Irene Tavano,Il Cinema Di Andrej Tarkovskij

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Tesi sul cinema di Andrej Tarkovskij analizzato dal punto di vista tecnico e artistico

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Tesina a cura di Irene Tavano

Il cinema di Andrej Tarkovskij

Analizzato attraverso le componenti

della sua poetica

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1 Introduzione

2 Biografia

3 I primi lavori

- Il rullo compressore e il violino- Trama e analisi4 Scolpire il Tempo5 Le caratteristiche della poetica Tarkovskijana- L’arte dell’immagine cinematografica- Il movimento- Il montaggio sonoro- Il linguaggio e la parola- Il tempo- Il montaggio e il ritmo- La percezione del tempo- L’attore- La messa in scena e la sceneggiatura- Il rapporto regista sceneggiatore- I colori e l’immagine- Il pubblico- L’arte e la sua spiritualità6 Filmografia- L’Infanzia di Ivan- Andrej Rublev- Solaris- Lo Specchio- Stalker- Nostalghia- Sacrificio

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Introduzione

Attraverso questa tesina mi sono prefissata di affrontare i temi della poetica tarkovskijana analizzando il pensiero dell’autore. Ho scelto di partire dalla sua concezione di immagine cinematografica esaminando le componenti tecniche ma affrontando anche l’immagine dal punto di vista artistico attraverso l’analisi dei suoi film sotto quel punto di vista: gli elementi compositivi del suo cinema non sono che la traduzione immediata e visiva del pensiero dell’autore e la sua concezione dell’arte si fonda su un’unica verità: l’arte serve per elevare spiritualmente. Nulla può essere gratuito, niente si costituisce senza possedere a priori una visione lucida, soprattutto all’interno del cinema. Quando Tarkovskij inizia a lavorare, il cinema è un’arte che sta ancora appropriandosi del suo linguaggio e il suo cinema ha contribuito a modificarlo e a portarlo verso nuove possibilità.

Questo però non è stato fatto per ricercare forzatamente la novità e l’esperimento ma perché Tarkovskij ha voluto portare se stesso, la sua visione della spiritualità e dell’arte dentro l’opera cinematografica. L’artista deve essere spinto da una necessità o il suo lavoro non sarà autentico.

La particolarità del suo cinema è quella di essere a metà tra il reale e il sogno e attraverso alcuni suoi film partecipiamo direttamente alla memoria dell’autore. Forse amo il suo cinema proprio perché è come se in un certo senso abbia conosciuto la storia di una persona estremamente sensibile che condivide i miei ideali. In questi due mesi leggendo e analizzando il suo lavoro ho però capito di trovarmi davanti ad un cinema molto complesso che non avevo realmente capito anni fa. Quello che maggiormente mi aveva stupito era la profondità sia estetica che concettuale, ma non avevo colto i dati simbolici completamente, non sapevo nulla della sua concezione di Tempo, di estetica e di Sacro.

Non si può esaurire un regista in poche pagine così ho cercato di concentrarmi sulla potenza delle sue immagini e il simbolismo che si cela dietro di esse. Per come percepisco io l’arte e l’esistenza stessa credo che con la sua morte il cinema abbia perso il suo regista più sensibile e spirituale di sempre.

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Biografia

Andrej Arsen'evič Tarkovskij, (Zavraž'e,1932–Parigi,29 dIcembre1986) nasce a Zavroze ma cresce a Peredelkino, nella campagna nei pressi di Mosca. Suo padre, Arseni Tarkovskij, è poeta e traduttore russo mentre la madre Marija Ivanova Visnjakova, laureata all'istituto Maxim Gorky di Letteratura, è una tipografa.

I genitori di Andrej divorziano quando è ancora un bambino e così decide di rimanere con la madre. Frequenta il liceo e, in tenera età, inizia a studiare musica e pittura. Nel 1952 decide di iscriversi all'Istituto di Lingue Orientali ma non completa gli studi. Il rapporto con sua madre è molto intenso e lei si occupa in maniera costante della sua educazione. Dal 1954 al 1956 Andrej decide di partire per la Siberia dove lavora come geologo. Questa esperienza è il momento più felice della sua vita e lo segna profondamente. Tornato a Mosca, Tarkovskij inizia a studiare presso il VGIK, una delle maggiori scuole sovietiche di cinema e tra i suoi insegnanti vi è Mikhail Romm, molto lontano dal suo modo di sentire essendo esponente del “realismo socialista” ma tra i due nasce un bel rapporto. Tarkovskij infatti dirà <<Mi ha insegnato ad essere me stesso1>> Al VGIK nel 1958 realizza Ubiytzi (Gli Assassini) lavorando a fianco di Aleksandr Gordon con il quale dirigerà anche Segodnja uvol'nenija ne budet (Oggi non ci sarà libera uscita) tratto da uno dei racconti di Hemingway. Tarkovskij si attiene al testo in maniera puntigliosa a differenza di Rober Siodmak in I Gangsters e di Siegel con Gli Assassini. Il regista enfatizza il tema tipicamente hemingwayano della dolore esistenziale e si concentra sull'idea della morte come assoluto che sovrasta la mediocrità dell'esistenza. Con Oggi non ci sarà libera uscita racconta il pericolosissimo lavoro di disinnescare bombe e questo mediometraggio si colloca nell'ambito del realismo socialista anche se la situazione stava lentamente cambiando. Si può notare però come questo lavoro cominci ad avere l'impronta del Tarkovskji che verrà, ne è un esempio l'inquadratura della fontana da cui sgorga moltissima acqua in contrasto con la città deserta. Si può notare però come il montaggio presenti una scelta singolare in quanto non vi è un ritmo costante condotto da un piano sequenza, il montaggio è rapido e attraverso le inquadrature dall'alto dell'artificiere l’autore inquadra moltissimi dettagli per sottolineare il momento di tensione.

Nel 1960 ottiene il diploma in regia con Katok i skripka (Il rullo compressore e il violino) e la pellicola vince il primo premio ad un festival dei film per studenti di New York. Nel 1962 termina l'opera che lo porta al riconoscimento internazionale vincendo il Leone d'oro alla Mostra di Venezia del 1962.Attraverso una

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lettera all'Unità Sartre critica garbatamente Tarkovskij citando Hegel e Marx <<La società degli uomini progredisce verso i suoi fini, i vivi realizzeranno quegli scopi, con le loro forze e tuttavia, quel piccolo morto, minuscola spazzatura della storia, rimane una domanda senza risposta che non compromette nulla, ma che fa vedere tutto sotto una luce nuova: la Storia è tragica.2>> Così diceva Hegel mentre Marx sosteneva che essa progredisce sempre attraverso i suoi lati peggiori. In questo periodo è in atto la destalinizzazione che Chruscev inizia nel 1956 e il cinema sovietico comincia a cambiare dopo anni di retorica staliniana. Il cambiamento era già iniziato con alcuni film tra cui Quando volano le cicogne di Michail Kalatozov.

L'infanzia di Ivan viene però letto attraverso gli schemi del cinema sovietico e in quegli anni la lettura del cinema è nuovamente condizionata anche se in maniera differente dallo stesso Chruscev. Alla critica di Sartre Tarkovskij risponde anni dopo e scrive nel suo diario

<<Ieri, non so perché, non ho scritto che ieri l’altro è morto Sartre. La sua ultima intervista lascia un’impressione molto triste perché Sartre rinuncia a molte delle idee che professava e con le quali si rivolgeva ai giovani. Ma ormai è da un po’ che sentivamo a cos’era giunto alla fine della sua vita. Non che fosse invecchiato anzitempo, ma le sue idee erano troppo superficiali3>>

I problemi iniziano con l'uscita dell'Infanzia di Ivan a causa della censura del sistema sovietico e viene rifiutato ai festival del cinema internazionali ma nonostante le difficoltà riceve finanziamenti per continuare a girare.

Nel 1966 con Andrej Rublev riesce ad arrivare al festival di Cannes e sempre a Cannes nel 1972 vince il Premio Speciale della Giuria con Solaris. Nel 1974 completa Zerkalo (Lo Specchio) il capolavoro autobiografico che contribuisce ad aumentare le critiche verso il suo cinema. In Unione Sovietica viene proiettato solo tre settimane nel 1975 e per l'autore inizia un periodo di grande solitudine. Anche Stalker, completato nel 1979 e girato solo dopo aver ottenuto speciali permessi dal Presidium del Soviet Supremo viene rifiutato e non riesce a concorrere a Cannes. Riesce però a vincere il premio David “Luchino Visconti” nel 1980 in quanto nonostante la censura internazionalmente è molto apprezzato. Ed è proprio in Italia che il regista decide di ambientare nel 1983 Nostalghia collaborando con Tonino Guerra; inizialmente Tarkovskij voleva intitolare il film Viaggio in Italia.

Nel 1986 con Sacrificio ancora una volta non riesce ad ottenere la Palma D'Oro a Cannes ma vince il premio della giura.

Andrej Tarkovskji muore a Parigi di cancro la notte del 28 dicembre del 1986 e viene sepolto nel cimitero di Sainte Geneviève des Bois. La morte avviene troppo presto per accorgersi del grande cambiamento che avrebbe ribaltato la situazione dell'Est europeo.

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I primi lavori

Il rullo compressore e il violino

Tarkovskij conclude il corso di regia al VGIK con questo mediometraggio realizzato sotto la guida di Mikhail Romm e con l'aiuto di Andrej Sergeevič Michalkov Končalovskij che collabora alla sceneggiatura. In un'intervista rilasciata a Michel Ciment e Jean Schnitzer ( L'artiste dans l'ancienne Russie et dans l'URSS nouvelle), in << Positif>> il regista è critico verso la sua prima opera giovanile in quanto l'opera presenta dei limiti “scolastici” che riguardano i canoni di ripresa e di montaggio e vi è un gusto spiccato per la così detta “bella immagine” che si impone con ripetitiva schematicità.

Trama

Sasa è un bambino di sette anni che viene sbeffeggiato dai compagni mentre scende le scale con un violino sottobraccio. I ragazzi gli strappano lo strumento dalle mani e se lo passano prendendolo in giro. Un operaio addetto al rullo compressore interviene per placare la discussione e restituisce il violino al ragazzino. Sasa si dirige allora al conservatorio e accompagnato da una bambina attende il suo turno per sostenere l'esame che non ha un buon esito. Sulla via verso casa si imbatte in Sergej, l'operaio che lo aveva aiutato che gli offre la possibilità di guidare il suo rullo compressore per consolarlo. I compagni lo vedono e si ingelosiscono. A pranzo Sergej e Sasa mangiano insieme e il ragazzino è felice di aver trovato una persona amica. Il loro dialogo sembra consolidare la nascita di una solidarietà reciproca e il bambino suona il violino spensierato con molta più precisione e serenità. I due si salutano dandosi appuntamento per vedere un film ma la madre di Sasa è furiosa e non lo lascia uscire. Sergej si dirige al cinema con una collega dopo aver aspettato invano l'amico mentre Sasa sogna di salire nuovamente sul rullo compressore guidato dall'amico.

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I personaggio sono piuttosto stereotipati come dirà lo stesso Tarkovskij, i ragazzini dispettosi sono un po’ troppo cattivi, l'operaio gentile è troppo generoso, la madre severa e l'insegnante di musica troppo comprensiva. Riguardo al linguaggio cinematografico si può notare come il regista abbia utilizzato il carrello laterale e raramente il dolly. Le azioni sono spesso incorniciate con gli stipiti delle porte che anticipano le fughe di piani delle opere più mature della sua produzione. Se alcune scelte possono essere considerate ingenue però il rullo compressore e il violino non può essere considerato un'operetta anonima. Vi sono elementi che caratterizzeranno tutti i suoi film come lo specchio, la mela che diventa torsolo, l'acqua, il bicchiere sfocato e il violino che sembra quasi un oggetto magico. Inoltre in questo lavoro giovanile si delineano anche altre costanti come ad esempio l'opposizione tra la fragilità e la forza, concetto che Tarkovskij riaffronterà in altri film come Stalker essendo uno dei principi del Tao Te-Ching.

Nel mediometraggio sono presenti diverse antinomie come il bambino che gioca con la palla e il maglio che demolisce il palazzo e queste destinazioni sebbene siano opposte generano meraviglia.

Parlando del protagonista, questo viene deriso e preso in giro per la sua attitudine artistica che però è anche una disciplina, un lavoro materiale che però dipende dall'inspirazione. Il metronomo, simbolo della tecnica musicale si contrappone alla poesia a simboleggiare che l'arte esiste dove risiede anche la tecnica.

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Riguardo invece a Sergej si può vedere come questo personaggio sia traumatizzato dalla guerra che ha vissuto da piccolo ed è per questo che sembra essergli mancata la dimensione dell'infanzia. Quando i due si incontrano assistiamo alla caduta di una bicicletta e il campanello finisce sotto il rullo compressore quasi a simboleggiare il divario generazionale tra i due. Questo però si contrappone al momento più commovente, ovvero quando Sasa ispirato dalla nuova amicizia si libera da ogni freno e riesce a trasferire le sue emozioni sul violino. Se pensiamo invece al loro appuntamento mancato, la sala cinematografica dove è in programmazione Chapaev, (un film dei fratelli Vasyliev che racconta la storia di Chapaev, un comandante dell'armata rossa divenuto un eroe durante la guerra civile russa) non è una scelta casuale.

Questo film esprime gli ideali popolari della Rivoluzione e questo si sposa perfettamente con le nuove idee dell'avanguardia cinematografica che era in odore di realismo socialista.

Scolpire il Tempo

Il cinema è l'unica forma d'arte che, proprio perché operante all'interno del concetto e dimensione di tempo, è in grado di riprodurre l'effettiva consistenza

del tempo, l'essenza della realtà, fissandolo e conservandolo per sempre.

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(Scolpire il tempo - 1986 - Andrej Tarkovskij)

Scolpire il tempo è il libro di estetica cinematografica che Tarkovskij inizia a scrivere nel 1970 e termine nell'anno della sua morte nel 1986. Il libro si configura come una summa delle riflessioni e dei saggi che

Tarkovskij scrive sul cinema e sul significato dell'opera d'arte cinematografica ma non solo, in quanto egli riflette sull'esistenza e su tematiche più profonde sulla natura umana. Il fulcro dell'opera è il “Tempo” che è

il perno centrale della concezione poetica del regista. L'arte è sacra, spirituale, e nonostante l'uomo stia perdendo questa connessione con la Natura, all'artista è richiesto vivere come se fosse immortale. Inoltre il cinema è l'unica arte che può rappresentare la temporalità e l'essenza della realtà. Il testo è organizzato in capitoli, ciascuno riguardante un film e tra le riflessioni riguardanti l'estetica del cinema, la sceneggiatura e il montaggio, parla anche di se stesso in maniera intima riflettendo spesso su cosa per lui sia fare cinema. Il libro ci fa anche capire quali siano state le sue fonti di ispirazioni maggiore come ad esempio le poesie del

padre e il Giappone, culla della spiritualità orientale a cui è molto legato.

Concentrando l'attenzione sulle tematiche della poetica tarkovskijana, in Scolpire il Tempo si ha un'analisi approfondita di cosa il tempo, l'arte e la memoria siano per il regista ma soprattutto viene definita l'immagine cinematografica sia dal punto di vista concettuale che da quello tecnico. Il regista si scaglia contro i teorici del montaggio definendo un nuovo modo di intendere quest'ultimo. Si può dunque utilizzare Scolpire il Tempo come linea guida per descrivere il cinema e la poetica tarkovskijana partendo dall'Infanzia di Ivan.

Le caratteristiche della poetica Tarkovskijana

L'arte dell'immagine cinematografica

Tarkovskij sostiene che ogni forma artistica se non destinata ad uso commerciale deve spiegare l'esistenza dell'uomo e la sua natura, deve elevare spiritualmente. Se non riesce a dare delle spiegazioni a questo dilemma, se non riesce ad elevare la coscienza dell’individuo allora deve fornire conoscenza. Il cinema per Tarkovskij è come l'essere umano, è un essere composto da tanti elementi ma non è una semplice combinazione di questi in quanto l'insieme delle parti non costituisce il tutto, è la relazione tra di esse che lo compone. Dunque l'immagine cinematografica non si ottiene con la somma della fotografia al movimento e le leggi del tempo assumono un nuovo significato.

Il Movimento

Secondo Rudolf Arnheim il CINEMA è specializzato nel mostrare i fatti reali e i mutamenti del tempo e questa preferenza trova la sua spiegazione nella natura del mezzo utilizzato. Un film muta continuamente mentre in altre forme d'arte come la pittura e la scultura non vi è un simile progresso temporale. Inoltre l'osservatore si trova davanti ad un'illusione, non può notare lo spostamento della pellicola nella macchina da presa e nel proiettore. Il movimento realmente percepito dal pubblico si fonda su determinati fattori:

1) i movimenti dei corpi fotografati dalla macchina da presa

2) l'effetto della prospettiva e della distanza della macchina dall'oggetto

3) l'effetto del movimento della macchina

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4) la sintesi delle singole scene attuata dal montaggio in una complessiva composizione di movimento

5) l'azione reciproca di movimenti messi uno accanto all'altro col montaggio

Ma il movimento non è solo una fonte di informazione, è la caratteristica che rende unico il cinema ed è un fattore di espressività fondamentale. Il movimento non si limita all'attore, a volte lo spazio circostante e i suoi movimenti a volte difficili da percepire sono molto più efficaci ed è il caso del cinema di Tarkovskij, la cui poesia nasce proprio da come viene trattato lo spazio e le sue componenti naturali.

Inoltre la qualità espressiva di un movimento dipende molto dalla sua velocità. Quando per modificare il movimento si correggevano i movimenti girando la manovella della macchina da presa, un gesto veloce poteva essere rallentato e viceversa ma con il cinema sonoro si standardizzò il numero di riprese da farsi al secondo e la forma del movimento cominciò a venir corretta a manipolata sempre meno. Riguardo all'attore, facendo un confronto col teatro di posa, l'attore sembra molto più veloce mentre nel teatro i movimenti veloci sembrano quasi ridicoli e l'attore sembra molto lento nei movimenti. Inoltre l'uso di certe inquadrature condizionano profondamente la percezione del movimento. Quelle oblique intensificano fornendo maggior dinamismo, le panoramiche danno il senso dell'illusione del movimento ad oggetti immobili e un altro elemento da tenere in considerazione è la continuità. Se vi sono troppi contrasti si perde l'unità anche se questa può essere una scelta voluta. Inoltre il montaggio influisce sulla velocità notevolmente in quanto il movimento è più rapido quanto più breve è il tempo di esposizione. Essendo il movimento visivo un'azione che si svolge nel corso del tempo, presenta affinità con la musica, un'altra componente che influenza la percezione del movimento nell'immagine cinematografica.

Il montaggio Sonoro

Secondo Tarkovskij l'impiego della musica è come il ritornello di una poesia. Se si legge una poesia il ritornello restituisce la sensazione iniziale che si ha appena iniziata la lettura. Per il regista la musica deve essere una componente naturale, un insieme di suoni che appartengono al mondo della natura. Per alcuni film ha richiesto al compositore Artem'ev musica elettronica per ricreare l'effetto di alcuni suoni naturali come ad esempio particolari fruscii, questo tipo di musica si confonde con la natura e ricrea l'unità mentre la musica strumentale per il regista ha una fortissima autonomia e per utilizzarla bisogna scendere ad alcuni compromessi essendo illustrativa.

<<Quelli che non capivano niente dell’arte cinematografica parlavano del silenzio come d’una delle sue deficienze più gravi; e sono quegli stessi che considerano oggi l’introduzione del sonoro come un miglioramento o un completamento del film muto.>

Nella combinazione della parola con l’immagine, il dialogo limita l’azione all’uomo, e questo è in contrasto con ciò che faceva il cinema muto: la rappresentazione del mondo animato dell’uomo. L’introduzione del parlato reintroduce una distinzione rispetto al mondo inanimato. Le possibilità date dall’arte dell’immagine in movimento si limitano a tre: le due forme pure del movimento assoluto del corpo (la danza) e del movimento dell’uomo all’interno dell’universo in azione (cinema muto); la forma impura del movimento al servizio della parola, del linguaggio drammatico (teatro)4.»

Il cinema sonoro è per Arnheim un essere composito che combina scene ricolme di dialoghi con scene dalla ricchezza visiva del muto e per il teorico un'immagine cinematografica in movimento che sottomette la parola non deve essere presa in considerazione.

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Per Tarkovskij il silenzio è un'altra delle componenti fondamentali dell'immagine cinematografica. Il regista lo considera fondamentale e lo associa spesso ad inquadrature lente che sono focalizzate su oggetti immobili, nature morte che, grazie alla cromaticità resa dall'ambiente circostante, sono simili ad immagini pittoriche dinamiche dotate di grande espressività. Alcuni sequenze di piani sulle bottiglie con la pioggia che penetra il soffitto in Nostalghia quasi ricordano le nature morte di Morandi. E' proprio per l'importanza conferita al silenzio che Tarkovskij spesso ha avuto la necessita di ricreare unicamente suoni che si confondessero con i rumori della natura.

