I Racconti Del Terrore E Del Mistero - Arthur Conan Doyle.pdf

download I Racconti Del Terrore E Del Mistero - Arthur Conan Doyle.pdf

of 65

Transcript of I Racconti Del Terrore E Del Mistero - Arthur Conan Doyle.pdf

  • Arthur Conan Doyle

    I RACCONTI DEL TERRORE E DEL MISTERO

    L'IMBUTO DI CUOIO

    Il mio amico, Lionel Dacre, abitava nell'Avenue de Wagram, a Parigi. La sua casa era quella piccola, con la cancellata di ferro e il giardinetto davanti, che s'incontra sulla sinistra, venendo dall'Arco di Trionfo. Immagino che essa esistesse gi molto tempo prima che il viale venisse costruito, poich i tegoli erano cosparsi di licheni, e i muri erano ammuffiti e scoloriti dagli anni. Sembrava piccola vista dalla strada, cinque finestre sulla facciata, se ben ricordo, ma sul retro si estendeva in un'unica, lunga sala. Era qui che Dacre teneva quella singolare biblioteca di letteratura occulta, e quei bizzarri oggetti che costituivano il suo hobby e il divertimento dei suoi amici. Uomo ricco, dai gusti eccentrici e raffinati, aveva speso la miglior parte della sua vita e della sua fortuna mettendo insieme una raccolta privata, che si diceva unica nel suo genere, di opere talmudiche, cabalistiche e di magia, molte delle quali assai rare e di grande valore. I suoi gusti tendevano al soprannaturale e all'orrido, e ho sentito dire che i suoi esperimenti nel campo dell'ignoto hanno passato ogni limite di civilt e di decoro. Con i suoi amici inglesi egli non parlava mai di queste cose, anzi si atteggiava a studioso e a grande esperto; ma un francese, i cui gusti erano analoghi ai suoi, mi ha assicurato che le pi macabre delle messe nere si sono svolte in quella vasta sala, le cui pareti sono tappezzate da libri e da bacheche che la rendono simile a un museo. L'aspetto di Dacre era sufficiente a dimostrare che il suo profondo interesse in queste faccende psichiche era intellettuale piuttosto che spirituale. Il volto massiccio non recava alcuna traccia di ascetismo, ma l'enorme cranio a cupola che spuntava al di sopra dei capelli ormai radi, simile a una vetta innevata circondata da una frangia di abeti, rivelava una grande forza mentale. La sua sapienza superava la sua saggezza, e la volont era di gran lunga superiore al carattere. Gli occhi piccoli e vivaci, profondamente infossati nel volto carnoso, brillavano di intelligenza e di un'insaziabile curiosit della vita, ma erano gli occhi di un sensuale e di un egoista. Ma basta col parlare di lui, poich adesso egli morto, povero diavolo, morto proprio quando era sicuro di avere finalmente scoperto l'elisir di lunga vita. Non del suo complesso carattere che io voglio parlare, ma della strana e inspiegabile vicenda che avvenne durante la visita che gli feci nella primavera dell"82. Avevo conosciuto Dacre in Inghilterra, poich le mie ricerche nella Sala Assira del British Museum si erano svolte nel medesimo tempo in cui egli stava tentando di attribuire un significato mistico ed esoterico alle tavole babilonesi, e questi comuni interessi ci avevano avvicinati. I primi casuali commenti si erano approfonditi in conversazioni quotidiane, e queste, a loro volta, si erano trasformate in qualcosa di simile all'amicizia. Avevo promesso di fargli visita, la prima volta che mi fossi recato a Parigi. All'epoca in cui potei adempiere alla mia promessa, abitavo in una villetta a Fontainebleau, e poich i treni della sera erano scomodi, egli mi chiese di trascorrere la notte in casa sua. "Non ho che quel letto da metterle a disposizione" mi disse, indicando un ampio divano nel suo grande salone. "Spero che potr starci comodo." Era una singolare stanza da letto, quella, con le

  • sue alte pareti tappezzate di volumi, ma non potevano esistere mobili pi gradevoli per un amante di libri quale io ero, n vi alcun profumo cos attraente alle mie nari quanto quel tenue, leggero tanfo che emana da un libro antico. Lo assicurai che non avrei potuto desiderare una camera pi piacevole, n un arredamento pi congeniale. "Se l'arredamento non n comodo n convenzionale, perlomeno costoso" comment Dacre guardandosi attorno. "Questi oggetti che la circondano mi sono costati quasi un quarto di milione. Libri, armi, gemme, intarsi, arazzi, quadri... non esiste un solo oggetto che non abbia la sua storia, e una storia che generalmente vale la pena raccontare." Mentre parlava, egli era seduto da un lato del caminetto aperto, e io dall'altro. Alla sua destra si trovava lo scrittoio, sul cui piano una lampada proiettava un vivido cerchio di luce dorata. In mezzo al tavolo c'era un palinsesto semi-arrotolato, e attorno una collezione di strani oggetti. Fra questi, notai un grande imbuto, di quelli che si adoperano per riempire i barili di vino. Pareva fatto di legno nero, e aveva il bordo di ottone scolorito. "Quello un oggetto curioso" commentai. "Qual la sua storia?" "Ah" replic "anch'io mi sono posto questa stessa domanda. Darei non so che cosa per conoscerla. Lo prenda in mano e lo esamini bene." Lo presi, e scoprii che ci che io avevo creduto fosse legno era in realt cuoio, bench prosciugato e indurito dagli anni. Era piuttosto grande come imbuto, e giudicai che potesse contenere all'incirca un litro. Un bordo di ottone ne circondava il capo pi largo, ma anche quello stretto era rifinito in metallo. "Cosa gliene pare?" mi chiese Dacre. "Penso che sia appartenuto a un vinaio o a un birraio del Medioevo" risposi. "Ho visto dei fiaschetti di cuoio inglesi del diciassettesimo secolo, che erano dello stesso colore e della stessa consistenza di questo imbuto." "Suppongo che la data sia suppergi la medesima" conferm Dacre "e indubbiamente serviva per riempire un recipiente di un qualche liquido. Per se i miei sospetti sono fondati, era uno strano vinaio colui che se ne serviva, e un insolito barile che veniva riempito. Non notate qualcosa di strano sul beccuccio dell'imbuto?" Tenendolo alla luce, osservai che in un punto a una diecina di centimetri circa dal puntale di ottone, lo stretto collo dell'imbuto era tutto segnato e tagliuzzato, come se qualcuno avesse tentato di inciderlo con un coltello poco tagliente. Soltanto in quel punto l'opaca superficie nera era irruvidita. "Qualcuno ha tentato di tagliarne via il collo." "Lo chiamereste un taglio?" "E' strappato e lacerato. Ci deve essere voluta una certa forza per lasciare dei segni simili su un materiale cos duro, qualsiasi fosse stato lo strumento. Ma lei cosa ne pensa? E' chiaro che ne sa pi di quanto non abbia detto." Dacre sorrise, e i suoi occhietti brillarono divertiti. "Ha incluso la psicologia dei sogni fra i suoi dotti studi?" mi chiese. "Non sapevo neppure che esistesse una simile psicologia." "Mio caro signore, quello scaffale sopra alla bacheca di gemme pieno di volumi, da Albertus Magnus in avanti, che trattano unicamente quel soggetto. E' una scienza in se stessa." "Una scienza di ciarlatani." "Il ciarlatano sempre il pioniere. Dall'astrologo nato l'astronomo, dall'alchimista il chimico, dal mesmerista lo psicologo sperimentale. Il ciarlatano di ieri il professore di domani. Anche delle cose cos lievi e inconsistenti come i sogni, saranno col tempo ordinate e classificate. Quando quel tempo verr, le ricerche dei nostri amici sullo scaffale laggi non saranno pi il passatempo del mistico, ma le fondamenta di una scienza." "Anche supponendo che sia cos, qual il rapporto fra la scienza dei sogni e un grande imbuto nero bordato di ottone?" "Glielo dir. Lei sa che io ho un agente che costantemente alla ricerca di oggetti rari e curiosi per la mia collezione. Qualche giorno fa, egli ha sentito parlare di un mercante lungo uno dei "quais", il quale aveva acquistato delle vecchie cianfrusaglie trovate in un armadio in un'antica casa dietro a rue Mathurin, nel Quartiere Latino. La sala da pranzo di questa vecchia casa decorata con uno stemma, strisce rosse in campo argenteo, che si dimostrato, dopo un'indagine, essere il blasone di Nicholas de la Reyne, un alto ufficiale di re Luigi XIV. Non vi alcun dubbio che anche gli altri oggetti in quell'armadio rimontano ai lontani giorni di quel re. Se ne deduce, pertanto, che erano

  • tutti propriet di questo Nicholas de la Reyne, il quale era, a quanto mi risulta, il gentiluomo incaricato di far osservare ed eseguire le draconiche leggi di quell'epoca." "E con ci?" "Ora le chieder di prendere nuovamente in mano l'imbuto e di osservarne il cerchio di ottone sull'imboccatura. Riesce a distinguervi delle lettere?" Vi erano certamente degli sgraffi, quasi cancellati dal tempo. L'effetto che essi davano era di una serie di lettere, l'ultima delle quali somigliava vagamente a una B. "Non le sembra una B?" "S." "Anche a me. Anzi, non dubito minimamente che non si tratti di una B." "Ma il nobiluomo di cui avete parlato avrebbe avuto una R per iniziale." "Esattamente, proprio questo il bello. Egli possedeva questo curioso oggetto, eppure esso recava le iniziali di un altro. Perch fece questo?" "Non riesco a immaginarlo; e lei?" "Be', potrei forse tirar a indovinare. Ha notato qualcosa disegnato un po' pi avanti sul bordo?" "Direi che si tratta di una corona." "E' indubbiamente una corona; ma se lei la esamina in piena luce, si convincer che non una normale corona. E' una corona araldica, un emblema nobiliare, e consiste in quattro perle e foglie di fragola alternate, e cio l'emblema di marchese. Ne possiamo dedurre, perci, che la persona il cui nome cominciava per B aveva il diritto di fregiarsi di quella corona. "Allora questo comune imbuto di cuoio apparteneva a un marchese?" Dacre mi rivolse uno strano sorriso. "O a un membro della famiglia di un marchese" disse "Tutto ci lo possiamo dedurre da questo bordo inciso." "Ma che cosa c'entra tutto questo con i sogni?" Non so se dipendesse dall'espressione sul volto di Dacre, o da un'impercettibile suggestione nel suo atteggiamento, ma un senso di repulsione, di inspiegabile orrore, mi assal mentre guardavo quel vecchio pezzo di cuoio contorto. "Pi di una volta ho ricevuto importanti informazioni attraverso i miei sogni" disse il mio compagno, col tono didattico che egli amava assumere. "Ne ho fatto una regola, adesso. Ogni qualvolta sono in dubbio riguardo a un dato materiale qualsiasi, mentre dormo metto l'oggetto in questione accanto a me. Spero cos di venire in qualche modo illuminato. A me il procedimento non appare affatto oscuro, bench non abbia ancora ricevuto il riconoscimento della scienza ortodossa. Stando alla mia teoria, qualsiasi oggetto che sia stato intimamente legato a qualsiasi supremo parossismo di emozione umana, sia essa gioia o dolore, rimarr impregnato di una certa atmosfera o associazione che esso in grado di comunicare a una mente sensibile. Quando dico mente sensibile, non intendo dire anormale, ma una mente istruita e colta come la possediamo lei o io." "Vuol dire, per esempio, che se io dormissi accanto a quella vecchia spada sulla parete, potrei sognare qualche sanguinosa impresa alla quale partecip proprio quella spada?" "Un ottimo esempio, perch, a dire la verit, ho usato appunto quella spada, e ho visto nel sonno la morte del suo proprietario, il quale per in uno scontro armato, che non sono stato in grado di identificare ma che ebbe luogo all'epoca delle guerre dei Frondisti. Se ci pensa bene, alcune delle nostre usanze popolari dimostrano che il fatto era gi conosciuto dai nostri antenati, bench noi, nella nostra saggezza, lo abbiamo classificato fra le superstizioni." "Per esempio?" "Be', l'usanza di mettere il dolce della sposa sotto al cuscino per assicurare al dormiente dei sogni piacevoli. Questo uno dei tanti esempi che lei trover elencati in una piccola "brochure" che sto scrivendo sull'argomento. Ma per tornare al punto, ho dormito una notte con questo imbuto accanto a me, ed ebbi un sogno che certamente getta una curiosa luce sul suo uso e la sua origine." "Che cos'ha sognato?" "Ho sognato..." Si interruppe, e un'espressione di grande interesse si dipinse sul suo volto massiccio. "Per Giove, questa s che una buona idea" disse. "Sar un esperimento del massimo

