I più antichi fossili di ominidi...

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I più antichi fossili di ominidi africani La scoperta di una nuova specie di Australopithecus, antenata di Homo, permette di far risalire l'origine dell'andatura bipede a ben quattro milioni di anni fa di Meave Leakey e Alan Walker el 1965 Bryan Patterson, pa- leoantropologo della Harvard University, e colleghi rinvenne- ro un frammento di osso fossile dell'arto superiore nel sito di Kanapoi, nel Kenya settentrionale. Patterson sapeva che sa- rebbe stato difficile ricavare interpreta- zioni significative dal punto di vista ana- tomico o evolutivo da un pezzetto di ar- ticolazione del gomito. Nel fossile erano riconoscibili alcuni caratteri che ricorda- vano un ominide primitivo denominato Australopithecus, scoperto 40 anni pri- ma in Sudafrica da Raymond Dart del- l'Università del Witwatersrand. La mag- gior parte delle caratteristiche dell'osso, tuttavia, indusse Patterson e il suo grup- po a considerarlo più simile a quello de- gli esseri umani moderni che non all'u- nico altro omero di Australopithecus no- to all'epoca. L'età del fossile di Kanapoi si rivelò sorprendente. Sebbene le tecniche di da- tazione delle rocce in cui era stato rinve- nuto l'osso fossero ancora rudimentali, il gruppo di Patterson fu in grado di dimo- strare che il reperto era probabilmente più antico dei vari esemplari di Australo- pithecus ritrovati in precedenza. Nono- stante questo notevole risultato, dovette- ro passare altri 30 anni prima che l'im- portanza della scoperta venisse confer- mata. Nel frattempo furono identificati i resti di un numero così grande di ominidi importanti che l'omero di Kanapoi cadde in una relativa oscurità. Tuttavia il fossile di Patterson ha fi- nito per contribuire a dimostrare l'esi- stenza di una nuova specie di Australo- pithecus - la più antica finora identifi- cata - e ha permesso di far risalire l'ori- gine della locomozione eretta a oltre quattro milioni di anni fa. Ma, per capi- re come ciò sia accaduto, dobbiamo ri- percorrere il cammino compiuto dai pa- leoantropologi per costruire uno sche- ma della storia evolutiva degli ominidi li studiosi classificano gli imme- diati predecessori del genere Ho- mo (che comprende la nostra specie, Homo sapiens) nel genere Australo- pithecus. Per diversi decenni si è rite- nuto che questi ominidi fossero com- parsi sulla Terra circa tre milioni e mezzo di anni fa. Gli esemplari rinve- nuti in Sudafrica da Dart e altri indica- vano l'esistenza di almeno due tipi di Australopithecu.s: A. africanus e A. ro- bustus. Le ossa degli arti inferiori di entrambe le specie facevano pensare che esse possedessero la locomozione bipede, eretta, che fra tutti i mammife- ri attuali è caratteristica dell'uomo. (La postura eretta di questi esseri fu confer- mata in modo spettacolare nel 1978, nel sito di Laetoli in Tanzania, dove un gruppo guidato da Mary Leakey scoprì una straordinaria serie di impronte la- sciate 3,6 milioni di anni fa da tre indi- vidui di Australopithecus che cammi- navano su cenere vulcanica umida.) Sia A. africanus sia A. robustus avevano un cervello relativamente piccolo e canini che differivano da quelli delle scimmie antropomorfe attuali in quanto sporge- vano appena dalla linea dei denti. La più recente delle due specie, A. robu- stus, presentava bizzarri adattamenti per la masticazione: molari e premolari molto grandi combinati con creste os- see sul cranio, nelle quali si inserivano potenti muscoli masticatori. I paleoantropologi hanno in seguito identificato altre specie di Australo- pithecus. Nel 1959 Mary Leakey rin- venne un cranio appartenente a un'altra specie dell'Africa orientale, strettamen- te affine ad A. robustus. I crani di que- ste specie scoperti negli ultimi 40 anni nella parte nordorientale dell'Africa, in Etiopia e in Kenya, differiscono con- siderevolmente da quelli ritrovati in Sudafrica; di conseguenza, i ricercatori ritengono che siano esistite due specie separate del tipo A. robustus: una set- tentrionale e una meridionale. Nel 1978 Donald C. Johanson, ora al- l'Institute of Human Origins di Berke- ley, in