Riguardo invece al montaggio il regista è contro i metodi dei teorici.

<<Ėjzenštejn allarga il suo interesse per le corrispondenze tra suoni e colori e quello per le analogie strutturali che in certe “epoche” si verificano tanto nella musica quanto nella pittura, come riflesso delle medesime tendenze artistiche[......] l'arte della composizione plastica-prosegue- consiste nel guidare l'attenzione dello spettatore lungo un preciso tracciato nell'ordine esatto voluto dall'autore dell'opera. Il che si realizza col movimento dell'occhio sulla superficie di una tela se la composizione è espressa in pittura, o sulla superficie di uno schermo se stiamo esaminando un'inquadratura5>>

Scolpire il tempo presenta una polemica verso il pensiero di Ėjzenštejn. In Unione Sovietica l'introduzione del sonore era stata ritardata e non vi era una ricerca particolare di mezzi innovativi. Gli anni 20 avevano visto una grande polemica ma nel 1928 la diffusione del cinema sonora avevano portato teorici alla riflessione su nuove possibilità. Per Ėjzenštejn il rapporto immagine-suono deve riportare gli elementi dell'immagine cinematografica, deve ricondurre a un'unità originaria comune e di questa dimensione ne parla in Teoria generale del montaggio. Non si devono considerare immagine e suono separatamente, bisogna dunque trovare una radice comune. E’ necessario ricercare l'unità e sentirsi all'interno di un'esperienza.

In realtà in un certo senso Ėjzenštejn e Tarkovskij sono in sintonia, Tarkovskij critica si l'uso della musica ma non l'abbandona mai completamente, il suo concetto di sonoro è una componente naturale del mondo dei suoni.

«La musica cinematografica per me, in ogni caso, è una componente naturale del mondo dei suoni, una parte della vita umana, sebbene sia pienamente possibile che in un film sonoro realizzato in maniera coerente dal punto di vista teorico non rimanga affatto posto per la musica e questa venga sostituita dai rumori ripensati dal cinema in maniera via via sempre più interessante6»

Il linguaggio: la parola

I film, nel giro di due decenni dopo la scoperta del cinematografo iniziano ad avere la funzione di trasporre un'enorme quantità di soggetti letterari, teatrali e storici. Sono dunque legati alla parola e l'introduzione del sonoro non ha che accentuato questa caratteristica.

La “letterarietà” si è rafforzata e teorici come Arnheim hanno intuito l'inizio di questo processo. Ci si chiede dunque quale sia il ruolo della parola all'interno dell'audiovisivo. Si può dedurre che se si conferisce alla parola questa importanza allora l'elemento su cui ci si concentra maggiormente è la sceneggiatura. Così però il testo ha lo stesso valore del testo teatrale o letterario, significa costruire un film sui dialoghi dei personaggi o dei pensieri esteriorizzati tramite l'uso della parola. Il dialogo inoltre viene incorniciato spesso da azioni totalmente inutili come lo spostare qualcosa nel mentre l'attore sta discutendo con un altro e spesso questi espedienti servono unicamente per dare un tono al dialogo.

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Vi sono anche altri modi per utilizzare la parola come ad esempio la voce off e i commenti e questo riprende le didascalie del cinema muto. Però per Arnheim la parola nel muto ha questo significato: le labbra sono un mezzo di espressione e non solamente organi fisici per la formazione delle parole.

Tornando all’audiovisivo, spesso invece vi è una voce fuoricampo che introduce un'azione ma può anche appartenere ad uno dei personaggi. Per questi motivi la parola tende ad assumere caratteristiche illustrative.

Tarkovskij però intuisce una nuova modalità per l'utilizzo della parola: la parola-emissione che si ritrova sempre all’interno dei suoi film. I protagonisti si fermano e in quel momento inizia un discorso che si unisce all'immagine ma non illustrandola; questa non è semplicemente il luogo delle azioni. Le parole sono emanate come a fondersi con l'ambiente in cui sono inserite conferendo all'immagine una sorta di spiritualità. Ogni elemento della messa in scena non si focalizza sull'uso del dialogo e dunque la parola viene decentrata.

<<Ma da cosa vengono determinate le parole che vengono pronunciate e corrisponde a ciò quello stare accanto al muro? E' impossibile concentrare il significato della scena delle parole pronunciate dai personaggi “parole, parole, parole” - nella vita reale il più delle volte essere sono solo acqua, e solo di rado e per breve tempo si può osservare una piena coincidenza della parola e del gesto, della parola e del fatto, della parola e del senso. Di solito invece la parola, la condizione interiore e l'azione fisica dell'uomo si sviluppano su piani differenti. Questi elementi interagiscono tra loro, talvolta si ricalcano lievemente, sovente si contraddicono e si smascherano a vicenda […] E, se prendiamo la messa in scena, è dall'esatta correlazione e interazione tra questa e la parola che viene pronunciata che nasce l'immagine vera e propria, l’immagine-osservazione6>>

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Il Tempo

<< Si ritiene che il tempo di per sé favorisca la manifestazione dell'essenza delle cose. Perciò i giapponesi vedono un fascino particolare nelle tracce dell’età. [..] Questi segni di antichità vengono chiamati col termine ' Saba' che alla lettera significa ‘ruggine'. La 'Saba', quindi, è la ruggine autentica, il fascino dell'antichità, il marchio del tempo. Un elemento delle bellezza come la 'Saba' incarna il legame tra l'arte e la natura In un certo senso i giapponesi si sforzano di assimilare il tempo in senso estetico7>>

Per Tarkovskij il tempo è qualcosa di sacro, un'emanazione dell'essenza delle cose ma è anche la manifestazione del fatto reale e sostiene che dopo i fratelli Lumiere il cinema si avviò su una strada falsamente artistica una strada che assicurava di ottenere profitti col cinema. Tarkovskij parla del “flagello dell'illustrativismo” in Scolpire il Tempo.

Il regista per Tarkovskij registra il tempo in forma di fatto e ovviamente anche nell'immobilità vi è il fluire del tempo reale. Il tempo è la caratteristica unica dell'arte cinematografica. Il tempo si registra nelle sue manifestazioni ed è questa la sua potenzialità maggiore. Inoltre si interroga sui motivi per cui il pubblico dovrebbe andare al cinema e, come per ogni forma d’arte, l'essere umano dovrebbe cercare attraverso di essa la conoscenza, un mezzo per elevarsi e non banale divertimento. Il cinema non deve essere un narcotico o un mezzuccio solo per meravigliarsi. Egli ritiene che l'uomo al cinema ricerchi il tempo perduto o il tempo che non ha trovato.

Il regista attraverso l'immagine cinematografica deve scolpire nel tempo e fermare un “blocco di tempo” che taglia via il superfluo, deve dunque operare una sintesi. Il cinema rischia di deteriorarsi se lo si considera un guazzabuglio confuso, un insieme di tutte le arti già esistenti.

Così scrive << L'immagine cinematografica non si ottiene sommando al movimento del pensiero letterario la

plasticità pittorica: per questa via si ottiene un eclettismo inespressivo o enfatico8>>

Egli inoltre specifica che ormai l'espressione “cinema poetico” è diventata banale poiché è generatore di simboli e di allegorie che allontanano dal reale. Il tempo si manifesta in forma di fatto e dunque un'altra componente fondamentale è l'osservazione. Così cita Ėjzenštejn il quale parla dell'haiku giapponese.

Un vecchio monastero

La fredda luna

Un lupo ulula.

Per Eizenstejn le terzine sono 3 elementi divisi combinati per creare qualcosa di diverso mentre per Tarkovskij ciò che conta è la purezza emanata dalla poesia. Per lui questa è l'osservazione vera e propria ovvero cogliere l'essenza vitale dietro ogni cosa. Non a caso nei suoi film vi è un'attenzione meticolosa per le componenti naturali e per gli oggetti più quotidiani della vita: la brocca d'acqua, una ciotola di latte, delle bottiglie o la pioggia che cade. Questi sono anche gli elementi al centro delle poesie del padre utilizzate come voce fuoricampo diegetico (voice-over) dal regista.

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Il montaggio e il ritmo

Montare un film in maniera corretta non è ostacolare l'assemblaggio delle scene da cui è composto. Per il regista tutto avviene come se fossero già montate. Vi è una legge che correla il legame delle inquadrature e non è facile trovare il modo corretto di operare se si è imprecisi nel filmare. L'assemblaggio si genera alla moviola che è semplicemente un procedimento meccanico. Per Tarkovskij però questo procedimento di assemblaggio delle inquadrature è molto doloroso in quanto va ricercata l'unità. E' proprio nel montare le scene che tutto ciò che è stato filmato si rivela nella sua essenza e nella sua logica interna. Egli si scaglia contro l'arte del montaggio perché spinge lo spettatore a decifrare ciò che sta osservando impedendogli di completare con il proprio vissuto l'opera d'arte.

Per Tarkovskij quando Ėjzenštejn in Ottobre paragona Kerenskij a un tacchino priva gli spettatori di utilizzare il loro vissuto personale. Dunque imporre il proprio punto di vista diventa un'imposizione e privazione per lo spettatore, influenzando prepotentemente il punto di vista.

Inoltre una componente fondamentale legata sia al montaggio che al tempo è il ritmo, in quanto esprime il fluire del tempo all'interno dell'inquadratura. Il montaggio non può condizionare la creazione del film. e per questo polemizza nuovamente su Kulesov e Eizenstejn, i teorici del cosiddetto “cinema di montaggio”. Come per un dipinto, un film necessità sì di una progettazione che prevedete una composizione (struttura), però questo procedimento per il cinema avviene già all'interno dell'inquadratura stessa. Per questo motivo dice di seguire il tempo sforzandosi di riprodurlo esattamente a differenza del montaggio che crea una composizione con le inquadrature già saturate dal tempo e attraverso di esso si ricrea l'unità. Inoltre spinge una critica alla convinzione che il montaggio generi un nuovo significato, cambiando la natura del film. La somma delle parti assemblate non genera una nuova creatura in quanto l'essenza è già contenuta nella relazione tra le inquadrature. Il generarsi di nuovi concetti attraverso il montaggio non può essere un giochetto stilistico che compromette il significato generatore dell'opera.

<< E' forse avendo in mente proprio la concretezza dell'elemento materiale, al quale è legata l'immagine che si slancia per le proprie misteriose vie negli spazi sconfinati dello spirito, è forse proprio a questo che

pensava Puskin quando affermava che “la poesia deve essere un po’ stupida”9?>>

Il contenuto materiale della realtà è già ripreso sulla pellicola nella sua interezza. Per montare un film in maniera esatta non bisogna alterare la coesione delle inquadrature, le quali si montano anticipatamente da sé

In ultima analisi il montaggio funge esclusivamente da legante per l'organizzazione e la saldatura della sostanza.

In Scolpire il tempo si parla della difficoltà di montaggio di Zerkalo (Lo Specchio) il quale aveva più di 20 varianti di montaggio e queste varianti riguardavano la successione degli episodi.

Il ritmo invece, che nasce dal tempo delle inquadrature, non è determinato dalla lunghezza ma dalla tensione del tempo interno e il montaggio non può alterarlo. Di conseguenza il tempo guida il regista e detta delle leggi per il montaggio. Viene infatti introdotto il concetto di pressione del tempo all'interno delle inquadrature, ovvero un metodo di collegamento dei singoli brani. Una sensazione unitaria nelle diverse inquadrature può essere suscitata dall'unità della pressione che determinano il ritmo del film.

La poetica tarkovskijana si fonda dunque sul ritmo e il regista crede che questa componente sia l'elemento formale fondamentale. Questo non può dipendere dal montaggio come credeva Ejzenstejn e sostiene che

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in alcune delle sue inquadrature, facendo l'esempio dell'Alexandr Nevskij, non ci sia verità temporale. Egli ritiene che il montaggio di quest'opera sia artificiale e totalmente slegato dalla cosiddetta pressione temporale. Inoltre è solo attraverso il ritmo che la personalità del regista può manifestarsi. Da questo concetto nasce il titolo del libro Scolpire il Tempo: deformare il tempo solo per riuscire a conferirgli un ritmo e un'espressione. Il tempo deve scorrere indipendentemente all'interno dell'inquadratura poiché se non si mantiene la ritmicità di un'inquadratura e si opera ai fini del montaggio lo spettatore subisce una sorta di violenza essendo troppo condizionato. I virtuosismi distruggono l'immagine cinematografica privandola della sua verità.

La percezione del tempo

Il tempo si estende oltre l'inquadratura. Questo è il pensiero alla base della poetica tarkovskijana in quanto esso allude alla vita stessa. L'opera d'arte contiene molto più di ciò che risiede al suo interno. Il film contiene le proiezioni dello spettatore, il nostro vissuto completa l'opera ed è come quando ci si interroga sui personaggi all'interno di un dipinto, ci si chiede quale sia il significato. La pellicola si completa uscendo dalla sua forma materiale. Gli artisti infatti si dividono in coloro che ricreano un proprio universo e coloro invece che riproducono semplicemente il mondo reale. Tarkovskij sente di appartenere alla prima categoria. Inoltre lo spettatore a seconda di come percepisce la temporalità riesce o meno ad entrare nel mondo che gli viene proposto dal film.

L'attore

Per Tarkovskij l'attore cinematografico è limitato dal conoscere l'idea del regista prima di arrivare sul set. Il regista dovrebbe ricreare spazi di libertà per l'attore e questa caratteristica si può attuare solo nel cinema e non nel teatro. Deve creare nell'attore lo stato d'animo adatto per far sì che la sua interpretazione sia davvero sentita e non si deve trattare di una recita. Questo è possibile solo quando l'attore non sa cosa sta per accadere nel film anche se nel cinema mancherà sempre quel contatto diretto che l'attore di teatro ha con il pubblico. Una scena inoltre acquisisce verità proprio per la sua irriproducibilità. Un esempio di questo lo si ha in Zerkalo (Lo Specchio). Margarita Terekhova, incontra uno sconosciuto. Prima dell'incontro Tarkovskij non aveva rivelato se stesse per arrivare qualcuno e spinge l'attrice a concentrarsi guardando l'orizzonte per vedere se qualcosa sta per accadere La donna infatti aspettava il ritorno del marito e non era a conoscenza di chi sarebbe arrivato. Ricreando questo dubbio la scena risulta molto credibile.

L'irripetibilità dipende dunque dal rapporto attore-regista ed è il compito del regista comprendere lo stato d'animo dell'attore e sentirlo dentro di se. Egli definisce l’attore quasi come il coautore del film, deve avere infinita libertà e nessun impedimento.

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La messa in scena e la sceneggiatura

<<Il regista, creando la messa in scena, è obbligato a partire dalla condizione psicologica dei personaggi e trovare la prosecuzione e il riflesso di questa condiziona in tutta la disposizione interiore dinamica della situazione, riportando in tutta la disposizione interiore dinamica della situazione, riportando poi tutto questo alla verità del fatto unico e come direttamente osservato e alla irripetibilità della sua fattura. Solo in tal caso la messa in scena unirà in sé la concretezza e la molteplicità di significati dell'autentica verità11>>

Dopo aver analizzato L'idiota di Dostoevskij Tarkovskij si interroga su come la verità possa emergere dalla messa in scena e analizza gli aspetti della sceneggiatura. Si chiede su come si debbano disporre gli attori durante i dialoghi ma si interroga anche sul ruolo della sceneggiatura. Egli sostiene che questa debba essere concepita unicamente in funzione del film. Una sceneggiatura letteraria, ad esempio, se deve essere utilizzata per un film andrà incontro a tagli significativi.

La sceneggiatura non deve essere destinata a produrre sul lettore un effetto di completezza proprio come l'immagine cinematografica, la forma compiuta arriva solo nel momento in cui si trasformerà in un film. Inoltre lo sceneggiatore deve essere profondo e conoscere l'essere umano dal lato psicologico ed emozionale. Per questa concezione si può quasi parlare di una sorta di sceneggiatore-psichiatra

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Il rapporto regista-sceneggiatore

Quando il regista legge la sceneggiatura è inevitabile che andrà a deformarla e si dovranno trovare dei compromessi, così inizia una sorta di battaglia con lo sceneggiatore. Per Tarkovskij, il regista si stava

tramutando sempre di più in un autore ma dallo sceneggiatore si pretendeva sempre più un'intelligenza registica. Il film non può partire dalla sceneggiatura e questa si deve adeguare in quanto esso si origina da un messaggio o da una condizione di necessità, il bisogno di dire qualcosa. Come per qualsiasi artista, ciò

che è maggiormente difficile è avere una proprio verità. Ogni artista ha una sola verità e trovare una propria concezione dell'arte e dell'esistenza è lo scopo dell'artista e, pur essendo difficoltoso, egli deve

rimanere fedele alla propria idea e ai propri principi.

I colori e l'immagine

Riguardo al colore Tarkovskij scrive che l’effetto troppo “attivo” del colore andrebbe neutralizzato con l’alternanza di scene monocrome. Egli spiega che anche se la macchina da presa riprende il reale tende a trasformarlo in <<mostruosa falsità>>. Il motivo è che, attraverso la cinepresa, l’occhio dell’artista perde il suo ruolo. In più la resa meccanica è totalmente diversa dal punto di vista dell’artista. Dunque la tecnologia rende possibile la strutturazione della realtà tramite l’occhio del regista, essa però è filtrata. Diventa infatti quasi impossibile selezionare perfettamente gli elementi coloristici che costituiscono la realtà. Per questi motivi Tarkovskij crede che il bianco e nero riproduca l’immagine in maniera più verosimigliante alla sua verità poetica. Fare un film a colori è una battaglia contro la tecnologia stessa del mezzo che si utilizza.

<<Attualmente il colore nel film è piuttosto un’esigenza commerciale che una categoria estetica11>>

Egli spiega anche che il nostro processo fisiologico e psicologico per cui vediamo e percepiamo il colore è molto complesso e spesso ai nostri occhi la pittoricità di una certa immagine cinematografica può risultarci molto irreale. Per questo persiste nell’obbiettivo di “neutralizzare” il colore. Nel caso però, attraverso il colore, si cerchi di accentuare alcuni aspetti del film si può definire questo un furto alla pittura per generare una reazione nel pubblico. Davanti a certi colori e certe immagini si rimane impressionati e molti film medi vengono esaltati per la meraviglia che riescono a suscitare. Sorge però in questo caso un grande conflitto tra il contenuto e ciò che esprime la fotografia.

Un esempio dell’utilizzo del

Monocromatico in Stalker

L’utilizzo del colore nella Zona

in Stalker

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Il pubblico

Essendo il cinema un’arte che attira le masse, un’arte democratica, sorge il problema di cosa sia veramente il rapporto tra il cinema e il popolo. Tarkovskij si interessa molto a questo e sostiene che l’artista è sempre figlio del suo tempo, è inserito nella società in cui opera e non può rimanere chiuso in se stesso proprio per questo motivo.

Un’ulteriore domanda sorge riguardo alla “libertà” dell’artista: non sarà mai libero. L’artista è incatenato alla propria predestinazione e al proprio dono.

Molte sono le disquisizioni riguardo alla comprensibilità dell’opera d’arte, se questa debba essere capita da tutti ma, a quel punto però diventerebbe accessibile alle grandi masse e questo lo spaventa. Secondo Tarkovskij l’artista non deve abbassarsi ad un livello medio per ottenere maggior successo e maggior comprensione.

Riguardo a questo tema si può anche analizzare l’opinione di Benjamin che in Das Kunstwerk im

Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (1936) scrive

“La ricezione nella distrazione, che si fa sentire in modo sempre più insistente in tutti i settori dell’arte e che costituisce il sintomo di profonde modifiche dell’appercezione, trova nel cinema lo strumento più autentico su cui esercitarsi. Grazie al suo effetto di shock il cinema favorisce questa forma di ricezione. Il cinema svaluta il valore culturale non soltanto inducendo il pubblico a un atteggiamento valutativo, ma anche per il fatto che al cinema l’atteggiamento valutativo non implica attenzione. Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto12”

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L’arte e la sua spiritualità

All’interno di Scolpire il tempo Tarkovskij si interroga riguardo al ruolo dell’arte e al mutamento che sta subendo constatando che con la nascita delle avanguardie del XX secolo l’arte iniziò a perdere la sua spiritualità. Analizza le strade che le arti figurative stanno prendendo e sulle avanguardie scrive:

<<Il concetto di avanguardia nell’arte è privo di significato. Posso comprendere cosa esso significhi applicato, ad esempio allo sport. Ammettere che esista l’avanguardia nell’arte equivale ad ammettere che in essa esista il progresso. Io capisco che cosa significa il progresso: significa macchine più perfezionate, in grado di eseguire meglio e con maggior precisione la funzione ad esse assegnata. Ma come si può essere progrediti nell’arte? A questa stregua, allora, Thomas Mann sarebbe meglio di Shakespeare?>>

Da qui la critica allo sperimentare per superare ciò che esiste già, per il bisogno di adattarsi ai nuovi mezzi e non per esprimere in realtà un’idea ben precisa. Le nuove strutture estetiche hanno portato smarrimento. Tarkovskij critica anche Picasso sostenendo che alla domanda riguardante il significato della sua ricerca egli rispose “Io non cerco, trovo”. Ma il regista non è contro la ricerca solo che questa deve essere reale, sentita e in nome di un ideale.

