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Gian Primo Cella I passaggi fra le forme di allocazione 1. Limiti e attualità del modello polanyano ................ pag. 3 2. Un arricchimento del modello ................................ " 11 3. I passaggi fra le forme ed i costi di transazione ...... " 14 4. L'incorporazione dell'economia nella società ......... " 19 5. Successioni e compresenza delle forme: alcuni esempi ..................................................................... " 24 6. Qualche conclusione sulle ragioni di passaggio e questioni aperte ....................................................... " 31

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Gian Primo Cella

I passaggi fra le forme di allocazione

1. Limiti e attualità del modello polanyano ................ pag. 32. Un arricchimento del modello ................................ " 113. I passaggi fra le forme ed i costi di transazione ...... " 144. L'incorporazione dell'economia nella società ......... " 195. Successioni e compresenza delle forme: alcuni

esempi ..................................................................... " 246. Qualche conclusione sulle ragioni di passaggio e

questioni aperte ....................................................... " 31

Questo testo rappresenta il capitolo secondo di un libro, in corso dipreparazione, dal titolo "Le tre forme dello scambio" che uscirà nel 1997 presso itipi de Il Mulino.

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1. Limiti e attualità del modello polanyano

Dopo la ricostruzione del modello delle tre forme di allocazione (o dei treprincipi di integrazione fra economia e società, per usare il linguaggiopolanyiano) ed averlo collocato nella sensibilità attuale delle scienze sociali,restano da valutare i limiti e le ragioni di validità, e di attualità, del modellostesso. Il rischio, per questo come per altri modelli famosi delle scienze sociali, èdi essere adottati per ragioni estetiche o ritualistiche: una sorta di abbellimentodelle analisi, o di doverosità del riconoscimento di paternità. Il modellopolanyiano è stato utilizzato spesso con questi intenti, il che non è moltoconfortante, anche se il primo scopo (quello estetico) non è sempre da biasimare,ed il secondo (il riconoscimento rituale) è almeno più meritorio deldisconoscimento, più o meno volontario. Il modello merita certamente unaattenzione maggiore e più esplicita, anche se i suoi limiti non sono di poco conto.Come in tutte i grandi modelli nelle scienze sociali, anche i limiti, lo si vedràpiù oltre, permettono di seguire percorsi teorici ed analitici di interesse notevole.

Una domanda di fondo sulla sua utilizzabilità va comunque subito posta,considerato anche che le intenzioni di queste pagine, sono dirette non tanto allastoria del pensiero quanto alla individuazione di un modello adatto per cogliere,descrivere, interpretare i fenomeni economico-sociali nelle società dei nostrigiorni. Quale può essere l'utilità attuale, nello studio dei rapporti fra economia esocietà nella contemporaneità, di un modello partito certo dagli stimoli fornitidallo studio delle società di mercato del XIX secolo e degli inizi del XX secolo ( edall' odio implacabile verso questa società, come scrisse la vedova, IlonaDuczynska, 1983, p. XV), ma in buona parte costruito da e per lo studio dellesocietà arcaiche, antiche, primitive? Lo stesso Polanyi, negli scritti successivi aLa grande trasformazione, utilizzava e rielaborava il suo modello conl'attenzione rivolta proprio a questi tipi di società. La sua sfida, teorica edanalitica, alle pretese invadenti della teoria economica era soprattutto rivoltaverso le ambizioni di universalità di quest'ultima, ovvero alle pretese di fornireprincipi interpretativi della attività economica validi in ogni tempo e luogo. Ilmodello, e specie la forma della reciprocità, non viene invece sistematicamenteapplicato ai fenomeni contemporanei.

Non è allora una forzatura considerarlo applicabile ai processi del welfare,alle formazioni sociali dell'economia diffusa (con la loro spiccata incorporazionedell'economia nella struttura sociale), ai comportamenti solidaristici nati inreazione ai fallimenti del mercato, fino ai diffusi processi attuali diprivatizzazione o di fuga dalla politica?. Lo stesso George Dalton (1990) in unalucida difesa del modello polanyiano, ad esempio dalle critiche degli antropologiformalisti o degli stessi antropologi marxisti, si mostra orientato a "confinarlo"allo studio delle economie arcaiche o primitive. E' questa del resto la critica piùdiffusa (fra quelle benevoli) all'approccio polanyiano (cfr. Block e Somers, 1984,p.69). La sua validità non si estenderebbe neanche a tutti i tipi noti di queste, neresterebbero escluse dalla sua portata, ad esempio, le società contadine così comeesse si trasformano nel periodo dello sviluppo post-coloniale. Anche un altroattento critico-difensore di Polanyi come Gérald Berthoud, pur rifiutando il

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fondamento della bipartizione fra il teorico delle società primitive e arcaiche el'oppositore radicale della nostra modernità economica, e considerandologiustamente come un grande protagonista dell'approccio comparativo, sottolinea ilimiti notevoli di applicabilità del modello, a causa del suo istituzionalismoriduttivo (troppo fondato sulle operazioni economiche materiali) e del suocarattere prevalentemente descrittivo. Ma nel caso di Polanyi, potremmoaggiungere richiamando Geertz (.......,?), la distinzione fra spiegazione edescrizione si rivela assai inopportuna: nel modo di descrivere i fenomenieconomico-sociali è già ricompreso il tipo di interpretazione a cui si intendericorrere. Tutti questi rilievi, anche perchè provenienti da ambiti polanyiani,dovrebbero condurre ad una certa cautela nei confronti di una applicabilità attualedel modello.

Alla domanda posta più sopra, la risposta è negativa, con solo qualche forzaturadel modello polanyiano. Le ragioni dovrebbero essere chiare, specie per quantoattiene al condizionamento derivante al modello dai tipi di società per i quali èstato pensato in modo esplicito. L'antropologia, specie attraverso le grandiricerche classiche, fornisce a Polanyi, come ha osservato Grendi (1978, p.8),"l'evidenza di principi e comportamenti umani nella realtà sociale che egliconfronta con gli assunti della scienza economica". Gli schemi di teoria socialeche da queste operazioni derivano possono essere utilizzati nello studio degliaspetti fondativi del comportamento sociale ed economico. Per discipline chetalvolta (forse troppo spesso) ricorrono alle metafore o ai "racconti" perrappresentare il comportamento degli attori umani, può essere addirittura un passoavanti.

Del resto, non è questo un procedere inconsueto nelle scienze sociali. Non èforse diffusa in tutti gli studi sul comportamento umano la ricerca di punti dipartenza netti, eleganti, semplici, decantati, quasi per rispondere ad una più chesecolare sindrome da assenza di laboratorio? Si pensi ai fondamenti dell'economianeo-classica applicati allo studio del comportamento massimizzante sul mercatoconcorrenziale (da Menger e Pareto in avanti), alle applicazioni macro-socialidegli schemi teorici tratti dalla analisi dei piccoli gruppi (da Homans a Blau), alleestensioni (non sempre convincenti) della teoria dei giochi (da Schelling a Elster),alle interpretazioni dell'ascesa e del declino delle nazioni sulla base dei paradossidell'azione collettiva (Olson), fino alle applicazioni macro-sociali della psicanalisi(dall'ultimo Freud alla Klein).

Non si vuole tanto con questo sostenere che l'argonauta trobriandese forniscaspunti interessanti per comprendere, ad esempio, le scelte del cittadino dei nostrigiorni alla ricerca di nuove forme di protezione sociale, dopo la crisi del welfarepubblico. Si vuole piuttosto ricordare, anche attraverso la materialità della ricercaantropologica, come i modelli di comportamento corrispondenti a diverse formedi integrazione fra economia e società, siano molteplici, non riconducibili a quelloeconomico oggi presunto dominante. Una pluralità di modelli di assettiistituzionali, di azione economica, di uomo (per usare un'immagine à la Simon).Si potrà dire che in Polanyi gli assunti non dimostrati abbiano un peso notevole,ad esempio quelli sulla immutabilità dell'uomo come essere sociale. Sono assuntiche possono disturbare specie in assenza di una teoria di collegamento fra sferamicro e sfera macro. Ma su questo ritornerò più avanti nel capitolo terzo.

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In coerenza con questa impostazione é Polanyi stesso a ricordare, lo si è giàosservato, che se la tecnologia si accumula in modo illimitato, non altrettanto sipuò dire delle forme di organizzazione economica della società. L'assenza di unaimpostazione evolutiva ed il rifiuto di concetti come sviluppo e sottosviluppo,sono corollari necessari del modello polanyiano. Le forme di integrazione fraeconomia e società (con i corrispondenti principi di integrazione) sono in numerolimitato e tendono a riproporsi, talvolta in modo ciclico. Basti pensare almovimento complesso per la protezione sociale che si è innescato come reazionealle "offese" del mercato sul tessuto della società, sulla sua rete di relazioni, e cheha teso a ricostituire, ad esempio in non pochi comparti del mercato del lavoro,situazioni protette di tipo comunitario se non corporativo1.

L'assenza di schemi evolutivi è provata dalla possibilità della com-presenzadelle forme: ogni forma non è mai totalmente vincente sulle altre e sono semprepossibili ritorni di forme passate, specie di quelle (come la reciprocità) piùintimamente strutturate entro i rapporti sociali. Polanyi sembrerà limitare questiritorni alla forme della redistribuzione (o della politica), e tuttavia una coerenteapplicazione del suo modello può ben prevedere più ampi movimenti di carattereciclico. Anche se, lo si vedrà più oltre, resta impregiudicato il discorso sulleragioni dei passaggi fra le diverse forme. Sulla non proponibilità di visionievolutive vi è oggi una certa concordanza negli studi sul welfare e sulle economiediffuse, come anche nella letteratura sui distretti industriali. Per lo studio di questifenomeni l'opera di Polanyi, e specie il modello di cui ci si occupa, è in grado difornire uno schema descrittivo (e interpretativo ) fondato sia dal punto di vistastorico che da quello antropologico.

Invero, significative obiezioni hanno riguardato la documentazione storica eantropologica usata da Polanyi (e dai suoi collaboratori) per definire e fondare ilmodello delle forme di integrazione. Sul piano storico, il confronto piùinteressante è quello che si svolge, a distanza di più di un ventennio, con l'opera ele argomentazioni di Fernand Braudel. Per alcuni aspetti sembrebbe possibilerilevare l'ammirazione, se non l'identificazione, di Braudel verso l'approcciopolanyiano. Per quanto attiene alla storia dei mercati, anche lo storico franceseconcorda sulla non proponibilità di semplici e lineari processi evolutivi : "inquesto campo il tradizionale, l'arcaico, il moderno, il modernissimo si affiancano.Ancora oggi" (1981, vol.II, p.4). Il lungo periodo e l'approccio largamentecomparativo si impongono: "Il campo di osservazione ideale dovrebbe estendersia tutti i mercati del mondo, dalle loro origini fino ai giorni nostri. E' questol'immenso settore affrontato con passione iconoclasta da Polanyi." (id.).

Ma, accantonato l'entusiasmo, subito si manifestano le perplessità: come èpossibile , continua Braudel, ricomprendere nello stesso meccanismo esplicativogli pseudo-mercati di Babilonia, i circuiti dello scambio primitivo, i mercati e lereti mercantili dell'Europa dell'ancien régime? Con questa inclusione forzata si

1 In questa chiave può essere letto lo straordinario e provocatorio contributo di Frank

Tannembaum, A Philosophy of Labor (1951). Uno storico che aveva insegnato neglistessi anni di Polanyi alla Columbia University, e che per vicende umane e biografiaintellettuale, oltre che per l'origine mitteleuropea, mostrava molti tratti in comune conil nostro autore.

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accentuano le caratteristiche di singolarità dei moderni mercati concorrenziali,autoregolati, e si costringe a limitare ad essi, in senso proprio, l'appellativo dimercato. Ma questi mercati autoregolati di cui parla Polanyi come l'eccezione checompare fulminea sulla scena europea del XIX secolo, nascerebbero solo da un"gusto teologico della definizione" (ib., p. 214). Polanyi e la sua scuola avrebberoforzato la definizione, accentuandone gli aspetti "economici", per avere lalegittimitazione di contrapporre il mercato, così definito, alle altre forme discambio. In effetti tutte e tre le forme sarebbero contemporaneamente economichee sociali, ed il mercato e le sue logiche di funzionamento risalirebbero benindietro nella storia dell'economia. Braudel, seguendo in questo l'impostazione diNorth, ritiene che Polanyi sbagli nel non considerare economici i comportamenticompresi nella forma della reciprocità ed in quella della redistribuzione.