California, e colleghi identifica- rono un'ulteriore specie di Australo- pithecus. Johanson e il suo gruppo effet- tuarono la loro scoperta mentre studia- vano un piccolo gruppo di ossa e denti di ominidi scoperti a Laetoli, nonché una grande e importantissima collezione di reperti provenienti dalla regione del- l'Hadar, in Etiopia (comprendente il fa- moso scheletro di «Lucy»); la nuova specie venne battezzata A. afarensis. La datazione radiometrica rivelò che essa era vissuta fra 3,6 e 2,9 milioni di anni fa: si trattava dunque del più antico Au- stralopithecus conosciuto all'epoca. Questa specie primitiva è probabil- mente la meglio studiata di tutti gli Au- stralopithecus finora riconosciuti, ed è certamente quella che ha suscitato le maggiori controversie negli ultimi 20 anni. Si è discusso su molti punti: se i fossili di A. afarensis debbano essere considerati distinti da quelli di A. africa- nus provenienti dal Sudafrica; se nel- l'Hadar vi fossero molte specie o una sola; se i fossili etiopi e tanzaniani fos- sero della stessa specie; se i reperti siano stati datati correttamente. Ma il dibattito che più ha diviso gli specialisti riguarda la propensione di A. afarensis, che era bipede, ad arrampicar- si sugli alberi. I fossili di questa specie comprendono varie strutture ossee e ar- ticolari tipiche degli a al pica- tori. Secondo alcuni studiosi, simili ca- ratteristiche indicherebbero che questi ominidi trascorressero almeno una parte del tempo sugli alberi, ma altri le consi- derano semplicemente una permanenza evolutiva, retaggio di antenati arboricoli. Sottinteso a questa discussione vi è il problema di dove vivesse Australopithe- cus: nella foresta o nella savana aperta. All'inizio degli anni novanta, si sape- va ormai parecchio sulle varie specie di Australopithecus e su come ognuna si fosse adattata alla propria nicchia ecolo- gica. Era più o meno certo che tutte le specie erano bipedi e che avevano un cervello di dimensioni analoghe a quello di una scimmia antropomorfa e denti grandi dallo smalto spesso, inseriti in mandibole robuste, con i canini non sporgenti. I maschi erano tipicamente più grandi delle femmine, e tutti gli indi- vidui crescevano e raggiungevano l'età adulta piuttosto rapidamente. Ma sull'o- rigine di Australopithecus vi era ancora buio fitto, dato che la lacuna fra la prima specie ben documentata del gruppo (A. afarensis, risalente a 3,6 milioni di anni fa) e l'ipotetica epoca in cui visse l'ulti- mo antenato comune dello scimpanzé e dell'uomo (da 5 a 6 milioni di anni fa) era ancora molto ampia. I paleontologi avevano scoperto solo pochi frammenti di ossa e denti riconducibili a questo pe- riodo intermedio, di ben 1,5 milioni di anni, che potessero chiarire l'anatomia e il cammino evolutivo dei primi ominidi. e scoperte effettuate in Kenya negli ultimi anni hanno in parte colmato la lacuna fra 3,5 e 5 milioni di anni fa. A partire dal 1982, spedizioni organiz- zate dai Musei nazionali del Kenya nel bacino del Lago Turkana, nella parte settentrionale del paese, hanno comin- ciato a portare alla luce fossili di orni- nidi di quasi 4 milioni di anni fa. Pur- troppo, dato che i reperti erano quasi sempre denti isolati - non si erano con- servate mandibole né ossa del cranio - si poteva dire pochissimo al riguardo, a parte il fatto che assomigliavano ai re- sti di A. afarensis di Laetoli. Ma i no- stri recenti scavi in un sito insolito, si- tuato appena all'interno rispetto ad Al- ha Bay, sulla costa orientale del Lago Australopithecus anamensis visse circa quattro milioni di anni fa. Solo pochi fossili di questa specie sono stati ritrovati fino- ra: quelli qui illustrati comprendono una mandibola e parte della regione anteriore della faccia (a sinistra), frammenti di un osso del braccio (al centro) e di un osso della parte inferio- re della gamba (a destra). Non è quindi possibile conoscere nei dettagli l'aspetto fisico di questa specie. Gli scienziati hanno però accertato che A. anamensis camminava in posizione eret- ta, il che ne fa il più antico ominide finora scoperto a possede- re questo tipo di andatura. 92 LE SCIENZE n. 349, settembre 1997

