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UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF BRUXELLES - BELGIQUE THESE FINALE EN “SCIENCES CRIMINOLOGIQUES” I serial killer omicidio seriale cannibale Relatore: Dott. Pierluigi Telattin Specializzando: Dott.ssa Clio Pizzigati Co-Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Matr. 2811 Bruxelles, 7 ottobre 2011

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UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET

ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF

BRUXELLES - BELGIQUE

THESE FINALE EN

“SCIENCES CRIMINOLOGIQUES”

I serial killer

omicidio seriale cannibale

Relatore: Dott. Pierluigi Telattin Specializzando: Dott.ssa Clio Pizzigati

Co-Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Matr. 2811

Bruxelles, 7 ottobre 2011

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ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CLIO PIZZIGATI – SST IN CRIMINOLOGIA - TERZO ANNO A.A. 2010– 2011

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INDICE 1.Introduzione………………………………………........................................................5

Capitolo I I serial killer ………………………………………………………………….9

1. Definizione serial killer ……………………………………………………………....9

2. Tipologie di serial killer ………………………………………………………….....14

3. I tratti distintivi del serial killer ……..……………………………………………....16

4. Le fasi dell’omicidio seriale ………………………………...………………………17

5. Infanzia e famiglia del serial killer ...………………………………………………..20

6. Il modus operandi ……………………...……………………………………………23

7. La “firma” (signature) ...………………….………………………………………... 24

Capitolo II “Tra psicopatia e perversioni sessuali” ……………………………………25

1. Il “Modello SIR” …………………...……………………………………………….25

1.1. Il Fattore Socio-ambientale, F(S)……...…………………………………………..27

1.2. Il Fattore Individuale, F(I) ………………………………………………………..29

1.3. Il Fattore Relazionale, F (R) ………………...…………………………………….30

2. Il concetto di “Psicopatia” e il rapporto con il “Disturbo Antisociale di Personalità”

………………………………………………………………………………...………..32

2.1. Cenni storici sulla psicopatia ………………...………...………………………….32

2.2. La teorizzazione di Robert d. Hare e la Psychopathy Checklist (PLC) ..………… 35

3. Concetto di perversione …………………..………………………………………....41

Capitolo III Le parafilie ………………………..............................................................46

1. Le parafilie ………………………….....…………………………………………….46

1.1. Pedofilia ………………………………….………………………………………..48

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1.2. Voyeurismo …………………………………………………………………….....49

1.3. Esibizionismo ……………………..………………………………………………50

1.4 Frotteurismo ………………………………………………..………………………50

1.5. Sadismo sessuale ……………………………….…..……………………………..51

1.6. Masochismo sessuale………………………………………………………………53

1.7. Feticismo ………………………………......……………………………………...54

1.8. Feticismo da travestimento …………………...…………...………………………54

2. Parafilie non altrimenti specificate …….……………………………………………55

2.1 Necrofilia …………………………………………………………………………..55

2.2 Cannibalismo ……..………………………………………………………………..56

2.3. Vampirismo ……………………………………………………………………….56

Capitolo IV Il cannibalismo ……………………………………….…………………..57

1. Cannibalismo profano : cannibalismo psicopatologico ..……...…………………….58

2. Cannibalismo profano: cannibalismo criminale ...…..................................................60

2.1. Cannibalismo sessuale/fusionale …..………………………………………...……61

2.2. Cannibalismo energetico/rituale …………………………………………………..62

2.3. Cannibalismo aggressivo e per potere …………………………………………….62

2.4. Cannibalismo epicureo e nutrizionale .……………………………………………63

Capitolo V I seriali cannibali …………………………………..………………………64

1. Andrej Romanovich Chikatilo “ Il Mostro di Rostov” ….…………………………..64

1.1. La vita ………………………………..……………………………………………65

1.2. Gli omicidi e le vittime ………………….………………………………………...67

1.3. Il processo …………………………………………………………………………70

2. Jeffrey Dahmer “Il Cannibale di Milwaukee” ...…………………………………….75

2.1. La vita ……………………………………………………………………………..76

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2.2. Le vittime ………...………………………………………………………………..78

2.3. Milwaukee interno 213 25° strada …………..…………………………………….81

2.4. Il processo ………………………………………………..………………………..84

3. Albert Fish “Il Vampiro di Brooklyn”………...…......................................................85

3.1. La vita ……………………………...………………………………………...……86

3.2. Le giovani vittime ………………………..………………………………………..89

3.3. Il processo ………………….......………………………………………………….96

Conclusioni …………………………….……………………………………………....98

Bibliografia …………………………………………………….……………………..101

Sitografia …………………..………………………………………………………....102

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INTRODUZIONE

“Vorrei che potessimo parlare più a lungo, ma sto per avere un vecchio amico per cena

stasera, addio!”1

Il cannibalismo, innanzitutto, è quella pratica per cui, per motivi assai diversi, si mangia

la carne dei propri simili e quindi, se si tratta di esseri umani si parla di antropofagia.

Non viene considerata perversione sessuale solo quando viene praticato per necessità di

sopravvivenza (per esempio l’incidente nelle Ande avvenuto nel 1971) o in quanto

facente parte di pratiche magiche o religiose di popolazioni che non considerano l’atto

del mangiare la carne dei propri simili ma anzi serve loro per incorporare l’oggetto

temuto.

Dalla mitologia alla letteratura si riscontrano episodi di cannibalismo.

Crono padre degli dei nella mitologia greca divorò i propri figli; i Ciclopi mangiarono i

marinai di Odisseo; Medea, tradita da Giasone, si vendicò facendogli mangiare i propri

figli (cannibalismo involontario, Giasone, credeva che fosse carne d’animale).

In letteratura si trovano molti esempi come i fratelli Grimm che ripresero dalla realtà la

storia della strega che si cibava dei bambini dentro la sua casa di marzapane; presero

spunto da un fatto accaduto in Germania nel quindicesimo secolo.

Una strega realmente vissuta fu Enriqueta Marti2 che uccise almeno dieci bambini; si

cibò dei loro corpi e fece bollire gli avanzi per preparare pozioni d’amore che poi

vendeva.

Come la strega divorante, anche l’orco con il suo elementare corredo simbolico

interamente focalizzato sulla mostruosità, sull’antropofagia e su un latente componente

1 Finale del film “Il silenzio degli innocenti” frase del Dott. Hannibal Lecter. Il film è del 1991 ed è diretto da Jonathan Demme, interpretato da Jodie Foster e Anthony Hopkins. Hannibal Lecter è un personaggio immaginario, soggetto letterario e cinematografico, nato nelle mente dello scrittore Thomas Harris. Lecter è un assassino seriale con l’ossessione dell’antropofagia, da cui deriva il soprannome Hannibal the Cannibal. 2 Enriqueta Marti la “Vampiressa di Barcellona”era una donna strana e misteriosa. Viene arrestata nel marzo del 1912, dopo che una madre aveva denunciato la scomparsa della figlia di 5 anni, avvenuta il 10 febbraio. Nel suo appartamento la polizia trova due bambine tenute prigioniere, completamente nude, con i capelli rasati a zero e incatenate in una stanza. Le indagini appurarono che Enriqueta era una specie di strega che produceva filtri e pozioni che poi vendeva. Le due bambine raccontarono che erano state costrette a mangiare i resti di altri bambini. Il processo fu veloce e venne condannata a morte, ma, prima della sentenza, la donna venne trovata misteriosamente morta nella sua cella (molto probabilmente fu avvelenata).

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sessuale non uccide per piacere di farlo; l’antropofagia risulta una conseguenza mai un

fine.

A partire da una semplice fiaba fino a giungere alla narrativa il cannibalismo è sempre

stato trattato in termini più o meno feroci.

Nella Divina Commedia, Dante Alighieri, narra la storia del conte Ugolino che

rinchiuso in una torre magia i propri figli accecato dalla fame.

Ma l’esempio più significativo nella letteratura è sicuramente rappresentato dal libro

“Hannibal” di Thomas Harris che descrive le vicende di uno psichiatra antropofago che

non si limita solo ad infliggere sofferenze e mutilazioni terribili alle sue vittime, ma si

ciba addirittura delle loro carni.

Al di là dell’invenzione letteraria, la criminologia raccoglie alcuni casi sconvolgenti di

omicidi seriali in cui l’antropofagia ha svolto un ruolo molto importante tra le pratiche

effettuate dai criminali.

Il seguente lavoro ha come obiettivo quello di approfondire il mondo dei serial killer,

nello specifico i seriali cannibali.

Inoltre saranno trattate le varie parafilie (dal greco para – oltre, e philia – attaccamento

a), nello specifico sarà, appunto, approfondito il cannibalismo.

Si analizzeranno le varie forme di cannibalismo criminale e i serial killer che rientrano

all’interno di questa tipologia.

Nel cannibalismo criminale rientrano le seguenti tipologie che verranno poi

approfondite in seguito:

1. Cannibalismo sessuale/fusionale;

2. Cannibalismo energetico/rituale;

3. Cannibalismo energetico semplice;

4. Cannibalismo aggressivo e per potere;

5. Cannibalismo aggressivo-politico;

6. Cannibalismo epicureo e nutrizionale.

Saranno presi in considerazione solo alcuni tra i “più famosi” seriali passati alla storia

per i loro atti di cannibalismo e non solo: Jeffrey Dahmer, Andrej Chikatilo, Albert

Fish.

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Il cannibalismo nei serial killer è una perversione estrema ma non per questo poco

frequente.

Per Sigmund Freud il gesto del bambino di succhiare il latte dal seno materno assume

un significato affettivo, ma è anche l’unico oggetto contro il quale può esercitare

pulsioni negative.

Freud, chiamò questa prima fase dello sviluppo fisico e psicologico “fase orale”,

durante la quale il bambino sperimenta oggetti e sensazioni attraverso la bocca.

La fase orale dura da i primi mesi di vita fino a due anni di età.

Ogni individuo attraversa la fase orale e conosce il mondo inizialmente con la bocca.

Non dobbiamo stupirci se in noi rimangono dei modi di dire, e delle fantasie in cui

simbolicamente utilizziamo la bocca per comunicare in modo che non è solo verbale.

Ovviamente la patologia di questo impulso porta al cannibalismo criminale.

C’è il bisogno di possedere completamente la persona scelta per poterne fare ciò che si

vuole e, poiché si ha difficoltà, addirittura paura, a relazionarsi normalmente con una

persona viva, la si vuole morta, non per vendetta, ma per poterla manipolare, per poter

avere rapporti anche carnali con essa.

Alcuni, volendo relazionarsi anche sul piano della “amicizia”, oltre ad uccidere,

arrivano a squartare la vittima per poi mangiarla.

I serial killer cannibali sono quasi esclusivamente uomini bianchi e questa perversione

rappresenta un appagamento degli impulsi omicidiari con una violenza estrema e un

eccesso di desiderio.

L’identità altrui viene annientata con l’introiezione di parti del corpo e i soggetti che

cannibalizzano le vittime sono quasi sempre affetti da gravissime turbe sessuali che

risalgono a un’infanzia vissuta in un tessuto familiare completamente disgregato.

L’impulso omicidiario primario nel serial killer antropofago risponde al piacere di

impossessarsi della vittima, un bisogno di possesso scatenato dal desiderio di avere tutto

il corpo della persona altrui.

La carne è considerata come qualsiasi altro alimento.

Per esempio Albert Fish spinge la sua perversione fino a fornire un ricettario per la

preparazione delle parti umane asportate.

Tra le parti preferite da tutti i seriali cannibali, ci sono le natiche, considerate tenere e

saporite.

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«Gli aprii bene le natiche (riferito a Bill Gaffney un bambino di quattro anni che aveva

ucciso) e le tagliai, così feci con gli organi genitali e lavai tutto con cura. Misi tutto in

un tegame, aggiunsi qualche fetta di pancetta e accesi il gas, versai una modica quantità

d’acqua in modo da rendere più appetibile l’arrosto e aggiunsi quattro cipolle a fette. La

carne presentava un aspetto invitante, in meno di due ore rosolò a dovere; non avevo

mai gustato un arrosto di tacchino che fosse saporito la metà di quel piatto. Mangiai

quella delizia in quattro giorni. Il pene del bambino era dolcissimo, ma i testicoli, troppo

duri, fui costretto a gettarli …»3.

3Parte di una rivelazione di Albert Fish durante un interrogatorio tratta da CENTINI M., I serial killer, Milano, 2001, pag. 67.

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CAPITOLO I

I SERIAL KILLER

1. Definizione serial killer

La parola seriale deriva dalla stessa radice latina che dà origine alla parola serie (series:

serie, ordine, successione) e in questo caso si riferisce a colui che uccide in successione

temporale un certo numero di persone o “scelte con cura” (principio di causalità) oppure

“colpite a caso” (principio di casualità).

Il termine “serial killer” ha un’origine molto recente, è stato creato alla fine degli anni

’70 dall’agente speciale dell’F.B.I. Robert Ressler.

Fino a quel momento, gli omicidi multipli venivano raggruppati sotto il termine “mass

murder” (assassino di massa), senza distinguere le motivazioni dell’omicidio.

Successivamente nel 1979 l’F.B.I. ha formulato la prima definizione di serial killer,

differenziandola da altre due categorie di assassini:

Serial killer (assassino in serie): uccide tre o più vittime in luoghi diversi e con

un “periodo di intervallo emotivo” (cooling-off time) tra un omicidio e l’altro; le

vittime sono scelte in maniera casuale oppure in modo accurato: spesso ritiene di

essere invincibile e che non verrà mai catturato;

Mass murder (assassino di massa): uccide quattro o più vittime in uno stesso

luogo e in una stessa occasione; solitamente il soggetto non conosce le vittime e

le sceglie in modo casuale. È raro che vengano catturati vivi dei mass murder.

Spree killer (assassino compulsivo): uccide due o più vittime in luoghi diversi e

in un breve lasso di tempo, questi delitti spesso hanno un’unica causa

scatenante; il soggetto non conosce le sue vittime e viene catturato facilmente

perché lascia delle tracce senza preoccuparsi di nasconderle. A volte è successo

che gli spree killer conoscano le loro vittime e fanno dei raid per cercarle. Molto

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spesso lo spree killer termina col suicidio o cerca di farsi uccidere come

Andrew Cunanan4.

Da queste definizioni molti studiosi si sono occupati del fenomeno dell’omicidio

seriale.

Holmes e DeBurger, hanno individuato gli elementi principali che distinguono

l’omicidio seriale da altre forme di pluriomicidio:

1. L’elemento centrale è la ripetitività dell’omicidio; l’assassino seriale uccide più

volte e continuerà ad uccidere, il periodo di tempo può essere di mesi o di anni;

2. L’omicidio seriale è uno contro uno, significa che solitamente uccide da solo. Si

possono trovare anche assassini che uccidono in compagnia;

3. La relazione tra l’assassino e la vittima è inesistente o superficiale, è raro che

l’omicidio seriale accada tra persone che hanno una relazione;

4. Il serial killer è motivato ad uccidere;

5. Nella maggior parte dei serial killer manca una motivazione evidente; il sesso

può essere considerato come un primo motivo in molti crimini seriali, in altri

casi può essere estrinseco alla personalità.

Gli agenti speciali dell’F.B.I. Ressler, Burgess e Douglas, introducono la distinzione fra

comportamento organizzato e disorganizzato degli assassini seriali.

L’assassino seriale organizzato pianifica con cura i propri delitti, sceglie un tipo

particolare di vittima che ha un legame simbolico con lui.

I soggetti che appartengono a questa categoria sono spesso figli unici o primogeniti

all’interno della famiglia.

Solitamente appartengono alla media borghesia, sono soggetti che mostrano una

completa indifferenza verso gli interessi e il benessere della società; sono individui

metodici e astuti.

4 Andrew Cunanan uccise cinque persone omosessuali. L’omicidio finale fu quello che gli permise di raggiungere la notorietà. Intorno alle 8,30 del 14 luglio del 1997 Gianni Versace (che aveva una proprietà a Miami) uscì di casa per la sua solita passeggiata mattutina, e quando stava per rientrare, Cunanan lo uccise con due colpi alla testa. Dopo questo omicidio, inizia la caccia all’uomo. Il 25 luglio la polizia rintraccia Cunanan barricato dentro una barca del porto di Miami; iniziò uno scontro a fuoco. Dopo una pausa, si sentì l’esplosione di un colpo di pistola singolo. La polizia fece irruzione e trovò steso sul pavimento della barca, il cadavere di Cunanan, si era suicidato sparandosi un colpo in bocca.

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L’assassino seriale disorganizzato agisce per impulso improvviso, uccide le vittime in

maniera casuale, non si preoccupa delle tracce, è molto più facile catturare questo tipo

di assassino seriale in quanto è molto probabile trovare degli indizi sulla scena del

crimine.

I serial killer disorganizzati possono essere psicotici, non lo sono in genere.

I soggetti che appartengono a questa categoria sono figli intermedi o gli ultimi della

famiglia.

Appartengono a una classe sociale inferiore, sono soggetti in genere psicotici e hanno

delle caratteristiche di avversione nei confronti della società.

CRIMINALE ORGANIZZATO CRIMINALE DISORGANIZZATO

- crimine pianificato

- vittima selezionata

- l’assassino personalizza la vittima

- conversazione articolata con la vittima

- scena del crimine ordinata

- vittima sottomessa

- uso di mezzi di costrizione fisica

- presenza di azioni aggressive (sadismo)

- spostamento del cadavere

- uso premeditato di un’arma e sua

rimozione

- tracce fisiche assenti o scarse

- crimine impulsivo

- vittima scelta a caso

- la vittima come

oggetto(depersonalizzazione)

- scambio verbale minimo

- scena del crimine disordinata e confusa

- scoppio di violenza improvviso

- assenza di mezzi di costrizione fisica sulla

vittima

- atti sessuali postmortem (necrofilia)

- coincidenza luogo del delitto e di

abbandono

- scelta d’impeto dell’arma lasciata sulla

scena del crimine

- numerose tracce fisiche

(tabella n° 1)5

Un altro autore, Egger, ha individuato sei caratteristiche in base alle quali si può capire

se ci si trova di fronte ad un omicidio seriale: 5 Tabella tratta da MASTRONARDI V., DE LUCA R., I serial killer, Roma, 2005, p. 20.

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1) Ci sono almeno due omicidi;

2) Non c’è nessun tipo di relazione tra la vittima e il suo assassino;

3) Gli omicidi hanno luogo in tempi diversi e non hanno alcuna connessione con

gli omicidi precedenti o successivi;

4) Molto spesso gli omicidi sono commessi in luoghi diversi;

5) Gli omicidi non sono commessi per avere un guadagno materiale, solitamente

sono atti compulsivi;

6) In ogni vittima si possono riscontrare delle caratteristiche comuni a quelle delle

vittime precedenti e a quelle successive.

Quest’ultima definizione è in contrasto con quelle degli altri ricercatori, secondo

quest’ultimi gli omicidi seriali non necessariamente coinvolgono degli estranei, né

escludono un guadagno personale come motivo del delitto.

Si può notare che Egger è l’unico autore insieme al National Institute of Justice (N.I.J.),

ad aver posto a due il limite minimo di vittime.

Nel 1988 il National Institute of Justice ha proposto questa definizione: «“una serie di

due o più omicidi, commessi come eventi separati e, di solito, ma non sempre, da un

individuo che agisce da solo. Gli omicidi possono susseguirsi per un periodo di tempo

che può estendersi da poche ore a interi anni”»6.

Secondo il sociologo Hickey, l’elemento che distingue il serial killer dagli altri due tipi

di assassini seriali è rappresentato dal periodo di pausa che separa un delitto dall’altro e

indica che c’è premeditazione.

Hickey definisce assassino seriale chiunque uccida tre o più vittime, mostrando

premeditazione, in un periodo di tempo di giorni, mesi o anni.

La premeditazione però non l’unica caratteristica distintiva del serial killer; solitamente

si pensa che le persone autori di stragi impazziscano all’improvviso, al contrario nella

maggior parte dei casi le stragi vengono pianificate.

Il sociologo Bourgoin (1995) indica un altro fattore che differenzia i serial killer dalle

altre due categorie di assassini: il tipo di vittima.

6 BUTTARINI M., COLLINA M., LEONI M., I serial killer un approccio psicologico e giuridico al fenomeno, Forlì, 2007, pp. 9-10.

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Il serial killer sceglie in modo accurato le sue vittime (hanno caratteristiche comuni tra

loro), affronta le situazioni con freddezza al contrario dello spree-killer che perde spesso

il controllo della situazione.

Il mass murder colpisce i propri familiari oppure diventa occasionale quando attacca un

gruppo di persone che non hanno nulla a che fare con i propri problemi.

Partendo dalla definizione storica fornita dall’F.B.I. De Luca ha elaborato una nuova di

serial killer che cerca di rappresentare in maniera più fedele la complessità

dell’omicidio seriale:

«L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni

omicidiarie separate tra loro (nello stesso luogo o in luoghi diversi) oppure esercita

qualche tipo di influenza psicologica affinché altre persone commettano le azioni

omicidiarie al suo posto. Per parlare di assassino seriale, è necessario che il soggetto

mostri una chiara volontà di uccider ripetutamente, anche se poi gli omicidi non si

compiono e le vittime sopravvivono: l’elemento centrale è la ripetitività dell’azione

omicidiaria. L’intervallo che separa le azioni omicidiarie può andare da qualche ora a

interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo evento possono essere più di una.

L’assassino seriale agisce preferibilmente da solo, ma può agire anche in coppia o come

membro (o capo) di un gruppo. Le motivazioni superficiali che spingono all’omicidio

seriale sono varie, ma c’è sempre una motivazione psicopatologica profonda insita nel

soggetto che lo spinge al comportamento omicidiario ripetitivo. Nei casi in cui sia

presente una motivazione psicopatologica profonda, vanno considerati assassini seriali

anche i soggetti che uccidono nell’ambito della criminalità organizzata (quando un

movente psicologico personale li spinge ad uccidere al di là degli interessi

dell’organizzazione), i terroristi (quando uccidono per soddisfare un proprio piacere

personale e non solo per confermare l’ideologia in cui credono), i soldati (quando il

gusto di uccidere subentra al fatto di eseguire solo degli ordini)»7.

Il termine “azione omicidiaria” non è casuale, infatti per classificare un soggetto nella

categoria degli assassini seriali, è importante la sua intenzione non il risultato, cioè se le

vittime rimangono in vita o meno. 7 MASTRONARDI V., DE LUCA R., I serial killer, Roma, 2005, p. 50.

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L’aggressore colpisce con l’intento di uccidere, la sopravvivenza può dipendere da un

caso fortuito.

2. Tipologie di serial killer

Mastronardi e Palermo nel 1995 riprendono e modificano la classificazione di Holmes e

De Burger del 1988.

La classificazione di Holmes e De Burger prevedeva quattro tipi di serial killer

(l’allucinato, il missionario, l’edonista e l’orientato al controllo e al dominio della

vittima).