L'economia di mercato si sarebbe formata gradualmente, passo per passo, dallecittà greche alle città medievali. Il modello polanyiano sembra colpito a fondo: dauna parte per l'eterogeneità dei materiali storici su cui si fonda, dall'altra per glieccessi definitori, quasi per l'eccesso di reificazione degli schemi teorici. Inconclusione, ce lo ricorda Salsano (1987, p. XXIII), Braudel sembra quasicontrapporre uno schema interpretativo alternativo a quello di Polanyi, proprio apartire dalla questione del mercato e della sua presenza magari imperfetta entro lebasi materiali delle diverse società storiche.

Rilievi e critiche condotti a partire dalla eterogeneità dei fondamenti storici delmodello, ed anche della loro strumentalizzazione per i fini definitori non sonomancate, anche da altre autorevoli fonti. Critiche che sono state tuttavia, in nonpochi casi, compensate da clamorosi riconoscimenti. Sulla selettività delladocumentazione tratta dalla storia antica, si sofferma North (1977, p.107), unautore peraltro dal quale, come si vedrà, non mancheranno apprezzamenti per losforzo polanyiano. Così è potuta apparire abbastanza inattesa "la trascuranza distudi sulle società europee di antico regime e medievali; una tipica 'fase ditransizione' che mal si adattava forse ai presupposti tricotomici dei principi diintegrazione" (Grendi, 1978, p.32). Una trascuranza che può essere spiegata,anche se non giustificata, con la ricerca di Polanyi di tipi puri, o di combinazionidi questi tipi, al fine di fondare saldamente la sua analisi istituzionale. Sarà forseper questo, lo si è già ricordato, che abbandonerà nel corso della sua riflessione untipo di integrazione "spurio" come quello della economia domestica.

La osservazione, in buona parte condivisibile, di Grendi è comunqueridimensionata dalla affermazione di uno dei più grandi storici medievali europei,Jacques Le Goff che nel suo saggio sull'usura e sulla straordinaria invenzioneliberatoria del purgatorio, dichiara senza mezzi termini :"L'unico storico e teoricomoderno dell'economia che possa aiutarci a capire il funzionamento dell''economico' nella società medievale mi sembra Karl Polanyi" (1987, p.13). Equesto per la efficacia della categoria della reciprocità nello spiegare in terminiteorici gli scambi economici che intercorrono in una società strutturata su reti direlazioni feudali e di ordine religioso. Ed anche per la capacità della analisiistituzionale polanyiana di render conto di situazioni nelle quali i fatti economicisono fortemente incorporati (embedded) entro rapporti sociali di ordine noneconomico.

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Altri rilievi, invero meno opportuni, sono giunti a mettere in dubbio la realeconsistenza della visione non evolutiva di Polanyi. Fra questi, spicca quello diSilver che sostiene come Polanyi, nonostante la sua critica delle teorie degli stadiper la loro predilezione per la continuità, elaborò a sua volta una visionepersonale della continuità nella storia, comprimendo sotto la dizione di societàarcaica molte migliaia di anni di vicende storiche. "Questa prospettiva - si osserva(Silver, 1983, p.795)- gli impedì di riconoscere che la antica Mesopotamiaesperimentò lunghi e significativi periodi di libera attività di mercato tanto quantoperiodi di pervasiva regolazione statuale ".

Anche sugli aspetti antropologici i rilievi non sono mancati, a partire da quelligià ricordati provenienti dalla scuola formalista. Inoltre è stato notato come lericerche "post-polinesiane" conducano ad attribuire al processo di produzione unposto più centrale di quello rieservatogli da Polanyi nel suo modello delle formedi integrazione dell'economia, fondato sopratutto a partire dalle modalità diinterazione fra i soggetti, individuali e collettivi, nei processi di "distribuzione"dei beni. Sulla necessità di un certo adattamento di tale modello sembra convenireanche G.Dalton, uno degli allievi più stretti di Polanyi (cfr. Valensi, 1974,p.1316). Sono rilievi che sembrerebbero in qualche modo in qualche modo ridarepeso alle critiche condotte dagli antropologi marxisti come Godelier (1978) ecentrate sulla tendenza di Polanyi a "confondere" ogni volta nelle tre forme diintegrazione, sotto lo stesso termine, realtà differenti come "i rapporti diproduzione e le forme di circolazione del prodotto sociale" (p.XLI). Sono criticheche però appaiono provenienti da esigenze di osservanza teorica o tutt'al più daipotesi di ricerca non ancora verificate sul terreno. La stessa posizione teorica diPolanyi, come la sua ispirazione culturale, sono consapevolmente distanti, se nonavverse alla tradizionale visione marxiana sul primato dei rapporti di produzionenei confronti delle forme di distribuzione, di interazione sociale, di consumo. Edalmeno per quanto attiene alle società pre-capitalistiche la posizione di Polanyiresta teoricamente ed empiricamente fondata (cfr. Ruggiu, 1982, p.269).

Questo insieme di critiche (ed altre ancora che non sono state qui ricordate),pur rilevante che appaia, non sembra tuttavia togliere forza descrittiva e capacitàinterpretativa allo schema (al modello) analitico di Polanyi sulla tripartizionedelle forme di integrazione. Per quanto attiene alle critiche provenienti daglistorici dell'antichità esse, come ha notato in modo opportuno un assiriologoungherese (G. Komoróczy, 1990, pp.188-191), possono essere in buona parteaccolte senza per questo pregiudicare l'apporto più prezioso dell'approcciopolanyiano, che resta soprattutto un apporto di metodo nella ricerca storico-sociale. Polanyi avrebbe soprattutto trasformato fenomeni sostantivi in categorietipologiche, rendendo possibile fra l'altro un'ottica comparativa di spettro moltoampio. E' in fondo una interpretazione "weberiana" del modello polanyiano, chespiega il permanere della sua efficacia, ed attualità. Alle critiche braudeliane,giustificate almeno in parte sugli aspetti riguardanti le diffusione dei mercatinell'Europa pre-industriale, è possibile rispondere ricordando la loroindeterminatezza teorica e metodologica, pur all'interno di un apporto di fascinostraordinario (il grande affresco su capitalismo e civiltà materiale). "L'insieme ditutte le teorie non è una teoria", ha notato C.Tilly (1984, p.65) a propositodell'opera monumentale di Braudel, e troppo spesso le domande più interessanti

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restano senza risposta: "Almeno per i tempi attuali, la cosa migliore è trattare ilgigantesco saggio di Braudel come una fonte di ispirazione, piuttosto che come unmodello di analisi" (ib., p.74).

Lo schema polanyiano permette insomma, sui temi dei rapporti tra istituzionieconomiche e rapporti sociali e sulle diverse caratteristiche dei principi diintegrazione e dei meccanismi di allocazione, di render conto delle trasformazionipassate e di buona parte delle trasformazioni in corso nelle societàcontemporanee, almeno per quanto attiene agli aspetti istituzionali. Nessunaobiezione di carattere storico o antropologico è sembrata in grado di rilevarne lasuperficialità. Significativi riconoscimenti, come quello ricordato di Le Goff, nehanno rilanciato la capacità interpretativa. Le recenti trasformazioni ne provanoalcune intuizioni. Un filone di riflessione (quello storico-antropologico) sostienel'altro (quello di ordine più sociologico) e viceversa. Se tali sono le qualità delmodello, le obiezioni particolari fino a questo punto ricordate, anche se rillevanti,non ne pregiudicano la validità complessiva come quadro di riferimento per laricerca sociale.

Per quanto attiene alle premesse epistemologiche ed allo spessore teoricodell'opera di Polanyi (ed in particolare del suo modello tripartito) è stata osservatada alcuni commentatori una certa indeterminatezza di posizioni e messa in luceuna debolezza teorica dell'insieme. Su questa linea sembra propendere Grendi(1978, p.31) quando osserva l'assenza in Polanyi di una esplicita teoria generaleche costituisca le basi per una nuova scienza economica comparativa, una "certacrudezza terminologica (embedded-desembedded)", e la natura di "sempliciespedienti prammatici" dei grandi principi di integrazione. In questa critica sisolleva in definitiva una accusa di fragilità teorica e di ingenuità epistemologica.E sarebbe una accusa di non poco conto, se proprio agli aspetti teorici emetodologici coinvolti dal modello, dobbiamo rifarci per utilizzarlo entro contestiin parte differenti da quelli per i quali era stato elaborato, anche dopo isignificativi rilievi condotti su i suoi fondamenti storico-antropologici.

Ma, questioni lessicali a parte, tali rilievi mettono in luce proprio alcunicaratteri apprezzabili ancora oggi dell'impostazione polanyiana, ovvero lacapacità di opporsi ad una posizione teorica imperante, se non imperialista (quelladel modello economico) senza contrapporre una teoria simile, ma attraverso unsapiente equilibrio di analisi storica-antropologica, interpretazioni in chiaveistituzionalista, ridimensionamento del modello dominante (come nel caso dellaintroduzione del concetto di economia sostanziale). Un modo tutto particolare maefficace, se non di risolvere, almeno di ridurre, dopo molti decenni, ilMethodenstreit ottocentesco. "La debolezza dell'apparato teorico di Polanyi è soloapparente - hanno notato opportunamente Lombardi e Motta (1980, p.250)- inrealtà egli ha mirato, acutamente, attraverso l'empiria dell'antropologia, arealizzare un quadro pragmatico e microanalitico, teso a recuperare la veradimensione storica di istituzioni ed economia. Se v'è carenza teorica (omacroteorica) in Polanyi, essa è probabilmente voluta. Sia formalmente che neicontenuti, Polanyi rifiuta le etichette teoriche e metafisiche". Il rischio, corso adesempio dai marxisti, è quello di scambiare per anti-teorico un atteggiamentoanti-ideologico (sia pure animato da passione), e per debolezza teorica un"teorico" atteggiamento di diffidenza verso le teorie generali, o universali.

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Da questo punto di vista , se vogliamo riprendere le categorie (i "pregiudizi")che Boudon ( 1984, capp. III, IV,V) avanza per criticare le teorie del mutamentosociale si potrebbe sostenere che Polanyi evita il pregiudizio nomologico(ovvero la pervicace ricerca di leggi generali del mutamento). Questo significa fral'altro il rifiuto della validità generale ed universale della teoria economica. Anchese non sfugge al pregiudizio strutturalista, ovvero la ricerca della coerenza dellestrutture nei confronti del mutamento e la concezione realistica delle stessestrutture. Questo succede sia con il concetto di società (troppo spesso interpretatocon le caratteristiche di un attore sociale), ma anche con la definizione tripartitadelle forme di integrazione. E neanche è alieno dal pregiudizio ontologico ,ovvero la ricerca di un eterno primum mobile, che siano i conflitti, i valori, lecause endogene rispetto a quelle esogene, ecc. Un pregiudizio in cui Polanyiincorre almeno nella sua considerazione della immutabilità della natura socialedell'uomo.

Riguardo ad una presunta ingenuità è certamente vero che risultano scarsi ecasuali in Polanyi gli approfondimenti epistemologici di carattere sistematico.Ma, come è stato osservato da Ruggiu (1982, p.295), non sarebbe opportunoconsiderare questa carenza come sintomo di una manifestazione ingenua o comeespressione di insofferenza nei confronti delle coordinate filosofiche delle proprielinee di riflessione. Chi ha studiato la formazione intellettuale di Polanyi nellaVienna dei primi decenni del secolo (come Salsano,1974, nella introduzionemolto bella all'edizione italiana di La grande trasformazione) ha messo in lucel'orientamento empiriocriticista del suo pensiero, sotto l'influenza di Mach (findagli anni del Circolo Galilei di Budapest), un orientamento che conduce allalimitazione al fattuale degli sforzi conoscitivi.

E' sulla base di questo atteggiamento empiristico e pragmatico che Polanyimatura la sua differenza del marxismo e mostra la sua lontananza da quelle"suggestioni hegelo-marxiste" che negli stessi anni venivano avanzate da Lukàcsnelle pagine di Geschichte und Klassenbewusstsein (Ruggiu, 1982, p.297). Comeha ricostruito lo stesso autore, "se non esiste nulla al di là di ciò che èempiricamente descrivibile, le relazioni economiche e più in generale quellesociali debbono essere empiricamente date, accertate volta a volta in relazione allediverse situazioni storiche e sociali, non costituite una volta per tutte sulla baseassunzioni non verificabili nella loro valenza universale, come avviene inrapporto alla concezione formale e a quella classica dell'economia" (ib., p.297). Aricordare il formarsi di questo orientamento sta la stessa testimonianza di Poppernella sua autobiografia (1976. p.22), che risale alle discussioni avute con Polanyi,in merito alla compatibilità del "nominalismo metodologico" con le scienzesociali, discipline che non si possono considerare libere dalla "discussioneverbale"2. Su questi aspetti, comunque, la riflessione di Polanyi non sarà sempre

2 Popper, si legge ancora nella sua autobiografia, coniò la dizione "nominalismo

metodologico", per distinguersi dal nominalismo tradizionale e per evidenziare che ilsuo problema, "in quanto opposto al problema classico degli universali" era soprattuttoun problema di metodo. La dizione interpretava la sua esortazione antiessenzialista:"Quel che deve essere preso sul serio sono le questioni di fatto e le asserzioni su fatti:teorie e ipotesi; i problemi che risolvono; e i problemi che sollevano" (p.21).

