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I REATI PREVISTI DAL CODICE DELLA STRADA
Il titolo più esatto dovrebbe essere “I reati in materia di circolazione stradale”, in quanto le
fattispecie di reato previste e sanzionate dal nostro ordinamento non si limitano al Codice
della Strada, ma sono anche inserite nel codice penale.
Per comodità, facciamo un brevissimo elenco delle fattispecie di rilevanza penale che
troviamo nel Codice della Strada, che sono:
● Art. 9-bis Organizzazione di competizioni non autorizzate in velocità con veicoli a
motore e partecipazione alle gare.
● Art. 9-ter Divieto di gareggiare in velocità con veicoli a motore
● Art. 100 comma 14 Falsificazione o alterazione di targhe, o uso di siffatte targhe
● Art. 116 comma 15 Guida autoveicoli e motoveicoli senza patente (solo nel caso di
recidiva)
● Art. 186 Guida sotto l’influenza dell’alcool
● Art. 186-bis Guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di età inferiore a ventuno
anni, per i neo-patentati e per chi esercita professionalmente l'attività di trasporto di
persone o di cose
● Art. 187 Guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti
● Art. 189 Comportamento in caso di incidente
Oltre a questi, nel codice penale troviamo i reati p. e. p. dagli:
● Art. 337 Resistenza a pubblico ufficiale (rilevante solo per le modalità con le quali può
concretizzarsi la fattispecie)
● Art. 589-bis Omicidio stradale
● Art. 589-ter Fuga del conducente in caso di omicidio stradale
● Art. 590-bis Lesioni personali stradali gravi o gravissime
● Art. 590-ter Fuga del conducente in caso di lesioni personali stradali
Di questi reati, sicuramente i più “importanti” sono quelli relativi alla guida in stato di
alterazione psico-fisica, insieme alla novità del 2016, l’omicidio stradale.
Prima di affrontare quelli più importanti, esaminiamo velocemente i reati considerati minori:
ART. 9-BIS C.D.S.
L’art. 9-bis punisce chiunque organizzi, promuova, diriga, agevoli o partecipi ad una
competizione sportiva in velocità con veicoli a motore che non sia autorizzata.
La pena è la reclusione da 1 a 3 anni e la multa da € 25.000 a € 100.000.
Qualora la competizione causi la morte di una o più persone, la pena della reclusione è da 6 a
12 anni e, in caso di lesioni, da 3 a 6 anni. Tutte le pene previste sono aumentate fino a 1
anno in caso di partecipazione alla competizione di minori di anni 18.
Il medesimo articolo sanziona anche chi scommetta sull’evento, con la reclusione da 3 mesi a
1 anno e la multa da € 5.000 a € 25.000.
Quali sanzioni accessorie, sono previste la sospensione della patente da uno a tre anni e la
revoca, se dallo svolgimento della competizione derivino lesioni personali gravi o gravissime
o la morte di una o più persone.
Inoltre, è sempre disposta la confisca dei veicoli dei partecipanti, salvo che appartengano a
persona estranea al reato, e che questa non li abbia affidati a questo scopo.
Il Legislatore ha pensato anche di stabilire che l'autorità amministrativa disponga l'immediato
divieto di effettuare la competizione. Qui, evidentemente, la ratio di tale comma è quella di
impedire la prosecuzione non di gare clandestine (nel senso di quelle viste nei film), ma di
competizioni che, semplicemente, difettino dell’autorizzazione.
Anche perchè non si può pensare che chi ha scritto la norma sia così stupido da credere che
basti un divieto dell’autorità amministrativa a fermare le gare clandestine. Se uno non è
intimorito dalla pena edittale prevista dall’art. 9-bis, non si vede perché dovrebbe
preoccuparsi di un divieto dell’autorità amministrativa.
Quanto alla realizzazione pratica della fattispecie di cui all’art. 9-bis (se non nella sua
accezione peggiore), sembra risultare molto difficile.
Anche perchè, solitamente, chi voglia organizzare competizioni sportive ha una certa
conoscenza delle normative e dell’iter burocratico cui sottoporsi per la richiesta delle
necessarie autorizzazioni.
Né la ricerca di qualche sentenza ha dato esito positivo, nonostante la previsione normativa
abbia già 13 anni.
ART. 9-TER C.D.S.
Diverso, invece, e decisamente più semplice che succeda, il caso della fattispecie di cui
all’art. 9-ter (Divieto di gareggiare in velocità con veicoli a motore), in quanto non è
necessario il requisito dell’apparato organizzativo, ma è sufficiente che due idioti qualsiasi si
lascino prendere dall’improvvisazione e affrontino la sfida al volante.
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Tale articolo sanziona il comportamento di chi, anche senza l’organizzazione di una gara
sportiva, utilizzi le strade pubbliche come circuito improvvisato.
La pena prevista è quella della reclusione, da 6 mesi a 1 anno e della multa da € 5.000 a €
20.000.
Come nella fattispecie disciplinata dall'art. 9-bis, in caso di morte o lesioni a una o più
persone, la cornice della pena detentiva viene aumentata, da 6 a 10 anni in caso di morte e da
2 a 5 anni in caso di lesioni.
Quale sanzione accessoria troviamo la medesima punizione prevista per la fattispecie delle
gare non autorizzate: sospensione della patente da 1 a 3 anni e la revoca se dallo svolgimento
della competizione derivino lesioni personali gravi o gravissime o la morte di una o più
persone. Ed è sempre disposta la confisca dei veicoli dei partecipanti, salvo che appartengano
a persona estranea al reato, e che questa non li abbia affidati a questo scopo.
ART. 100 CO. 14 C.D.S.
Sull’art. 100 del Codice della Strada è sufficiente un semplicissimo accenno.
La fattispecie punita è quella della falsificazione, manomissione o alterazioni di targhe
automobilistiche o del loro uso.
Non è, però, prevista una sanzione specifica, ma un semplice e generico rimando al codice
penale.
ART. 116 CO. 15 C.D.S.
La guida senza patente (o con patente revocata o non rinnovata per carenza dei requisiti fisici
e psichici) è disciplinata e sanzionata in un solo comma dell’art. 116.
La sanzione prevista nel Codice della Strada ha costituito fattispecie di reato
contravvenzionale, punita con la sola pena pecuniaria (ammenda da € 2.257 a € 9.032), fino
all’entrata in vigore del D.Lgs 15.1.2016 n° 8 (6.2.2016). A partire da quella data, la
contravvenzione in esame, al pari di altre, è stata trasformata in illecito amministrativo.
Tuttavia, in caso di recidiva nel biennio, si applica anche l’arresto fino a 1 anno.
E’, quindi, rimasta, quale fattispecie autonoma di reato, la sola ipotesi “aggravata” della
recidiva nel biennio, esclusa dalla legge di depenalizzazione.
Quale sanzione accessoria, si dispone il fermo amministrativo del veicolo per 3 mesi e, in
caso di recidiva, la confisca amministrativa del veicolo. Quando non sono possibili il fermo o
la confisca del veicolo, allora viene disposta la sospensione della patente, eventualmente
posseduta, da 3 a 12 mesi.
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ART. 337 C.P.
Prima di affrontare i reati più gravi (o, comunque, percepiti come maggiormente pericolosi
dall’opinione pubblica) in materia di circolazione stradale, possiamo fare un accenno anche
all’art. 337 c.p.
In realtà, la fattispecie prevista non è attinente in modo specifico alla circolazione stradale.
Tuttavia, la Giurisprudenza ha via via riconosciuto la configurabilità del reato anche in una
modalità particolare, che lo rende in qualche modo attinente all’argomento.
L’art. 337 sanziona il comportamento di chi usi violenza o minaccia per opporsi ad un
pubblico ufficiale incaricato di un pubblico servizio, mentre svolge un atto d’ufficio o di
servizio.
Il Legislatore non ha definito in modo particolare le modalità della violenza e/o della
minaccia, ma, nel corso degli anni, si è consolidato l’orientamento che vede configurato il
reato anche nel caso in cui il soggetto si dia alla fuga con un comportamento idoneo ad
opporsi all'atto che il p.u. o l'incaricato di pubblico servizio stia compiendo o si accinga a
compiere: sono le ipotesi, tutte ritenute penalmente rilevanti dalla giurisprudenza, in cui il
soggetto tenti la fuga in macchina mettendo in pericolo, con una guida spericolata, la vita di
terze persone, o compia una serie di manovre finalizzate a impedire l'inseguimento, così
inducendo nell'inseguitore una percezione di pericolo per la propria incolumità oppure
ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida oggettivamente pericolosa,
l'incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada; ancora è il caso
del soggetto che si diriga con la propria auto contro i pubblici ufficiali. In quest’ultima
ipotesi, in effetti, la minaccia appare decisamente più concreta. Risulta, comunque, piuttosto
inutile cercare di convincere un giudice che la guida spericolata, sapendo di essere inseguiti
dalle Forze dell’Ordine, non sia idonea a configurare, in capo all’imputato, la commissione
del reato.