  • interesse. Lei stesso un soggetto psichico, con i nervi che reagiscono prontamente a qualsiasi impressione." "Non mi sono mai sottoposto a una prova di questo genere." "E allora la sottoporremo stasera. Posso chiederle come grande favore, quando lei occuper questo divano stanotte, di dormire con questo vecchio imbuto appoggiato accanto al cuscino?" La richiesta mi parve grottesca; ma anch'io ho, nella mia complessa natura, una autentica fame per tutto ci che bizzarro e fantastico. Non avevo la minima fiducia nella teoria di Dacre, n alcuna speranza che un simile esperimento desse dei frutti; ciononostante mi divertiva che l'esperimento venisse fatto. Dacre, con grande solennit, avvicin un tavolinetto a un capo del divano, e vi appoggi l'imbuto. Poi, dopo una breve conversazione, mi augur la buona notte e mi lasci. Rimasi per un po' seduto accanto al fuoco morente, fumando e riflettendo sulla curiosa conversazione che si era svolta, e sulla strana esperienza che forse mi attendeva. Per scettico che fossi, vi era un che di impressionante nella sicurezza dell'atteggiamento di Dacre, e lo straordinario ambiente che mi circondava, l'enorme sala piena di strani e spesso sinistri oggetti, fin coll'incutermi un senso di solennit. Infine mi svestii e, spento il lume, mi sdraiai. Dopo essermi a lungo rigirato, mi addormentai. Lasciate che tenti di descrivere, con la maggior precisione possibile, la scena che si present nei miei sogni. Spicca ancora oggi nella mia memoria, pi vivida di qualsiasi cosa che io abbia visto con i miei occhi. Vi era una stanza che dava l'impressione di essere un sotterraneo. Dai quattro angoli si alzavano volte a crociera. L'architettura era rozza, ma molto robusta. La stanza faceva chiaramente parte di una grande costruzione. Tre uomini vestiti di nero, con bizzarri, enormi copricapo di velluto nero, erano seduti in fila su una pedana tappezzata di rosso. I loro volti erano molto solenni e tristi. Alla loro sinistra, si trovavano due uomini vestiti di una lunga toga; avevano delle borse in mano, che parevano piene di carte. A destra, rivolta verso di me, era una piccola donna con i capelli biondi e singolari occhi di un azzurro chiarissimo: gli occhi di una bambina. Aveva passato la prima giovinezza, eppure non si poteva ancora definirla di mezza et. La sua figura era alquanto robusta, e il suo portamento fiducioso e arrogante. Il suo volto era pallido, ma sereno. Era uno strano volto, attraente eppure felino, con appena un accenno di crudelt nella piccola bocca forte e diritta e nel mento grassoccio. Era avvolta in una specie di tunica, bianca e morbida. Un prete magro e ansioso le stava accanto, bisbigliandole nell'orecchio e sollevando continuamente un crocifisso davanti ai suoi occhi. La donna voltava la testa e guardava fissamente oltre il crocifisso verso i tre uomini in nero, i quali erano, ne ero certo, i suoi giudici. Mentre guardavo, i tre uomini si alzarono e dissero qualcosa, ma non potei udire una sola parola, bench fossi consapevole che era quello in mezzo a parlare. Poi essi uscirono dalla stanza, seguiti dai due uomini con le carte. Nello stesso istante, numerosi uomini dall'aspetto rozzo e vestiti di pesanti giubbotti entrarono e si misero a togliere prima il tappeto rosso, e poi le assi che formavano la pedana, in modo da sgombrare completamente la stanza. Quando questo impedimento fu tolto, potei vedere in fondo alla stanza degli strani pezzi di mobilia. Uno di questi pareva un letto, con dei rulli di legno alle due estremit, e una manovella per regolarne la lunghezza. Un altro era una cavalletta di legno. Vi erano altri curiosi oggetti, fra cui un certo numero di corde pendenti dal soffitto, assicurate a pulegge. Il tutto somigliava vagamente a una palestra dei nostri tempi. Quando la stanza fu sgombrata, un nuovo personaggio apparve sulla scena. Si trattava di un uomo alto e magro, vestito di nero, dal volto austero e macilento. Il suo aspetto mi fece rabbrividire. Aveva gli abiti lucidi di unto e cosparsi di macchie. Si muoveva con una lenta e terribile dignit, come se avesse preso comando della situazione dall'istante in cui era entrato. Nonostante il suo aspetto rozzo e il suo abito lurido, adesso era lui a comandare: la stanza era sua. Sul braccio sinistro portava un rotolo di corda leggera. La donna lo scrut dalla testa ai piedi, ma la sua espressione rimase immutata. Era un'espressione di sicurezza, perfino di sfida. Ma non cos il prete. Il suo volto si fece di un mortale pallore, e vidi il sudore luccicare e scendere lungo la sua fronte alta e inclinata. Sollev le mani in gesto di preghiera e si chin a borbottare frenetiche parole all'orecchio della donna.

  • Ora l'uomo in nero avanzava, e prendendo una delle corde dal braccio sinistro, leg le mani della donna, la quale gliele porse docilmente. Poi l'uomo le afferr un braccio ruvidamente e la condusse verso la cavalletta di legno, che era un po' pi alta della vita di lei. Su questa ella fu alzata e deposta supina, con il viso rivolto al soffitto, mentre il prete, sopraffatto dall'orrore, fuggiva in fretta dalla stanza. Le labbra della donna si muovevano rapidamente, e bench io non potessi udire, sapevo che stava pregando. I suoi piedi pendevano uno di qua, uno di l, lungo i lati della cavalletta, e vidi che i rozzi assistenti avevano assicurato delle corde alle sue caviglie, legandone l'altro capo agli anelli di ferro infissi nel pavimento di pietra. Mi sentii mancare, alla vista di questi funesti preparativi, eppure ero avvinto dal fascino dell'orrido, e non riuscii a staccare gli occhi dal macabro spettacolo. Un uomo era entrato nella stanza recando due secchi d'acqua. Un altro lo seguiva con un terzo secchio. I tre secchi vennero deposti accanto alla cavalletta di legno. Il secondo uomo portava anche un ramaiolo di legno, una specie di ciotola dal lungo manico diritto, nell'altra mano. Lo porse all'uomo in nero. Nello stesso istante, uno degli assistenti si avvicin con un oggetto scuro in mano, che anche in sogno mi riemp di un vago senso di familiarit. Era un imbuto di cuoio. Con mostruosa energia egli lo conficc... ma non potei resistere pi a lungo. Mi si drizzarono i capelli dall'orrore. Mi contorsi, lottai, spezzai i vincoli del sonno e tornai con un grido nella mia propria vita, per trovarmi disteso, tremante di terrore, nell'enorme biblioteca, con la luce lunare che penetrava a fiotti dalla finestra e gettava strane ombre nere ed argentee sulla parete opposta. Oh, quale senso di sollievo provai nel sentire che ero tornato nel diciannovesimo secolo, tornato da quella cripta medioevale a un mondo dove gli uomini avevano cuori umani nel petto. Mi rizzai a sedere sul divano, tremando in tutto il corpo, con la mente divisa fra il sollievo e l'orrore. Pensare che simili cose fossero mai avvenute, che potessero avvenire senza che Dio fulminasse i colpevoli! Era stata tutta una fantasia, o rappresentava davvero qualcosa che era accaduto nel periodo pi oscuro e crudele della storia del mondo? Appoggiai il capo dolorante sulle mie mani tremanti. E allora, improvvisamente, mi parve che il cuore mi si fermasse nel petto, e non potei neanche gridare, tale era il mio terrore. Qualcosa avanzava verso di me nell'oscurit della stanza. E quando un terrore si assomma a un altro terrore, che lo spirito di un uomo si spezza. Non riuscivo a ragionare, non riuscivo a pregare; potevo soltanto restare immobile, come una statua, e fissare la tenebrosa figura che avanzava nella vasta sala. Poi la figura si inoltr nel bianco raggio della luna, e potei nuovamente respirare. Era Dacre, e il suo volto mostrava che era spaventato quanto me. "E stato lei? Per l'amor del cielo, che cosa succede?" chiese con voce rauca. "Dacre, quanto sono lieto di vederla! Sono stato nell'inferno. Era spaventoso." "Allora stato lei a gridare?" "Credo proprio di s." "Il suo grido ha echeggiato per tutta la casa. I domestici sono rimasti terrorizzati." Accese la lampada con un fiammifero. "Credo che possiamo riattivare il fuoco" aggiunse, gettando dei ceppi sulla brace. "Santo cielo, amico mio, com' bianco il suo viso! Si direbbe che abbia visto un fantasma." "E infatti ne ho visti pi d'uno." "Dunque l'imbuto ha sortito il suo effetto?" "Non dormirei mai pi vicino a quell'oggetto infernale per tutto l'oro del mondo." Dacre ridacchi. "Prevedevo che avrebbe passato una notte agitata" disse. "Ma sono stato punito, perch quel suo urlo non era molto piacevole da udirsi alle due del mattino. Arguisco da quanto mi dice che ha visto tutta la spaventosa vicenda." "Quale spaventosa vicenda?" "La tortura dell'acqua, o il "Trattamento Straordinario", come veniva chiamata negli amabili giorni del Re Sole. Lei ha resistito fino alla fine?" "No, grazie al cielo, mi sono destato prima che incominciasse per davvero." "Ah, una fortuna per lei. Io resistetti fino al terzo secchio. Be', una vecchia storia, e i protagonisti sono ormai tutti nella tomba, perci che importanza ha il modo in cui ci sono arrivati? Suppongo che lei non abbia alcuna idea di cosa fosse quello che ha visto?"

