagne-ranno – si avverte, una fondamentale differenza tra questo nuovo di-battito intellettuale e quello animato un cinquantennio prima dal saggiodi Winckelmann. Se in quest’ultimo caso, i protagonisti erano antiquarie letterati, la nuova ondata di studi è opera di architetti e archeologi:un segno ulteriore che gli scavi dei primi anni dell’Ottocento avevanoprovocato un’inversione di tendenza nell’interesse per il monumentoagrigentino. La definizione delle strutture del santuario olimpico aveva spinto gliesperti di tutta Europa a interessarsi del tema: un tempio pseudope-riptero, eptastilo e forse ipetro, che colpiva per le sue inusuali formee imponeva delle domande di non semplice risoluzione, ma questeerano solo una parte delle novità del tempio, mancava ancora unacaratteristica che avrebbe affascinato, fatto discutere e prendere po-sizioni contrastanti agli studiosi per i secoli successivi e, forse, ancorafino ad oggi: i telamoni. Un nuovo e cruciale impulso al dibattito sul tempio di Giove Olimpicofu fornito, infatti, dalla ben nota scoperta di una gigantesca “testa fem-minile”, rinvenuta negli scavi del 1804, che si pensava fosse da riferirsiun bassorilievo del frontone. Né il Lo Presti, né altri furono in grado,nell’immediato, di identificarla e bisognerà attendere quasi un decen-nio affinché la questione venisse risolta da un giovane architetto bri-tannico, Charles R. Cockerell, che nel 1812 indagherà a fondo il tem-

pio di Giove ad Agrigento, con una vasta campagna condotta in situe una profonda conoscenza dell’architettura greca classica.Charles Robert Cockerell (Londra 1788 - 1863) era figlio di SamuelPepys Cockerell, architetto londinese, presso cui apprese i primi ru-dimenti del mestiere. Dal 1809, fu allievo di sir Robert Smirke, il quale,lo abbiamo visto, visitò Agrigento e riportò in patria diversi disegni deitempli agrigentini tra cui la pianta, l’alzato e la veduta del tempio diGiove Olimpico. Certamente, la ricostruzione del santuario agrigen-tino, che il giovane Cockerell dovette esaminare nello studio del suomaestro, sarà servita a sviluppare il suo interesse per l’architetturaclassica, conducendolo a perfezionare la propria conoscenza graziead un personale Grand Tour, intrapreso tra il 1810 e il 1817, che locondusse in Grecia, Asia Minore e Italia, contribuendo al ritrovamentoe alla pubblicazione, tra l’altro, dei templi di Phigalia ed Egina.Quando, nel 1812, Cockerell inizia le sue indagini sul campo ad Agri-gento, aveva già acquistato una profonda e diretta conoscenza del-l’architettura greca. Come racconta nei suoi diari, il 28 agosto 1812, Cockerell arriva aPalermo proveniente da Malta. Dopo alcuni giorni passati nel capo-luogo, visita Segesta, riportando puntuali osservazioni sulle rovine, tracui lo stato non finito del tempio dorico.Alla fine di settembre, Cockerell arriva ad Agrigento, ospite della fa-miglia del locale console britannico, don Gaetano Sterlini, e vi rimarràfino al 14 di novembre, con la sola iniziale interruzione di qualchegiorno dedicato alla visita dei resti dell’antica Selinunte. In questi mesi sarà impegnato, come egli stesso ricorda nei suoi diari,“con grande attenzione e godimento all’impresa di ricostruire il tempiodi Giove Olimpico. L’esame delle pietre e una continua ispirazione mitenevano molto impegnato, e alla fine il buon esito della restituzionedel tempio mi diede grande soddisfazione, inferiore soltanto a quellaprocuratami dal concepimento del disegno originario”.Cockerell, impegnerà le sue giornate alla ricerca sul campo, nel ten-tativo di “venire a capo dell’enigma” che il tempio rappresentava. Egli

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C.R. Cockerell, frontespizio dell’opera The Temple of Jupiter Olympius at Agrigentum (inCockerell 1830)

C.R. Cockerell, Sezione trasversale del tempio di Giove Olimpio ad Agrigento (in Cockerell 18

C.R. Cockerell, frontespizio dell’opera The Temple of Jupiter Olympius at Agrigentum (inCockerell 1830)