Classificazione Mastronardi e Palermo:

Serial killer “Visionario”: questo tipo di assassino commette gli omicidi in

seguito a degli ordini che è convinto di aver ricevuto dopo allucinazioni visive o

uditive (il soggetto “sente “ le voci” o ha delle allucinazioni che lo portano a

compiere l’azione omicida). Sono delle “allucinazioni di comando” in cui la

“voce” percepita è quella di Dio o di Satana. La giustificazione che adduce alla

sua condotta, è quella di un atto dovuto e di obbedienza, in funzione di un

disegno superiore per il quale è stato scelto come tramite. I soggetti sono

convinti di essere posseduti da una specie di demone soprannaturale; la maggior

parte presentano disturbi piuttosto gravi quali la schizofrenia di tipo paranoide

oppure il disturbo allucinatorio paranoide. Nella schizofrenia di tipo paranoide

gli omicidi presentano scarsa organizzazione e elementi bizzarri, nel disturbo

allucinatorio paranoide il livello di pianificazione è più elevato;

Serial killer “Missionario”: l’assassino di questa tipologia è convinto di aver il

compito di portare a termine una “missione divina”. Ha il compito, secondo la

sua logica, di ripulire il mondo da persone indesiderabili come i vagabondi i

drogati le prostitute ecc.. il soggetto, generalmente, non soffre di psicosi ma è

spesso condizionato da convinzioni personali sostenute da alcune false

percezioni di tipo paranoide. Per esempio se si orienta verso i drogati e o

alcolizzati, è facile che uno dei suoi due genitori lo fosse, e attribuisce a questo

motivo la violenza che è stato costretto a subire quando era piccolo;

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Serial killer “Edonista”: il soggetto omicida prova un particolare piacere

nell’atto di uccidere. L’assassino prova una sensazione paragonabile a una

specie di “orgasmo emotivo”; hanno bisogno di sperimentare forti emozioni per

“sentirsi vivi”. Si accompagnano nella maggior parte dei casi parafilie post-

mortem quali il cannibalismo, necrofilia ecc...;

Serial killer del “Controllo del potere”: questo tipo di omicida ha lo scopo di

esercitare il controllo assoluto su di un’altra persona, per decidere la vita o la

morte e sentirsi come Dio. Il sesso viene utilizzato come strumento per

esercitare potere e per raggiungere così il completo controllo psicofisico della

vittima. Sono presenti parafilie post-mortem come il cannibalismo; l’eventuale

stupro, mutilazione e/o altri atti inflitti al cadavere, in questo caso non hanno una

vera e propria attinenza al soddisfacimento della sfera sessuale ma solo un

controllo sulla vittima e all’idea di onnipotenza che ha di sé stesso;

Serial killer “lussurioso” (“Lust Killer”): l’obiettivo primario dell’assassino è

quello di ottenere un soddisfacimento di tipo prettamente sessuale. Il soggetto di

questa tipologia è caratterizzato dalla presenza di iperstimolazione organico-

sessuale dovuta a uno scompenso ormonale. Nella genesi dei delitti di questo

assassino, le fantasie giocano un ruolo di primo piano e sono orientate in chiave

di perversione sessuale e di bisogno di mutilare, squartare e deprezzare il corpo

della vittima.

Nella classificazione di Holmes e De Burger nella categoria dell’edonista rientrano tre

sottogruppi distinti in:

- per tornaconto: la gratificazione per l’assassino non derivano unicamente

dall’omicidio, ma anche dal guadagno personale che proviene dalla morte

della vittima;

- per piacere sessuale: sono assassini che uniscono il letale binomio di sesso e

morte;

- alla ricerca del brivido: per questo assassino la dimensione della sfida è

centrale, il rischio preso nel pedinamento, nella cattura e nell’uccisione

rappresentano eccitazione e brivido non meno importante dell’esecuzione

finale.

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3. I tratti distintivi del serial killer

Una caratteristica che accomuna tutti i serial killer è che appaiono come persone

“normali”; infatti, vengono descritti come persone riservate, timide, amabili anche se

questa facciata nasconde una freddezza unica.

Quello che differenzia i serial killer dalle altre persone è che, parallelamente a una vita

normale e comune, si nasconde il lato oscuro e assassino.

I serial killer non uccidono per vendetta, passione, gelosia, odio o denaro ma perché

ricavano piacere nel farlo; per loro uccidere è come compiere un atto sessuale, lo fanno

perché uccidendo riescono a provare un piacere non potrebbero raggiunger in nessun

altro modo.

Non provano rimorsi o sensi di colpa perché le vittime non sono considerate come

persone ma come dei mezzi per raggiungere il piacere.

Per alcuni non è sufficiente uccidere ma sentono anche il bisogno di squartare, di

distruggere, di mutilare.

Un elemento che si può riscontrare nei serial killer è la grande attrazione che provano

nei confronti della polizia (capita che si spacciano per poliziotti per avvinare meglio la

vittima oppure sfidano i poliziotti perché per il loro ego è importante superarli in

astuzia.

Una volta catturati, i serial killer, quasi sempre, confessano i delitti che hanno

commesso.

Alcuni agenti speciali dell’F.B.I. nel 1988 iniziano a effettuare degli studi sui serial

killer americani incarcerati, attraverso cui è stato possibile tracciare un identikit-tipo del

serial killer.

È emerso che hanno un Q.I. che si aggira attorno a 110.

Questa loro intelligenza superiore non ha riscontro negli altri ambiti della vita come per

esempio negli studi, nel campo professionale e in quello militare dove ottengono

risultati mediocri, così come sono scarsi i loro rapporti sessuali.

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Nell’ambito scolastico questi soggetti spesso hanno ripetuto le scuole elementari e la

maggior parte non ha finito la scuola superiore.

In ambito lavorativo, i dati mostrano che hanno subito delle molestie e che la maggior

parte ha un impiego in attività non specializzate.

In campo militare non sono riusciti a sfruttare la loro potenzialità.

Solitamente sono cresciuti col terrore del sesso e da adulti non riescono ad avere

rapporti normali.

Holmes e De Burger hanno individuato delle caratteristiche che permettono di

distinguere i serial killer da quelli tradizionali:

Età: la maggior parte dei serial killer conosciuti ha un’età compresa tra i 25 e i

35 anni mentre l’età delle vittime varia molto (gli anziani e i bambini sono però

quelli più colpiti);

Sesso: le vittime sono quasi sempre delle donne mentre la maggior parte dei

serial killer sono uomini;

Razza: l’assassino seriale è commesso per la maggior parte da maschi bianchi;

Variazione geografica: aree di grande transitorietà, non è possibile identificare

una ragione con alte o basse percentuali di omicidi seriali;

Condizione socio-econimica: sembra che la maggior parte degli omicidi seriali

coinvolga due persone di simile status;

Relazione vittima-assassino: l’omicidio seriale comporta l’uccisione di una

persona estranea.

4. Le fasi dell’omicidio seriale

Joel Norris, psicologo americano, nel 1988 ha posto l’attenzione sull’azione esecutiva

vera e propria, ha diviso l’attività dell’assassino seriale in sette fasi (ognuna di queste è

collegata a un particolare stato mentale):

1. Fase aurorale: ritiro sociale dell’aggressore. Avvengono delle modificazioni

comportamentali e sensoriali. Il tempo sembra essere più lento, i suoni e i colori

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sono più vividi, gli odori sono più intensi. In contemporanea comincia

un’attività fantastica di tipo compulsivo e l’estraneazione dalla realtà quotidiana,

che viene sostituita da un bisogno di trovare un compagno immaginario. La fase

aurorale può durare un attimo come mesi o anni. In questa fase l’assassino

immagina come sarà il suo delitto e aspetta lo stimolo scatenante che fa

esplodere l’istinto omicida. Questa fase è una specie di passaggio fra due realtà

ben distinte; da una parte c’è la realtà di tutti i giorni, dall’altra c’è la realtà del

quasi-assassino. L’individuo in questa fase si trasforma e l’unico obiettivo è

quello di realizzare le proprie fantasie;

2. Fase di puntamento: caratterizzata dal bisogno compulsivo di ricercare e

catturare la vittima. L’assassino seriale ricerca in maniera attiva la preda

attraverso una serie di schemi comportamentali compulsivi, frenetici e paranoici.

Ogni assassino ha delle preferenze sui posti dove appostarsi (parcheggi centri

commerciali, campus universitari, strade oscure) in attesa della sua vittima. Il

momento del puntamento non è formato da una serie di comportamenti casuali,

ma rispecchia il bisogno di andare alla ricerca della preda. Il soggetto mostra un

atteggiamento paranoico. L’ultima parte di questa fase include l’identificazione

della vittima e l’osservazione dei suoi spostamenti per trovare il momento più

opportuno per colpire;

3. Fase di seduzione: l’assassino, attraverso una serie di trappole, riesce a

conquistare la fiducia della vittima nascondendosi, dietro a una “maschera di

normalità”. L’assassino riesce a spingere la vittima verso la trappola. Le vittime

non hanno lottato con il loro aggressore perché sono state circuite in modo

seduttivo;

4. Fase di cattura: l’assassino presenta due modalità di azione. Può agire con

estrema rapidità e decisione oppure in altri casi agisce lentamente con una

tranquillità studiata. Solitamente il killer colpisce quando la vittima è da sola e

in un posto isolato. Le fasi di puntamento e seduzione hanno lo scopo di

aumentare il grado di eccitazione del soggetto e le sue aspettative di successo. Il

momento della cattura procura un enorme piacere perché l’assassino sente che la

vittima è finalmente sua;

5. Fase dell’omicidio: le fantasie vengono messe in atto. Per la maggior parte degli

assassini seriali è il punto massimo di eccitazione, la fase del trionfo. In questa

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fase può rivivere, in maniera attiva, le esperienze traumatiche che ha vissuto

durante la propria infanzia. Riesce così a rovesciare i ruoli, non è più la vittima

designata ma il feroce carnefice. Diventa il giustiziere che mette in atto i torti

subiti:

6. Fase totemica: è il momento subito dopo il reato, l’aggressore rivive attraverso i

ricordi e i feticci l’omicidio commesso. Subito dopo l’omicidio l’eccitazione

cala rapidamente e l’assassino va verso uno stato depressivo. Si sente svuotato

da ogni energia. Per preservare il momento dell’uccisione l’aggressore conserva

il corpo della vittima o alcune parti di esso (organi sessuali o testa), oppure

conserva oggetti della vittima. Il cadavere diventa un simbolo, un trofeo. Le

perversioni più comuni, in questa fase, sono la necrofilia e il cannibalismo,

oppure la masturbazione di fronte a parti del cadavere. Molte volte vengono

scattate foto al cadavere oppure vengono effettuate videoregistrazioni del rituale

dell’uccisione. L’assassino si accorge però che i feticci non possiedono nessuna

qualità “magica” e la piacevole sensazione provata durante l’omicidio tende a

svanire col tempo. «Gli analisti dell’F.B.I. solitamente distinguono i “trofei”,

raccolti da quelli che definiscono gli assassini “organizzati” per ricordare il

proprio successo nella caccia, dai “souvenir”, più tipici dei killer

“disorganizzati”, oggetti che costituiscono il fulcro delle loro fantasie malate,

catalizzatori di nuovi progetti di distruzione»8;

7. Fase depressiva: il ricordo svanisce e il bisogno di cercare nuove vittime

riaffiora in maniera lenta. L’assassino man mano si accorge che l’uccisione reale

non ha modificato la sua esistenza. L’immagine di una fidanzata che l’ha

respinto, la voce della madre odiata o il ricordo del padre molto spesso assente e

violento riaffiorano alla mente. Il passato si riappropria della sua anima, ha

fallito nuovamente perché non è riuscito a cambiare la sua vita precedente e,

quindi, neanche il presente. Attraverso la tortura e l’uccisione della vittima

indifesa, l’aggressore ha riconfermato le sue tragedie più intime. Questa fase può

durare pochi giorni come interi anni. Inevitabilmente il mondo fantastico

prenderà nuovamente il sopravvento nella mente del soggetto. Gli impulsi

8 LUCARELLI C., PICOZZI M., Serial Killer storie di ossessione omicida, Oscar Mondadori, Milano, 2010, pag. 65.

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distruttivi si fanno sempre più presenti. Il ciclo omicidiario è pronto per

ricominciare.

5. Infanzia e famiglia del serial killer

L’omicidio può essere considerato il punto di arrivo di un processo interno

dell’individuo.

Si può notare che la maggior parte dei serial killer rientra in uno dei seguenti quadri

familiari:

Figlio illegittimo;

Orfano di uno o di entrambi i genitori;

Figlio di un genitore abusivo, solitamente il padre, mentre l’altro è remissivo,

spesso la madre, è anche possibile il quadro opposto;

Infanzia caratterizzata da violenze fisiche, psicologiche e/o sessuali, perpetrate

da uno o da tutti e due i genitori.

Si può affermare che molti serial killer hanno avuto un’infanzia e un’adolescenza

traumatiche, ma è altrettanto vero che non è possibile che tutti i bambini con alle spalle

gravi problemi familiari diventeranno assassini seriali.

Esistono rari casi di serial killer, sempre di tipo organizzato, con un’infanzia e vita

assolutamente normali come nel caso di Theodore Robert Bundy9.

9 Nasce nel novembre del 1946 con il nome di Theodore Robert Cowell, la madre torna a casa dei genitori per decidere chi dovesse adottarlo (è figlio illegittimo), intanto lo affida ad estranei. Dopo due mesi i genitori della madre decidono di tenere il bambino. Il cognome Bundy lo acquisisce all’età di cinque anni quando la madre si sposa con John Culpepper Bundy. Ted adora suo “padre”, Sam Cowell, si identifica in lui, lo rispetta e, se ha un problema, è a lui che si rivolge. Dai racconti successivi dello stesso Bundy, sembra che la sua infanzia sia stata particolarmente felice; si ricordava con nostalgia le merende in campagna e le volte che andava a pescare con il nonno. Almeno in superficie, l’infanzia e l’adolescenza di Bundy sembrano essere abbastanza normali: sempre promosso in maniera brillante, boy scout molto attivo e andava sempre in chiesa con i genitori. Era un ragazzo attraente e ben vestito, eccezionalmente bene educato, pur essendo molto timido e riservato.

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L’infanzia rappresenta un momento fondamentale per la salute fisica e mentale del

futuro adulto; un buon legame di attaccamento fra il bambino e chi si prende cura di lui

agevola il percorso.

La dissoluzione o la mancata formazione del legame di attaccamento10 può produrre un

bambino incapace di provare empatia, affetto o rimorso per u altro essere umano e, fra i

tanti esiti, c’è anche la possibilità dello sviluppo del comportamento omicidiario.

L’estensione del danno psicologico sofferto dipende, dall’età del bambino e dalla durata

dell’interruzione del ciclo di attaccamento.

Esempi di abbandono genitoriale sono all’ordine del giorno nelle biografie dei serial

killer.

Le interazioni che gli assassini seriali hanno con le persone sono basate su rapporti

comunicativi distorti; gli altri sono dei semplici oggetti che servono per soddisfare il

propri bisogni.

La distorsione dei rapporti comunicativi ha sempre origine nei problemi relazionali che

insorgono durante l’infanzia e l’adolescenza.

Si può notare che la maggior parte dei serial killer proviene da quella che può essere

definita una “famiglia multiproblematica”.

Molti assassini da bambini sono diventati vittime del processo di triangolazione,

meccanismo attuato dai genitori che coinvolgono il figlio nei loro conflitti emotivi,

usandolo alternativamente come strumento per ricattare l’altro coniuge.

Il rapporto comunicativo con uno dei due genitori è caratterizzato dalle ripetute

aggressioni verbali; i genitori dei serial killer non hanno un confronto empatico con

loro.

10 Bowlby definisce l’attaccamento come propensione a stringere legami affettivi preferenziali con altri individui lungo tutto l’arco della vita. L’autore prevede che il sistema di attaccamento sia preminente durante l’infanzia, in risposta ai bisogni primari del bambino. La teoria dell’attaccamento è una teoria sulla protezione dal pericolo. L’attaccamento è: configurazione di attaccamento, configurazione di elaborazione delle informazioni, strategia per identificare il pericolo e rispondergli. Esistono quattro tipi di attaccamento: nell’attaccamento sicuro, la sicurezza dell’accessibilità materna rende il bambino tranquillo per esplorare le novità, ha un atteggiamento esplorativo; nell’attaccamento insicuro-evitante il bambino ha sperimentato più volte la difficoltà ad entrare in contatto con la figura d’attaccamento e hanno imparato a farne a meno, lo stile è quello dell’immunizzazione; nell’attaccamento insicuro-ambivalente il bambino ha sperimentato l’imprevedibilità della figura dell’attaccamento quindi tenta di mantenere con lei una vicinanza strettissima rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo, lo stile è quello dell’evitare; nell’attaccamento disorganizzato-disorientato si realizza quando la figura di attaccamento è sperimentata come minacciosa, il caragiver è spaventato/spaventante, nel caso della madre spaventata/spaventante il bambino riceve costantemente un messaggio di pericolo: lo stile è quello dell’ostilità.

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In molti casi, quelli che non presentano traumi rilevabili e la famiglia dell’assassino

seriale può essere definita “normale”, il padre, non si accorge di trascurare il figlio e

non può immaginare che il suo atteggiamento possa contribuire a creare un assassino.

Sono molto significative le parole di Lionel Dahmer, il padre di Jeffrey Dahmer (“il

Cannibale di Milwaukee”), che mostrano la totale impotenza nel rendersi conto che

c’era qualcosa di sbagliato in suo figlio:

«Lo vedevo a sprazzi, un bambino che correva per la stanza o che mangiava al tavolo da

pranzo. Allo stesso modo lo sentivo, un rapido abbraccio uscendo o rincasando. I nostri

discorsi erano frettolosi: “Ciao”, “Arrivederci”, buttati là mentre uscivo. Il master

incombeva davanti a me come un’immensa montagna; tutto il resto mi sembrava

piccolo. Ma Jeff non era piccolo, diventava ogni giorno più grande. Eppure, io lo

vedevo a stento crescere, notavo appena i mutamenti che si stavano producendo in lui. E

così fui costretto a un brusco arresto solo quando Jeff, all’improvviso, si ammalò.

[…]

Nelle fotografie non vedo altro che un bambino che gioca in cortile o che se ne sta

seduto in silenzio con il suo cane, ma mi domando se, mentre faceva queste cose, non

stesse già sprofondando in un mondo che per me era invisibile.

[…]

Quanto a me, io vedevo solo un bambinetto tranquillo che […] appariva più riservato di

prima, più chiuso, meno pronto a illuminarsi del lampo caldo del suo sorriso. È

possibile che non vedessi niente di più di questo perché i miei contatti con lui erano

troppo fugaci.

[…]

Non ricordo la sua espressione né mi viene in mente la luce dei suoi occhi. Cosa più

grave, non ricordo di essermi accorto che la luce che c’era prima stesse lentamente

spegnendosi.

[…]

Non ero presente per percepire, ammesso che mi fosse stato possibile, che forse stava

scivolando verso quell’inimmaginabile regno di fantasia e isolamento che avrei

impiegato quasi trent’anni a riconoscere. Eppure, è possibile che stesse succedendo

proprio allora, mentre io trangugiavo in tutta fretta le mie cene e gli passavo accanto

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precipitandomi alla porta, confortato dall’idea di essere l’unico in famiglia a cui

toccasse uscire la sera»11.

Questo non vuol dire che in tutte le famiglie dove i figli sono trascurati si creino dei

serial killer.

6. Il modus operandi

Il modus operandi è, tutto l’insieme di pianificazione e azioni messo in opera

dall’assassino seriale e che può variare tra un omicidio e l’altro della serie; è l’insieme

delle modalità esecutive utilizzate dal criminale per realizzare il comportamento illecito.

Il modus operandi non è qualcosa di definitivo e immutabile, ma il comportamento

dinamico è in continua evoluzione.

Il criminale modifica il suo modus operandi nella serie di reati con lo scopo di ottenere

il massimo beneficio e di ridurre i rischi di cattura e di ottimizzare la gratificazione

personale (per esempio il serial killer può praticare mutilazioni sempre più estese).

Il fattore che maggiormente può influire sulla modificazione del modus operandi è il

carcere.

L’analisi del modus operandi è molto importante quando un investigatore cerca di

stabilire se ci sono o meno dei collegamenti fra i diversi casi.

Il modus operandi dei serial killer, è di due tipi:

Approccio aggressivo;

Approccio seduttivo.

Il primo approccio è tipico di quelle persone che non hanno confidenza con le proprie

capacità verbali e relazionali, si sentono inadeguate e in tensione durante l’interazione

con il soggetto adulto per cui utilizzano la costrizione fisica per catturare la vittima.

11 MASTRONARDI V., DE LUCA R., I serial killer, op. cit., pag. 75.

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Tra le modalità aggressive possono essere utilizzate tecniche di stalking, in cui

l’aggressore pedina e sorveglia la vittima per cercare di conoscere le sue abitudini e i

punti di vulnerabilità per effettuare l’attacco.

Il secondo approccio è tipico dei serial killer dotati di una grande fiducia nelle proprie

capacità e doti carismatiche.

Questa modalità corrisponde alla fase della seduzione teorizzata da Joel Norris, il

soggetto approccia direttamente con la preda e la induce a seguirlo con maniere gentili.

Fra i seriali più seduttivi, ci sono i “Barbablù” e le “Vedove Nere”, cioè quei soggetti

che uccidono mogli, mariti, amanti e fidanzati.

7. La “firma” (signature)

La “firma” identifica la componente unica e originale del comportamento del criminale

che, a differenza del modus operandi che può cambiare da reato a reato, rimane

invariata, costituendo una specie di “biglietto da visita” del soggetto che agisce.

Non è sempre presente la “firma”, ma quando c’è, è legata alle fantasie patologiche che

ha l’aggressore.

Il modo attraverso il quale viene maneggiato il cadavere dopo l’omicidio può essere

parte del modus operandi, oppure può far parte della “firma”, se è presente una funzione

espressiva collegata al bisogno dell’assassino di mandare un “messaggio” (per esempio,

il cadavere viene posizionato in una certa maniera per rappresentare il disprezzo che

l’assassino ha nei confronti della vittima).

Le modalità di relazione che esistono fra il serial killer e il cadavere sono tre:

- Posizionamento: il cadavere della vittima viene abbandonato in luogo che

facilità il suo ritrovamento. L’assassino vuole che la polizia trovi il cadavere

perché vuole comunicare un “messaggio” e allo stesso tempo desidera umiliare

la vittima;

- Occultamento: il cadavere viene nascosto per posticipare il suo ritrovamento;

- Scaricamento: il cadavere viene scaricato in un luogo che viene scelto a caso, è

solo una questione di praticità.