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L’artista non deve ricercare per il gusto della ricerca, perché non sa effettivamente cosa dire. Il contenuto della sua opera deve nascere da una necessità profonda, un bisogno di dire qualcosa da cui nasce un’idea chiara e nel cinema questo processo deve avvenire prima di iniziare a filmare.

Inoltre Tarkovskij puntualizza sul fatto che non si possono considerare certe opere obsolete. Non si potrebbe mai considerare la Divina Commedia un’opera “vecchia” mentre con i film questo continua ad accadere. Quando Tarkovskij scrive, il cinema sta ancora formandosi e acquisendo il suo linguaggio, ma la problematica riguardava il pensiero dei cineasti stessi, consideravano il cinema un’arte di secondaria importanza.

L’artista deve ricercare il metodo per trasmettere il proprio pensiero non per soddisfare sé stesso e godere delle sue abilità tecniche. L’arte è l’unico messo per esprimersi e non può essere una ricerca gratuita.

“La creazione artistica, infatti, non è soltanto un metodo che esige determinate capacità professionali, essa è il modo stesso di esistere dell’uomo, l’arte ha l’unico scopo di arricchire le capacità spirituali dell’essere umano”

Andreij Tarkovskij “A Poet in the Cinema” intervista di Donatella Baglivo.

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Filmografia

L’infanzia di Ivan

Trama

Ivan è un ragazzo di 12 anni che ha perso i genitori per mano dei nazisti. Questo lo spinge a collaborare con i partigiani e successivamente si arruola impegnandosi in pericolose spedizioni. Rientrando da una di queste, a causa di una deviazione incontra il tenente Galcev, il quale sospetta che il ragazzo sia una spia nazista. Così decide di metterlo in contatto con il capitano e il colonnello e il ragazzo fornisce loro moltissime informazioni utili sul nemico. Per evitare ulteriori pericoli i due ufficiali decidono di mandarlo alla scuola di guerra nelle retrovie.

Ivan, essendo contrario, decide di evadere ma Cholin il capitano riesce a raggiungerlo.

Cholin decide di portare il ragazzo con sé mentre durante una tregua il tenente Galcev si impegna a corteggiare una ragazza responsabile dell’unità medica la quale però preferisce l’approccio di Cholin. Qui la sequenza nel bosco di betulle che rompe con la crudezza della guerra apre un breve spiraglio di quiete per lo spettatore.

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Ma è proprio in questo momento che la guerra si impone distruggendo la breve tregua e due uomini vengono impiccati. I corpi vengono lasciati sulle rive del fiume come monito per i compagni.

Cholin però decide di recuperare i cadaveri andando contro l’artiglieria che glielo impedisce.

Durante l’avvenimento, Ivan rimane chiuso in una stanza e lo vediamo inscenare un proprio gioco di guerra. In seguito viene incaricato di una missione e accompagnato da Cholin si reca sul fiume per prelevare i corpi.

La guerra giunge al termine e Galcev a Berlino con l’Armata Rossa riesce ad accedere agli archivi che contengono i documenti sulla Gestapo.

In un dossier trova la foto di Ivan e resoconto del processo che lo ha condannato, dopo la detenzione, ad essere impiccato.

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Il film, che era iniziato con una sequenza onirica di immagini su una possibile infanzia di Ivan termina con una sequenza analoga ma la breve inquadratura finale che si abbatte sul tronco spoglio dell’albero

simboleggia la distruzione di questa possibilità di felicità.

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Il film si basa su un racconto dello scrittore russo e di conseguenza la sua struttura non è originale. Però Tarkovkij, come scrive in Scolpire il tempo, fu mosso dalla necessità di raccontare la storia di questo ragazzo per la sua tragicità. Egli sostiene che la morte ha un ruolo speciale in questo racconto in quanto non vi è alcune finale felice, nessun esito consolante. Solitamente nei racconti di questo genere l’eroe se incorre nella morte viene valorizzato per la sua impresa eroica mentre in questo caso, si tratta di un protagonista bambino, privato dell’infanzia e catapultato in mezzo alla guerra. L’ultima tappa è troncata dalla morte del bambino e non vi è alcuna salvezza. E’ proprio per questo elemento che la storia raggiunge il culmine della tragicità. Per questo motivo esprime con forza il carattere innaturale della guerra. Un altro elemento originale è la totale assenza di atti eroici. Le esplorazioni non sono missioni glorificanti (come ad esempio il recupero dei cadaveri), sono azioni che si compiono in guerra e si inseriscono tra gli altri avvenimenti collegando il prima e il dopo, generando molta tensione.

Per queste caratteristiche il regista ritenne che era la storia adatta da trasporre sullo schermo e che attraverso l’immagine cinematografica si sarebbe potuta ricreare l’atmosfera della guerra.

Inoltre l’utilizzo del bianco e nero accentua la tensione e rende tenebrosi alcuni paesaggi nel quale si ambienta la vicenda. Un esempio è la sequenza in barca per recuperare i cadaveri: l’acqua la foresta di notte e i protagonisti immersi nel buio rendono la scena molto inquietante. Inoltre l’acquitrino e lo stagno sono due elementi naturali che il regista inserisce ripetutamente nelle sue opere.

Se si prende in considerazione invece il ragazzo, è proprio Ivan uno dei motivi per cui ha deciso di trasformare questo racconto in un film. Tarkovskij scrive che la sua personalità lo ha colpito nel profondo. Molti registi post staliniani si erano occupati del tema dell’infanzia “eroica” ma

L’infanzia di Ivan resta un’eccezione all’interno dei film di genere. Tarkovskij non ha perso l’occasione e come scrive in Scolpire il Tempo è stato il suo esordio per aggiudicarsi il diritto alla creazione.

<<Allo scopo di giungere a una conclusione definitiva mi sono, per così dire, lasciato andare le briglie. “Se il film riesce,” pensavo, “avrò conquistato il diritto di lavorare nel cinema”. Proprio per questo il film L’infanzia di Ivan ha avuto per me un significato particolare: è stato il mio esame per ottenere il diritto alla creazione.13>>

Le caratteristiche del film sono canoniche: il flashback, l’amore al fronte che viene interrotto, il passato felice, la musica nella sua veste più illustrativa e altre caratteristiche che sicuramente

non rendono la sua struttura così originale . Però la “mostruosità” del protagonista, questo bambino distrutto, un antieroe privato di ogni speranza lo rendono differente nonostante sia inserito nella cosiddetta “nouvelle vague” sovietica.

Fortunatamente, pochi anni dopo, la situazione sarebbe cambiata radicalmente.

Tarkovskij non aveva ancora le idee chiare sull’immagine artistica, sull’idea e sulla forma che organicamente si costituiscono all’interno del film ma questo lavoro gli è servito per maturare le sue convinzioni.

Il paesaggio

Nel libro di Bogomolov, l’ambientazione è ricostruita attraverso minuziose descrizioni ma il paesaggio turbava Tarkovskij e non lo emozionava. In seguito infatti il regista maturò l’idea che il paesaggio debba trasmettere

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qualcosa di profondo nei confronti dell’autore e così quest’emozione si potrà trasmettere allo spettatore. Ottenere l’immagine concreta e compatibile con il racconto risultò molto difficile e Tarkovskij non riuscì a prendersi molte libertà stilistiche a causa del gruppo di lavoro che spesso protestava.

Non suscitando in lui associazioni poetiche o ricordi, cercò di sforzarsi.

Nel film sono presenti quattro associazioni con alcuni suoi ricordi e non a caso coincidono con i momenti esteticamente più poetici del film. Il bosco di betulle, il bunker, il bosco stagnante in seguito all’allagamento e il flashback con la madre.

La memoria è poesia proprio perché il ricordo non rispecchia la realtà dei fatti. La nostra mente lo arricchisce, tramuta un avvenimento in qualcosa di prezioso e di unico. La casa dell’infanzia che non si visita da anni ha un’aura che non avrebbe più se si ritornasse a visitarla.

Questi continui passaggi dal sogno alla realtà furono molto criticati.

Un esempio è il terzo sogno, dove compare il carro carico di mele e i cavalli bagnati al sole.

Tarkovskij anche in questo caso fece ricorso alla sua memoria per ricostruire questa storia. Inoltre riguardo alla rappresentazione in negativo, per riuscire ad ottenerla con il montaggio, decise di riprendere velocemente gli alberi e sullo sfondo il viso della bambina che, per tre volte, passa davanti alla cinepresa.

Spesso durante il film si crearono proteste anche riguardo all’attinenza alla sceneggiatura, ma soprattutto al racconto di Bogomolov. Il regista voleva lavorare sulla memoria, inserire il proprio immaginario poetico all’interno di un racconto molto realistico e crudo per riuscire a trovare una sorta di identificazione

Essendo stato un film problematico alcune delle inquadrature, a detta del regista, sono infelici. Da quella del carro su cui viaggiava il vecchio pazzo, a quella dove Ivan corre lontano inseguito da Cholin; in sintesi, non furono girate con il giusto ritmo, veloci successioni di piani dove avrebbero dovuto essere lunghe e lente.

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Personaggi ribaltati

Masa

L’attrice Valja Malyavina, scelta per il ruolo dell’infermiera Masa, era esteticamente in contrasto con il personaggio del racconto di Bogomolov. Valja era bruna, dai lineamenti dolci e molto fragile.

Per Tarkovskij era importante accentuare il carattere della vulnerabilità. Proprio per questo suo lato, Cholin si sente disarmato nei suoi confronti. Nel racconto di Bogomolov invece ci troviamo davanti ad una ragazza molto mascolina e tarchiata.

Riguardo a Ivan e Cholin,, sono invece due personaggi che non possono trovare pace e sono per questo in antitesi a Masa e Galcev. Galcev porta con sé il ricordo della pace ed è molto colto. E’ proprio lui a mostrare a Ivan l’Apocalisse di Dürer, mentre Ivan sostiene che << i tedeschi non hanno scrittori, li ho visti bruciare i libri in piazza>> un’affermazione pronunciata a causa dell’ignoranza.

L’acqua e altri simboli

Spesso l’acqua è l’elemento centrale delle opere del regista, si ricollega al ricordo, al fluire del tempo, al mondo dei sogni e alla maternità. E’ inoltre il ponte di collegamento tra ciò che è materiale e ciò che è evanescente. Dunque si può considerare come elemento che collega più mondi.

<<Mi è difficile spiegarlo. Ho usato l’acqua perché è una sostanza molto viva, che cambia forma continuamente, che si muove. Tramite essa ho cercato di esprimere l’idea del passare del tempo. [..] Amo molto l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti della natura. Cercano di concentrarsi su uno spazio ristretto e di vedervi il riflesso dell’infinito.>>

Andreij Tarkovskij “A Poet in the Cinema” intervista di Donatella Baglivo.

Per questo motivo, il regista utilizzò l’acquitrino e il bosco allagato.

Altri simboli sono il vecchio che passeggia con la gallina (sensitivo perché percepisce il mondo con una logica differente), e la campana, icona sacra e religiosa che Tarkovskij riprenderà in Andrej Rubale. Inoltre il volo e la caduta sono, come la campana, elementi che assumeranno un valore centrale nell’opera successiva.

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La doppia struttura

Si può notare come nell’Infanzia di Ivan sia presente una sorta di dualità, una doppia struttura che divide la materialità dal piano onirico. I sogni sopracitati appartengono alla dimensione onirica e si contrappongono con forza all’orrore delle spedizioni in guerra, ai soldati impiccati e alla brutalità della violenza. Questo contrasto è reso anche dall’utilizzo del positivo alternato al negativo nelle sequenze dei ricordi. Questa lotta tra luce e ombra è lo scontro tra mondo etico e mondo storico. Citando Kant e la sua visione di un mondo composto di antinomie, qui si esplicita questa distinzione forte che però non si deve considerare storica. Lo scontro tra guerra e pace è etico. Un altro contrasto fortissimo che si esprime in ogni opera di Tarkovskij, ma con più forza in Stalker, è lo scontro tra forza e fragilità. Questo tema è il fulcro del Tao Te Ching.

<<La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l'albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza.>>

(Lo Stalker)

Andrej Rublëv

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Trama

Prologo

Alcuni uomini, nei pressi di una chiesa, preparano una sorta di mongolfiera composta di pelle animale. Tra questi vi è Efim, il quale vuole provare a volare. Dal fiume però si apprestano ad arrivare delle barche e gli uomini al comando delle imbarcazioni sembrano voler impedire l’esperimento. Efim però riesce nell’impresa e dopo aver reciso le corse si alza in volo con il pallone. Vediamo Efim, che in cielo sorvola il paesaggio sottostante. All’improvviso però il pallone si rompe e il protagonista muore cadendo in un fiume.

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Il buffone – anno 1400

L’episodio vede come protagonisti tra pittori di icone: Andrej Rublev, Daniil il Nero e Kirill.

Durante una forte tempesta, i tre pittori cercano riparo dopo un lungo viaggio a piedi e decidono di rifugiarsi in un fienile dove un gruppo di contadine sta assistendo allo spettacolo di un buffone.

Quest’ultimo però inizia a prendersi gioco dei pittori insultandoli con uno scioglilingua. Per questo motivo Kirill offeso esce fuori e nel frattempo fuori a causa di una rissa tra uomini, arrivano dei soldati. Il giullare viene arrestato e Andrej chiede a Kirill dove sia stato nel frattempo. Questi risponde vagamente e i tre pittori riprendono il loro viaggio.

Teofane il greco – anno 1405

Teofane il Greco è un famoso pittore e Kirill vorrebbe collaborare con lui. Così Kirill decide di fargli visita mentre in piazza alcuni ribelli sono sottoposti ad un pubblico supplizio. Teofane decide di opporsi e denuncia la crudeltà che i ribelli stanno subendo.

Poco dopo egli rientra a conversare con Kirill e i due parlano amabilmente di arte e religione. Teofane propone così a Kirill di lavorare con lui per decorare la cattedrale dell’Annunciazione a Mosca. Prima di invitare Kirill però Teofane aveva domandato di Andrej Rublev, che in quel periodo era molto famoso. Per questo motivo Kirill si ingelosisce e decide di fare un patto con Teofane. Egli collaborerà alla decorazione della chiesa solo se questi lo inviterà pubblicamente davanti ai religiosi e davanti a Rublev in persona. Teofane però decide di invitare Andrej e così anche Danill il Nero inizia ad essere invidioso di Andrej. Kirill furibondo vuole abbandonare l’abito mentre Danill si placa e augura buona fortuna ad Andrej.

La passione secondo Andrej- anno 1406

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In un bosco, in compagnia di un ragazzo pigro e molto ingordo di nome Fomà, Teofane e Andrej discutono riguardo questioni etiche e religiose sebbene le loro idee siano molto diverse. Le loro divergenze sono su più campi, da quello artistico a quello religioso ma l’argomento principale è la natura dell’essere umano. Teofane non ha fiducia nell’essere umano, considera l’umanità incapace di compiere il bene e condannata alla dannazione. Al contrario Andrej è molto positivo, ha fiducia nell’uomo e nella sua capacità di fare del bene. Inizia così una sequenza di immagini sulla sua interpretazione della Passione secondo Andrej

La visione ci mostra la salita su un Calvario innevato e un Cristo russo sulla croce.

Fomà nel frattempo si ritrova da solo in un bosco e nota un cigno disteso nella sterpaglia. La discussione tra i due continua mentre Fomà sciacqua i loro pennelli in un fiumiciattolo osservando attentamente il colore che si dissolve nell’acqua.

La festa – 1408

Andrej Rublev e Daniil il Nero sono in barca al tramonto. Dopo essere scesi per passare la notte in un bosco, Andrej si accorge di alcune fiaccole che brillano nella notte e decide di scoprire l’origine della fonte luminosa. Così si imbatte in gruppo di pagani che festeggiano nudi all’interno di un rituale. Andrej viene insultato e crocifisso ad un palo. Una ragazza in seguito lo libera, rivendicando la giustezza dell’amore fisico e sensuale in opposizione ai principi religiosi.

Andrej torna dagli altri e riprendono la navigazione mentre in lontananza i pagani vengono arrestati da delle guardie

Il Giudizio Universale – estate 1408

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Andrej Rublev riceve l’incarico di affrescare una cattedrale e assieme ai suoi aiutanti. Purtroppo però i lavori si bloccano in quanto il pittore si sente in crisi sul modo in cui rappresentare Il Giudizio Universale. Ciò che Andrej non accetta riguarda la religione è il messaggio dell’amore di Dio che però comprende l’aver paura della dannazione eterna e dell’Inferno. Nel frattempo In un palazzo vicino i decoratori che vi lavorano vengono attaccati da delle guardie e accecati.

Il motivo dell’assalto è che il principe non vuole che questi si rechino al servizio del fratello

per decorare i suoi palazzi. Andrej, venuto a conoscenza dell’accaduto, decide di imbrattare di calce la parete della cattedrale. Poco prima di compiere questo gesto si era infuriato su un passo della Bibbia dove si narra del vestiario femminile nei luoghi di culto.

Infatti Rublev è convinto che il popolo non possa essere vittima dell’ingiustizia, il popolo non deve essere sottomesso e reso schiavo. Al contrario deve agire.

Poco dopo una donna sordomuta entra in chiesa e soffermandosi sulla macchia di Andrej, scoppia a piangere.

La scorreria- anno 1408

La Russia verte in condizioni disastrose a causa di molteplici guerre sanguinarie fratricide.

Il principe legittimo ha un gemello che cerca di prendere il potere e, durante l’assenza del fratello, tenta di rovesciarlo. La chiesa non era riuscita a placare questa faida e il gemello del principe decide di allearsi con i tartari per occupare Vladimir, la città dove Rublev sta dipingendo la cattedrale.

Buona parte della popolazione si è rifugiata proprio in questa città ma perfino la chiesa viene occupata e color che si erano rifugiati vengono sterminati. Andrej coraggiosamente riesce a salvare la ragazza sordomuta uccidendo un soldato e mentre la città cade a pezzi egli ha la visione di Teofane. Quest’ultimo era morto da un po’ di tempo e nel sogno i due hanno una discussione. Teofane vorrebbe che Andrej continuasse a dipingere ma il pittore decide di interrompere la sua attività e praticare il silenzio.

Il Silenzio- anno 1412

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Andrej si è ritirato con la ragazza sordomuta in un monastero. Egli si dedica a umili mansioni ed essendo un periodo di carestia, i più affamati cercano rifugio nel convento.

Assistiamo anche all’arrivo di Kirill che chiede di essere riammesso. Kirill viene accettato alla condizione che trascorra il resto della sua vita a trascrivere le Sacre Scritture. Nel frattempo i tartari arrivano al monastero e la ragazza li avvicina. Infine scappa con loro sperando di diventare la moglie russa di uno dei soldati.

La Campana- anno 1423

Un’epidemia di peste si è abbattuta sulla Russia e i sottoposti del principe stanno cercando un fonditore di campane. Questi vengono indirizzati verso la casa di un ragazzo, Boriska, il cui padre era il solo fonditore dell’intera zona. Boriska offre il suo aiuto e sostiene di aver ricevuto dal padre tutti gli insegnamenti necessari per compiere il suo lavoro. I messi del principe lo minacciano di morte nel caso di fallimento e il ragazzo li segue per assolvere al suo compito. Boriska è perennemente insoddisfatto del suo lavoro e per questo i preparativi sono molto lunghi. Egli non sa quale tipo di argilla utilizzare né quale fornace Inoltre non sa dove posizionare la campana. Il ragazzino è molto autorevole con i contadini che dirige per aiutarlo in questo compito e non mostra timidezza neanche con i sottoposti del principe. Anche Andrej è affascinato dal suo carattere ma non proferisce parola mantenendo il sul silenzio, Andrej inoltre incontra il giullare che molto tempo prima era strato arrestato nel fienile e questi gli dà la colpa. Kirill però ammette di essere il colpevole e vorrebbe convincere Andrej a tornare a dipingere.

Nel frattempo inizia il processo di fusione della campana e dopo moltissimo lavoro nonostante le condizioni sfavorevoli, i servi del principe arrivano sul posto per constatare che il compito sia stato concluso e che la campana funzioni.

L’esperimento riesce alla perfezione e la campana diffonde il suo suono per chilometri. Successivamente Boriska, in lacrime, confida ad Andrej di non saper assolutamente i segreti del mestiere del padre e che il suo tentativo è stato azzardato. Andrej lo consola e decide di condurlo al monastero e in giro per la Russia. Andrej torna dipingere e il ragazzino lo accompagna continuando a eseguire il mestiere di suo padre.