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coerente, ed incorrerà talvolta, come osservato più sopra, nella trappola delrealismo.

In questo quadro non c'è da meravigliarsi che Polanyi non sia stato promotoredi alcun nuovo approccio teorico nell'economia. Questo non era nei suoi scopi enon corrispondeva alle premesse filosofiche della sua riflessione. Egli ricercavapiuttosto una visione dell'economia che fosse compatibile con la sua analisiistituzionale e con il modello delle forme di integrazione, che non fosse insommacostruita esclusivamente da e per la forma del mercato. In questa direzione,definita precisamente nei suoi obiettivi, la concezione sostanziale dell'economiamostra una efficacia non trascurabile. Essa costituisce una ispirazione chefavorisce l'interpretazione delle transazioni entro la forma della reciprocità edanche della affermazione delle istituzioni di protezione della società dal mercato.

In conclusione, il modello tripartito delle forme di integrazione dell'economia(ed anche di regolazione degli scambi) proposto da Polanyi nel corso di unariflessione più che ventennale, mantiene oggi, nonostante alcune incertezze ditipo teorico-metodologico, tutta la sua utilità per la ricerca sociale. Esso sidimostra più capace di cogliere i nessi fra comportamenti economici, strutturesociali, quadri istituzionali dei modelli à la Lasswell o à la Easton. Semmai conquesti ultimi può essere efficacemente integrato almeno negli aspetti cheriguardano la forma della redistribuzione, ovvero la forma politica per eccellenza.Chi infatti ha detto meglio di Easton che "la proprietà di un atto sociale che dà aquesto un aspetto politico è la relazione di quest'atto con la destinazioneimperativa dei valori per una società" (1963,p119)?

Ma il contributo forse più originale di Polanyi, come ho già rilevato nelcapitolo precedente, va ricercato nella sua elaborazione della forma dellareciprocità, specie nei suoi rapporti con una coerente struttura socialecorrispondente. Una struttura che richiede e promette simmetricità attraverso ilegami di sangue, amicali, comunitari, ed anche associativi. Un insegnamento, fral'altro, spesso dimenticato ai nostri giorni in alcune troppo "volontariste"proposte di rilancio del volontariato all'interno del cosiddetto "terzo settore".

Riguardo alla forma del mercato, se un rilievo può essere condotto all'analisi diPolanyi esso riguarda la mancata considerazione di quei valori tradizionali, pre-capitalistici, anche di ordine religioso, che contribuiscono al regolarefunzionamento del mercato. Sul ruolo di valori come l'onestà e la fiducia (cheassicurano l'assolvimento dei contratti) o la morigeratezza, l'auto-contenimento, larinuncia (che rendono possible il controllo o il differiemnto delle aspettative) elungo un percorso di riflessione che risale fino a Durkheim, hanno insistito diversiautori come Arrow (1974), Bell (1978), Hirsch (1981), Gambetta (1989).Contributi che per rifarsi alla già ricordata tipologia di Hirschman (1982) sulleinterpretazioni della società di mercato stanno a cavallo fra la tesi della self-destruction e quella dei feudal-blessings. E' lo stesso funzionamento del mercatocapitalistico a rendere vani o vuoti valori così essenziali per la sua stessasopravvivenza. Da questo punto di vista il mercato, e la società di mercato,entrano in crisi di trasformazione non solo per l'instaurarsi delle istituzioni dellaprotezione sociale (prime fra tutte quelle di di welfare), ma anche per il venirmeno di questi valori tradizionali. Su questi aspetti il modello di Polanyi è inverotroppo semplice o forse troppo animato da un'ansia (questa sì alquanto datata!) di

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liberazione dagli effetti "distruttivi" del mercato. Quest'ansia portava a a giudicareil mercato più autonomo e specifico rispetto alla società ed ai suoi valori diquanto in realtà esso fosse (cfr. Granovetter, 1985, e le critiche già ricordate diF.Braudel).

Ma non sono questi i limiti più rilevanti del modello, che si ritrovano piuttostonegli aspetti dinamici, ovvero nelle modalità e nelle ragioni di passaggio fra unaforma e l'altra. Mettere in luce questi limiti permetterà un interessanteampliamento del modello. Sarà questo il cammino che verrà percorso nellepagine successive di questo libro, non prima però di aver descritto brevemente,nel prossimo paragrafo, un possibile arricchimento della tipologia stessa al centrodel modello polanyiano.

2. Un arricchimento del modello

Un interessante arricchimento del modello polanyiano fondato sulla formula"trinitaria" è giunto, spesso in forma implicita, da quei contributi che, sull'ondadella letteratura degli anni '70 sul neo-corporativismo o più semplicemente sulpluralismo organizzato, hanno individuato un possibile quarto criterio diregolazione, o una quarta forma di allocazione.

Per accogliere questi contributi, e queste sollecitazioni, provenienti da unaletteratura di scienza politica o di political economy, occorre però , se nonadeguare, almeno leggere il modello dall'ottica delle modalità e dei criteri diregolazione sociale. Non è una forzatura eccessiva, ed è anzi talvolta già statofatto nelle pagine precedenti, ma è tuttavia necessario per spostare l'attenzionedalla allocazione di beni e servizi, come obiettivo finale dei diversi tipi ditransazione, verso l'ordine sociale (e politico). Dall'ottica delle forme diregolazione, lo scopo delle diverse forme è quello del raggiungimento di formepiù o meno soddisfacente di ordine sociale. In questo senso non sono in giocosolo transazioni di tipo economico, ma anche ogni altro genere di "valori" (ad es.beni immateriali come beni di riconoscimento o beni di identità). Questi benipossono accompagnarsi a beni materiali, come nello scambio di doni compresonelle prestazioni totali di cui parla Mauss, ma anche procedere nelle transazionicon una certa indipendenza, si pensi alle rivendicazioni dei gruppi socialiemergenti alla ricerca della propria costituzione come attori sociali riconosciuti.In questo secondo caso la forzatura del modello è maggiore, ma le transazionipossono essere considerate non solo in chiave metaforica.

La quarta forma ed il quarto criterio di regolazione si fondano sulleassociazioni (più o meno volontarie) in quanto strutture sociali coerenti con unaforma istituzionale specifica. Come le strutture familiari, amicali, comunitarie;l'apparato politico-burocratico; le istituzioni dei mercati autoregolati lo eranorispettivamente per la reciprocità, la redistribuzione, lo scambio di mercato.Questo criterio "associativo" secondo il ben noto saggio di Streeck e Schmitter(1985), che abbiamo già ricordato per la inattesa dimenticanza del modello

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polanyiano, acquisterebbe autonomia ed una rilevanza propria3. Identificata inbase "al principio guida dell'interazione e della allocazione delle risorse" potrebbeessere definita come "concertazione organizzativa, in opposizione a solidarietàspontanea, competitività dispersa e coordinazione gerarchica" (ibid.,p.49).L'importanza di questa forma e di questo criterio, e la attribuzione ad essi di unostatus teorico simile a quello di comunità,mercato, e stato, dicono gli autori, sonodovuti soprattutto all'emergere negli anni '60 e '70 nelle società industrialiavanzate di forme di concertazione e di contrattazione degli interessi nonriconducibili, come logica e come processi, alle tre forme precedenti4.

Gli autori si sentono sicuri sullo status teorico di questa quarta forma, purritenendo fuorviante "l'idea di un sistema corporativo-associativo sociale opolitico globale (Ibid., p.82)". Anche se in taluni casi, ad esempio nel controllodell'inflazione, i risultati della regolazione associativa possono essere più efficacidal punto di vista economico, sociale, politico-normativo rispetto alle altre formeutilizzabili (il mercato e la politica). E' certo che non è ancora impostato (erisolto) in modo soddisfacente il problema della specificità e della autonomia di diquesta quarta forma rispetto alla forma contigua, la politica, o la redistribuzione,in termini polanyiani. E' questa infatti la forma confinante con quella associativa,non quella della reciprocità dove se le associazioni operano per permettere ilbuon fine delle transazioni (come le associazioni di volontariato) lo fanno al lorointerno e sulla base di norme e fini comuni. Un carattere che non ènecessariamente presente nella regolazione "associativa" in senso stretto. Daquesto punto di vista, ricordano Streeck e Schmitter (pp.60-61) nella forma dellacomunità, le preferenze e le scelte degli attori sono interdipendenti; nell'ordine delmercato concorrenziale sono indipendenti; nell'ordine della politica sonodipendenti dal coordinamento gerarchico; nell'ordine corporativo-associativo sonointerdipendenti ma in modo strategico.

E' per questa vicinanza alla forma della redistribuzione che Polanyi, semprealla ricerca di forme "pure", forse non l'avrebbe accettata. Del resto, anche inostri autori ammettono che la delega di funzioni statali di coordinamento (tipicadi questa quarta forma) "deve essere accompagnata da una simultaneaacquisizione da parte dello stato della capacità di disegnare, guidare e tenere sottocontrollo i nuovi sistemi di autoregolazione " (ibid., p.79). Tuttavia l'utilizzazionedi interessi categoriali, ovvero parziali, al fine di costituire un ordine sociale diportata ben più ampia rispetto alle categorie stesse, come l'idea che che leassociazioni (fonti di disordine politico nei modelli dell'individualismo liberale)possano diventare fonti di ordine politico, sociale, economico, concedono 3 Una interessante applicazione nei diversi settori dell'economia americana di un

modello di regolazione quadripartito del tutto simile a quello che qui si discute la siritrova in Hollingsworth e Lindberg (1991).

4 In effetti questo criterio "associativo" potrebbe essere di qualche utilità per descrivereed interpretare fenomeni che risalgono ben più addietro nella storia, rispetto ai decennidel secondo dopoguerra. Mi riferisco ad esempio a quella formazione che harappresentato fra il XII ed il XVII secolo il modello anseatico: uno stato senzaterritorio, una lega di mercanti che non rinunciava alla guerra, una comunità fondataanche sul permanere di interessi contrastanti (su questo si veda la affascinante ricercache sta conducendo A.Pichierri, Il modello anseatico).

I passaggi fra le forme di allocazione 13

notevole plausibilità a questa supposta, e pretesa, autonomia concettuale5. Siapure con qualche cautela, possiamo accettare allora questo arricchimento almodello polanyiano, utile in particolare nel render conto delle trasformazioni deicriteri di regolazione nell'età e nei luoghi del pluralismo organizzato. Nel corsodelle parti rimanenti, mi riferirò dunque al modello nella sua forma originaria,dando però per scontata questa possibile integrazione di una quarta forma.

Un arricchimento del modello forse ancor più necessario, potrebbe riguardarel'affiancamento, o la sovrapposizione, di una tipologia dei diversi beni e servizioggetto delle transazioni, del tutto assente nella impostazione polanyiana. E' unlimite che si svela non tanto nella sua applicazione alle società primitive o antichequanto nella sua utilizzazione per l'analisi della società contemporanea. Qualisono i beni o servizi tipicamente allocati attraverso la reciprocità, laredistribuzione, lo scambio di mercato? Quali le diverse caratteristiche qualitativee quantitative che i beni possono assumere a seconda della forma di integrazionedell'economia entro la quale sono allocati. Manca in Polanyi non solo una teoriadei beni pubblici ma anche una distinzione fra "ricchezza democratica"(allocabile senza problemi entro il mercato) e "ricchezza oligarchica" (disponibileper pochi, non per tutti) del tipo di quella proposta da Harrod e ripresa più tardinello straordinario contributo di Hirsch (1981).Saranno anche i fallimenti delmercato nella allocazione di alcuni tipi di beni e servizi, e i diversi caratteri chegli stessi assumono nelle diverse forme di integrazione a spiegare i passaggi diallocazioni da una forma all'altra. Va detto che precisazioni e arricchimenti diquesto tipo entro il quadro analitico di Polanyi restano sempre possibili ed anziauspicabili. Non verranno però condotti nel corso di questo volume, anche setaluni di questi aspetti verranno sfiorati, specie nel capitolo IV.