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CAPITOLO II

TRA PSICOPATIA E PERVERSIONI SESSUALI

È difficile dire perché una persona diventa un serial killer e un’altra no.

Non esiste una risposta unica, ci sono però una serie di fattori, di tipo biologico,

psicologico e socio-ambientale che facilitano il comportamento omicidiario seriale.

La maggior parte dei serial killer viene definita “psicopatica”, una caratteristica

fondamentale negli assassini seriali è sicuramente la presenza di una o più perversioni

sessuali.

Il concetto di psicopatia e le perversioni sessuali, insieme al “Modello SIR”, permette di

comprendere le dinamiche motivazionali che portano alla formazione del serial killer.

1. Il “Modello SIR”

Nel 2001, De Luca ha proposto un modello di classificazione dell’omicidio seriale

realizzato dopo aver studiato in modo approfondito le caratteristiche del suo campione

internazionale composto da 1520 Serial Killer.

«Il modello segue l’ottica sistemico-relazionale e considera il comportamento

osservabile dell’individuo (quello della persona normale tanto quanto quello

dell’assassino) come la risultante dell’interazione fra le caratteristiche innate del

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soggetto, le sue predisposizioni, i sistemi sociali nei quali si trova inserito e le relazioni

che stabilisce con essi e che si vanno a formare tra i diversi ambienti»12.

Il comportamento omicidiario seriale è il prodotto della combinazione circolare fra tre

fattori (F) che s’intrecciano tra loro, con importanza variabile da individuo a individuo,

e della diversa intensità dei rispettivi sottofattori (SF).

Le iniziali dei tre fattori sono:

socio-ambientale (S);

individuale (I);

relazionale (R) .

Questi tre fattori danno il nome al Modello SIR, che costituisce il punto di partenza per

la creazione di una nuova tassonomia dell’omicidio seriale che tenga conto della reale

complessità del fenomeno e che possa davvero spiegare come si diventa Serial Killer.

(tabella n°2)13

1.1. Il Fattore Socio-ambientale, F(S)

12 MASTRONARDI V., DE LUCA R., I serial killer, op. cit., p.182. 13 Ivi, pag. 183.

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Il fattore F(S) comprende tutte le componenti socio-ambientali che possono influenzare

il comportamento di un serial killer.

SF1: Ambiente familiare di provenienza.

Nella maggior parte dei casi, la famiglia in cui cresce il Serial Killer non permette uno

sviluppo corretto dell’empatia e la formazione di una personalità equilibrata.

Si riscontrano abbandoni ripetuti, abusi fisici, sessuali e psicologici, deprivazione

affettiva, sono alcuni dei tanti traumi ai quali è sottoposto il soggetto durante l’infanzia.

Sono traumi che fondano le basi per il futuro comportamento criminale.

SF2: Livello di inserimento nel tessuto sociale.

Durante l’adolescenza e in età adulta, l’assassino seriale generalmente non ha un buon

livello di inserimento nel tessuto sociale (non ha un lavoro gratificante e ha pochi amici)

ed è una persona con pochi interessi culturali.

Anche in quei casi in cui, apparentemente, il soggetto mostra una “facciata di

normalità”, in realtà si tratta di un inserimento che si ferma al livello superficiale e non

coinvolge il nucleo centrale della personalità, tormentato da angosce interiori profonde.

SF3: Eventi predisponenti, facilitanti e scatenanti.

«In ogni storia di vita dei Serial Killer, ci sono sempre degli eventi predisponenti,

facilitanti e scatenanti altamente soggettivi che possono verificarsi in qualsiasi

momento, innescando il meccanismo di reazione omicidiaria a catena; questi eventi, che

per un’altra persona potrebbero sembrare assolutamente innocui, per l’assassino seriale

hanno una carica emotiva dirompente, capace di mandare in frantumi un’identità molto

fragile.

La lista di questi eventi non è uguale per tutti, ma, fra quelli più comuni, ci sono lutti

improvvisi (che sconvolgono il precario equilibrio omeostatico interno del soggetto),

abbandono improvviso da parte di un “oggetto” investito di molte aspettative, accesso

facilitato a un’arma, presenza di una certa tipologia di vittima facilmente avvicinabile

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ecc»14.

SF4: Influenze subculturali.

Questo sottofattore assume un’importanza rilevante nei casi in cui il serial killer cresce

in un ambiente già fortemente impregnato di adesione al crimine, dove, ad esempio, i

genitori mettono in atto comportamenti criminali, oppure il soggetto si trova inserito,

soprattutto durante l’adolescenza, in un gruppo di pari che adotta strategie criminali e

che esercita, su di lui, un’influenza abbastanza forte.

Molti serial killer iniziano una carriera criminale precoce proprio perché sono inclusi in

un contesto che facilita e approva il passaggio all’atto aggressivo.

SF5: Ricompense e punizioni mediate dall’ambiente.

Il modo in cui la società reagisce ai primi atti devianti e criminali del potenziale seriale

riveste un ruolo importante nell’indirizzare il comportamento futuro del soggetto.

Il percorso criminale di un individuo non inizia con l’omicidio seriale, ma con episodi

di minore gravità.

Il soggetto può ricevere ricompense o punizioni per le proprie azioni.

Una punizione può rallentare o bloccare il comportamento criminale.

Se il soggetto riceve una forte soddisfazione personale dall’azione criminale e, per

qualunque motivo, non viene punito, sarà portato a ripetere il comportamento che lo ha

gratificato.

In ogni caso, un quadro formato da deprivazione affettiva e problemi familiari nel

periodo evolutivo, uno scarso livello di inserimento nel tessuto sociale, la presenza di

eventi predisponenti, facilitanti e scatenanti, influenze subculturali negative e mancanza

di punizioni adeguate ai comportamenti criminali messi in atto, non può essere

sufficiente a spiegare l’insorgenza e la manifestazione del comportamento omicidiario

seriale.

Non tutti i soggetti che hanno determinati traumi o problemi diventeranno dei serial

killer.

14 Ivi, pag. 184.

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1.2. Il Fattore Individuale, F(I)

Il fattore F(I) include tutte le componenti soggettive della personalità dell’assassino

seriale.

Questi elementi sono presenti in ogni individuo normale, ma, nel serial killer, sono

variabili in qualità e quantità.

SF1: Tratti psicologici e psicopatologici.

Ogni individuo possiede dei tratti psicologici innati, degli istinti naturali che orientano

in un determinato senso lo sviluppo personale.

Anche gli assassini seriali possiedono delle caratteristiche psicologiche peculiari che, in

molti casi, sono legate a tratti psicopatologici che possono assumere forme diverse e che

contribuiscono a orientare il comportamento del soggetto.

In alcuni soggetti, sembra esistere una “predisposizione al male” che fa agire

comportamenti criminali molto precoci.

SF2: Sessualità.

La qualità e la quantità degli impulsi sessuali di molti soggetti durante il periodo

evolutivo alimenta la loro vita fantastica ed è una determinante fondamentale del

comportamento che l’individuo avrà da adulto.

Lo sviluppo di una sessualità perversa può essere una componente precisa del futuro di

un seriale.

SF3: Vita immaginativa (fantasie).

Una caratteristica comune a tutti gli assassini seriali è quella di avere una vita

immaginativa molto ricca e articolata.

Le fantasie dei potenziali serial killer si orientano precocemente sul dominio, sul

controllo e sulla distruzione di altre persone che sono immaginate come “oggetti” a

completa disposizione per la propria gratificazione personale.

SF4: Bisogni soggettivi (motivazioni).

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Nel corso della vita, ogni individuo ha delle aspirazioni e delle motivazioni che lo

spingono ad avere determinati comportamenti.

La stessa cosa avviene nel serial killer: la necessità di soddisfare i bisogni personali lo

spinge a commettere un certo tipo di omicidio seriale piuttosto di un altro.

Questi soggetti sono spinti a ripetere il comportamento omicidiario da una serie di

motivazioni psicologiche strettamente personali

SF5: Capacità di elaborazione dei traumi.

Questo sottofattore individuale è estremamente importante per comprendere perché

alcuni soggetti diventano serial killer e altri no.

Uno stesso evento traumatico (ad esempio, il lutto per una persona cara, o le umiliazioni

subite dai compagni di scuola, oppure il rifiuto di un partner sessuale) può essere gestito

in maniera diversa da persone differenti.

I soggetti normali mettono in atto risposte adattive e di elaborazione positiva del

trauma, il serial killer attiva risposte distruttive e di elaborazione negativa del trauma,

che condurranno alla progressiva disgregazione della sua già fragile personalità.

Neanche i diversi sottofattori individuali possono giustificare, da soli, lo sviluppo del

comportamento dell’assassino seriale.

Bisogna anche considerare gli elementi relazionali.

1.3. Il Fattore Relazionale, F(R)

Il fattore F(R) è il punto di incontro dei due fattori precedenti e rappresenta una misura

del grado di scambio esistente tra individuo e ambiente, e del modo in cui il soggetto si

rapporta con glia altri individui.

SF1: Comunicazione dell’individuo con se stesso.

Negli assassini seriali si riscontra la difficoltà a instaurare e a mantenere delle relazioni

autenticamente empatiche con il prossimo e preferiscono vivere in una dimensione di

solitudine, accompagnati solo dalle loro fantasie.

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La qualità di queste fantasie e il dialogo interno di ogni serial killer sono di

fondamentale importanza per condizionare il suo comportamento successivo.

SF2: Comunicazione individuo - famiglia d’origine.

La presenza della freccia bidirezionale (vedi in tabella, sopra) non è casuale, perché sta

proprio a significare che non è importante solo il modo in cui il Serial Killer comunica,

ma anche la qualità del messaggio di ritorno inviato dal ricevente.

Per esempio, l’atteggiamento perennemente svalutante di un padre o di una madre

compromette in maniera irreparabile lo sviluppo della personalità di un figlio.

Le tensioni con i genitori possono determinare in maniera pesante il comportamento del

futuro adulto, che può anche decidere di uccidere donne “che gli ricordano la madre”

perché, pur non avendo il coraggio di distruggerla fisicamente, sente la necessità di

distruggerla simbolicamente attraverso la mediazione di un altro “oggetto”.

SF3: Comunicazione individuo - partner sessuali.

Il sesso è uno degli aspetti fondamentali della vita umana e il tipo di interazione

realizzato dall’individuo con i partner sessuali ha un’influenza ben precisa sulla sua

personalità.

Molti serial killer sviluppano un percorso di inadeguatezza costellato di rifiuti,

abbandoni e umiliazioni di ogni genere e arrivano ad odiare una certa categoria di

persone (nella maggior parte dei casi, le donne).

SF4: Comunicazione individuo - società.

Alcuni Serial Killer riescono a mantenere una “facciata di normalità”, instaurando dei

rapporti superficiali con gli altri attori sociali, ma continuano a considerare le persone

come dei semplici “oggetti”.

Nel caso in cui l’assassino seriale abbia un proprio nucleo familiare, sia cioè sposato e

magari con figli, i rapporti con la famiglia hanno lo stesso andamento di quelli esterni

mantengono una “facciata di normalità”.

SF5: Modalità di apprendimento della violenza.

L’essere umano non nasce serial killer, ma apprende, nel corso degli anni, a usare la

violenza per soddisfare i suoi bisogni.

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Le modalità di apprendimento sono sempre una questione di interazione con uno o più

modelli negativi assunti come punti di riferimento.

2. Il concetto di “psicopatia” e il rapporto con il “Disturbo Antisociale di

Personalità”

Quando si parla di serial killer bisogna considerare che siano persone “normali” e non

solo dei “mostri”.

Molti esami condotti dai periti sulla psiche di questi soggetti confermano la loro

appartenenza a ciò che definiamo “normalità”.

Soltanto un quarto circa degli assassini seriali registrati nelle casistiche internazionali

soffrono di una qualche forma di psicosi, ovvero un delirio schizofrenico che comporta

allucinazioni e la perdita di contatto con la realtà.

Il problema che si presenta a questo punto è conciliare il concetto di malattia, l’idea

comune di “malato mentale” e l’immagine di un certo tipo di Serial Killer, cioè di un

soggetto che si muove agilmente nell’ambito sociale, assoggettandolo alle sue attitudini

predatorie e mostrandosi apparentemente adattato.

Si deve riscoprire un termine che ha avuto poca considerazione ai nostri giorni: il

concetto di psicopatia, oggi inserito erroneamente nella categoria diagnostica che

prende il nome di Disturbo Antisociale di Personalità, oppure sostituito con la

definizione di sociopatico.

2.1. Cenni storici sulla psicopatia

I concetti di psicopatia e personalità antisociale sono strettamente legati: il secondo,

infatti, rappresenta un tentativo di trasportare il primo, termine più antico, nel campo

operativo concreto.

Fino al XIX secolo, l’aggettivo “psicopatico” era assimilabile a “psicopatologico” e

veniva applicato ad ogni forma di disordine mentale.

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Koch introdusse la forma plurale “inferiorità psicopatiche”, riferendosi ad un insieme di

comportamenti abnormi, a metà fra disordine mentale e normalità.

«Oggi, il termine “psicopatico” è scomparso dalle classificazioni, nonostante permanga,

nella sua assenza, nel DSM-IV (Il DSM, Diagnostic and Statistical Manual for Mental

Disorders, è il Manuale Diagnostico-Statistico dei Disturbi Mentali creato dall’ APA,

l’American Psychiatric Association, negli Stati Uniti. Nelle sue varie edizioni, il DSM

presenta una classificazione dei disturbi mentali con un codice di classificazione per

ognuno di essi e una suddivisione in cinque assi. L’asse I riguarda i disturbi clinici e le

altre condizioni che possono essere soggette ad attenzione clinica; l’asse II tratta i

disturbi di personalità e il ritardo mentale; l’asse III, le condizioni mediche generali;

l’asse IV, i problemi psicosociali e ambientali; l’asse V, la valutazione globale del

funzionamento della persona).

Attualmente, il concetto di “psicopatia” si trova in una fase di discussione nel

continente nordamericano, dove viene invocato un maggiore accordo sulla sua

definizione e sulla delimitazione d’uso. Alcuni autori, infatti, ritengono che la

psicopatia debba essere concettualizzata principalmente in tratti di personalità (cioè

caratteristiche insite nella struttura dell’individuo), altri ne parlano in termini di

comportamenti osservabili (cioè le azioni effettivamente eseguite dall’individuo)».

Harvey Cleckley, in The Mask of Sanity, pubblicato nel 1941, ha delineato sedici criteri

per la diagnosi di psicopatia:

1) Fascino superficiale

2) Assenza di ansia.

3) Mancanza di senso di colpa.

4) Indifferenza.

5) Disonestà.

6) Egocentrismo.

7) Impulsività.

8) Incapacità di stabilire relazioni intime durature.

9) Incapacità di apprendere dalle punizioni.

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10) Incapacità di posticipare la gratificazione.

11) Povertà emotiva.

12) Assenza di empatia.

13) Incapacità di fare piani a lungo termine.

14) Tendenza a cercare un controllo esterno per il proprio comportamento.

15) Menzogna cronica.

16) Distacco sociale.

Quella di Cleckley è la prima descrizione clinica completa del soggetto psicopatico,

viene definito come un individuo “non palesemente psicotico, ma contraddistinto da un

comportamento caotico e poco sintonico con le richieste della società e della realtà, dal

quale è possibile inferire una psicosi al di là della facciata”.

Negli anni successivi, il termine “psicopatia” è stato abbandonato a favore di una

definizione che riflette per lo più l’aspetto ambientale e sociale: “sociopatia” (Il termine

“sociopatico” viene utilizzato per la prima volta nel 1930 da G. E. Partridge, che lo

propone in sostituzione di “psicopatico”).

È possibile definire il Serial Killer come un individuo affetto da un disturbo del

carattere e della condotta, con insorgenza precoce e andamento cronico, caratterizzato

da un’alterazione specifica di alcuni aspetti della personalità e del rapporto col mondo

quali:

a) Affettività povertà affettiva, assenza di empatia, disinteresse verso persone e norme

sociali);

b) Moralità (assenza di un sistema di valori condiviso, immoralità, assenza di rimorso,

conseguenti a gravi deficit superegoici);

c) Impulsività (comportamenti aggressivi ed irresponsabili);

d) emozioni (mettere in atto comportamenti pericolosi e attività illecite);

e) necessità di imporre il proprio potere (manipolazione, abuso, menzogna).

Un tratto spesso associato ai precedenti è una persistente irritabilità è la presenza di

disturbi della condotta durante l’infanzia e l’adolescenza.

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Nonostante molti studi abbiano riscontrato, nella vita di soggetti devianti, esperienze di

vita disturbanti (per esempio condizioni familiari violente, abusi fisici e/o psicologici,

abbandoni, separazione o morte dei genitori), si riscontrano anche numerosi casi di

individui provenienti da famiglie “normalmente instabili” che commettono azioni

altrettanto efferate.

Le linee di sviluppo dell’individuo seguono diversi percorsi; quello cognitivo

(comprensione di problemi relativi ad oggetti e relazioni di tipo fisico), lo sviluppo

sociale (comprensione delle modalità d’azione nel contesto interpersonale) e lo sviluppo

morale (comprensione di come le persone dovrebbero agire).

Pur essendo legato alle prime due condizioni, lo sviluppo morale non è riconducibile ad

esse, anzi, ciascuno degli aspetti citati può evolvere autonomamente ed è funzione dei

primi anni di vita.

Si tende a considerare traumatici esclusivamente episodi eclatanti, non sempre infatti i

traumi sono così evidenti; in alcuni casi potremmo parlare di “combinazioni di traumi”.

Particolari aspetti di carattere (bambini con un temperamento particolare, troppo

sensibili, molto agitati) possono combinarsi perfettamente con certe caratteristiche

materne o venirne frustrate dalle stesse, creando una miscela esplosiva che diventa, così,

fonte d’insicurezza, di incomprensione emotiva e di allontanamento affettivo.

Abusi e violenze possono condizionare lo sviluppo di una persona.

Anche le umiliazioni o il non riconoscimento dell’individualità del bambino possono

essere traumatici in quanto ne colpiscono il senso di identità, il Sé, l’identità di genere.

Ciò può portare in età adulta a un’identità (anche sessuale) incerta.

È necessario analizzare il modo in cui le caratteristiche del soggetto, del genitore, le

circostanze e la società sono andate combinandosi, e solo allora, forse, potremo disporre

di una chiave di lettura per avvicinare queste persone, senza chiuderle in un fittizio

universo parallelo che può solo contribuire a creare nuovi “mostri”.

2.2. La teorizzazione di Robert D. Hare e la Psychopathy Checklist (PCL)

Hare elenca i sintomi principali della personalità e del comportamento dello psicopatico,

puntualizzando, però, il fatto che anche persone che non sono psicopatiche possono

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mostrare alcuni sintomi fra quelli elencati di seguito, ma non per questo va effettuato

questo tipo di diagnosi.

La psicopatia è una sindrome, formata da un gruppo di sintomi correlati che, a loro

volta, si dividono in due fattori ben specifici:

Fattore 1: sintomi emozionali/interpersonali;

Fattore 2: sintomi di devianza sociale.

La diagnosi di “psicopatia” va effettuata solamente quando è presente, nell’individuo,

l’intero quadro dei sintomi.

Nel 1980, Hare sviluppa la cosiddetta Psychopathy Checklist (PCL), trasformata, nel

1985, nella versione Revised (PCL-R), nella quale i tratti psicopatici sono raggruppati e

suddivisi in due fattori.

Il primo fattore riguarda la dimensione della personalità e misura tratti affettivi e

interpersonali, mentre il secondo fattore si occupa di dimensione comportamentale e

descrive la condotta antisociale dell’individuo e il suo stile di vita instabile.

Fattore 1: sintomi di psicopatia a livello emozionale/interpersonale

Si tratta delle caratteristiche di personalità peculiari dello psicopatico e della loro

modalità di espressione delle emozioni nei rapporti interpersonali.

1. Loquacità e superficialità

Gli psicopatici, spesso, sono eloquenti e brillanti. Possono intrattenere gli altri in

maniera divertente ed essere dei buoni conversatori, con la battuta pronta, sono attenti

osservatori, spesso danno l’impressione di “recitare un ruolo” in modo abbastanza

meccanico.

Quando si conosce una persona da poco, è molto difficile stabilire se si stia

comportando in maniera sincera oppure se stia recitando solo a suo uso e consumo.

2. Egocentrismo e grandiosità

Gli psicopatici hanno un modo narcisistico e altamente esagerato di considerare se

stessi.

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Si ritengono il centro dell’universo, delle specie di esseri superiori.

Amano ottenere il potere e il controllo sulle altre persone e non sono interessati a sapere

se esistano opinioni differenti dalle loro.

E’ difficile che gli psicopatici siano imbarazzati dai loro problemi personali, finanziari o

legali.

3. Mancanza di rimorso e di senso di colpa

Gli psicopatici mostrano una totale assenza di rimorso per le conseguenze devastanti dei

loro comportamenti sugli altri.

Molte volte si mostrano completamente freddi e distaccati.

In altre occasioni hanno espressioni di rimorso, ma si contraddicono nelle parole e,

ancora di più, nelle azioni.

4. Mancanza di empatia

Gli psicopatici sono completamente sprovvisti dell’empatia.

Non sono capaci di immedesimarsi nelle esigenze dell’altro.

L’altra persona è considerata come un semplice “oggetto” che ha la funzione di

soddisfare i propri bisogni.

Le vittime preferite sono le persone deboli e vulnerabili.

Sono totalmente indifferenti ai bisogni e alle sofferenze tanto delle persone conosciute

quanto degli estranei (possono avere moglie e figli ma tutto è mantenuto da una facciata

di normalità).

La mancanza di empatia assoluta è la principale responsabile di comportamenti come la

tortura e la mutilazione di un altro essere umano(sono visti come dei passatempi).

5. Disonestà cronica e manipolazione

L’uso della menzogna, la disonestà e la capacità di manipolare il prossimo sono molto

presenti negli psicopatici.

Sono convinti che le loro bugie croniche non verranno mai scoperte e, quando vengono

smascherati, non sono imbarazzati, ma soltanto infastiditi dalla necessità di cambiare la

versione dei fatti in un’altra più convincente.

Sono orgogliosi della capacità di mentire.

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La concezione che hanno del mondo è dicotomica: da una parte ci sono loro, i

“predatori”, dall’altra ci sono le vittime, le “prede”.

Nei colloqui con gli psicologi, questo soggetto sa che, raccontando di aver subito degli

abusi fisici e sessuali durante l’infanzia, potrà suscitare la simpatia e la comprensione di

chi lo ascolta.

6. Presenza di emozioni superficiali

Gli psicopatici soffrono di un certo tipo di povertà emozionale.

Il più delle volte, questi soggetti si presentano come freddi e anaffettivi, riescono

mentendo anche a dimostrare di essere capaci di provare dei sentimenti.

Le recite devono essere necessariamente di breve durata.