Epilogo

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Nelle scene finali del film appaiono sullo schermo, per la prima volta i colori.

Ci troviamo di fronte a diverse immagini con i particolari delle opere di Andrej Rublev segnate dal tempo:

-la Natività,

-la Trasfigurazione

-La Resurrezione di lazzaro

-La Trinità Angelica

-Il Salvatore

La sequenza di immagini è stata ottenuta mediante l’utilizzo di carrelli orizzontali con movimenti in avanti e indietro. Inoltre vi sono anche spostamenti in verticale e alcune dissolvenze.

L’ultima dissolvenza, dopo che la macchina da presa si è staccata dall’inquadratura del Salvatore, mostra le immagini di un paesaggio durante un temporale. Le uniche presenze sono quattro cavalli che pascolano sul fiume.

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La Struttura

Il dibattito sul prologo

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Il regista, prima di girare il film, aveva immaginato una struttura narrativa completamente diversa, come un racconto unitario e non diviso in episodi. Il copione non era una semplice sceneggiatura, era articolato come vero e proprio romanzo e vi è una differenza con la sua trasposizione cinematografica.

Se si prende in analisi il prologo, si nota subito una differenza sostanziale.

Nel film, vediamo Efim, che dopo la costruzione della mongolfiera, spicca il volo. Nel romanzo invece abbiamo la descrizione di un soldato cristiano che sta per morire a seguito di una battaglia contro i tartari. L’attenzione si sposta in seguito su uno dei guerrieri tartari che cade a terra da cavallo dopo che questo lo aveva trascinato ferito. Il guerriero era morto da molto e in quel momento cade a terra << sbalzato dal folle galoppo della giumenta che corre verso il sole14>>

Nel film noi però assistiamo solo all’episodio di Efim che per la sua dinamica sembra sia una presa in giro nei confronti del protagonista. Egli decide coraggiosamente di spiccare il volo e viene annientato, come se fosse uno scherzo del destino, una beffa. Vi è dunque un’analogia per la caduta che nel romanzo spetta ad un uomo crudele mentre nel film colpisce un ragazzo innocente con il desiderio di sfidare le sue capacità.

Se poi si analizza la scena della campana, forse il regista intendeva sostenere l’idea che gli sforzi se sorretti dal popolo vanno a buon fine e quindi il singolo individuo così può riuscire nel suo intento.

Ma questa interpretazione non sembra così plausibile.

Nel romanzo si può associare la tragica caduta di Efim all’episodio del cavallo.

<< Con fragore d’acciaio, nitriti e grida di morte, si alza nel cielo un odio secolare, per poi ricadere a terra>>

Questa scena all’interno del film è molto particolare e non presenta l’atrocità della scena del romanzo (l’episodio del tartaro).

La terra viene inquadrata con un fermo macchina

E subito dopo vi è un cavallo che si rovescia con un’analogia al prologo del romanzo ma con un significato completamente differente

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Nel romanzo è presente un cavallo che si rovescia con il ventre dilaniato e infine assistiamo alla caduta del tartaro mentre il suo cavallo corre via.

Nel film l’episodio del tartaro risulta assente e il cavallo si rovescia come indicare il cielo e non è ferito.

Togliendo l’elemento di atrocità dal film, l’autore si è concentrato sul rapporto uomo-natura e animale-natura ma anche sul rapporto uomo-società.

Il cavallo così come la terra sono elementi pregnanti di significato.

Cadendo dalla mongolfiera, come il tartaro dal cavallo, Efim si ricongiunge alla Terra e questo allude al ciclo vitale. Il cavallo invece è una figura ambigua e può avere significati molteplici.

La sua connotazione più negativa è quella popolare. Molti popoli hanno per secoli associato il cavallo all’oscurità del mondo sotterraneo mentre il cavallo nero nella cultura russa pagana simboleggia la vita, l’energia vitale della natura.

Nel film ricorrono spesso simboli pagani, Andrej stesso si abbatte in un rituale di sacrificio e qui vi è la discussione con la ragazza la quale fa capire ad Andrej che la religione innesca la paura nei confronti del piacere e della sensualità.

L’elemento di dualità nell’opera d’arte è sempre presente nelle opere di Tarkovskij. In Scolpire il tempo, egli analizza questa componente parlando del ritratto di Ginevra Benci di Leonardo. Questo ritratto oltre ad essere straordinario tecnicamente, desta interesse proprio per l’ambiguità della donna. Per il regista è sia bella che ripugnante e la sua bellezza scaturisce da questo.

Tornando al film e al romanzo, è proprio grazie al prologo del copione “Si alza nel cielo, un odio secolare per ricadere a terra” che riusciamo a capire la sorte di Efim.

La sorte che gli spetta è legata alla natura storica del film in quanto, per il regista, l’artista non può creare, non è libero di creare, se trascura il suo popolo, se non si sente figlio del suo tempo. L’artista è inevitabilmente legato al suo periodo storico.

Andrej Rublev è stato un film difficile, è uscito dopo 6 anni e il regista è stato perseguitato dal totalitarismo sovietico. Inoltre è stato accusato di spavaldo marxismo e le autorità sovietiche hanno visto il film come un tentativo di descrivere la Russia contemporanea del regista attraverso una grande metafora.

Il contesto storico

All’inizio degli anni 60 hanno inizio i lavori di realizzazione del film che a causa della censura verrà conosciuto anni dopo. Il film verrà distribuito negli anni ’70 e in quel periodo ha iniziò il disgelo.

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I dibattiti della fase krusceviana però non sono terminati e il film viene oscurato. Anche il regista ha delle ripercussioni ma c’è chi lo difende. Un esempio è Grigorij Kozincev, regista sovietico che difende il film dalle diverse accuse, tra queste vi erano anche accuse di “violenza”.

Sono anche altre le voci favorevoli come quella di Gerasimov, che considera il film l’unico film storico capolavoro dopo Ivan il Terribile.

L’estetica e il simbolismo

Tra gli elementi che Tarkovskij ha a cuore vi è la Terra. Essa è un simbolo forte che onnipresente all’interno del suo cinema ed è il simbolo dell’inspirazione e della fatica, è l’elemento che suggerisce l’orizzontalità, il luogo dove l’uomo poggia i piedi, nasce e muore.

Il Tempo è inevitabilmente legato alla terra e attraverso di essa si materializza. Ritmo e tempo si esplicano attraverso di essa e il ritmo, che è la componente principale del film, attraverso di essa vi è il passaggio del tempo all’interno del piano.

Il montaggio invece, citando le sue parole, è << la variante ideale del collage dei piani>>

La pressione temporale in Andrej Rublev

Nell’episodio della Passione secondo Andrej vediamo il pittore che cammina con il suo aiutante Fomà. Egli viene rimproverato per la sua trascuratezza e gli ordina di medicarsi le ferite delle api con del fango. In questa scena la macchina da presa segue attentamente ogni movimento dei personaggi e all’improvviso viene inquadrato Teofane, come se la macchina stessa si fosse accorto di lui. Ed è qui che prende forma l’immaginazione di Andrej e vediamo le immagini della Via Crucis.

Bisogna notare che però l’ultima inquadratura è proprio su Fomà. Il ragazzo non è che un sempliciotto, non un aristocratico né un pittore ed è proprio lui, nonostante la sua mancanza di cultura, che ha il rapporto più vero con la natura. Si dispiace nel trovare il cigno morto nell’erba e si meraviglia nel veder scorrere le macchie di colore nel ruscello.

E’ in questa scena che si manifesta il pensiero del regista sulla conoscenza e la natura. Per Tarkovskij l’amore per la natura, per le piccole cose, è il più importante. La conoscenza è utile solo quando l’uomo eleva la sua coscienza e la sua sensibilità facendolo accorgere della bellezza reale del mondo. La cinepresa porta i nostri occhi sulle tre figure ma il Tempo seleziona quella che è in simbiosi con la Terra.

Ed è proprio quest’ultima che Tarkovskij continua a ricercare attraverso i piani dall’alto (se pensiamo al volo di Efim) o al cielo riflesso nell’acqua, le particelle di colore nel ruscello e i piani medi per mostrare quanto è vasto il paesaggio.

Riguardo invece all’elemento verticale, il cielo, possiamo far riferimento all’inquadratura di Boriska quando scava nell’argilla. Il ragazzino trova una radice e la segue fino ad arrivare ad un albero altissimo e maestoso. L’albero collega il piano della terra con quello del cielo.

In seguito lo sguardo si inverte per tornare sulla terra.

L’eredità di Ejzenstejn

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In questo film si può notare come in realtà Tarkovskij, il quale ha sempre criticato Eizenstejn, non gli sia così distante. Il regista lo accusa di “facilità del ritmo” e gli muove critiche sull’idea di montaggio ma in realtà sono presenti citazioni inconsce. E’ proprio Ejzenstejn che parla della dualità in Leonardo e questo lo ha influenzato moltissimo. Ejezenstein ritiene che Leonardo, prima di essere un modello per l’arte, è un modello come artista.

In Tarkovskij si nota chiaramente come la dualità sia della natura e dell’uomo sia un tema centrale. Non solo, in film come Stalker, Tarkovskij concentrerà la sua attenzione proprio sulla dualità anima-corpo.

Nel film di Ejzenstejn , Alexandr Nevskij, vediamo il recupero del passato, la ricerca di un’epica del ritorno. Anche Tarkovskij si serve del passato, non per esaltare la storia ma per cercare le radici della spiritualità umana. Entrambi però rileggono il passato e parlano della loro terra e della loro identità.

Il simbolismo nei personaggi

La ricerca della natura dell’essere umano, nella sua dualità è uno dei temi centrali del film e attraverso i personaggi si può analizzare questo tema.

Il giullare

Nel romanzo è accentuato l’aspetto del giullare, il quale è descritto come un ometto di bassa statura, gracile e con una testa molto grande. Inoltre è svestito e agita braccia e mani mettendo in mostra le sue nudità.

Questo personaggio incarna la ribellione e si ricollega con forza all’episodio della festa pagana. Il giullare e la ragazza nuda simboleggiano la perdizione e i piaceri carnali ed è per questo che Kirill denuncia il giullare alle guardie; non riesce a sopportarne l’atteggiamento. Quando Kirill sostiene che i buffoni sono segni del Diavolo, e il demonio simboleggia proprio il lato animale dell’essere umano.

I soldati e le guardie

In ogni episodio sono presenti dei soldati, delle guardie, i tartari e i servitori del principe che interrompono un’azione o bloccano un personaggio arrestandolo. Queste azioni si comprendono analizzando il film sul

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piano simbolico e ritornando al concetto di creazione. Quando un uomo vuole realizzare qualcosa, soprattutto quando l’artista vuole realizzare un’opera se è in comunione di intenti con gli altri è facilitato. Il popolo non deve essere sottomesso, bisogna allearsi per raggiungere i propri scopi. E chi è l’artista senza il popolo? Quando Andrej decide di interrompere la sua attività di pittore, Teofane gli risponde: “Non è a te stesso che toglieresti una gioia, ma agli altri uomini”. L’arte non ha ragione di esistere se non c’è comunicazione. Le guardie dunque rappresentano i blocchi interiori ed esteriori che l’essere umano incontra quando sfida se stesso, quando cerca di produrre qualcosa. Infatti la preoccupazione delle guardie quando arrestano il giullare, è quella di togliergli gli strumenti.

Nel caso dell’episodio della festa, l’arresto dei pagani simboleggia invece l’interruzione del piacere, la censura.

La sordomuta

Andrej è indeciso su come rappresentare il Giudizio Universale ed è assalito da molti dubbi che lo portano ad imbrattare la parete. In quel momento la sordomuta entra in chiesa e viene colpita dalla macchia.

Questo personaggio silenzioso si oppone alla figura del buffone, personaggio chiassoso e volgare.

La sordomuta è inoltre colei che tradisce Andrej per tentare la sua sorte con i tartari che sono il miglior offerente. Questo gesto è simbolico e si riallaccia al discorso sul popolo. La sordomuta abbandona il suo popolo per andare con i tartari ed è per questo che rappresenta la perdita di identità: è il simbolo di un popolo che ha perso la coscienza della sua appartenenza.

Nel romanzo questo gesto è amplificato essendo la donna chiamata Innocente. Inoltre è incinta di Andrej e il suo tradimento è molto più crudele. Nel romanzo partorisce e il figlio assomiglia ad un tartaro.

I Tartari

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I Tartari potrebbero essere la raffigurazione del male ma ad accompagnarli vi è sempre un russo, come a significare che il popolo è stato complice, ritornando al concetto di perdita della dignità e identità.

Mentre si trovano nella cattedrale distrutta inizia una discussione tra Khan e il Principe. Quando Khan vede la raffigurazione della Vergine Maria si chiede come faccia ad avere un figlio. Inoltre l’atteggiamento dei tartari è sprezzante, si chiedono l’utilità dell’arte che per loro è semplicemente un dipingere sui muri, un gesto infantile.

Ma i Tartari forse più che simboleggiare il male, simboleggiano la catastrofe, la calamità naturale che ciclicamente si abbate su un paese.

Fomà

Fomà nella sua semplicità è colui che è più vicino alla natura e nella sua semplicità riesce a comprendere la bellezza e a meravigliarsi delle piccole cose.

La sua fine tragica è simbolica, se prima lo vediamo nel ruscello disperdere le piccole particelle di colore, al momento della sua morte osserviamo il fiume colorarsi del suo sangue.

Boriska

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Il personaggio di Boriska ha un importantissimo valore simbolico collegato proprio al momento della sua apparizione nel film. Se la ragazza sordomuta e le circostanze esterne spingono Andrej al silenzio, Boriska che è associato alla campana, spezza il voto di Andrej facendogli tornare la voglia di produrre arte. Proprio come la ragazza, Boriska piange, i loro comportamenti si assomigliano e uno sostituisce l’altro dando inizio ad un nuovo momento della vita di Andrej, in questo caso la rottura del silenzio.

Teofane il Greco

La personalità di Teofane si contrappone a quella di Rublev. Egli è scettico nei confronti dell’umanità, non ha fiducia nelle sue possibilità e questo si riflette anche nelle sue opere.

Teofane dipinge per Dio e non per gli uomini. Egli è anche molto severo con i suoi allievi e punisce l’ambizione sfrenata come accade con Kirill, nel momento in cui si ingelosisce di Andrej.

Andrej Rublev e l’artista

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Inclinando la testa come fanno i vecchi, Teofane guarda fisso l'affresco e dice: " Che bellezza..." Schioccando la lingua si gira di nuovo verso Andrej che sta in piedi nel centro della cattedrale

, con le braccia tese, e afferra i primi fiocchi. Teofane sorride." Ascoltami, non smettere. Non è a te stesso che toglieresti una gioia, ma agli altri uomini." gli dice sottovoce." Nevica - continua Andrej invece di rispondere - e non c'è niente di più tremendo che vedere nevicare dentro una chiesa, è vero?14"

Si può notare il parallelismo tra Andrej Rublev e il regista. Andrej rimane in silenzio, proprio come il silenzio a cui è stato costretto Tarkovskij con la censura. Nel momento di crisi Andrej Rublev rimane sospeso, come la campana, tra terra e cielo, alla ricerca di una presa di coscienza, di una religiosità più terrena. Con la rottura del silenzio, torna a fare arte, quelli che poi verranno definiti i suoi capolavori. Per Tarkovskij è lo stesso, con Lo Specchio si apre una nuovo periodo.

Il Colore

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In questa sequenza la macchina da presa simboleggia una presa di posizione morale e nell’introduzione del colore si esplica la rinascita dell’artista.

Le braci ardente infuocate simboleggiano la rottura del silenzio dell’artista e il ritorno ad aver fiducia nell’uomo e nell’arte. Dopo l’inquadratura fissa sul Salvatore, filmare la superficie nei suoi particolari, ovvero una superficie che porta i segni del tempo esprime nella sua totalità il pensiero dell’artista sull’immagine cinematografica e sul valore dell’opera d’arte.

Andrej ha riconquistato l’amore e la fiducia.

Infine cade la pioggia e vediamo i cavalli che ora sono in pace sottolineando la contrapposizione al cavallo nero caduto che tenta di rialzarsi puntando i suoi zoccoli verso il cielo.

L’icona, la Sophia e l’immagine in Andrej Rublev

Attraverso questo film Tarkovskij affronta il tema del problema dell’immagine cinematografica che si ricollega con forza con il discorso sull’icona. Questa riflessione riguarda la sua visione del sacro e il ruolo che

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assume l’arte. Dunque si pone la domanda su cosa sia la creazione e in un intervista dichiara che l’arte è come una preghiera attraverso la quale l’essere umano esprime le sue necessità e le sue speranze.

L’utilizzo degli episodi non è casuale, egli si rifà alle vite dei santi e inserisce tre episodi che possiamo definire tre micro-passioni. Attraverso il suo percorso Andrej affronta diversi ostacoli, viene tentato, si domanda il senso della creazione e dell’esistenza e infine riesce a capovolgere la sua visione trovando se stesso ma capendo anche come raffigurare Dio. Rublev deve affrontare la paura di un Dio giudice e la tentazione dionisiaca pagana che simboleggia la spiritualità della natura e la sensualità.

Con quest’opera il regista ha cercato la strada per rappresentare il sacro, non solo ponendo l’accento sul tema religioso e sulla visione che l’uomo ha dell’icona e di Cristo, ma ha sfruttato il mezzo cinematografico per portare lo spettatore verso la comprensione della natura. Il mondo, con il suo tempo e i suoi ritmi racchiude il divino. Vi è dunque una sorta di religiosità naturalistica, Dio non è solo in cielo e la chiesa che si innalza con la sua architettura non è il tramite per la sua conoscenza. Essa si pone tra l’uomo e il cielo ed è la casa del fedele, ma è nella natura, nella forza delle sue componenti, che l’uomo incontra davvero la spiritualità. Quando nell’epilogo, attraverso i movimenti laterali e verticali della cinepresa riusciamo a notare le crepe del tempo sui dipinti, stiamo osservando il manifestarsi della temporalità. La pioggia poi corrode l’immagine che però ritorna alla vita nell’immagine successiva.

Questo concetto ci rimanda al mistero della Sophia, (l’immagine di Dio in se stesso). Dio si manifesta a sé, in seguito nel mondo. Di conseguenza Cristo si realizza nella bellezza della natura che è divina.

Questo naturalismo cristiano è ripreso da autori come Dostoevskij e Tolstoj, i due scrittori che il regista ama più profondamente. Inoltre le sue riflessioni nascono anche dal modo in cui il cristianesimo si è diffuso in Russia. Tarkovskij parla dell’ambiguità di Ginevra di Leonardo da Vinci e costruisce un parallelo proprio con le icone di Rublev.

Il mistero che si cela dietro di essa racchiude il significato della forza vitale della natura e il mistero divino. Un’opera inoltre può essere vista da più punti di vista, presenta più facce proprio come il ritratto di Ginevra. Così è anche l’immagine cinematografica, la quale presenta al suo interno leggi temporali appartenenti alla realtà, le quali vengono superate nel momento in cui lo spettatore inserisce se stesso nel film, completando con il proprio vissuto l’immagine.

<<C’è stata un’epoca in cui pensavo che il cinema fosse l’arte più democratica e, a differenza delle altre arti, agisse in maniera totale sullo spettatore. Mi dicevo che il cinema è innanzitutto una registrazione di immagini, di immagini fotografiche, scevre da ambiguità, e che, quindi, deve essere recepito da tutti gli spettatori allo stesso modo. Cioè che il film, grazie al suo aspetto univoco, è uguale per tutti, almeno in una certa misura, s’intende. Ma mi sbagliavo. Bisogna trovare ed elaborare un criterio seguendo il quale si possa agire su ogni spettatore individualmente, in modo che l’immagine totale diventi immagine privata (come succede con l’immagine letteraria, pittorica, poetica, musicale). Il segreto mi pare sia quello di mostrare allo spettatore il meno possibile, in modo che, in base a questo minimo recepito, lo spettatore possa farsi, per conto proprio, un’idea di tutto ciò che rimane inespresso. È su questo che, a mio parere, deve costruirsi l’immagine cinematografica. Se si vede la cosa dal punto di vista simbolico, allora nel cinema

il simbolo è quello della natura così com’è, della realtà. Dove ciò che è importante non è il dettaglio! Ma ciò che è recondito!». Per poter comunicare individualmente, ossia per poter chiamare lo spettatore a una lettura responsabile, l’immagine deve mostrare il mistero della «natura così com’è, della realtà15» >>

Solaris

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Trama

Il protagonista del film, lo psicologo Kris Kelvin, è stato incaricato di esplorare la stazione spaziale in orbita sul pianeta Solaris. Il motivo della missione riguarda alcune voci riguardo a fenomeni paranormali avvenuti a bordo della stazione e l’ipotesi è che la causa sia proprio il pianeta stesso. Infatti la sostanza che compone Solaris è una sorta di liquido pensante.

Prima di partire per Solaris, Kris trascorre un’ultima giornata insieme al padre nella loro casa in campagna.