3. I passaggi fra le forme ed i costi di transazione

Ricostruito, con degli opportuni arricchimenti, il modello polanyano delle treforme di integrazione fra economia e società (e dei principi di allocazione)emergono subito, come abbiamo ricordato più sopra, domande di grande rilievo,centrate sugli aspetti dinamici: come una forma si sostituisce ad un'altra? Ovvero,come si passa da una forma all'altra? Quali meccanismi sociali (per usarevolutamente una dizione molto meno impegnativa di legge sociale) sono messi 5 Questi contributi all'ordine generale potremmo ascriverli nel novero delle

conseguenze intenzionali delle decisioni prese dalle autorità politiche e dalle partiassociative in gioco. In altri casi, è stato osservato nell'ambito della Rational ChoiceTheory (Hechter, D.Friedman, Kanazawa, 1992) il contributo all'ordine è frutto diconseguenze non intenzionali (ad esempio le associazioni di tipo deviante o criminaleche controllano con efficacia il comportamento dei loro membri) e comportaimplicazioni controintuitive (più deviante è il contesto dell'ordine locale, maggiorepotrebbe essere il contributo relativo all'ordine generale). Questo accade in specienele società eterogenee del tipo delle società di immigrazione come gli Stati Uniti. Inesse l'ordine sociale è un bene collettivo, ma l'ordine sociale globale è un sottoprodottonon richiesto esplicitamente dai singoli gruppi sociali (pp.81-92).

14 I passaggi fra le forme di allocazione

all'opera in passaggi di questo tipo? Se non sono utilizzabili spiegazioni di tipoevolutivo, quali altre spiegazioni sono proponibili per render conto dellasuccessione comunque rilevabile fra le forme? A queste domande, collocabili conmaggiore o minore certezza nella sfera macro-sociale, se ne connette un'altra,fatidica negli studi istituzionali: sono i cambiamenti progressivi nelle interazioniindividuali a condurre ai cambiamenti nelle macro-strutture istituzionali, oppuresono queste ultime ad innescare quelli nelle relazioni "economiche" (specie insenso sostanziale) fra soggetti? E le domande, come si può prevedere, siamplificano se si legge il modello, come talvolta faremo, dall'ottica dellaregolazione sociale.

Queste domande si pongono sia in senso diacronico che in senso sincronico.Tanto per rifarsi ad un esempio che riguarda da vicino questo finale del XXsecolo, e sul quale mi soffermerò nel capitolo IV, si può ricordare il caso delle"privatizzazioni", ovvero del clamoroso restringimento dell'area di interventopubblico nell'economia. Le domande si pongono in ordine al succedersi ad unafase di grande estensione dell'intervento pubblico, coincidente a grandi linee conl'età della "grande trasformazione" polanyiana e con l'avvento della cosiddetta erakeynesiana , di una fase di generalizzato ritorno alla allocazione di mercato (ocosì pretesa). Ma le domande sono proponibili anche sulle diversità di stili diprivatizzazione fra un contesto istituzionale e l'altro, sulle modalità direalizzazione del processo, sulle preferenze dei soggetti, sulle differenti proceduredi definizione dei confini fra le forme o fra le aree (i confini fra "pubblico" e"privato"), sulla maggiore o minore estensione dei provvedimenti nei diversisettori economici, o di intervento pubblico consolidato.

Delle risposte teoriche soddisfacenti a questi tipi di domande dovrebbero alloraapplicarsi ad entrambi le grandi categorie di passaggi, o di cambiamenti, fra leforme, od agli stessi passaggi considerati sotto le due ottiche, diacroniche esincroniche. Si capisce subito la ragione di questa doppia applicazione;limitandosi alla prospettiva diacronica sarebbe inevitabile la tentazione di rifarsialle grandi cause del mutamento storico, le "rivoluzioni" dell'età moderna, adesempio, quelle che conducono a sconvolgimenti più o meno rapidi e violenti diinteri sistemi politici. Queste cause non ne escluderebbero altre, tuttaviaresterebbe decisiva la loro influenza complessiva. L'avvento della forma dimercato sarebbe allora riconducibile al diffondersi di quell'individualismopossessivo che seguì alla rivoluzione borghese nell'Inghilterra del XVII e XVIIIsecolo. L'imponente affermazione della forma della redistribuzione, ovvero dellaallocazione attraverso la politica, deriverebbe direttamente dall'affermazionedelle rivoluzioni socialiste, e prime fra tutte di quella bolscevica. L'estensionedell'intervento pubblico, con il connesso forte ridimensionamento dellaallocazione di mercato seguirebbe all'imporsi di quell'era cosiddetta keynesiana,che se non la violenza certo con le grandi rivoluzioni politiche condivideval'ampia portata delle trasformazioni politiche, economiche, sociali.

Entro questo quadro interpretativo nessuno spazio verrebbe attribuito agliattori, costretti ad adeguarsi senza residui alle istituzioni dominanti, ma gli oggettidella spiegazione (le forme di integrazione e di allocazione e la loro successione)si troverebbero ad essere ben "determinati". Una volta nate sulla scena dello

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sviluppo storico, la loro adozione in ambienti lontani o esterni da quelli di origineavverrebbe poi per adozione, per competizione, per emulazione.

Ma il contributo fornito alla domanda di carattere teorico non sarebbealtrettanto decisivo. Come spiegare, ad esempio, la compresenza delle diverseforme? Si potrebbe osservare che, per quanto attiene, alla libertà contrattuale e diiniziativa economica la rivoluzione francese era già stata iniziata da Turgot nel1776 attraverso un editto che aboliva tutte le corporazioni (Lefebvre, 1958, pp.56-57). E che dire della riapparizione inattesa di forme di allocazione passate esconfitte all'interno di assetti economico-politici di tipo "esclusivo"? L'esempiostorico più clamoroso resta quello della NEP , ovvero di quella "nuova politicaeconomica" rivolta alla reintroduzione di elementi di capitalismo e di libertà dicommercio, specie in agricoltura, che nella Russia bolscevica successe nel 1921alla fase del "comunismo di guerra" ovvero ad una fase di redistribuzione forzataattuata attraverso una radicale concentrazione del potere economico e lasostituzione dell'economia di mercato con una economia "naturale" (Carr,1964,pp. 678-679)6. E come non ricordare non solo le possibilità di scelta fra le diverseforme che sono spesso presenti per i soggetti, ma anche gli spazi di autonomianei quali operano i decisori che pongono mano alla revisione degli assettiistituzionali? Sulla prima possibilità ci si può rifare a quelle esperienze di sceltafra le diverse modalità di allocazione dei beni di welfare, su cui ci soffermeremopiù volte in questo e nel successivo capitolo. Per gli spazi dei decisori si puòrichiamare uno dei più celebri casi di trasformazione delle forme di regolazionesociale: quella legge Le Chapelier (14 giugno 1791) che vietò in modo radicale inFrancia, per tutti i mestieri, qualunque forma di organizzazione collettiva. Inquesto caso, con la quasi totale approvazione dei deputati della AssembleaNazionale, la scelta fu per un individualismo radicale e utopico, e non per un piùrealistico assetto di regolazione, capace di promuove la composizione deiconflitti7.

Ad un primo livello di approfondimento, ci si potrebbe comunque accontentaredi risposte parziali. La riflessione di Polanyi infatti non fornisce infatti

6 Carr ricorda che in una conferenza degli attivisti di partito convocata nel maggio del

1920 per illustrare le nuove linee di politica economica, Lenin definì la NEP comeuna "ritirata". Pochi mesi dopo, ancor più chiaramente, ne avrebbe parlato come di"una sconfitta e ritirata: per un nuovo attacco" (ibid.,p.682). E' il principio del "reculerpour mieux sauter" attorno al quale Elster, richiamando Leibniz, si sofferma persostenere la non applicabilità degli schemi della selezione naturale (facili prede dellatrappola dei "massimi locali") ai fenomeni sociali (cfr. Elster, 1979, cap.1).

7 L'art.1 della legge recitava: "Essendo l'abolizione di ogni tipo di corporazione deicittadini di uguale ceto e mestiere una delle basi fondamentali della costituzionefrancese, è vietato ricostituirle di fatto, in qualsiasi forma e per qualsiasi motivo ciòavvenga". Nella applicazione questo divieto significò nella sostanza solo un divietorigido alla costituzione di associazioni sindacali. La scelta utopico-radicale, con lederivanti conseguenze non attese, è bene resa dal commento recente di Spiros Simitis:"Invece di sostituire una volta per tutte una politica dirigistica e corporativa conaccordi improntati alla ragionevolezza e perciò attenti a considerare e a conciliare gliinteressi in gioco, la libertà contrattuale finì col produrre una rete sempre più fitta diinterventi statali e di strutture corporative via via più stabili" (1990, pp.764-765).

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spiegazioni esaurienti a questo proposito, ed il suo resta un modelloprevalentemente statico. Nelle diverse società delle differenti età storiche siritroveranno soluzioni diverse ai problemi di integrazione fra economia e società(o di regolazione sociale). Soluzioni permesse da assetti istituzionali più o menocoerenti con le strutture sociali. Ma queste soluzioni rimangono come isolateesemplari nel corridoio della storia e non abbiamo suggerimenti, una voltarifiutato gli schemi evolutivi, sul come le une succedono alle altre. Certo l'analisicomparativa fornisce indirettamente una chiave per affrontare il problema. Ma ilricordare, come fanno Block e Somers (1984, p.71) che la reciprocità, laredistribuzione, lo scambio di mercato sono sempre "risposte comparabili alproblema della integrazione", e che il lavoro comparativo di Polanyi anticipaquello di Barrington Moore o di Gerschenkron, non significa ancora molto per unmodello di ampie potenzialità come quello polanyiano. Il come può certo direqualcosa sul perchè, e questo , lo si è già osservato, è soprattutto vero per Polanyi.Tuttavia non è sufficiente per rispondere alle domande sui passaggi fra le forme(specie in assenza di grossi cambiamenti nelle strutture sociali), o sulle possibilitàdi scelta.

La domanda è stata raccolta esplicitamente in un importante saggio diD.C.North in un importante saggio del 1977 rivolto fra l'altro a rivalutareesplicitamente il contributo di Polanyi nella storia economica, come "schemaanalitico alternativo che rende conto del passato e del presente dellaorganizzazione istituzionale" (p.704). La validità dello schema, e il suo caratterealternativo sia agli schemi neo-classici che a quelli marxiani, derivano propriodalla sua applicabilità sia alle economie del passato che a quelle contemporanee.Il punto di partenza di North è ancora la contrapposizione fra il mercato e le altredue forme di integrazione (e di allocazione), e si potrebbe qualificare come untentativo di riconduzione del modello polanyiano all'interno della spiegazioneeconomica. Se anche in un secolo come il nostro dove, lo ammette lo stessoPolanyi , è così esteso il comportamento "economizzante", hanno così ampiospazio le forme di allocazione alternative al mercato, diventa legittimo iltentativo di ritrovare anche per queste forme una spiegazione di tipo economico.La tesi, e la risposta, di North è che la "analisi dei costi di transazione rappresentiun quadro analitico promettente per l'esplorazione delle forme di organizzazioneeconomica non di mercato" (1977,p.709).

Il modello dei costi di transazione, nato dal celebre saggio di Coase , Thenature of the firm, del 1937, per scoprire le ragioni per le quali l'organizzazionedell'impresa (e perciò l'autorità e la decisione) si sostituiva al mercato, vieneutilizzato per spiegare i passaggi fra le differenti forme di integrazione8. Quello

8 Questa utilizzazione non sembra, peraltro, quella tipicamente proposta dalla economia

dei costi di transazione. E' Williamson (1994, pp.79-80) a ribadire, partendo da uncontributo dello stesso North, come quest'ultima possa dividersi in due parti, la primadedicata allo studio dell'institutional environment, la seconda a quello dell'intitutionalarrangement, ovvero ai cambiamenti nelle forme di organizzazione dell'attivitàeconomica che intercorrono una volta tenuto costante il quadro istituzionale di fondo.Nei fatti questa distinzione si sovrappone su molti aspetti a quella qui proposta(cambiamenti diacronici e sincronici). E' Williamson a ritenere che l'economia dei

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che Coase scopriva erano i costi di funzionamento del mercato, e specie i costi diutilizzo del meccanismo dei prezzi. Con la semplice osservazione che "ilfunzionamento del mercato provoca un certo costo e che, formando unaorganizzazione e permettendo ad un'autorità (un imprenditore) di dirigere lerisorse possono essere risparmiati taluni costi di contrattazione" (Coase, 1937,p.81) si apriva una intera epoca di riflessioni nell'economia industriale edimplicitamente si rilanciava l'economia istituzionale. La tentazione di estenderequesto modello allo studio dei passaggi fra le forme di allocazione e diregolazione è molto forrte. ed è una estensione può essere fruttuosa, anche secome si vedrà più oltre, corre il rischio di snaturare oltre misura il modellopolanyiano.