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I più antichi fossilidi ominidi africani

La scoperta di una nuova specie di Australopithecus, antenatadi Homo, permette di far risalire l'origine dell'andatura bipede

a ben quattro milioni di anni fa

di Meave Leakey e Alan Walker

el 1965 Bryan Patterson, pa-leoantropologo della HarvardUniversity, e colleghi rinvenne-

ro un frammento di osso fossile dell'artosuperiore nel sito di Kanapoi, nel Kenyasettentrionale. Patterson sapeva che sa-rebbe stato difficile ricavare interpreta-zioni significative dal punto di vista ana-tomico o evolutivo da un pezzetto di ar-ticolazione del gomito. Nel fossile eranoriconoscibili alcuni caratteri che ricorda-vano un ominide primitivo denominatoAustralopithecus, scoperto 40 anni pri-ma in Sudafrica da Raymond Dart del-l'Università del Witwatersrand. La mag-gior parte delle caratteristiche dell'osso,tuttavia, indusse Patterson e il suo grup-po a considerarlo più simile a quello de-gli esseri umani moderni che non all'u-nico altro omero di Australopithecus no-to all'epoca.

L'età del fossile di Kanapoi si rivelòsorprendente. Sebbene le tecniche di da-tazione delle rocce in cui era stato rinve-nuto l'osso fossero ancora rudimentali, ilgruppo di Patterson fu in grado di dimo-strare che il reperto era probabilmentepiù antico dei vari esemplari di Australo-pithecus ritrovati in precedenza. Nono-stante questo notevole risultato, dovette-ro passare altri 30 anni prima che l'im-portanza della scoperta venisse confer-mata. Nel frattempo furono identificati iresti di un numero così grande di ominidiimportanti che l'omero di Kanapoi caddein una relativa oscurità.

Tuttavia il fossile di Patterson ha fi-nito per contribuire a dimostrare l'esi-stenza di una nuova specie di Australo-pithecus - la più antica finora identifi-cata - e ha permesso di far risalire l'ori-gine della locomozione eretta a oltre

quattro milioni di anni fa. Ma, per capi-re come ciò sia accaduto, dobbiamo ri-percorrere il cammino compiuto dai pa-leoantropologi per costruire uno sche-ma della storia evolutiva degli ominidi

li studiosi classificano gli imme-diati predecessori del genere Ho-

mo (che comprende la nostra specie,Homo sapiens) nel genere Australo-pithecus. Per diversi decenni si è rite-nuto che questi ominidi fossero com-parsi sulla Terra circa tre milioni emezzo di anni fa. Gli esemplari rinve-nuti in Sudafrica da Dart e altri indica-vano l'esistenza di almeno due tipi diAustralopithecu.s: A. africanus e A. ro-bustus. Le ossa degli arti inferiori dientrambe le specie facevano pensareche esse possedessero la locomozionebipede, eretta, che fra tutti i mammife-ri attuali è caratteristica dell'uomo. (Lapostura eretta di questi esseri fu confer-mata in modo spettacolare nel 1978,nel sito di Laetoli in Tanzania, dove ungruppo guidato da Mary Leakey scoprìuna straordinaria serie di impronte la-sciate 3,6 milioni di anni fa da tre indi-vidui di Australopithecus che cammi-navano su cenere vulcanica umida.) SiaA. africanus sia A. robustus avevano uncervello relativamente piccolo e caniniche differivano da quelli delle scimmieantropomorfe attuali in quanto sporge-

vano appena dalla linea dei denti. Lapiù recente delle due specie, A. robu-stus, presentava bizzarri adattamentiper la masticazione: molari e premolarimolto grandi combinati con creste os-see sul cranio, nelle quali si inserivanopotenti muscoli masticatori.

I paleoantropologi hanno in seguitoidentificato altre specie di Australo-pithecus. Nel 1959 Mary Leakey rin-venne un cranio appartenente a un'altraspecie dell'Africa orientale, strettamen-te affine ad A. robustus. I crani di que-ste specie scoperti negli ultimi 40 anninella parte nordorientale dell'Africa, inEtiopia e in Kenya, differiscono con-siderevolmente da quelli ritrovati inSudafrica; di conseguenza, i ricercatoriritengono che siano esistite due specieseparate del tipo A. robustus: una set-tentrionale e una meridionale.

Nel 1978 Donald C. Johanson, ora al-l'Institute of Human Origins di Berke-ley, in California, e colleghi identifica-rono un'ulteriore specie di Australo-pithecus. Johanson e il suo gruppo effet-tuarono la loro scoperta mentre studia-vano un piccolo gruppo di ossa e dentidi ominidi scoperti a Laetoli, nonchéuna grande e importantissima collezionedi reperti provenienti dalla regione del-l'Hadar, in Etiopia (comprendente il fa-moso scheletro di «Lucy»); la nuovaspecie venne battezzata A. afarensis. Ladatazione radiometrica rivelò che essaera vissuta fra 3,6 e 2,9 milioni di annifa: si trattava dunque del più antico Au-stralopithecus conosciuto all'epoca.

Questa specie primitiva è probabil-mente la meglio studiata di tutti gli Au-stralopithecus finora riconosciuti, ed ècertamente quella che ha suscitato lemaggiori controversie negli ultimi 20anni. Si è discusso su molti punti: se ifossili di A. afarensis debbano essereconsiderati distinti da quelli di A. africa-nus provenienti dal Sudafrica; se nel-l'Hadar vi fossero molte specie o unasola; se i fossili etiopi e tanzaniani fos-sero della stessa specie; se i reperti sianostati datati correttamente.

