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I Passatempi Musicali da Guglielmo Cottrau a
Francesco Florimo.
Due diverse concezioni nell’elaborazione del ‘popolare’.
Modalità di fruizione ed evoluzione dei linguaggi musicali.
di GIANFRANCO PLENIZIO
È ormai assodato che il primo fascicolo dei Passatempi musicali curati da
Guillaume Cottrau uscì nell’ottobre del 1824. Grazie alle puntuali ricerche di
Raffaele Di Mauro sappiamo anche che fra il 24 e il 29 vennero pubblicate 68
canzoncine napoletane. Ci furono poi dei supplementi che contenevano altre
canzoni nel 1843 e 45. Nello stesso 1845 l’editore B. Girard – di cui Cottrau era
socio – stampa una ‘Strenna musicale’ con brani in napoletano di Francesco
Florimo intitolata I canti della collina. E ogni anno uscì poi una Strenna con opere
originali di Florimo fino al 1851. Nel 1853 l’editore Ricordi ripubblica tutto
questo materiale con una traduzione ritmica in italiano di Achille De Lauzières.
Fra tutte le raccolte edite da Ricordi ci sono anche due fascicoli che, per quanto ne
so io, non figuravano fra le strenne di Girard.
Il primo si intitola Scelta delle migliori ed originali canzoni popolari napolitane
ed è diviso in due parti per complessivi 27 numeri. Il secondo Le Napolitane,
scelta di canzoni popolari comprende 24 numeri. In queste due raccolte sono
riportate una trentina di canzoni che facevano parte dei Passatempi. Si sa che i
rapporti fra Cottrau e Florimo erano molto cordiali. E dopo la scomparsa di
Guillaine nel 1847, continueranno ad esserlo con il figlio Teodoro, subentrato a
Girard come editore. Tant’è che Teodoro in seguito ripubblicò tutte le strenne di
Florimo con due nuovi fascicoli aggiunti. E si ha notizia di una edizione Le
napolitane, scelta di canzoni popolari di Guglielmo Cottrau pubblicate da
Gianfranco Plenizio
Francesco Florimo, stampate proprio da Teodoro Cottrau. Pertanto io non credo
assolutamente che si tratti di un atto di pirateria, ma che le versioni di Florimo
siano state realizzate con il consenso di Cottrau (e di Girard) o comunque di
Teodoro che vedeva le opere del padre rivivere in una bella veste grafica e con il
più importante editore italiano. Per di più sull’onestà di Florimo non sussistono
dubbi. La questione rimane comunque in sospeso. In attesa che qualche
musicologo più competente di me, che sono solo un musicista, possa risolverla.
Quello che però è l’intento di questo scritto è dimostrare il diverso approccio che i
due musicisti avevano col popolare.
Semplificando molto, si può dire che l’atteggiamento di Cottrau consiste nel
presentare pianamente il canto con accompagnamenti semplici. Anche le armonie,
salvo qualche eccezione, si muovono sui gradi fondamentali della scala: primo,
quarto e quinto. Abbastanza spesso poi l’autore aggiunge alla fine alcune battute
più movimentate che servono da interludio per la ripresa della seconda strofa. Per
quanto riguarda Florimo mi riferisco esclusivamente alle rielaborazioni sui brani di
Cottrau. Giacché nelle composizioni autonome il musicista si muove con una
libertà che non ha niente a che fare col popolare, impiegando forme e
armonizzazioni complesse e sfiorando il virtuosismo belcantistico. Rielaborando i
brani dei Passatempi Florimo conserva quasi sempre la parte di canto originale, ma
inserisce introduzioni, arricchisce gli accompagnamenti e fa quello che D’Arienzo
chiamava ‘lavoro di bulino’, cioè con piccole modifiche riesce a dare maggior
significato a certi passaggi del testo sottolineando una possibile drammaturgia. In
definitiva se i lavori di Cottrau – e aggiungo gli altri trascrittori da Labriola a De
Meglio – sembrano stimolare rifacimenti e completamenti, le elaborazioni di
Florimo risultano compatte e perfettamente compiute.