  • "La tortura di qualche criminale. Quella donna dev'essere stata davvero una terribile delinquente, se i suoi delitti sono proporzionati alla punizione inflittale." "Infatti, abbiamo questa piccola consolazione" disse Dacre, avvolgendosi meglio nella veste da camera e accucciandosi pi vicino al fuoco. "Erano proporzionati alla sua punizione. S'intende, se ho riconosciuto con esattezza l'identit della donna." "Com' possibile che lei conosca la sua identit?" Per tutta risposta, Dacre tolse da uno scaffale un vecchio volume ricoperto in pergamena. "Ascolti questo" disse. "E' scritto nel francese del diciassettesimo secolo, ma mentre leggo gliene dar una traduzione approssimativa. Lei stesso giudicher se ho risolto o meno l'enigma. "La prigioniera venne portata davanti a uno speciale Giur che agiva come tribunale, imputata dell'assassinio di Dreux d'Aubray, suo padre, e dei suoi due fratelli, uno dei quali tenente e l'altro consigliere del Parlamento. A giudicare dalla sua persona, sembrava difficile credere che avesse davvero commesso delle simili malvagit, poich era di aspetto mite, e di piccola statura, con una carnagione chiara e occhi azzurri. Eppure la Corte, avendola trovata colpevole, la condann al trattamento ordinario e straordinario, in modo da costringerla a fare i nomi dei suoi complici, dopo di che un carro l'avrebbe trasportata alla place de Grve, dove le avrebbero tagliato la testa, per bruciarne poi il corpo e spargerne le ceneri al vento." "Questa annotazione datata 16 luglio, 1676." "E' molto interessante" replicai "ma non convincente. Come pu dimostrare che si tratti della medesima donna?" "Ci sto arrivando. Il racconto prosegue, e narra il comportamento della donna durante l'interrogatorio. "Quando il boia le si avvicin, ella lo riconobbe dalle corde che teneva in mano, e subito gli tese le proprie mani, scrutandolo dalla testa ai piedi senza profferire parola." Cosa ne dice?" "S, era proprio cos." "Essa guard, senza distogliere lo sguardo, la cavalletta di legno e gli anelli che avevano straziato tante persone e provocato tante grida di agonia. Quando i suoi occhi caddero sui tre secchi d'acqua, che erano l pronti per lei, ella disse con un sorriso: "Tutta quell'acqua dev'essere stata portata qui allo scopo di affogarmi, signore. Non avete intenzione, spero, di costringere una persona piccola come me a ingoiarla tutta". "Devo leggere i particolari della tortura?" "No, per l'amor del cielo, non lo faccia." "Ecco qua una frase che sicuramente vi dimostrer che ci che riportato qui si riferisce alla medesima scena alla quale ha assistito stanotte: "Il buon Abate Pirot, incapace di contemplare le agonie sofferte dalla sua penitente, si affrett a uscire dalla stanza". Questo la convince?" "Assolutamente. Non pu sussistere alcun dubbio che non si tratti della stessa persona. Ma chi dunque questa donna il cui aspetto era cos attraente, e la cui fine fu tanto orribile?" Per tutta risposta Dacre mi si avvicin, e appoggi la lampada sul tavolino che era accanto al mio letto. Sollevando l'infausto imbuto, ne volt il bordo di ottone in modo che la luce lo colpisse in pieno. Vista cos, l'incisione sembrava pi chiara di quanto non lo fosse stata la sera precedente. "Abbiamo gi convenuto che questo l'emblema di un marchese o di una marchesa" disse. "Abbiamo anche stabilito che l'ultima lettera una B." "Tutto ci indubbio." "Mi permetto ora di suggerirle che le altre lettere da sinistra a destra sono: M, M, una d minuscola, A, una d minuscola, e poi la B finale." "S, sono certo che lei ha ragione. Riesco a vedere chiaramente le due d minuscole." "Ci che le ho letto stasera" disse Dacre " il resoconto ufficiale del processo di Marie Madeleine d'Aubray, Marchesa di Brinvilliers, una delle pi famose avvelenatrici e assassine di tutti i tempi." Rimasi in silenzio, sopraffatto dalla straordinaria natura della vicenda, e dalla completezza dell'evidenza con cui Dacre ne aveva esposto il vero significato. Ricordavo vagamente alcuni particolari della carriera della donna, la sua depravazione senza limiti, la sua fredda e prolungata tortura del padre ammalato, l'assassinio dei fratelli per meschini motivi di lucro. Rammentai anche che il suo coraggioso comportamento di fronte alla morte aveva in qualche modo fatto ammenda per l'orrore della sua vita, e che tutta Parigi era stata solidale con lei nei suoi ultimi istanti,

  • benedicendola come una martire, quando pochissimi giorni prima l'avevano maledetta come un'assassina. Mi venne in mente una sola obiezione. "Come mai le sue iniziali e il suo stemma finirono su quell'imbuto? Non posso credere che i suoi giustizieri portassero il loro medioevale rispetto per la nobilt al punto da decorare gli strumenti di tortura con i loro titoli." "Anch'io mi sono posto la stessa domanda" replic Dacre "ma mi pare che sia facilmente spiegabile. Il caso dest a quell'epoca un interesse eccezionale, e niente di pi naturale che "La Reyne", capo della polizia, abbia serbato questo imbuto quale macabro ricordo. Non succedeva spesso che una marchesa di Francia fosse sottoposta al trattamento straordinario. Che egli vi incidesse le iniziali di lei ad uso dei posteri, mi pare un atto molto normale da parte sua." "E questi?" chiesi, indicando i segni sul collo dell'imbuto. "Quella donna era una vera tigre" disse Dacre, allontanandosi. "Mi pare evidente che, come le altre tigri, i suoi denti fossero sia robusti che affilati."

    IL CASO DI LADY SANNOX

    La relazione fra Douglas Stone e la ben nota Lady Sannox era di pubblico dominio, sia nell'ambiente mondano in cui essa spiccava, che negli istituti accademici di cui egli era autorevole membro. Pertanto, quando venne annunciato una mattina che la donna aveva irrevocabilmente e per sempre preso il velo, il fatto dest un grande interesse. Quando poi, sulla scia di questa voce, si seppe che il celebre chirurgo, l'uomo dai nervi d'acciaio, era stato trovato quella stessa mattina, dal suo cameriere, seduto sul letto che sorrideva in maniera vacua al mondo intero, con tutti e due i piedi cacciati in una gamba dei pantaloni e il gran cervello degenerato in quello di un povero imbecille, la notizia fu tanto emozionante da provocare un brivido di interesse in gente che non aveva mai sperato che i propri nervi logorati fossero in grado di provare una simile sensazione. Douglas Stone, nella sua piena maturit, era uno dei pi straordinari uomini di tutta l'Inghilterra. A dire il vero, non si pu neanche dire che abbia mai raggiunto la maturit, poich aveva appena trentanove anni all'epoca di questo piccolo incidente. Coloro che lo conoscevano bene, si rendevano conto che per quanto famoso fosse come chirurgo, avrebbe potuto raggiungere il successo con ancora maggior rapidit in una qualsiasi di altre innumerevoli carriere. Avrebbe potuto conquistarsi la fama come soldato, avrebbe potuto lottare per farsene una come esploratore, o declamando nei tribunali, o avrebbe potuto edificarsela in pietra e acciaio come ingegnere. Era nato per essere grande, poich sapeva progettare ci che nessun altro uomo avrebbe osato fare, e sapeva fare ci che nessun altro uomo avrebbe osato progettare. Nel campo della chirurgia, nessuno era alla sua altezza. Il suo coraggio e il suo intuito erano leggendari. A pi riprese il suo bisturi aveva sconfitto la morte, sfiorando le fonti stesse della vita, fino al punto da ridurre i suoi assistenti pallidi come lo stesso paziente. L'energia, l'audacia, la sanguigna sicurezza di s sono ancora ben vive nel ricordo a sud di Marylebone Road e a nord di Oxford Street. I suoi vizi erano altrettanto grandiosi quanto le sue virt, e infinitamente pi pittoreschi. Per cospicuo che fosse il suo reddito, ed era il terzo dei professionisti di tutta Londra, era di gran lunga insufficiente al suo tenore di vita. Profondamente radicata nella sua complessa natura; egli nascondeva una ricca vena di sensualit, che condizionava ogni atto della sua esistenza. L'occhio, l'orecchio, il tatto, il palato erano i suoi padroni. Il "bouquet" dei vecchi vini, il profumo di spezie rare, le forme e le tinte delle pi delicate porcellane d'Europa, era in tutto ci che si trasformava il costante flusso d'oro che entrava nelle sue tasche. Poi vi fu la sua improvvisa, folle passione per Lady Sannox, quando un solo incontro con lei, due sguardi di sfida e una parola bisbigliata, erano sufficienti per farlo infiammare. Lei era la pi incantevole donna di Londra, e la sola donna per lui. Lui era uno dei pi begli uomini di Londra, ma non era il solo per lei. Essa amava sperimentare ci che era nuovo, ed era

  • condiscendente verso gli uomini che la corteggiavano. Poteva esserne la causa o poteva esserne l'effetto, il fatto che Lord Sannox dimostrasse cinquant'anni, bench ne avesse appena trentasei. Lord Sannox era un uomo tranquillo, silenzioso, di aspetto modesto, le labbra sottili e le palpebre pesanti. Era dedito al giardinaggio e pieno di abitudini casalinghe. In giovent aveva avuto un debole per la recitazione, a Londra aveva perfino noleggiato un teatro, sul cui palcoscenico aveva visto per la prima volta la signorina Marion Dawson, alla quale aveva poi offerto la sua mano, il suo titolo, e il terzo di una contea. Dopo il matrimonio, questo giovanile hobby aveva perso per lui ogni attrattiva. Anche nelle recite private, non era pi possibile persuaderlo a esibire quel talento che spesse volte aveva dimostrato di possedere. Era pi felice fra le sue orchidee e i suoi crisantemi, con una zappetta e un annaffiatoio in mano. Era un problema assai interessante, quello di decidere se egli fosse del tutto privo di buonsenso, o piuttosto miserabilmente mancante di coraggio. Era egli al corrente della condotta di sua moglie e la perdonava, o era semplicemente un marito stolto? Era un argomento da discutere sorbendo il t in piccoli, raccolti salottini, o con l'aiuto di un sigaro fra le poltrone dei club. I commenti degli uomini riguardo alla sua condotta erano taglienti e decisi. Vi era un solo uomo che avesse una buona parola per lui, ed era il membro pi silenzioso del club. Egli aveva visto Lord Sannox domare all'Universit un cavallo, e questo ricordo pareva avergli lasciato un'impressione indelebile. Ma quando Douglas Stone divenne il favorito, ogni dubbio riguardo alla consapevolezza o all'ignoranza di Lord Sannox fu dissipato. Stone non conosceva sotterfugi. Nella sua maniera ardita e impetuosa, abbandon ogni resto di cautela e di discrezione. Lo scandalo dilag. Un corpo accademico intim che il suo nome fosse cancellato dalla lista dei suoi vice presidenti. Due amici lo supplicarono di pensare al suo credito professionale. Stone li mand al diavolo tutti e tre, e spese quaranta ghinee per un braccialetto da portare alla donna. Egli passava le serate in casa di lei, e lei si faceva vedere nella carrozza di lui ogni pomeriggio. Nessuno dei due faceva il minimo tentativo per nascondere la loro relazione; ma finalmente accadde un piccolo incidente che li divise. Era una tetra serata d'inverno, molto fredda e burrascosa, con il vento che ululava nelle cappe dei camini e scuoteva i vetri delle finestre. La pioggia picchiettava contro i vetri a ogni raffica della bufera, sopraffacendo per un istante il triste gorgoglio e gocciolio delle grondaie. Douglas Stone aveva finito di cenare ed era seduto accanto al fuoco nello studio, con un bicchiere di buon porto sul tavolo di malachite accanto a lui. Prima di portarlo alle labbra, lo alz verso la luce della lampada e ne osserv con occhio da intenditore il ricco color rubino. I guizzi delle fiamme illuminavano a tratti il suo volto audace dai lineamenti ben definiti, i grandi occhi grigi, le labbra spesse eppure risolute, e la mascella larga e quadrata, che aveva qualcosa di romano nella sua forza e nella sua animalit. Ogni tanto sorrideva, sprofondato nella sua comoda poltrona. Invero aveva il diritto di sentirsi soddisfatto di s, poich quel giorno stesso, nonostante il parere contrario di sei colleghi, aveva eseguito un'operazione che era stata portata a termine due sole volte prima d'allora negli annali della medicina, e il risultato era stato brillante oltre ogni previsione. Nessun altro in tutta Londra avrebbe avuto il coraggio di progettare, o l'abilit di portare a termine, un'impresa tanto rischiosa. Ma aveva promesso a Lady Sannox di recarsi da lei quella sera, ed erano gi le otto e mezzo. La sua mano era tesa verso il campanello per ordinare la carrozza, quando ud il tonfo sordo del battaglio. Dopo un istante, gli giunse uno strascicare di piedi nell'ingresso, e il colpo secco della porta che si chiudeva. "C' un cliente, signore, nella sala d'aspetto" annunci il maggiordomo. "E' lui il malato?" "No, signore; credo che sia venuto a chiamarla." "E' troppo tardi" esclam Douglas Stone irritato. "Non ci andr." "Ecco il suo biglietto da visita, signore." Il maggiordomo glielo porse sul vassoio d'oro che era stato regalato al suo padrone dalla moglie di un Primo Ministro. "Hamil Ali, Smirne." Hm! Quell'individuo un turco, suppongo." "S, signore. Sembra uno straniero, signore. Ed molto agitato."