Ma il dibattito che più ha diviso glispecialisti riguarda la propensione di A.afarensis, che era bipede, ad arrampicar-si sugli alberi. I fossili di questa speciecomprendono varie strutture ossee e ar-

ticolari tipiche degli a al pica-tori. Secondo alcuni studiosi, simili ca-ratteristiche indicherebbero che questiominidi trascorressero almeno una partedel tempo sugli alberi, ma altri le consi-derano semplicemente una permanenzaevolutiva, retaggio di antenati arboricoli.Sottinteso a questa discussione vi è ilproblema di dove vivesse Australopithe-cus: nella foresta o nella savana aperta.

All'inizio degli anni novanta, si sape-va ormai parecchio sulle varie specie diAustralopithecus e su come ognuna sifosse adattata alla propria nicchia ecolo-gica. Era più o meno certo che tutte lespecie erano bipedi e che avevano uncervello di dimensioni analoghe a quellodi una scimmia antropomorfa e dentigrandi dallo smalto spesso, inseriti inmandibole robuste, con i canini nonsporgenti. I maschi erano tipicamentepiù grandi delle femmine, e tutti gli indi-vidui crescevano e raggiungevano l'etàadulta piuttosto rapidamente. Ma sull'o-rigine di Australopithecus vi era ancorabuio fitto, dato che la lacuna fra la primaspecie ben documentata del gruppo (A.afarensis, risalente a 3,6 milioni di annifa) e l'ipotetica epoca in cui visse l'ulti-mo antenato comune dello scimpanzé edell'uomo (da 5 a 6 milioni di anni fa)era ancora molto ampia. I paleontologiavevano scoperto solo pochi frammentidi ossa e denti riconducibili a questo pe-riodo intermedio, di ben 1,5 milioni dianni, che potessero chiarire l'anatomia eil cammino evolutivo dei primi ominidi.

e scoperte effettuate in Kenya negliultimi anni hanno in parte colmato

la lacuna fra 3,5 e 5 milioni di anni fa.A partire dal 1982, spedizioni organiz-zate dai Musei nazionali del Kenya nelbacino del Lago Turkana, nella partesettentrionale del paese, hanno comin-ciato a portare alla luce fossili di orni-nidi di quasi 4 milioni di anni fa. Pur-troppo, dato che i reperti erano quasisempre denti isolati - non si erano con-servate mandibole né ossa del cranio -si poteva dire pochissimo al riguardo, aparte il fatto che assomigliavano ai re-sti di A. afarensis di Laetoli. Ma i no-stri recenti scavi in un sito insolito, si-tuato appena all'interno rispetto ad Al-ha Bay, sulla costa orientale del Lago

Australopithecus anamensis visse circa quattro milioni di annifa. Solo pochi fossili di questa specie sono stati ritrovati fino-ra: quelli qui illustrati comprendono una mandibola e partedella regione anteriore della faccia (a sinistra), frammenti diun osso del braccio (al centro) e di un osso della parte inferio-re della gamba (a destra). Non è quindi possibile conoscere neidettagli l'aspetto fisico di questa specie. Gli scienziati hannoperò accertato che A. anamensis camminava in posizione eret-ta, il che ne fa il più antico ominide finora scoperto a possede-re questo tipo di andatura.

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MILIONI DI ANNI FA

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• AUSTRALOPITHECUS

A. ANAMENSIS

BAHRELGHAZAL

A. AETHIOPICUS

L'albero genealogico di Australopithecus comprende varie specie che vissero fra 4 e1,25 milioni di anni fa circa. Poco più di 2 milioni di anni fa il nuovo genere Homo(comprendente la nostra specie, Homo sapiens) si sviluppò a partire da una dellespecie di Australopithecus.

MANDIBOLA

I fossili di A. anamensis (al centro) presentano caratteri incomune sia con l'uomo (a destra) sia con lo scimpanzé attua-le (a sinistra). I paleoantropologi si basano sulle somiglianzee le differenze fra queste specie per determinarne le correla-

zioni, e in questo modo ricostruire lo svolgimento dell'evolu-zione degli ominidi sin dal momento in cui le linee evolutivedell'uomo e dello scimpanzé si differenziarono, cinque o seimilioni di anni fa.

Le mandibole di A.anamensis e delloscimpanzé sono a

forma di U.

La mandibolaumana si allarga

verso il retrodella bocca.

Nelle tibie diA. anamensise dell'uomo,

l'estremità superiorerisulta allargata

per la presenza di unamaggiore quantità di tes-

suto osseo spugnoso,il quale ha la funzione

di assorbirele sollecitazioni

dell'andatura bipede.

Nelle altre due speciel'omero è privo di

questa caratteristica;ciò fa pensare che,come l'uomo, anche

A. anamensisnon camminasse

sulle nocche.

