I papi del Novecento

La storia del cristianesimo non coincide con la storia della Chiesa, né con la storia del papato e neppure con quella dei dogmi.La storia del cristianesimo comprende lo studio dei movimenti di spiritualità, dei linguaggi e delle mentalità con cui le varie generazioni di cristiani hanno cercato di vivere e di esprimere la fede in Gesù Cristo.

Eppure, la storia dei papi, soprattutto quelli del sec. XX, può indicare e riassumere le grandi linea della storia del cristianesimo contemporaneo. Questo perché negli ultimi secoli, e specialmente nel Novecento, si è accresciuta nella pubblica opinione la tendenza a identificare la Chiesa con il papa. Il fenomeno ha varie ragioni, non ultima la grande esposizione mediatica degli ultimi pontefici.

Con la propria personalità, il suo bagaglio culturale, le sue esperienze di vita e i suoi orientamenti magisteriali, ogni pontefice ha segnato in modo particolare il nostro tempo, soprattutto nei Paesi dove il cattolicesimo ha radici antiche.Quindi conoscere queste figure è un modo per conoscere meglio anche la Chiesa e la storia del cristianesimo del Novecento, benché non siano del tutto sovrapponibili.

Il ministero petrino. Questione teologica

A partire dal III secolo e in modo organico dalla metà del V secolo con Leone Magno e Gelasio, il primato del vescovo di Roma viene fondato con il richiamo all’apostolo Pietro.

Morto a Roma durante la persecuzione di Nerone, tra il 64 e il 67 d.C., nella capitale dell’Impero ha svolto il compito affidatogli da Gesù di testimoniare il vangelo e di tenere uniti i fratelli nella fede. I suoi successori ne ereditano la funzione di guida del “collegio apostolico”.

Da 15 secoli questa tesi sta alla base della dottrina del papato, supportata dal riferimento al testo di Mt 16,18: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa… A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Da parte cattolica si è spesso interpretato questo testo quasi esso prevedesse, o contenesse in anticipo, tutto quello che la storia successiva svilupperà circa il concreto esercizio del vescovo di Roma.Da parte protestante si ne è minimizzata la portata contrapponendogli un altro testo (Mt 18,18) dove il potere di “legare e sciogliere” è concesso a tutti gli apostoli e non soltanto a Pietro.

La storia dei papi

Dal punto di vista storico, nel corso dei secoli il papato ha assunto forme molti diverse. Dopo il riconoscimento del ruolo particolare della comunità cristiana di Roma dove avevano reso la loro testimonianza Pietro e Paolo, dopo che l’imperatore Costantino ebbe trasferito la sede imperiale in Oriente lasciando ampi spazi di autonomia al vescovo di Roma che diventa l’unico patriarca d’Occidente e che talvolta deve occuparsi anche di politica sociale e di proteggere la popolazione indifesa, verso la metà del V secolo, con Leone Magno, si raggiunge una prima definizione del papato.

Altro elemento che consolida questa teoria è quel “patrimonium Petri”, sostenuto da una presunta donazione di Costantino a papa Silvestro, in realtà formatosi in base a donazioni, che nell’VIII secolo, con l’aiuto dei Franchi, si trasforma in Stato della Chiesa. Il papa fa così il suo ingresso nel mondo della politica acquisendo anche un potere temporale, entrando spesso in conflitto con il potere dell’imperatore.

Con la Rivoluzione francese e l’impero napoleonico, il papato sembrava giunto al tramonto. Invece, con il XIX secolo il papato segna una riscossa e sopravvive all’Ancien Régime. Con la perdita del potere temporale, nel 1870, il papato prende una forma nuova.

L’ultramontanismo del sec. XIX

Il termine, originariamente geografico, di ultramontanusdesigna chi abita al di là dei monti (le Alpi).Dal sec. XVIII furono definiti ultramontani i giuristi che davano valore supremo alle disposizioni emanate dal Vaticano. Questi canonisti filopapali si contrapponevano a quelli di orientamento giuseppinista o gallicano, che difendevano la relativa autonomia dei vescovi e delle chiese locali rispetto a Roma. Ultramontano assunse una valenza spregiativa, quasi sinonimo di oscurantista, papista. Oggi il termine designa in senso generale il cattolicesimo romano dell’Ottocento e della prima metà del Novecento.

Dopo la presa di Roma del 1870,papa Pio IX fu considerato

“prigioniero” dello Stato italiano

Rafforzati dalle tesi ultramontaniste, i cattolici di Francia, Germania, Inghilterra e Italia, si allinearono alle posizioni del Vaticano e respinsero le tesi dei governi liberali, che non solo volevano una netta separazione tra Stato e Chiesa, ma si opponevano al ruolo pubblico della Chiesa, considerandola una semplice organizzazione privata.