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avrà il merito di identificare la “testa” ritrovata negli scavi borbonici,come una parte dei “giganti”, enormi ed enigmatiche statue collocatenella struttura del tempio. Per primo riuscirà a ricostruire il puzzle dipezzi con cui erano state realizzate (“… tutti i pezzi che componevanoi giganti esistevano ancora e potevano essere messi insieme”) e le ri-collocherà in un disegno ricostruttivo coerente e verosimile del tempio. La scoperta dei telamoni rappresenta, come detto, un punto di svoltanella storia delle indagini sull’Olympieion: l’attenzione, a questo punto,si spostò dalla definizione della pianta dell’edificio alle elevazioni e, inparticolare, alla posizione originaria dei telamoni. Il corpus di disegni esposti in mostra, provenienti dalle raccolte delBritish Museum, documenta in maniera sistematica le indagini effet-tuate da Cockerell sul tempio e sui frammenti del Telamone nell’au-tunno del 1812. Un primo disegno, una veduta effettuata quasi dall’angolo nord occi-dentale della cella (View of the ruins of the Temple of Jupiter Olympiusat Agrigento, GR 2012,5001.488, matita e acquerello, 268 x 412mm.), testimonia lo stato in cui si trovava il sito, probabilmente inalte-rato rispetto agli scavi di inizio secolo, con i pilastri del lato settentrio-nale del naos bene in vista e la spianata dello stilobate delimitata daicrolli perimetrali. Gli altri disegni si possono distinguere in due gruppi: il primo è com-posto da 3 rilievi e schizzi di campo (Study of a telamon from the Tem-ple of Jupiter Olympius at Agrigento, with notes and measurements,recto e verso, GR 2012,5001.495, matita e inchiostro, 326 x 413mm.; Two studies of the head and upper arms of a telamon from theTemple of Jupiter Olympius at Agrigento, GR 2012,5001.490, 105 x234 mm) in cui l’architetto inglese disegna porzioni di Telamone, eprende nota dei singoli pezzi ritrovati; del secondo gruppo fanno parteinvece 4 disegni di studio sulla plastica statuaria dei telamoni, sullapostura e sui modelli scultorei di riferimento (Four studies of a malefigure in the pose of the telamons from the Temple of Jupiter Olympiusat Agrigento, GR 2012,5001.491 - GR 2012,5001.492 - GR

2012,5001.493 - GR 2012,5001.494). L’analisi delle note di campo di Cockerell mostra come il giovane ar-chitetto abbia prima individuato i pezzi sul sito, disegnandoli e analiz-zandoli singolarmente, come ad esempio i frammenti della testa edelle braccia (GR 2012,5001.490), per poi posizionarli e combinarlifino a formare l’intera figura del Telamone.Nella parte destra del disegno GR 2012,5001.495 recto, sono rap-presentati i singoli elementi numerati a comporre la figura intera delTelamone, per un totale di 16 tipologie di blocchi differenti, in cui man-cano solo i due piedi e una porzione della coscia sinistra; in basso,sono indicati l’elenco e il numero dei frammenti ritrovati. A sinistra, in-vece, sono raffigurati i singoli disegni dimensionati dei frammenti el’annotazione in italiano: “Sghizzo degli Pezzi retrovati che compon-gono uno degli giganti quali sostenevano il cornicione del tetto Hype-trale del Tempio di Giove Olympico in Agrigento, fatto da C.-R. Coc-kerell”.Sul verso dello stesso foglio è riportato uno “Schizzo di un disegnolasciato a Girgenti con il vescovo di quel luogo” (“Tracing of a Drawingleft at Girgenti with the Bishop of that Place”). Il disegno mostra in al-zato e in prospettiva il “Gigante” composto da quindici frammenti nu-merati, rappresentazione che sarebbe servita a ricomporre in situ lastatua. Infatti, lo stesso Cockerell, ricorda che: “Un prelato dellachiesa, tale Don Ciantro Panitteri, mi fece sapere che se avessi con-trassegnato le pietre e dato direttive per ricostruire uno dei giganti, sisarebbe fatto carico delle spese. Fui tentato da quest’offerta e dal-l’immediata notorietà che mi avrebbe permesso di ottenere, così allafine aderii alla proposta; completai per quanto possibile il mio schizzoe glielo resi. Questo venne subito copiato, sopra venne apposto il mionome in quanto autore, dunque spedito a Palermo. Da lì visitai i fram-menti con Raffaele Politi e contrassegnai le pietre in corrispondenzadei numeri apposti sul disegno”.Nell’idea di Cockerell, dunque, la ricomposizione sarebbe dovuta av-venire in alzato (con una porzione di trabeazione a coronamento), pro-