LA GUIDA IN STATO DI ALTERAZIONE
Si deve al nuovo codice della strada del 1992 la separazione delle fattispecie di reato della
guida in stato di ebbrezza (art. 186) e sotto l’influenza di sostanze stupefacenti (art. 187).
Prima di allora, infatti, il Testo Unico delle norme sulla circolazione stradale (D.P.R. 393 del
1959) vietava di guidare in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande alcoliche o di
sostanze stupefacenti.
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Nel corso degli anni abbiamo assistito a vari interventi del Legislatore, come spesso accade di
tipo emergenziale, sull’onda emotiva di alcuni incidenti stradali cui le cronache avevano dato
ampio risalto.
Solo nell’ultimo decennio, abbiamo avuto ben 4 provvedimenti legislativi che hanno
modificato le disposizioni penalistiche inserite nel codice della strada.
Spesso assistiamo a interventi di emergenza che si limitano a inasprire le sole pene detentive.
Nel caso del codice della strada, invece, sono state ritoccate anche le sanzioni pecuniarie e le
misure interdittive e ablative, che incidono in modo più determinante.
In ogni caso, l’impressione che si ricava è che gli interventi siano più dovuti alla necessità di
dare un contentino ai giustizialisti, che non a risolvere (o prevenire) in maniera lucida un
problema.
E quando il Legislatore si lascia trasportare dalla foga di dare una risposta al montante
allarme sociale, sbaglia quasi sempre, perchè la normativa che ne esce è scarsamente
ponderata e soggetta, in tempi piuttosto brevi, a modifiche.
Nel 2007, l’art. 5 del D.L. 117 ha:
1) reintrodotto il reato di guida senza patente;
2) modificato la guida in stato di ebbrezza, introducendo le famose tre cornici sanzionatorie
distinte in base alla quantità di alcool;
3) inasprito le sanzioni per la guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti o
psicotrope;
4) raddoppiato le pene e il fermo amministrativo del veicolo per il conducente che,
annebbiato da alcool o droghe, abbia provocato un incidente stradale;
5) depenalizzato il rifiuto di sottoporsi ad accertamenti sullo stato di ebbrezza o di
alterazione da sostanze stupefacenti.
Peraltro, inizialmente il decreto prevedeva una pena detentiva anche per la guida con un
valore di alcool nel sangue compreso tra 0,5 e 0,8. La legge di conversione aveva soppresso
la pena detentiva, configurando il reato come contravvenzione, estinguibile mediante
oblazione ex art. 162 c.p. (pagando una somma pari a ⅓ della sanzione massima e le spese
del procedimento).
Ovviamente, poiché la legge di conversione aveva introdotto una novità meno afflittiva per i
potenziali trasgressori, aveva poi dovuto “rimediare”, rimuovendo la possibilità di sostituire
la pena con l’obbligo (inizialmente previsto per la due fasce superiori di cui all’art. 186 co. 2)
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di svolgere attività sociale gratuita e continuativa presso strutture sanitarie traumatologiche
pubbliche. La novità, che era parsa, da una prima analisi del D.L., in grado di realizzare una
deflazione carceraria, veniva, quindi, cancellata in sede di conversione.
L’anno successivo, un altro D.L., il 92 del 2008, ha:
1) inasprito le sanzioni per i reati di guida in stato di alterazione psicofisica;
2) stabilito la confisca obbligatoria del veicolo a carico di chi venga colto in stato di
ebbrezza con tasso superiore a 1,5 g/l;
3) ripristinato la sanzione penale per il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti.
Nel 2009, stavolta direttamente con una legge, la n. 94, abbiamo assistito:
1) al raddoppio della durata della sospensione della patente di guida in caso di tasso
alcolemico superiore a 1,5 g/l o in stato di alterazione da stupefacenti, quando non possa
essere disposta la confisca del veicolo perché appartenente a un terzo;
2) all’introduzione, per i reati di cui agli artt. 186 e 187, dell’aggravante a effetto speciale
dell’avere commesso il fatto tra le ore 22 e le 7. Attenzione: questa aggravante è sottratta
al giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti che possano concorrere nella
determinazione della pena.
Il raddoppio della durata della sospensione della patente in caso di impossibilità della
confisca, inserita per sanzionare più aspramente chi si metta alla guida di veicoli altrui per
evitare la misura ablativa, non si applica nel caso in cui il soggetto si rifiuti di sottoporsi
all’accertamento (art. 186 co. 7). L’esigenza di prevenzione dovrebbe essere la medesima,
ma, evidentemente, il Legislatore se ne è dimenticato.
O, forse, avrà ritenuto sufficiente la sanzione amministrativa accessoria già stabilita, dato che
il periodo di sospensione previsto dalla norma va da 6 mesi a 2 anni.
Nel 2010, infine, con la L. 120 si è vista:
1) La riformulazione di alcuni commi degli artt. 186 e 187;
2) L’introduzione dell’art. 186-bis, che inasprisce le sanzioni a carico di neopatentati e
guidatori professionali;
3) La depenalizzazione della guida in stato di ebbrezza nell’ipotesi più lieve (con tasso
alcolemico tra 0,5 e 0,8);
4) L’introduzione della possibilità di sostituire la pena detentiva e pecuniaria con il lavoro
di pubblica utilità.
ART. 186 C.D.S.
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La norma punisce la guida in stato di alterazione da bevande alcoliche e definisce il tasso
minimo al di sopra del quale un conducente può definirsi alterato: 0,5 g/l.
Come è noto, sopra questo limite il Legislatore ha stabilito 3 soglie, in relazione al tasso
alcolemico riscontrato, sanzionate in modo differente.
a) Nel caso di concentrazione di alcool nel sangue tra 0,5 e 0,8, il conducente viene punito
con una sanzione amministrativa da € 531 a € 2.125 e con la sospensione della patente da
3 a 6 mesi.
b) Nel caso di tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5, la sanzione principale non è più
amministrativa, in quanto il trasgressore viene punito con l’ammenda da € 800 a € 3200 e
con l’arresto fino a 6 mesi. E, ovviamente, la sanzione amministrativa accessoria della
sospensione aumenta, rispetto all’ipotesi precedente: da 6 mesi a 1 anno.
c) Nell’ipotesi di violazione più grave, con tasso alcolemico superiore a 1,5, l’ammenda è
da € 1.500 a € 6.000 e l’arresto da 6 mesi a 1 anno. La patente viene, poi, sospesa da 1 a
2 anni. La sospensione raddoppia nel caso in cui il veicolo usato per la commissione del
reato appartenga a persona estranea al reato e la patente viene revocata in caso di recidiva
nel biennio e, sempre, in caso di incidente. Il veicolo viene poi confiscato, sempre che
non sia di un terzo estraneo, con la sentenza di condanna (o con l’applicazione della pena
su richiesta). Attenzione, perché tale misura ablativa viene disposta anche nel caso di
sospensione condizionale della pena.
Il Legislatore, quale tentativo di misura ulteriormente deterrente, ha disposto che, in caso di
incidente stradale provocato in violazione dei limiti stabiliti nell’art. 186, le sanzioni siano
raddoppiate e, sempre che il veicolo non sia di persona estranea, subisca un fermo
amministrativo di 180 giorni. Come abbiamo già visto, poi, la patente viene sempre revocata
in caso di incidente e di superamento della soglia massima.
Le sanzioni accessorie sono applicate anche in caso di scelta, ai fini processuali, del
cosiddetto patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
Inoltre, l’ammenda prevista dal comma 2 viene aumentata da ⅓ a metà se il reato viene
commesso nelle ore notturne, dalle 22 alle 7.
La ratio di questa aggravante, che, come accennato prima, non può essere soggetta al
bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti (eventuali diminuzioni di pena vengono
operate sulla quantità risultante dall’aumento conseguente all’aggravante specifica), risiede
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nel fatto che viene ritenuta maggiormente pericolosa la somma dell’assunzione di alcool e del
rallentamento dei riflessi tipico delle ore notturne, a causa della naturale stanchezza.
Quello che, però, stride con la severità con cui il Legislatore ha pensato di combattere il
fenomeno (impedendo il bilanciamento con le circostanze attenuanti) è che l'aumento di pena
colpisce solo l’ammenda e non anche la pena detentiva.
Alcuni commentatori, peraltro, ritengono che, data la statistica sulla guida in stato di
ebbrezza, che evidenzia come siano decisamente rari i casi accertati tra le 7 e le 22, sia
assurda la previsione di un’aggravante che punisce più severamente quelle che possono
considerarsi ipotesi generali.
Personalmente ritengo che, in caso di superamento della soglia di 1,5, la tendenza del
guidatore sia quella di avere una maggiore cautela, dovuta semplicemente al rallentamento
generale delle funzioni cerebrali. Diverso, invece, il caso di un superamento della soglia
minima di 0,5 perché i freni inibitori risultano spesso compromessi dalla leggera assunzione e
ci si sente in grado di affrontare senza problemi la guida anche veloce, con un aumento del
rischio generale.