  • "Che seccatura, Ho un impegno. Devo uscire. Ma gli parler. Fatelo accomodare qui, Pim." Dopo pochi istanti, il maggiordomo apr nuovamente la porta e fece entrare un ometto piccolo e decrepito, che camminava con la schiena curva, e con il viso proteso e gli occhi socchiusi che denotavano una forte miopia. Aveva il volto olivastro e i capelli e la barba corvini. In una mano teneva un turbante di mussola bianca a righe rosse e nell'altra un sacchetto di camoscio. "Buonasera" disse Douglas Stone, quando il maggiordomo ebbe richiuso la porta. "Presumo che lei parli inglese." "S, signore. Vengo dall'Asia Minore, ma parlo l'inglese anche se lentamente." "Lei vuole che io venga con lei, se ho ben capito?" "S, signore. Ci terrei molto che lei vedesse mia moglie." "Potrei venire domattina, poich ho un impegno che mi impedisce di recarmi da sua moglie stasera." La risposta del turco fu singolare. Tir la cordicella che chiudeva l'imboccatura del sacchetto di camoscio, e rovesci sul tavolo un fiume d'oro. "Qui ci sono cento sterline" disse "e le prometto che non perder pi di un'ora. Ho alla porta una carrozza." Douglas Stone diede un'occhiata all'orologio. Avrebbe potuto andare ugualmente da Lady Sannox anche un'ora dopo. Ci era andato anche pi tardi, in passato. E la ricompensa era estremamente allettante. Negli ultimi tempi era stato perseguitato dai creditori, e non poteva trascurare una simile occasione. Ci sarebbe andato. "Di che malattia si tratta?" chiese. "Oh, una cos triste malattia! Cos triste! Avete per caso mai sentito parlare dei pugnali degli Almohades?" "No, mai." "Ah, si tratta di pugnali orientali antichissimi e dalla forma curiosa, con l'impugnatura simile a ci che voi chiamate staffa. Io commercio in oggetti rari, ed per questo che sono venuto in Inghilterra da Smirne, ma la settimana prossima torno laggi. Ho portato con me molti oggetti, e qualcuno me ne rimasto, ma fra questi, con mio grande dolore, c' uno di questi pugnali." "La prego di ricordarsi che ho un appuntamento" sbott il chirurgo con una certa irritazione. "Per favore, si limiti all'indispensabile." "Vedr che tutto questo indispensabile. Oggi mia moglie ha avuto uno svenimento nella stanza in cui tengo la mia merce e, cadendo, si tagliata il labbro inferiore con questo maledetto pugnale di Almohades." "Capisco" disse Douglas Stone, alzandosi in piedi. "E lei vuole che io le medichi la ferita?" "No, no, molto peggio di cos." "E cio?" "Questi pugnali sono avvelenati." "Avvelenati!" "S, e non esiste oggi nessuno in grado di sapere di che veleno si tratti o quale ne sia la cura. Ma quel poco che si sa, io lo so, poich mio padre faceva questo mestiere prima di me, e abbiamo avuto un commercio amplissimo con queste armi avvelenate." "Quali sono i sintomi?" "Un sonno profondo, e la morte entro trenta ore." "E lei dice che non esiste cura. Perch dunque mi offre un onorario cos lauto?" "Nessuna medicina pu curare, ma il coltello s." "E come?" "Il veleno si assorbe lentamente. Ristagna per ore nella ferita." "Non si potrebbe eliminarlo lavando la ferita?" "Sarebbe altrettanto inutile quanto lavare il morso di un serpente. E' un veleno troppo infido e mortale." "Escissione della ferita, allora?" "Appunto. Se la ferita sul dito, tagliate il dito. Cos diceva sempre mio padre. Pensi dove si trova questa ferita, e che si tratta di mia moglie. E' spaventoso!" Ma la lunga dimestichezza con queste macabre faccende pu talvolta attutire la sensibilit di un uomo. Per Douglas Stone, questo era gi un caso interessante, e respinse come trascurabili le deboli obiezioni del marito.

  • "Mi pare che non abbiamo alternative" disse bruscamente. "E' meglio perdere un labbro che la vita." "Ah, certo, lo so che lei ha ragione. Be' be', il destino e bisogna affrontarlo. La carrozza qui, e lei verr con me e far questa cosa." Douglas Stone prese l'astuccio dei bisturi da un cassetto e se lo mise in tasca assieme a un rotolo di bende e a qualche garza. Non aveva tempo da sprecare, se voleva vedere Lady Sannox. "Sono pronto" dichiar, infilandosi il soprabito. "Vuol prendere un bicchiere di vino prima di uscire con questo freddo?" L'ospite arretr, alzando una mano in segno di protesta. "Lei dimentica che sono un musulmano, e un fedele seguace del Profeta. Ma mi dica, che cos' quella bottiglietta di vetro verde che si messa in tasca?" "Cloroformio." "Ah, anche quello ci vietato. E' un'essenza alcoolica, e noi non ci serviamo di simili cose." "Come, Lei vorrebbe che sua moglie venisse sottoposta a un'operazione senza anestetizzarla?" "Ah! non sentir niente, poveretta. Il sonno profondo, che il primo effetto del veleno, l'ha gi ghermita. E poi le ho dato del nostro oppio di Smirne. Andiamo, signore, che si fa tardi." Come uscirono nell'oscurit, furono investiti da uno scroscio di pioggia, e la lampada nell'ingresso, che pendeva dal braccio di una cariatide di marmo, si spense con un soffio. Pim, il maggiordomo, dovette lottare per richiudere il pesante portone, spingendolo con tutto il suo peso per vincere la forza del vento, mentre i due brancolavano in direzione del bagliore giallastro che mostrava dove la carrozza li attendeva. Un istante pi tardi, la carrozza partiva. "E' lontano?" chiese Douglas Stone. "Oh, no. Abitiamo in un posticino tranquillo vicino a Euston Road." Il chirurgo premette la molla del suo orologio a ripetizione, e ascolt i piccoli rintocchi che gli dicevano l'ora. Erano le nove e un quarto. Calcol le distanze, e il poco tempo che gli sarebbe bastato per eseguire un cos triviale intervento. Avrebbe dovuto essere da Lady Sannox per le dieci. Attraverso i finestrini appannati, vedeva passare le macchie confuse dei fanali a gas, e ogni tanto il bagliore pi grande di una vetrina. La pioggia batteva sul tetto di cuoio della carrozza, e le ruote sciabordavano rotolando fra il fango e le pozzanghere. In faccia a lui, il copricapo bianco del suo compagno riluceva debolmente nell'oscurit. Il chirurgo armeggi nelle sue tasche, e sistem i suoi aghi, le sue bende e le spille di sicurezza, in modo da non perdere tempo una volta arrivati. Fremeva dall'impazienza, e tambureggiava il piede sul pavimento. Infine la carrozza rallent, e poi si ferm del tutto. Immediatamente Douglas Stone ne discese, tallonato dal mercante di Smirne. "Aspetti pure" disse quest'ultimo rivolto al cocchiere. La casa era squallida, e la via stretta e sordida. Il chirurgo, che conosceva bene la sua Londra, gett una rapida occhiata attorno a s, ma non vi era alcunch di riconoscibile - nessun negozio, nessun movimento, nient'altro che una duplice fila di case buie e insignificanti, un duplice rettifilo di lastre di pietra bagnate che rilucevano alla luce dei fanali, e un duplice torrente d'acqua nei rigagnoli che turbinava e gorgogliava verso i tombini. La porta di fronte a cui si trovavano era scrostata e stinta, e la pallida luce che traspariva dalla vetrata a mezzaluna che la sovrastava serviva soltanto a mostrare la polvere e lo sporco di cui era ricoperta. In alto, da una delle finestre delle camere da letto, traspariva un tenue barlume giallastro. Il mercante buss con forza, e quando si volt verso la luce, Douglas Stone vide che il suo volto era contratto dall'ansia. Venne tirato un paletto, e una donna anziana con una candela apparve sulla soglia, riparando con una mano nodosa la tenue fiammella. "Niente di nuovo?" chiese il mercante con voce soffocata. "La signora come l'ha lasciata." "Non ha parlato?" "No, addormentata profondamente." Il mercante richiuse la porta, e Douglas Stone percorse lo stretto corridoio, guardandosi attorno con un certo stupore. Non vi erano tende, n tappeto, n attaccapanni. I suoi occhi incontravano soltanto polvere e tele di ragno. Seguendo la vecchia su per le scale, il suono del passo deciso di Stone echeggiava per la casa silenziosa. La camera da letto era al secondo piano. Douglas Stone vi entr dietro alla vecchia infermiera, seguito a sua volta dal mercante.

  • Qui, perlomeno, vi era arredamento in abbondanza: mobiletti turchi, tavoli intarsiati, giubbotti di maglia di ferro, strane pipe ed armi grottesche. Un'unica lampada era infissa in un braccio sulla parete. Douglas Stone se ne impadron e facendosi strada fra i mobili, si diresse verso un letto nell'angolo, sul quale giaceva una donna vestita alla maniera turca, con 'yashmak' e velo. La parte inferiore del suo viso era esposta, e il chirurgo vide un taglio irregolare che spiccava sul bordo del labbro inferiore. "Lei scuser lo 'yashmak'" disse il turco. "Certo conosce il punto di vista dei levantini a proposito delle donne." Ma il chirurgo non stava pensando allo 'yashmak'. Quella l non era pi una donna per lui. Era un caso. Si chin ed esamin attentamente la ferita. "Non vi nessuna traccia di infiammazione" disse. "Potremmo rimandare l'operazione finch non si sviluppano i sintomi locali." Il marito si torse le mani in preda a un'incontrollabile agitazione. "Oh, signore" esclam. "Non indugi. Lei non se ne rende conto, mortale. Io lo so, e le do la mia parola d'onore che un'operazione assolutamente indispensabile. Solo il coltello la pu salvare." "Ciononostante preferirei aspettare" ribatt Douglas Stone. "Basta cos" url il turco, furibondo. "Ogni minuto della massima importanza, e io non posso restarmene qui a vedere mia moglie morire. Non ho altra alternativa che di ringraziarla per essere venuto, e chiamare un altro chirurgo prima che sia troppo tardi." Douglas Stone esit. Non sarebbe stato piacevole restituire quelle cento sterline. Ma naturalmente, se abbandonava il caso, doveva per forza restituirle. E se il turco avesse avuto ragione e la donna fosse morta, la sua posizione di fronte a un medico legale avrebbe potuto essere imbarazzante. "Lei ha un'esperienza personale di questo veleno?" chiese. "S." "E mi assicura che un intervento necessario?" "Lo giuro su tutto quello che sacro." "La donna rimarr orrendamente sfigurata." "Capisco che non sar una bella bocca da baciare." Douglas Stone si volt inferocito verso l'uomo. Il discorso era brutale. Ma il turco aveva il proprio modo di pensare e parlare, e non c'era tempo per litigare. Douglas Stone trasse dall'astuccio un bisturi, lo apr, e pass l'indice sulla lama tagliente. Poi avvicin la lampada al letto. Due occhi scuri lo fissavano attraverso l'apertura nello 'yashmak'. Erano tutta iride, e la pupilla era quasi scomparsa. "Le avete dato una dose assai massiccia di oppio." "S, ne ha preso una buona dose." Il chirurgo osserv nuovamente gli occhi scuri che guardavano fissamente i suoi. Erano opachi e privi di vivacit, ma mentre li guardava, furono animati da una breve scintilla, e le labbra tremarono. "Non del tutto priva di conoscenza" disse. "Non sarebbe meglio usare il coltello finch sar insensibile al dolore?" Lo stesso pensiero aveva attraversato la mente del chirurgo. Afferr il labbro ferito con la pinza, e con due tagli veloci ne stacc un largo lembo a forma di V. La donna balz a sedere sul letto con uno spaventoso grido gorgogliante. Si strapp il velo dal viso. Era un volto che lui conosceva. Nonostante quel labbro superiore sporgente e quella carne sanguinante, era un volto che lui conosceva. La donna seguitava a premersi la mano sullo squarcio e a urlare. Douglas Stone si sedette ai piedi del letto con il bisturi e la pinza in mano. La stanza gli girava vorticosamente intorno, e aveva sentito qualcosa cedergli in testa, come un'improvvisa lacerazione. Uno spettatore avrebbe detto che, dei due volti, il suo era il pi spettrale. Come in un sogno, o come se fosse stato intento a seguire qualcosa su un palcoscenico, si rese conto che i capelli e la barba del turco giacevano sul tavolo, e che Lord Sannox stava appoggiato contro la parete, con una mano sul fianco, ridendo silenziosamente. Le urla erano ormai cessate, e quell'orribile testa era ricaduta sul cuscino, ma Douglas Stone continuava a sedere immobile, e Lord Sannox continuava a ridere silenziosamente fra s e s. "Per Marion quest'operazione era veramente indispensabile" diss'egli. "Non fisicamente, lei capisce bene, ma moralmente." Douglas Stone si chin in avanti e cominci a giocherellare con la frangia del copriletto Il bisturi cadde tintinnando per terra, ma continuava a tenere in mano la pinza. "Era da molto che volevo darle una piccola lezione" disse Lord Sannox in tono mellifluo. "Il vostro bigliettino di mercoled scorso sbagli recapito; ce l'ho qui con me nel mio portafogli. E' stato