TIBIA

L'estremitàsuperiore della tibia,presso il ginocchio,

ha una formapiù o meno

a T nelloscimpanzé.

I primati come loscimpanzé, che

camminano sullenocche, hanno unincavo profondo e

ovale nella parte in-feriore dell'omero,

dove questosi articola con

l'ulna; tale incavorende più stabile

l'articolazionedel gomito.

OMERO

Turkana (si vedano le cartine a pagina96), hanno fornito fossili più completi.

Il sito di Allia Bay è un giacimentoformato da milioni di frammenti di ossae denti consunti dalle intemperie - relati-vi a una grande varietà di animali, orni-nidi compresi - che si stende sul fiancodi una collina. Esposto sulla sommitàdell'altura vi è uno strato di cenere vul-canica pietrificata, chiamato Tufo diMoiti, che è stato datato radiometrica-mente a poco più di 3,9 milioni di annifa. I frammenti di fossili si trovano di-versi metri al di sotto del tufo, a dimo-strazione del fatto che sono più antichidi quest'ultimo. Non sappiamo ancoraesattamente in che modo tanti fossili ab-biano potuto concentrarsi in un solo luo-go, ma possiamo essere certi che venne-ro depositati dal precursore dell'attualefiume Orno.

Oggi l'Orno raccoglie le acque del-l'altopiano etiopico, situato a nord delTurkana, e defluisce nel lago, che è pri-vo di emissario; ma un tempo la situa-zione era diversa. I nostri colleghi FrankBrown dell'Università dello Utah eCraig Feibel della Rutgers Universityhanno dimostrato che l'antico corso del-l'Omo attraversò l'area del Turkana pergran parte del Pliocene (circa 5,3-1,6milioni di anni fa) e del primo Pleistoce-ne (1,6-0,7 milioni di anni fa). Solo rara-mente nella zona esistette un lago; vice-versa, per buona parte degli ultimi quat-tro milioni di anni, un grande sistemafluviale attraversò l'ampia piana alluvio-nale, scorrendo verso l'Oceano Indianosenza depositare i propri sedimenti inuno specchio d'acqua.

I fossili di Allia Bay sono localizzatiin uno dei bracci di questo antico siste-ma fluviale. Gran parte dei reperti rinve-

nuti nel sito è costituita da denti e ossaassai consunti di animali acquatici - pe-sci, coccodrilli, ippopotami e così via -che vennero danneggiati quando il fiu-me li trascinò via a partire da un puntosituato più a monte. Ma alcuni dei fossilisono assai meglio conservati: certamen-te si tratta di animali che vivevano sullesponde del fiume o nelle vicinanze. Fradi essi vi sono varie specie differenti discimmie che si nutrivano di foglie, im-parentate con gli attuali colobi, nonchéantilopi i cui discendenti odierni preferi-scono le zone densamente boscose. Inol-tre in questo sito si rinvengono fossili diominidi ragionevolmente ben conserva-ti, a indicazione del fatto che, almenooccasionalmente, i primi ominidi fre-quentavano habitat fluviali.

Come si inseriscono questi fossili diAustralopithecus nella storia evolutivadegli ominidi? Le mandibole e i denti diAllia Bay, nonché un radio quasi com-pleto proveniente dai vicini sedimenti diSibilot, appena più a nord, mostrano uninteressante insieme di caratteri. Alcunisono primitivi, vale a dire sono tratti an-cestrali che si ritiene fossero presenti pri-ma della separazione delle linee evoluti-ve dell'uomo e dello scimpanzé. Tutta-via le ossa presentano anche caratteri chesi osservano negli ominidi più tardi e so-no dunque da ritenere abbastanza evolu-ti. Via via che il nostro gruppo continuaa riportare alla luce ossa e denti ad AlliaBay, le nostre conoscenze sull'ampiagamma di tratti presenti nei primi omini-di si stanno arricchendo sempre più.

Adi là del Lago Turkana, circa 145chilometri a sud di Allia Bay, si

trova il sito di Kanapoi, dove è iniziatala nostra storia. Uno di noi (Leakey) vi

ha condotto spedizioni dei Musei na-zionali del Kenya allo scopo di esplora-re i sedimenti localizzati a sud-ovestdel Turkana e di documentare le faunepresenti nelle prime fasi della storia delbacino. Kanapoi, pressoché inesploratodall'epoca di Patterson, si è rivelatouno dei siti più illuminanti nella regio-ne del Turkana.

Una serie di profondi solchi di erosio-ne ha portato allo scoperto i sedimentidel sito; la ricerca di fossili è ardua per-ché una copertura di ciottoli lavici di va-rie dimensioni rende difficile individua-re piccole ossa e denti. Lo studio deglistrati di sedimenti, eseguito anche qui daFeibel, rivela che i fossili sono stati si-gillati da materiale depositato dal prede-cessore dell'attuale fiume Kerio, che untempo scorreva nel bacino del Turkana esfociava in un antico lago, denominatoLonyumun. Questo specchio d'acquaraggiunse la sua massima estensione cir-ca 4,1 milioni di anni fa e in seguitoandò colmandosi di sedimenti.