Una volta arrivato sulla stazione orbitante, il protagonista viene a conoscenza del suicidio di Gibarjan e prima di morire ha lasciato un messaggio che spiega i pericoli in cui possono incorrere gli abitanti della stazione.

Dopo essere stata bombardato con delle radiazioni, Solaris ha risposto facendo materializzare le ossessioni e gli incubi dei protagonisti. Infatti oltre a Kris, sulla nave vi sono altri due personaggi, Sartorius e Snaut.

Kelvin comincia così a rivedere la sua compagna morta da tempo e questa nonostante egli tenti di liberarsene ricompare continuamente. La sua personalità si definisce sempre di più donandole i connotati di un vero essere umano. Così tra i due nasce una sorta di relazione. In seguito Harey, la compagna di Kelvin, tenta il suicidio con l’ossigeno liquido in quanto si sente di essere solo un ostacolo per lui.

Sartorius nel frattempo pensa a come distruggere il magma e vuole servirsi di un “annichilatore” di particelle e invia nello spazio l’encefalogramma di Kelvin dato che i fantasmi si manifestano sempre alla fine del sonno. Kelvin si addormenta e al suo risveglio apprende che Harey si è sottoposta all’”annichilatore”, ma anche gli altri ospiti sono spariti.

Appena dopo vediamo Kelvin sulla Terra, nella sua casa di campagna, inginocchiato davanti al padre.

Attraverso l’uso del dolly ci allontaniamo sempre di più dalla casa di Kelvin e scopriamo che questa è situata su una delle isole di Solaris.

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La metafisica e la fantascienza

<<In Stalker come in Solaris ciò che mi interessava meno di tutto era l’elemento fantascientifico>>

(Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo)

Tarkovskij con questo film rientra nella categoria dei film di genere anche se si può affermare che Solaris non è semplicemente un film di fantascienza.

Alla base del film vi è l’omonimo romanzo di Stanislaw Lem del 1961. Fu tradotto in italiano una prima volta nel 1973 e in seguito 30 anni dopo in concomitanza del remake di Soderbergh.

Se le caratteristiche del romanzo lo riconducono al genere fantascienza, all’interno si può riscontrare una grande riflessione filosofica ed è quello che ha interessato il regista: il rapporto scienza-morale.

Sicuramente alcuni elementi del romanzo lo ricollegano all’Invasione degli ultracorpi di Don Siegel oppure a Do Androids Dream of Electric Sheep? Di Philip K Dick, ma uno degli accostamenti che si può definire sviante è quello con 2001: Odissea nello spazio. Solaris è stato definito la risposta sovietica al film di Kubrik ma la poetica del regista russo si discosta fortemente da quella di Kubrik.

Per il regista russo in Solaris, i troppi elementi fantascientifici distraevano dal tema principale, dalla riflessione metafisica sull’esistenza e da quella sulla morale.

Il film si può dunque definire un film di transizione nella filmografia del regista e con Lo Specchio e Stalker emergerà finalmente il pensiero dell’autore nella sua completezza.

Inoltre il film, passato attraverso il doppiaggio è stato molto distorto, soprattutto nella versione italiana. Molte scene sono state tagliate e le riflessioni dei personaggi sono totalmente ribaltate nel loro significato. Nell’edizione italiana curata da Dacia Maraini, i personaggi hanno voci ridicole e i loro dialoghi non assomigliano neanche vagamente a quelli pronunciati nell’originale.

La riflessione sulla Scienza

<< Si può dire che dopo un lungo processo storico siamo arrivati nella nostra civiltà a un punto di conflitto nel livello dell’uomo, c’è un enorme conflitto tra il progresso scientifico-tecnologico e quello spirituale dell’uomo, e noi continuiamo ancora ad aumentare questo dislivello, motivo principale della nostra attuale drammatica situazione>> (Andrej Tarkovskij “A Poet in the Cinema”, intervista con Donatella Baglivo)

Per il regista l’umanità è sull’orlo della distruzione a causa del divario tra queste due componenti dell’uomo, quella materiale e quella spirituale. Attraverso Solaris Tarkovskij cerca di far comprendere i limiti della conoscenza come emerge in molti dialoghi come ad esempio quello iniziale tra Kelvin e suo padre

<< Non si tratta solo della stazione di Solaris, ma dei limiti da dare alla conoscenza umana>>

Come nell’Infanzia di Ivan (Ivan-Cholin-Galcev), in Andrej Rublev(Andrej- Teofane-Kirill)e come si troverà anche in Stalker (Stalker-Professore-Scrittore), siamo davanti a una triade di personaggi i quali assumono posizioni diversificate. Sartorius è lo scienziato razionale, un po’ come Teofane il Greco. Snaut sta nel mezzo, accetta il reale e non cerca di plasmarlo e controllarlo come fa invece Sartorius con Solaris.

Kelvin invece ha una maggiore sensibilità ed è uno psicologo.

Con questa triade di personaggi il regista vuole far capire che i problemi legati alla scienza non si possono risolvere se l’essere umano non tiene conto della sua componente spirituale.

Questa riflessione si esplica in un dialogo all’interno del film dove Kelvin pone una domanda

“ Ma perché andiamo a frugare nell’universo se non conosciamo nulla di noi stessi?”

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Faust: il problema dell’immortalità

Faust nel romanzo è disperato perché la sua anima sarà dannata e vivrà in eterno mentre lui vorrebbe che sia ceduta agli elementi della terra come quella delle altre specie animali.

Le continue resurrezioni degli spettri dell’inconscio mettono a confronto le tre posizioni dei personaggi.

Sartorius sostiene che l’unica verità è quella scientifica, non si preoccupa dell’anima e della componente spirituale, trova soluzioni pragmatiche al di là dell’etica e della morale mentre per Snaut la scienza è al servizio dell’uomo.

Inoltre la differenza tra Sartorius e Kelvin si esprime anche nel dibattito su Gibarjan: Sartorius sostiene si sia ucciso per vigliaccheria mentre Kelvin sostiene sia stata la vergogna, l’unico sentimento che salva l’essere umano.

In aggiunta, Kelvin non solo capisce l’insensatezza di una ricerca che punta ad analizzare esclusivamente il mondo fenomenico ma cerca di far capire come non esista nessuna verità. Se ci fosse un’unica verità allora non esisterebbe più il mistero della vita e di conseguenza non esisterebbe neanche l’amore e l’arte.

E’ proprio il mistero della felicità, della morte e dell’amore che rende la vita significativa e riguardo all’immortalità dell’anima Kelvin sostiene che non conoscere la data della nostra morte, ci rende immortali.

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Il mondo reale e il mondo onirico

Il film inizia sulla Terra, la casa di campagna immersa nella Natura e circondata da stagni e dalla foresta.

Questi elementi non sono casuali e presentano un forte carattere simbolico. L’acqua come già nei precedenti film è il simbolo della Madre e della vita e proprio in Solaris caratterizza la Terra Madre, il pianeta che il protagonista abbandonerà per sempre o che forse non ha mai lasciato. Inoltre osserviamo una natura morta, la nebbia e la pioggia, componenti del mondo naturale che non solo scandiscono il tempo dell’immagine cinematografica ma che sono associati al ciclo vitale della Natura.

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Anche in quest’opera l’acqua è quella dello stagno e del fiume e sta a simboleggiare il microcosmo riprendendo il pensiero orientale. I giapponesi infatti pongono la loro attenzione non sugli spazi aperti e infiniti ma ricercano l’infinito nelle piccole cose.

Questo ambiente è anche il simbolo della sacralità del nucleo familiare,

Il tempo della Natura viene in seguito messo in contrasto con il Tempo della città, rappresentata in bianco e nero in tutta la sua frenesia attraverso la sequenza in macchina

Prima la sequenza inizia con l’inquadratura del rettilineo e in seguito delle gallerie, successivamente la visuale si apre sullo spazio aperto della città e il linguaggio tecnico si adatta alla forma dello spazio inquadrato. Vi sono molti primi piani, diversi zoom e il bianco e nero alternato al colore. Questa scansione non è come in Andrej Rublev, associata ad un particolare momento. Essa è molto più frequente e non così simbolica come sarà in Lo Specchio o Stalker.

Il film prosegue sulla stazione spaziale e da questo momento in poi si trasforma in un susseguirsi di regressioni temporali nel passato di Kelvin, scene surreali e nevrosi.

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La memoria

E’ proprio Harey, la replicante, ad essere il ponte di kelvin con il suo passato e con la terra madre.

I continui flash nel passato indicano un bisogno di ricerca di identità e il bisogno di ricordare.

Questa figura femminile, priva di coscienza umana comincia a plasmare la sua umanità attraverso Kelvin e nella sua assenza di realtà è paradossalmente l’unico tramite per ritrovarla.

Kelvin ha la necessità di sentirsi di nuovo sulla Terra ed è per questo che attacca anche dei pezzetti di carta ad una ventola per simulare il fruscio delle foglie.

Inizialmente Harey non riesce neanche a riconoscersi allo specchio mentre alla fine del film dice di essere un essere umano, ma non solo <<Io sono voi, la vostra coscienza >>

Dopotutto al protagonista sono rimasti solo i ricordi del reale mentre la sua vita prosegue in un limbo, un sogno ad occhi aperti.

Il carattere onirico è accentuato da scene come quella delle levitazione e del dipinto I cacciatori nella neve

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Dopo una sequenza che illustra i particolari del dipinto, notiamo una casa che assomiglia a quella di Kris e infine possiamo osservarlo da bambino nella neve. Il dipinto di Bruegel era già stato citato in Andrej Rublev.

L’arte

“Per mezzo dell’arte l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Nella scienza la conoscenza umana del mondo procede lungo i gradini di una scala senza fine, venendo successivamente rimpiazzata da sempre nuove conoscenze su di esso che sovente si confutano a vicenda, in nome di verità oggettive particolari. La scoperta artistica, invece, nasce ogni volta come un’immagine nuova e irripetibile del mondo, come un geroglifico della verità assoluta. Essa si presenta come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare intuitivamente tutte in una volta le leggi del mondo – la sua bellezza e il suo orrore, la sua umanità e la sua ferocia, la sua infinità e la sua limitatezza. L’artista le esprime creando l’immagine artistica che è uno strumento sui generis per cogliere l’assoluto. Per mezzo dell’immagine si mantiene la percezione dell’infinito dove esso viene espresso attraverso le limitazioni: lo

spirituale attraverso il materiale, lo sconfinato grazie ai confini17”

L’arte è collegata alla verità spirituale e può essere sentita mentre non può essere spiegata totalmente. Neanche la scienza può esaurire l’essere umano né può spiegare la vita, l’arte invece può avvicinarsi al

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mistero dell’esistenza e a differenza della scienza può elevare spiritualmente. L’artista è, riprendendo Andrej Rublev, colui che concede il suo dono agli altri, egli è un servitore e si sdebita concedendolo.

Un’altra differenza con la scienza riguarda invece le finalità. A differenza della scienza, l’arte non ha finalità pratiche e non dovrebbe avere finalità di lucro. Nell’intervista con Donatella Baglivo, Tarkovskij però parla delle grandissime difficoltà che ha il cinema nell’essere riconosciuto come un’opera d’arte a tutti gli effetti, per esserlo non deve avere fini di lucro basandosi sul condizionamento delle masse. L’unica possibilità è attraverso il suo linguaggio.

Il poeta e lo scienziato

Anche se lo scienziato come l’artista arriva a concepire l’idea tramite l’intuizione oltre che a processi logici, nell’arte l’illuminazione equivale alla rivelazione e per Tarkovskij, alla fede stessa. Nell’arte non si può né si deve convincere gli altri di qualcosa, l’arte si sente e si accetta, oppure no. Un’opera può lasciarci indifferente come può colpirci nel profondo, mentre una teoria scientifica ha bisogno di convincere, di essere confutata.

In Scolpire il Tempo, ragionando sull’artista e il poeta, Tarkovskij cita Dostoevskij proponendoci un passo tratto dai Demoni:

(Scolpire il Tempo, pt 43)

Questa frase esprime con forza il sentimento dell’uomo moderno che definisce << un impotente spirituale>> che presenta una deficienza dell’anima.

Così si può fare un parallelo con coloro a cui non interessa l’arte, coloro che non hanno voglia di rifletterci più di tanto e la bellezza dell’arte è celata a quelli che giudicano e che non guardano veramente.

Inoltre per il regista l’odierna civiltà del consumo nasconde all’uomo moderno cosa sia davvero l’arte e l’essere umano, bombardato e anestetizzato non sente il bisogno di chiedersi il significato dell’esistenza e della coscienza umana.

Lo Specchio

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Un nuovo tipo di cinema

Tarkovskij riuscì a continuare il suo lavoro nonostante le diverse censure ed è proprio grazie alla notorietà di Solaris che ottenne i fondi necessari per iniziare a girare il suo nuovo film: Lo Specchio.

Con questo film si apre una nuova fase ma fu anche l’inizio dell’emarginazione.

Il regista rifiuta di accettare compromessi, non vuole produrre nuovamente un film di genere e questo film infatti ricevette molte critiche, soprattutto dal GOSKINO.

Proprio come Andrej Rublev, fu condannato ad una distribuzione pessima e ritardata.

Molti spettatori, nonostante le numerosissime lettere di critica, scrissero però al regista dicendo di essersi identificate nel suo film ed è qualcosa di straordinario in quanto il film è lo specchio della vita del regista. Come racconta in diversi documentario, nulla in Zerkalo è stato inventato. I ricordi del regista sono alla base del racconto ed è per questo che si può considerare un’autobiografia.

<<Di solito i ricordi sono cari all'uomo. Non è perciò casuale il fatto che essi abbiano sempre una coloritura poetica. I ricordi più belli sono quelli dell’infanzia. A dire il vero, la memoria richiede una certa

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rielaborazione prima di poter diventare la base di una ricostruzione artistica del passato. Qui è importante non perdere quella particolare atmosfera sensuale senza la quale il ricordo, benché ricostruito in tutti i suoi dettagli naturalistici, susciterà in noi soltanto un amaro senso di delusione. È infatti enorme la differenza che intercorre tra il modo in cui noi ci raffiguriamo la casa dove siamo nati e che non abbiamo più visto da molti anni, e l’immediata osservazione di quella casa dopo un enorme intervallo di tempo. Di solito la poeticità dei ricordi va in pezzi scontrandosi con la fonte concreta di essi. Sono persuaso che partendo da tali caratteristiche della memoria si possa elaborare un principio estremamente originale che potrebbe servire da base per la creazione di un film altamente interessante.16>>

La sequenza iniziale

Prima che il film inizi effettivamente vediamo un ragazzo che aiutato da una dottoressa fa degli esercizi per migliorare la balbuzie. Subito dopo il film inizia, e vediamo di spalle l’attrice Margarita Terechova che guarda all’orizzonte

Con uno zoom, la macchina da presa si avvicina a lei e proprio in quel momento la voce del narratore parla di un ricordo. Capiamo dunque che Marija sta aspettando suo marito e la voce del narratore ci avverte che non sarebbe più tornato.

L’attrice non sapeva chi sarebbe arrivato e quando incontra lo straniero che le viene incontro ha un reazione sincera. Questo si rifà alla concezione dell’attore per Tarkovskij che sullo schermo deve vivere veramente i suoi dubbi, i suoi sentimenti. Lo straniero intuisce la solitudine della donna dopo essere caduto dalla staccionata inizia una riflessione sulla natura:

<<non avete mai pensato o avuto la sensazione che le piante sentano e abbiano una coscienza e una capacità di comprensione, siamo noi che corriamo, ci agitiamo, perché noi non crediamo nella natura, non crediamo in noi stessi, abbiamo una certa diffidenza, una certa fretta e non abbiamo il tempo di pensare>>

Poco dopo il medico se ne va ma dopo una folata di vento si rigira guardandola. Il vento è simbolico, rappresenta quell’ultimo sguardo enigmatico e sottolinea il distacco e la solitudine a cui ritorna Marjia.

Questa solitudine sarà poi simboleggiata dalla poesia del padre del regista, Arsenij Tarkovskij. La voce narrante inizia a leggere la poesia ed è qui che si manifesta il concetto della parola-emanazione.

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Le scene a cui assistiamo sono in simbiosi con le parole della poesia che recita così

Primi Incontri

Ogni istante dei nostri incontri

Lo festeggiavamo come un’epifania,

Soli nell’universo tutto. Tu eri

Più ardita e lieve di un’ala di uccello,

Scendevi come una vertigine

Saltando gli scalini, e mi conducevi

Oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti

Al di là dello specchio.

Quando giunse la notte mi fu fatta

La grazia, le porte dell’iconostasi

Furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva

E lenta si chinava la nudità

Nel destarmi: "Tu sia benedetta",

Dissi, conscio di quanto irriverente fosse

La mia benedizione: tu dormivi,

E il lillà si tendeva dal tavolo

A sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,

E sfiorate dall’azzurro le palpebre

Stavano quiete, e la mano era calda.

Nel cristallo pulsavano i fiumi,

Fumigavano i monti, rilucevano i mari,

Mentre assopita sul trono

Tenevi in mano la sfera di cristallo,

E " Dio mio! " tu eri mia.

Ti destasti e cangiasti

Il vocabolario quotidiano degli umani,

E i discorsi s’empirono veramente

Di senso, e la parola tua svelò

Il proprio nuovo significato: zar.

Alla luce tutto si trasfigurò, perfino

Gli oggetti più semplici - il catino, la brocca - quando,

Come a guardia, stava tra noi

L’acqua ghiacciata, a strati.

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E come nel Rullo compressore e il violino vediamo il bicchiere d’acqua mentre intanto alcune gocce di pioggia cadono sull’erba, scandendo il Tempo, emanando il contenuto della poesia che trasmette in modo molto profondo il senso di solitudine della protagonista “sola nell’universo tutto”

Purtroppo la traduzione italiana non riesce come l’originale a trasmettere il senso completo della poesia, e questo Tarkovskij lo farà presente in Nostalghia

Riguardo invece all’autore- narratore, egli è malato e inizia questa lunga riflessione che si costituisce nel film stesso. Il narratore è lo stesso Tarkovskij, che solo per pochi momenti si desta dai suoi ricordi per poi riprendere nel racconto.

Le scene successive sono l’incendio al fienile e il crollo della casa. Qui il regista per rappresentare questo suo ricordo, sceglie l’elemento surreale e il bianco e nero. Questo ricordo è infatti più simile a un sogno.

Come per Solaris, la maggior parte delle musiche sono elettroniche e si fondono perfettamente con l’ambiente e con l’atmosfera conferita dalla scena.

Dopo il crollo delle pareti e la pioggia che bagna la madre del narratore (Marija), questa si guarda nello specchio e si vede invecchiata.

Finito questo sogno, l’azione continua in un appartamento in città dove notiamo sul muro la locandina di Andrej Rublev. Sentiamo la voce dell’autore che parla con la madre e questa lo informa della morte di una sua cara amica. Questa scena è un collegamento con il ricordo successivo, rappresentato in bianco e nero.

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Marija, durante una giornata di pioggia si reca in tipografia ( la madre di Tarkovskij era una tipografa).

Aveva paura di aver licenziato le bozze di una pubblicazione e quando ne parla a Lisa, questa la rimprovera per il suo comportamento da donna emancipata. Capiamo però che la sua vita è stata dura, proprio come la madre del regista che ha fatto tutti gli sforzi possibili per garantire una buona educazione al figlio. Dopo l’abbandono di Arsenj, Andrej aveva capito di dover stare con la madre ma quell’evento lo scosse molto. Il padre del regista se ne andò nel 1935 e ritornò dopo la guerra cercando di portare con sé il figlio.

Si nota chiaramente il rapporto profondo che Tarkovskij aveva con sua madre ma si nota anche l’affetto verso il padre e l’amore verso le sue poesie, che da questo film in poi costituiranno gran parte dei dialoghi pronunciati dai protagonisti oltre che essere lette dal narratore esterno.

La sequenza di scene successive alla tipografia mostra invece gli esuli spagnoli e l’autore ce li mostra in tutta la loro tristezza e nostalgia. Le immagini sono ricavate da alcuni documentari della guerra civile e si accostano a scene di entusiasmo per il lancio dei palloni aerostatici in Unione Sovietica.

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Subito dopo l’attenzione si sposta versoi Ignat. Il ragazzino sta leggendo un libro e scopre Leonardo da Vinci proprio come Andrej che, fin da piccolo, aveva iniziato a dipingere e ad appassionarsi d’arte.

Dunque lui è sia il figlio che l’autore, e Marija è sia moglie che madre.

Il narratore telefona al figlio e gli consiglia di fare amicizia con le ragazze evocando l’immagine di una fanciulla dai capelli rossi. Inizia così il racconto della sua infanzia, ai tempi della guerra quando doveva esercitarsi a lezioni di tiro. In questo caso vi è l’identificazione nel figlio e l’autore recita la parte del padre Arsenj Tarkovskij.