L’idea di cercare di migliorare la sicurezza notturna nelle nostre strade ha portato anche alla
creazione di un Fondo contro l’incidentalità notturna e, con la riforma del 2009, è stato
stabilito che una quota del 20% dell’ammenda irrogata sia destinato a quel Fondo.
Non chiediamoci, però, come vengano usate le risorse che confluiscono nel Fondo, istituito
presso la Presidenza del Consiglio. In teoria, dovrebbero essere acquistati materiali,
attrezzature e mezzi per le attività di contrasto dell’incidentalità notturna svolte dalle Forze di
polizia, per campagne di sensibilizzazione e di formazione degli utenti della strada e per il
finanziamento di analisi cliniche, di ricerca e sperimentazione nel settore di contrasto della
guida in stato di alterazione psicofisica. In pratica, visto che, spesso, alle Forze di polizia
mancano importanti dotazioni, il pensiero di come vengano gestite male queste somme è più
che legittimo.
A proposito delle dotazioni in uso agli operanti, solitamente viene fatta una prima prova con
un apparecchio che loro stessi chiamano “precursore”. Il risultato fornito da questo
apparecchio è una sorta di prima analisi, molto grossolana, che indica che il soggetto ha fatto
uso di sostanze alcoliche. In caso di esito positivo, il trasgressore viene sottoposto - sempre
che non si rifiuti - ad analisi più specifiche che indichino il valore soglia eventualmente
superato. A volte capita che l’apparecchiatura necessaria non sia in dotazione sulla vettura
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delle Forze dell’ordine e, in tal caso, gli agenti hanno la facoltà di condurre il presunto
trasgressore presso il loro ufficio o comando, per la misurazione.
In caso di incidente, il conducente viene sempre sottoposto all'alcoltest e, qualora necessiti di
cure ospedaliere o anche solo di semplici accertamenti diagnostici per escludere lesioni, le
analisi alcoolemiche vengono effettuate direttamente dagli operatori sanitari, su richiesta
degli organi di Polizia stradale.
Se il conducente si rifiuta di sottoporsi alle analisi, la sanzione stabilita è quella prevista per
la violazione più grave (186 co. 2 lett. c), ma la sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente, in caso di condanna, va da 6 mesi a 2 anni.
Con l’ordinanza che dispone la sospensione della patente, viene anche disposta una visita
medica, al cui esito è legata la sorte della patente del trasgressore.
Grazie alla riforma del 2010, nel caso in cui NON sia avvenuto un incidente, la pena
detentiva e pecuniaria comminate possono essere sostituite, anche in caso di decreto penale di
condanna, se l’imputato non si oppone, con un periodo di lavoro di pubblica utilità.
Che consiste in una prestazione non retribuita a favore della collettività, da svolgere, in via
prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le
province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o
presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Il lavoro di pubblica utilità ha una durata
corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena
pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di
svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e
dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della
patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato.
Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta e, in caso di
violazione degli obblighi ad esso connessi, viene revocato e ripristinata la sanzione sostituita
(compresa la confisca del veicolo).
La difesa di un soggetto sorpreso alla guida in condizioni di ebbrezza non è facile.
Soprattutto perché gli operanti sono stati adeguatamente “istruiti” a descrivere, nei verbali, le
condizioni in cui appare il soggetto.
Da quando ho cominciato la professione, non mi è mai capitato un verbale ai sensi dell’art.
186 che non contenesse la descrizione dei sintomi riscontrati e che, puntualmente, erano: alito
vinoso, eloquio sconnesso, equilibrio precario e occhi arrossati. La cosa “strana” è che i
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sintomi erano quasi sempre uguali, a prescindere dall’effettiva concentrazione di alcool nel
sangue. Evidenza che, per prevenire determinate eccezioni del difensore e far sì che il giudice
arrivasse alla condanna, erano state fornite precise istruzioni o, comunque, tra gli operanti si
era diffusa questa prassi a causa delle precedenti esperienze.
Quanto agli accertamenti strumentali, le apparecchiature in dotazione sono diventate sempre
più precise e vanificano molte eccezioni difensive. Tuttavia, quello che il difensore può fare è
puntare il dito sulla precisione del test effettuato con l’alcoltest, verificare l’omologazione, la
data dell’ultimo controllo del suo funzionamento e, in caso di accompagnamento del proprio
cliente in ospedale per eventuali cure, verificare che sia stata svolta un’analisi ematica.
In quest’ultimo caso, una speranza per la difesa potrebbe essere costituita dalla “catena di
controllo”. Il campione ematico prelevato dal soggetto, infatti, deve non solo essere
sufficiente a garantire l’analisi delle sostanze vietate presenti nel sangue, ma anche essere
conservato secondo determinati crismi che, se non rispettati, potrebbero inficiarne
l’utilizzabilità. Inoltre, se non sufficiente, come quantità, a garantire la possibilità
all’interessato di far eseguire un proprio test, potrebbe determinare un vulnus per la difesa.
C’è chi afferma la fallacia degli alcoolimetri in dotazione alle forze dell’ordine, in quanto il
loro principio di funzionamento sarebbe il frutto di un errore di base.
In pratica, l’etilometro si basa sulla Legge di Henry, che regola la solubilità dei gas in un
liquido e recita: Un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in
soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso.
Il problema, secondo chi cerca di demolire l’attendibilità dell’alcooltest, consiste nel fatto
che, per calcolare i coefficienti che devono essere utilizzati per la programmazione
dell’apparecchio, si sono effettuate prove di laboratorio, in condizioni di temperatura e
pressione stabili e utilizzando come liquido l’acqua.
Cosa che non avverrebbe, invece, nell’ambito di una misurazione in strada, dove le
condizioni di temperatura e di pressione non sono certo paragonabili a quelle di un
laboratorio (si pensi, ad esempio, alle differenze di temperatura di soggetti vari) e dove il
liquido sul quale deve agire il gas non è acqua, ma sangue.
Il risultato, quindi, sarebbe inattendibile e la cosa migliore sarebbe un prelievo ematico (che,
però, non si sa se possa portare vantaggi per il proprio cliente).
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Si tratta, comunque, di tentativi, perché, come è noto, l’ultima parola spetta al giudice. Che,
spesso, non se la sente di andare contro quanto affermato dagli operanti o risultante
dall’apparecchiatura a loro in dotazione.
Tuttavia, qualora non fosse utilizzabile in dibattimento l’esito delle analisi, si otterrebbe
quantomeno l’esclusione della configurabilità della fattispecie penale, restando solo la
possibilità della contravvenzione prevista dalla lettera a) dell’art. 186 co. 2.
Ma il lavoro dell’avvocato, soprattutto nel caso della guida in stato di ebbrezza, non si deve
limitare alla difesa in ambito penale. Abbiamo visto, infatti, come la norma preveda sia pene
che sanzioni amministrative accessorie. E, spesso, proprio su questo campo si gioca
un’importante partita.
Quando un cliente viene fermato, in caso di esito positivo dell’alcooltest, non subisce solo la
sanzione penale, ma anche ulteriori misure. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il prefetto
dispone, in via cautelare, la sospensione della patente di guida, per un periodo che può
arrivare fino a 2 anni.
La misura cautelare disposta dal prefetto, quindi, può anche non coincidere con la sanzione
amministrativa accessoria comminata dal giudice monocratico a seguito della condanna.
Infatti, solo nell’ipotesi della violazione più grave può esserci coincidenza nella misura
massima del provvedimento. In alcuni casi, peraltro, il prefetto può subordinare la riconsegna
della patente all’effettuazione di una visita medica.
E cosa succede se il prefetto dispone la sospensione e, successivamente, l’imputato, magari a
seguito di opposizione a decreto penale di condanna, ottiene un’assoluzione nel merito?
Si deve tenere la sospensione cautelare, perchè ormai già abbondantemente scontata. Ma non
subirà la sanzione amministrativa accessoria (né quella principale, ovviamente).
A tal proposito, è intervenuta stata una pronuncia di un Giudice di pace di Verona (1936 del
2014), che ha ritenuto come l’art. 223 del CdS, che da al prefetto il potere di disporre la
misura cautelare, non si applichi in caso di violazione dell’art. 186. Questo coraggioso
giudice ha motivato la sua decisione, sostenendo che l’art. 223 CdS sia una norma generale e
il 186 una norma speciale. Di conseguenza, prevale quest’ultima.
Personalmente, non ho mai avuto la fortuna di trovare un giudice che interpretasse così la
normativa, in quanto l’interpretazione che va per la maggiore è quella di considerare
assolutamente nella discrezionalità del prefetto la quantificazione della sospensione cautelare.