Viene associato il sentimento dell’amore con l’eccitazione sessuale, la tristezza con la

frustrazione e la rabbia con l’irritabilità.

Fattore 2: sintomi di psicopatia a livello di comportamento antisociale

In questa categoria, sono indicati i principali indicatori di psicopatia che entrano in

gioco nella commissione di atti devianti o criminali:

1. Impulsività

Gli psicopatici non impiegano molto tempo a valutare i pro e i contro e/o le possibili

conseguenze di un loro comportamento.

Il loro schema di pensiero principale prima di eseguire un’azione è: “Lo faccio perché

mi va di farlo”, perché l’imperativo fondamentale di questi soggetti è di raggiungere una

soddisfazione immediata.

2. Presenza di scarsi sistemi di controllo del comportamento

Gli psicopatici sono caratterizzati da un’elevata reattività nei confronti di quelli che

percepiscono come insulti e anche alle minime offese.

La maggior parte delle persone normali possiede dei potenti sistemi inibitori che

regolano il comportamento.

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Questi soggetti tendono a reagire in maniera eccessiva, con scoppi improvvisi di

violenza verbale o fisica, a frustrazioni, fallimenti, regolamenti severi e atteggiamenti

critici.

Le loro reazioni, di solito, sono di breve durata.

In realtà, però, gli scoppi di rabbia di uno psicopatico non sono veramente sintomi di

un’emotività diffusa, hanno paura che gli sfugga di mano il controllo di una situazione.

Sono capaci di causare gravi danni emotivi o fisici su altre persone, in maniera ripetuta,

continuando a negare di avere qualche problema di controllo del comportamento, se

confrontati sulla loro modalità di reazione, e, anzi, sostenendo di aver reagito in maniera

giusta di fronte a una provocazione.

3. Bisogno costante di eccitazione

Necessità continua ed eccessiva di sperimentare uno stato di eccitazione, e sono disposti

a “rompere le regole” pur di ottenere il loro piacere.

Oltre a cambiare spesso luogo di residenza e attività lavorativa, questi soggetti fanno

uso di alcol e di sostanze stupefacenti allo scopo di provare sempre nuove sensazioni “al

limite” e, nella ricerca di esperienze estreme, rientrano anche le azioni criminali e l’uso

di una violenza eccessiva.

Gli psicopatici sprofondano nella noia con grande facilità, per cui hanno un bisogno

costante di vivere nuove sensazioni.

4. Mancanza di responsabilità

Gli obblighi morali e le responsabilità di qualsiasi tipo non significano nulla per gli

psicopatici.

Il senso di irresponsabilità si estende a ogni sfera della loro vita.

Nella vita privata, le amicizie sono mantenute a livello superficiale e i rapporti personali

sono caratterizzati da comportamenti bizzarri improvvisi.

Gli psicopatici non si fanno scrupoli di manipolare i familiari.

La loro capacità di manipolazione si spinge al punto di rassicurare gli interlocutori che

un certo tipo di comportamento non si verificherà più, promessa che, puntualmente, non

viene mantenuta.

5. Problemi comportamentali precoci

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Manifestazione di gravi problemi comportamentali già durante il periodo evolutivo.

Fra i problemi più comuni, si segnalano l’uso della menzogna cronica, l’inganno, il

furto, la piromania, le assenze ingiustificate e ripetute, l’abuso di sostanze, il

vandalismo, comportamenti violenti di vario genere, il “bullismo”, le fughe da casa e

una sessualità precoce. Molti bambini cresciuti in quartieri violenti e/o provenienti da

famiglie “multiproblematiche” esibiscono, in qualche momento della loro vita, alcuni di

questi comportamenti.

Gli psicopatici in erba li sviluppano quasi tutti contemporaneamente e per un tempo più

lungo rispetto ai bambini “normali” e anche rispetto a quello di fratelli e sorelle cresciuti

nello stesso ambiente.

Una crudeltà precoce nei confronti degli animali è un altro segno abbastanza comune.

La crudeltà verso gli altri bambini, in particolare fratelli e sorelle più piccoli, è una

costante dell’incapacità del giovane psicopatico di sperimentare un senso di empatia.

Praticamente tutti hanno evidenziato dei precoci problemi comportamentali, soprattutto

menzogna cronica, furto, vandalismo, promiscuità sessuale.

6. Comportamento antisociale da adulto

Gli psicopatici considerano le regole e i limiti imposti dalla società irragionevoli e non

meritori di essere seguiti.

L’unica regola importante per loro riguarda le proprie inclinazioni e desideri.

I soggetti di questo genere si riscrivono le regole da soli .

Non tutti gli psicopatici finiscono in prigione, possono continuare ad agire nell’ombra

per diversi anni, prima che qualcuno riesca effettivamente a documentare le loro azioni.

Nell’applicazione della PCL-R, i tratti psicopatici più difficili da riscontrare, durante

brevi colloqui o rapide osservazioni, sono quelli riguardanti la falsità e l’inganno,

perché i soggetti di questo genere sono altamente abituati a ingannare il prossimo.

Nella PCL-R, il fattore 1 riguardagli aspetti interpersonali della psicopatia, soprattutto

quelli che coinvolgono tratti narcisistici.

Questo fattore è il più importante per evidenziare la predisposizione alla violenza e alla

recidiva del soggetto.

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Il fattore 2 si riferisce alle caratteristiche dello stile di vita degli psicopatici e alti

punteggi sono riferiti con più frequenza in soggetti con livello socioeconomico,

istruzione e QI bassi.

Tra gli assassini psicopatici che hanno i punteggi più elevati al fattore 1, ci sono proprio

i Serial Killer classici.

Quando si parla di psicopatia non bisogna solo considerare i serial killer ma anche molti

delinquenti che fanno parte della criminalità organizzata (non tutti, soprattutto a livelli

bassi) e i cosiddetti killer professionisti che presentano una loro etica particolare non

legata ai sensi di colpa nei confronti della vittima (l’etica dei killer professionisti che

sono professionali e molto freddi nell’eseguire i contratti, ma che senza contratto sono

assolutamente innocui).

3. Concetto di perversione

La deviazione può cogliere soltanto alcuni aspetti della vita del soggetto e manifestarsi

secondo diversi gradi di intensità.

Può emergere nel solo comportamento violento o manifestarsi in un comportamento

sessuale inadeguato fino a giungere al grado di massima intensità nello psicopatico (la

devianza investe sia il campo sessuale che comportamentale).

Lo sviluppo di un’adeguata sessualità è fortemente legato all’evoluzione dei processi

relazionali e fisici (funzionamento degli organi genitali).

La sessualità infantile ha un ruolo fondamentale nello sviluppo psichico e nella vita

dell’inconscio.

Sigmund Freud ha intuito la presenza di una sessualità nel bambino e di aver scoperto

una similitudine tra schemi comportamentali infantili e perversioni sessuali.

Per Freud le perversioni derivano dalla vita sessuale infantile, le quali, se non

addomesticate e adeguatamente evolute, entrano a far parte della costituzione

psicosessuale dell’adulto, creando la perversione.

«Lo sviluppo sessuale consiste nella successione di fasi caratterizzate da un

investimento della pulsione sessuale (libido) in zone erogene.

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Questo meccanismo è fondamentale in quanto, tramite questo “transito di energia”, il

bambino conosce, stimola ed integra le varie parti del suo corpo.

Il percorso della pulsione sessuale procede inizialmente a “zone” (fase orale, anale,

ecc.) e, in questa prima fase della vita, non è legata alla specifica attività sessuale, ma è

annessa ad attività dipendenti da altre funzioni che, normalmente, non suscitano piacere

sessuale.

Questo “piacere sessuale diffuso”, oltre ad aiutare l’integrazione corporea, rappresenta

anche un meccanismo utile per l’adattamento, in quanto il piacere ricavato da certe

attività (nutrizione, defecazione ecc.) aumenta la possibilità che certi comportamenti

vengano ripetuti, a vantaggio della sopravvivenza.

Con il procedere dello sviluppo, questi piaceri parziali si riorganizzano sotto il primato

della zona erogena per eccellenza: la zona genitale, che definisce la condizione sessuale

matura.

Tutto ciò accade se nell’infanzia del soggetto non si verificano traumi o complicazioni.

Traumi, apprendimenti o esperienze emotivamente forti possono arrestare in qualsiasi

momento lo sviluppo sessuale, portando alla fissazione e alla dominanza di pulsioni

parzialmente tipiche di un certo stadio di sviluppo e, conseguentemente, alla

perversione adulta.

In conclusione, secondo Freud, ognuno di noi nasce con un potenziale perverso e porta

con sé una componente di perversione nella sua sessualità e nelle sue fantasie.

Ciò che ci distanzia dal perverso è la capacità di imbrigliare gli impulsi sotto l’egida dei

dettami morali e di convogliare le pulsioni parziali sotto forma di preliminari finalizzati

al rapporto genitale.

In quest’ottica, la perversione è intesa come deviazione dall’attività coitale

(penetrazione genitale eterosessuale).

L’interesse sessuale si può focalizzare su un oggetto inadeguato (l’animale nella

zoofilia, il cadavere nella necrofilia), su una zona corporea esclusiva (feticismo dei

piedi), su una condizione ritenuta necessaria per il raggiungimento del piacere e

dell’eccitazione (esibizionismo, sadomasochismo, travestitismo)»15.

La perversione può essere vista come il tentativo di superamento del trauma.

15 MASTRONARDI V., DE LUCA R., I serial killer, op. cit., pag. pagg. 220-221.

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Un’altra teoria riguardo l’origine e la persistenza della perversione, riguarda appunto la

“teoria del superamento del trauma”.

Secondo questa interpretazione, ogni comportamento perverso è una sorta di ripetizione

di eventi reali, traumi o insicurezze vissute durante l’infanzia, che si mantengono vivi e

dolorosi nella personalità del soggetto.

Per proteggersi, tenta di superare le angosce conseguenti ad esse, ripetendole.

Questo meccanismo è del tutto normale ed è riscontrabile anche nella nostra vita

quotidiana.

Per capire meglio si può immaginare di essere stati testimoni o attori di un episodio

scioccante o emotivamente forte (per esempio un incidente, una rapina ecc.): la reazione

successiva è quella di rivivere l’accaduto raccontando ad amici e parenti, di spiegare

dettagli e sequenze per sfogare le emozioni legate all’evento stressante; può capitare

addirittura di sognarlo o di rivivere le stesse sensazioni ogni volta che passiamo sul

luogo in cui è successo l’evento.

Si può immaginare che l’evento sia talmente forte, doloroso o umiliante da non riuscire

a parlarne; inoltre, di non avere nessuno a cui confidarlo.

Il perverso non fa altro che esprimere il suo vissuto con i mezzi che ha a disposizione.

Questo significa che di fronte a un eccitamento sessuale, a una sensazione di amore o di

attrazione, magari confusa e distorta (cioè di fronte ad un’emozione che richiama un

evento angosciante, traumatico), l’ansia, l’angoscia e la rabbia legate al ricordo si

riattivano così intensamente da impedire qualsiasi rapporto e rendere difficoltosa la

vicinanza fisica o emotiva con l’altra persona.

L’eccitazione sessuale, infatti, stimola il ritorno in superficie del trauma, la cui

ripetizione può riattivare una situazione di pericolo e angoscia.

Queste sensazioni, invece di fungere da ostacolo al raggiungimento del piacere (come

spesso accade), in alcuni soggetti vengono attutite e capovolte nell’atto perverso,

tramite negazioni e conversioni.

A questo punto, l’esito dell’esperienza passata non è più terribile, ma piacevole, perché

il soggetto si sottrae alla minaccia e ne trae gratificazione sessuale.

La vittima diventa il vincitore, da essere passivo acquista potere sull’altro, lo domina.

Il ricordo può venire riproposto nella sua interezza (“da bambino venivo picchiato ed

umiliato, chiedo al partner di fare lo stesso”), o può essere rovesciato (in questo caso, lo

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stesso soggetto assume il ruolo di carnefice, riacquistando i poteri perduti durante

l’infanzia).

I meccanismi di perversione permettono di dominare, attraverso la replica, ricordi ed

emozioni risultate, durante l’infanzia, troppo eccitanti, dolorose ed umilianti per essere

gestite.

La perversione si differenzia dalla devianza sessuale per l’ostilità soggiacente.

E’ la presenza dell’ostilità, del desiderio di vendetta a convertire il trauma infantile in

perversione adulta.

Molti Serial Killer spostano la rabbia e l’odio dal proprio carnefice reale (madre

anaffettiva, prostituta o padre che abusa o che è assente) verso un sostituto simbolico

(donna in genere o una particolare categoria, ad esempio la prostituta) e sfogano la

propria furia ripetendo l’esperienza subita ma, questa volta, impersonando essi stessi il

ruolo del carnefice.

Si invertono i ruoli il serial killer da bambino vittima con l’età adulta rivive quello che

ha vissuto ma sta volta da carnefice.

L’elemento fondamentale della perversione è l’incapacità di instaurare una relazione

amorosa soddisfacente con l’oggetto sessuale.

Uno degli obiettivi principali delle persone è la vicinanza affettiva e sessuale con un

partner che ci comprenda e ci completi.

La stessa ricerca di contatto, di calore e comprensione è presente nel perverso, ciò che

manca è la coscienza di come ottenerlo.

Il corteggiamento è abitualmente costituito da fasi quali approccio, conoscenza,

seduzione, contatto sessuale.

Ognuno di questi momenti può scatenare nel perverso una tale quota di angoscia da

obbligarlo a cercare “strade alternative” ed è proprio da qui che nasce la perversione.

La vita di molti Serial Killer è stata caratterizzata da un profondo isolamento affettivo e

da un’identità incerta.

In questa condizione di chiusura, l’altro è percepito come minaccioso e incomprensibile.

L’altra persona può annientare, mettendo in discussione una già fragile identità, ma

anche far tornare alla vita, dando la visibilità, il riconoscimento, l’affetto lungamente

negati durante l’infanzia.

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Una relazione richiede la capacità di esporsi, di avvicinarsi all’altro, di superare paure

riguardanti la propria immagine e la reazione altrui; per questo, molti perversi o

stupratori, come strategia compensatoria e difensiva, trovano nella forza l’unica

modalità di contatto, manifestando il profondo disagio relazionale tramite fantasie o

comportamenti di sfruttamento e prevaricazione.

La perversione sostituisce la parte mancante dell’ Io, cioè la perdita dell’autostima, del

Sé, dell’affetto del genitore o dell’onnipotenza infantile.

Le mancanze vengono annullate tramite l’azione e la fantasia perversa.

Per esempio il sadico recupera la sicurezza perduta tramite il controllo, il dominio

dell’altro, mentre il necrofilo o il feticista lo cercano nell’inattività, nella passività

dell’oggetto di amore.

Ma c’è un elemento più profondo, più doloroso che il sadico, come il necrofilo, il

feticista e alcuni assassini seriali nascondono, ed è la paura dell’abbandono, della

solitudine.

La maggiore difesa utilizzata dai Serial Killer e dal perverso è la disumanizzazione: la

principale strategia contro la paura delle qualità umane.

Questo meccanismo ha lo scopo di proteggere dalla imprevedibilità umana, dal senso di

impotenza e di passività nel confronto con gli altri.

In molti casi, la disumanizzazione, il considerare l’altro come un “oggetto”, è il solo

modo, per una persona che non si percepisce come gli altri, che si sente diversa, di

eliminare la differenza.

Attraverso questo processo psichico, si cancella ogni traccia dell’individuo che abbiamo

di fronte: il necrofilo sceglie il corpo morto, privo di coscienza e di identità; il voyeur

pone distanza, si immedesima, ma non si confronta con l’altro; lo stesso sadico usa

l’altro e gode del controllo e della trasformazione in una proprietà priva di volontà, non

più una persona.

Il perverso cerca nell’altro un’accettazione, un riconoscimento di un’identità che non

possiede e, nel momento in cui questa fantasia e questo desiderio sono disattesi,

riemerge l’ansia, la delusione e l’obbligo a vedersi diverso e rifiutato.

L’altro, ancora una volta, detiene ogni potere; ha la capacità di far sentire il perverso

buono o cattivo, ha la possibilità di renderlo felice o di annullarlo.

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Partendo da quest’ottica, quindi, la responsabilità e la colpa riguardo allo svolgersi degli

eventi è solo dell’altro, della vittima, di colui che è divenuto inconsapevolmente la

proiezione e la rappresentazione del carnefice.

CAPITOLO III

LA PARAFILIE

1. Le parafilie

Le parafilie, come già accennato in precedenza, sono presenti nei serial killer;

quest’ultimi presentano più di una parafilia.

Le parafilie, sono caratterizzata da fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti

e intensamente eccitanti sessualmente.

Difficilmente si riscontrano allo stato puro, è molto comune che in un assassino seriale

siano presenti una combinazione variabile di perversioni.

Le esperienze sessuali precoci e traumatiche lasciano un segno indelebile nella psiche

dei serial killer.

Le principali perversioni che si possono riscontrare nei serial killer sono: pedofilia,

sadismo, feticismo, cannibalismo e la necrofilia.

«Le perversioni riscontrate nei serial killer hanno delle caratteristiche comuni:

- Il soddisfacimento non si ha durante l’atto stesso, ma il più delle volte si

raggiunge tramite un successivo atto masturbatorio;

- Spesso la libido finale è scarsa, infatti molti serial killer dicono di aver difficoltà

a raggiungere l’orgasmo, anche durante la loro perversione preferita;

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- La scarsità della libido ha come conseguenza il fatto che, non raggiungendo una

gratificazione sessuale soddisfacente, egli è continuamente in cerca di nuove

vittime sulle quali attuare le proprie perversioni, nella speranza di raggiungere

un piacere maggiore;

- Non c’è nessun attaccamento o coinvolgimento con l’oggetto, in quanto la

vittima rappresenta solo un mezzo che consente al serial killer di raggiungere la

gratificazione;

- Di conseguenza anche quando viene raggiunto il coito, viene vissuto solo a

livello parziale senza un completo appagamento emotivo che coinvolga tutta la

personalità»16.

Secondo il DSM-IV TR (manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali) le

parafilie in generale riguardano:

1. Oggetti inanimati;

2. La sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner;

3. Bambini o altre persone non consenzienti.

Devono manifestarsi per un periodo di tempo di almeno sei mesi.

Appartengono alla parafilie:

Pedofilia;

Voyeurismo;

Esibizionismo;

Frotteurismo;

Sadismo sessuale;

Masochismo sessuale;

Feticismo;

Feticismo di travestimento;

Parafilia non altrimenti specificata.

16 BUTTARINI M., COLLINA M., LEONI M., I serial killer un approccio psicologico e giuridico al fenomeno, op. cit., pagg. 106-107.

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Quando si parla di parafilia non altrimenti specificata sono tutte quelle parafilie che non

soddisfano i criteri per alcuna categoria specificata, e si suddividono in:

- Perversioni dell’atto: comprendono condotte a valenza sessuale le quali

sostituiscono il coito con pratiche di altro tipo (coprofilia, urofilia, clismafilia,

scatologia telefonica);

- Perversioni dell’oggetto: pratiche a connotazione sessuale nelle quali si verifica

la sostituzione dell’oggetto finale. Comprendono necrofilia, cannibalismo,

vampirismo e zoofilia.

1.1. Pedofilia

Attività sessuale con uno o più bambini prepuberi, solitamente di 13 anni o meno,

oppure spogliare e guardare il bambino.

La pedofilia è una perversione molto comune tra i serial killer, i bambini risultano la

categoria vittimologia più frequente dopo le donne.

Il bambino, per la sua vulnerabilità, è una preda facile da colpire.

Il disturbo inizia, solitamente, nell’adolescenza, alcuni pedofili dichiarano di non essere

attratti da bambini fino alla mezza età.

In base alle modalità di contatto con la vittima si possono distinguere due tipologie di

assassini seriali pedofili e pedofili in generale:

- pedofilo violento: sono gli stupratori e o soggetti che, alla violenza del bambino, fanno

seguire l’omicidio con modalità particolarmente cruenti.

- pedofilo non violento: viene utilizzata la modalità della seduzione.

Vengono individuati i minori con carenze affettive; in questi casi il pedofilo può

rappresentare un mezzo per riempire il vuoto affettivo ed emotivo lasciato dai genitori.

Il pedofilo non violento non deve promettere piacere fisico, ma affetto e protezione.

Il pedofilo di questa categoria interpreta come sessuali delle richieste ma in realtà è solo

tenerezza e affetto.

I comportamenti dei pedofili oscillano da forme più lievi (spogliare e guardare il

bambino, toccarlo con delicatezza e accarezzarlo) fino a rapporti sessuali completi

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messi in atto anche con atti gravi di violenza (sottoporre il bambino a fellatio, oppure

penetrare la vagina o l’ano del minore con dita, pene o corpi estranei).

Alcuni pedofili arrivano a minacciare i minori per evitare che possano raccontare

l’accaduto, altri invece sviluppano delle tecniche per aver accesso alle vittime

(guadagnare la fiducia della madre, sposare una donna con un bambino attraente

scambiarsi bambini con altri pedofili ecc.).

Si possono inoltre distinguere i pedofili che sequestrano le loro vittime per ucciderle in

un secondo momento oppure pedofili che uccidono nello stesso momento in cui hanno

avvicinato la vittima.

1.2. Voyeurismo

Questa parafilia comporta l’atto di guardare soggetti, di solito sconosciuti, mentre sono

nudi, o si spogliano o hanno rapporti sessuali.

L’atto di guardare (sbirciare furtivamente) ha lo scopo di ottenere l’eccitazione sessuale;

solitamente non viene ricercata l’attività sessuale con le persone osservate.

Questa attività è accompagnata dalla masturbazione.

Queste persone, spesso, fantasticano di avere un rapporto sessuale con la persona che

guardano, questo però avviene raramente.

Nella sua forma grave, il voyeurismo, è l’unica forma di gratificazione sessuale.

L’esordio di questa parafilia avviene prima dei 15 anni.

Il decorso tende a essere cronico.

In alcuni casi il voyeurismo è considerato una forma di crimine sessuale (criminal

offense): nel Regno Unito dal 1° maggio 2004 e in Canada dal 1° novembre del 2005.

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1.3. Esibizionismo

L’esibizionismo è noto anche come “flashing”, “apodysophilia” e “sindrome Lady

Godiva”, comporta l’esposizione delle parti intime (genitali, natiche, seno) ad una

persona estranea.

In alcuni casi il soggetto è consapevole di sorprendere o di provocare uno shock a chi lo

guarda.

In altri casi, il soggetto ha la fantasia sessuale che chi lo guarda si eccita sessualmente.

L’esordio solitamente avviene prima dei 18 anni, può sorgere anche in età più avanzata.

1.4. Frotteurismo

«La condotta parafilia del frotteur si incentra sul palpeggiare i genitali, le natiche o le

mammelle di una persona non consenziente e/o sullo strofinarsi su di essa.