Inizia così una sequenza di immagini che comprende scene di soldati dell’Armata Rossa, la bomba di Hiroshima e alcune sono scene di festeggiamento della fine della guerra.

Ci vengono mostrate anche alcune immagini degli incidenti in frontiera sul fiume Ussuri e queste immagini sono tratte da un documentario sull’isola di Damanskij.

I ricordi proseguono e l’attenzione si sposta sul padre che vediamo tornare dalla guerra. Con il ritorno del padre i genitori però non ritornano insieme proprio come accade al regista da piccolo. Subito dopo assistiamo a una telefonata dove la madre dice di volersi mettere con uno scrittore.

Le visioni portano ora verso il periodo trascorso in campagna lontano dai bombardamenti. Una sera madre e figlio si recano in una casa in campagna per cercare del cibo in cambio di alcuni gioielli. In questo periodo lontano da casa vediamo il bambino crescere e la nascita della sorella. Ha inizio una sequenza onirica dove Marija si alza in aria e una colomba le passa accanto. In questa scena sentiamo Marija parlare con il marito con cui ormai non sta più. Subito dopo la vediamo andarsene e in sottofondo viene letta un’altra poesia di Arsenj Tarkovskij.

Questa poesia è una delle più esemplari, è quella che ci fa comprendere la spiritualità del padre, Arsenj Tarkovskij e il figlio, innamorato delle sue poesie, in un’intervista lo definirà ”Il più grande poeta russo

contemporaneo” Egli esprime qui la sua concezione di immortalità dell’anima che durante la vita è intrappolata in un corpo

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L'uomo ha un corpo solo,

Solo come la solitudine.

L'anima è stanca

Di questo involucro senza connessure,

Fatto d'orecchi e d'occhi,

Quattro soldi di grandezza

E di pelle, cicatrice su cicatrice,

Tirata sulle ossa.

Dalla cornea vola dunque via

Nel pozzo spalancato del cielo,

Sulla ruota di ghiaccio,

Sulle ali d'un uccello,

E sente dalle inferriate

Della sua vivente prigione

Il sussurrare dei boschi e dei campi,

Il rombo dei sette mari.

Senza corpo l'anima si vergogna,

Come un corpo svestito.

Né pensieri né azione né progetti né scritti,

Un enigma senza soluzione.

Chi ritorna sui suoi passi

Dopo aver ballato sul palco

Dove nessuno ballò?

E sogno io un'anima diversa,

In una nuova veste,

Che arde passando dal timore alla speranza

Come fiamma che s'alimenta nell'alcool,

Priva d'ombra,

Che vaghi per la terra

Lasciando a suo ricordo, sul tavolo,

Un lillà.

Corri, bambino,

Non piangere sulla misera Euridice.

Con la tua piccola asta,

Per le vie del mondo,

Sospingi ancora il tuo cerchio di rame.

Anche se udibile

Solo per un piccolo quarto,

In risposta ad ogni tuo passo,

Allegra ed asciutta,

La Terra ti mormora nelle orecchie.

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Dopo la lettura vediamo i vestiti svolazzanti appesi nella casa di legno e il bambino da piccolo nello stagno, simbolo del piccolo mondo naturale attorno alla casa della sua infanzia. L’autore ricorda ora l’episodio di quando trova i genitori a fare l’amore.

Infine vediamo una panoramica in campo lungo che mostra la nonna che cammina vicino al bosco tenendo per mano due bambini. La cinepresa si sposta sugli elementi naturali e la vegetazione e infine torna a filmare la nonna.

Appena dopo viene in quadrata per l’ultima volta da vicino la madre

Infine la cinepresa filma nuovamente la nonna e i bambini e subito dopo, lentamente, si allontana nel bosco nascondendosi dietro agli alberi al tramonto, quasi a simboleggiare la volontà di tornare all’interno del

grembo materno.

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Il Prologo e la rottura del silenzio

Grazie alla terapia dell’ipnosi, Yuri riesce a parlare e lo dice << Io posso parlare>>

In questo prologo possiamo trovare grandi analogie con i film precedenti. Abbiamo di fronte un ragazzo traumatizzato che non può parlare e questo si ricollega all’infanzia traumatizzata di Ivan ma anche al silenzio di Andrej Rublev. Di conseguenza la rottura del silenzio possiamo identificarla con il regista stesso, il quale ha subito sia dei traumi durante la sua infanzia e la sua vita da adulto è stata piena di conflitti e di problemi a causa della censura, dell’obbligo al silenzio.

Con questo film il regista decide di fare cinema secondo il suo sentire, non vuole collocarsi in un genere e ignora le pressioni che gli sono state fatte.

E’ quindi il tentativo di esprimere totalmente se stesso in questo film, attraverso la memoria e tutti gli elementi della sua poetica che si sono già rivelati nei precedenti film.

In questo brevissimo prologo in bianco e nero la cinepresa si sposta ad un certo punto sulla parete e questo potrebbe simboleggiare la distanza tra la dottoressa e Yuri, sottolineando l’elemento distanza che si ricollega alla solitudine.

Questo film nasce da un periodo di malattia del regista ed è proprio per questo che Tarkovskij ha la necessità di ricordare il suo periodo più felice.

La madre

Lo specchio è un film su diverse generazione dove l’elemento del ricordo funge da collante per le diverse personalità attribuite ai personaggi. La madre è anche moglie, Ignat/Alekseij è sia il regista che suo figlio, il padre è sia il regista che suo padre.

La componente materna ha influenzato notevolmente il regista nella sua infanzia soprattutto dopo l’abbandono del padre. Per descrivere questa figura all’interno del film, il regista fa un parallelo con il ritratto di Leonardo da Vinci: Ginevra Benci

<< Ella ci attira e ci ripugna. In lei c’è qualcosa di inesprimibilmente bello e, nello stesso tempo, di ripugnante, di diabolico. Ma di diabolico tutt’altro che nel senso attraente del romanticismo. Semplicemente qualcosa che è al di là del bene e del male.17”>>

Da questo passo emerge l’elemento di dualità del personaggio ma esprime anche quella dell’opera d’arte che conferisce mistero. Un’opera d’arte non può essere conosciuta fino in fondo ma deve essere sentita. Proprio come l’immagine cinematografica che racchiude al suo interno un mondo infinito, reso tale dal rapporto che ha con lo spettatore nel tentativo di completarla, di identificarsi in essa.

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Lo Specchio e il naturalismo cristiano

Nella prima scena appena dopo il prologo, assistiamo al ritratto di Marija seduta sulla staccionata. Dopo l’incontro con lo straniero torna verso casa e i versi della poesia Primi Incontri ricordano proprio i momenti trascorsi con l’ex marito che vengono descritti come un’epifania. Questi ricordi e tutto ciò che li costituiva viene trasfigurato al di là dello specchio ed è questa la metafora più forte che descrive l’immagine cinematografica di Tarkovskij. Ogni frammento di un ricordo privato apparentemente scollegato da tutti gli altri si ricompone e ricollega ad un altro evento specularmente. Un esempio è la separazione dei genitori che si ricollega alla situazione del narratore. Inoltre vi è il simbolismo forte tra la madre e la terra madre: la Russia. Nel film, Marija da anziana, non viene riconosciuta da suo figlio, proprio come la terra patria, culla del pensiero di Puskin, Dostoevskij, Tolstoj e Florenskij. Ritorna così il problema dell’identità già trattato in Rublev.

Per Tarkovskij non ci si può liberare dal rapporto che si ha con la propria terra soprattutto se si è artisti, non si può non tener conto della storia e delle radici della propria patria.

Nel film, la Russia si identifica con il personaggio della madre ma è anche simbolo della spiritualità del cosmo, del << regno al di là dello specchio>> Ritorna così il concetto di sofia, o meglio memoria sofianica, ovvero l’immagine temporale del sacro costituita dal tempo della natura, della terra con i suoi ritmi e la sua forza vitale. La sofia è la memoria divina e sacra e l’immagine cinematografica la rappresenta facendo coincidere il suo tempo con quello della natura. Così si rende possibile la percezione del divino dentro le cose quotidiane, trasfigurate all’interno di uno “specchio”. Questo tempo non è più quello della narrazione ma va oltre la messa in scena dell’immagine cinematografica.

L’unità divina del cosmo si esprime nella poesia di Arsenj Tarkovskij

Nei presentimenti non credo e i presagi non temo.

Non fuggo la calunnia, né il veleno.

Non esiste la morte,

Immortali siamo tutti e tutto è immortale.

Non si deve temere la morte né a diciassette

Né a settant’anni.

Esistono solo realtà e luce… le tenebre… e la morte non vi sono.

Siamo tutti sulla riva del mare

E io sono tra quelli che traggono le reti

Mentre l’immortalità vi passa di sghembo.

Se nella casa vivrete – essa non crollerà

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Il senso di colpa

In una delle scene del film il ragazzino, Ignat, legge un brano inviato da Puskin a Caadaev il 19 ottobre 1836

“E’ indubbio che la divisione delle chiese ci ha separati dall’Europa e che non abbiamo partecipato a nessuno dei grandi eventi che l’hanno scossa, ma noi abbiamo svolto la nostra propria missione. E’ stata la Russia, sono stati i suoi spazi sconfinati a inghiottire l’invasione mongola. I tartari non hanno osato superare le nostre frontiere occidentali e lasciarci di retroguardia. Sono ritornati verso le loro steppe e la civiltà cristiana è stata salvata. Per il raggiungimento di questo scopo abbiamo dovuto assumere un’esistenza assolutamente particolare che, pur lasciandoci cristiani, ci ha tuttavia resi profondamente estranei al mondo cristiano… Dite che la sorgente da cui abbiamo attinto il cristianesimo era impura, che Bisanzio era degna di ogni disprezzo ecc. Ah, amico mio, Gesù Cristo non è forse nato tra gli ebrei, e Gerusalemme non era calunniata da tutti? Il Vangelo è forse meno stupefacente per questo? … Per quanto riguarda poi la nostra insignificanza dal punto di vista storico, non posso decisamente essere d’accordo con Voi… Mettendovi una mano sul cuore, non trovate qualcosa di importante nell’attuale situazione della Russia, qualcosa che colpirà gli storici futuri? Anche se sono sinceramente devoto al nostro sovrano, non posso proprio esaltarmi vedendo quello che mi circonda; come letterato ne sono irritato, come uomo afflitto da pregiudizi ne sono offeso, ma vi giuro sul mio onore che per nulla al mondo vorrei cambiare patria, o avere un’altra storia, diversa da quella dei nostri padri, esattamente come Iddio ce l’ha data…”

Per Cadaeev la Russia non ha mai seguito il progresso degli altri popoli e si è isolata. Per questo solo l’allinearsi con l’occidente avrebbe permesso un’evoluzione. Successivamente a questa lettera si crearono due schieramenti, quello degli “occidentalisti” e quello degli “slavofili”. Quest’ultimi sono proprio

i sostenitori del patrimonio cristiano e spirituale della Russia, contrari alla società occidentale industrializzata e corrotta. Ovviamente Tarkovskij propende per Puskin, per il profondo senso di identità con la sua terra. In realtà però il regista si sente in colpa, sente di aver tradito la sua patria.

Il motivo riguarda l’aver accettato il grande stravolgimento portato dalla rivoluzione oltre alla modernità e il progresso.

Il regista inoltre sente il bisogno di sottolineare la missione salvifica della Russia mostrando tra le orribili immagini di guerra, i cinesi sul fiume Ussuri che ricordano l’invasione tartara in Andrej Rublev. Le immagini di vittoria invece, dove osserviamo la folla felice che scoppia fuochi d’artificio, sono anch’esse simbolo inconscio di distruzione. Si può fare infatti un parallelo con Ivan che nel film scambiava per gioco i traccianti in cielo.

Nella scena degli esuli a Mosca possiamo quasi notare una sorta di immagine-premonizione che annuncia l’esilio a cui verrà costretto il regista a causa della sua opera.

Il messaggio dietro tutte queste immagini è però uno solo, ogni guerra finisce dove ne inizia un’altra e l’uomo vive assorbendo il dolore da queste catastrofi.

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Il processo di creazione di Zerkalo

Inizialmente Tarkovskij aveva un’idea totalmente diversa e aveva iniziato a scrivere il racconto di un suo ricordo. Il racconto riguardava lo sfollamento durante la guerra e doveva incentrarsi sulla figura dell’istruttore militare della sua scuola. Il titolo era Un bianco, bianco giorno. L’idea però non risultò valida perché il regista non voleva concepire un banale film sul ricordo e l’infanzia. Aveva pensato di utilizzare alcune interviste alla madre e strutturare il film in episodi. Riguardo alle scene di guerra invece restò meravigliato dal materiale che riuscì a trovare, in quanto i documentari utilizzati mostrano davvero la fatica e il dolore della guerra. La particolarità del film è che a differenza degli altri, si è completato in divenire, attraverso un continuo confronto con gli attori e sulle loro sensazioni. Il regista ha cercato di rendere tutto più vero possibile. In Scolpire il tempo, racconta di quando ha portato sul set sua madre e per lei è stato un tuffo nel passato essendo la casa del film ricostruita sulla vecchia casa. Inoltre per ricreare il campo di grano saraceno, il regista ha piantato nuovamente i semi che nonostante il terreno infertile sono cresciuti ricreando perfettamente l’ambiente della sua infanzia. Egli racconta delle innumerevoli giornate passate sul set semplicemente ad osservare la natura, nelle diverse fasi della giornata per sentire le sensazioni che procuravano e per favorire un contatto spirituale con il gruppo di lavoro.

Nonostante molti aiutarono il regista, ci furono alcuni dissidenti e la sceneggiatura dovette passare da Vadim Jusov a Georgij Rerberg.

La scelta di Anatolij Solonicyn

Nei suoi film, Tarkovskij lo ha sempre scelto e non è esclusivamente per il loro rapporto di amicizia.

In Anatolij trova l’attore perfetto proprio per la sua istintività e impulsività. Bastava una semplice provocazione, scrive Tarkovskij, per alterare il suo stato d’animo e ottenere una reazione sincera nel film. Inoltre per il regista è importante che l’attore si affidi totalmente al suo lavoro e che non si ponga domande.

Egli si distingue nettamente da Donatas Banionis, l’interprete di Solaris, che Tarkovskij definisce analitico, ovvero incapace di affidarsi al pensiero del regista e impossibilitato nel lavorare non conoscendo il motivo di ogni direttiva. Questo discorso si rifà alla grande differenza tra attore teatrale e cinematografico.

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Stalker

Trama

Il film è ambientato all’interno della Zona, un territorio nascosto e protetto dalle autorità a causa della caduta di un meteorite. Nessun può entrare nella zona ma in molti sono curiosi di sapere cosa ci sia al suo interno e così si fanno guidare dagli Stalker, che in cambio di denaro si offrono di affrontare questa missione rischiosissima. Il protagonista, è proprio uno Stalker, è sposato e padre di una bambina che non può più camminare. La famiglia non vorrebbe lui tornasse nella zona essendo già stato in prigione diverso tempo per questa violazione. Ma lo Stalker si offre di accompagnare uno scrittore e uno scienziato.

Si dice che all’interno della Zona esista una camera dei desideri e così i tre intraprendono questo cammino dopo aver eluso la sorveglianza. Il cammino all’interno della zona si fa sempre più difficile a causa dei mille trabocchetti e sia lo scienziato che lo scrittore si innervosiscono a seguire tutte le direttive dello Stalker. La prima è quella di lanciare un sasso e muoversi solamente verso quest’ultimo per poi tirarne un altro e andare avanti. Ma lo scrittore intravede già la camera dei desideri e decide di violare le leggi dello Stalker che prevedevano un percorso molto più lungo. Si avvicina ma dopo una folata di vento, una voce gli dice di tornare indietro anche se nessuno ha parlato. I tre proseguono discutendo tra di loro su diverse questioni esistenziali ma lo Stalker è perplesso dalle credenze degli altri due. Dopo essersi addentrati in un tunnel, denominato “tritacarne” giungono nei pressi della Stanza. Lo scienziato vorrebbe distruggerla attraverso la bomba atomica dopo aver scoperto che in quel luogo, non si avvera qualsiasi desiderio ma solo quelli più reconditi. Nessuno però ha il coraggio di compiere l’ultimo passo e i tre rientrano in città. Lo Stalker è distrutto e piange per la mancanza di fede degli altri due uomini e la moglie tenta invano di consolarlo. Subito dopo inizia la famosissima sequenza della bambina, Martyska, che sembra camminare, la cinepresa si allontana e vediamo che è sulle gambe del padre. La sequenza finale è proprio incentrata sulla figura della figlia che dopo aver letto una poesia muove con il pensiero tre bicchieri sul tavolo. Sentiamo in sottofondo il rumore del treno e infine un bicchiere cade mentre gli altri due rimangono sul bordo del tavolo.

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La Nascita del film

Il progetto inizia negli ultimi mesi del 1974 e Tarkovskij scrive riguardo alle sue intenzioni, facendo capire che il film a cui ha pensato è armonioso ed equilibrato. Anche se tratto dal romanzo di fantascienza Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij, non si può inserire Stalker all’interno dei film di genere in quanto il film si discosta quasi totalmente dal romanzo. Anche con il romanzo di Lem Tarkovskij aveva cercato di andare oltre il genere fantascientifico dando vita ad un film metafisico ma si può constatare che solo con Stalker riesce perfettamente in questo obbiettivo.

In Scolpire il Tempo infatti scrive

<<Desideravo che il tempo ed il suo fluire si rivelassero all’interno

dell’inquadratura e che la giunta operata in sede di montaggio indicasse

soltanto una prosecuzione dell’azione e nient’altro, non avesse

una funzione di cernita e di organizzazione drammaturgica del materiale,

come se tutto il film consistesse di un’unica inquadratura>>

Prima di iniziare Stalker aveva raccolto diverso materiale su Dostoesvskij ma ben presto si era reso conto che un film sull’Idiota non avrebbe potuto far emergere ciò che il regista in quel momento voleva trasmettere attraverso l’immagine cinematografica. Trova così in Picnic l’occasione per realizzare qualcosa di interessante. Purtroppo però il primo anno di riprese va in fumo a causa di un errore in laboratorio nello sviluppo del negativo. La pellicola utilizzata era uno degli ultimi arrivi della Mosfilm e non era l’unico problema; molte delle attrezzature erano rovinate, soprattutto gli obbiettivi. Questa catastrofe portò a iniziare nuovamente le riprese ma il regista aveva speranza e non era poi così soddisfatto delle precedenti riprese.

Struttura e colore

Se nel romanzo la trama si articola su 8 anni, il film riduce questo tempo ad un’unica giornata e possiamo dividerlo in circa quattro parti. Questa divisione è anche estetica ed è accentuata dal colore. L’inizio del film ci mostra la preparazione prima di entrare nella zona.

All’inizio, durante i titoli di testa vediamo l’interno di un bar vuoto e vediamo entrare il Professore. E’ molto importante sottolineare che nessun personaggio a parte la figlia dello Stalker ha davvero un nome. Questo perché i personaggi assumono un valore simbolico accentuate anche dalla triade: Stalker-Professore-Scrittore. E’ in quel bar che poi si riuniranno a parlare prima di partire.

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Dopo la scena iniziale l’attenzione si sposta nella casa dello Stalker, umida, piena di ruggine e infine ritorna nel bar dove i tre si riuniscono per poi scappare nella zona tramite l’uso di un carrello.

Il monocromatico non è più color seppia ma vira sul bianco e nero nella sequenza del carrello

Quando i protagonisti entrano nella Zona, l’immagine cambia e abbiamo il colore. Inizia così il percorso fino al tritacarne, e infine arrivano nei pressi della stanza.

Si torna poi al monocromatico, mentre le uniche sequenze a colori fuori dalla zona sono la passeggiata con la figlia e l’ultima scena.

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I protagonisti e la Zona

L’unica scena d’azione la si vede nella sequenza nella fuga dalle guardie, dopo di che, una volta entrati nella Zona il tempo rallenta notevolmente e i protagonisti intraprendono questo cammino in questo luogo misterioso e lontano dallo squallore della città industrializzata. Ma la Zona non è un vero luogo fisico, è la metafora dell’esistenza stessa con le sue trappole, e la sua circolarità che allude al ciclo vitale stesso. Un esempio di questo si ha con la scena della scomparsa dello scienziato che poi verrà ritrovato più avanti senza spiegazione.

Dopo il misero tentativo dello scrittore di accorciare la strada lo Stalker inizia un discorso spiegando cos’è la Zona e pronuncia queste parole: << E’ la Zona: forse a certi potrà sembrare capricciosa, ma in ogni momento è come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo>> . Tutto ciò che avviene nella vita non è casuale, è l’esplicazione del nostro mondo interiore attraverso il mondo esterno fenomenico. Dopo circa un’ora di film Tarkovskij ha già ben delineato i protagonisti e il loro valore simbolico. Lo scrittore, è istintuale e non segue le regole mentre il professore-scienziato è razionale e calcolatore. Lo Stalker invece è colui che sente la Natura, è come Fomà in Andrej Rublev, è colui che è davvero in sintonia con il divino dietro le cose. Il suo essere nella zona è voluto anche da un bisogno ormai ossessivo di vivere in un mondo lontano dalla civiltà e questo lo si nota quando all’inizio vuole essere lasciato solo per sdraiarsi nell’erba.