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Non molto tempo fa, una signora, in trasferta serale per lavoro in Emilia Romagna, aveva
esagerato un tantino con i brindisi insieme al cliente. Finita la serata, prendeva la propria
vettura, per tornare a Pavia, ma imboccava l’autostrada contromano. Poiché si rendeva conto
di non essere lucidissima, percorreva alcuni chilometri nella corsia di sorpasso, maledicendo
la Società Autostrade perché non aveva costruito delle piazzole di emergenza e
domandandosi perché fossero tutti contromano…
Mentre lei era intenta a cercare un posto a margine dove riposare, gli altri automobilisti
chiamavano allarmati la polizia stradale e, prima che gli agenti riuscissero a intervenire,
bloccandola al casello, una signora decideva di lanciarsi fuori strada per non scontrarsi
frontalmente (per sua fortuna, non procurandosi alcuna lesione grave). Arrivata al casello, la
signora veniva fermata dagli agenti della Stradale, che le chiedevano di sottoporsi al test. Le
sue condizioni erano tali da non riuscire a soffiare nell’apparecchio e, poiché riteneva di
essere maggiormente tutelata, accoglieva di buon grado la proposta di andare in ospedale per
le analisi. Non si sa cosa sia successo in macchina, ma in ospedale non ci arrivarono.
Andarono, invece, negli uffici della Stradale, dove le fecero un verbale contestandole il 186
co. 7.
A seguito del verbale, venne sequestrato il veicolo, sospesa la patente per 12 mesi, emanato
un decreto penale di condanna che prevedeva la confisca dell’auto. Si dovette chiedere che la
signora venisse nominata custode del veicolo (per evitare troppe spese), fare un ricorso
avverso la sospensione prefettizia della patente e, una volta emesso, opporsi al decreto penale
di condanna. Il ricorso avanti il gdp venne respinto, con la motivazione che, essendo una
misura cautelare, il prefetto avesse ampia discrezionalità sulla durata della sospensione e che
era del tutto sganciata dalla sanzione accessoria di competenza del giudice monocratico. Una
volta affrontato il processo, le testimonianze degli operanti permisero di arrivare
all’assoluzione, perché uno dei due riferì che la signora aveva provato a soffiare, non
riuscendoci e che, effettivamente, dovessero andare in ospedale (ma non si ricordava perché
non lo fecero). Il processo penale non era, però, l’unica preoccupazione della cliente, perché,
nelle more, un giudice ordinò la vendita del veicolo, perché gli risultava ancora la confisca. Si
dovette, quindi, depositare un’istanza urgente, con l’I.V.G. che, nel giro di pochi giorni
voleva prendere il veicolo con un carro attrezzi, per chiedere la sospensione della vendita
inammissibile attesa della sentenza del monocratico.
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Per fortuna, l’istanza venne accolta, ma il fatto è che il T.U. sulle spese di giustizia, all’art.
151 co. 3, prevede espressamente che il Giudice possa, se i beni non possono essere custoditi
senza pericolo di deterioramento o senza rilevante dispendio, disporne la vendita.
Attenzione, perchè questa norma non viene applicata molto spesso, ma potrebbe essere di una
portata devastante, perché, alla fine, un provvedimento temporaneo quale può essere un
sequestro, diventerebbe definitivo. E si sa che da un bene venduto forzatamente non si ricava
mai la stessa cifra che si potrebbe ottenere da una vendita volontaria. Oltre al fatto che,
spesso, il valore affettivo di un bene, o la funzione esercitata da quel bene all’interno di un
nucleo familiare, è decisamente superiore al suo valore commerciale. Quindi, il soggetto cui
venga sequestrato un veicolo, oltre ad affrontare le difficoltà che l’assenza temporanea del
bene comporta, si può ritrovare con una sentenza assolutoria e, nello stesso tempo, senza il
veicolo, venduto nelle more per evitarne il deprezzamento. Con il risultato che dovrà
affrontare una spesa maggiore, rispetto all’importo che gli venga restituito dopo
l’assoluzione, per comprare un veicolo che possa sostituire quello venduto.
Ma quale difesa si può concretamente approntare in caso di guida in stato di ebbrezza?
Innanzitutto, verificare sempre con molta attenzione se ci sono carenze nella verbalizzazione:
solitamente gli operanti sono molto attenti a indicare tutto (e anche di più) il necessario. Ma
se manca l’avvertimento di farsi assistere da un difensore, si verifica una nullità relativa, che
va sollevata nei termini di cui all’art. 181 c.p.p. (sempre che, decaduta la parte, un giudice
non ritenga di poter sollevare d’ufficio la questione). Oppure, se non ci sono indicazioni sul
tipo di apparecchio usato, o se le misurazioni sono effettuate a meno di 5 minuti l’una
dall’altra, qualche possibilità di eccezione da parte del difensore c’è. Non, però, se il fermato
viene avvisato della facoltà di farsi assistere da un avvocato e questo non fa in tempo ad
arrivare sul posto, perché l’accertamento va compiuto con una certa celerità (l’attesa farebbe
abbassare il tasso alcolico), oppure il nome del difensore non venga verbalizzato.
Oltre a queste valutazioni, bisogna verificare se si possa presentare opposizione avanti al
giudice di pace (e, se si fa, sperare in una pronuncia come quella di Verona del 2014) e fare
istanza immediata perché il cliente possa essere nominato custode del veicolo sequestrato (al
fine di ridurre le spese di custodia). Magari non si riuscirà a salvare il veicolo, ma almeno si
risparmierà qualche spesa.
Bisogna, comunque, tenere presente, che molto spesso (praticamente sempre, ormai), le
Procure chiedono l’emissione di decreti penali di condanna, con innegabili vantaggi. Peraltro,
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l’emissione del decreto penale di condanna non fa venir meno la possibilità, in assenza di
incidenti e se non sia già stata utilizzata, di chiedere i lavori di pubblica utilità. Quanto alla
determinazione della pena, che nel decreto penale prevede la sostituzione della pena detentiva
in pecuniaria, c’è una norma, l’art. 53 della L. 689 del 1981, che è stata modificata nel 2003 e
prevede che, in caso di sostituzione, la pena pecuniaria venga calcolata, ai sensi dell’art. 135
c.p., tra un minimo di € 250/giorno ad un massimo di € 2.500/giorno, in ragione delle
condizioni economiche dell’imputato. Tale norma, però, nella prassi è quasi del tutto
trascurata.
Come suggerimento, se non ci sono sbavature nell’impianto accusatorio, se il verbale è
perfetto, tutti gli avvisi di legge sono stati dati, le garanzie dell’imputato rispettate e gli
operanti hanno una certa esperienza, è da evitare tassativamente di chiedere un rito ordinario.
Se lo si fa, bisogna essere certi di poter smontare qualcosa. E, in questo caso, ricordarsi di
inserire nella lista testi anche gli operanti (soprattutto se si pensi di poterli mettere in
difficoltà nel corso dell’esame), perchè se il PM non deposita lista testi, fidandosi
dell’accertamento strumentale (che in alcuni casi viene ritenuto dal giudicante più che
sufficiente), il difensore rimane senza la possibilità di controesaminare gli agenti.
Se l’ordinario è scelto per sperare nella prescrizione, si tratta di una speranza quasi sempre
vana, data la celerità e semplicità delle indagini necessarie.
Il patteggiamento potrebbe anche avere qualche attrattiva, ma è necessario tenere presente
che difensore e PM, nel confezionare l’accordo sulla pena, non possono vincolare il Giudice
per quanto concerne le pene accessorie, le sanzioni amministrative accessorie, le misure di
sicurezza o la confisca, perché queste sono obbligatorie e sottratte alla loro disponibilità.
Pare opportuno fare ora qualche accenno al lavoro di pubblica utilità.
Il lavoro di pubblica utilità è un istituto di carattere premiale, che permette all’imputato di
sostituire la pena con un periodo di lavoro non retribuito, a favore della collettività, nel
campo della sicurezza e dell’educazione stradale da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le
Province (o, meglio, ciò che sono ora), i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o
organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Il Giudice può operare la
sostituzione della pena con il Lavoro di pubblica utilità sia con la sentenza che con il decreto
penale di condanna. E’ sufficiente che non vi sia opposizione da parte dell’imputato.
Viene incaricato l’UEPE, perché verifichi che il lavoro di pubblica utilità sia effettivamente e
correttamente svolto.
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In caso di positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il Giudice fissa un’udienza e, in
quella occasione, dichiara estinto il reato, disponendo anche la riduzione alla metà della
sanzione della sospensione della patente e la revoca della confisca del veicolo sequestrato.
Sempre che, nel frattempo, qualcuno troppo zelante non lo abbia fatto vendere ai sensi
dell’art. 151 co. 3 D.P.R. 115/2002…
In caso di violazione degli obblighi, a richiesta del PM o d’ufficio, il Giudice che procede o
quello dell’esecuzione, dispone la revoca della pena sostitutiva e ripristina quella sostituita.