Naturalmente in alcuni casi rimane tutto sommato fedele alla versione di
Cottrau, ma vorrei farvi alcuni esempi in cui, oltre alla diversità dell’approccio, si
rivela quella che senza remore si può chiamare la maggior statura musicale di
Florimo. Dovrò limitarmi a tre frammenti ma credo che le differenze siano più che
evidenti. Comincerei con L’Agnesina di Cottrau (canzone a una o due voci).
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Esempio 1. Cottrau: L’Agnesina
Ed ecco la versione di Florimo:
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Esempio 2/3. Florimo: L’agnesina
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Florimo anzitutto sposta la tonalità al più ombroso Fa minore. Inserisce una corposa
introduzione che con il suo andamento spezzato, le articolazioni e gli accenti dà la
sensazione di un ansito doloroso. E collega le frasi del canto con elementi che
richiamano l’introduzione. Elimina la nota lunga della seconda frase, e termina con una
appoggiatura che suona più consona al testo. Sulle note acute della frase successiva
lascia praticamente sole le voci riducendo l’accompagnamento a accordi staccato e
piano che sembrano pizzicati. Così le voci risultano più incisive. E dopo la ripresa
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(notare il moto contrario del basso) lascia di nuovo le voci sole per la conclusione, con
una cadenzina in rallentando che in Cottrau non c’era. Quindi riprende il tempo
richiamando per moto contrario quello che era stato l’inizio dell’introduzione.
Un altro pezzo interessante è La romanella. (Ricordiamo che questo testo è stato
musicato anche da Donizetti col titolo Aje tradetore.)
Esempio 4. Cottrau: La romanella
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Cottrau introduce subito il canto. Il tempo è Moderato. È da notare, pur nelle
armonie semplici, un articolato movimento dei bassi. Alla fine della strofa e dopo una
breve corona mette due battute di pianoforte solo, quindi la voce ripete l’ultima frase.
Conclude poi con una coda che richiama un movimento di danza e che sembra avere
poche relazioni col carattere del brano precedente.
Esempio 5/6. Florimo: La romanella
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Florimo inserisce una breve introduzione. Gli accenti danno un senso di
‘pesantezza’. Ma all’attacco del canto lascia la voce sola. E così nelle due battute
seguenti dove l’accompagnamento sottolinea pesantemente solo il primo movimento.
Prima del terzo verso anche per sottolineare il cambio di tonalità, inserisce una corona
sulla pausa, come se volesse dare la sensazione che la ragazza faccia fatica ad
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ammettere che l’altra è più bella. Arricchisce enormemente le armonie. Sotto le due
battute che Cottrau aveva affidato al pf. solo fa tenere un re filato alla voce che rende
molto più conseguente la ripresa dell’ultima frase. Ciò che cambia non è solo
l’articolazione del linguaggio musicale ma la drammaturgia che diventa molto più
intensa.
Vediamo ora un’altra canzoncina di Cottrau: Statte bona e governa te.
Esempio 7. Cottrau: Statte bbona e governate
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È uno dei rari casi in cui Cottrau inserisce un’introduzione che in questo caso è
piuttosto movimentata. E che tuttavia ha scarsi rapporti con l’andamento ‘barcaloresco’
in sei ottavi del tema vocale.
Esempio 8/9. Florimo: Statte bbona e governatè
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Fin dalle prime battute la versione di Florimo appare più ‘elegante’. Gli intervalli
ascendenti con la nota di arrivo accentata rendono assai meno banale la progressione (e si noti
l’abbassamento del sesto grado alla fine di batt. 2). Ma le differenze più sostanziose si
registrano nelle quattro battute successive. Florimo affida un ostinato alla parte superiore. Che
inizia piano e con un grande crescendo porta a una scala ascendente di quasi due ottave che si
conclude seccamente sul Sol di impianto. Crescendo e secca conclusione che creano un
notevolissimo senso di ‘attesa’. E infatti, mentre Cottrau infilava pianamente la melodia sul
ritmo dei sei ottavi, Florimo ferma tutto e fa entrare la voce sola in sincope, accentando e
indicando: a piacere. E anche quando riprende il tempo, gli accenti sul secondo ottavo,
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sottolineati dall’accompagnamento pianistico, rendono l’incedere faticoso, pesante. E di
notevole effetto è il trattenuto e pianissimo della seconda pagina alle parole ma si ppazza.