<< A me sembra che faccia passare quelli che non hanno più nessuna speranza>>

Lo Stalker non sostiene in realtà che gli infelici possano camminare all’interno della Zona, ma può camminare in realtà colui che non giudica. Questo si rifà al Tao Te Ching esattamente come il pensiero successivo, la parola emissione che e si fonde all’immagine della pozza d’acqua

“Che si avverino i loro desideri, che possano crederci, e che possano ridere delle loro passioni. Infatti ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale, ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno. E soprattutto che possano credere in se stessi... e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l'albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagni della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza, ciò che si è irrigidito non vincerà.”

Il Tao insegna ad essere come l’acqua, a piegarsi non ad irrigidirsi, la debolezza è il simbolo dell’elasticità della mente mentre la forza e la rigidità portano alla morte, all’immobilità e all’assenza di cambiamento. Così non è possibile un’elevazione spirituale. L’acqua è il simbolo dell’elasticità e della vita.

In un’intervista Tarkovskij aveva dichiarato: <<La Zona simboleggia la vita: attraversandola l’uomo si spezza, o resiste>> e la resistenza non è data dalla forza ma dalla flessibilità. Lo scrittore e lo Scienziato si sforzano per razionalizzare ciò che sta avvenendo, perdono tempo in discussioni inutili. Lo scrittore, come Teofane il greco è nichilista, infatti afferma << Il Medioevo, quello sì che era interessante. In ogni casa c’era uno spirito, in ogni chiesa un Dio>>, il secondo pensa che la scienza abbia in mano la verità, è analitico e razionale all’estremo proprio come Sartorius in Solaris. L’unico che ha accettato la vita e si è arreso nel

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senso dell’essere pronti a ricevere e a sentire davvero il mondo è lo Stalker. Egli però soffre per gli altri, che si ostinano a non capire, e questo lo capiamo dal monologo finale.

L’immagine cinematografica

La Natura ovvero la Zona è ripresa da Tarkovskij con un’attenzione straordinaria per i suoi dettagli, i suoi rumori e i suoi colori. Anche la musica elettronica fonde i suoi suoni con l’ambiente perfettamente e la pioggia interminabile è il suono principale che immerge l’intero paesaggio. Tarkovskij con Stalker, scolpisce il tempo, e questa temporalità è sacra. La parola-emanazione dello Stalker si dissocia ma allo stesso tempo si unisce alle chiacchere incessanti degli altri due protagonisti che fungono da sfondo sonoro. In certe scene emerge completamente l’unione di parola-immagine, la cosiddetta immagine osservazione. Ecco per Tarkovskij cos’è l’audiovisivo. Non c’è nessuna letterarietà, le parole non servono come descrizione ma sono emanazione del luogo stesso incarnandolo.

Nelle scene precedenti alla visione apocalittica, il professore si appoggia alla pietra, lo scrittore si stende su un’isoletta sul fiume e lo Stalker si riposa in prossimità dello stagno. I tre discutono e inoltre vediamo un cane passare, il cane (simbolo di fedeltà) che è onnipresente nell’opera Tarkovkijana, proprio come la brocca d’acqua o la ciotola di latte che si riversa per terra, elementi quotidiani che scandiscono il tempo.

Il professore si arrabbia con lo scrittore, il quale pensa solo a ritrovare l’ispirazione per scrivere. Lo scrittore fa allora un’invettiva contro la tecnologia, che ha allontanato l’uomo dalla spiritualità. Le città con l’industria e il nuovo ritmo frenetico che costringe l’uomo a correre, l’uomo che ormai non pensa più. Proprio come in Lo Specchio, lo straniero-scrittore fa un discorso analogo. Egli sostiene infine che l’umanità serve per creare opere d’arte, le quali sono disinteressate nel caso siano sentite e sincere. Subito dopo la cinepresa inquadra una folata di vento che trasporta la sabbia e infine lo Stalker, che ha gli occhi persi nel vuoto. Il colore si trasforma, torniamo al seppia e la macchina da presa con un movimento dal basso verso l’alto supera la testa dello Stalker e inizia la sequenza dell’Apocalisse, scena chiave del film.

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«Ci fu allora un forte terremoto, il sole diventò scuro come

panno di lutto, la luna diventò color sangue. Le stelle del cielo caddero

sulla terra come i fichi acerbi cadono dall’albero quando è colpito da

un vento impetuoso. La volta celeste si squarciò e si arrotolò come un

foglio di pergamena, tutte le montagne e le isole furono strappate via

dal loro posto. I re di tutta la terra, i governanti, i comandanti di tutti

gli eserciti, le persone più ricche e potenti, andarono a rifugiarsi tra le

caverne e le rocce dei monti insieme a tutti gli altri, schiavi e liberi, e

dicevano ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso, e nascondeteci, che

non ci veda Dio che siede sul trono e non ci colpisca il castigo dell’Agnello.

Perché questo è il grande giorno della resa dei conti: chi mai

potrà sopravvivere?».

a cinepresa ritorna sullo Stalker che si alza e pronuncia alcune parole della cena in Emmaus

Ed è proprio in questa sequenza che sembra manifestarsi il ruolo quasi cristologico dello Stalker, che attraverso la Zoina compie un rituale, illuminato tra gli uomini. E’ come se vedesse oltre il mondo reale, al di là del visibile. Inoltre questo passo è del VI sigillo dell’Apocalisse che descrive l’intervento divino all’interno della Storia e proprio nel sesto giorno della settimana Dio creò l’uomo. La cosa più interessante però riguarda la voce fuoricampo, la stessa della moglie dello Stalker.

Di conseguenza non si sa se stiamo ascoltando un suo pensiero inconscio o estraneo.

Nella zona convivono la spiritualità dello Stalker, il razionalismo scientifico e il nichilismo, ma queste tre componenti rappresentano anche l’interiorità dell’essere umano: l’anima, la mente e lo spirito.

Un’altra simbologia che possiamo associare, sempre però in un’interpretazione naturalistica e cristiana riguarda l’associazione con la trinità presente anche in Rublev.

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L’idiota

“Uno Stalker non può chiedere nulla per se stesso" - dice - "Quello che ho, è qui nella zona. La mia felicità, la mia libertà, la mia dignità, tutto qui... Io porto qui solo quelli come me, infelici, disperati... E io posso

aiutarli...”

Possiamo associare lo Stalker alla figura dell’idiota dostoevskijano la cui caratteristica è totale disponibilità nei confronti degli altri. Questo lo distrugge quando si accorge che lo scrittore e il professore non capiscono il valore della Zona e mancano di fede. Il sacrificio verso gli altri è anche simboleggiato dal ritorno a casa, dalla figlia che ha già scontato le pene di essere la figlia mutante di uno Stalker e il sacrificio si esplica nella scena della camminata con in braccio Martyska.

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Martyska e la scena finale

Fedor Tjutcev - Amo gli occhi tuoi

Amo i tuoi occhi, amica mia,

E il loro gioco d'incanto e di fuoco,

Quando, d'un tratto, tu li sollevi

E come un lampo nel cielo

Rapida intorno ti guardi...

Ma vi è un incanto ancora più intenso;

Quando nei tuoi occhi chini,

Nel momento del bacio appassionato,

Attraverso le tue ciglia abbassate

Arde il cupo fuoco del desiderio.

La bambina legge questa poesia nella mente e con i suoi poteri telecinetici muove i bicchieri sul tavolo. Il bicchiere di vino, rimane sul tavolo, quello vuoto cade e quello che rimane più indietro contiene un uovo rotto che potrebbe simboleggiare l’inutilità dello sforzo, il famoso attrito tra passione e mondo esterno. Sembra quasi che i tre bicchieri nuovamente simboleggino i valori della trinità esplicata dai protagonisti. Lo Stalker cade per il suo sacrificio, l’aver donato se stesso agli altri, per questo il bicchiere è vuoto. Il colore in questa scena è tornata e questo a simboleggiare la grande metafora della Zona all’interno del film, se la Zona è la vita non esiste più un interno ed esterno e questa è ovunque. La Zona è la vitae la gioia come sottolinea anche la Nona di Beethoven nella scena finale.

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In questa scena vi è la particolarità dell’unione tra i suoni, il suono metallico del treno in sottofondo e la musica classica, quella musica definita illustrativa dal regista ma mai abbandonata completamente nei suoi film.

Il rapporto con l'Unione Sovietica

All’interno del film il regista utilizza lo scienziato per criticare il governo del suo paese ma il cinema di Tarkovskij non ha potere sulle masse e per questo non è veramente un problema. Il regista desidera indipendenza dai valori dell’Unione Sovietica ma “gioca in casa” così la sua polemica non attecchisce ed è chiaro il suo tentativo di usare i film come rifugio e fuga dalla realtà. Molti artisti russi infatti lo criticarono quando decise di girare Nostalghia in Italia.

La macchina da presa

Una delle particolarità del cinema di Tarkovskij è il valore attribuito alla macchina da presa la quale sembra essere dotata di vita propria. E’ proprio la m.d.p che sembra scoprire i luoghi del film e talvolta sembra

unirsi ai protagonisti partecipando al loro stupore. Le inquadrature tra gli stipiti delle porte, in Stalker fanno assumere alla macchina da presa un comportamento particolare. Infatti nella scena in casa dello Stalker la macchina da presa si muove quasi a disegnare una croce che sembra simboleggiare una benedizione verso una famiglia così infelice e la famiglia è il piccolo angolo di purezza nella vita del protagonista. E’ proprio la

macchina da presa che porta lo Spettatore a scoprire i luoghi del film che spesso si rivelano in maniera misteriosa e l’entrata in scena di alcuni personaggi è totalmente inaspettata.

Ogni inquadratura con la sua temporalità è resa coesa e unitaria dai movimenti della macchina da presa e infine dal montaggio che in realtà avviene già a priori, come se le inquadrature si montassero da sole. Un altro esempio del comportamento della m.d.p si ha nella scena del cancello, dove il poliziotto bracca i protagonisti. La m.d.p si sposta e lo spettatore capisce di essere da tutt’altra parte accorgendosi che lo Stalker non stava osservando in attesa del poliziotto ma aspettava l’arrivo del treno. A volte invece la m.d.p si disinteressa dei personaggi per incentrarsi sulla Natura e un esempio è quando invece di inquadrare il professore sul muro, improvvisamente inquadra lo stagno e noi non riusciamo più a capire cosa stava facendo.

In conclusione spesso è proprio la cinepresa che porta lo spettatore, tramite un’inquadratura che ci sembra sconnessa dalle altre, a porsi domande su determinate scene.

Il colore e il sogno

Nonostante il regista scriva in Scolpire il tempo che spesso il colore ripreso non è quello della realtà e che questo sembri sfuggirgli di mano, in Stalker il colore dell’immagine ritrova nei suoi caratteri irreali un senso ben preciso. E’ anche grazie a questa componente che la Zona ci appare totalmente distaccata dal grigiore

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della realtà, come se il regista ci avesse fatto fare un viaggio in un sogno. Però per non cadere totalmente in un mondo onirico utilizza il seppia e il bianco e nero per mitigare il suo effetto.

Nostalghia

Trama

Andrej Gorcakov è uno scrittore sovietico che intraprende un viaggio in Italia per compiere alcune ricerche su Pavel Sosnovskij, un musicista del 700 morto suicida una volta ritornato in patria.

All’inizio del film lo scrittore si trova in Toscana con la sua interprete, Eugenia.

I due si fermano a Monterchi per visitare la cappella dove al suo interno si può osservare la Madonna del parto di Piero della Francesca, ma Andrej non vuole entrare.

Il regista ha ricostruito la cappella con un’atmosfera molto oscura e gotica accentuando la componente di mistero. Eugenia, avvolta nella nebbia, si avvicina alla chiesa e trova al suo interno dei religiosi intenti a compiere un rito propiziatorio.

Successivamente i due si recano a Bagno Vignoni nel paese di Santa Caterina. Un giorno Andrej incontra Domenico, un anziano che era stato internato perché considerato folle. Egli aveva rinchiuso la sua famiglia per aspettare l’apocalisse. Gorcakov però non crede Domenico sia pazzo e si interessa al suo pensiero. La loro conoscenza spera che possa giovare un po’ al suo dolore profondo, un dolore che gli impedisce di avere un rapporto con Eugenia e spesso in sogno la sua figura viene confusa con quella del ricordo della moglie.

La Nostalghia è proprio questo sentimento che fa partecipare alla sofferenza degli altri e il legame con Domenico lo isola dal mondo. Eugenia parte e ritorna a Roma dove ha un amante. Domenico parla della catastrofe imminente ad Andrej e gli racconta del rito della candela. Ovvero l’atto di attraversare le terme senza lasciare che la candela si spenga. In seguito Andrej decide di tornare in Russia ma una telefonata di

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Eugenia lo informa che Domenico è a Roma a protestare. Così Andrej corre a Bagno Vignoni, accende la candela e attraversa la vasca ormai vuota con la candela in mano. Contemporaneamente Domenico a Roma denuncia la perdita di spiritualità, la decadenza dell’umanità e sentiamo come in Stalker la Nona di Beethoven. Lo scrittore intanto ha completato la traversata e così muore.

L’immagine conclusiva del film ci mostra la Russia e la sua vegetazione e la macchina da presa comincia ad arretrare scoprendo la cattedrale di San Galgano su cui cade la neve.

Il viaggiatore immobile

Siamo nel 1983, e con Nostalghia il regista smette di girare in patria scegliendo l’Italia. Molti degli elementi di Stalker però ritornano e vengono riproposti. L’Italia stessa con il suo paesaggio a tratti sembra quasi riproporre la campagna russa.

Se in Stalker avevamo la sensazione di trovarci davanti ad un viaggio apparente all’interno della Zona, un viaggio che in realtà si configurava come esperienza quasi mistica, in Nostalghia ci troviamo davanti ad un andamento che conduce all’immobilità e non al dinamismo. Ce ne accorgiamo subito nella scena iniziale dove Andrej non segue Eugenia all’interno della chiesa.

La zona e la campagna toscana inoltre sono accomunati dall’elemento della catastrofe. Nella zona sentiamo i versi dell’apocalisse mentre la cinepresa inquadra le rovine della civiltà umana, in Nostalghia Domenico annuncia la fine del mondo e la sua casa, corrosa dalla pioggia insieme alle rovine del luogo sono i simboli della malattia mortale che non è semplicemente Sehnsucht, è un dolore che uccide.

Andrej cerca di ritrovare la Russia in un paese che non è il suo proprio come il regista.

<< Per noi russi non è un’emozione leggera come per voi. E’ una specie di malattia mortale, una compassione profonda che lega non tanto alla propria privazione, mancanza o separazione, alla sofferenza degli altri cui ci si accosta come per un legame passionale18>>

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Nonostante questo sia il significato, nello studio allagato di Domenico il manifesto 1+1=1 rimanda sempre a quell’idea di anima e coscienza universale che rappresenta il cosmo per il regista. L’Uno di Platone, ogni

cosa è un tutt’uno con le altre e questo spirito divino nella natura rappresenta la forza vitale in antitesi alla morte.

La sequenza ritmico-compositiva del film è lo specchio del legame tra Domenico e Andrej, il dolore porta all’immobilità e in questo caso il Tempo nella sua lentezza è conforme all’estetica dell’immagine che ci mostra diverse sovrapposizioni di immagini e superfici, la pioggia, la nebbia, e personaggi che come fantasmi scompaiono e ritornano sullo schermo.

Le due madri

La stanza di Andrej è una dei luoghi dove è ambientata una delle scene chiave del film.

Dormendo Gorcakov immagina Eugenia e la moglie, nostalgico ricordo della sua vita in Russia, insieme sul letto che si scambiano un bacio

Poi il regista inquadra i capelli ricci di Eugenia e successivamente vediamo Andrej che si alza dal letto lasciando distesa una donna gravida.

Subito dopo vediamo lo scrittore a letto nella stessa posizione in cui lo abbiamo visto addormentarsi mentre Eugenia lo chiama dal corridoio.

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Le due donne sono state congiunte in sogno per ricreare l’immagine della madre che si associa alla madre terra. La scena finale con la donna dormiente rimanda però alla morte e la donna sembra distesa come in un sepolcro.

L’immagine dei capelli di Eugenia invece rimanda a diverse figure del cinema di Tarkovskij tra cui la sordomuta in Andrej Rublev o la donna nuda della festa pagana. Ognuna di queste figure è in un certo qual modo associata alla dualità del ritratto leonardesco, a metà strada tra il perverso e il sacro.

Lo scrittore in Nostalghia vince la sensualità di Eugenia e questo è lo specchio del sentimento del regista stesso in quel periodo di esilio e crisi.

Il rifiuto del Rinascimento

Con Nostalghia vediamo l’abbandono dei valori umanistici rinascimentali e nell’intervista con Donatella Baglivo dichiara che, geni come Galileo o Einstein, si sono sbagliati. In questo periodo di crisi il regista non vede più nessuna possibilità di conoscenza ma è convinto anzi che l’uomo occidentale abbia sbagliato a mettere al centro del mondo se stesso e il suo orgoglio invece che Dio. La ricerca di fede perde ogni sua possibilità perché ci si affaccia verso il vuoto e la rovina.

La spiritualità di Domenico

La mancanza di fede di Andrej si contrappone alla spiritualità di Domenico che vive delle piccole cose quotidiane simboleggiate dalle nature morte all'interno della sua casa allagata. E’ proprio attraverso questo personaggio che lo Scrittore celebra la Russia, l’arte e la poesia. Pur percependo la catastrofe a cui va incontro l’umanità, Domenico riconosce la vita dietro alle piccole cose e partecipando al suo dolore il protagonista ritrova un po’ di consolazione.

“Una goccia più una goccia, fanno una goccia più grande e non due”

“Sono capace di sentirmi un’infinità di cose contemporaneamente”

Nella scena di protesta Domenico ribadisce il pensiero del regista sul mondo, su come l’uomo abbia perso il contatto con la natura, con l’anima del mondo. I veri malati sono i sani, coloro che hanno portato il mondo alla rovina, coloro che hanno abbandonato la Natura e la fede. Viene ribadito il concetto che anche lo scrittore propone all’inizio del film parlando con Eugenia. Le frontiere devono essere abbattute se si vuole costruire un mondo unito. Domenico come Fomà e come lo Stalker ha capito che l’unica cosa che conta è il rapporto con la Natura.

“Il nostro cuore è coperto d'ombra, bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili. Bisogna alimentare il desiderio, dobbiamo tirare l'anima da tutte le parti come se fosse un lenzuolo dilatabile all'infinito. Se volete che il mondo vada avanti, dobbiamo tenerci per mano, ci dobbiamo mescolare, i cosiddetti sani e i cosiddetti ammalati. Ehi, voi sani! Cosa significa la vostra salute? Dove sono, quando non sono nella realtà e neanche nella mia immaginazione? Faccio un nuovo patto con il mondo, che ci sia il sole di notte e nevichi d'agosto. Le cose grandi, finiscono! Sono quelle piccole che durano! La società deve tornare unita e non così frammentata; basterebbe osservare la natura per capire che la vita E' semplice e che bisogna tornare al punto di prima, in quel punto, dove voi avete imboccato la strada sbagliata. Bisogna tornare alle basi iniziali della vita, senza sporcare l'acqua."

Il mondo è andato verso il progresso scientifico tecnologico perdendo contatto con l’universo, non si avrà nessuna conoscenza perché non abbiamo mai indagato gli abissi interiori che sono in noi, abbiamo solo frugato fuori, nel mondo grigio del progresso, il mondo fuori dalla Zona, un mondo fuori dalla vita vera

Dietro a queste riflessioni si cela anche quella sull’arte che senza un popolo non sarebbe possibile ma non a tutti è dato di capirla ed essa non deve raggiungere la massa.

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Il ritorno a casa

Per lo scrittore come per Tarkovskij, il ritorno a casa non è più possibile. Una volta abbandonata la terra in cui si è cresciuti e aver provato un grande dolore, il ritorno all’innocenza è perduto.

Nonostante la mancanza di speranza del protagonista un ultimo atto di fede è possibile e la profezia di Domenico si avvera. Dopo aver percorso i bagni con la candela accesa, Andrej muore. Si capovolge dunque il ruolo salvifico della fede e questo riflette l’animo del regista e la perdita di fiducia nell’idea del ruolo dell’artista-santo.