Tale pena sostitutiva può essere concessa solo una volta.
Il lavoro di pubblica utilità previsto dagli artt. 186 co. 9-bis e 187 co. 8-bis è diverso da
quello previsto dall’istituto della messa alla prova, introdotto con L. 67 del 2014. Nonostante
siano chiamati allo stesso modo, il primo ha una durata predeterminata dalla legge e
corrisponde alla sanzione irrogata. Il secondo, da effettuarsi per un periodo non inferiore a
dieci giorni (e 8 ore giornaliere), dipende dalla discrezionalità del Giudice, che deve,
innanzitutto, valutare se sussistano le condizioni e, in caso positivo, ne determina le modalità
e la durata. Conviene, al difensore, prendere contatto con l’UEPE e predisporre con tale
ufficio un programma che possa, anche secondo l’esperienza passata con altri soggetti, essere
accolto favorevolmente dal Giudicante.
Il limite del lavoro di pubblica utilità, come già detto, è la sua esclusione in caso di incidente
stradale. La norma prevede che il conducente debba avere provocato il sinistro. Non è
necessario che il conducente in stato di ebbrezza abbia coinvolto altri soggetti o veicoli. E’
sufficiente che vada a sbattere per i fatti propri per configurare l’ipotesi che impedisce i
lavori di pubblica utilità.
Parrebbe forse utile, in caso di sinistro stradale, rifiutarsi di sottoporsi all’accertamento con
l’etilometro, quantomeno per escludere il raddoppio del periodo di sospensione della patente,
in quanto, nonostante il richiamo alle sanzioni previste dall’art. 186 co. 2 lett. c), il codice
della strada disciplina in modo autonomo il periodo di sospensione per questa violazione (da
6 mesi a 2 anni). Non ci si salva, comunque, dall’applicabilità dell’aggravante specifica
dell’eventuale commissione del reato nelle ore notturne.
ART. 186-BIS C.D.S.
Questo articolo è stato inserito dalla L. 120 del 2010, che ha disciplinato in modo autonomo
(e più duro), a carico di minori di 21 anni, neopatentati e guidatori professionisti, la
violazione del divieto di guidare in stato di alterazione psicofisica.
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Non risulta, infatti, concesso che l’eventuale misurazione con alcooltest dia un risultato
superiore allo “zero”.
I destinatari di questo regime sono:
- minori di anni 21 e neopatentati nei primi tre anni dal conseguimento della patente;
- trasportatori professionali di persone;
- trasportatori professionali di cose;
- conducenti di veicoli con massa superiore a 3,5 t., di autoveicoli trainanti un
rimorchio (con massa complessiva dei due veicoli superiore a 3,5 t., di autobus e
veicoli destinati al trasporto di persone con almeno 8 posti a sedere escluso il
conducente e di autoarticolati e autosnodati.
E’ prevista una semplice sanzione amministrativa (da € 164 a € 663) in caso di superamento
dello “zero”, ma non del tasso di 0,5. Le sanzioni sono raddoppiate in caso di provocamento
di incidente.
Sussiste, poi, un richiamo alle sanzioni previste nell’art. 186 co. 2, aumentate di ⅓ nel caso
della lettera a) e da ⅓ a ½ nei casi di cui alle lettere b) e c).
E’ escluso il giudizio di bilanciamento di eventuali attenuanti concorrenti con le aggravanti
contestate e le diminuzioni di pena opereranno sulla pena conseguente al calcolo delle
aggravanti.
In caso di superamento della soglia più alta, la patente è sempre revocata per i conducenti di
veicoli con massa superiore a 3,5 t. o, in caso di recidiva nel triennio, per gli altri conducenti
cui è dedicato l’articolo. E, ovviamente, è disposta la confisca del veicolo.
Anche l’ipotesi del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti è disciplinata in modo più duro,
perché le pene di cui all’art. 186 co. 2 lett. c) vengono aumentate da ⅓ a ½.
La curiosità del Legislatore è che ha disposto che, al contrario dell’analoga violazione
commessa da un soggetto qualsiasi, in caso di impossibilità di confisca del veicolo, perché
appartenente a terzo estraneo, la durata della sospensione della patente è raddoppiata.
Il prefetto ordina, insieme alla sospensione della patente, che il conducente si sottoponga a
visita medica e, se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei 2 anni precedenti per il
medesimo reato, è sempre disposta la revoca della patente, quale sanzione amministrativa
accessoria.
Ulteriore giro di vite del Legislatore, in caso di violazione commessa da soggetto inferiore ai
18 anni, consiste nell’impossibilità di conseguire la patente B prima dei 19 anni in caso di
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superamento della soglia 0, ma non dello 0,5 e non prima dei 21 anni in caso di superamento
dello 0,5.
Inutile spiegare la ratio di questa disciplina più severa - condivisibilissima, peraltro - nei
confronti di queste categorie di soggetti.
È, però, necessario giusto un cenno al fatto che la severità del regime è stata mitigata dal
principio espresso dalla Corte Costituzionale, con sentenza 167 del 2012, che ha
sostanzialmente dichiarato, nella motivazione, che le ipotesi di guida sotto l’influsso di
sostanze alcoliche da parte di conducenti “a rischio elevato”, quali quelli di cui all’art.
186-bis C.d.S., siano da qualificare come aggravanti rispetto alle ipotesi configurate ai sensi
dell’art. 186 e, quindi, nonostante non vi sia un richiamo letterale all’applicabilità della
norma di cui al comma 9-bis del 186, i lavori di pubblica utilità siano concedibili anche a
questi soggetti.
Art. 187 C.D.S.
L’art. 187 disciplina o, meglio, vieta, la guida, in stato di alterazione psicofisica, dopo
l’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, punendola con l’ammenda da € 1.500 a €
6.000 e l’arresto da 6 mesi a 1 anno.
La patente, sanzione amministrativa accessoria, viene sospesa da 1 a 2 anni e se il veicolo è
di terzo estraneo, da 2 a 4 anni.
Con un richiamo alla categoria dei conducenti “a rischio elevato”, in caso di violazione da
parte di questi, le sanzioni appena viste aumentano da ⅓ alla ½.
Anche in questo caso, opera la revoca se il reato è commesso da uno dei conducenti di cui
alla lett. d) del 186-bis co.1 o in caso di recidiva nel triennio.
Con la sentenza di condanna, anche ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e anche in caso di
applicazione della sospensione condizionale, il veicolo è sempre confiscato, purché non
appartenente a terzo estraneo.
In caso di sinistro provocato dall’assuntore di stupefacenti in stato di alterazione, le pene
sono raddoppiate e la patente sempre revocata.
Anche per il 187, è stata prevista l’aggravante specifica della commissione in orari notturni.
Il Legislatore ha utilizzato una formulazione della norma che può servire, al difensore,
quando venga contestata la guida in stato di alterazione psicofisica dopo l’assunzione di
stupefacenti, senza che l’alterazione risulti da accertamenti strumentali.
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Contrariamente, infatti, alla descrizione sintomatica dello stato di ebbrezza, sufficiente
quantomeno a configurare l’illecito più lieve di cui all’art. 186 co. 2 lett. a), l’alterazione da
stupefacenti non può risultare da elementi sintomatici esterni. Le sostanze stupefacenti sono
varie e con effetti non univoci. E’ chiaro che le Forze dell’Ordine hanno una certa esperienza
e possono rendersi conto di uno stato di alterazione del conducente. Ma il quadro sintomatico
non può, da solo, giustificare l’accusa ai sensi del 187 CdS, in quanto serve anche
l’accertamento strumentale.
Come avviene, quindi, l’accertamento? Attraverso un esame su campioni di liquidi biologici.
E nemmeno questo, da solo, è sufficiente ad accertare il reato.
Perché questo avvenga, è necessario che ci siano entrambi (quadro sintomatico di alterazione
e accertamento strumentale), in quanto il primo consente di appurare una condizione di
alterazione al momento del fatto e il secondo di collegare la condizione di alterazione
all’assunzione di sostanze stupefacenti. Quanto all’esame, il liquido biologico “principe” per
la valutazione dell’attualità d’uso dello stupefacente è il sangue. In alternativa, la saliva.
L’urina, invece, non è assolutamente rilevante (e, se ci provano, bisogna opporsi con forza),
in quanto lo stupefacente permane nel liquido, pur senza che il soggetto subisca alterazione
psicofisica, per giorni. Le analisi delle urine consentono di valutare un consumo recente, ma
non attuale. Ecco perché, ai fini della valutazione dello stato di alterazione psicofisica, il
Protocollo operativo diramato dal Ministero della Salute il 15.2.2005 (c.d. Protocollo
Operativo Droga) prevede che, in caso di positività di entrambi i campioni (sangue e urine o
saliva e urine), nel referto analitico deve essere indicata la concentrazione di ciascuna
sostanza identificata nelle analisi di conferma e si deve tenere conto anche di eventuali
terapie farmacologiche in atto. Non basta dirlo; la terapia farmacologica che può,
eventualmente, falsare il risultato positivo delle analisi, deve essere documentata da
prescrizioni mediche. Se risulta positivo un solo campione, prevale il risultato
dell’accertamento eseguito sul sangue (rispetto alle urine). Se la discrepanza coinvolge il test
sulle urine e quello sulla saliva, se quest’ultimo è stato eseguito con
gascromatografo/spettrometro di massa, si considera globalmente positivo. Altrimenti deve
essere considerato negativo. Parte della giurisprudenza di merito ha colto il problema, non
ritenendo sufficiente il test sulle urine in assenza di visita medica che determini l’attualità del
consumo.