  • piuttosto difficile attuare il mio progetto. La ferita, a proposito, stata prodotta semplicemente dal mio anello." Lanci un'acuta occhiata al suo compagno ammutolito, e tolse la sicura dalla piccola pistola che teneva nella tasca del soprabito. Ma Douglas Stone continuava a giocherellare con il copriletto. "Vede che dopotutto ha mantenuto il suo appuntamento" disse Lord Sannox. A quelle parole, Douglas Stone cominci a ridere. Rise a lungo, a gola spiegata. Ma ora Lord Sannox non rideva pi. Qualcosa di simile alla paura gli aguzz e gli indur i tratti. Usc dalla stanza, camminando in punta di piedi. La vecchia lo aspettava fuori dalla porta. "Occupati della tua padrona quando si sveglier" disse Lord Sannox. Poi scese in strada. La carrozza era davanti al portone, e il cocchiere alz una mano al berretto. "John" disse Lord Sannox "prima di tutto porterai a casa il dottore. Avr bisogno di aiuto per scendere le scale, credo. Di' al suo maggiordomo che durante una visita si sentito male." "Molto bene, signore." "Poi porterai Lady Sannox a casa." "E lei, signore?" "Oh, il mio indirizzo per i prossimi mesi sar Hotel Roma, Venezia. Procura di farmi recapitare la posta. E di' a Stevens di mandare luned alla mostra i crisantemi viola e di telegrafarmi il risultato del mio esperimento di floricultore."

    IL TERRORE DEL BLUE JOHN GAP

    Il seguente resoconto fu trovato fra le carte del dottor James Hardcastle, morto di tisi il 4 febbraio del 1908, in Upper Coventry Flats 36, South Kensington. I suoi migliori amici, pur rifiutandosi di esprimere un'opinione riguardo allo scritto in questione, sono unanimi nell'asserire che egli era un uomo dalla mente sobria e scientificamente dotata, privo del tutto di immaginazione, e incapace di inventare una serie di avvenimenti abnormi. Il documento era chiuso in una busta che recava la scritta: "Breve resoconto degli avvenimenti che si svolsero nella scorsa primavera nei pressi della fattoria delle signorine Allerton nel North-West Derbyshire". La busta era sigillata, e sul retro vi era scritto a matita: "Caro Seaton, "Ti potr interessare, e forse addolorare, di apprendere che l'incredulit con cui accogliesti il mio racconto mi ha impedito di riparlare in seguito del problema con chicchessia. Lascio questa breve documentazione che andr letta dopo la mia morte; potr forse succedere che degli sconosciuti avranno pi fiducia in me che non il mio amico." Le indagini successive non hanno appurato chi fosse questo Seaton. Potrei aggiungere che la visita del defunto alla fattoria delle Allerton e il motivo dell'allarme che si ebbe nei dintorni, sono stati verificati e controllati, al di fuori di questa particolare spiegazione. Con questa premessa, faccio seguire il suo resoconto esattamente come lui lo ha lasciato. E' sotto forma di un diario, alcuni brani del quale sono stati ampliati, altri cancellati. 17 aprile. Gi sento i benefici di questa meravigliosa aria di collina. La fattoria delle Allerton a quattrocentotrenta metri sopra il livello del mare, ed quindi comprensibile che qui il clima sia tanto tonificante. Tranne la solita tosse del mattino, ho pochissimi altri disturbi e, con l'aiuto del latte appena munto e il montone allevato sul luogo, credo proprio che riuscir a ingrassare un po'. Penso che Saunderson sar contento. Le due signorine Allerton sono deliziosamente bizzarre e gentili, due tesori di zitelle laboriose e instancabili, pronte a versare la piena del loro affetto, di cui avrebbero potuto colmare marito e figli, su uno sconosciuto, e invalido per giunta. Invero, la zitella una figura di grande utilit, una delle pi preziose riserve della comunit. La gente parla della donna superflua, ma come se la caverebbe un poveraccio superfluo senza la sua dolce presenza? A proposito, nella loro ingenuit hanno subito lasciato sfuggire il motivo per cui Saunderson mi raccomand la loro fattoria. Il Professore di umili natali, e credo che trascorse la sua infanzia giocando proprio in questi campi.

  • E un luogo assai solitario e le passeggiate sono estremamente pittoresche. La fattoria consiste in terreni da pascolo che giacciono in un fondovalle. Sui due lati sorgono delle fantastiche colline calcaree, formate da pietra cos morbida che la si pu sgretolare con le mani. L'intera regione una cava. Se la si potesse percuotere con un gigantesco martello, rimbomberebbe come un tamburo, o forse sprofonderebbe del tutto, rivelando uno sconfinato mare sotterraneo. Un grande mare indubbiamente ci deve essere, perch ovunque i ruscelli scompaiono dentro alla montagna stessa, senza pi riapparire. Le rocce sono piene di crepe, e se si entra in una di esse ci si trova poi in enormi caverne, che si insinuano nelle viscere della terra. Ho una piccola lampada a pila, ed per me una gioia continua portarla in queste misteriose solitudini, e vedere i meravigliosi effetti argentei e neri che si formano, quando getto la sua luce sulle stalattiti che pendono dalle altissime volte. Spengo la lampada, e mi trovo nella pi assoluta oscurit. La accendo, ed una scena da "Mille e una notte". Ma vi una di queste strane aperture nella terra che riveste un interesse particolare, poich non opera della natura, ma dell'uomo. Non avevo mai sentito parlare di Blue John quando sono venuto da queste parti. E' il nome che danno a uno strano minerale di un bellissimo color viola, che si trova soltanto in uno o due luoghi in tutto il mondo. E' cos raro, che un vaso qualsiasi di Blue John avrebbe un valore astronomico. I romani, con lo straordinario istinto da loro posseduto, scoprirono che lo si poteva estrarre in questa valle, e scavarono un profondo pozzo orizzontale nel fianco della montagna. L'imboccatura della loro miniera viene chiamata Blue John Gap, ed un arco ben delineato nella roccia, la cui apertura tutta ricoperta di cespugli. E' un pozzo ben lungo, quello che i minatori romani scavarono, e incrocia alcune grandi caverne erose dall'acqua, cosicch chiunque entrasse nel Blue John Gap, farebbe bene a stare molto attento e a portarsi dietro una buona provvista di candele, altrimenti rischierebbe di non rivedere mai pi la luce del sole. Per ora non mi ci sono inoltrato di molto, ma oggi stesso mi sono fermato all'imboccatura ad arco del tunnel, e, sbirciando nelle sue nere profondit, ho giurato a me stesso che, non appena mi fossi rimesso in salute, avrei dedicato alcuni giorni di vacanza ad esplorare quelle misteriose profondit e a scoprire fin dove i romani sono penetrati nelle colline del Derbyshire. Strano come siano superstiziosi questi contadini! Non l'avrei detto del giovane Armitage, poich egli un uomo di una certa istruzione e di carattere, e un ottimo giovane per la sua condizione sociale. Io mi trovavo in piedi vicino al Blue John Gap, quando attravers il campo per venire verso di me. "Be', dottore" mi disse "non si pu dire che lei abbia paura." "Paura!" gli risposi. "Paura di che?" "Di quello" disse, indicando con il pollice il nero antro. "Del Terrore che abita nella caverna del Blue John." Com' assurdamente facile che una leggenda nasca in una campagna solitaria! Lo interrogai sui motivi della sua strana convinzione. Pare che alcune pecore siano scomparse a intervalli dai campi, portate via di peso, stando ad Armitage. Che le pecore avessero potuto allontanarsi di propria iniziativa e perdersi sulle montagne, era un'ipotesi alla quale lui non volle dare credito. Una volta trovarono una pozza di sangue, e dei ciuffi di lana. Anche quello, gli feci notare, poteva avere una spiegazione del tutto naturale. Inoltre, le notti in cui le pecore sparivano, erano immancabilmente notti nuvolose e senza luna. Controbattei molto logicamente che erano proprio quelle le notti che un normale ladro di pecore sceglierebbe per svolgere il suo lavoro. Una volta, mi disse, era stata praticata un'apertura in un muro, e alcune delle pietre erano state ritrovate a una considerevole distanza. Anche questo, secondo me, poteva essere opera di un uomo. Infine, Armitage pose fine alla discussione dicendomi che lui aveva udito la Creatura con i propri orecchi, che, anzi, chiunque poteva udirla se si fermava per un po' davanti al Gap. Era un rombo lontano di immenso volume. Non potei trattenere un sorriso a questa uscita, conoscendo, come io conosco, gli strani riverberi provocati dai corsi d'acqua sotterranei che scorrono fra le voragini di una formazione calcarea. La mia incredulit irrit Armitage, tanto che mi volt le spalle e si allontan bruscamente. Ed ora vengo alla parte pi strana di tutta la faccenda. Ero ancora ritto vicino all'imbocco della caverna, intento a riflettere a proposito delle varie asserzioni di Armitage e a come si potessero facilmente spiegare in modo logico, quando improvvisamente, dalle profondit del tunnel accanto