In un contributo successivo North aggiungerà a questo quadro anche una teoriadello stato, ma l'insieme esplicativo proposto non cambia: "Una teoria dei costi ditransazione è necessaria perchè sotto le prevalenti condizioni di scarsità e perciòdi competizione, più efficienti forme di organizzazione rimpiazzeranno quellemeno efficienti sotto condizioni coeteris paribus. Lo stato comunque [...]incoraggerà e specificherà efficienti diritti di proprietà solo nella misura in cuiessi saranno consistenti con gli obiettivi di massimizzazione della ricchezza diquelli che conducono lo stato" (North, 1981, pp.33-34). E' decisiva l'importanzadelle istituzioni, che "forniscono il quadro entro il quale gli esseri umaniinteragiscono" (ibid.,p.201). Tuttavia l'interazione resta orientata dal calcoloeconomico, anche all'interno delle forme alternative al mercato nei terminipolanyiani.

I diritti di proprietà su beni e servizi, ben definiti e rispettati, costituiscono laprecondizione per l'operare dei prezzi nel mercato autoregolato. I costi per ladefinizione di tali diritti e per farli rispettare (enforcement) rappresentano i costidi transazione. E sotto queste spoglie è possibile rappresentare anche i costi diinformazione. Nella sua ultima opera North accentuerà il ruolo di quest'ultimacomponente, giungendo ad affermare che "il costo dell'informazione è il fattoreessenziale dei costi di transazione" (1994, p.53). D'altra parte le istituzionisorgono proprio per ovviare alla scarsità di informazioni e dunque per ridurre leincertezze nelle relazioni economiche e sociali.

Quando questi costi eccedono i benefici l'esito può essere l'allocazione di benie servizi attraverso forme non di mercato. Da questo punto di vista, per società(anche quella delle isole Trobriand di Malinowski) nelle quali vige la reciprocità,quest'ultima può essere considerata una forma che assicura transazioni a bassicosti in assenza di istituzioni che assicurano con altri mezzi il rispetto delleragioni di scambio. Le stesse spiegazioni possono essere assunte per spiegarel'esistenza dei ports of trade9 nell'antichità, e l'espandersi, come il declino, delsistema del maniero feudale.

costi di transazione è nata per occuparsi soprattutto della seconda serie di problemi. Diqui un dissenso implicito con North.

9 Con questa dizione Polanyi intende definire una "istituzione universale del commerciod'oltremare, che precede la costituzione dei mercati internazionali" (1980,p.230). Neiports of trade, ritrovabili sulle coste della Siria a partire dal II millennio a.C., comepiù tardi in alcune città-stato greche in Asia Minore e sul Mar Nero, ed in epochesuccessive nelle regioni atzeche e maya del Golfo del Messico o nei regni negri di

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Un esempio, ancora di attualità, può essere costituito dai beni pubblici puri,allocati nella sfera della redistribuzione per l'impossibilità di escludere dallafruizione il non partecipante al costo o per la difficoltà di ripartire il costo rispettoal grado di utilizzazione del bene o servizio (non escludibilità e non rivalità delconsumo).Ma può anche riguardare l'allocazione attraverso la forma del dono (siapure senza reciprocità) di beni privati (poniamo lo spazio di parcheggio davantiad un centro acquisti) i cui costi di sorveglianza o di esazione eccedono i beneficiottenibili dal proprietario del bene.

Per rimediare alla staticità del modello polanyiano e per spiegare ilcambiamento nel mix delle forme di allocazione, conclude North, lo sviluppo diuna classificazione ordinale dei costi di transazione e dei relativi cambiamentinell'ordinamento può essere utile. Dalle variazioni di questi costi dovrebberoprodursi le pressioni per i necessari riaccomodamenti istituzionali (1977, p.715).

Il rinchiudersi della spiegazione entro criteri di economicità è in partemoderato dalla dichiarata necessità, espressa da North, di "una esplicita teoriadella ideologia o, più generalmente, di sociologia della conoscenza", senza laquale si verificheranno "enormi vuoti nella nostra capacità di render conto siadella attuale allocazione delle risorse sia del cambiamento storico" (1981, p. 47).Come si potrebbero spiegare altrimenti i grandi investimenti nella legittimazionedelle proprie strutture istituzionali che ogni società compie per superare ilproblema del free rider, ovvero del comportamento opportunista? Il ponte verso ilcomportamento dell'attore e le sue possibilità di scelta sia pure ancora formulatoin termini tradizionali (teoria delle ideologie?) è lanciato. Questa esigenza èriconfermata nel contributo successivo, del 1990, dove sembrano comparire delleesigenze di approfondimento degli aspetti cognitivi. Ma per il momento restanosolo come delle esortazioni alla ricerca. Così si legge infatti nelle ultime righe delvolume che doveva portare l'autore verso il premio Nobel: "per dare miglioririsposte si deve conoscere molto di più sulle norme di comportamento derivantidalla tradizione culturale e su come interagiscono con le regole formali. Si èsoltanto agli inizi di uno studio serio delle istituzioni" (North, 1994, p.199). Suquesti aspetti si ritornerà nel corso del III capitolo, dove si cercherà in qualchemodo di raccogliere gli stimoli di North.

4. L'incorporazione dell'economia nella società

Sotto certi aspetti, tuttavia, la strada dei costi di transazione potrebbe costituireun percorso non polanyiano di risoluzione di un tipico problema polanyiano. Laragione è presto a dirsi: una spiegazione "economizzante" che invece di esserelimitata alla fase, storicamente ben limitata ed identificata, nella quale èl'economia ad incorporare la società (l'era della società di mercato), tenderebbe adassumere portata generale ed universale. Generale in quanto applicata nellaspiegazione dei passaggi fra tutte le forme di integrazione nelle diverse epoche

Ouidah o del Dahomey, la gestione "politica" degli scambi prevaleva sulle regole dellaconcorrenza.

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storiche. Universale in quanto adottabile per qualunque tipo di societàconosciuta.

E' ovvio che sono lontane da chi scrive, e non si adattano a questa occasione,delle preoccupazioni di ortodossia, che pure talvolta tendono a trasparire nelleriflessioni, e nelle argomentazioni, di non pochi autori che si muovono nel filonepolanyiano. La strada proposta dai neo-istituzionalisti, potrebbe infattirappresentare una soluzione, sia pure parziale, al problema dei rapporti (diacronicie sincronici) fra le diverse forme di allocazione. E' indubbio che il modello deicosti di transazione si presti ad essere applicato ad entrambe le categorie dimutamenti. Nella versione di North questa ambizione è esplicita, nella versione diWilliamson l'applicazione è soprattutto sui cambiamenti del secondo tipo (quelliche tengono fermo il background istituzionale). Tuttavia la duttilità del modello èfuori discussione. Ma certo si fatica a pensarlo efficace laddove il calcoloeconomico non rientra nelle attribuzioni o nelle attese di comportamento degliattori o delle istituzioni, o nei casi nei quali l'attività economica oggetto dellatransazione cambia nettamente di significato sociale nel passaggio da una formaall'altra.

In alcuni casi, come nello spiegare le modalità di allocazione delle diversecategorie di beni (privati o pubblici), o dei beni con diverso grado di "pubblicità"(fino ai beni pubblici puri) il modello può rivelarsi particolarmente opportuno. Macerto è un modello che contiene una dose di determinismo economico inveroeccessiva. Il fatto che i costi di transazione in una forma di allocazione sianosuperiori a quelli di altre non è di per sè condizione sufficiente a giustificare ilpassaggio dalla prima alla seconda, a meno di ipotizzare l'operare di necessità ditipo funzionalistico (la allocazione che deve avvenire con i costi più bassi, eperciò con logiche di massimizzazione) o meccanismi di tipo evolutivo, per iquali la forma più costosa tenderebbe a scomparire (su questi aspetti, cfr. Parri,1996). E' un modo di procedere, quello della "nuova economia istituzionalista"che, come ha notato di recente Herbert Simon nella sua autobiografia , forse unpoco eccedendo nella critica, "continua a versare il nuovo vino nelle vechie bottidel ragionamento neoclassico" (1991, p.167).

Le critiche sociologiche all'utilizzo dei costi di transazione nella spiegazionedel cambiamento istituzionale non sono del resto mancate. Da quella di Swedberg(1990, pp.52-53) che accusa l'approccio di darwinismo sociale: una istituzionealla fin fine esisterebbe fino a quando avrebbe un buon rendimento economico. Aquella di Frydman (1990, pp.160-161) che, nell'ambito della approccio che si èdefinito come économie des conventions, è rivolto a mettere in dubbio l'esistenzadi un mercato di ordine superiore nel quale sia possibile calcolare costi e vantaggidi ciascuna forma istituzionale. Fino a quella di Trigilia (1989, p.153) che èportato a sottolineare il quasi ineliminabile carattere normativo del modello:"offre criteri di orientamento per le decisioni semplici più che spiegazionisoddisfacenti della variabilità storico-empirica dell'organizzazione economica".

Verso un cammino polanyiano conduce invece il contributo critico diGranovetter (1985) sugli approcci neo-istituzionalisti (da North a Williamson, masoprattutto sul secondo). In questo contributo, ormai ben conosciuto e ritenutouno dei testi chiave della "nuova sociologia economica", l'autore parte dalproblema della embeddedness (incorporazione) della azione economica nella

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struttura delle relazioni sociali. Problema che appare di grande rilievo peraffrontare il tema della competizione o della successione delle diverse formeistituzionali di integrazione fra economia e società.

La posizione di Granovetter diverge sia da quella "sostantivista" che da quella"formalista", per rifarsi ai due filoni della antropologia economica. Il punto dipartenza è che il grado di embeddedness del comportamento economico nellesocietà non di mercato è minore di quanto credano gli studiosi di queste società(primo fra tutti Polanyi), anche se è cambiato di meno con il processo dimodernizzazione di quanto questi stessi studiosi ritengano. E questa è ladifferenza con la scuola "sostantivista". In compenso, il grado di incorporazionenelle società di mercato è maggiore di quanto credano gli studiosi delcomportamento economico razionale. E questo segna il distacco con il filone"formalista".

Secondo l'autore i "neo-istituzionalisti" non farebbero che rafforzare il campo"formalista" con la loro analisi economica delle istituzioni economico-sociali,considerandole "come il risultato della ricerca del self-interest da parte diindividui razionali, più o meno atomizzati" (Granovetter, 1985, p. 482). Questariflessione, proseguendo attraverso ricomposizioni e scomposizioni non consuetedei filoni interpretativi, nota come, al di là di ogni apparente contrasto, sia leversioni sotto-socializzate come quelle sovra-socializzate dell'attore economico"abbiano in comune una concezione dell'azione e della decisione condotte daattori atomizzati" (p.485). Nel primo caso ciò deriva dal perseguimento angusto(utilitarista) degli interessi individuali10, nel secondo dalla internalizzazione dataper scontata delle norme sociali.

La tesi di Granovetter è che siano le relazioni sociali e non tanto le istituzioni(come considerate dai neo-istituzionalisti) o qualcosa di simile alla moralegenerale (e alla coscienza collettiva?) a spiegare i diversi modi di integrazionedell'azione economica nella società e,ad esempio, la produzione di beni tuttiparticolari come la fiducia o la assenza di comportamento criminale, deviante, edi opportunismo. Beni che risultano decisivi per la conduzione delle transazionieconomiche, e per il cui ottenimento si presentano i costi di transazione. Di quala critica verso Williamson, e l'approccio neo-istituzionalista, ad esempio sullascelta come modalità di organizzazione dell'impresa rispetto al mercato. Lariduzione dell'opportunismo non sarebbe provocata tanto dalla scelta dell'impresarispetto al mercato, con la conseguente riduzione dei costi di transazione, quantodalla natura della rete di relazioni personali e sociali che avvolgerebbero l'impresadall'esterno e all'interno. L'evidenza empirica dimostra piuttosto come sianopossibili nel mercato ordinate transazioni economiche anche complesse, e comenel contempo si rilevino situazioni di elevato disordine all'interno delle imprese.

Trasferita sul nostro problema dei passaggi fra le forme di integrazione, e diallocazione, la posizione di Granovetter condurrebbe a respingere meccanismiinterpretativi del tipo "costi di transazione", per ricondurlo, con un netto

10 E' difficile notare con parole più semplici ed efficaci di quelle di Caillé (1991, p.84) le

caratteristiche tipiche della teoria del comportamento economico razionale: "la teoriaci ripete instancabilmente che gli uomini preferiscono quel che preferiscono e sonointeressati a quel che li interessa".