Gli scavi di Kanapoi hanno fornitosoprattutto i resti di prede di carnivori,sicché i fossili sono alquanto frammen-tari. Ma i ricercatori impegnati nel sitohanno portato alla luce due mandibolequasi complete, una mascella superiorecompleta, con le ossa della parte bassadella faccia, il terzo superiore e quelloinferiore di una tibia, parti di un cranioe diverse serie di denti isolati. Dopo unattento studio dei fossili sia di AlliaBay sia di Kanapoi - compreso il fram-mento di osso del braccio trovato daPatterson - abbiamo ritenuto che questiesemplari differissero a sufficienza neidettagli anatomici dagli ominidi già no-ti da indurci ad assegnarli a una nuovaspecie. Perciò, nel 1995, in collabora-zione con Feibel e con lan McDougalldella Australian National University,battezzammo questa nuova specie Au-stralopithecus anamensis, dal terminedella lingua locale che significa lago(anam), con riferimento agli specchid'acqua sia antichi sia attuali.

Per stabilire l'età di questi fossili, cisiamo affidati agli esaurienti lavori diBrown, Feibel e McDougall, che hannoindagato la storia paleogeografica del-l'intero bacino lacustre. Se la loro rico-struzione dell'evoluzione del bacino ècorretta, i fossili di A. anamensis dovreb-bero avere un'età di 4,2-3,9 milioni dianni. Attualmente McDougall sta lavo-rando per determinare l'età del cosiddet-to Tufo di Kanapoi, lo strato di cenerevulcanica che copre gran parte dei fossilinel sito. Riteniamo che, una volta accer-tata l'età del tufo, non ci saranno piùdubbi né sulla cronologia dei fossili nésulla ricostruzione della storia del bacinolacustre effettuata da Brown e Feibel.

Un problema fondamentale dell'at-

SCIMPANZÉ

tuale paleoantropologia è in che modo sisia evoluto il mosaico anatomico dei pri-mi ominidi. Confrontando le collezionidi ossa di A. anamensis da Allia Bay eda Kanapoi, che sono quasi coeve, pos-siamo ricostruire un quadro abbastanzapreciso di certi caratteri della specie, an-che se per il momento non abbiamo rin-venuto alcun cranio completo.

La mandibola di A. anamensis è pri-mitiva: i suoi rami sono ravvicinati eparalleli (come nelle scimmie antropo-morfe attuali), anziché allargarsi poste-riormente (come negli ominidi più tar-di, uomo compreso). Un altro tratto cheinduce ad avvicinare A. anamensis allo

A. ANAMENSIS

scimpanzé è la forma della regione do-ve si incontrano i rami destro e sinistrodella mandibola (tecnicamente denomi-nata sinfisi mandibolare).

I denti di A. anamensis, tuttavia, ap-paiono più evoluti. Lo smalto è relati-vamente spesso, come in tutte le altrespecie di Australopithecus; viceversa,lo smalto dentario delle grandi scimmieantropomorfe africane è assai più sotti-le. Questo ispessimento fa pensare cheA. anamensis si fosse già adattato a unadieta differente - forse con alimentimolto più coriacei - sebbene la mandi-bola e alcuni caratteri del cranio fosse-ro ancora molto simili a quelli delle

UOMO

scimmie. Sappiamo anche che A. ana-mensis aveva un canale auricolare e-sterno molto piccolo; per questo aspet-to, era più simile agli scimpanzé chenon agli ominidi più tardi, uomo com-preso, il cui canale auricolare è piutto-sto grande. (La dimensione del canaleesterno non ha alcuna relazione conquella del padiglione auricolare.)

Di tutti i fossili che abbiamo scoper-to relativi a questo nuovo ominide, ilpiù informativo è una tibia quasi com-pleta. Questo osso è rivelatore a causadel suo ruolo importante nel sostegnodel peso: la tibia di un bipede è note-volmente differente da quella di un ani-

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Il bacino del Turkana ospitava A. anamensis 4 milioni di anni fa. Circa 3,9 milioni dianni fa un fiume dal corso sinuoso scorreva nel bacino (a sinistra); il sito fossilifero diAffia Bay si trovava in una striscia di foresta (in verde) che fiancheggiava il corsod'acqua. Circa 4,2 milioni di anni fa il bacino era colmato da un ampio lago (a de-stra); un secondo sito, Kanapoi, si trovava sul delta di un fiume che sfociava nel lago.