  • a me, emerse un suono straordinario. Come posso descriverlo? In primo luogo, sembrava che venisse da molto lontano, dalle viscere stesse della terra. In secondo luogo, nonostante questa impressione di lontananza, era molto forte. Infine, non era un rombo, n un tonfo, come potrebbe essere prodotto da una cascata d'acqua o dal rovinio di una pietra ma era piuttosto un lamento altissimo, tremulo e vibrante, quasi come il nitrito di un cavallo. Certo che era un'esperienza notevole e tale, lo ammetto, da dare un nuovo significato alle parole di Armitage. Attesi vicino al Blue John Gap per una mezz'ora e pi, ma quel suono non si ripet, e cos tornai alla fattoria, piuttosto sconcertato da quanto era accaduto. Senz'altro esplorer quella caverna quando mi sar rimesso in forze. Naturalmente, la spiegazione di Armitage troppo assurda per essere presa in considerazione, eppure quel suono era molto strano. Anche adesso, mentre scrivo, lo sento ancora risuonare nelle orecchie. 20 aprile. Negli ultimi tre giorni ho fatto varie spedizioni al Blue John Gap, e mi sono anche inoltrato per un breve tratto, ma la mia lampada a pila cos piccola e debole che non oso allontanarmi troppo. Mi organizzer meglio. Non ho pi udito alcun suono, e potrei quasi convincermi di essere rimasto vittima di un'allucinazione, suggerita, forse, dalle parole di Armitage. Naturalmente, una cosa assurda, eppure debbo confessare che quei cespugli all'imbocco della caverna danno l'impressione di essere stati calpestati da un'enorme creatura. Comincio a essere profondamente interessato. Non ho detto niente alle signorine Allerton, poich esse sono gi abbastanza superstiziose, ma ho comprato delle candele, e intendo indagare per conto mio. Stamattina ho osservato che, fra i numerosi ciuffi di lana di pecora cosparsi fra i cespugli vicino alla caverna, ve n'era uno intriso di sangue. Naturalmente, la ragione mi dice che, se le pecore si avventurano in luoghi scoscesi, facile che si feriscano, eppure in qualche modo quella macchia cremisi mi ha dato un improvviso tuffo al cuore, e per un istante mi sono trovato ad arretrare inorridito da quell'antico arco romano. Pareva che un alito fetido si sprigionasse dalle nere profondit nelle quali scrutavo. E' davvero possibile che qualche oggetto innominato, qualche spaventosa presenza, si nasconda laggi? Sarei stato incapace di simili pensieri all'epoca in cui godevo di buona salute, ma si diventa pi nervosi e fantasiosi quando la salute vacilla. L per l, pensai di rinunciare al mio progetto e di lasciare che il segreto dell'antica miniera, se pur esisteva, restasse insoluto per sempre. Ma stasera il mio interesse si ravvivato e i miei nervi sono pi saldi. Spero che domani riuscir ad approfondire la questione. 22 aprile. Voglio tentare di descrivere il pi accuratamente possibile la mia straordinaria esperienza di ieri. Mi incamminai nel pomeriggio verso il Blue John Gap. Confesso che le mie paure mi riassalirono quando mi trovai a scrutarne le nere profondit, e mi pentii di non essermi portato dietro un compagno con cui compiere l'esplorazione. Finalmente, con un ritorno di coraggio, accesi la mia candela, mi feci strada attraverso i rovi e mi inoltrai nel pozzo roccioso. Il pozzo scende ad angolo acuto per una quindicina di metri, e in questo tratto il terreno ricoperto di pietre. Da l si diparte un lungo corridoio diritto, tagliato nella roccia. Non sono un geologo, ma il rivestimento di questo corridoio indubbiamente di una materia pi dura che non la pietra calcarea, poich vi erano alcuni punti dove riuscivo a vedere i segni lasciati dai picconi degli antichi minatori, altrettanto freschi che se fossero stati lasciati ieri. Incespicando, percorsi questo strano, antico corridoio, mentre la debole fiamma della mia candela gettava attorno un tenue chiarore, che rendeva ancora pi nere e minacciose le ombre che mi stavano davanti. Infine, arrivai in un punto dove il tunnel romano si apriva in una caverna prodotta dalle acque: un enorme antro, dal cui soffitto pendevano innumerevoli, lunghi ghiaccioli bianchi di deposito calcareo. Aguzzando la vista, riuscii a vedere che da questa sala centrale si dipartivano un gran numero di diramazioni, formate da torrenti sotterranei, le quali si inoltravano nelle viscere della terra. Me ne stavo l fermo, chiedendomi se mi convenisse tornare indietro, o se avevo l'ardire di avventurarmi oltre in quel pericoloso labirinto, quando il mio sguardo cadde su qualcosa ai miei piedi, che attir prepotentemente la mia attenzione. Il pavimento della caverna era in genere ricoperto da massi di pietra e da dure incrostazioni di calcio, ma in quel particolare punto vi era stato uno sgocciolio dal soffitto, che aveva lasciato una vasta chiazza di fango molle. Nel bel mezzo di questa, vi era un'enorme infossatura, un segno dai contorni mal definiti, profondo, largo e irregolare, come se vi fosse caduto un pesante masso. Eppure non vidi nessuna pietra rotolata l vicino, n qualsiasi altra cosa che potesse giustificare

  • quel segno. Era molto, troppo grande per essere l'orma di un qualsiasi animale e, inoltre, ve ne era una sola, e la chiazza di fango era di una misura tale che nessuno avrebbe potuto superarla con un solo passo. Quando rialzai la testa dopo aver esaminato quella singolare traccia e mi fui guardato attorno, in quelle ombre nere che mi circondavano, debbo confessare che provai per un istante uno sgradevole senso di paura e, per quanto tentassi di dominarmi, la candela trem nella mia mano protesa. Ben presto comunque riacquistai il mio sangue freddo, riflettendo come fosse assurdo associare una cos vasta e informe traccia con l'orma di qualsiasi animale noto all'uomo. Neppure un elefante avrebbe potuto lasciarla. Decisi pertanto che non avrei permesso a delle vaghe e informi paure di impedirmi di portare a termine la mia esplorazione. Prima di proseguire, presi accuratamente nota di una bizzarra formazione calcarea nella parete, dalla quale avrei potuto riconoscere l'entrata del tunnel romano. Era una precauzione indispensabile, poich la vasta caverna, fin dove potevo vedere, era intersecata da diramazioni. Essendomi garantito il ritorno, e dopo aver riesaminato la scorta delle candele e dei fiammiferi, presi ad avanzare lentamente sul terreno roccioso e sconnesso. Fu allora che mi capit l'improvviso e agghiacciante disastro. Un torrentello con poca acqua ma largo cinque o sei metri, attraversava il mio cammino, e io percorsi una certa distanza lungo la riva per trovare un punto che mi permettesse di attraversarlo senza bagnarmi i piedi. Infine, giunsi in un punto dove un unico masso piatto affiorava proprio in mezzo al corso, e che io potevo raggiungere con un solo passo. Purtroppo, invece, sotto la superficie del masso, la pietra era stata consumata dallo scorrere delle acque, cosicch quando ci appoggiai il mio peso si inchin e mi catapult nell'acqua gelida. La mia candela si spense, e mi ritrovai immerso nella pi completa e totale oscurit. Mi rialzai incespicando, pi divertito che spaventato dalla mia avventura. La candela mi era caduta di mano e si era persa nel fiume, ma ne avevo altre due in tasca, quindi la perdita non era di nessuna importanza. Ne approntai un'altra, e tirai fuori la mia scatola di fiammiferi per accenderla. Soltanto allora mi resi conto della situazione. La scatola si era inzuppata durante il mio tuffo nel fiume. Era impossibile accendere i fiammiferi. Quando mi resi conto di quel fatto mi sembr che una gelida mano mi ghermisse il cuore. L'oscurit era densa, orribile, cos totale da farmi alzare una mano al viso, come per respingere qualcosa di solido. Rimasi immobile, dominandomi con uno sforzo. Tentai di ricostruire nella mia mente una mappa della caverna, come l'avevo vista per l'ultima volta. Ahim, gli orientamenti che si erano impressi nella mia mente erano in alto sulle pareti, e non avrei potuto ritrovarli al tatto. Comunque, ricordavo vagamente come fossero disposte le pareti, e sperai, strisciando, di arrivare prima o poi all'entrata del tunnel romano. Muovendomi lentamente, e battendo di continuo contro le rocce, mi accinsi a questo disperato tentativo. Ben presto per mi resi conto di come fosse impossibile. In quell'oscurit nera e ovattata, l'orientamento si perdeva di colpo. Prima che avessi percorso dieci passi, ero completamente confuso e non avevo la minima idea di dove mi trovassi. Lo scroscio del corso d'acqua, l'unico suono percettibile, mi indicava dove si trovasse, ma, non appena ne abbandonavo la riva, ero irrimediabilmente perso. L'idea di ripercorrere i miei passi nella totale oscurit in quel labirinto di pietra era chiaramente un'impresa impossibile. Mi sedetti su un masso, e riflettei sulla mia situazione. Non avevo detto a nessuno che intendevo scendere nella miniera, ed era improbabile che mi venissero a cercare laggi. Dovevo quindi fare affidamento sulle mie sole forze per cavarmi d'impiccio. Vi era una sola speranza, e cio che i fiammiferi si sarebbero asciugati. Quando ero caduto nell'acqua, soltanto una met del mio corpo si era bagnata. La mia spalla sinistra era rimasta fuori dall'acqua. Perci presi la scatola di fiammiferi e la misi sotto l'ascella sinistra. La mia speranza era che il calore del mio corpo vincesse l'aria umida della caverna, ma anche nel migliore dei casi, sapevo che non avrei potuto accendere un fiammifero per molte ore. Nel frattempo, non potevo fare altro che aspettare. Per mia fortuna, mi ero ficcato parecchi biscotti in tasca prima di lasciare la fattoria. Li divorai, buttandoli gi con un sorso d'acqua di quel maledetto ruscello che era la causa di tutte le mie disgrazie. Poi mi diedi da fare per trovare fra i massi un sedile comodo e avendo trovato un posto