I passaggi fra le forme di allocazione 21

ridimensionamento delle ambizioni o delle pretese teoriche, verso laconsiderazione strutturale, caso per caso, delle reti di relazioni sociali in cui leforme sono inserite. Ed è forse un ridimensionamento eccessivo del problema;quello che c'è di interessante era già in Polanyi, quello che c'è di nuovo restavago, indefinito come meccanismo interpretativo.

Tuttavia tale tesi potrebbe fornire un contributo importante alla soluzione intermini "polanyiani" del nostro problema, specie attraverso una definizione delleistituzioni economiche più interna alla teoria sociale, ed una considerazione intermini weberiani (come dichiara Granovetter) della azione economica come tipospeciale di azione sociale. Non mancano però nella tesi aspetti non convincenti,ad esempio una interpretazione troppo forzata del filone neo-istituzionalistaall'interno degli schemi del razionalismo economico di stampo neo-classico.L'evoluzione della posizione di North, ed il suo progressivo allontanamento dalla"new economic history" fin dal 1981, non è da questo punto di vista preso inconto. Così come non soddisfacente resta il modo di considerare gli effetti dellerelazioni sociali sulle motivazioni economiche e sul tipo di razionalitàconnessa11.

La capacità esplicativa del modello dei costi di transazione viene dunque soloin parte ridimensionata; la critica di Granovetter non sembra in grado di rimetterlototalmente in discussione. Rilevante resta la capacità del modello di collegare ilcomportamento economico dell'attore con il cambiamento istituzionale, anche sel'orizzonte di scelta del primo resta limitato a quello previsto dalla teoria dellarazionalità economica. Come tale è importante nell'aprire la riflessione sullecomunicazioni fra micro e macro che saranno oggetto del prossimo capitolo

Il modello resta di ardua, se non impossibile, applicazione in quelle situazioninelle quali quello che è in gioco è la corrispondenza fra l'atteggiamento dell'attoree la forma di allocazione operante. Ovvero nei casi dove la allocazione puòsvolgersi secondo le modalità previste, solo qualora il soggetto ne accettispontaneamente la logica.

Mi riferisco come esempio ai casi di dono senza reciprocità, quelli che simanifestano in modo tipico nella esperienza di donazione del sangue. Come hamostrato Titmuss (1971) nella sua famosa ricerca, il sangue "donato" èqualitativamente migliore nei casi nei quali vige un sistema di donazione rispettoa quelli operanti entro una allocazione di mercato. In questo caso i costi ditransazione possono spiegare in parte la migliore efficienza del dono rispetto almercato: i costi dell'informazione completa necessaria per determinare la purezzadel sangue sarebbero troppo elevati nella seconda forma di allocazione. Megliolasciare sul soggetto che dona la responsabilità di selezionare le propriecaratteristiche di donatore, specie per quelle non accertabili con sicurezzaattraverso esami clinici. E' un modo di soluzione non consueta di un tipicoproblema di informazione nascosta (simile alla adverse selection dei contratti di

11 Una interessante esemplificazione di questi problemi è ritrovabile nella ricerca di

P.Jorion sulla determinazione sociale dei prezzi di mercato in una comunità dipescatori artigianali francesi:"il fattore determinante della formazione dei prezzi nonsarebbe la nuda contrapposizione dell'offerta con la domanda, ma lo statuto reciprocodelle parti coinvolte nella vendita del pesce" (1990, p. 61).

22 I passaggi fra le forme di allocazione

assicurazione12). E sarà proprio il carattere oblativo del gesto a tenere sottocontrollo l'eventuale opportunismo. Chi dona qualcosa, bene o servizio, è il primoa sincerarsi sulla qualità del suo dono. Ma qui quello che conta è l'atteggiamentodel soggetto, nessuno può essere di norma obbligato a donare. La scelta delsoggetto è determinante. Le istituzioni possono solo favorirla, ma la categoria àla Mauss dell'obbligo sociale della volontarietà, è quanto mai improbabile, anchese non impossibile, nelle società contemporanee. Le relazioni sociali in cui ladonazione è incorporata possono dirci poco, in questa sfera dell'azione volontaria.Cosa fa scattare nel soggetto la disponibilità a donare senza reciprocità, quello chedi norma accade nella donazione di sangue senza identificazione del ricevente?Certo le istituzioni possono favorire questi comportamenti (cfr. la nota 10 delcap.1), ma non oltre una certa misura se non a rischio di snaturare il carattere didono.

Diventa necessario rifarsi a qualcosa di simile a quella morale generale cheGranovetter escludeva in quanto segnale di una concezione ultra-socializzatadell'uomo. Una morale che richiama il the right to give della ricerca di Titmuss:"..noi crediamo che la politica ed i suoi processi dovrebbero mettere in gradol'uomo di essere libero di scegliere di dare ad estranei sconosciuti. Nondovrebbero essere coartati o costretti dal mercato [...] La nozione di diritti sociali-un prodotto del ventesimo secolo- dovrebbe perciò includere il 'Right to Give'con mezzi materiali e non materiali" (1971, p.242). E' questo un diritto chedefinisce e traduce una libertà, la libertà di dare a estranei, ovvero di donare. E, inquesta prospettiva, la libertà di donare o no sangue è certamente superiore aquella di venderlo o meno.

Non è diversa quella considerazione delle libertà individuali (positive enegative, nella accezione di Berlin) dall'ottica del social commitment che hasostenuto Amartya Sen (1990) nelle sue riflessioni sulla povertà, la fame,l'analfabetismo nel mondo. Una proposta che mira ad introdurre nell'ambitodella riflessione etica sulle libertà, aspetti come quelli della povertà che, in quantonon costituenti di per sè una violazione delle libertà negative, non sono statinormalmente ricompresi entro queste riflessioni. Da questo punto di vista ilperseguimento delle libertà positive delle categorie o dei soggetti menoprivilegiati, potrebbe fare parte di quella "libertà di agency", ovvero di perseguiregli obiettivi a cui si aspira, che dovrebbe sempre affiancarsi anche alla libertà di"well-being" (Sen,1992, pp.85-86). Ma è anche una visione che si ricollega aquegli obblighi morali richiamati da Etzioni, nella presentazione di quella cheviene addirittura una nuova scienza sociale (la socio-economics), e che nonavrebbero una semplice influenza sulle transazioni, bensì la capacità di interdiretalvolta "certi comportamenti di scambio e certe tendenze di mercato" (1990,p.20).

12 Si ha adverse selection, in "situazioni nelle quali un lato del mercato non è in grado di

osservare il 'tipo' o la qualità dei beni offerti. Per questo è spesso descritta come unproblema di informazione nascosta" (Varian, 1990,p.562). In questi casi i beni aqualità scadente tenderebbero ad escludere quelli di buona qualità, proprio a causadell'elevato costo da sostenere per ottenere le informazioni sulla qualità.

I passaggi fra le forme di allocazione 23

La consistenza teorica, nelle scienze sociali, di questi "diritti", di queste"libertà", di questi "obblighi" resta invero piuttosto incerta. Configurano forse,per rifarsi a rappresentazioni forzate ed anche abusate, un homo sociologicuscontrapposto ad un homo oeconomicus? E se è così quale fra le strade proposteda Elster (1995, p. 142) dovremo seguire per affrontare e gestire lacontrapposizione fra i due paradigmi ? La strada eclettica, secondo la qualealcuni ordini di comportamento sono interpretati meglio da una teoria delle normesociali ed altri dalla teoria della razionalità economica? La strada delriduzionismo economico, secondo la quale tutti gli ordini di azione sonoriconducibili negli ambiti del comportamento razionale? Oppure la stradadell'opposto riduzionismo, seguendo la quale si sosterrà che la razionalitàeconomica non è che il frutto di una particolare norma sociale, nell'ambito di unaparticolare, non generalizzata, cultura? La prima strada forse è più confacente aqueste riflessioni; la seconda si rivela aspra e stretta, certo impraticabile per ilmodello polanyiano; la terza è quella che Polanyi stesso con buona probabilitàavrebbe scelto, ma essa conduce troppo verso il passato e non verso il futuro. Nonanticipo comunque dei percorsi, quelli che conducono dall'attore verso leistituzioni, che si affronteranno nel corso del III capitolo.

5. Successioni e compresenza delle forme: alcuni esempi

Le diverse modalità di passaggio fra le forme di integrazione (e di allocazione)e la loro spiegazione, lo si sarà notato, costituiscono di certo uno dei campi diapplicazione più stimolanti per i modelli delle scienze sociali rivolti allo studiodei fatti economico-sociali. Specie quando si abbandonano i determinismi sempreincombenti dai due principali versanti della contesa, da una parte quello socio-antropologico, per il quale le forme di integrazione sono imposte dalle situazionistrutturali e culturali ben determinate storicamente, dall'altra quello di naturaeconomica, per il quale le differenti forme non sono altro, in ultima istanza, cheun frutto di una mentalità economica pre-esistente rivolta a ricercare una risposta"economizzante" (se non ottimizzante) a particolari problemi di allocazione.

Il modello polanyiano incorre talvolta nella prima trappola deterministica,purtroppo molte soluzioni proposte in modo implicito o esplicito per forniresoluzioni ai suoi limiti ricadono nella trappola opposta. Forse proprio per questoil modello, la sua applicazione, la scoperta dei suoi limiti, il suo parzialesuperamento, costituiscono delle occasioni preziose per la riflessione dellescienze sociali. Un suo insegnamento resta più che mai attuale: l'invito aconsiderare le transazioni, o le allocazioni, di beni e servizi innanzitutto dal puntodi vista sostanziale, solo da questo punto di osservazione, in un momentosuccessivo sarà possibile cogliere le specificità istituzionali entro le quali letransazioni avvengono. La riflessione tipica, standard, degli economisti,collocandosi subito dal punto di vista formale è portata a sottovalutare lespecificità istituzionali, compiendo così uno dei più straordinari processi direificazione degli schemi teorici di tutta la non breve storia delle scienze

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economico-sociali. Se anche la distinzione polanyiana fra economia sostanziale eformale (v. il parag. 6 del capitolo 1) si limitasse a questo invito, essa meriterebbedi certo una posizione di rilievo nel corridoio delle scienze sociali. Ma ledomande che restano senza risposte sono molte. Perchè si affermano le condizioniistituzionali che permettono l'operare di una forma di integrazione piuttosto diun'altra? E soprattutto perchè queste condizioni decadono? Ma anche perchè essepossono convivere forme diverse? Quali le relazioni fra attori e istituzioni? Qualile possibilità di scelta lasciate agli attori? E così via.

Prima di proporre, nel capitolo successivo, dei possibili percorsi di riflessione,sui quali iniziare a rispondere a queste domande, può essere interessantepresentare alcuni contributi che, in modo più o meno diretto, hanno affrontato iltema dei passaggi fra le forme, o delle combinazioni fra di esse. Nessuno forniscesoluzioni sicure, ma fra suggerimenti ed incertezze qualche passo in avanti saràpermesso, soprattutto nella identificazione della dimensione concreta deiproblemi. Una dimensione che, una volta lasciati alle spalle i grandi esempipolanyiani delle società primitive o arcaiche, rischiava di essere di contornipiuttosto incerti. In alcuni di questi contributi le forme di integrazione (e diallocazione) saranno proposte sotto la accezione più estesa delle forme diregolazione, ma questa utilizzazione metaforica del modello polanyiano non è diper sè inutile o abusiva. Talvolta i costi di transazione compaiono comestrumento interpretativo prevalente, e di questo, vista la duttilità dello schema,non c'è da soprendersi. Gli aspetti legati ai modelli decisionali degli attoriinizieranno a mostrare la loro importanza, senza peraltro anticipare leimplicazioni che saranno esaminate nel cap. III.

Il primo esempio, nasce da una riflessione che io stesso ho condotto nel campodei criteri e delle forme di regolazione nelle relazioni industriali (Cella, 1987).L'oggetto della transazione sono in questo caso i carichi e i ritmi di lavoro, nonchèle più generali regole di esecuzione dei compiti lavorativi . Nel linguaggio dellaeconomia neo-istituzionalista può essere considerato come un problema didefinizione e di applicazione di un diritto di proprietà come il diritto didisposizione del (proprio) lavoro. Una opportuna (per non usare il termineefficiente) definizione di questo diritto è una condizione necessaria per laconduzione delle relazioni di lavoro, e delle transazioni ad esse connesse, quellesalariali in primo luogo. In una situazione di professionalità elevata e diorganizzazione pre-taylorista, ovvero nella fase dove domina la figura dell'operaiodi mestiere, risulta di fatto impossibile una contrattazione collettiva dell'impegnolavorativo condotta secondo criteri di mercato. L'autonomia professionale deglioperai è molto elevata, di conseguenza troppo elevati sono i costi di transazioneda sostenere da parte delle imprese per la definizione dei carichi e dei ritmi dilavoro. La regolazione viene affidata alle leghe di mestiere, nell'ambito di criteriauto-regolati, guidati dalla tradizione della comunità, o della aristocrazia, deglioperai professionali.