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babilmente per consentire in tal modo una piena visione spaziale delGigante, che si trova poggiato su un primo blocco continuo posto amo’ di base. Infine, va rimarcata la scelta di inserire, nel disegno rico-struttivo, dei blocchi grezzi, non scolpiti, al posto degli elementi man-canti (piedi, coscia sinistra e porzione del ventre), scelta che dimostrasensibilità e onestà nei confronti del restauro dell’antico, anticipatricidei moderni approcci archeologici.Il disegno di Cockerell era noto e viene più volte ricordato dagli studiosiche visitano Agrigento, come ad esempio J.I. Hittorff, che ne pubblicauna copia nel 1823, ma questo non basterà a riconoscere la totalepaternità della scoperta all’architetto inglese. Del resto, lo stesso Cockerell aveva intuito che la scelta di divulgarein modo così liberale le sue ricerche avrebbe potuto eclissare le suoiintuizioni, infatti, nei suoi diari ricorda che “Don Gaetano [Sterlini] nonriuscì a contenere la sua indignazione di fronte alla mia scelta di farconoscere al mondo il mio lavoro in forma quasi anonima, anzichécome libro regolarmente pubblicato da me, l’autore reale. Dal mo-mento in cui passai i miei disegni a Politi per copiarli non ci fu più pacefra noi. […] Ma trovai la mia ricompensa nella soddisfazione di aver ri-solto l’enigma, e sebbene amassi la fama mi resi conto che non valevadarsi troppo pensiero per questo”.I disegni e gli studi sul tempio di Giove Olimpico di Agrigento sarannopubblicati da Cockerell in forma completa solo nel 1830 come sup-plemento all’opera di Stuart e Revett (C R. Cockerell, The Temple ofJupiter Olympius at Agrigentum, commonly called the Temple of theGiants, in Antiquities of Athens and Other Places in Greece, Sicily etc.,Supplementary to the Antiquities of Athens by J. Stuart and N. Revettdelineated and illustrated by C.R. Cockerell, W. Kinnard, TL. Donal-dson, M. Jenkins, W. Railton, architects, London 1830), ma la posti-cipata edizione delle sue ricerche non riducono i meriti che egli haavuto nell’ipotesi ricostruttiva del tempio. Una ricostruzione che finoalla fine dell’Ottocento non trova alternative comparabili e solo nel1899 sarà superata dall’edizione dell’opera di Koldewey e Puchstein.

Ciononostante, tutt’ora alcuni studiosi considerano l’ipotesi di Coc-kerell valida e non vi è un’univoca interpretazione sulla collocazionedei Telamoni.

BIBLIOGRAFIA

A. Bordeleau, Charles Robert Cockerell, Architect in Time. Reflectionsaround Anachronistic Drawings, Burlington 2014

A. Carlino (a cura di), La Sicilia e il Grand Tour. La riscoperta di Akra-gas 1700-1800, Roma 2009.

A. Carlino, Tutela e conservazione dei monumenti agrigentini (1779-1803), in “Sicilia Antiqua”, 2011, pp. 101-142.

C.R. Cockerell, The Temple of Jupiter Olympius at Agrigentum, com-monly called the Temple of the Giants, in Antiquities of Athens andOther Places in Greece, Sicily etc., Supplementary to the Antiquitiesof Atkens by J. Stuart and N. Revett delineated and illustrated by C.R.Cockerell, W. Kinnard, TL. Donaldson, M. Jenkins, W. Railton, archi-tects, London 1830.

C.R. Cockerell, Travels in Southern Europe and the Levant,1810-1817. The Journal of C. R. Cockerell, London 1903.

J.I. Hittorff, Sculture del tempio di Giove Olimpico ad Agrigento, in Id.,Reise durch Sicilien, in “Kunst=Blatt”, 28, Montag, den 5 April 1824.

J.J. Winckelmann, Anmerkungen über die Baukunst der alten Tempelzu Girgenti in Sicilien, in “Bibliothek der schönen Wissenschaften undder freyen Künste”, V, 2 (1759), pp. 223-242 [trad. it., Osservazioni sul-l’architettura dell’antico tempio di Girgenti in Sicilia, in Storia delle artidel disegno presso gli antichi di Giovanni Winkelmann, III, Roma 1784].