  • dove poter appoggiare la schiena, allungai le gambe e mi preparai all'attesa. Ero bagnato e infreddolito, ma tentai di rallegrarmi pensando che la medicina moderna prescrive per la mia malattia le finestre aperte e le passeggiate col brutto e col bel tempo. Pian piano, cullato dal monotono gorgoglio del fiume e dalla profonda oscurit, caddi in un sonno agitato. Non so dire quanto dormii. Forse un'ora, forse parecchie ore. Improvvisamente balzai a sedere sul mio letto di roccia, con ogni nervo percorso da un fremito, e ogni senso all'erta. Al di l di ogni possibile dubbio, avevo udito un suono, un suono molto diverso dal gorgoglio dell'acqua. Era passato, ma l'eco perdurava ancora nei miei orecchi. Si trattava forse di una spedizione di salvataggio? Ma in quel caso, mi avrebbero certamente chiamato, e per vago che fosse il suono che mi aveva svegliato, era molto diverso dalla voce umana. Rimasi immobile, tremante, incapace di respirare. Eccolo di nuovo! E di nuovo! Adesso era diventato continuo. Era un passo, s, certamente era il passo di qualche creatura vivente. Ma quale passo! Dava l'impressione di un peso enorme portato da piedi spugnosi, che emettevano un suono attutito e pur pieno. L'oscurit era sempre assoluta, ma il passo era deciso e regolare. E veniva senza alcun dubbio nella mia direzione. Al suono di quel passo poderoso e risoluto mi si rizzarono i capelli e mi si ghiacci la pelle. Vi era una creatura l e, a giudicare dalla velocit con cui avanzava, era un essere che poteva vedere al buio. Mi appiattii sulla roccia, tentando di diventare tutt'uno con essa. I passi si avvicinarono ancora di pi, poi si fermarono, e ben presto fui conscio di un rumoroso sciacquio e gorgoglio. La creatura stava abbeverandosi al fiume. Poi vi fu nuovamente silenzio, interrotto da una successione di respiri e grugniti di tremendo volume e energia. La creatura aveva colto il mio odore? Le mie proprie narici furono colpite da un puzzo fetido, mefitico, abominevole. Poi udii nuovamente i passi. Adesso erano sulla sponda del fiume dove mi trovavo. Le pietre scricchiolarono a pochi metri di distanza da me. Mi rannicchiai sulla mia roccia, trattenendo perfino il respiro. Poi i passi si allontanarono. Udii gli schizzi mentre la Creatura attraversava nuovamente il fiume, poi il suono si allontan nella direzione dalla quale era venuto, fino a scomparire del tutto. Rimasi a lungo disteso sulla roccia, troppo terrorizzato per potermi muovere. Ripensai al suono che avevo udito, proveniente dalle nere viscere della caverna, ripensai alle paure di Armitage, alla strana orma impressa nel fango, ed ora a quest'ultima e irrefutabile prova che vi era davvero qualche inconcepibile mostro, qualcosa di ignoto e di spaventoso, che stava in agguato nel cuore della montagna. Non potevo farmi alcuna idea della sua forma o della sua natura. La lotta fra la ragione, che mi diceva che simili cose non esistono, e i miei sensi, che mi dicevano che esse esistono, infuriava dentro di me mentre giacevo. Infine, ero quasi disposto a convincermi che questa esperienza era stata parte di un angoscioso incubo, e che le mie anormali condizioni di salute avrebbero potuto evocare un'allucinazione. Ma dovevo ancora affrontare un'ulteriore esperienza, la quale rimosse ogni possibile dubbio dalla mia mente. Avevo preso i fiammiferi dalla mia ascella e li avevo tastati. Sembravano perfettamente asciutti e rassodati. Chinandomi verso una fessura fra le rocce, tentai di accenderne uno. Con mia grande gioia, prese immediatamente fuoco. Accesi la candela e, con un'ultima occhiata terrorizzata verso le oscure profondit della caverna, mi affrettai in direzione del tunnel romano. Cos facendo, passai davanti alla chiazza di fango sulla quale avevo visto la gigantesca orma. Rimasi inchiodato dallo stupore, poich ora vi erano tre orme uguali sulla sua superficie, enormi di misura, irregolari di contorno, e di una profondit che rivelava il peso poderoso che le aveva impresse. Allora una paura incontrollabile si impossess di me. Chinandomi e riparando la fiamma della candela con una mano, corsi in preda a un parossismo di paura verso l'arco di pietra, mi affrettai su per la salita, senza mai fermarmi finch, i piedi doloranti e i polmoni in fiamme, non ebbi superato l'ultimo tratto, non mi fui aperto un varco fra i rovi, e non mi fui gettato esausto sulla morbida erba sotto la tranquilla luce delle stelle. Erano le tre del mattino quando raggiunsi la fattoria, e ancora oggi sono agitato e sconvolto dalla mia spaventosa avventura. Per il momento non ne ho parlato a nessuno. Bisogna agire con prudenza. Che cosa potrebbero pensare queste povere donne sole, o questi contadini ignoranti se raccontassi loro la mia esperienza? E' meglio che mi rivolga a qualcuno in grado di capirmi e di consigliarmi. 25 aprile. Sono dovuto restare a letto due giorni dopo la mia incredibile avventura nella caverna. Adopero l'aggettivo nel suo senso pi autentico, perch nel frattempo mi capitata un'esperienza

  • che mi ha sconvolto quasi quanto l'altra. Ho detto come intendessi cercare qualcuno che mi potesse consigliare. Vi un certo dottor Mark Johnson che esercita a pochi chilometri da qui. E' stato il professor Saunderson a raccomandarmelo. Andai a trovarlo, quando mi fui sufficientemente rimesso, e gli raccontai la mia strana esperienza. Egli mi ascolt attentamente, poi mi visit con cura, con particolare riguardo ai miei riflessi e alle pupille degli occhi. Quando ebbe terminato, si rifiut di parlare della mia avventura, dicendo che non era di sua competenza, ma mi diede un biglietto per il signor Picton di Castleton, consigliandomi di andare immediatamente da lui e di raccontargli la storia esattamente come l'avevo raccontata a lui. Il signor Picton era, secondo lui, l'uomo che faceva al caso mio. Andai dunque alla stazione, e mi recai nella piccola cittadina, che dista una quindicina di chilometri. Il signor Picton doveva essere un tipo di una certa importanza, poich la sua targa di ottone faceva bella mostra di s sul portone di uno dei pi grossi edifici alla periferia della citt. Stavo per suonare il campanello, quando fui assalito da un dubbio e, attraversata la strada, entrai in un negozio, chiedendo all'uomo dietro al banco ragguagli sul signor Picton. "Ma come" mi disse " il miglior medico alienista di tutto il Derbyshire, e quello il suo manicomio." Come potete bene immaginare, mi affrettai a lasciare Castleton e a tornare alla fattoria, maledicendo tutti i pedanti privi di fantasia, incapaci di concepire che possano esistere delle cose nel creato, che essi non abbiano toccato con mano. Dopotutto, adesso che sono pi calmo, sono disposto ad ammettere che io stesso non fui pi comprensivo nei confronti di Armitage di quanto il dottor Johnson non lo sia stato con me. 27 aprile. Da studente, avevo la fama di essere un uomo coraggioso e intraprendente. Ricordo che quando andammo a caccia di fantasmi a Coltbridge, fui io a vegliare nella casa frequentata dagli spettri. Sono gli anni (ma, dopotutto, ne ho soltanto trentacinque), o questa malattia fisica la causa della mia degenerazione? Certo che il mio cuore trema di paura, quando penso a quell'orribile caverna nella collina, e alla certezza che in essa risiede qualche mostruoso occupante. Che cosa debbo fare? Mi dibatto continuamente in questa incertezza. Se non dico niente, allora il mistero rimane insoluto. Se viceversa parlo, ho l'alternativa di gettare un angoscioso allarme su tutta la zona, o di suscitare un'assoluta incredulit che potrebbe farmi finire in manicomio. Visto e considerato il problema, credo che mi convenga aspettare, e preparare una spedizione pi metodica e meglio organizzata dell'ultima. Il primo passo stato di recarmi a Castleton per ottenere alcune cose indispensabili: per incominciare una grossa lanterna ad acetilene, e una buona doppietta da caccia. Quest'ultima l'ho noleggiata, ma ho acquistato una dozzina di cartucce per la caccia grossa, capaci di atterrare anche un rinoceronte. Adesso sono pronto per il mio amico troglodita. Se mi sar concessa un po' di salute e un pizzico di energia, mi sentir in grado di affrontarlo. Ma chi e che cos' quella creatura? Ah! questa la domanda che si frappone fra me e il sonno. Quante ipotesi continuo a formulare, solo per scartarle ad una ad una! E' tutto cos inconcepibile. Eppure il grido, l'orma, il passo nella caverna, nessun ragionamento pu farli scomparire. Penso alle antiche leggende di draghi e di altri mostri. E' possibile dunque che non fossero, come noi le ritenevamo, puro frutto di fantasia? E' possibile che fossero basate su fatti realmente accaduti, e sono proprio io, fra tutti i mortali, quello prescelto per svelarli? 3 maggio. Per alcuni giorni sono stato costretto a rimanere a letto, grazie ai capricci della primavera inglese. Durante quei giorni vi sono stati degli avvenimenti il cui vero e sinistro significato non pu essere compreso da nessuno, tranne che da me. Aggiungo che ultimamente abbiamo avuto una serie di notti nuvolose e senza luna che, stando alle mie informazioni, erano quelle in cui le pecore sparivano. Be', alcune pecore sono scomparse. Due pecore delle signorine Allerton, una del vecchio Pearson di Cat Walk, e una della signora Moulton. Un totale di quattro, in tre notti. Di esse non rimasta traccia alcuna, ma nella zona circolano voci sulla presenza di zingari e ladri di bestiame. E' accaduto per un fatto pi grave di questo. E' scomparso anche il giovane Armitage. Ha lasciato la sua casetta nella brughiera mercoled sera di buonora, e da allora non se ne pi saputo niente. Viveva solo, quindi la sua scomparsa ha destato meno scalpore di quanto non avrebbe fatto se avesse avuto famiglia. La gente dice che lo ha fatto per sfuggire ai suoi debitori, che avr trovato lavoro da qualche altra parte, e che ben presto scriver per farsi mandare i suoi effetti personali. Ma io ho dei gravi dubbi. Non pi probabile che la recente scomparsa delle pecore lo abbia indotto a un'azione che potrebbe aver provocato la sua fine? Potrebbe, per

  • esempio, avere teso un trabocchetto alla creatura mostruosa e anonima ed essere stato da essa ghermito e portato nella tana nella montagna. Quale inconcepibile sorte, per un inglese civilizzato del ventesimo secolo! Eppure io sento che possibile, e perfino probabile. Ma in tal caso, fino a dove sono io responsabile, sia della sua morte che di qualsiasi altro disastro che possa accadere? Sicuramente, essendo al corrente di alcuni fatti, dovrei far prendere qualche provvedimento, o, se necessario, dovrei prenderli io stesso. Ma credo proprio che non mi resti che quest'ultima soluzione, poich stamattina mi sono recato al posto di polizia locale, e ho raccontato la mia storia. Mentre parlavo, l'ispettore segnava qualcosa in un grosso libro e poi mi accompagn alla porta con encomiabile seriet, ma prima che fossi arrivato in fondo al viottolo del suo giardino, udii uno scoppio di risa. Certamente stava raccontando la mia avventura alla sua famiglia. 10 giugno. Sto scrivendo questi appunti seduto a letto; sono passate sei settimane dalle mie ultime annotazioni in questo diario. Ho subto uno choc terribile, sia psichico che fisico in seguito a un'esperienza che raramente pu essere accaduta a un essere umano. Ma ho ottenuto il mio scopo. La fonte del terrore che sopravviveva nel Blue John Gap scomparsa per sempre. Almeno io, povero invalido, ho fatto questo per il bene comune. Lasciate che racconti il pi chiaramente possibile ci che accaduto. La notte di venerd, 3 maggio, era buia e nuvolosa, proprio il tipo di notte in cui il mostro si sarebbe spinto fuori dalla sua tana. Verso le undici, sono uscito dalla fattoria con la mia lanterna e il mio fucile, dopo aver lasciato un biglietto sul tavolo in camera mia, in cui dicevo che se non fossi tornato, avrebbero dovuto mandare una squadra di soccorso in direzione del Blue John Gap. Mi recai all'imbocco della miniera romana e, dopo essermi appostato fra i massi vicino all'arco, spensi la lanterna e attesi pazientemente con il fucile carico a portata di mano. Fu un'attesa malinconica. Vedevo lungo il fondovalle le luci sparse delle fattorie, e da lontano giungevano i rintocchi del campanile di Chapel-le-Dale. Questi lontani segni di vita servirono soltanto a farmi sentire pi solo, e a rendere necessario uno sforzo maggiore per superare il terrore che mi istigava continuamente a tornare alla fattoria e ad abbandonare per sempre questa pericolosa impresa. Eppure ogni uomo possiede, radicato in s profondamente, un forte amor proprio che gli rende difficile di abbandonare un'impresa una volta che l'abbia incominciata. Questo orgoglio fu la mia salvezza, e fu soltanto quello a tenermi inchiodato l, quando ogni mio istinto mi avrebbe trascinato lontano. Adesso sono felice di averne avuto la forza. Nonostante tutto ci che mi costato, la mia dignit non ha subto affronti. Suonarono le dodici al lontano campanile, poi l'una, e le due. Era l'ora pi buia della notte. Le nuvole vagavano basse, e neanche una stella riluceva nel cielo. Non vi era alcun suono, tranne l'occasionale grido di una civetta e il dolce respiro del vento. Poi improvvisamente li udii, Da molto lontano in fondo al tunnel, udii quei passi attutiti, cos dolci eppure minacciosi. Udii anche il crepitare dei sassi mentre cedevano sotto a quel passo gigantesco. I passi si avvicinarono sempre di pi. Mi furono a ridosso. Udii un rovinio fra i cespugli attorno all'imboccatura, e poi a malapena intravidi delinearsi nell'oscurit una forma enorme, una mostruosa creatura rudimentale, che usciva veloce e silenziosa dal tunnel. Fui paralizzato dalla paura e dallo stupore. Per quanto avessi atteso a lungo, adesso che la creatura era veramente apparsa, ero impreparato al colpo. Rimasi disteso, immobile, senza respiro, mentre l'enorme massa scura mi pass accanto e scomparve nella notte. Mi preparai al suo ritorno. Nessun suono giungeva dalla campagna immersa nel sonno, a raccontare del mostro che vi vagava in libert. Non potevo in alcun modo giudicare a quale distanza fosse andato, che cosa stesse facendo, o quando sarebbe tornato. Ma il mio coraggio non mi avrebbe abbandonato di nuovo, il mostro non sarebbe passato indisturbato una seconda volta. Lo giurai a denti stretti, mentre appoggiavo il mio fucile puntato sulla roccia. Eppure, per poco non accadde. Non ebbi alcun avviso che la creatura stesse attraversando il campo. Improvvisamente, come un'enorme ombra vagante, l'immensa mole mi si par nuovamente davanti, diretta all'ingresso della caverna. Provai ancora una volta quella paralisi della volont, che mi inchiodava l'indice impotente sul grilletto. Ma riuscii a liberarmene con uno sforzo disperato. Nell'istante stesso in cui i cespugli stormirono, e la mostruosa bestia si confuse con l'ombra del Gap, feci fuoco su quella forma fuggente. Alla luce della fiammata del fucile, intravidi una grande massa irsuta, un qualcosa rivestito di un irto e ruvido pelo di un grigio stinto,