Con la meccanizzazione, l'introduzione delle macchine specifiche, laproduzione di massa e la connessa organizzazione taylorista, diventa possibiledefinire questi impegni (e questi diritti), e ridurre gli eventuali spazi di

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opportunismo della forza-lavoro operaia, con costi di transazione minori13. Siafferma così la contrattazione collettiva, fondata su criteri di mercato, sia pure nonpiù del mercato della concorrenza atomistica, ma della concorrenza organizzata.Carichi, ritmi, tempi, modalità esecutive sono definite per gran parte in viacontrattuale, ed in ultima istanza i criteri di regolazione sono quelli derivanti dallasituazione di mercato. Quando come negli ultimi due decenni si diffondononell'organizzazione del lavoro, in collegamento soprattutto alla introduzione dellenuove tecnologie dell'informazione, esigenze di prestazioni di lavoro flessibili, lastessa contrattazione definitoria e di taglio rigidamente normativo diventa costosaed inefficace. In specie quando emergono nella produzione pressanti obiettivi diqualità. Possono così affermarsi criteri di regolazione di tipo associativo (perutilizzare la quarta forma proposta da Streeck e Schmitter), attraverso unacontrattazione fondata in ampia parte sulla cooperazione e sulla concertazione.Una contrattazione nella quale prevale la gestione del processo rispetto alladefinizione degli istituti14. In questo esempio il determinismo tecnologicosembrerebbe sostituirsi a quelli di altra natura più sopra ricordati; in effetti gliadattamenti nelle forme istituzionali della transazione di lavoro non avvengono inmodo immediato, bensì attraverso le capacità decisionali (ed i modelli cognitivi)degli attori collettivi (imprese e associazioni sindacali).

Il secondo esempio riguarda la protezione sociale,il welfare, ovvero lasituazione che costituisce il luogo ideale per la applicazione del modellopolanyiano e la verifica delle sue potenzialità descrittive e interpretative. Siricorderà come, secondo Polanyi, alla radice delle diverse forme di integrazionefra economia e società esistono soprattutto le esigenze di difesa della societàdall'economia, intesa come scambio di mercato secondo criteri di autoregolazione,e cioè non dipendenti da criteri sociali o politici. E questo dalle polis della Greciaantica , alle città medievali, fino ai tentativi di limitare e correggere ilfunzionamento del mercato per quelle tre merci "atipiche" (lavoro, terra, moneta)che più hanno la capacità di influenzare, ed anche di vulnerare, gli assetti e gliequilibri sociali. In questa visione,quasi in questa personificazione della società inattore che si difende, risiede buona parte della visione olistica di Polanyi. Daquesto punto di vista il welfare rappresenta proprio, in ultima istanza, le diversemodalità con le quali le società industriali si sono protette, per motivi ideali edanche opportunisti, dal funzionamento libero ed indiscriminato del mercato.

Sotto altri aspetti il welfare identifica un insieme di beni e servizi che possonoessere allocati secondo diverse forme di allocazione o, meglio, secondo delle 13 Sulla interconnessione fra costi di produzione e costi di transazione insiste North

(1994,pp.102-103), che ricorda come il processo di sostituzione di forza lavorodequalificata a quella ad alta qualificazione aveva come ragione la riduzione delpotere contrattuale degli operai professionali, un potere che poteva avere effetti didisarticolazione strategica del processo di produzione nelle nuove condizionitecnologico-organizzative della produzione di massa.

14 Su questi temi si veda anche Streeck (1986). Pur non usando lo strumento analitico deicosti di transazione, l'autore perviene a conclusioni simili. Tuttavia resta stranamentenon esplicitato il collegamento con il modello a quattro forme proposto nel saggiosteso in collaborazione con Schmitter. Sulla diffusione di questi criteri nellacontrattazione collettiva in Italia si veda Negrelli (1985).

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combinazioni (dei mix) particolari delle tre (o quattro) forme. Il primo aspetto sipresta ad essere analizzato in specie dal punto di vista diacronico, il secondo daquello sincronico. Questo non senza intersecazioni di ottiche, visto che nessunaforma di allocazione riesce a prevalere in modo esclusivo od esaustivo, anche seciascuna fornisce il carattere tipico a ciascuna fase storica.

E' nella riflessione di Massimo Paci che si ritrova in modo esplicito l'adozionedel modello polanyiano, insieme alla consapevolezza dei suoi limiti:"L'introduzione dell'ipotesi che il concreto assetto storico dei sistemi nazionali diprotezione sociale dipende dall'interazione di tre differenti meccanismi diallocazione delle risorse e il rifiuto di una visione acriticamente evoluzionisticapongono il problema di una teoria del cambiamento delle istituzioni di protezionesociale" (1989, p.35). Le domande di Paci sono proprio quelle che ci si staponendo nel corso di questo capitolo. Come spiegare gli "slittamenti di confine"fra le tre forme ed anche la particolare combinazione che si presenta fra diesse15? Anche questo autore rileva la staticità del modello polanyiano, e diconseguenza è d'obbligo il riferimento a North ed alla sua proposta diutilizzazione dei costi di transazione per spiegare le successioni, o le diversecombinazioni fra le forme. Tuttavia, tale proposta non attrae molto Paci, chepiuttosto intende rifarsi ad altri autori , come Hirschman (per una interpretazionedi tipo ciclica) e Weisbrod (per i caratteri e le potenzialità del "terzo settore"),sui quali mi soffermerò anch'io poco oltre. Senza una categoria esplicativa comei costi di transazione, resta difficile comunque render conto , anche in modoappena convincente, sia delle successioni che dei particolari mix. Eppure ilcontributo di Paci resta di grande rilievo per le immagini che esso fornisce e per isuggerimenti di ricerca che propone.

L'immagine di un "ciclo di lungo periodo" dei sistemi di welfare, avanzata congrande cautela (come ipotesi di lavoro) da Paci, è certo affascinante ed in qualchemodo potrebbe costituire la meta interpretativa da privilegiare, una volta che siabbandonano gli schemi di tipo evolutivo. L'immagine del ciclo ne richiamaun'altra, quella delle "onde lunghe". Onde che si succederebbero con durata diparecchi decenni e che sarebbero rilevabili con particolare evidenza nellaesperienza inglese (onde che Paci rappresenta in una efficace rappresentazionegrafica, p.71). Una esperienza che, nel XIX secolo, sarebbe passata attraverso trediverse fasi, corrispondenti a tre diverse combinazioni delle tre forme: nella prima(fino alla crisi del sistema di Speenhamland) una combinazione di trasferimentimonetari pubblici alle famiglie, con il mantenimento delle istituzioni tradizionali,aveva cercato di fare fronte alla crescente domanda di assistenza; nella secondalo stato si sarebbe in buona parte ritirato, limitandosi ad un ruolo residuale,lasciando spazio alle iniziative in espansione del mercato, dei servizi privati; apartire dalla metà del secolo riappaiono le forme di tipo volontaristico-solidalein collegamento con la affermazione dell'associazionismo sindacale, ma questeforme (a differenza dalla Prussia bismarckiana) resteranno prive del sostegno

15 Nell'ambito polanyiano sul tema del welfare mix, definito come la produzione di cure

e di sicurezza che si realizza attraverso un sistema di relazioni entro i tre attoriprincipali delle politiche sociali (lo stato, la sfera domestica, il mercato), cfr.Lesemann, 1990.

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statale (1989, pp.58-59). Bastano questi brevi richiami per fare risaltare l'interessedell'esempio, che si ritrova pressochè immune da determinismi. Saranno proprioi temi del welfare a rappresentare un terreno privilegiato per la applicazione dinuovi meccanismi interpretativi, costruiti a partire dalle relazioni fra attori eistituzioni.

Sempre nell'ambito dell'esempio del welfare, di grandi interesse si rivelano icontributi degli autori che hanno approfondito le ragioni e le logiche di uncosiddetto "terzo settore", da affiancare alla forma di allocazione politica e aquella di mercato. In questa area di riflessione gli sforzi di ricerca sono andaticrescendo nel corso degli ultimi due decenni, specie in coincidenza con lamanifestazione di crisi del welfare pubblico e con il sensibile e generalizzatoespandersi della allocazione di mercato e delle sue logiche (il processo diprivatizzazione su cui mi soffermerò nel cap. IV di questo volume).

Fra questi sforzi meritano in particolare di essere considerati i contributi diBurton Weisbrod (1977 e 1988), l'economista che forse più di altri ha saputodedicarsi in modo lucido e chiaro all'argomento. Le sue riflessioni si prestano siaper verificare la plausibilità della tesi di cicli di lungo periodo, sia per sondare leragioni della presenza contemporanea delle tre (o quattro) forme di allocazione,una presenza che conferma comunque la non applicabilità di schemi analitici ditipo evolutivo. Nel primo contributo (quello del 1977) Weisbrod introduceinnanzitutto il problema delle diverse categorie di beni allocabili in modoefficiente entro le diverse forme di allocazione, ovvero beni privati e beni pubblicinonchè i sostituti dei primi e dei secondi. Propone poi un "potenziale motivorazionale" per lo sviluppo di "soluzioni organizzative differenti" rispetto almercato e alla politica: la dimensione relativa di un terzo settore sarà "funzionedella eterogeneità della domanda" (1977, p.59). Quando la domanda di beni eservizi si rende più eterogenea (ad esempio per cambiamenti nella composizioneper età, o nella identità delle classi sociali) il soddisfacimento della domanda delcosiddetto "votante mediano" condurrà all'aumento di situazioni di sovra e sotto-soddisfazione. E tutto ciò in situazioni nelle quali sono limitate le capacitàpolitiche di correzione dei fallimenti del mercato prefigurando così veri e proprifallimenti della politica (cfr. Busana e Cella, 1984). Resta incerta tuttavia lapossibilità di estensione del modello di Weisbrod per beni differenti da quelli diwelfare (ad esempio...). Anche la natura che assume nel modello il terzo settore(privato nonprofit) rappresenta un problema per la sua genericità, per la sua naturaibrida e per la sua costituzione quasi come categoria residuale. Una categoria benpiù ampia di quella polanyiana della reciprocità. Una categoria che, come tale,rende più agevole, meno eterogeneo, o alternativo, pensare alla sua competizionecon le forme del mercato e della politica.

Nell'opera successiva Weisbrod (1988) affina notevolmente il suo modello,specie dal punto di vista della analisi istituzionale. Le ragioni che possonospiegare l'esistenza di un settore nonprofit sono ritrovate soprattutto nelle suecapacità di risolvere problemi di asimmetria informativa. Lo spostamento delfuoco dell'analisi da aspetti sociali (esogeni) come l'eterogeneità della domandaad aspetti istituzionali interni alle forme organizzative è evidente, ed in parteimputabile allo sviluppo dell'economia istituzionale, ma le due ottiche possonoconvivere. Colpisce anche in questo caso, ma ormai dovremmo esserci abituati, la

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totale dimenticanza della riflessione di Polanyi. Colpisce specie per un autore cheinizia la sua analisi istituzionale con queste parole: "Ogni società compie dellescelte sulle forme istituzionali su cui potrà contare per il raggiungimento dei suoifini socio-economici" (p.5). Certo non ci si può meravigliare allora della ingenuitàdi affermazioni come le seguenti: "Le origini di organizzazioni che non sono nègovernamentali nè orientate al profitto sono oscure. Quali che siano state lemotivazioni per il loro sviluppo, esse devono essere in giro da secoli" (p.4). E' unaingenuità in cui incorrono quanti non si accorgono di stare sulle spalle dei giganti(per riprendere la famosa metafora utilizzata da Merton). Ma tant'è. Il contributodi Weisbrod resta comunque di grande utilità.

Il tema delle asimmetrie informative, come già ricordato, è al centro dellariflessione di Weisbrod. Le diverse forme istituzionali (e le corrispondenti formedi allocazione), presenteranno delle diverse capacità di risoluzione di questeasimmetrie. Quando i consumatori avranno un buon livello di informazionerispetto agli offerenti beni e servizi, la performance più efficiente sarà quella delloscambio di mercato. Quando le informazioni sono asimmetriche (ad esempio nellecure mediche di lunga durata), la necessità di sconfiggere il possibileopportunismo degli offerenti, renderà più efficiente l'offerta pubblica o quella delsettore nonprofit.