L’esilio e il ritrovo della Russia in Italia

Insieme a Tonino Guerra, sceneggiatore di Nostalghia, Tarkovskij realizza un documentario Tempo di Viaggio dove capiamo profondamente la nostalgia della Russia che ha portato alla ricostruzione della terra patria attraverso il paesaggio italiano. Per questo Nostalghia, è un film di stratificazioni, di superfici che si accumulano rivelandone di nuove, rimandi continui alla terra patria che si sovrappongo anche grazie al rimando continuo alle immagini dei precedenti film

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Sacrificio

Trama

Alexander vive su un’isola nel Baltico con la moglie Adelaide, la figlia Marta e il piccolo Ometto. Alexander è un ex attore ma anche un professore e giornalista. Lo vediamo passeggiare per la spiaggia con il figlio nel giorno del suo compleanno. Alexander decide di piantare un albero secco mentre discute con il figlio che però non può parlare a causa di un intervento alla gola. Mentre pianta l’albero parla di un monaco giapponese che continuando ad innaffiare un albero secco lo aveva riportato in vita.

Sulla spiaggia arriva un postino che discute più come un filosofo e parla anche di Nietzsche dopo aver elencato le qualità di Alexander elogiandolo.

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Successivamente arrivano Adelaide e l’amico medico di famiglia Viktor.

Accade però un incidente e il bambino perde sangue dal naso provocando uno svenimento in Alexander che però ha una visione: una città in rovina piena di detriti.

Nel frattempo i familiari di Alexander stanno organizzando la cena per il compleanno e il postino arriva portando una carta geografica antica. Subito dopo si sente il rumore degli aerei, la casa inizia a tremare e la televisione annuncia una minaccia nucleare.

Adelaide ha una crisi isterica, Ometto torna nella sua stanza mentre Alexander inizia a pregare offrendo a Dio un sacrificio: la rinuncia a ogni cosa.

Il misterioso postino raggiunge Alexander dicendogli di avere una soluzione:

Alexander dovrà andare da Maria , una domestica che vive in una chiesa sconsacrata e avere un rapporto con lei.

Maria è una sorta di strega e mentre i due fanno l’amore iniziano a levitare in aria.

Il giorno dopo tutto appare tranquillo, Adelaide viene a conoscenza che Viktor (il medico) andrà in Australia.

Alexander cammina sulla spiaggia con gli altri ma appena sono lontani dà fuoco alla casa. Arriva un’ambulanza e il protagonista viene condotto via dopo aver cercato di scappare. Poco dopo vediamo Ometto che porta un secchio d’acqua per innaffiare l’albero secco.

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Il film testamento

Sacrifico è definito così, è l’ultimo film del regista e si può considerare come il completamento di Nostalghia. Molte scene citano i film precedenti come ad esempio quella finale dove la macchina da presa risale il tronco dell’albero, questa volta fino in cima mentre nell’Infanzia di Ivan l’interruzione era simbolica. La scena della visione rimanda al passo dell’Apocalisse in Stalker e la macchina da presa si sposta sui detriti con gli stessi movimenti. Ma vi è una differenza sostanziale con tutti gli altri film. In Sacrificio la struttura è più dinamica, non è un film totalmente metafisico e Tarkovskij riprende i rapporti familiari e la quotidianità come si può notare nella scena di isteria di Adelaide. In sintesi, Tarkovskij riprende la drammaturgia e la parola.

L’Oriente

L’atteggiamento di Alexander è quello di un monaco giapponese, il suo albero secco è come l’ikebana, la sua casa nella sua struttura rimanda al tatami giapponese ed è l’emblema della sua credenza, tutto ciò che non è necessario è peccato. Ma per il regista la casa di Alexander assomiglia anche alla dacia, la casa nel bosco in Russia. Sacrificio e Nostalghia sono due film sull’esilio e il rimando alla propria terra è continuo. Lo rivediamo nei colori, a metà tra Andrej Rublev e Stalker.

La catastrofe e il miracolo

Il tema della catastrofe ritorna, ma in Sacrificio ritorna anche il miracolo che si associa agli altri prodigi, la campana di Andrej Rublev o le capacità telecinetiche di Martyska.

La catastrofe è portata dall’essere umano che ha perso ogni contatto con Dio, che si si sente al centro del mondo e utilizza la conoscenza solo per produrre violenza. Non a caso l’imminente catastrofe viene trasmessa in televisione, simbolo dell’uomo moderno e di ciò che ha prodotto per sedare le masse. Tarkovskij denuncia l’enorme perdita di spiritualità e l’unico modo per riaverla è riavvicinarsi alla natura perdendo tutto ciò che è superfluo. Ma il miracolo è possibile, abbandonando ogni cosa, e in Sacrificio il

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miracolo si attua grazie alla figura della “strega” che rimanda alle donna pagana di Andrej Rublev. La levitazione, simbolo del trascendere viene ripresa da Solaris e da Lo Specchio.

Mentre gli interni, il letto nella stanza e i corridoi rimandano agli interni di Nostalghia.

La strega è anche simbolo del ritorno a Dio, del ritorno a una spiritualità primitiva.

Leonardo

Leonardo da Vinci ricorre ossessivamente all’interno del film, Otto mostra ostilità dichiarando che preferisce Piero della Francesca, citando così Nostalghia e la Madonna del parto. La Madonna rimanda alla fertilità della terra-madre. E’ evidente la metafora che il regista attua attraverso il dipinto, un non-finito che è anche l’obbiettivo dell’immagine tarkovskijana la cui peculiarità sta nel poterla completare.

Il non finito nel suo simbolismo si esplica in una delle scene del film.

Quando Alexander ha la visione dopo l’incidente con il figlio la macchina da presa, come in Stalker compie un giro completo. Parte dall’alto inquadrando le rovine e poi si posa a terra facendo scorrere i detriti sulla terra annullando la profondità della scena. E’ come se fosse rimasto un quadro senza figure, vi è solo la completa bidimensionalità e, ad un certo punto, la superficie si rompe per l’effetto di rispecchiamento di un vetro. Vi è uno stacco di montaggio e vediamo antiche icone russe.

Lo sfondamento del vetro restituisce la profondità e suggerisce la verticalità data dalla visione dei palazzi e del cielo. Qui l’acqua assume il suo significato simbolico, un portale verso qualcos’altro, il cielo che si riversa sulla terra, metafora dell’imminente catastrofe. Questo è il non-finito leonardesco rinascimentale, quel Rinascimento rifiutato da Andrej in Nostalghia ma ripreso per mostrare come l’arte del novecento con le sue rivoluzioni che l’autore ritiene rovinose e lontane dall’arte autentica del passato.

Il giro della macchina da presa è come se compiendo quel giro, chiudesse il rapporto conflittuale tra il regista e Leonardo. Vi è però l’incoerenza nella denuncia della modernità perché è proprio attraverso il cinema che Tarkovskij compie la sua missione, e il cinema è l’emblema della contemporaneità.

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Il ruolo dell’artista profeta

Con questo film l’autore sente il bisogno di riaffermare la propria missione profetica

<< Aveva ragione Puskin a ritenere che il poeta (e io mi sono sempre ritenuto più un poeta che un cineasta) aldilà della sua stessa volontà, è un profeta. Egli considerava un dono terribile la capacità di vedere dentro al tempo e di predire il futuro19>>

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E’ proprio il cinema quell’arte che ci mette a contatto con la dimensione del tempo, una dimensione sacra che è visibile solo attraverso il movimento. Il cinema è quindi quella forma d’arte che si avvicina al divino, che si manifesta attraverso la temporalità. Attraverso di esso si possono unire sogno e realtà per creare l’armonia e il prodigio.

Quando Alexander recita il Padre nostro facendo voto di silenzio, quel silenzio simbolico presente fin da Andrej Rublev, alza lo sguardo e guarda in macchina. Tarkovskij non vuole sicuramente scambiarsi con Dio ma vuole mettere a disposizione il suo dono di artista. Questo gesto è in analogia con la frase di Otto, il quale sostiene che i viventi sono ciechi mentre la macchina fotografica vede ogni cosa, coglie l’invisibile.

La maternità

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Il tema della madre ritorna anche ed è simboleggiato sia attraverso la citazione alla Madonna del Parto, attraverso le figure femminili e gli oggetti-simbolo disseminati in tutte le inquadrature.

In Sacrificio la caraffa di latte, facente parte dei cosiddetti Milk-split tarkovskijani, si frantuma a terra quasi a indicare la perdita della maternità in antitesi all’immagine materna di Nostalghia

Questo pessimismo si collega a quello cosmico verso l’andamento della storia, di come il genere umano sta involvendo dimenticando ogni valore sacro.

Il personaggio femminile di Maria è in realtà sia strega che madre, stando con lei Alexander si ricorda della madre ma è anche simbolo della sensualità. Così come Adelaide, moglie e madre viene inquadrata con le gambe seminude dopo l’attacco di isteria. Queste figure femminili, proprio come Marija in Lo Specchio sono duali e la dualità viene espressa attraverso il molteplice gioco di superfici riflettenti che uniscono e dividono i personaggi. Sia la domestica che Otto all’inizio comunicano con Alexander attraverso un vetro.

Questi specchi contribuiscono a creare questo gioco di sovrapposizioni, così i ruoli si confondono. Distinguiamo le donne per la loro acconciatura ma esse si sovrappongono in un’unica figura: l’amante-moglie-madre.

Il Sacrificio

Il sacrificio si consuma con l’incendio della casa, la perdita della famiglia e il voto al silenzio. E’ l’amplificazione del gesto di fede di Nostalghia, accendere la candela in attesa del miracolo.

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Tarkovskij, come Domenico, come Andrej Rublev e lo Stalker ha donato la sua arte in cambio della libertà, perché un’artista non è mai libero, è figlio del suo tempo e ha un popolo davanti a sé.

Tarkovskij come Alexander è un umanista e rinnega la credenza della centralità dell’uomo pur amando il Rinascimento, si discosta dalla civiltà moderna pur utilizzando la più moderna delle tecniche. Il linguaggio del silenzio di Alexander è come il linguaggio cinematografico di Tarkovskij, è preghiera, fede, e non è accessibile a tutti.

«Un monaco, passo dopo passo, secchio dopo secchio portava l’acqua sulla montagna e innaffiava l’albero inaridito, credendo senza ombra di dubbio nella necessità di ciò che faceva, senza abbandonare neppure per un istante la fiducia nella forza miracolosa della sua fede nel Creatore e perciò si assistette al Miracolo: una

mattina i rami dell’albero si rianimarono e si coprirono di foglioline. Ma questo è forse un miracolo? È soltanto la verità20>>

Il gesto meccanico che dà vita al miracolo è come la macchina da presa, che fotogramma dopo fotogramma restituisce la realtà, il miracolo dell’esistenza.

Conclusione

Attraverso la sua poetica si può dire che Tarkovskij abbia cambiato il linguaggio del cinema e la sua sensibilità lo ha reso immortale. Credo sia più un poeta che un regista e che nonostante non sia stato compreso oggi la sua poetica riviva non solo all’interno della sua opera.

Se non fosse esistito non so se oggi avremmo registi come Terrence Malick o Lars Von Trar e il suo cinema credo abbia qualcosa di consolatorio in un mondo dove l’arte sembra aver perso la sua funzione spirituale.

Il cinema è un’arte costosa, dipende dal denaro più di ogni altra e per questo viene ricercato il consenso della massa più che l’espressione di un ideale. Oggi è difficile riconoscere il vero pensiero di un autore e la sua autenticità, con Tarkovskij questo invece avviene in maniera naturale ma non penso il suo pensiero possa arrivare a tutti. E’ giusto così, come quando arrivarono al regista mille lettere di approvazione o di disappunto. C’era chi si era identificato nel racconto di Lo Specchio e chi non aveva neanche provato a comprenderlo. Tarkovskij è riuscito a fare un film con la pioggia, è stato un regista puro e per questo è stato esiliato e messo in silenzio. Ciò che trovo straordinario è l’aver superato la messa in scena con il più moderno dei mezzi, aver detto la verità ma attraverso il sogno e il ricordo, trasfigurando ma allo stesso tempo rimanendo nei luoghi e nel Tempo della realtà.

“Il film, quando non è un documentario, è un sogno. E’ per questo

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che Tarkovskij è il più grande di tutti. Si sposta con sicurezza nello

spazio dei sogni, non spiega nulla, e d’altronde, cosa potrebbe

spiegare? E’ un visionario che è riuscito a mettere in scena le sue

visioni grazie al medium più pesante, ma anche il più duttile. Ho

bussato tutta la vita alla porta di quei luoghi in cui lui si sposta con

tanta sicurezza. Solo qualche rara volta sono riuscito a

intrufolarmi”

-Ingmar Bergman

FilmografiaKatok i skripka (Il rullo compressore e il violino, 1960)

Regia: Andrej Tarkovskij

Soggetto e sceneggiatura: A. M. Konc ˇalovskij e Andrej Tarkovskij

Fotografia: V. Jusov;

Musica: V. Ovc ˇinnikov,

Suono: V. Krac ˇkovskij

Montaggio: L. Butuzova; Scenografia: S. Agojan;

Interpreti: Igor Fomc ˇenko (Sasa), Vladimir Zamjanskij (Sergej), Marina Adz ˇubej (La madre),

Direttore di produzione: A. Karetin;

Produzione: Mosfilm.

Ivanovo detstvo (L’infanzia di Ivan, 1962)

Regia: Andrej Tarkovskij;

Soggetto: tratto dal racconto Ivan di Vladimir Bogomolov;

Sceneggiatura: M. Papava;

Fotografia: V. Jusov;

Musica: V. Ovc ˇinnikov;;

Suono: E. Zelenkova;

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Page 89: Irene Tavano,Il Cinema Di Andrej Tarkovskij

Montaggio: L. Fejginova;

Scenografia: E. C ˇernjaev;

Interpreti: Nikolaj Kolja Burljaev (Ivan), Valentin Zubkov (Kohlin), Evgenij Z ˇarikov (Galcev), Nikolaj Grin’ko ,

Irma Raush Tarkovskaja (madre di Ivan);

Direttore di produzione: G. Kuznetsov;

Produzione: Mosfilm.

Andrej Rublëv, (Andrej Rublev,1966))

Regia: Andrej Tarkovskij

Soggetto e sceneggiatura: A. M. Konc ˇalovskij, A.T.; Fotografia: V. Jusov;

Musica: V. Ovc ˇinnikov; Suono: E. Zelentsova;

Montaggio: Andrej Tarkovskij L. Fejginova, T. Egoryc ˇeva, O. Sevkunenko;

Scenografia: E. C ˇernjaev;

Interpreti: Anatolij Solonicyn (Andrej Rublev), Ivan Lapikov (Kirill), Nikolaj Sergeev (Teofane il Greco),

Irma Raush Tarkovskaja(la sordomuta), Nikolaj Burljaev (Boriska)

Direttore di produzione: Tamara Ogorodnikova;

Produzione: Mosfilm, Gruppo Artistico degli Scrittori e Cineasti.

Soljaris [Solaris, 1972)

Regia: Andrej Tarkovskij.;

Soggetto: Andrej Tarkovskij, dal romanzo omonimo di S. Lem

Sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, F. Gorenstein; Fotografia: V. Jusov; Musica: E. Artem’ev; Preludio Corale in fa minore di J. S. Bach; Suono: S. Litvinov;

Montaggio: Andrej Tarkovskij

Scenografia: M. Romadin;

Effetti speciali: V. Sevostjanov;

Interpreti: Donatos Banjonis (Kris Kelvin), Natalja Bondarc ˇuk (Harey), Jurij Jarvet (Snaut), Anatolij Solonicyn (Sartorius), Nikolaj Grin’ko (Il padre), Sos Sarkisjan (Gibarian), Olga Barnet (La madre);

Direttore di produzione: V. Tarassov;

Produzione: Mosfilm.

Zerkalo [Lo Specchio, 1974],

Regia: Andrej Tarkovskij.; Soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij

Fotografia: G. Reberg;

Musica: E. Artem’ev; brani di J. S. Bach, G. B. Pergolesi, H. Purcell;

Suono: S. Litvinov; Montaggio: A. T., L. Fejginova;

Scenografia: N. Dvigubskij; I

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Page 90: Irene Tavano,Il Cinema Di Andrej Tarkovskij

Interpreti: M. Terechova (la madre e Natalia), F. Jankovskij (Aleksei bambino), O. Jankovskij (il padre), I. Danilc ˇev (Ignat e Aleksei ragazzi), A. Solonicyn (lo sconosciuto)

Direttore di produzione: E. Vajzberg;

Produzione: Mosfilm, IV Unità Artistica.

Stalker [1979

Regia: Andrej Tarkovskij

Soggetto: dal racconto Picnic sul ciglio della strada di A. e B. Strugackij;

Sceneggiatura: Andrej Tarkovskij., A. e B. Strugackij, versi di F. Tjutc ˇev e Arsenij Tarkovskij;

Fotografia: A. Knjaz ˇinskij;

Musica: E. Artem’ev, brani dal Bolero di Ravel, di Wagner, di Beethoven;

Suono: V. Sarun; Montaggio Andrej Tarkovskij. e L. Fejginova;

Scenografia: Andrej Tarkovskij

Interpreti: A. Kajdanovskij (lo stalker), A. Solonicyn (lo scrittore), N. Grin’ko (il professore), A. Frejndlich (la moglie dello stalker), N. Abramova (la figlia dello stalker);

Direttore di produzione: L. Tarkovskaja;

Produzione: Mosfilm, II Unità Artistica.

Nostal’gija [Nostalghia, 1983

Regia: Andrej Tarkovskij.; Sceneggiatura: : Andrej Tarkovskij., T. Guerra;

Fotografia: G. Lanci;

Musica: brani di Beethoven, Debussy, Verdi, Wagner; Suono: R. Ugolinelli;

Montaggio: E. Maseri, A. Salfa; Scenografia: A. Crisanti;

Interpreti: Oleg Jankovskij (Andrej), Erland Josephson (Domenico), Domiziana Giordano (Eugenia), Patrizia Terreno

(Moglie di Andrej);

Produttori esecutivi: Lorenzo Ostuni (RAI 2), R. Rossellini e M. Bolognini;

Direttore di produzione: F. Casati;

Produzione: Opera Film per RAI 2, Sovinfilm,

[Sacrificio, 1986],

Regia, soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij;

Fotografia: S. Nykvist;

Musica: “Erbame dich” dalla Passione secondo Matteo di J. S. Bach, musica giapponese (flauto: S ˇuso Watazumido); canti di pastori di Dalekarlie e Härjdalen;

Suono: O. Svenson, B. Persson, L. Ulander, C. Loman, W. Peterson-Berger;

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Page 91: Irene Tavano,Il Cinema Di Andrej Tarkovskij

Montaggio: Andrej Tarkovskij., M. Leszczylowski; Scenografia: A. Asp; Interpreti: Erland Josephson (Alexander), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Allan Edwall (Otto), Gudrun S. Gísladóttir (Maria), Sven Wollter (Viktor), Filippa Franzén (Marta), Tommy Kjellqvist (Ometto);

Direttori di produzione: Katinka Farago;

Produzione: Argos Film, Parigi; Svenska Filminstitutet, Stoccolma; Josephson & Nykvist HB; Sveriges Television/SVT2 e Sandrew Film & Teater AB con la partecipazione del Ministero della cultura francese.

Bibliografia

Carlo L. Ragghianti, Arti della visione, Milano , 1975

Lucia Pizzo Russo, Conversazione con Rudolf Arnheim , Palermo, 1983

Rudolf Arnheim, Film come Arte, a cura di P. Gobetti, Milano, 1989

Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo, a cura di P. Gerri, Milano, 1988

Alessio Scarlato, la Zona del Sacro, Palermo,2005

Tullio Masoni, Paolo Vecchi, Andrej Tarkovskij, Genova, 1997

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Page 92: Irene Tavano,Il Cinema Di Andrej Tarkovskij

Andrej Tarkovskij, Martirologio. Diario (1970-1986), a cura di N. Mozzato, Milano, 2014

Sergej Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, a cura di De Coro C.; F

Lamperini , Padova, 2004

Note1 Andrej Tarkovskij

2 Andrej Tarkovskij, “Études cinématographiques”, Parigi 1983, p. 5.

3 Martirologio. Diario (1970-1986), a cura di N. Mozzato, Milano, 2014,

4 Film come Arte, Rudolf Arnheim, Milano, 1989

5 Carlo L. Ragghianti, Arti della Visione, Milano,1952

6 Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo, a cura di P. Gerri, Milano,1988

7, cit p.59

8, cit p. 60

9 cit p. 108

10 p. 71

11 p.129

12 Walter Benjamin, L’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Milano, 2014

13 Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo, a cura di P. Gerri, Milano,1988, p. 28

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Page 93: Irene Tavano,Il Cinema Di Andrej Tarkovskij

14 Andrej Tarkovskij, Andrei Rublev, Milano,1992

15 Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo, a cura di P. Gerri, Milano,1988, p. 38

16, cit p. 30

17 cit p. 100

18 Tullio Masoni, Paolo Vecchi, Andrej Tarkovskij, Genova, 1997 (formato kindle) posizione cit. 1985.

19 Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo, a cura di P. Gerri, Milano,1988, p 180

20 Andrej Tarkovskij, Scolpire il Tempo, a cura di P. Gerri, Milano,1988

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