Nella maggior parte dei casi, le vittime vengono avvicinate dal parafilico in luoghi dove

può agire senza essere facilmente notato (per es., marciapiedi affollati o mezzi di

trasporto pubblico) e da dove può allontanarsi precipitosamente qualora fosse coperto.

Di solito durante “l’approccio”, fantastica una relazione intima ed esclusiva con la

vittima.

La maggior parte degli atti di frotteurismo, il cui esordio si colloca quasi sempre

nell’adolescenza, fanno parte del repertorio comportamentale di soggetti giovani (15-25

anni) che, nel tempo, presentano un graduale declino nella frequenza.

Di contro, il frotteur adulto, la cui condotta è tipicamente maniacale, è un soggetto che

si “muove” con il preciso intento di molestare le donne e di trarne il massimo di

godimento, eiaculazione compresa che, in alcuni casi, viene “contenuta”, ad esempio, da

un “ provvidenziale profilattico”»17.

17 GARGIULLO B., DAMIANI R., Il crimine sessuale tra disfunzioni e perversioni, Franco Angeli, Milano, 2008, pag. 73.

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1.5. Sadismo sessuale

Il termine “sadismo” deriva dal nome del marchese De Sade18, egli faceva riferimento

ad una particolare parafilia, o perversione sessuale, caratterizzata da fantasie, impulsi

sessuali o comportamenti ricorrenti e eccitanti sessualmente, che comportano azioni

reali in cui il soggetto prova eccitazione sessuale dalla sofferenza psicologica o fisica

della vittima.

Le fantasie solitamente riguardano il totale controllo della vittima che è terrorizzata; a

volte si possono trovare partner consenzienti che volontariamente si prestano a subire

sofferenze e umiliazioni.

Le fantasie sessuali sadiche, spesso, sono già presenti durante l’infanzia.

L’insorgenza dell’attività sadica è variabile, i primi segni comunque ci sono durante

l’adolescenza.

Il serial killer sadico riesce a raggiungere il piacere erotico realizzando un atto di

violenza su un altro individuo, cioè “l’oggetto”.

“L’oggetto” deve essere vivo per poter trarre piacere dalla sua sofferenza.

18 Il conte Donatien-Alphonse-François de Sade, meglio conosciuto come Marchese de Sade, come Divin marchese o semplicemente come De Sade (Parigi, 2 giugno 1740 – Charenton-Saint-Maurice, 2 dicembre 1814) è stato uno scrittore, filosofo e aristocratico francese. Autore di diversi libri erotici, drammi teatrali, testi vari e saggi filosofici, molti dei quali scritti mentre si trovava in prigione, è considerato un esponente dell'ala estremista del Libertinismo, nonché dell’Illuminismo più radicale. Il suo nome è all’origine del termine sadismo, atteggiamento che emerge dai suoi romanzi. Fu perseguito prima dal regime monarchico, poi dalla Rivoluzione Francese (a cui aveva aderito) ed infine anche dal governo napoleonico. De Sade autore di diversi libri erotici e di alcuni saggi filosofici, in cui è evidenziata la figura del sadico come individuo capace di compiere, con scientifica razionalità, ogni sorta di azione volta al male, rifiutando ogni limitazione imposta dalla morale comune e riconoscendo come unica legge il perseguimento e l’accrescimento del proprio personale piacere. Nei libri dell’autore, a tinte molto crude, descrive con estremo realismo atroci atti di violenza sessuale a scopo di piacere teorizza le preferenze sessuali trasgressive che da lui presero il nome di sadismo. La filosofia del Marchese de Sade, di cui si fanno portavoce i personaggi dei suoi romanzi è fondata sul fatto che, a suo parere, la natura ha ugualmente bisogno dei vizi e delle virtù. L’essere umano non è libero come crede e la nozione di responsabilità morale non ha per il nobile francese alcun fondamento. Nella Filosofia nel Boudoir de Sade afferma che la natura mostra la sua preferenza non per le virtù, ma per il vizio e la distruzione, da cui dipende lo stesso movimento della vita. Il vizio e la crudeltà diventano centrali nel ciclo dedicato alla virtuosa Justine (perciò infelice) e alla sorella Juliette (viziosa e felice). Il vizio, per de Sade, è sempre superiore alla virtù, perché si fonda sul piacere fisico, mentre alla base della virtù vi sarebbe solo un diletto morale o di opinione. Ma poiché il crimine ha una giustificazione più alta nel principio di distruzione richiesto dalla natura, esso si distaccherà sempre di più dall’immediatezza del piacere fisico. Sade esalta così i delitti gratuiti, progettati a tavolino, nella calma delle passioni. L’uomo appartiene al caso, non ad una legge naturale, e per questo il delitto è possibile. L’essere umano, facendo del male, serve la natura, il suo è un volontario e libero servire.

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Il piacere principale dell’assassino è quello di prolungare più a lungo possibile le

sofferenze delle vittime.

Fa ricorso a strumenti di tortura che consentono di prolungare l’agonia.

Il seriale sadico ha bisogno del contatto fisico diretto con la vittima, uno dei metodi di

uccisione prediletti è lo strangolamento.

Lo strangolamento permette di prolungare il momento reale del decesso aumentando o

diminuendo la forza della stretta.

L’assassino può guardare la vittima negli occhi che lotta contro la morte inutilmente,

questa azione aumenta la tensione sessuale nell’assassino fino al raggiungimento

dell’orgasmo.

Dopo lo strangolamento, spesso l’assassino si concede un piacere ulteriore, infierendo

con un’arma da taglio, con quest’ultima può tagliare o depezzare il corpo.

L’utilizzo di armi da taglio ha un significato di sostituzione e/o rafforzamento della

funzione del pene.

Alcuni utilizzano l’arma bianca per infierire sul corpo e poi passano alla penetrazione

vera e propria; altri, invece, sono completamente impotenti, l’arma sostituisce le

funzioni dell’organo sessuale e viene usata per penetrare simbolicamente il corpo della

vittima.

Diversi assassini seriali concentrano le pugnalate sui seni della donna e intorno alla

regione vaginale (vogliono distruggere i simboli di femminilità perché ne sono

spaventati).

Il sadismo sessuale è di solito cronico; solitamente la gravità degli atti sadici aumenta

col tempo.

I serial killer sadici si suddividono in:

Impotenti sessuali: non riescono ad avere un rapporto sessuale appagante con

una donna e quindi sfogano su di essa un’aggressività latente. L’omicidio si può

intendere come un fallimentare tentativo di avere un rapporto sessuale con la

vittima. Spesso il serial killer sadico impotente sessuale asporta parti della

vittima per conservarli come feticcio. Le vittime preferite sono le prostitute;

Stupratori: hanno una sessualità di tipo compulsivo. Non uccidono sempre la

vittima, se avviene, lo fanno per strangolamento. Attraverso lo strangolamento

riescono a ritardare la morte della vittima a proprio piacimento. Sono soggetti

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che, molto spesso, hanno una moglie e conducono una vita apparentemente

normale. In questi soggetti la fase dell’eccitazione e dell’orgasmo sono regolari,

è la fase del desiderio a essere disturbata, sono soggetti sempre ipereccitati.

1.6. Masochismo sessuale

Il masochismo sessuale19 è un atto (reale non simulato) di essere umiliato, picchiato,

legato o fatto soffrire in qualche altro modo.

Il masochismo-autoerotico spinge la persona ad infliggersi punizioni corporale come

pungersi con gli spilli, fustigarsi, ecc.

Il masochismo etero o omosessuale comporta sofferenze fisiche (percosse, schiaffi,

ecc.) ed umiliazioni (defecare o urinare addosso, farsi insultare).

In questa categoria non rientrano quelle persone, soprattutto donne, che durante i

rapporti extraconiugali, richiedono un sesso violento e costrittivo.

È probabile che le fantasie masochistiche siano presenti già da bambini.

Solitamente l’esordio di tale parafilia, pur essendo variabile, si verifica nella prima età

adulta.

Il masochismo è di solito cronico, il soggetto tende quindi a ripetere lo stesso atto

masochistico.

Alcuni soggetti possono dedicarsi a tali condotte per molti anni senza aumentare la

pericolosità dei loro atti.

19 Il termine masochismo deriva dallo scrittore austriaco Leopold von Sacher-Masoch (Leopoli, 27 gennaio 1836 – Mannheim, 1905), autore del romanzo Venere in pelliccia, ove si descrive proprio una relazione di tipo masochistico. Il romanzo Venere in pelliccia è intriso di riferimenti autobiografici. La protagonista Wanda von Dunajew era nella vita reale Fanny Pistor, ella stessa una scrittrice, che dopo avere conosciuto von Sacher-Masoch per un parere letterario firma insieme a lui un contratto che rende lo scrittore suo schiavo; era posta la condizione che lei indossasse il più spesso possibile una pelliccia, specialmente nelle occasioni in cui si mostrava crudele. Come descritto nel romanzo si recarono in Italia, dove non erano conosciuti e non avrebbero quindi destato sospetti, fermandosi a Venezia (nel romanzo giungono a Firenze). Von Sacher-Masoch assume lo pseudonimo “Gregor” e impersonifica il servo della Pistor. Ancora come descritto nel romanzo, Fanny Pistor intrattiene una relazione con un amante, l'attore italiano Salvini (nell'opera invece è citato l'ufficiale di cavalleria greco Alexis Popadopolis). Con l’aiuto di tre donne di colore, l’uomo viene sottoposto a punizioni e umiliazioni via via sempre più pesanti; egli è disposto a subire tutto, purché possa restare accanto alla sua amata. La loro relazione giunge a termine quando Wanda si innamora del rude Alexis Papadopolis, il quale arriva anche egli a frustare Severin (Gregor) sotto lo sguardo divertito della donna. Il protagonista rivela che la “cura” della frusta è stata crudele ma radicale, e alla fine è stato guarito.

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Altri soggetti, invece, aumentano la gravità dei loro atti masochistici nel tempo, possono

arrivare a lesioni o anche la morte.

1.7. Feticismo

Il feticismo comporta l’uso del feticcio (corpo inanimato); i feticci sono per esempio

mutande, reggiseni, calze, stivali, scarpe, o altri accessori.

I feticci non sono limitati ai capi d’abbigliamento femminile utilizzati per il

travestimento (come nel “feticismo da travestimento”).

Il feticista si masturba mentre tiene in mano, si strofina contro l’oggetto feticistico.

Il comportamento feticistico si presenta soprattutto nella fase totemica.

I serial killer prediligo diverse parti del corpo come la testa (e bocca), seni, organi

genitali, viscere e più raramente i capelli.

Solitamente l’esordio di questa parafilia si colloca nel periodo adolescenziale, anche se

il feticcio può essere caricato di un significato particolare anche nella prima

fanciullezza.

Il feticismo presente un andamento cronico.

1.8. Feticismo da travestimento

Presenza di fantasie, impulsi sessuali e comportamenti ricorrenti ed intensamente

eccitanti riguardanti il travestimento con abbigliamento del sesso opposto.

Questa parafilia riguarda il maschio eterosessuale, per la donna il travestitismo rivela

una condotta omosessuale.

Il feticismo da travestimento può essere associato alla forma di un masochismo

sessuale.

Il disturbo insorge tipicamente durante la fanciullezza o nella prima adolescenza.

L’esperienza iniziale può essere un travestimento parziale o totale.

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Un capo di abbigliamento può diventare erotico in se stesso, e può essere usato in

maniera abituale sia nella masturbazione sia nel rapporto sessuale.

2. Parafilie non altrimenti specificate

Tra le parafilie non altrimenti specificate più riscontrate nei seriali ci sono necrofilia,

vampirismo e cannibalismo.

2.1. Necrofilia

Le fantasie hanno un ruolo fondamentale nella vita del soggetto necrofilo rispetto al

mondo reale.

L’interesse per gli animali morti è in genere il primo segnale rilevante per una futura

necrofilia; il necrofilo è incapace di infliggere violenze all’animale già morto.

Il serial killer necrofilo cerca di mantenere intatto il cadavere, e per questo motivo, per

uccidere, predilige lo strangolamento, il soffocamento e l’avvelenamento, cioè le

tecniche che lasciano inalterati i tessuti corporei.

Il necrofilo è stato, di solito, un bambino chiuso in se stesso, timido e poco socievole

con i coetanei.

In molti casi, il serial killer necrofilo vive con i genitori o, più spesso, da solo non ha

fidanzate e il sesso con persone vive è qualcosa che incute molta paura.

Il cadavere è un oggetto completamento passivo sul quale il necrofilo può indirizzare la

propria sessualità senza inibizioni.

I necrofili esercitano una sessualità di tipo essenzialmente pregenitale e l’attività

preferita è la masturbazione perché è centrata sul sé.

L’assassino seriale necrofilo è un soggetto contemplativo, è attirato da tutto ciò che è

collegato con la morte e si pone davanti all’oggetto privo di vita come uno spettatore.

Alcuni necrofili mangiano parti dei cadaveri allo scopo di introiettare l’oggetto amato in

maniera simbolica; in questo modo l’oggetto sarà sempre sotto il suo controllo.

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2.2. Cannibalismo

Questa parafilia consiste nel mangiare la carne dei propri simili.

È una perversione che si riscontra diversi seriali in forme più o meno accentuate.

Considerata come una regressione allo stadio orale dello sviluppo ed una fissazione

dello sviluppo sessuale a questo stadio.

Un serial killer cannibale ha la necessità di ricreare quella sequenza tipica di quando è

neonato, di collegare il cibo al piacere, anche di tipo sessuale.

A volte, il cannibalismo è appena accennato e l’assassino seriale si limita a mordere

(con più o meno violenza) il corpo delle vittime, senza però mangiare una parte.

In altre casi, invece, ci sono seriali che hanno mangiato e cucinato parti delle loro

vittime.

2.3.Vampirismo

Perversione che consiste nel bere il sangue umano al fine di provare stimolo sessuale

fino al raggiungimento dell’orgasmo.

In questi individui esiste una componente sadica molto forte; traggono piacere dal

dolore e dal sangue delle vittime la loro più grande eccitazione.

Molto spesso il vampirismo convive con il cannibalismo.

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CAPITOLO IV

IL CANNIBALISMO

Il cannibalismo presenta diverse tipologie; il cannibalismo criminale (come sopra citato)

sarà la tipologia maggiormente analizzata.

Saranno descritti alcuni tra i serial killer cannibali più famosi che rientrano sotto la

categoria del cosiddetto cannibalismo criminale.

Le definizioni di cannibalismo sono molteplici, si possono distinguere, però, tre grandi

categorie:

Cannibalismo energetico: è inserito come parte integrante di un culto e di una

ricerca spirituale. Prevale l’aspetto magico, energetico e rituale dell’atto.

L’energia che viene assimilata è investita da qualità divine e terapeutiche e

rappresenta un modo per impossessarsi dei poteri o delle caratteristiche della

persona mangiata.

Cannibalismo per sopravvivenza: è una necessità che emerge in situazioni

estreme. All’interno di questa tipologia prevale l’azione dell’istinto di

sopravvivenza. È riscontrabile in ogni epoca e società. In questo tipo di

cannibalismo le persone sono costrette a cibarsi di altri esseri umani come nel

caso dell’aereo caduto nelle Ande nel 1972 che coinvolse una squadra di rugby.

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I sopravvissuti dovettero cibarsi dei defunti per poter continuare a vivere. Dopo

settanta giorni, i sedici superstiti vennero salvati.

Cannibalismo profano: è un comportamento che esula dalla necessità o da un

rituale socialmente istituito. Si costituisce come espressione di una deviazione,

di una patologia o di una scelta. Si riscontrano cannibalismo psicopatologico e

cannibalismo criminale, anche se spesso si sovrappongono.

1. Cannibalismo profano: cannibalismo psicopatologico

Emerge in risposta a un’evidente patologia mentale.

In alcuni casi d’insufficienze mentali gravi, oppure di condizioni come la schizofrenia o

il delirio, può nascere il desiderio di cibarsi di carne umana o di bere il sangue.

Alcuni casi rari implicano gravi insufficienze mentali che pregiudicano la capacità

critica e di giudizio della persona; incapacità a distinguere tra carne umana e cibo

comune.

«Le situazioni in cui possono manifestarsi comportamenti cannibalici riguardano

prevalentemente casi di schizofrenia. Nella schizofrenia sono presenti disturbi del

pensiero, fissazioni, allucinazioni e perdita del contatto con la realtà.

Ciò può aiutarci a comprendere l’esperienza raccontata da molti assassini cannibali

prima, dopo e durante l’attività cannibalica. Molti dicono, infatti, di aver avuto una sorta

di black-out o di aver vissuto l’uccisione e l’atto cannibalico, in uno stato alterato di

coscienza. In genere, è raro che l’allucinazione impedisca al soggetto di riconoscere la

qualità del cibo di cui si nutre. La manifestazione che si presenta più di frequente è il

delirio.

In un articolo apparso sul “The Journal of Clinical Psychiatry” quattro psichiatri citano

il caso di un uomo nato nel 1940, in una zona rurale della Francia, diagnosticato

schizofrenico all’età di 31 anni.

Nove anni dopo, l’uomo uccise un anziano signore, ne divorò parte delle cosce e ne

bevve il sangue da un’arteria. Prima di essere arrestato, uccise anche una coppia. Alla

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polizia confessò di aver ucciso la moglie e di averne mangiato delle parti “per portare di

nuovo Dio nella sua vita”, una forma di sacra comunione. La persona in preda a delirio

antropofagico è convinta che la carne umana contenga qualità o poteri speciali»20.

In questa forma di cannibalismo si può annoverare Leonarda Cianciulli “La

saponificatrice di Correggio”.

I crimini furono commessi tra il 1939 e 1940 in Italia.

Le vittime scelte furono le sue tre amiche: Faustica Setti, Francesca Soavi e Virginia

Cacioppo.

Il modus operandi era sempre lo stesso: attirava le vittime con false promesse, prima di

partire raccontava che avevano avuto una grande fortuna e di non dirlo a nessuno.

Dovevano salutare amici e parenti con delle lettere che lei stessa avrebbe poi spedito.

Quando era tutto pronto Leonarda con la scure colpì le vittime e le trascinò in uno

stanzino; il sangue era raccolto in un catino.

La Cianciulli oltre ad aver ucciso le sue amiche si impossessò anche di gioielli e soldi

delle vittime e, nel caso di Francesca Soavi si fece fare addirittura una procura per

vedere la proprietà.

La Cianciulli nel suo memoriale scrisse:

«Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo

comprato per fare il sapone e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in

una poltiglia scura e vischiosa, con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un

vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci

seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova,

oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini

croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche

Giuseppe e io»21.

Le amiche, oltre ai pasticcini furono sfruttate anche per altri impieghi:

20 CAMERANI C., Cannibali, le pratiche proibite dell’antropofagia, Alberto Castelvecchi editore, Roma, 2010, pag. 90-91. 21 Ivi, pag. 96-97.

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«La sua carne [riferendosi a Virginia] era grassa e bianca, quando fu disciolta vi

aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle

saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci

furono migliori: quella donna era veramente dolce»22.

La Cianciulli fu condannata a trent’anni di carcere e a tre anni di manicomio giudiziario.

2. Cannibalismo profano: cannibalismo criminale

L’impulso di uccidere è nell’uomo come animale carnivoro.

Non ha nulla a che fare con l’istruzione o con il grado di civiltà di una società ed è

presente, almeno a livello immaginario, in ciascun essere umano.

Il cannibalismo è dunque parte integrante della vita dell’uomo, e giunge precocemente

attraverso l’allattamento, Freud parla di fase orale.

La psicoanalisi ricollega a questa fase emozioni come avidità, aggressività e sadismo, si

crea un legame indissolubile tra nutrimento e distruzione.

Il soggetto esprime bisogni e desidera di essere soddisfatto in forma concreta e reale.

Il desiderio di possesso non è sublimato con una semplice vicinanza, ma si concretizza

nell’impossessarsi dell’altro in modo concreto, mangiandolo.

A questo pensiero concreto, si somma un elemento caratteristico di molti psicopatici,

l’antisocialità, che implica l’incuranza verso le norme sociali condivise e l’assenza di

morale.

Sono persone a cui manca il Super-Io, cioè quella parte che stabilisce il bene e il male e

frena le azioni cattive o asociali.

Il criminale mette in atto dei meccanismi che permettono di trovare un compromesso tra

i propri desideri e la loro attuazione.

La deumanizzazione è un meccanismo che ha lo scopo di svalutare la vittima,

legittimando l’aggressore a compiere la violenza.

22 Ivi, pag. 97.

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In ambito criminale ci sono quattro forme di cannibalismo che si differenziano per una

motivazione predominante:

* Cannibalismo sessuale/fusionale;

* Cannibalismo energetico/rituale;

* Cannibalismo aggressivo/per potere;

* Cannibalismo epicureo/nutrizionale.

2.1. Cannibalismo sessuale/fusionale

Il cannibalismo sessuale è una perversione e implica la sessualizzazione del consumo

della carne umana.

Ogni persona ha un’esperienza cannibalica: il bambino si nutre del corpo, del seno

materno.

La bocca è l’organo che serve per la sopravvivenza, ma è anche piacere e contatto.

Il nutrirsi è un momento di grande intimità con la figura materna e poi con il partner.

Si percepisce calore, contatto, sicurezza, un’esperienza di fusione totale che fissa nella

mente la sequenza cibo-affetto-piacere.

L’appetito, il consumo che si percepisce durante l’assunzione del cibo e la

consumazione del sesso, sono molto simili tra loro.

Nella vita di molti serial killer ci sono episodi traumatici che hanno impedito di

sviluppare la capacità di stare in mezzo agli altri, la comprensione dei meccanismi

emotivi e di relazione.

Queste persone cresceranno sole e inadeguate.

A eccezione della prima esperienza fusionale con la madre, i serial killer non

sperimenteranno più quella sensazione di unità totale con un altro essere umano,

saranno relazionalmente e emotivamente isolati.

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Non riescono ad affrontare l’approccio, il corteggiamento necessari per creare l’intimità

e per stabilire un rapporto emotivo e sessuale; per ottenere tutto ciò si passa attraverso la

perversione, il cannibalismo, l’appropriazione dell’altro come oggetto.

L’altro è considerato come cosa e può assumere qualsiasi forma: feticcio, cibo,

giocattolo.

La motivazione principale di questa forma di cannibalismo è di tipo sessuale e

relazionale.

L’assassino fonde vicinanza e nutrimento sperimentando, nell’omicidio e nel

cannibalismo, l’equivalente di intimità e vicinanza che nella persona normale si crea a

livello simbolico attraverso il rapporto sessuale.

Il cannibalismo è un tentativo distorto per ottenere vicinanza e relazione; è attuato da

una persona fortemente inadeguata dal punto di vista sessuale, identitario e cognitivo.

2.2. Cannibalismo energetico/rituale

Questa tipologia di cannibalismo criminale richiama le antiche tradizioni magiche ed

energetiche del cannibalismo.