Sono questi i ‘lavori di bulino’. Anche qui è la drammaturgia che cambia e diventa molto più
evidente.
Bisogna però sottolineare un fatto. E cioè l’atteggiamento che aveva il pubblico nei
confronti del popolare. A cavallo fra Settecento e Ottocento i fratelli Grimm, Arnim e
Brentano avevano creato una immagine molto accattivante del ‘popolo creatore’. Per cui tutto
ciò che era popolare risultava autentico e quindi bello di per sé. Anche se era grezzo e
sformato. Naturalmente i trascrittori cercavano di ovviare a queste asperità ma dovevano
conservare una semplicità che fosse credibile. Questo giustificherebbe in parte le soluzioni
elementari di diverse composizioni di Cottrau, anche se dietro di popolare c’era poco o niente.
Insomma il cosiddetto popolare godeva di immensa fortuna e i Passatempi ebbero una
diffusione internazionale. La stessa fortuna arrise più di vent’anni dopo ai Canti popolari
toscani di Luigi Gordigiani che di popolare avevano solo il testo e che fecero il giro d’Europa.
E a riprova posso citare un particolare curioso. C’è una composizione che sul frontespizio
recita, in italiano: Ogni sabato avrete il lume acceso. “O santissima vergine Maria”. Canto
popolare toscano, musica di Gordigiani. L’arrangemento (sic) a due voci di Modesto
Mussorgski. E alla fine: Anno 1864. San Pietroburgo. Come si vede il genere camminava
parecchio.
Ai tempi in cui Florimo rielaborava i brani dei Passatempi, si può supporre agli inizi degli
anni Cinquanta, per il pubblico e per la sua mitizzazione del popolare era cambiato poco o
niente. Salvo, credo, una cosa. Nell’elenco dei sottoscrittori della prima edizione dei
Passatempi figura praticamente tutta la nobiltà napoletana con in testa la Regina. Principesse,
duchesse, baronesse e così via. Ora, il livello di preparazione musicale di questo pubblico era
ancora mediamente dilettantesco e non gli si poteva affidare difficoltà insormontabili.
Vent’anni dopo il quadro era molto diverso e Florimo non si peritava di dedicare a delle nobili
signore brani che vocalmente impegnerebbero a fondo il più solido professionista.
Peraltro se ciò favoriva la libertà compositiva del musicista, questa libertà era, scusate il
bisticcio, una libera scelta. Florimo osava intervenire sul popolare dandogli una veste
musicale non solo funzionale ma elegante e raffinata. Insomma si comportava da
quell’eccellente musicista che era. Questo aspetto di Florimo non è stato, a mio avviso, ancora
messo nella giusta luce. In un convegno intitolato proprio a Florimo e tenuto, mi pare, nel
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1990, alla sua produzione vocale vengono riservate quattro paginette. Ma l’opinione dei
contemporanei era molto diversa. Schmidl nel suo dizionario lo definisce ‘distintissimo
musicista’. Perfino l’acido Fétis (Biographie universelle des musiciens) dichiarava che:
«Francesco Florimo, archiviste du Conservatoire de Naples, est, sous divers rapports, l’un des
artistes les plus méritants de l’Italie contemporaine.» Del resto basterebbe andare a vedere le
sue composizioni per avere la misura del suo magistero musicale. Vediamo questo passaggio
tratto da un brano intitolato La sera e tratto dalla strenna Ischia e Sorrento.