Il secondo tema riprende quella eterogeneità della domanda che era al centrodel contributo del 1977, e che fornisce elementi per spiegare in talune situazionil'affermarsi del terzo settore nei confronti dell'offerta pubblica di beni e servizi.Esso sarà più sviluppato in quei paesi di immigrazione, come gli Stati Uniti, dovesono più spiccate le diversità etniche, culturali, religiose. Il terzo tema, piùscontato, riguarda la stretta relazione esistente fra la fonte di reddito (ad es.vendite, tasse, donazioni) che alimenta il settore e la natura dei suoi outputs, inbeni o servizi. Il quarto tema, infine, riguarda la interdipendenza, competitiva ocomplementare, fra i settori (e le forme di allocazione); il terzo settore dipenderàcosì dalla politica fiscale dei governi, che può incentivare più o meno ledonazioni. Ma dipenderà anche dalle relazioni con il mercato quando deciderà dicompetere con questo (ed entro questo) alla ricerca di fonti ulteriori difinanziamento per le proprie attività. Lontana è da Weisbrod, comunque, l'ideache le scelte sociali avvengano con esclusive logiche di massimizzazionedell'efficienza: "la scelta sociale è raramente fra usare l'una o l'altra formaistituzionale per fornire un particolare, omogeneo, prodotto ad un gruppospecifico di consumatori; essa è, piuttosto, la scelta fra il provvedere differentioutputs o il provvedere lo stesso output a gruppi diversi di utilizzatori"!987,p.19). Una evidenza di ciò può essere ritrovata nella maggiore disponibilitàdelle organizzazioni nonprofit, poniamo nella sanità, a rispondere con delle listed'attesa piuttosto che con un innalzamento dei prezzi ad un eccesso di domanda.E' questo, si può aggiungere, che rende problematico l'uso del meccanismoesplicativo dei costi di transazione (ricordato da Weisbrod solo in una breve nota).

Questa riflessione e questo schema analitico sono di evidente utilità per lasoluzione dei problemi dinamici posti dal modello polanyiano, sia di ordinediacronico che sincronico. Ai primi risponde il percorso della composizionedella domanda di beni e servizi, e specie del suo grado di eterogeneità incorrispondenza al sistema di differenze sociali, etniche, culturali (su questi aspetti

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tornerò nel cap.IV). Ai secondi risponde il percorso delle asimmetrie informative,e delle differenti capacità di riduzioni permesse dalle tre forme di allocazione.

Un terzo esempio non riguarda tanto un fenomeno storico-sociale benindividuato almeno nei suoi aspetti descrittivi, come il succedersi di differenti stilidi regolazione nella contrattazione collettiva o l'alternarsi delle forme diallocazione o la loro com-presenza nel campo del welfare, quanto delle grandiimmagini evocative, dai contorni indeterminati e tuttavia dense di capacitàinterpretative. Mi riferisco a quei grandi cicli di coinvolgimento generalizzato nelpubblico o nel privato di cui parla Hirschman nel suo Shifting Involvements(1982), che presentano fra l'altro l'opportunità di collegare in modo non consuetola sfera dei giudizi e delle preferenze individuali con quella degli assetti macro-istituzionali. Come tali questi cicli, o queste ondate, essendo categorie più incertee comprensive, riguardano solo indirettamente le nostre forme di integrazione frasocietà ed economia con i corrispondenti criteri di allocazione. Ma il rilievo per ildiscorso che qui viene condotto è indubbio, come lo può dimostrare la vicendadella società industriale nel mezzo secolo che segue alla fine della seconda guerramondiale. Certo le fasi hanno più a che fare con i fenomeni di comportamentocollettivo che con le forme di allocazione, tuttavia a cambiamenti generalizzati sulprimo fronte si accompagnano quasi sempre anche trasformazioni nel secondo. Equesto è un buon punto di partenza.

Lo sforzo di Hirschman è innanzitutto di carattere teorico, e riguarda le ragioniesplicative dei cicli: "La costruzione di qualsivoglia teoria dei cicli delcomportamento collettivo deve affrontare un compito difficoltoso. Per essereconvincente una tale teoria deve essere endogena: ossia occorre mostrare che unafase deriva necessariamente dalla precedente (dalle sue contraddizioni, per usareil linguaggio marxiano)..."(1983, p.8). Allo stesso mondo procedono le teorie suicicli di attività economica che cercano di dimostrare come le fasi di recessione odi crollo derivino sempre dalle precedenti situazioni di espansione o di boom (eviceversa). In altre parole una teoria sociale dei cicli richiederebbe unacorrispondente teoria dell'equilibrio, ma nulla di paragonabile agli schemi dellateoria economica è disponibile nelle discipline sociali. Da qua anche la grandecautela di Paci nel parlare di cicli lunghi nel campo delle attività di welfare. Legrandi cause di mutamento storico si qualificano quasi sempre come esogene, ameno che anch' esse siano riconducibili a cause interne, e questo è abbastanzararo. D'altronde, per definizione, il ciclo richiede ripetibilità, un caratteredifficilmente riscontrabile nei fattori esogeni di mutamento. Sono chiarimentiteorici che per alcuni aspetti si ricollegano alle affermazioni condotte più sopra(parag.3), in merito alla opportunità di ritrovare meccanismi esplicativi degliaspetti dinamici del modello polanyiano che siano in grado di render contocontemporaneamente dei mutamenti diacronici e di quelli sincronici. E questimeccanismi risulteranno in buona parte di origine endogena.

L'endogenità è ritrovata da Hirschman nella sfera micro per eccellenza, ovveroin quella psicologica individuale, ed in particolare nei meccanismi delladelusione. Il cambiamento del coinvolgimento nel pubblico o nel privato saràfrutto dell'alternarsi di ondate di delusione nei confronti dell'uno o dell'altroambito, originate in specie dal divario fra aspettative e realtà. Il ricorso alla sferaindividuale pone comunque problemi nella considerazione della sfera aggregata.

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Cosa assicura che nell'aggregato non ci siano delle dimensioni costanti delladelusione dato che i singoli cittadini-utenti potrebbero essere coinvolti a turno neiprocessi di delusione? Di questo problema è consapevole lo stesso Hirschman(p.18), che suggerisce in proposito come nuove esperienze generalizzate diconsumo (ad esempio la diffusione di beni di consumo durevoli) potrebberocondurre a variazioni sensibili nella delusione "aggregata". Ma così facendo,ammette l'autore, si fa leva sul mutamento eccezionale, esogeno, proprio quelloche rende arduo il parlare di cicli. Da questa impasse non si esce, ed è proprioquesto che conferma la necessità della cautela nell'evocare fenomeni ciclici dialternanza pubblico-privato. Tale limite non pregiudica in tutto il meccanismoesplicativo proposto da Hirschman, che si addentra nella forza e nella debolezzadei desideri per confermare la validità di una famosa osservazione di G.B.Shaw:"Vi sono due tragedie nella vita. Una è di non ottenere ciò che il vostro cuoredesidera. L'altra è di ottenerlo" (1983, p.66).

Dal contributo di Hirschman vengono inoltre due suggerimenti importanti peril discorso qui condotto, ovvero per la ricerca di soluzioni ai problemi posti dagliaspetti dinamici del modello polanyiano. Sono entrambi suggerimenti che ciconducono verso i temi che saranno oggetto tipico del prossimo capitolo, cheriguardano cioè le relazioni micro-macro, ed anche la dimensione cognitiva deimutamenti nelle forme istituzionali. La prima riguarda la possibilità che icambiamenti, i passaggi, le successioni nelle forme (e nei principi) di allocazionesiano interpretabili come frutto di cambiamenti nelle "metapreferenze", con unrichiamo esplicito ai "sistemi di preferenze metaordinate" di Sen, o alle "volizionidi secondo ordine" di Frankfurt (p.78). La seconda, richiama la possibilità checosti di transazione negativi , ovvero situazioni nelle quali i soggetti accentuano ilvalore dei benefici e sottovalutano i costi dei corsi di azione, possano spiegare ipassaggi fra pubblico e privato, e dunque fra le forme istituzionali corrispondenti.Sono situazioni nelle quali opera un "effetto di rimbalzo" da esperienze precedentisegnate da delusione (1983, p.88). Anche questa è una obiezione non di pococonto, alla prevedibilità ed automaticità del meccanismo dei costi di transazione.

6. Qualche conclusione sulle ragioni di passaggio e questioni aperte

Si sarà visto come tutti i contributi teorico-interpretativi sopra ricordatipresentino non pochi apporti costruttivi per la risoluzione del nostro "problemapolanyiano": ovvero la risposta ai quesiti posti dalle relazioni dinamiche nelmodello. E' quello che abbiamo definito il problema dei "passaggi" fra le forme,sia nel senso diacronico che in quello sincronico. Un problema che dovrebbeessere risolto, per molti aspetti, in modo omogeneo. Ovvero ricercando soluzioniche abbiano qualcosa da dire per entrambi i sensi di passaggio, o di mutamento.

I meccanismi interpretativi che più si sono avvicinati alla soluzione sonocertamente quelli derivanti dal modello dei costi di transazione, così comepresentato nei contributi dell'economia neo-istituzionalista. Nella accezione chelegge questi costi soprattutto come costi di informazione (North), una ragione

I passaggi fra le forme di allocazione 31

prevalente dei passaggi fra le forme di integrazione dell'economia (e diallocazione) sarebbe la possibilità di riduzione dei costi permessa nel passaggioda una forma all'altra. Ovvero, visto dall'altro lato, le possibilità di praticabilità dialcune forme (ad esempio il mercato) sono innalzate dalla discesa sensibile deicosti di transazione. Ma come si valuteranno questi costi? Come si apprezzerannole costrizioni informali (ad es. di origine culturale)? Queste ed altre domande sipongono, e le risposte sono ancora incerte.

In effetti, il modello dei costi di transazione nel momento nel quale si ponenella "giusta" direzione, ovvero la considerazione delle istituzioni socialiall'interno della riflessione economica, propone un meccanismo esplicativo diindubbia eleganza dal punto di vista della teoria economica, ma in parteinadeguato e talvolta "inesplicabile" nel campo della teoria sociale. Lo ha notatoefficacemente Carlo Trigilia (1989, p.153), riconoscendo che l'approccio dei costidi transazione "finisce per utilizzare un modello analitico atemporale, a elevatageneralizzazione, che comprime le possibilità di valorizzare pienamente levariabili sociali ". Uno strumento che rende conto solo in parte della variabilitàspaziale e temporale delle forme di allocazione e di integrazione fra economia esocietà.

Il modello dei costi di transazione è in primo luogo difficilmente applicabilenei casi nei quali le attività, i beni o servizi, le transazioni in generale, cambianodi natura passando da una forma all'altra. E questi sono di certo cambiamentirilevabili a fatica dalla teoria economica. Ma il modello mal si adatta anche neicasi nei quali è in gioco la spontaneità della scelta dell'attore. Lo si è visto nelcaso delle transazioni solidaristiche a favore di estranei. Il modello acquista quasiun significato paradossale, infine, nei casi nei quali diventa possibile parlare ,come suggerisce Hirschman, di "costi di transazione negativi".

In tutti e tre i casi la teoria sociale ed anche l'approfondimento dei modellicognitivi degli attori dovranno venire in aiuto del meccanismo esplicativoderivante dai costi di transazione. In altri casi il meccanismo non sarà forzabilepiù di tanto, e diventerà necessario rifarsi ai cambiamenti nelle meta-preferenze,più o meno derivanti da obblighi morali e sociali. In ogni caso quello che è ingioco è l'automaticità del mutamento innescato dalla spinta dei costi ditransazione. Fra la spinta ed il cambiamento esiste comunque un attore, con i suoimodelli di percezione dei problemi ed i suoi spazi di decisione. E qua si entra giànei contenuti del prossimo capitolo.

Dai contributi di riflessione (di Weisbrod soprattutto) sulle diverse modalità diallocazione nei beni di welfare abbiamo anche tratto l'importanza della spinta deimutamenti nella composizione della domanda derivanti da nuovi rapporti enuove esigenze di equilibrio nelle strutture sociali e culturali. Da questa spintanasceranno passaggi fra le forme di allocazione, ma anche ridefinizioni deiconfini fra le stesse. Di questo ci si occuperà nel capitolo IV. Per il momento ilpercorso è tracciato, a partire da un modello , quello polanyiano, che ci si èconfermato nella sua validità interpretativa, ed anche evocativa.