La convinzione è che, attraverso l’omicidio, l’assassino possa entrare in possesso di

particolari qualità o creare un tramite con una divinità, ottenendo così dei vantaggi.

In questa categoria ci sono crimini associati a rituali satanici/esoterici di gruppo ma

anche casi che coinvolgono l’aspetto individuale.

Il cannibalismo è la risposta a una psicopatologia attuata da un soggetto che ha una

modalità di pensiero infantile e concreto.

2.3. Cannibalismo aggressivo e per potere

È la forma più diffusa fra i criminali.

Questo tipo di cannibale è mosso dall’odio e dalla necessità di imporre il potere e

sfogare la propria rabbia.

L’atto è motivato da sentimenti di ostilità e/o paura.

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Il binomio sesso e violenza attraverso vari gradi di intensità, a volte implicano

comportamenti che sfiorano il cannibalismo.

Il cannibalismo permette di ottenere il massimo del controllo e dello sfogo aggressivo,

attraverso la privazione della vita e l’annientamento della vittima, tramite il consumo

alimentare.

Questa forma si esprime anche come strategia di terrore (cannibalismo politico).

La trasformazione di una persona vivente in un oggetto inanimato è un a forma di potere

e controllo.

Divorare l’altra persona è la distruzione totale della minaccia che la persona costituisce,

ma è anche il suo pieno possesso.

In alcune circostanze, il cannibalismo, diventa una vera e propria arma contro i nemici.

Cannibalismo come risposta a forti pulsioni sadiche e aggressive.

2.4. Cannibalismo epicureo e nutrizionale

L’assassino sceglie la carne umana perché ne ama il gusto.

La vittima è considerata una preda da cacciare.

La motivazione principale è la totale indifferenza verso l’altro.

Vittima considerata come qualsiasi altro animale.

Il cannibalismo è espressione dell’assenza di norme da parte del soggetto.

A volte un criminale può mangiare carne umana per raggiungere potere e controllo

(cannibalismo aggressivo) e trovare gusto gradevole (cannibalismo

epicureo/nutrizionale).

Il serial killer cerca la depersonalizzazione, crea oggetti con sembianze umane.

Il cannibalismo epicureo implica una motivazione prevalentemente culinaria o

nutrizionale.

Le parti più commestibili e tenere sono le cosce, la natiche e la parti sottostanti le

ascelle.

L’asportazione e il consumo di parti sessuali hanno una valenza più simbolica; infatti

molti serial killer conservano i genitali.

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Albert Fish racconta di aver provato a mangiare i genitali o parti circostanti all’ano, ma

di non averli trovati buoni.

I genitali diventano feticcio e ci si concentra su altre parti del corpo.

Dai resoconti di molti serial killer cannibali, le sensazioni descritte implicano un forte

senso di euforia e un’intensa stimolazione sessuale durante il consumo della carne

umana.

C’è assimilazione tra atto cannibale e orgasmo.

CAPITOLO V

I SERIALI CANNIBALI

I serial killer analizzati saranno Andrej Chikatilo, Jeffrey Dahmer, Albert Fish.

Sono solo alcuni tra i serial killer cannibali, ma sono quelli che si possono definire i più

“famosi” grazie all’impatto mediatico negativo che hanno suscitato nell’opinione

pubblica per i loro atti spietati verso altri esseri umani.

1. Andrej Romanovich Chikatilo “Il Mostro di Rostov”

Serial killer pedofilo, cannibale, sadico: 55 vittime.

Gli atti di cannibalismo rientrano nella categoria di cannibalismo aggressivo e per

potere.

Il suo modus operandi era sempre lo stesso aumentava solo la sua crudeltà, si metteva a

parlare con ragazzi e ragazze presso stazioni ferroviarie o stazioni di tram si offriva di

accompagnarli o di dar loro dei soldi; appena erano isolati li assaliva e li spogliava.

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(Foto n°1)23

1.1. La vita

Andrej Chikatilo nasce il 16 ottobre del 1936 in un villaggio ucraino durante un periodo

di grande carestia.

Raccontò di essere rimasto traumatizzato dalla morte del fratello maggiore, ucciso e

divorato da una folla affamata.

È possibile che questa vicenda sia stata inventata da una madre ansiosa per evitare che il

figlio si allontanasse da casa.

Il racconto impressionò molto, terrorizzò e affascinò nello stesso tempo, e Chikatilo

disse che da quel momento ebbe un interesse morboso per la morte e il cannibalismo.

La relazione con i genitori era stata abbastanza normale; la madre era rigida e

autoritaria.

Il padre era partito per la guerra ma era stato catturato quasi subito dai nazisti ed era

stato tutto il tempo in un campo di concentramento.

Nei primi anni di scuola elementare, appaiono i primi squilibri interiori.

I bambini che stavano in classe con lui, lo ricordano come un tipo timido e introverso e

riservato.

23 Foto di Andrej Chikatilo al processo. Tratta da www.google.it

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Chikatilo considerava tutti gli altri bambini antipatici ed era convinto che tutti volessero

sapere i suoi segreti; non voleva che si sapesse che si faceva la pipì a letto (Soffrì di

enuresi fino all’età di dodici anni) e che era miope.

Pensa che sia colpa sua se non riesce a leggere da lontano, non lo dice a nessuno, non

vuole essere chiamato quattrocchi.

Non riusciva a leggere le parole sulla lavagna, ma non disse nulla né agli insegnanti né

ai genitori perché aveva paura di essere preso in giro.

Mantenne così bene il suo segreto che iniziò a portare gli occhiali all’età di trent’anni.

La lettura diventa il suo rifugio, legge tutto ciò che esalta gli eroi partigiani.

Ha un forte complesso, non riesce ad avere un rapporti sessuali con le ragazze, è

impotente (si diceva in giro che fosse omosessuale).

Per lui i suoi difetti erano il frutto di una maledizione.

A diciotto anni, andò a Mosca per gli esami di ammissione alla facoltà di legge della

prestigiosa Università Statale; fu respinto.

Decise di seguire un indirizzo tecnico a un livello più basso e si iscrisse al corso di

ingegneria delle comunicazioni.

A diciannove anni provò ad avere un rapporto sessuale con un’amica di sua sorella,

l’esperienza però fu fallimentare.

Continuò ad avere rapporti sessuali con altre ragazze ma continuavano i fallimenti.

La sua identità sessuale era incerta e immatura.

Nel 1963 sua sorella gli presentò una ragazza (Fayina); i due si sposarono poco dopo.

Chikatilo nel matrimonio aveva grossi problemi sessuali, i rapporti sessuali erano brevi

e scarsi, finalizzati solo ad avere figli.

La moglie convinse Chikatilo ad andare da un sessuologo, avvenne però solo una volta.

Nel 1967 nacque Lyudmila, e nel 1969 naque Yuri.

Il matrimonio però si trasformò solo in un evento di facciata, la moglie si sentiva

sempre più trascurata e Chiakatilo si ritirava progressivamente nel suo mondo di

fantasie sessuali.

Nel 1971 si laureò in lingua e letteratura russa all’università di Rostov (sulla riva destra

del Don a 1200 km da Mosca, città commerciale, crocevia fra Asia e Europa) iniziò la

carriera di insegnante.

A scuola non era rispettato e stimato ed era spesso preso in giro.

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«I ragazzi lo chiamano oca, per via di uno strano modo di camminare o peggio ancora

finocchio per le voci che giravano su di lui.

C’è chi racconta che una volta il professor Chikatilo, l’oca il finocchio, si è intrufolato,

di notte, nella camerata dei maschi che ha molestato un allievo, ma circolano voci anche

di molestie alle studentesse»24.

Le voci di molestie, gli interrogatori, fecero scendere la reputazione di Chikatilo e la

scuola lo costrinse a rassegnare le dimissioni nel 1981.

Trova un nuovo lavoro come impiegato nel reparto rifornimenti di una ditta, questo

lavoro lo costringe a muoversi molto, è squalificante ma gli permette di avere molta

libertà.

Passava molto tempo nelle stazioni ferroviarie e in quelle dei tram.

1.2. Gli omicidi e le vittime

Umilia, ammazza, mutila 55 vittime fra donne, bambine e bambini.

Il primo omicidio risale al 22 dicembre del 1978, una bambina di 9 anni conosciuta

presso una fermata del tram.

«La gettò a terra e iniziò a strapparle i vestiti. Ma anche quando la ebbe sottomessa, non

riuscì a raggiungere un’erezione per fare sesso con lei. Eiaculò comunque e le spinse il

seme in vagina con le dita, rompendo l’imene. La vista del sangue lo eccitò

enormemente, inducendolo a tirar fuori un temperino e a colpirla ripetutamente»25.

Chikatilo inizia ad uccidere all’età di 42 anni, un inizio tardivo per i serial killer, che

tendono ad avviare la loro carriera criminale dopo i vent’anni.

Il 24 dicembre venne ritrovato il corpo della piccola vittima, i sospetti si concentrarono

su Chikatilo, ma ha un alibi di ferro, la moglie testimonia che è stato tutta la sera a casa

il 22 dicembre.

A questo punto la polizia concentra i sospetti su Alexander Kravchenko (aveva già

scontato una condanna per omicidio e stupro), venne condannato a morte e fucilato.

24 Tratto da Chikatilo, Il mostro di Rostov (parte 2) – La linea d’ombra (programma di Massimo Picozzi), tratto dal sito www.youtube.com 25 CAMERANI C., Cannibali le pratiche proibite dell’antropofagia, op. cit., pag.181.

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A questo punto le autorità chiedono aiuto a un noto psicologo russo (quello che oggi

chiameremmo profiler ossia uno psicologo specializzato nello studio e modalità dei

crimini seriali nonché della psiche di chi li commette) Aleksandr Bukhanovsky che ne

traccia un profilo definendolo il “cittadino X”.

Proprio da quella “X” si deduce l’estrema difficoltà nell’individuare quello che risulta

secondo il medico un uomo di mezza età, forse sposato e con figli, ma che ha subito un

trauma nella sfera sessuale che lo porta a privare degli organi genitali i corpi delle sue

vittime.

Nel settembre del 1981 riprende la sua furia omicida con una ragazza di 17 anni.

Il picco della ferocia venne raggiunto nel 1984.

Il 27 marzo del 1984 venne trovato il corpo di un bambino di 10 anni, ferito a morte con

54 coltellate agli occhi, non lontano dal corpo c’era un’impronta di piede (misura 43-

44).

1984 però viene arrestato; una donna aveva visto un uomo allontanarsi con un bambino

(aveva gli occhiali, una borsa e trascinava leggermente una gamba).

Vengono eseguiti gli esami di confronto tra le tracce di sangue e le tracce di liquido

seminale rinvenuto sulle vittime.

Il sangue è di gruppo A, il liquido seminale è di gruppo A-B.

Solo quattro anni più tardi una ricerca giapponese disse che il sangue e il liquido

seminale di una persona possono essere di gruppi diversi.

È un caso rarissimo ma può succedere che il sangue e il liquido seminali siano diversi.

Uscito di prigione diventa impiegato presso una fabbrica di locomotive e riprende ad

uccidere.

Il 6 novembre viene trovato con del sangue sul viso e sulle mani, sette giorni più tardi

venne trovato il corpo di una ragazza mutilata proprio vicino al luogo in cui era stato

visto in quelle condizioni.

Il 20 novembre venne arrestato.

All’inizio c’era solo un desiderio di soddisfare le sue fantasie sessuali.

In una baracca isolata nel bosco dava sfogo alle sue perversioni.

Uccide senza distinzione, la vittima più grande ha diciannove anni la più piccola nove

anni, sono bambine bambini, ragazze, donne.

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C’è una assoluta aspecificità e genericità dell’oggetto sia sul piano temporale che di

genere sessuale.

È presente una disorganizzazione di aggressività.

Le vittime sono solo accomunate dalla morte ma sono diverse nella vita per età,

estrazione sociale.

Uccise con crudeltà, mutilate fatte a pezzi.

Tutte hanno terribili ferite agli occhi; l’occhio viene caricato di controllo visivo e

sessuale.

Man mano che uccideva aumentava la ferocia.

Con il tempo inizia ad asportare i genitali delle sue vittime e ad accoltellare gli occhi.

L’atto di mordere i genitali, di staccare i testicoli o asportando l’utero, faceva parte di

un rituale in cui l’assassino masticava a lungo le parti asportate o strappate a morsi.

Gli ultimi omicidi coinvolsero bambini; al alcuni staccò il pene a morsi.

«Possono trascorrere anche dieci o vent’anni tra un fatto traumatico e gli omicidi, un

periodo durante il quale il killer ha rimosso il trauma e lo ha spostato al di fuori della

propria consapevolezza.

Una dissociazione che gli ha permesso di mantenere un sufficiente controllo della realtà

e un accettabile adattamento al mondo in cui vive.

Ma quando capita un fattore scatenante un fatto che anche simbolicamente lo riporta al

passato, come un’umiliazione o un abbandono, tutti gli equilibri saltano minacciando di

travolgere uno stato mentale precario, di annientare; bisogna allora fronteggiare

l’angoscia, il panico, la sensazione insopportabile di essere vulnerabile, occorre agire

per riprendere il controllo.

Uccidere diventa un modo per dominare la paura»26.

26 Tratto da Chikatilo, Il mostro di Rostov (parte 3) – La linea d’ombra (programma di Massimo Picozzi), tratto dal sito www.youtube.com

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1.3. Il processo

Durante il processo Chikatilo portò sui luoghi dei delitti gli inquirenti, in aula con dei

manichini forniva descrizioni dettagliate degli omicidi.

Il maggiore Viktor Denisenko era a capo della scorta che ha accompagnato per mesi

Chikatilo nei luoghi dei suoi delitti; quella che segue è la sua dichiarazione:

«Abbiamo arrestato Andrej Romanovic Chikatilo il 20 novembre del 1990, alle ore

15,40 – dice -. Lo abbiamo preso a Novacerkassk, per strada. Gli abbiamo chiesto le

generalità. Chikatilo ha risposto. Allora lo abbiamo afferrato e sono scattate le manette.

L’arrestato non ha accennato alcun tentativo di resistenza, non ha detto una parola, non

si è neppure meravigliato di quanto stava accadendo.

Ha continuato a tacere anche in macchina. Sembrava che non lo interessasse il perché

del fermo, era distaccato, come si suol dire chiuso in se stesso. Solo quando eravamo a

metà strada per Rostov ha detto una frase singolare: “Si, questo conferma ancora una

volta che non bisogna litigare con i capi”. Noi gli abbiamo detto di non parlare, ma lui

sembrava non sentire e ha ripetuto: “Proprio non si deve litigare con i capi”. Poi è

rimasto in silenzio fino a Rostov.

Siamo arrivati fino al Dipartimento affari interni. Qui si è svolto il primo interrogatorio.

Chikatilo faceva una strana impressione. Era totalmente bloccato. Gli facevamo le

domande e lui cominciava a rispondere, ma come se parlasse fra sé e sé, senza badare

alla domanda successiva. Discorsi incoerenti e illogici. Si autodefiniva un vigliacco,

diceva di meritarsi la punizione più dura, ma nessuna ammissione dei delitti, nessun

fatto concreto. È stato solo dopo nove giorni che ha cominciato a confessare.

Molti mesi dopo, in primavera, è cominciata la verifica delle deposizioni sui luoghi dei

delitti. Noi le chiamavamo “uscite”. L’accusato deve indicare personalmente il luogo in

cui ha commesso il delitto e deve mostrare come ha agito, dove ha lasciato il cadavere,

ecc. Naturalmente c’è bisogno della scorta. La geografia dei delitti era talmente estesa

che abbiamo girato per il paese per oltre un anno.

È molto difficile spiegare le proprie impressioni su quest’uomo. Mentre lo cercavamo,

lo odiavano tutti. Ci sembrava un mostro, una figura demoniaca. E invece si è rivelato

una persona grigia, insignificante. Non suscitava orrore, ma ripugnanza e perplessità.

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Come aveva potuto un uomo così insignificante, privo di qualunque attrattiva, seminare

il terrore in tutto il paese e agire per oltre dieci anni impunemente? Questa domanda non

ha ancora trovato risposta.

Secondo me, molto si può spiegare se si ammette una doppiezza della sua natura o, se

volete, uno sdoppiamento che non si manifesta esteriormente, è nel profondo della

psiche.

Le persone che hanno lavorato con lui hanno rilevato che Chikatilo non ha memoria.

Ma allo stesso tempo, lui è riuscito a trovare ad anni e anni di distanza i posti esatti dove

aveva commesso gli omicidi.

Un esempio. Nella regione di Bagaevsk un investigatore aveva sepolto un

“galleggiante” nel luogo in cui era stato trovato un cadavere fra le sterpaglie. Quando

siamo arrivati sul posto, l’accusato ha detto senza esitazione. “Qui”. Poi c’è stata un po’

di confusione, perché quello che aveva sotterrato il galleggiante non riusciva a

ricordare. Quando alla fine il galleggiante è stato trovato, ci siamo resi conto che

Chikatilo si era sbagliato di sei metri.

A Revda il cadavere non era stato trovato affatto. Ma cinque anni fa è scomparso un

bambino. Proprio nel periodo in cui Chikatilo si trovava nella zona per lavoro. Abbiamo

camminato per quattro chilometri circa dalla stazione, attraverso il fiume Ciusovaja e

poi giù lungo il monte Volcikha ricoperto di boschi. Il posto è tutto uguale, ma

nonostante questo dopo qualche incertezza Chikatilo ha detto: “Qui. Ma posso

sbagliare. Cercate nel raggio di 100 metri”. Si era sbagliato di 136 passi. Abbiamo

ritrovato i resti di un bambino e un calzino che la madre ha riconosciuto.

Ho sentito descrivere Chikatilo nei modi più diversi. Sgradevole, scontroso, intrigante,

chiuso, taciturno – da un lato. Intelligente, affabile, colto - dall’altro. Credo che

abbiano ragione sia gli uni che gli altri. Durante i nostri viaggi, spesso si intrometteva

nei nostri discorsi, sugli argomenti più disparati, senza però mai brillare per originalità.

I suoi giudizi, persino il suo linguaggio, erano desunti dalla lettura dei giornali, di cui

aveva sempre le tasche strapiene. Ovunque andassimo, la prima cosa che faceva era

cercare un giornale. E chiedeva sempre di lasciargli gli occhiali per la notte.

Invece, quando il discorso verteva sui suoi crimini improvvisamente si chiudeva,

balbettava, faceva errori.

Tuttavia, a giudicare dal suo comportamento non credo si possa parlare di rimorsi di

coscienza o di pentimenti. Secondo me, lui dimenticava la ragione per cui viaggiavamo,

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dove andassimo e a fare cosa. Non ha mai perduto né il sonno né l’appetito. In treno, ci

chiedeva di non attacargli le manette al tavolino. Perché con la manetta non riusciva a

dormire. Senza si addormentava in un secondo, non si muoveva nel sonno, non

sembrava mai tormentato da incubi o ricordi»27.

Gli avvocati provarono subito con la strada dell’infermità mentale, l’imputato però

venne riconosciuto sano di mente.

In nove giorni confessò gli omicidi e un anno portò gli inquirenti in tutti i luoghi dei

suoi crimini.

Quella che segue è un parte di confessione durante il processo degli omicidi commessi.

«Chikatilo: È stato alla fine di luglio del 1980… Quella donna stava in mezzo a un

gruppo di ubriachi. Non voleva andare a piedi. Voleva la macchina. È venuta via con

me. Siamo andati verso la “Striscia di bosco”. Lei aveva una grossa radio, di marca

Okean, è sempre rimasta accesa mentre camminavamo. Era grossa, di colore scuro …

Poi ci siamo fermati in mezzo a dei cespugli. Io l’ho, l’ho aggredita, ma … ma non ce

l’ho fatta. È come sempre, quando non ci riesco … lo volevo fare con le buone, ma lei si

è messa a gridare, a insultarmi, a umiliarmi. Come tutti mi ha umiliato … Allora io, con

il coltello, ci sono riuscito. La vista del sangue e l’agonia della donna mi procuravano

piacere. Come vedete, sono pronto a dirvi tutto. Ma vi chiedo di non tormentarmi con i

dettagli. La mia psiche non reggerebbe.

Si era fatto tardi. C’era uno scarico delle immondizie. L’ho lasciata lì. Poi,

improvvisamente, mi sono ritrovato su un treno. Mi succede di ritrovarmi da qualche

parte senza sapere come ci sono arrivato. Ero sul treno e la radio era con me.

Evidentemente, l’avevo presa io. A un certo punto, sono sceso dal treno. Mi sono

trovato alla stazione. Vado spesso nelle stazioni. Sono piene di vagabondi. Chiedono,

pretendono, rubano. Dalle stazioni strisciano via sui treni in tutte le direzioni. Mi capita

spesso di assistere a scene della vita sessuale di questi vagabondi e mi viene in mente la

mia umiliazione, il fatto che non posso comportarmi come un vero uomo. E allora mi

chiedo: hanno diritto a vivere questi elementi declassati?...

Giudice: Imputato Chikatilo, ha deposto riguardo a tutti gli episodi?

Chikatilo: Sì, tutti, tutti … 27 Tratto dal sito www.unita.it dall’archivio del sito tratto l’articolo del 16 ottobre del 1992.

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Giudice: Non ci ha tenuto nascosto qualcosa?

Chikatilo: Nono solo non ho nascosto, ma posso garantire di non aver commesso

neppure un errore. Ho detto tutto quello che ricordo, come in una confessione.

Giudice: Lei aveva fama di possedere una cattiva memoria. Come fa adesso a ricordare

con tanta precisione tutti questi episodi?

Chikatilo: Non so. Quando lavoravo qualunque cosa, quando la dicevo, la dimenticavo

all’istante. Adesso ricordo tutto. Sto seduto di notte, non ho niente da fare. Penso,

scarabocchio.

Giudice: Teneva un conto dei morti?

Chikatilo: No. Avevo manie diverse. Contavo gli aerei caduti. Fantasie partigiane.

Giudice: Dalle sue deposizioni e dagli altri materiali raccolti dall’istruttoria risulta che

lei ha commesso 55 omicidi, 34 donne e bambine e 21 bambini maschi. Tutti questi

delitti, li ha commessi a sfondo sessuale?

Chikatilo: Non so … Veramente non ci facevo caso se erano maschi o femmine … Per

me era la stessa cosa … Ma si, per la maggior parte sì, viene fuori che sì, erano omicidi

sessuali. Aggravati dalle persecuzioni. Alcuni corpi mi perseguitavano proprio. In

queste condizioni,avevo un esaurimento nervoso. Mi sentivo come un lupo braccato.

Giudice: Se nei primi episodi il numero delle ferite da taglio è basso, col tempo

aumenta. Secondo lei c’è un rapporto con i suoi problemi sessuali?