Oggi la regione del Lago Turkana èprevalentemente desertica. Quando A.anamensis viveva qui, circa 4 milioni dianni fa, questa zona era temporanea-mente coperta dal Lago Lonyumun, edense foreste fiancheggiavano i fiumiche sfociavano nello specchio d'acqua.

male che cammina su tutti e quattro gliarti. Per le dimensioni e pressoché pertutti i dettagli delle articolazioni del gi-nocchio e della caviglia, la tibia rinve-nuta a Kanapoi assomiglia da vicino aquella di A. afarensis (che era total-mente bipede) trovata nell'Hadar, an-che se quest'ultimo esemplare è di qua-si un milione di anni più recente.

I fossili degli altri animali rinvenuti aKanapoi permettono di ricostruire unoscenario paleoecologico un po' diversoda quello di Allia Bay, dalla parte oppo-sta del lago. I rami del fiume che depo-sitò i sedimenti a Kanapoi erano proba-bilmente fiancheggiati da sottili striscedi foresta, che cresceva vicino alle spon-de in un paesaggio per il resto aperto.Qui sono stati ritrovati i resti della stessaspecie di antilope dalle corna a spiralepresente ad Allia Bay, che molto proba-bilmente viveva nella boscaglia densa.Ma sembra che a Kanapoi si trovasseroanche antilopi che preferivano le zoneaperte nonché alcelafi, a indicazione delfatto che lontano dai corsi d'acqua eraprevalente la savana. Questi risultati nonrisolvono l'ambiguità riguardo all'habi-tat preferito di A. anamensis: sappiamoche zone con vegetazione sparsa eranopresenti in tutti i siti che hanno fornitofossili di questa specie, ma vi sono chia-re indicazioni dell'esistenza di habitatpiù diversificati a Kanapoi.

più o meno alla stessa epoca in cui ilnostro gruppo stava rinvenendo

nuovi ominidi ad Allia Bay e a Kanapoi,un'équipe guidata dal nostro collegaTim D. White dell'Università della Ca-lifornia a Berkeley scoprì in Etiopiaominidi fossili ancora più antichi di A.anamensis. Nel 1992 e 1993 Whiteguidò una spedizione in Etiopia lungo ilcorso medio del fiume Awash, che portòal ritrovamento di fossili di ominidi nelsito di Aramis. Fra i reperti rinvenuti dalgruppo vi sono denti isolati, una parte dimandibola infantile, frammenti di uncranio di adulto e di alcune ossa di artosuperiore, tutti datati a 4,4 milioni di an-ni fa circa. Nel 1994, insieme con i col-leghi Berhane Asfaw del Laboratorio dipaleoantropologia di Addis Abeba eGen Suwa dell'Università di Tokyo,White attribuì questi fossili a una nuovaspecie: Australopithecus ramidus. Nel1995 il gruppo di ricerca propose che i

problema arduo. Oggi si possiedono datimolecolari quasi decisivi che provanocome l'uomo e lo scimpanzé abbiano unantenato comune e come questa linea didiscendenza si fosse in precedenza stac-cata da quella del gorilla. È per questomotivo che spesso le due specie viventidi scimpanzé (Pan troglodytes e P. pani-scus) vengono utilizzate per esemplifica-re i tratti ancestrali. Dobbiamo però ri-cordare che, dall'epoca dell'ultimo ante-nato comune con l'uomo, lo scimpanzéha avuto esattamente lo stesso tempodella specie umana per evolversi. Deter-minare quali caratteri fossero presentinell'ultimo progenitore comune di uomoe scimpanzé non è facile.

Ma Ardipithecus, con i suoi numero-si tratti simili a quelli dello scimpanzé,sembra documentare una fase della ge-nealogia umana relativamente vicinaalla separazione delle due linee evoluti-ve. Più recentemente White e il suogruppo hanno scoperto parti di un sin-golo scheletro di Ardipithecus nel me-dio Awash. Mentre i ricercatori estrag-gono con cautela questi entusiasmantinuovi fossili dalla roccia incassante, liricostruiscono e li preparano per lo stu-dio, la comunità dei paleoantropologiaspetta con ansia la pubblicazione del-l'analisi dei ritrovamenti.

MEAVE LEAKEY e ALAN WAL-KER, insieme con il marito della Lea-key, Richard, collaborano da anni alla ri-cerca e all'analisi di fossili di ominidi inKenya. Meave Leakey dirige la divisionedi paleontologia dei Musei nazionali delKenya a Nairobi; Walker è professore diantropologia e biologia alla Pennsylva-nia State University.