Esempio 10. Florimo: La sera
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Siamo in sol minore. Mi pare che non servano eccessivi commenti per la successione di
settime di varie specie che scende di grado nella seconda riga. Ma c’è un altro momento
degno di nota. Alla fine della seconda riga siamo su una settima di dominante e proprio sulla
dominante Florimo impiega una sesta napoletana con un effetto sorprendente. E il sol
maggiore finale dopo questa serie di dissonanze appare quasi luminoso, accoppiato com’è al
morbido vocalizzo della voce. Credo che all’epoca nessuno degli altri trascrittori o
compositori di canzoni napoletane sarebbe stato in grado di raggiungere un simile livello di
complessità armonica.
Molti anni dopo, nel 1882, Achille De Lauzieres, poeta e librettista che era stato il fido
collaboratore di Florimo, da Parigi scriveva: «Che volete, il pastore, il mietitore, il lazzarone
sono poeti solo nel pensiero. Non conoscono l’arte poetica. La forma non li riguarda per
niente.» Sottintendendo che la forma e la rima poi la doveva elaborare chi l’arte poetica la
conosceva. E nel 1883, il celebre didatta Michele Ruta, nel suo giornale La musica esortava i
giovani studenti a non fermarsi allo studio dei classici e dei romantici ma a trovare ispirazione
nella produzione popolare «dove il vero si presenta nella sua nudità e chiarezza e senza gli
artifici e i convenzionalismi di scuole. Nobilitando questa produzione, dandole nuova vita col
soffio animatore dell’arte si avrà l’ispirato prototipo di un ideale palpitante di affetti e
commozioni...» Però, appunto, nobilitando questa produzione, dandole nuova vita col soffio
animatore dell’arte. Ed è quel che faranno le cosidette scuole nazionali. Ispirandosi al folklore
dei rispettivi paesi, si pensi alla Spagna, all’Ungheria, alla Russia, ma rivivendolo e
nobilitandolo col soffio dell’arte e cioè con la competenza di chi il linguaggio musicale lo
conosce a fondo. Che è ciò che faceva Florimo quasi quarant’anni prima. In questo senso si
potrebbe considerarlo un anticipatore.
Ma vorrei chiudere con un esempio, forse più efficace di tante parole. Tutti conoscono
quella che forse è la più famosa canzone napoletana: I’ te voglio bbene assaje. È stata
pubblicata da diversi editori. Ed è ben noto il mistero che circonda il suo autore. A me pare
che la proposta di Raffaele di Mauro di attribuirla a Vincenzo Battista sia la più ragionevole.
Ma non desidero inoltrarmi in questa selva. Tanto più che volendo si potrebbero rinvenire
tematiche simili in altri disparati brani.
Tutte le edizioni della canzone sono nella tonalità di Si bemolle. E anche Florimo, nella
Scelta delle migliori ed originali canzoni popolari napolitane la pubblica nella stessa tonalità
e praticamente uguale a quella di Cottrau. Ma allestisce anche un’altra versione che comparirà
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ne Le napolitane. Qui la tonalità è cambiata. Siamo nel più pensoso, più ‘soffice’ La bemolle.
(Dopo tutto il Si bemolle è una tonalità bandistica.) Viene aggiunta una introduzione che torna
nella coda. Fin dalla prima frase la discesa cromatica della seconda parte offre una cifra di
pensosa eleganza. L’accompagnamento cambia radicalmente. E si può notare la cura con cui
il compositore prescrive l’attacco dell’I’ te voglio: tenuto e pianissimo. E molte altre cose che
saltano a un occhio non distratto. Insomma la mia sensazione è che si stenda una patina di
malinconia più consona al contenuto del testo. E il soffio dell’arte mi sembra innegabile.
Esempio 11/12. Florimo: I’ te voglio bbene assaje
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Ovviamente ciascuno è liberissimo di preferire l’atteggiamento di Cottrau nei
confronti del popolare o popolaresco che sia. E la sua presunta ‘fedeltà’ al dettato
originale. Ma a me sembra che dal punto di vista musicale e drammaturgico le versioni
di Florimo siano di livello nettamente superiore. E credo che tutta l’opera vocale di
Florimo, in napoletano e no, vada rivista e rivalutata. Ridando a questo eccellente
musicista il merito che gli spetta.