Chikatilo: Evidentemente c’è, visto che viene fuori così. Vuol dire che mi tirava. Già

dai risultati si vede che io mi imbestialivo sempre di più. Sono diventato selvaggio e

imbestialito. Mi hanno cacciato dal lavoro, mi hanno perseguitato, mi hanno accusato di

rubare, mi hanno arrestato, mi hanno incarcerato. Io non sapevo più dove andare a

sbattere, ho cominciato a vagabondare, mi sono ritrovato sui treni, alle stazioni, non

sapevo più dove andare.

Giudice: Come la devo intendere, che lei commetteva gli omicidi per protesta, o che?

Chikatilo: Ma no, che c’entrano delle vittime innocenti? È che … È che ero in uno stato

tale, ero neuropsichico.

Giudice: Come sceglieva i posti dove uccidere?

Chikatilo: Non li sceglievo, no … Camminavo per chilometri nel bosco. Camminavo,

camminavamo insieme, e poi venivo preso da una smania, cominciavo a tremare.

Giudice: Vuol dire che lei non portava con sé le vittime allo scopo di ucciderle?

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Chikatilo: Succedeva così, che le uccidevo. Penso che si fosse creato un meccanismo

per uno sfogo fisico sessuale. Con questo scopo le portavo via, mentre ucciderle no, non

lo formulavo. Appena vedevo una persona sola la dovevo trascinare subito nel bosco.

Giudice: Imputato Chikatilo lei intende veramente sostenere che non attirava le sue

vittime allo scopo di ucciderle?

Chikatilo: Io non riuscivo a fermarmi. Non sapevo più cosa facevo. So che nessuno mi

crede. So che i nostri giornali e quelli stranieri hanno scritto di me, che non c’è posto

per me su questa terra. Ma io non ho niente da nascondere. Sono già morto una volta. È

successo nel 1978. Ho avuto un trauma cranico. Mi hanno portato in ospedale, mi hanno

curato. Ma poi ho avuto mal di testa, svenimenti. Svengo continuamente. Non dormo.

Ormai tutti si sono stancati di me. È tempo di liberarsi di me. Non bisogna tormentare la

gente. Non so … Non so perché mi hanno mandato su questo pianeta a portare

dolore»28.

(Foto n°2)29

28 Tratto dal sito www.unita.it dall’archivio del sito tratto l’articolo del 16 ottobre del 1992. 29 Immagine tratta da www.google.it Chikatilo con un manichino durante il processo mostra come aveva ucciso le sue vittime.

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(Foto n° 3)30

2. Jeffrey Dahmer “Il Cannibale di Milwaukee”

Serial killer necrofilo, cannibale, feticista: 17 vittime confessate, 15 vittime accertate

persone di colore o ispanici, tutti uomini.

I suoi atti di cannibalismo rientrano nella categoria del cannibalismo sessuale/fusionale.

Modus operandi: narcotizzava le vittime mettendo dei sonniferi nell’alcol, abusava

sessualmente di loro, scattava delle fotografie prima e dopo i rapporti, poi le uccideva,

le strangolava e le faceva a pezzi nella vasca (prima la testa poi le braccia e le gambe,

alla fine rimuoveva gli organi interni).

Mangiava solitamente il cuore, era attirato dalla membrana viscida che ricopre gli

organi interni.

30 Immagine tratta da www.google.it sempre Chikatilo durante il processo che mostra con dei manichini come ha ucciso le sue vittime.

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2.1. La vita

Jeffrey Lionel Dahmer nacque il 21 maggio del 1960 a Milwaukee.

Era un bambino molto curioso, timido ed era affascinato dagli animali (voleva sapere

come funzionavano e come erano fatti dentro).

A sei anni andò con i genitori ad abitare nell’Ohio, cambiò per tre volte casa prima di

stabilirsi a Bath, in Ohio.

Era sereno solo con le persone che conosceva.

Il padre, Lionel, era un chimico sempre assente, era sempre al lavoro, aveva un carattere

freddo e distaccato ed era poco attento all’emotività altrui.

La madre, Joyce, invece era troppo emotiva sempre pronta a lamentarsi e tendeva

all’autocommiserazione.

Alla fine del 1966 i coniugi Dahmer ebbero un altro bambino, David.

Nel 1968 si trasferirono ancora, vicino alla casa c’era un bosco e uno stagno, Jeffrey era

felice perché poteva stare a contatto con gli animali.

Nel 1970, quando Dahmer aveva 10 anni, la madre venne ricoverata per una profonda

depressione, il matrimonio dei suoi genitori entra in crisi.

Venne ricoverata in neuropsichiatria per un mese, Dahmer si incolpava di quello che era

successo, era convinto che la sua nascita avesse provocato la malattia della madre.

L’attrazione degli animali continua anche nell’adolescenza, era curioso di sapere

com’erano fatti all’interno.

Nei boschi viviseziona le sue prede, animali morti presi per strada.

Nell’età dell’adolescenza si accorse di essere sessualmente attratto dagli uomini.

Le sue fantasie sessuali al liceo diventarono ossessive, iniziò a bere all’età di quattordici

anni.

A 16 anni era sempre più solo, triste e ubriaco.

Nell’estate 1978 ottenne la licenza liceale, dopo anni di litigi i genitori divorziarono; il

padre abbandonò la famiglia e si trasferì in un motel non lontano da casa.

Poco dopo anche la madre, all’insaputa del marito, se ne andò con il figlio minore.

Solo e abbandonato cercò di reagire a questo trauma.

L’anomalia nell’adolescenza di Dahmer era stata l’abbandono della madre che andò via

di casa con il fratello più piccolo.

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A 18 anni le sue fantasie diventarono sempre più forti, vedeva se stesso uccidere e

violentare il partner.

La casa vuota dove viveva gli permise di trasformare il sogno in realtà.

Nel mese di agosto Lionel, andò a trovare il figlio; il padre tornò a casa.

Alla fine dell’estate si iscrisse, convinto dal padre, all’università dell’Ohio.

Venne espulso e ritornò a casa.

Accettò di fare il servizio militare, venne mandato nell’ospedale militare di San Antonio

nel Texas, seguì un corso di anatomia umana.

Per la prima volta gli piaceva quello che faceva, non era timido ed era aperto con le altre

persone.

Questa trasformazione durò solo per poco tempo.

Quando l’esercito lo trasferì in Germania, riprese a bere e venne congedato.

Trovò lavoro a Miami Beach in una panineria e dormiva in un motel.

Non aveva più soldi e chiese aiuto al padre.

Lionel cercò di aiutarlo per liberarsi dall’alcol.

Andò a vivere con la nonna a Milwaukee, trovò lavoro prima in una banca del sangue

poi in una fabbrica di cioccolata.

Smise di bere e frequentò la chiesa.

Dopo tre anni di tranquillità riaffiorarono le sue fantasie.

Aveva il desiderio di un partner sessuale totalmente sottomesso.

Nelle notti in cui non lavora, frequentava locali gay (sexy shop e termari); per

assoggettare le persone ai suoi desideri offriva loro una bevanda alcolica con dentro del

sonnifero.

Il suo modo di eccitarsi era quello di stare accanto alle persone in stato vegetativo, si

trovava a suo agio solo con le persone morte, le vive gli creavano ansia e non riusciva

ad avere rapporti con le persone vive.

Nel 1986 venne accusato di atti osceni e turbamento dell’ordine pubblico.

Venne più volte arrestato per atti osceni e molestie sessuali.

Dal 22 luglio 1991, quando la polizia scientifica entrò nella casa di Dahmer,

quest’ultimo dovette poi affrontare il processo “definitivo” della sua vita.

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2.2. Le vittime

Le vittime erano praticamente tutti ragazzi di colore o ispanici, tranne qualche

eccezione per un asiatico e due bianchi.

«A differenza di quello che si possa pensare, Dahmer non era un serial killer metodico e

costante.

Compie il primo omicidio all’età di diciotto anni, ed esattamente nel 1978. Fa salire in

auto un autostoppista di nome Steven Hicks (19 anni), si intrattiene con lui per un poco,

fino a convincerlo a seguirlo a casa.

Bevono birra e fanno sesso.

Quando però Steven vuole andarsene, la mente di Dahmer crolla a causa di una forte

sensazione di abbandono, e scatena tutta la sua rabbia sul povero malcapitato.

Lo colpisce in testa, stordendolo, per poi strangolarlo fino a farlo morire.

Agisce in modo rapido e concreto, facendo a pezzi il corpo del ragazzo e seppellendolo

in giardino in diverse buste di plastica.

Forse colto dal rimorso, o dalla paura di essere scoperto, Dahmer si arruola volontario

nell’esercito e viene mandato in una base U.S.A. in Germania.

La sua carriera dura circa due anni, fino a quando non viene espulso con disonore a

causa di ripetuti episodi di alcolismo molesto.

Quando rientra in America si stabilisce in Florida per qualche tempo, per poi tornare a

casa, dove, prudentemente, disseppellisce i resti del povero autostoppista per sciogliere

quello che ne rimane nell’acido e spezzettare le ossa per spargerle nei boschi.

L’alcolismo lo rende intrattabile e maleducato.

Nel 1982, il padre decide quindi di mandarlo a vivere con la nonna, a West Allis, nel

Wisconsin, ma la situazione non cambia.

Viene quasi subito arrestato per atti osceni in luogo pubblico durante una fiera di paese.

La cosa si ripete quattro anni più tardi: viene condannato a un anno di reclusione, mai

scontato per l’obbligo di frequentare una clinica psichiatrica.

Proprio questa sua libertà gli consente di uccidere nel 1987 la sua seconda vittima.

Questa volta lo fa in una camera d’albergo, ma non si sa bene come abbia fatto.

Dahmer racconterà di essersi svegliato a fianco di Steven Tuomi (24 anni), morto e con

la bocca piena di sangue.

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Anche in questo caso, comunque, agisce in fretta.

Dopo aver acquistato una grossa valigia, trasporta il cadavere fino alla cantina di sua

nonna.

Qui lo violenta ripetutamente, per poi farlo a pezzi e gettarlo tra i rifiuti.

Con questi gesti Dahmer mette in pratica un sogno ricorrente di gioventù, nel quale

vedeva se stesso uccidere una persona per poi violentarla e farla a pezzi.

Tra il gennaio 1988 e il marzo dello stesso anno, Dahmer massacra James Doxtator (14

anni) e Richard Guerriero (23 anni), entrambi con le stesse modalità: li droga, li

violenta, poi li uccide, li fa a pezzi ed elimina i corpi nell’acido.

A causa del suo comportamento e dei suoi continui e “rumorosi festini”, la nonna lo

caccia di casa.

Dahmer torna, nel settembre 1988, a Milwaukee e va a vivere nella parte nord della città

in un appartamento sulla 25sima Strada, nell’appartamento che diventerà famoso come

“il mattatoio”.

[…].

Il giorno successivo al trasloco, viene arrestato nuovamente per molestie sessuali: con la

scusa di fare qualche foto, porta un ragazzino di quindici anni nel suo appartamento,

però scoppia una furiosa lite.

I vicini, sentendo lo strano trambusto, chiamano la polizia.

Viene condannato nel gennaio del 1989 ma viene rilasciato fino alla sentenza esecutiva

nel maggio dello stesso anno.

Proprio mentre è in attesa della sentenza, nel marzo del 1989, il mostro torna all’opera,

questa volta massacrando Anthony Sears (26 anni).

Viene rilasciato dopo dieci mesi di prigionia, per buona condotta.

Nel giugno del 1990 inizia l’escalation di omicidi.

I tempi tra un assassinio e l’altro si restringono sempre di più fino ad arrivare, poco

tempo prima di essere fermato, a uccidere una volta alla settimana.

A giugno uccide Edward Smith (27 anni), mentre a luglio è la volta di Raymond Smith

(33 anni).

Passa l’estate e a settembre uccide David Thomas (23 anni) e Ernest Miller (22 anni).

Nel febbraio del 1991 massacra Curtis Straughter (19 anni) per poi passare a Errol

Lindsey (19 anni) nell’aprile dello stesso anno e ad Anthony Hughes (31 anni), un mese

dopo.

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Sempre a maggio avviene l’episodio più inquietante della storia del mostro di

Milwaukee. Viene ucciso Konerak Sinthasomphone (14 anni) e a consegnare la vittima

a Dahmer è proprio la polizia.

Konerak riesce a liberarsi dopo le torture e si rifugia alla polizia, cui racconta tutto.

Jeffrey però convince gli agenti del fatto che il ragazzo è il suo amante e che, a seguito

di una litigata tra innamorati, ha inventato ogni cosa per fargli un dispetto e metterlo nei

guai.

Dal canto suo il giovane fa fatica anche a difendersi, a causa delle droghe che Dahmer

gli aveva iniettato prima della fuga.

Le forze dell’ordine, non volendosi immischiare nelle vicende di due omosessuali,

riconsegnano Konerak a Dahmer, che lo riporta nel suo appartamento e finisce il lavoro.

Quando si verrà a sapere di questo fatto, durante il processo, la polizia di Milwaukee

provvederà a espellere i poliziotti: un atto forse inutile e certamente tardivo, dal

momento che diedero al mostro il tempo di proseguire con i suoi omicidi.

Anche dopo essere stato vicino alla cattura Dahmer non si ferma, né si intimidisce, ma

anzi accelera nel suo operato e a giugno uccide Matt Turner (20 anni), seguito da

Jeremiah Weinberg (23) a luglio, e da Oliver Lacy (23) solo otto giorni dopo.

Il 19 luglio del 1991 il “mostro di Milwaukee” uccide la sua ultima vittima: Joseph

Brandehoft (25 anni).

Tre giorni dopo tenta di uccidere Tracy Edward (32 anni), ma quest’ultimo,

approfittando di un suo momento di disattenzione, riesce a fuggire e ad avvisare la

polizia»31.

Alcune vittime furono fatte a pezzi e mangiate, altre invece venivano sciolte nell’acido,

altre ancora venivano conservate in pezzi o nel frigorifero o nel freezer., altre ancora

venivano fatte sparire completamente (utilizzava lo scarico della vasca da bagno).

Ogni vittima era stata accuratamente fotografata.

Cercò di creare degli “zombie” (così poteva averli sempre con sé e sottomessi)

attraverso una lobotomia fatta con un trapano iniettava, nel lobo temporale, dell’acido

muriatico o acqua calda, il risultato era un’agonia terribile delle vittime e un risultato

fallimentare per Jeffrey Dahmer.

31 Tratto da http://www.latelanera.com/serialkiller/serialkillerdossier.asp?id=JeffreyDahmer&pg=2

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Era un serial killer edonista orientato al piacere sessuale, il piacere era ricercato

attraverso il controllo totale della vittima.

Connubio sesso/morte.

(Foto n° 4)32

2.3. Milwaukee interno 213 25° strada

Il 22 luglio del 1991 la polizia scientifica entrò nell’appartamento di Dahmer di

Milwaukee.

L’appartamento era sulla 25° strada l’interno era il 213.

La casa era in ordine c’era però un odore fortissimo, nauseante, pungente, poco dopo gli

agenti capirono da dove provenisse l’odore.

Furono trovati diversi oggetti che furono sequestrati dalle autorità.

La casa aveva doppie serrature e un rudimentale sistema d’allarme, un piccolo salotto,

pochi mobili, un divano e una poltrona, alle pareti c’erano poster di uomini nudi.

Un breve corridoio portava al bagno e alla camera da letto.

Nel salotto c’erano lattine di birra sparse ovunque e cassette pornografiche.

32 Le 17 vittime di Jeffrey Dahmer. Immagine tratta da www.serialkillers.it/Dahmer.htm

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Il frigorifero conteneva una testa umana (era della vittima Oliver Lacy), il freezer

conteneva tre sacchetti di plastica all’interno dei quali c’erano due cuori umani e pezzi

di muscolo.

Nel congelatore a pozzetto c’erano tre teste e un torso umano.

Inoltre c’erano prodotti chimici e teschi sbiancati e una grossa pentola di alluminio con

all’interno dei resti umani.

Nella camera da letto, più precisamente sul letto, c’erano delle macchie di sangue;

sempre nella camere una macchina fotografica polaroid, due teschi colorati di grigio e

uno scheletro umano intero.

Con le ossa aveva creato una specie di altare dove le conservava.

Nel comò c’erano sessantaquattro fotografie di uomini nudi, di morti, di particolari

macabri.

In un angolo un barile blu da duecentocinquanta litri con all’interno tre torsi umani

immersi nell’acido in vari stadi di decomposizione.

Per la casa c’erano documenti d’identità sparsi ovunque.

C’erano anche altri oggetti come un ago epidermico, guanti di gomma resistenti

all’acido, scatole di soda sbiancante, un trapano, martelli, seghe.

(Foto n° 5)33

33 Il frigorifero trovato nell’appartamento di Dahmer. Immagine tratta da www.google.it

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(Foto n° 6)34

(Foto n ° 7)35

34 Il barile blu con all’interno resti umani trovato nell’appartamento di Dahmer. Immagine tratta da www.google.it 35 Appartamento di Dahmer, Milwaukee interno 213 25°strada. Immagine tratta da www.youtube.com

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2.4. Il processo

Il 30 gennaio del 1992 iniziò il processo a Milwaukee.

Dahmer doveva essere giudicato da una giuria popolare, quest’ultima doveva stabilire se

fosse in grado di intendere e di volere al momento dei delitti.

Dahmer confessò 17 omicidi ma gli vengono solo riconosciuti 15 (una vittima uccisa in

Ohio quindi fuori dal Wisconsin e di un’altra non era rimasto più niente).

I parenti in aula esplosero di rabbia quando sentirono i macabri racconti degli omicidi.

Nella seconda dichiarazione di Dahmer si definì, in accordo con il suo avvocato,

infermo di mente.

La difesa puntava all’infermità mentale mentre l’accusa per il massimo della pena.

La difesa sosteneva che Dahmer fosse incapace di intendere e di volere perché era

soggetto a necrofilia e quindi aveva sempre bisogno di uccidere per soddisfare le sue

perversioni sessuali.

L’accusa, invece, sosteneva che fosse in grado di intendere e di volere perché era in

grado di stare per dei periodi senza uccidere e che quindi, riusciva a controllare le sue

perversioni.

Mentre venivano elencati i suoi crimini senza tralasciare nessun particolare, Dahmer

rimase impassibile come se fosse assente.

Parlò solo una volta in aula:

«Vostro Onore, è finita. Non ho mai cercato di essere liberato. Francamente volevo la

morte per me stesso. Voglio dire al mondo che non l'ho fatto per odio. Non ho mai

odiato nessuno. Sapevo di essere malato, cattivo o entrambe le cose. Adesso credo

d'essere veramente malato. Il dottore mi ha parlato della mia malattia e di quanto male

ho causato. Ho fatto del mio meglio per fare ammenda dopo il mio arresto, ma non

importa, non posso eliminare così il terribile male che ho causato. Vi ringrazio Vostro

Onore, sono pronto per la vostra sentenza, che sono sicuro sarà il massimo. Non chiedo

attenuanti, ma per piacere dite al mondo che mi dispiace per quello che ho fatto».

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Venne condannato a quindici ergastoli perché nel Wisconsin non c’era la pena capitale.

Il 28 novembre del 1994, Christopher Scarver, sfondò il cranio a Jeffrey Dahmer con

una sbarra di ferro.

Scarver era convinto di essere il figlio di Dio e che le sue azioni fossero state ordinate

dal Padre.

(Foto n° 8)36

3. Albert Fish “Il Vampiro di Brooklyn”

“Ciò che io faccio è giusto, altrimenti Dio avrebbe mandato un angelo a fermare la mia

mano, come fece a suo tempo con il profeta Abramo.” (Albert Hamilton Fish)

Albert fish può essere considerato il serial killer più perverso della storia, in lui si

ritrovano praticamente tutte le parafilie: sadismo, masochismo, pedofilia, feticismo,

voyeurismo, esibizionismo, cannibalismo, vampirismo, necrofilia, coprofagia ecc…

Gli furono riscontrate ben diciotto parafilie.

Le vittime sono più di 15 tutti bambini, Fish disse che aveva ucciso più di 100 bambini.

Mutilava, torturava e mangiava le sue giovani vittime.

Aveva cucinato alcune delle sue vittime e aveva fornito le ricette per come cucinare la

carne.

36 Jeffrey Dahmer al processo. Immagine tratta da www.youtube.com

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(Foto n° 9)37

3.1. La vita

Albert Fish, nato Hamilton Howard Fish (Washington, 19 maggio 1870 – Sing Sing, 16

gennaio 1936).

Disse di essere stato chiamato molto tempo dopo la sua nascita Hamilton Fish.

Suo padre, Randall Fish, era 43 anni più vecchio della madre.

Fish era il più giovane dei figli e aveva quattro fratelli viventi: Walter, Annie, e Edwin

Fish. Desiderò essere chiamato “Albert” dopo la morte di un fratello, e per sfuggire al

soprannome “Ham and Eggs”(prosciutto e uova) che gli fu dato in un orfanotrofio nel

quale passò molti anni della sua infanzia.

Molti membri della sua famiglia soffrivano di disturbi mentali: della sua famiglia, uno

zio paterno soffriva di una psicosi religiosa e morì in ospedale, un fratello fece la stessa

fine, il fratello più giovane soffriva di idrocefalia (cranio più grande del normale) e morì

in poco tempo, un altro fratello era affetto da alcolismo cronico, una sorella aveva una

37 Albert Fish, immagine tratta da www.google.it

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sorta di malattia mentale; la madre soffriva di allucinazioni, mentre una zia paterna era

completamente pazza.

Albert Fish crebbe quindi in un ambiente decisamente poco sano, e da qui ebbero inizio

le sue ossessioni per il peccato e per l’espiazione mediante il dolore.

Dopo la morte del padre (Fish aveva solo cinque anni), sua madre, incapace di prendersi

cura di Hamilton (Albert), lo mise in un orfanotrofio, dove fu frequentemente frustato e

bastonato, scoprendo infine che provava piacere nel dolore fisico.

Le bastonature gli procurarono erezioni, cosa per la quale gli altri orfani lo

canzonavano.

Rimase in orfanotrofio per nove anni.

Nel 1879, sua madre ottenne un impiego pubblico e fu in grado di prendersi

nuovamente cura di lui.

In gioventù Fish iniziò a praticare la coprofagia (ingestione di feci) e a frequentare

bagni pubblici, dove poteva guardare i ragazzi svestiti, trascorrendovi interi giorni nel

fine settimana.

Nel 1890, Albert arrivò a New York City e diventò un gigolo (si definì “prostituta

maschio”).

Disse anche di aver iniziato a violentare ragazzi, crimine che continuò a commettere

anche dopo il matrimonio con una donna di nove anni più giovane di lui.

Ebbero sei bambini: Albert, Anna, Gertrude, Eugene, John, ed Henry Fish.

Nel 1902 fu arrestato per appropriazione indebita.

Mentre era in prigione ebbe frequentemente rapporti sessuali con altri detenuti.