Ma anche in attesa dei risultati diWhite, nuove scoperte di fossili di Au-stralopithecus stanno fornendo ulteriorisorprese, soprattutto relativamente allezone in cui questo ominide abitava. Nel1995 un gruppo guidato da Michel Bru-net dell'Università di Poitiers ha an-nunciato di aver identificato in Ciad re-sti di Australopithecus ritenuti vecchidi 3,5 milioni di anni. Questi fossili so-no molto frammentari: si possiedonosolo la parte frontale di una mandibolae un dente isolato. Nel 1996, tuttavia,Brunet e colleghi proposero di assegna-re questo esemplare a una nuova spe-cie: A. bahrelghazali. Sorprende che ifossili siano stati ritrovati molto lonta-no dall'Africa orientale o meridionale,le sole aree dove siano stati finora rin-venuti resti di Australopithecus. Il sito,nella regione di Bahr el Ghazal, si trovaben 2500 chilometri a ovest del margi-ne occidentale della Rift Valley, edestende quindi di molto l'areale di Au-stralopithecus nel centro dell'Africa.

I fossili di A. bahrelghazali smenti-scono un'ipotesi sull'evoluzione umanaesposta in queste pagine da Yves Cop-pens del Collège de France (si vedal'articolo L'origine dell'uomo nella RitiValley in «Le Scienze» n. 312, agosto1994); per ironia della sorte, Coppens èoggi un membro del gruppo di Brunet.L'articolo postulava che la formazionedella Rift Valley abbia portato alla se-parazione di una singola antica specie,isolando gli antenati degli ominidi, sullato orientale, dai progenitori dellescimmie antropomorfe, su quello occi-dentale. In generale, gli scienziati riten-gono che l'isolamento geografico possafavorire la comparsa di nuove specie,impedendo gli incroci fra i membri del-le due popolazioni originarie. Ma inuovi fossili portati alla luce nel Ciaddimostrano che ominidi molto antichivivevano a ovest della Rift Valley. Laseparazione geografica fra ominidi escimmie antropomorfe che appariva inprecedenza nella documentazione fos-sile potrebbe essere più il risultato acci-dentale delle vicende geologiche e del-l'azzardo delle scoperte che non una te-stimonianza dell'effettiva distribuzionegeografica delle varie specie.

Il paleontologo Alan Walker (in primopiano) e due colleghi scavano lo stratofossilifero di Allia Bay, dove sono statirinvenuti parecchi fossili di A. anamen-sis. Lo strato appare come una fasciascura, dello spessore di circa 45 centi-metri, alla sommità della trincea.

I fossili di A. anamensis che abbiamoidentificato dovrebbero anche fornire al-cune risposte nell'annoso dibattito suquale fosse l'habitat delle prime speciedi Australopithecus: aree boscose o sa-vana aperta. L'esito di questa discussio-ne ha implicazioni importanti: per moltianni, i paleoantropologi hanno accettatol'ipotesi che la locomozione eretta abbiaavuto origine nella savana, dove moltoprobabilmente conferiva benefici qualiridurre la superficie corporea diretta-mente esposta al sole o lasciare libere lemani per il trasporto di cibo. Tuttavia inostri dati fanno pensare che i più anti-chi ominidi bipedi finora rinvenuti vi-vessero almeno per una parte del tempoin zone boscose. Le scoperte degli ulti-mi anni rappresentano un notevole im-pulso nel processo talvolta spiacevol-mente lento con cui si riscopre il passatoevolutivo umano; ma ciò che rimane dachiarire è ancora moltissimo.

reperti appartenessero addirittura a ungenere nuovo, Ardipithecus. Altri fossilirinvenuti nella zona - quali semi di pian-te, nonché le ossa di scimmie arboricolee di antilopi - implicano che anche que-sti ominidi vivessero in folte boscaglie.

Questa nuova forma rappresenta l'o-minide più primitivo che si conosca: unanello di collegamento fra le scimmieantropomorfe africane e Australopithe-cus. Molti dei fossili di Ardipithecus ra-

midus mostrano somiglianze con l'anato-mia delle grandi scimmie africane attua-li, in particolare nello scarso spessoredello smalto dentario e nella robustezzadelle ossa degli arti superiori. Altri carat-teri però - come l'apertura alla base delcranio, o foramen magnum, attraverso laquale il midollo spinale si connette con ilcervello - richiamano ominidi più tardi.

Descrivere i primi ominidi come pri-mitivi o relativamente progrediti è un

WHITE TIM D., SUWA GEN e ASFAW BERHANE, Australopithecus ramidus, a New Spe-cies of Early Hominid from Aramis, Ethiopia, in «Nature», 371, 22 settembre 1994.

LEAKEY MEAVE G., FEIBEL CRAIG S., McDOUGALL IAN e WALKER ALAN, New Four--Million-Year-Old Hominid Species from Kanapoi and Alla Bay, Kenya, in «Natu-re», 376, 17 agosto 1995.

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CONROY GLENN C., Reconstructing Human Origins: A Modemn Synthesis, W. W.Norton, 1997.

LE SCIENZE n. 349, settembre 1997 9796 LE SCIENZE n. 349, settembre 1997