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La riforma del 2010 sembra aver eliminato la necessità della visita medica, ritenendo
sufficiente l’esito delle risultanze degli accertamenti di laboratorio sui campioni, per la
deduzione dello stato di alterazione. Gli operanti, peraltro, in alcune occasioni agiscono in
modo molto comodo (per loro): capita, infatti, che, soprattutto quando di fronte si trovino
degli sprovveduti, spaventati per il controllo, che magari si sono fumati una canna 1 ora
prima, cerchino di puntare molto sull’aspetto delle analisi che, ove risultino positive, possono
comportare conseguenze pessime, oltre al fatto che si protrarrebbero per ore. E che, quindi, se
il soggetto firma il verbale e se ne torna a casa, può rivolgersi da solo alle strutture sanitarie
pubbliche per l’effettuazione di analisi che possano determinare l’assenza di alterazione.
Peccato che, così facendo, compilando un verbale con crocette su prestampati e facendolo
firmare allo sprovveduto (che, nel 90% dei casi non legge una sola parola), scatti il rifiuto di
sottoporsi agli accertamenti e il reato sia già bell’e confezionato.
Se il soggetto è incensurato, giovane, intimorito dall’autorità, il gioco risulta facile.
Qualche tempo fa, infatti, capitò un diciottenne che si era fatto una cannetta a scuola, insieme
ad altri, 2 ore prima del controllo. Venne fermato e perquisito sul piazzale all’ingresso
dell’A7, gli fecero togliere le scarpe, controllarono la macchina e, trovata una canna, venne
convinto (questa la sua versione) di poter andare al Policlinico di Pavia da solo a fare le
analisi. Ovviamente, gli agenti chiamarono a casa, perché qualcuno venisse a prendere l’auto
e rispose la madre, che arrivò sul posto. Questa, solo dopo mezz’ora di sfuriata al figlio,
appena arrivati a casa, verificò sul verbale il formale rifiuto del figlio di eseguire gli
accertamenti con gli operanti. Ovviamente, madre e figlio cercarono di andare
immediatamente in ospedale per le analisi, ma li respinsero educatamente, perchè non c’era
alcun provvedimento dell’autorità che lo richiedesse. Alla fine, dato che nel verbale non vi
era traccia alcuna della perquisizione, nonché del fatto che gli agenti lo avessero
sostanzialmente spinto a firmare il rifiuto, nell’erronea convinzione di potersi sottoporre da
solo agli esami, né vi erano testimoni che lo potessero scagionare, il diciottenne si prese la
condanna.
Tornando brevemente alla parte teorica, nonostante l’intervento del riformatore, a giudizio di
alcuni lo stato di alterazione non può essere desunto automaticamente dall’assunzione di
sostanza prima della guida, se non ci siano accertamenti non solo sulla qualità della sostanza,
ma anche sulla quantità assunta. Sappiamo tutti, infatti, che la colpevolezza debba essere
provata al di là di ogni ragionevole dubbio.
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Gli operanti possono prelevare campioni di liquidi biologici in tre casi: 1) quando gli
accertamenti qualitativi danno esito positivo; 2) quando hanno ragionevole motivo di ritenere
che il conducente sia sotto l’effetto di sostanze; 3) in caso di sinistri stradali.
Gli accertamenti qualitativi sono effettuati su campioni come urina e saliva e con apparecchi
portatili che rivelino la presenza di sostanze. Ovvio che gli agenti non possano prelevare
sangue, circostanza che è riservata agli operatori sanitari, che possono intervenire in caso di
sinistro, quando il conducente necessiti di cure.
Il prelievo di campioni di sangue dovrebbe essere soggetto a consenso, perché considerato
atto invasivo dell’integrità fisica. La legittimità dei controlli tossicologici forensi, quindi, può
derivare solo dal consenso, informato, al prelievo. La giurisprudenza, tuttavia, ritiene
sufficiente che l’interessato non abbia opposto un rifiuto espresso, evitando di sanzionarla
con l’inutilizzabilità degli esami. In caso di protocolli medici di primo soccorso, che
prevedono il prelievo di campioni di sangue per le analisi necessarie alle cure, non vi è alcun
atto coercitivo nei confronti del soggetto. Qualora dovessero emergere elementi da cui
desumere l’alterazione del soggetto, le analisi sulla concentrazione delle sostanze vietate
saranno utilizzabili nel processo, senza alcun consenso attivo del paziente/imputato.
Quanto al rifiuto di sottoporsi ad accertamenti, come già detto viene sanzionato. Tuttavia, non
sussiste il reato nel caso in cui il rifiuto venga manifestato dopo l’accompagnamento del
soggetto presso il comando dei vigili urbani dove venga chiesto il prelievo delle urine, in
quanto si tratta di un accertamento diagnostico obbligatorio non coattivo e deve essere
eseguito da personale sanitario di strutture pubbliche o accreditate.
Sussiste, invece, se il rifiuto venga opposto al personale sanitario che sia stato incaricato
dalle Forze dell’Ordine di procedere all’esame.
Un’ultima considerazione sul rapporto tra guida in stato di ebbrezza e quella in stato di
alterazione psicofisica da assunzione di stupefacenti: in caso di assunzione di entrambe le
sostanze, ci sarà la violazione delle norme che puniscono le differenti fattispecie e, quindi, il
conducente risponderà di entrambi i reati, con un cumulo materiale delle pene previste.
Quanto alla possibilità di “redenzione” offerta dai lavori di pubblica utilità, come già detto
prima, anche chi sia condannato per la violazione dell’art. 187 CDS può accedere a questo
tipo di pena, con ovvi effetti premiali.
ART. 189 CDS
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Al comportamento in caso di incidente stradale, disciplinato dall’art. 189 CDS, è sufficiente
dedicare solo poche parole. Risulta, infatti, di semplice intuizione la necessità di prestare
soccorso a persone danneggiate da un sinistro. Viene, quindi, sanzionato chi fugga dopo un
incidente con danno alle persone, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, la sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente da 1 a 3 anni e la possibilità di
arresto ai sensi dell’art. 381 c.p.p..
Se vi sono evidenti feriti e il conducente che ha cagionato l’incidente non presti loro
assistenza, la pena è della reclusione da 1 a 3 anni e la patente sospesa da 1 anno e 6 mesi a 5
anni.
L’inasprimento delle norme, che, come abbiamo visto, prevede anche la possibilità di arresto
in flagranza di reato, viene ingentilito dalla possibilità di evitare tale misura pre-cautelare,
qualora il conducente che abbia causato sinistri con lesioni si fermi a prestare assistenza a chi
abbia subito danni alla persona o si metta a disposizione della polizia giudiziaria entro le 24
ore successive al fatto.
Quindi, se clienti che, alterati da droghe o alcool, abbiano provocato incidenti, siano scappati
e arrivino dal difensore entro 24 ore dall’incidente, è utile portarli subito in questura a
costituirsi. Quantomeno, soprattutto se incensurati, avranno la possibilità di non mettere piede
in carcere, nemmeno come misura cautelare. Anche perché, a distanza di ore, l’accertamento
dell’eventuale alterazione da alcool o droghe risulta più difficile da contestualizzare
temporalmente al momento del sinistro…
Inutile in questa sede anche solo accennare qualche parola sulle sanzioni in caso di fuga dopo
danni alle cose o ad animali, perchè sanzionati solo a titolo di illecito amministrativo.
ART. 589-BIS C.P.
L’art. 589-bis è stato introdotto nel nostro codice penale dalla L. 23.3.2016, n° 41.
Questa legge è stata approvata dopo un lungo iter parlamentare che non è stato comunque
capace di emendarla da alcune contraddizioni ed elementi forieri di perplessità.
Innanzitutto, bisogna dire che, come molte delle norme del nostro ordinamento, questa legge
doveva essere la risposta ad un’emergenza.
Il risultato è stato un contentino ai giustizialisti, che reclamavano a gran voce l’intervento del
Legislatore per arginare un fenomeno in espansione.
I dati ISTAT del 2014 hanno evidenziato che, rispetto al 2013, a fronte di una flessione del
numero degli incidenti del 2,5% e del numero dei feriti del 2,7%, la diminuzione percentuale
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dei morti è stata solo dello 0,6% e, nei primi 6 mesi del 2015 si stava assistendo ad
un’inversione di tendenza del dato relativo alle vite perdute.