Nel gennaio del 1917 sua moglie lo lasciò per un uomo molto più giovane, John

Straube.

Come conseguenza di questa umiliazione, Fish cominciò a sentire delle voci; iniziò

anche con piccoli crimini e a spedire lettere oscene.

Aveva allucinazioni di tipo religioso sia visive che uditive.

Fish disse di aver vagabondato da un capo all'altro degli Stati Uniti durante il 1898,

lavorando come imbianchino.

È in questo periodo che, a quanto disse, molestò più di 100 bambini, la maggior parte

sotto i sei anni.

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Era solito imbiancare nudo con solo la tuta da imbianchino per due motivi: uno perché

quando si spogliava era subito nudo, secondo motivo perché le giovani vittime così non

lo avrebbero riconosciuto con gli abiti normali della vita quotidiana.

Albert Fish per via delle allucinazioni e di letture distorte della Bibbia, si era convinto

che dovesse espiare i suoi peccati attraverso delle pene corporali e, compiendo sacrifici

umani ai danni dei bambini, attraverso tortura.

Su se stesso praticava atti di fustigazione, si faceva flagellare anche dai propri figli,

imbeveva dei bastoncini di cotone con dell’alcol e poi dopo averli messi nell’ano gli

dava fuoco.

Si infilava anche aghi nella zona tra l’ano e lo scroto, questi aghi alcuni riusciva a

toglierli altri invece rimasero all’interno del proprio corpo.

Dopo questa dichiarazione gli fecero una radiografia e trovarono ben 29 aghi infilati

nella zona pelvica.

(Foto n° 10)38

38 Radiografia fatta ad Albert Fish che ha dimostrato la presenza di ben 29 aghi. Immagine tratta da www.google.it

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3.2. Le giovani vittime

Il suo primo crimine fu su Thomas Bedden, a Wilmington, nel 1910.

La prima aggressione invece fu l’accoltellamento di un ragazzo mentalmente ritardato

nel 1919, in Virginia.

L’11 luglio del 1924 Fish trovò Beatrice Kiell, quattro anni, che giocava da sola nella

fattoria dei suoi genitori a Staten Island.

Fish le offrì delle monete per andare ad aiutarlo a cercare piante di rabarbaro nei campi

vicini.

La bambina stava per lasciare la fattoria quando sua madre si accorse dell’uomo e lo

mandò via, che se ne andò, ma ritornò più tardi al granaio, dove provò a passare la notte

prima di essere scoperto e scacciato nuovamente.

Uno dei casi più atroci fu quello di Billy Gaffney.

Un bambino chiamato Billy Gaffney stava giocando con un bambino di un anno più

piccolo sulla veranda dell’appartamento della sua famiglia a Brooklyn, New York, era

l’11 febbraio del 1927.

C’era un bambino di dodici anni che li controllava, ad un certo punto, però, si allontana

perché sente piangere la sorellina più piccola; al suo ritorno però i bambini non c’erano

più.

Billy Gaffney era scomparso l’altro bambino, invece, fu ritrovato sul tetto.

L’altro bambino dice che Billy era stato portato via dall’uomo nero, nessuno però gli

credette.

Le ricerche non portarono alcun esito e allora gli agenti si decisero ad ascoltare il

bambino, quest’ultimo descrisse un uomo di età avanzata, magro, con i capelli e i baffi

grigi.

Un’autista di un taxi di Brooklyn, vide una foto di Fish nel giornale e lo identificò come

un anziano signore che aveva visto l’11 febbraio del 1927, mentre stava provando a

calmare un ragazzino seduto accanto a lui sul taxi.

Il ragazzo non indossava una giacca e stava piangendo per sua madre e fu trascinato

dall’uomo giù dal taxi.

La polizia identificò Billy Gaffney con la descrizione del bambino visto dall’autista.

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Il corpo di Gaffney non fu mai recuperato dalla fossa nel fiume nel quale Fish disse di

aver gettato parti del suo corpo.

Elizabeth, la madre di Billy, andò a visitare Fish a Sing Sing per provare ad ottenere (e

li ebbe) più dettagli sulla morte del figlio.

Fish confessò così, l’atroce l’assassinio:

«C’è una piccola discarica pubblica su Riker Avenue, ad Astoria, da anni vi gettano

ogni tipo di spazzatura.

Portai lì il bambino, lo denudai, gli legai le mani e i piedi e lo imbavagliai con un

vecchio straccio che avevo trovato nella spazzatura.

[…]

Gli frustai il sedere nudo finché il sangue non gli scorreva giù dalle gambe.

[…]

Gli cavai gli occhi, […], gli tagliai le orecchie, il naso, gli aprì la bocca da un orecchio a

un altro poi inventai il resto mescolando cose che avevo letto.

[…]

Gli misi il coltello nella pancia, gli appoggiai la bocca e bevvi il suo sangue»39.

Fish oltre alla descrizione dell’omicidio di Billy fornì nella lettera anche la ricetta

perversa per cucinare il bambino.

«Tornai a casa con la carne, avevo la parte frontale del corpo che preferisco, il pisellino,

i testicoli e un bel sederino grasso da fare arrosto e mangiare.

Con le orecchie, il naso e pezzi della faccia e della pancia feci uno stufato.

Ci misi cipolle, carote, rape, sedano, sale e pepe; era buono.

Poi ho aperto le natiche del suo sedere, ho tagliato i testicoli e il pisellino e li ho lavati.

Ho messo tutto in una teglia, ho acceso il gas e l’ho messo in forno.

Ho messo delle fette di pancetta sulle natiche e ho messo tutto in forno.

Poi ho preso quattro cipolle, ho fatto arrostire la carne per un quarto d’ora circa e gli ho

versato sopra una punta d’acqua per fare il sugo e ho aggiunto le cipolle.

39 Tratto dal film documentario “Albert Fish” del 2007, Stati Uniti, regia di John Borowski.

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Ad intervalli frequenti io battevo il sedere con un cucchiaio di legno per renderlo più

tenero e succoso.

Dopo circa due ore era di un bel colore bruno, completamente cotto.

Mangiai tutta la carne in circa quattro giorni, non ho mai mangiato un tacchino arrosto

buono la metà di quel suo dolce grasso sederino»40.

Nel 1933 Fish aveva strangolato quattro ragazzine.

Altro caso di omicidio fu quello di Grace Budd.

Edward Budd (fratello di Grace Budd) era un 18 diciottenne intraprendente, forte e

ansioso di lavorare.

Eddie viveva in una famiglia molto povera: madre, padre e cinque figli, intrappolati in

una lurida baracca di periferia.

Desideroso di poter evadere da quella terribile situazione in cui si trovava, il 25 Maggio

1928 fece pubblicare un annuncio sull’edizione domenicale del New York World.

L’annuncio diceva: “Giovane 18enne, cerca lavoro nel paese. Edward Budd, 406 West

15th Street”.

È un annuncio scarno e privo di effetto.

Il lunedì seguente, 28 Maggio del 1928, Delia, la madre di Edward, aprì la porta a un

anziano visitatore.

L’uomo si presentò come Frank Howard, un coltivatore di Farmingdale, nel Long

Island, era venuto per un colloquio di lavoro.

Mentre i due aspettarono l’arrivo del ragazzo, Delia ebbe l’opportunità di studiare

quell’anziano signore.

Dal suo volto traspariva gentilezza, i capelli erano ordinati e grigi, così come i grandi

baffi.

Sembrava, in apparenza, proprio la persona ideale al quale affidare i propri figli.

Frank Howard nel frattempo le raccontava la propria vita: era stato decoratore di interni

per molti anni e, arrivato alla pensione, si era comprato una fattoria.

Aveva sei figli, tutti cresciuti da lui, poiché la moglie lo aveva abbandonato dieci anni

prima.

Purtroppo un paio dei braccianti che aveva erano ormai anziani e Frank aveva bisogno

di rincalzi.; per questo motivo, dopo aver letto l’annuncio di Edward, si era presentato. 40 Tratto sempre dal film documentario “Albert Fish” del 2007, Stati Uniti, regia di John Borowski.

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Proprio in quel momento entrarono in casa Eddie e un suo amico, Willie.

Frank Howard rivolse qualche domanda ai due, misurò la loro forza e alla fine propose a

entrambi 15 $ a settimana.

Era una paga grandiosa e i due giovani accettarono senza pensarci sopra due volte.

Il 3 Giugno 1928, alle 11 di mattina, Frank Howard si ripresentò a casa Budd, per

prendere con sé i due nuovi operai.

Aveva portato in regalo delle fragole e una forma di formaggio cremoso appena fatto,

così Delia per ricambiare il favore propose al gentile ospite di fermarsi a pranzo con

loro.

Mentre Frank Howard e il padre di Edward parlavano amichevolmente a tavola, si aprì

una porta e comparve davanti ai loro occhi una bella bambina di dieci anni che

canticchia una canzone.

Si chiamava Grace, aveva i capelli e gli occhi castani molto scuri, contrapposti a una

pelle chiara e a delle labbra rosa pallido.

Frank Howard rimase colpito da questa bambina e non lo nascose affatto.

Le fece molti complimenti e le regalò qualche soldo per comprare dei dolciumi, quindi

la invitò con lui alla festa di compleanno della sua nipotina.

Delia Budd era abbastanza perplessa, ma l’anziano e gentile ospite riuscì comunque a

convincerla: la festa si teneva in un appartamento della 137esima strada, e l’uomo

promise che Grace sarebbe di nuovo rincasata per le nove di sera.

Da brava madre Delia aiutò Grace a indossare il cappotto buono, la accompagnò alla

porta e la seguì con lo sguardo mentre si allontanava lungo la strada con il gentile Frank

Howard. Non li avrebbe visti mai più.

Quella fu una notte insonne per la famiglia Budd: nessuna notizia di Howard, nessun

segno della piccola Grace.

La mattina seguente Edward venne mandato alla stazione di polizia per denunciare la

scomparsa.

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(Foto n° 11)41

Non ci mise molto la polizia ad accertare che tutto ciò che aveva raccontato l’uomo era

falso: non esisteva nessun appartamento, non esisteva nessuna fattoria, non esisteva

nessun Frank Howard (non sapevano ancora che era Albert Fish).

Il 7 Giugno vennero diffusi in tutta New York ben 1000 volantini con la foto della

bambina e una descrizione sommaria dell’uomo che l’aveva portata via.

Più di venti detective furono assegnati al caso, ma nessuna segnalazione utile arrivò tra

le loro mani, solo una serie infinita di falsi allarmi.

Gli unici indizi erano la grafia dell’uomo, indice di una istruzione abbastanza elevata, e

l’indirizzo del negozio in cui era stato comprato il formaggio, un baracchino a East

Harlem.

Il 2 novembre del 1934, il detective King, l’unico investigatore ancora sul caso fece

pubblicare da un suo amico giornalista un articoletto che diceva: “Il mistero del

rapimento di Grace Budd, otto anni, risalente a sei anni fa sta per essere risolto dagli

investigatori”.

Solo dopo dieci giorni Delia Budd, la madre di Grace, ricevette una lettera.

41 La casa dove è stata uccisa Grace Budd da Albert Fish a Westchester (contea nel sud-est dello stato di New York negli Stati Uniti). Immagine tratta da www.google.it

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La prima lettera che spedì Fish alla madre di Grace diceva:

“Cara signora Budd, nel 1894 un mio amico navigò come marinaio sullo Streamer

Tacoma, del Capt. John Davis. Navigarono da San Francisco a Hong Kong. All’arrivo

scese con altri due e andarono a ubriacarsi. Al loro ritorno la barca era partita. Era un

periodo di carestia per la Cina. Qualsiasi tipo di carne costava da 1 a 3 dollari per

libbra. La sofferenza era così grande che i più poveri misero in vendita i propri figli

sotto i dodici anni per non morire di fame. I ragazzi di quattordici anni non erano per

niente al sicuro da soli in mezzo alla strada. Sarebbe potuto andare in un qualsiasi

negozio e richiedere una fetta di carne. Gli avrebbero mostrato il corpo di un ragazzo o

una ragazza nudi chiedendogli quale parte volesse. Quella posteriore, che è quella più

dolce del corpo, veniva venduta a caro prezzo come le costolette. John, avendo passato

tanto tempo da quelle parti, ha imparato ad apprezzare la carne umana. Tornato a New

York rapì due ragazzini di 7 e 11 anni, li spogliò e li chiuse in un armadio. Durante il

giorno li torturava e li sculacciava a lungo in modo da renderne la carne più tenera.

Per primo uccise il ragazzo di 11 anni perché aveva il sedere più grasso e carnoso.

Tutto di lui fu cucinato e mangiato, eccetto testa ossa e intestini. Il bimbo più piccolo ha

fatto una fine molto simile. In quel periodo io ero un vicino di John. Mi parlò così

spesso di come fosse buona la carne umana che decisi che dovevo assolutamente

assaggiarla. Domenica 3 Giugno 1928, ero a pranzo da Lei. Grace si sedette nel mio

grembo e mi schioccò un bacio. In quel momento capii che dovevo assolutamente

mangiarla. Utilizzai la scusa di doverla portare a una festa e lei acconsentì. Invece io

l’ho portata in una casa vuota a Westchester, scelta in precedenza. La lasciai a

raccogliere fiori ed entrai a strapparmi via tutti i vestiti. Non avevo nessuna intenzione

di macchiarli con il sangue della bambina. Quando tutto era pronto, andai alla finestra

e la chiamai. Poi mi nascosi in un armadio. Quando lei mi vide del tutto nudo cominciò

a piangere e provò a scappare di corsa sulle scale. Io l’afferrai e lei mi minacciò che

avrebbe detto tutto alla sua mamma. Per prima cosa l’ho denudata, mentre lei mi

calciava, mi mordeva e mi graffiava. L’ho strangolata a morte e l’ho tagliata a piccoli

pezzi in modo da portarla comodamente a casa mia. L’ho cucinata e mangiata. Come

era dolce e morbido il suo sederino che ho arrostito al forno! Mi ci sono voluti nove

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giorni per mangiarla interamente. Non si preoccupi, non l’ho violentata. È morta

vergine come volevo che avvenisse”42.

Questa lettera venne recapitata sei anni dopo l’uccisione di Grace Budd.

Fu l’errore che inchiodò Albert Fish; sulla lettera, infatti, c’era il logo N.Y.P.C.B.A.

(New York Private Chauffeur’s Benevolent Association).

Il detective King con l’aiuto del presidente dell’associazione riunì un consiglio

d’emergenza.

A questo punto chiese alle persone dell’associazione se era capitato di aver portato fuori

una lettera; un custode disse di aver messo qualche busta e della carta da lettere nella

sua vecchia casa.

Quando la polizia arrivò sul posto c’era la padrona di casa che confermò che lì viveva

un signore corrispondente alla descrizione fornita dalla polizia.

Si chiamava Fish, Albert Fish, era fuori per qualche giorno.

All’arrivo, la proprietaria avvisò la polizia, dopo una colluttazione Fish venne

finalmente arrestato; era il 13 dicembre del 1934.

Fish scrisse, una seconda volta alla signora Budd:

Greensburg, New York “Mia cara signora, vorrei che lei sapesse che mi sono goduto

una deliziosa cenetta. Glielo dico perché indirettamente anche lei ha contribuito a

procurarmela. Ho preso un pezzo di coscia della sua Grace, l’ho messo su un tegame

con un po’ di carote e di cipolle crude, tagliate sottili, e ho fatto cuocere il tutto a fuoco

lento. Ne è venuto, glielo posso assicurare, uno stufato prelibato, di sapore nuovo e

molto gradevole. Ne ho mangiate due porzioni, e me n’ è restato per altri pasti.

Davvero squisito! Mi dispiace che lei non abbia potuto essere mia ospite e assaggiarlo,

ma comunque le mando la ricetta che penso le riuscirà gradita. Con i miei distinti

ossequi”43.

Fish raccontò di aver mangiato la carne di Grace Budd con cipolle, carote e la salsa e

che per nove giorni aveva vissuto in uno stato di eccitazione sessuale.

42 Lettera tratta da www.serialkiller.it 43 Lettera sempre tratta da www.serialkiller.it

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Il mangiare la carne e il bere il sangue di Grace era stato associato da Fish al corpo e al

sangue di Cristo.

(Foto n° 12)44

3.3. Il processo

Il processo ad Albert Fish si aprì proprio con la morte di Grace Budd.

Il capo d’imputazione era l’omicidio premeditato ai danni di Grace Budd, fu processato

solo per questo omicidio.

La difesa cercò di ribaltare la perizia dei medici, che vedevano Fish come una persona

sessualmente disturbata, ma perfettamente in grado di intendere e di volere, quindi sano

di mente.

L’accusa ricordò a tutti come era stato in grado di pianificare nei minimi dettagli

l’omicidio delle piccola Grace, rimanendo sempre freddo e lucido.

44 Grace Budd, vittima di Albert Fish. Immagine sempre tratta da www.google.it

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Questo stesso atteggiamento freddo e lucido lo ebbe anche durante il processo,

sembrava quasi disinteressato.

La condanna era scontata.

Fu condannato a morte tramite l’esecuzione della sedia elettrica.

Albert Fish alla lettura della sentenza non si scompose, si rifiutò di ricorrere in appello,

sostenendo anche che la sedia elettrica era l’unica modalità che gli mancava per

procurarsi dolore.

L’esecuzione avvenne la sera del 16 gennaio del 1936.

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CONCLUSIONI

Il cannibalismo è sicuramente una perversione estrema che si riscontra solo in alcuni

serial killer.

Le vittime possono essere uomini donne o bambini non ci sono differenze, la differenza

è la preferenza che ha l’assassino seriale nella scelta di tipologia della sua vittima.

A volte, il cannibalismo è appena accennato e l’assassino seriale si limita a mordere il

corpo delle vittime, senza però mangiarne una parte.

Per alcuni assassini seriali, questa perversione ha un chiaro significato simbolico.

Questi atti possono essere praticati dopo che il soggetto ha avuto un rapporto sessuale

insoddisfacente con la vittima ed è una regressione al comportamento animale.

Per altri è solo un modo estremo di raggiungere la gratificazione sadica.

In ogni caso, i serial killer cannibali sono sempre uomini.

Per gli assassini seriali, il cannibalismo rappresenta un appagamento degli impulsi

omicidiari con una violenza estrema e con eccesso di desiderio.

Nel caso di Chikatilo, Dahmer e Fish gli atti di cannibalismo si riscontrano in

motivazioni e comportamenti diversi.

In Chikatilo è simbolo di potere, morde e strappa i capezzoli, prova piacere nel vedere

la vittima soffrire, ha una fissazione per i seni.

Dahmer invece è attratto dagli organi interni, mangiando parti delle vittime le sente

come parti di se stesso (fusione con la vittima); l’atto cannibale è l’unico modo per far

rimanere la vittima con lui.

Per Fish, invece, l’atto di cannibalismo è visto come nutrimento, prova assoluto piacere

a ingerire parti di propri simili, è totalmente appagato nel cucinare e nel mangiare le

vittime.

Un elemento in comune che si può riscontrare nei serial killer cannibali trattati è la

mutilazione delle vittime.

Le mutilazioni sono di due diversi tipi che si possono anche intrecciare fra di loro:

- La mutilazione ha uno scopo feticistico: l’assassino asporta parti dei cadaveri e

li conserva come dei “trofei” che lo aiutano a ricordare le emozioni provate

durante l’omicidio;

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- La mutilazione ha uno scopo cannibalistico: l’assassino asporta parti di cadaveri

per cucinarli e mangiarli, perché in questo modo è convinto che la vittima non lo

abbandonerà mai, rimanendo per sempre dentro di lui.

Molti studiosi hanno provato a capire da dove possa derivare l’atto cannibale; per

esempio Francesco Bruno, spiega che nei serial killer cannibali, gli impulsi

normalmente presenti in tutti noi si ingigantiscono fino a diventare patologici.

In molti serial killer - prosegue Francesco Bruno - questo tipo di comportamento

patologico è irrefrenabile e ha la stessa radice di un qualsiasi comportamento affettivo

che, mentre nella persona normale si esaurisce in un bacio o in morsetti affettuosi, in un

individuo con disordini psicologici diventa un fatto da vivere fino in fondo.

Un altro studioso Emilio Fava, sempre sul cannibalismo sostiene che gli impulsi e

fantasie cannibaliche fanno parte della struttura profonda della psiche umana.

Secondo il Dipartimento di studi psicologici dell’Fbi, la differenza tra i serial killer e i

serial killer cannibali è che mentre i primi in genere progettano l’omicidio e uccidono

con rapidità, i secondi sono più violenti ed efferati, adescano la vittima in maniera

casuale e dopo averla brutalmente massacrata si accaniscono sul corpo sventrandolo.

Per alcuni studiosi esistono delle spiegazioni scientifiche o biologiche per spiegare il

cannibalismo.

Secondo Joel Norris, studioso americano dei serial killer, alla base del cannibalismo ci

possono essere delle disfunzioni dell’ipotalamo, una regione del cervello che regola

l’attività sessuale, dell’umore e di altre funzioni primarie dell’uomo, come mangiare e

bere.

Il cannibalismo sarebbe dunque causato da uno squilibrio ormonale che determina

l’incapacità del cervello di misurare le proprie emozioni.

Ovviamente non tutte le disfunzioni dell’ipotalamo portano un individuo a diventare un

serial killer cannibale.

Come già detto in precedenza, le motivazioni che spingono un serial killer a compiere

atti cannibali sono diverse.

Bisogna sempre considerare, per cercare di capire al meglio, gli aspetti psicologici,

biologici, sociali e anche il vissuto del seriale durante la fase dell’infanzia e

dell’adolescenza.

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Tutti questi elementi permettono di fornire un profilo più specifico che sarà diverso caso

per caso.

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BIBLIOGRAFIA

BUTTARINI M., COLLINA M., LEONI M., I serial killer un approccio

psicologico e giuridico al fenomeno, Experta edizioni, Forlì, 2007.

CAMERANI C., Cannibali le pratiche proibite dell’antropofagia, Alberto

Castelvecchi editore, Roma, 2010.

CENTINI M., I serial killer, Xenia edizioni, Milano, 2001.

GARGIULLO B. C., DAMIANI R., Il crimine sessuale tra disfunzioni e

perversioni, Franco Angeli, Milano, 2008.

LUCARELLI C., PICOZZI M., Serial killer storie di ossessione omicida, Oscar

Mondadori, Milano, 2010.

MASTRONARDI V. M., DE LUCA R., I serial killer, Newton & Compton

editori, Roma, 2005.

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SITOGRAFIA

http://www.latelanera.com/serialkiller/serialkillerdossier.asp?id=JeffreyDahmer&pg=2

www.google.it

www.serialkiller.it

www.unita.it

www.youtube.com

www.serialkillers.it/Dahmer.htm

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Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento al Dott. Pierluigi Telattin per il suo prezioso aiuto.