D. Watkin, The Life and Work of C.R. Cockerell, London 1974.

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Nel gennaio del 1921 giungeva a Girgenti un capitano inglese di circa40 anni, Alexander Hardcastle, che aveva combattuto nell’esercitodella Corona britannica, dapprima in Malesia e successivamente inSud Africa: fu durante quest’ultima campagna militare che iniziaronoa manifestarsi i disturbi nervosi che lo avrebbero poi condotto allamorte. Richiamato in servizio nel corso della prima guerra mondiale,fu successivamente congedato per motivi di salute. Alexander giun-geva ad Agrigento insieme al fratello Harry, con il quale si stabilì tem-poraneamente presso l’hotel Belvedere, di proprietà di Cesare DeAngelis. Ma la decisione di fissare nella città la propria residenza do-vette maturare prestissimo, visto che già nel maggio dello stessoanno venne firmato il contratto d’acquisto della “Villa Aurea”. Postain una posizione incantevole, tra il tempio della Concordia e quello diEracle, questa residenza di campagna era parte, nell’800, dell’ampiopatrimonio dei Genuardi, una delle famiglie più ricche della città. Pro-prietari di miniere di zolfo, navi, beni fondiari, i Genuardi furono pe-santemente danneggiati dalla crisi dello zolfo che colpì la Sicilia allafine del secolo, a causa della concorrenza della produzione solfiferaamericana. Dovettero dunque mettere in vendita una parte dei propribeni, e tra questi Villa Aurea, che fu comprata dalla famiglia Montana.Nel momento in cui Hardcastle la acquistò a sua volta, per la sommadi 55.000 lire, essa apparteneva a Serafina Schillaci, vedova di LuigiMontana. La casa versava in un avvilente stato d’abbandono, avvoltada un groviglio di erbacce, sporca e polverosa all’interno; Alexander

trascorse la sua prima estate agrigentina ad effettuarvi gli impellentilavori di restauro, come apprendiamo da una lettera del fratello Harryai familiari in Inghilterra. Oltre ad installarvi un nuovo bagno ed unacucina più moderna, egli fece realizzare la terrazza triangolare, dallaquale poteva non soltanto ammirare i templi, ma anche osservare lestelle con il telescopio che aveva portato con sé dall’Inghilterra. Gli Inglesi residenti in Sicilia erano, almeno dal XIX secolo, assai nu-merosi. L’economia siciliana era dominata in quegli anni da commer-cianti e imprenditori britannici, beneficiati dal governo locale diparticolari agevolazioni fiscali e doganali. Famiglie come gli Ingham, iWhitaker, i Woodhouse si erano stabilite definitivamente in Sicilia, rea-lizzando nei fatti la supremazia britannica sull’economia siciliana. Maa richiamare i viaggiatori inglesi era anche la fama delle antichità del-l’isola, per ammirare le quali affrontavano viaggi lunghi e difficili lungole sconquassate strade dell’isola, di cui scrivevano spesso resocontiche mescolavano l’ammirazione per i paesaggi esotici e per le anticherovine alle notazioni tra il folkloristico ed il sociologico sulla povertà elo stato di arretratezza della popolazione locale. Sir Alexander Har-dcastle scriveva poco alla famiglia, invece, e non ha lasciato memorieo diari delle sue esperienze siciliane. Le sue energie furono tutte im-pegnate nel portare a compimento i suoi progetti di scavo e restaurodei grandi monumenti della città antica, dall’anastilosi del tempio diEracle, iniziata già nel 1922 e portata a termine nel ’24, alla ricercadel teatro, allo scavo delle fortificazioni, del santuario di Demetra e

ALEXANDER HARDCASTLE AD AGRIGENTO

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Agrigento. Valle dei Templi.Villa Aurea al tempo del Capi-tano Alexander Hardcastle(nella foto accanto)

Nella pagina seguente:Il Tempio di Ercole prima dellaanastilosi

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del tempio di Vulcano, ricerche da lui finanziate con i fondi assegnatiglidalla ricca famiglia e realizzate in gran parte dal giovane archeologoveronese Pirro Marconi. Sono datate proprio da Villa Aurea le nume-rose missive indirizzate alle autorità isolane e statali con le quali Har-dcastle offre di finanziarie le ricerche, propone le sue opinioni sullepriorità da perseguire, chiede l’autorizzazione all’esecuzione delle in-dagini. Nel 1925, con grande dispiegamento di mezzi, inizia la ricercadel teatro antico, finanziata con 50.000 lire e diretta da Marconi. Peralcuni mesi questa indagine fu per il capitano una vera fissazione: egliriteneva che una città come Agrigento, che riteneva inferiore per im-portanza soltanto ad Atene e Roma, non poteva non avere un teatro.Il sito da lui individuato come probabile sede dell’edificio si trovava aNord della Chiesa di San Nicola, dove vennero condotti profondissimisaggi, che non diedero però l’esito sperato. Anche nei pressi dellacosiddetta Casa Greca, nel Quartiere Ellenistico-Romano, vennero