Come succede spesso in questi casi, quando l’emotività prende il sopravvento la risposta
istituzionale serve solo a placare gli animi e a conservare le proprie poltrone.
Così si è deciso di creare delle autonome fattispecie di reato per colpire quei comportamenti
che, prima, erano previsti a titolo di circostanze aggravanti.
In realtà, già la giurisprudenza stava cominciando a dare una diversa qualificazione,
sanzionando determinati comportamenti sotto il profilo del dolo eventuale e non più della
colpa cosciente.
Il che permetteva di commisurare l’entità delle pene in maniera più corretta rispetto a quanto
previsto dalla normativa, soprattutto nei casi più efferati.
Il Legislatore ha configurato le nuove autonome fattispecie di reato, l’omicidio stradale e le
lesioni personali stradali gravi o gravissime, sotto il profilo della colpa, eliminando, di fatto,
tutte le possibilità di ragionamento sull’elemento soggettivo del reato.
La fattispecie dell’omicidio stradale “base”, cioè l’ipotesi della morte cagionata, per colpa,
dalla violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, viene punita con la
reclusione da 2 a 7 anni. Poiché la norma appare piuttosto aperta, vi è chi ritiene che sia
applicabile a qualunque omicidio colposo verificatosi sulle strade. Anche quando il
responsabile non è conducente di un veicolo. Se pensiamo che ci sono norme che tutelano la
sicurezza delle strade anche solo in relazione alla loro costruzione o manutenzione, possiamo
immaginare come sia facile contestare il reato.
In realtà, l’impianto normativo dovrebbe servire più per colpire i comportamenti peggiori alla
guida, consistenti nell’ebbrezza, nell’alterazione da sostanze stupefacenti e nel mancato
rispetto di alcune norme di comportamento (a dire il vero piuttosto basilari).
E, in effetti, la pena prevista dal Legislatore aumenta (da 8 a 12 anni di reclusione) nel caso di
stato di ebbrezza alcolica superiore a 1,5 (da 0,8 a 1,5 per i conducenti di cui all’art. 186-bis,
eccezion fatta per neopatentati e minori di anni 21) e per l’alterazione da sostanze
stupefacenti.
Qualora il tasso di riferimento di 1,5 non venga superato da un conducente non a rischio
elevato, la pena prevista è quella della reclusione da 5 a 10 anni.
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Questa cornice edittale è applicata anche nel caso di violazione dei limiti di velocità pari o
superiore al doppio consentito nei tratti urbani - e comunque non inferiore a 70 Km/h - o su
strade extraurbane superiore di almeno 50 Km/h.
Altro caso in cui è prevista la pena da 5 a 10 anni è quello in cui si passi col rosso, o si vada
contromano, cagionando la morte di qualcuno. Oppure ancora quando si faccia inversione di
marcia in corrispondenza di intersezioni, curve, dossi o a seguito di sorpasso in
corrispondenza di attraverso pedonale o di linea continua.
E’ prevista un’aggravante, qualora il conducente non abbia la patente (o sia stata
sospesa/revocata) o se il veicolo sia privo di copertura assicurativa (e il conducente sia il
proprietario).
Inoltre, in caso di fuga, la pena viene aumentata da ⅓ a ⅔ e non può essere inferiore a 3 anni.
In caso di più vittime, si applica la pena per la più grave violazione, aumentata fino al triplo
(ma non superiore a 18 anni).
Il Legislatore ha, però, bontà sua, previsto anche che, in caso in cui l’evento non sia esclusiva
conseguenza del comportamento del “colpevole”, la pena è diminuita fino alla metà.
Le norme previgenti prevedevano sostanzialmente un incentivo al rifiuto di sottoporsi agli
accertamenti sulle condizioni di alterazione psicofisica, dopo aver causato incidenti mortali a
seguito di assunzione di sostanze.
Il diniego, infatti, non consentiva di accertare il superamento della soglia di ebbrezza
cosiddetta grave e il conducente poteva contare su un trattamento più lieve, derivante dal
concorso tra l’omicidio colposo e la contravvenzione di cui agli artt. 186 co. 7 e 187 co. 8
CdS, invece dell’ipotesi più grave, disciplinata dall’art. 589 co. 3 c.p..
Una delle innovazioni più azzeccate dal Legislatore, ma che presta comunque il fianco a
critiche, consiste nella modifica degli artt. 224-bis e 359-bis c.p.p., consentendo all’autorità
giudiziaria e di Polizia di sottoporre coattivamente il conducente, che si rifiuti, al prelievo di
campioni biologici o ad accertamenti medici, così da accertare lo stato di alterazione che
permette la configurazione del reato specifico.
La possibilità del prelievo coattivo sorge dal Trattato di Prüm del 2005, che l’Italia ha
recepito nel 2009. L’intento del Trattato è quello di stabilire una cooperazione rafforzata tra
gli Stati europei, aumentando le misure di coordinamento in materia di indagini giudiziarie e
prevenzione dei reati. L’ambito principale, quindi, verte sullo scambio di informazioni e dati
relativi al DNA. Tuttavia, la formulazione particolare dell’art. 224-bis rischia di vanificare le
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possibilità dell’autorità di procedere al prelievo coattivo. La norma consente, infatti, di
compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, in caso di violazione degli artt.
589-bis e 590-bis c.p., attraverso il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su
persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o con accertamenti medici.
Ma, almeno per quanto concerne il prelievo più facile e urgente, che non determina la
necessità di rivolgersi a strutture sanitarie, essendo escluso il sangue, non porterà a risultati
determinanti in ordine all’accertamento dello stato di alterazione attuale al momento del
sinistro e, per quanto concerne gli accertamenti medici, si rischia di perdere troppo tempo.
Si pensi, infatti, all’ipotesi dell’intervento di una pattuglia sul luogo di un sinistro. La prima
cosa da fare è valutare la situazione, mettere in sicurezza la zona, prestare i primi soccorsi ai
feriti e cominciare a farsi un’idea della dinamica, per individuare il o i responsabili. Una volta
trovato il presunto colpevole, va fatta una disamina preliminare sull’eventuale stato di
alterazione. A quel punto, si chiede al soggetto di sottoporsi agli accertamenti. Se questi
rifiuta, si dovrebbe ottenere un’ordinanza dal giudice, su richiesta del PM. In caso di urgenza,
l’autorizzazione anche verbale può arrivare direttamente dal PM, che dovrà poi richiedere la
convalida entro 48 ore. Il difensore deve essere avvisato. Quindi, va anche chiesto al soggetto
che deve essere sottoposto agli accertamenti il nome del difensore. Attenzione: nella norma
manca qualsivoglia riferimento alla possibilità di nominare un difensore d’ufficio. Ma
sappiamo bene che gli operanti vengono istruiti a dovere perchè risulti una nomina di fiducia
anche nei confronti di un avvocato del tutto sconosciuto all’indagato. In ogni caso, espletate
le formalità, si può procedere, accompagnando il soggetto presso il più vicino presidio
ospedaliero. Un po’ di tempo, quindi, si perde anche. Insomma, anche con l’attuale
disciplina, pur configurando un pesante giro di vite, non risultano disincentivati
completamente comportamenti potenzialmente ostruzionistici, al fine di inquinare gli esiti
dell’accertamento ed evitare l’incriminazione per la fattispecie più grave, prevista all’art.
589-bis co. 2.
Tale fattispecie prevede, per la sua configurabilità, o il superamento della soglia più grave di
ebbrezza alcolica, o l’alterazione da stupefacenti o, nel caso di superamento della cosiddetta
soglia media (tra 0,8 e 1,5), il requisito della condizione personale di conducente “a rischio
elevato”. Viene esclusa da questa aggravante ad effetto speciale solo la categoria degli
infraventunenni e dei conducenti con patente da meno di 3 anni. Sinceramente, non se ne
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comprende il motivo, pur potendosi parzialmente giustificare con la schizofrenia tipica di
certe norme del nostro ordinamento.
Tale categoria rientra, comunque, nella residua fattispecie del comma 4°, che impone una
pena da 5 a 10 anni di reclusione, ma resta sempre il mistero della punizione più grave per la
violazione della guida in stato di ebbrezza, pur senza causare incidenti, rispetto ai guidatori
cosiddetti esperti, salvo poi accomunare le categorie nell’ipotesi dell’omicidio stradale.
Curioso, in quanto, nella disciplina del reato di pericolo quale il 186/186-bis si opera una
differenziazione che non esiste più nella disciplina del reato di danno quale è il 589-bis.
Così come non si giustifica la mancata previsione di una sanzione maggiormente afflittiva,
nel caso di violazione della soglia più grave di ebbrezza da parte di un conducente inesperto o
professionale, restando applicabile la fattispecie di cui al secondo comma del 589-bis.