  • che si faceva bianco nelle parti inferiori, il cui corpo enorme poggiava su corte zampe, tozze e ricurve. Ebbi quell'unica fugace visione, poi udii un rotolio di sassi mentre la creatura fuggiva nella sua tana. In un attimo, con una trionfale e improvvisa rivoluzione di sentimenti, avevo gettato le mie paure al vento, e scoprendo la mia potente lanterna, con il fucile in mano, balzai gi dalla mia roccia e mi precipitai dietro al mostro lungo la vecchia miniera romana. La mia magnifica lampada gettava davanti a me un potente raggio di luce, molto diverso dal tremulo bagliore giallastro che mi aveva rischiarato il cammino soltanto dodici giorni prima. Mentre correvo, vedevo l'immane bestione caracollare davanti a me, con la sua enorme mole che riempiva tutto lo spazio da una parete all'altra. Il suo pelo, simile a una massa di ruvida stoppa sbiadita, ricadeva in lunghi folti ciuffi che ondeggiavano a ogni passo. Il suo vello lo faceva somigliare a un'enorme pecora mai tosata, ma la sua mole oltrepassava quella del pi grande elefante, e la sua larghezza era tale quale la sua altezza. Adesso che ci ripenso, sono stupito di aver avuto il coraggio di inseguire un simile mostro nelle viscere della terra, ma quando il proprio sangue bolle nelle vene e la preda ha le ali ai piedi, si risveglia l'antico, primitivo istinto del cacciatore e ogni prudenza viene messa da parte. Fucile imbracciato, correvo a tutta velocit all'inseguimento del mostro. Mi ero reso conto che la creatura era veloce. Ora dovevo scoprire, a mio danno, che essa era anche molto astuta. Avevo creduto che stesse fuggendo in preda al panico, e che io dovessi soltanto inseguirla. L'idea che potesse rivoltarsi contro di me, non aveva neppure sfiorato la mia mente esaltata. Ho gi spiegato come il tunnel lungo il quale correvo, si aprisse in una vasta caverna centrale. Mi precipitai in questa caverna, temendo di perdere ogni traccia del bestione. Ma questi si era girato improvvisamente, e l'istante dopo ci trovammo l'uno di fronte all'altro. Quell'immagine, vista alla bianca e brillante luce della mia lanterna, scolpita per sempre nel mio cervello. Il mostro si era impennato sulle zampe posteriori come farebbe un orso, e mi sovrastava, enorme, minaccioso, una creatura come neanche il peggiore degli incubi aveva mai evocato alla mia mente. Ho detto che si era impennato come un orso, e infatti vi era qualcosa dell'orso, se si riesce a concepire un orso dieci volte pi grande di qualsiasi orso mai visto sulla terra, nella sua posizione e nel suo atteggiamento, nelle sue grandi zampe anteriori ricurve munite di artigli bianco-avorio, nella sua pelle rugosa, e nelle sue fauci spalancate e rossastre, orlate di mostruose zanne. Soltanto in una cosa esso differiva da un orso, o da qualsiasi altra creatura esistente, e anche in quell'istante supremo, quando vidi che gli occhi che rilucevano al raggio della mia lanterna, erano degli enormi bulbi sporgenti, bianchi e privi di vista, un brivido di orrore mi percorse. Per una frazione di secondo le sue gigantesche zampe rotearono sopra la mia testa. Poi cadde in avanti sopra di me, io e la mia lanterna rotta precipitammo a terra, e non ricordo altro. Quando ripresi conoscenza, mi trovavo nella fattoria delle Allerton. Erano trascorsi due giorni dalla mia terribile avventura nel Blue John Gap. Pare che fossi rimasto tutta la notte nella caverna, privo di conoscenza in seguito a commozione cerebrale, con il braccio sinistro e due costole fratturati. La mattina dopo era stato trovato il mio biglietto, una dozzina di contadini avevano organizzato una spedizione di soccorso, ed io ero stato trovato e riportato nella mia camera, dove da allora ero rimasto in preda al delirio. Pare che non vi fosse traccia del mostro, n alcuna macchia di sangue a testimoniare che la mia pallottola lo avesse colpito mentre mi passava davanti. Tranne le mie condizioni e le orme nel fango, non vi era niente che dimostrasse che ci che dicevo era vero. Adesso sono passate sei settimane, e io sono nuovamente in grado di sedere all'aperto, sotto i tiepidi raggi del sole. Proprio dirimpetto a me si erge la ripida collina, grigia di rocce porose, e laggi, sul pendio, c' la nera fessura che segna l'imbocco del Blue John Gap. Ma essa non pi fonte di terrore. Non passer mai pi, per quel sinistro tunnel, alcuna mostruosa creatura per avventurarsi nel mondo degli uomini. Le persone istruite e gli uomini di scienza, il dottor Johnson e i suoi simili potranno sorridere del mio racconto, ma le semplici genti della regione non hanno mai dubitato della sua veridicit. Il giorno dopo che io ebbi ripreso conoscenza, essi si radunarono a centinaia attorno al Blue John Gap. Ecco il resoconto del "Castleton Courier": "Non servito a nulla che il nostro corrispondente, o parecchi degli avventurosi giovanotti convenuti da Matlock, Buxton, o altri villaggi, si offrissero di scendere, di esplorare la caverna fino in fondo, e di mettere finalmente alla prova lo straordinario racconto del dottor James Hardcastle. I contadini locali si erano impadroniti della situazione, e fin dalle prime ore del mattino avevano lavorato di lena per bloccare l'ingresso del tunnel. Vi una ripida discesa subito dopo l'imbocco, e

  • centinaia di mani volonterose hanno spinto un gran numero di enormi massi gi per la china, finch il Gap non stato completamente ostruito. Cos si conclude l'episodio che ha destato tanta agitazione in tutto il paese. L'opinione locale ferocemente divisa sulla questione. Da una parte, vi sono quelli che fanno notare come la salute del dottor Hardcastle sia compromessa, per cui ci sarebbe la possibilit di lesioni cerebrali di origine tubercolare che hanno dato luogo a strane allucinazioni. Secondo loro, qualche "ide fixe" ha spinto il dottore ad avventurarsi nel tunnel, e una caduta fra le rocce pi che sufficiente per spiegare le sue ferite. D'altra parte, una leggenda a proposito di una strana creatura nel Gap circolava gi da vari mesi, e i contadini considerano il racconto del dottor Hardcastle e le sue lesioni come la prova decisiva. Cos l'episodio si conclude nell'incertezza, e nell'incertezza perdurer, poich ormai non ci sembra pi possibile alcuna soluzione definitiva. Una spiegazione scientifica che possa chiarire quanto Hardcastle afferma, trascende le possibilit della mente umana." Forse, prima che il "Courier" pubblicasse queste parole, sarebbe stato pi saggio mandare da me il loro cronista. Ho riflettuto a lungo sull'accaduto, pi di quanto chiunque altro possa aver fatto. E' quindi possibile che io avrei potuto eliminare alcuni aspetti apparentemente incredibili del mio racconto, rendendo pi plausibile una spiegazione scientifica. Lasciate che esponga l'unica spiegazione che secondo me pu chiarire ci che ho imparato a mie spese, e che so corrispondere a verit. La mia teoria potr sembrare altamente improbabile, ma perlomeno nessuno oser dire che sia impossibile. La mia opinione , e me la sono formata, come il diario dimostra, prima della mia avventura, che in questa regione dell'Inghilterra esiste un vasto lago o mare sotterraneo, alimentato da numerosi corsi d'acqua che si infiltrano attraverso la pietra calcarea. Dove esiste una grande quantit di acqua, deve esistere anche dell'evaporazione, nebbia o pioggia, e la possibilit di una determinata vegetazione. A sua volta ci suggerisce che possa sussistere una vita animale, derivante, allo stesso modo della vita vegetale, da quei semi e da quei prototipi che furono introdotti in un'epoca antichissima della storia del mondo, quando la comunicazione con il mondo esterno era pi facile. Questo luogo aveva sviluppato a quei tempi una flora e fauna particolari, ivi compresi dei mostri simili a quello che io ho visto e che potrebbero essere benissimo l'antico orso delle caverne, enormemente ingrandito e modificato dalle nuove condizioni ambientali. Per un numero incalcolabile di millenni, quei due mondi, uno interno e uno esterno, sono rimasti divisi, allontanandosi l'uno dall'altro sempre di pi. Poi si deve essere prodotta qualche crepa nelle profondit della montagna, che ha permesso a una di queste creature di salire e, per mezzo del tunnel romano, di raggiungere l'aria aperta. Come tutti gli abitanti del mondo sotterraneo, essa era priva della vista, ma indubbiamente la natura aveva provveduto a dotarla di altre capacit. E' certo che avesse un sistema per orientarsi e per cacciare le pecore sul pendio della collina. In quanto alla sua scelta delle notti oscure, fa parte della mia teoria che la luce intollerabile per quegli enormi bulbi oculari bianchi, per cui essi possono tollerare soltanto un mondo immerso nella oscurit pi completa. Pu, anzi, darsi che fu proprio il riverbero della mia lanterna a salvarmi la vita in quello spaventoso istante in cui ci trovammo faccia a faccia. E' cos che io spiego l'enigma. Lascio questi fatti ai miei posteri, e se voi potete spiegarli, fatelo pure; o se preferite diffidatene pure. N la vostra fiducia n la vostra incredulit possono mutarli, o influire in modo alcuno su una persona il cui compito quasi terminato. Cos finiva lo strano racconto del dottor James Hardcastle.

    IL GATTO BRASILIANO

    E' duro per un giovanotto trovarsi ad avere gusti costosi, grandi aspettative, parenti aristocratici, ma neanche un soldo in tasca e nessuna professione per procurarseli. Il fatto che mio padre, un buon uomo ottimista e facilone, si fidava a tal punto della ricchezza e della benevolenza del suo

  • fratello maggiore, Lord Southerton, uno s