effettuati dei sondaggi con la vana speranza di individuare il teatro.Forse meno noti sono poi i suoi interventi per tutelare l’area archeo-logica, opponendosi, per esempio, all’estensione della linea ferratafin dentro la Valle, il cui progetto era stato preso in considerazione dainotabili della città. Il suo mecenatismo, inoltre, non si limitò ai lavori discavo e restauro, ma fu rivolto anche al miglioramento delle condizionidi vita di coloro che popolavano la valle e che vi svolgevano le propriemodeste attività: egli finanziò tra l’altro la pubblica illuminazione, larealizzazione della condotta idrica, che dalla città raggiunse finalmentel’area archeologica, e la costruzione di fontane. Gli scavi del 1927avevano portato al rinvenimento di un certo numero di oggetti in ter-racotta, tra i quali Hardcastle ottenne il permesso di inviarne 18 a Si-racusa perché fossero fedelmente replicati per spedire le copie indono al British Museum di Londra. Del gruppo fanno parte alcunematrici di pinakes di terracotta di epoca tardo arcaica, due con la rap-

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presentazione di Medusa in corsa ed una con Eracle ed Euristeo.Villa Aurea era nel frattempo divenuta meta di un flusso continuo divisitatori, soprattutto britannici. Nel 1924 giunse ad Agrigento BenitoMussolini, che, scortato da Biagio Pace, archeologo siciliano stretta-mente legato al regime fascista, volle visitare anche lui la Valle deiTempli. Fu nel salone della Villa, poi, che il podestà Ignazio Altieri eFrancesco Sinatra, nella sua qualità di ispettore onorario di Agrigento,consegnarono al capitano la Croce di Commendatore dell’Ordinedella Corona d’Italia, nella primavera del 1928.La crisi finanziaria del 1929 colpì duramente Alexander Hardcastle,conducendo al fallimento la banca presso la quale era depositato ilpatrimonio che egli aveva ricevuto dalla sua famiglia e che era statoin gran parte investito nelle ricerche archeologiche e nelle opere dipubblica utilità donate alla città di Agrigento. Il capitano cominciò adindebitarsi; decise allora di vendere allo Stato italiano Villa Aurea, chein passato aveva promesso invece di donare. Ma la vendita gli riservòun’altra amara sorpresa: a fronte di un valore di circa 200.00 lire, loStato acquistò la villa per sole 75.000 lire, giustificando la decisionecon una riduzione del valore dovuta alla richiesta del proprietario dicontinuare ad abitarla fino alla sua morte. Le difficoltà economiche

precipitarono Hardcastle in un grave stato di angosciosa agitazione.I disturbi mentali che già lo avevano tormentato durante la giovinezzatornarono a manifestarsi e ad aggravarsi rapidamente: urlava, pian-geva, smise di dormire e di mangiare. Il 6 aprile del 1933 divenneevidente che la malattia non poteva più essere gestita a casa ed ilcapitano fu ricoverato nel nuovo ospedale psichiatrico, inauguratoappena due anni prima, dove, in considerazione dei meriti che egliaveva nei confronti della città di Agrigento, gli fu riservato un tratta-mento di favore: gli venne infatti riservato un intero padiglione, lon-tano dagli altri pazienti. Sottoposto ad un trattamento consideratoallora innovativo, che consisteva nell’induzione dello stato febbrile,Alexander Hardcastle morì il 27 giugno del 1933 e fu seppellito nelcimitero di Bonamorone, lì dove aveva chiesto di poter riposare persempre.

BIBLIOGRAFIA

A. Richardson, Passionate Patron. The life of Alexander Hardcastleand the Greek temples of Agrigento, Oxforfd, 2009

Nella pagina precedente:Il Tempio di Ercole. I lavori per l’anastilosi.Pirro Marconi e la moglie Jole Bovio ac-canto alle colonne risollevate

A destra: Il Tempio di Ercole ricostruito

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