C’è da dire, comunque, che la legge è sostanzialmente ancora neonata e quasi del tutto priva
di applicazione concreta. Si vedrà, quindi, nel corso del tempo, se i giudici provvederanno a
colmare la disparità di trattamento, ricorrendo ai loro poteri in fase di dosimetria della pena ai
sensi dell’art. 133 c.p.
Oppure si assisterà a qualche ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, lamentando
una disparità di trattamento oggettivamente difficile da non vedere.
Il Legislatore ricollega, poi, una presunzione di colpa grave alla semplice violazione di
alcune norme di comportamento ritenute più gravi. Nel caso, quindi, di elevata velocità o di
mancato rispetto del semaforo rosso, o di circolazione contromano, inversione non consentita
e sorpasso in corrispondenza di passaggi pedonali o linea continua, qualora si causi la morte
di qualcuno, si risponderà a titolo di colpa per aver concretizzato il rischio già insito nelle
manovre pericolose tipizzate. Parte della dottrina esprime perplessità perché la norma sembra
del tutto rigida, ma sappiamo bene che la differenziazione di situazioni tra il pirata della
strada che sorpassa in città a 90 Km/h e il conducente che fuori dal centro abitato sorpassa un
trattore che sta andando molto piano può essere considerata solo dal Giudice, con il 133 c.p.
E sappiamo altrettanto bene che situazioni identiche vengono giudicate in modi del tutto
differenti da giudici diversi, pur nel medesimo tribunale e - perchè no - anche dallo stesso
giudice in giorni differenti…
Proseguendo nell’analisi della norma, vediamo che i commi 5 e 6 del 589-bis e l’art. 589-ter
prevedono una serie di circostanze speciali.
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Il 589-bis co. 5 prevede un'aggravante ad effetto comune (aumento della pena fino a ⅓) se il
fatto è commesso da persona priva di patente (perchè non ottenuta, sospesa o revocata) o in
caso di assenza di assicurazione obbligatoria (se il veicolo è di proprietà del conducente).
Il comma 6 prevede l’attenuante ad effetto speciale (diminuzione fino a 1/2) se l’evento non
sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole. La straordinarietà di
questa attenuante consiste nella sua applicabilità anche in caso di fatto addebitabile
(parzialmente) a un terzo e non solo quando la vittima abbia contribuito col proprio
comportamento. Applicando tale attenuante ai difetti di manutenzione delle strade (e si sa che
le strade fanno quasi totalmente schifo), il difensore ha sostanzialmente un modo per
scardinare parzialmente le responsabilità attribuite ai clienti. L’applicazione di questa
attenuante pare anche possibile in caso di concorso di fattori non umani (caso fortuito o forza
maggiore), ovviamente in misura non tale da interrompere il nesso causale, che escluderebbe
la punibilità del soggetto.
ART. 589-TER C.P.
Abbiamo accennato alla aggravante tipizzata dal 589-ter. In caso di fuga, è previsto
l’aumento della pena da ⅓ a ⅔. Una circostanza ad effetto speciale, quindi, configurata a
seguito di un comportamento che nel codice della strada è già tipizzato come reato autonomo,
dal 189 co. 6, che lo punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la sospensione della
patente da 1 a 3 anni.
Nulla vieterebbe di applicare entrambe le norme, comminando le relative sanzioni.
Ma, così facendo, si violerebbe il principio del ne bis in idem sostanziale. Si deve ritenere che
la circostanza aggravante prevista nel codice penale (e punita a titolo di colpa) sia da
considerare in rapporto di specialità rispetto al reato previsto nel codice della strada (che
richiede il dolo anche eventuale) con la conseguenza che si dovrà applicare solo la norma del
589-ter. c.p.. L’art. 189 CDS resterà, pertanto, applicabile nella residuale ipotesi di lesioni
non gravi né gravissime, che non sono coperte dal raggio di azione dell’art. 589-ter c.p..
Nell’immediatezza dell’approvazione della nuova norma, sono stati sollevati dubbi in
relazione alla differenziazione di regime sanzionatorio, che non sarebbe congruo in relazione
alle situazioni concretamente verificabili. In caso di fuga, infatti, l’aumento previsto è da ⅓ a
⅔, con un minimo edittale di 5 anni (superiore, quindi, di oltre due volte rispetto al minimo
per il reato senza aggravante. Poiché le ipotesi più lievi rischierebbero di essere sanzionate in
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modo proporzionalmente molto più pesante di quelle più gravi, alcuni autori hanno sostenuto
che 5 anni non debba essere il minimo edittale della pena, ma l’aumento della stessa.
Sinceramente, è preferibile valutare la norma confrontandosi con altri operatori del Diritto,
giudici in primis , che devono effettuare una ponderata valutazione della sanzione irroganda,
piuttosto che seguire i percorsi mentali di chi si trovi a parlare di ciò che non vede mai in
concreto.
Una considerazione pratica, novità della l. 41/2016, riguarda l’aspetto della prescrizione.
L’art. 157 co. 6 c.p. prevede il raddoppio dei termini massimi di prescrizione. Se
confrontiamo i termini relativi a questo tipo di omicidio colposo con quello commesso con
violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, balza all’occhio una disparità di
trattamento ingiustificata. E’ pur vero che la prescrizione è collegata alla pena massima
comminata dalla norma, ma è altrettanto vero che non sembrano sussistere grosse difficoltà,
sul piano investigativo, per un omicidio stradale, soprattutto quando il soggetto non si sia
dato alla fuga.
ART 590-BIS C.P.
Con questo articolo, il Legislatore ha voluto sanzionare in modo più specifico e duro le
lesioni gravi (da 3 mesi a 1 anno) e gravissime (da 1 a 3 anni) provocate con violazione delle
norme sulla circolazione stradale.
La differenza, rispetto al precedente regime sanzionatorio, è l’impossibilità di applicare la
pena pecuniaria alternativa, prevista nel 590 co. 3 c.p..
In caso di ebbrezza alcolica grave o di alterazione psicofisica da stupefacenti, la pena va da 3
a 5 anni per le lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime.
Le medesime sanzioni sono previste in caso di violazione del limite intermedio di ebbrezza
alcoolica da parte dei conducenti professionali. Se, invece, le lesioni sono causate da altri tipi
di conducenti (compresi gli inesperti) in stato di ebbrezza media, la pena va da 1 anno e 6
mesi a 3 anni per le gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime.
Resta il nodo del possibile rifiuto di sottoporsi agli accertamenti strumentali, che potrebbe
essere incentivato dall’assenza del richiamo agli artt. 186 co. 7 e 187 co. 8.
E richiamiamo qui le considerazioni già svolte in punto di violazione delle norme sul
sorpasso, semaforo rosso, guida contromano, aggravanti dell’assenza di patente e attenuanti
del concorso di cause esterne al colpevole.
Una considerazione a parte merita il regime della procedibilità.
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Alcuni sostengono che, qualificando la fattispecie come circostanza aggravante del delitto di
lesioni ex art. 590, la procedibilità d’ufficio sarebbe esclusa e necessiterebbe della querela
come condizione di procedibilità. Ma tali speranze sembrano vanificate dall’intento del
Legislatore, che voleva cercare di reprimere i comportamenti deteriori alla guida di veicoli.
Peraltro, la guida in stato di ebbrezza alcolica o in stato di alterazione da sostanze
stupefacenti, che costituisce elemento fondante della fattispecie del delitto di lesioni stradali,
risulta perseguibile d’ufficio. Non avrebbe, quindi, avuto alcun senso consentire un regime
più favorevole. Anche perché, abbiamo già visto, il giudizio di bilanciamento delle
circostanze attenuanti con le aggravanti contestate è escluso tassativamente.
Sulla revoca della patente, già si è detto. La ratio della norma, che prevede il decorso di
qualche tempo (persino fino a 30 anni) prima di poter conseguire nuovamente il permesso, è
del tutto intuibile, perché permette di rispettare la funzione general preventiva, eliminando
per qualche anno dalle strade chi si sia reso responsabile di questi reati. Tuttavia, non
dobbiamo dimenticare che non sembra esclusa la possibilità di ottenere la riabilitazione ex
art. 178 c.p., che, estinguendo le pene accessorie, consentirebbe di accelerare i tempi di
permanenza nel “purgatorio”.
Vedremo, comunque, nei prossimi anni, se e come l’impianto normativo sputato fuori dal
Legislatore per convenienza politica e sociale riuscirà a resistere alle applicazioni concrete e
all’interpretazione giudiziale.
Di certo, sarebbe molto più logico se, considerato che lo stato di ebbrezza o di alterazione da
stupefacenti sono fenomeni sempre più frequenti soprattutto tra i giovani, lo Stato svolgesse
indagini più approfondite sulle cause del malessere, per poterle combattere, piuttosto che
tacitare le pretese giustizialiste in modo del tutto pilatesco e opportunista.
avv. Antonio Roberto Lo Buglio
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