Tra i cattolici si fecero strada due tendenze: 1) i cattolici liberali, provenienti da un’élitecolta di estrazione aristocratica e borghese: essi aspiravano a conciliare Chiesa e democrazia;2) I cattolici intransigenti (ultramontani), di estrazione più popolare, decisi a rivendicare per la Chiesa un profilo pubblico, con la possibilità di agire a livello sociale e politico.

Mentre studi datati sottolineano il carattere verticistico del movimento ultramontano e il ruolo di direzione attiva assunto dal papato, dai nunzi e dagli Ordini religiosi dotati di un’organizzazione centralistica – come i Gesuiti – ora la storiografia evidenzia meglio la sua natura democratico-populista, che precede e si sviluppa indipendentemente dalla politica vaticana. Questi cattolici si richiamano a motivazioni di fede, sostengono la partecipazione dei laici e denunciano la debolezza dei vescovi.

Il papato nella seconda metà dell’Ottocento

Alla fine degli anni Sessanta del XIX secolo in vari paesi europei prende forza un movimento anticattolico che attacca la religione, la Chiesa e soprattutto il papato.

In Italia i governi liberali perseguono una politica anticlericale, che priva la Chiesa di gran parte dei suoi beni, chiude molti conventi incamerandone i possedimenti, laicizza la scuola e, dal 1870, priva il papato del suo potere temporale, annettendosi anche Roma, con la battaglia di Porta Pia del 20 settembre.

Pio IX è papa dal 1846. Dopo aver proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria nel 1854, nel 1864 emanò il Sillabo, una forte condanna del pensiero moderno.

Il Concilio Vaticano I(1869-1870)

La Chiesa si trova in un momento di grande sconcerto: da una posizione di privilegio e di forte influsso sul pensiero e la vita sociale, passa a una situazione di persecuzione e di emarginazione.

In questo contesto difficile, Pio IX convoca un concilio. A Roma l’ultimo era stato celebrato nel 1517 e da oltre tre secoli non ce n’erano più stati.

Papa Mastai Ferretti, sostenuto da molti vescovi, ritiene che sia giunto il momento per la Chiesa di serrare le fila, di chiarire questioni scottanti, di rispondere alle sfide del mondo moderno e di trovare i rimedi contro i mali che affliggono la Chiesa.

Convocato il 29 giugno 1867 con la bolla Aeterni Patris, il Concilio si apre l’8 dicembre 1869 in San Pietro.Nessun concilio precedente aveva riunito un numero così alto di vescovi e di così diversa provenienza: 224 italiani (il 35% del totale), 81 francesi, 40 spagnoli, 27 inglesi, 19 irlandesi, 16 tedeschi, 19 di piccoli stati europei, 49 nord-americani, 60 dall’America Latina, 9 dal Canada e 172 “in partibus”, cioè dai paesi di missione.

L’indice degli schemi da discutere distribuiti ai vescovi comprende questioni teologiche e questioni pratiche. Le prime riguardano gli errori moderni del materialismo, razionalismo, panteismo, ecc. Le seconde toccano la disciplina di vescovi e preti, l’amministrazione dei sacramenti, le missioni, i seminari e le opere ecclesiastiche.

Il dogma dell’infallibilità

del papa

Nel concilio affiora presto il problema dell’infallibilità personale del papa, di cui alcuni vescovi chiedono la definizione solenne.Il dissenso tra i vescovi scoppia violento in seguito alla pubblicazione di un articolo della «Civiltà Cattolica», nel febbraio 1869, stampato con l’approvazione di Pio IX.Molti vescovi dissentono da quelle tesi estreme e temono che tale definizione possa peggiorare le relazioni già tese tra la Chiesa e gli Stati liberali, e più in generale con la società.Altri avanzano riserve teologiche: un dogma “tecnico” come questo non trova fondamento nella S. Scrittura. Altri ancora segnalano il problema storico: nel passato alcune affermazioni papali sono poi state smentite, come nella controversia ariana del IV secolo.La preoccupazione comune è quella di non separare il papa dal resto della Chiesa, il capo dal corpo, e di non svuotare la responsabilità dei vescovi, che verrebbero ridotti a semplici esecutori delle indicazioni papali.

Nel settembre 1869 i vescovi tedeschi, riuniti a Fulda, scrivono al papa sottolineando l’inopportunità della definizione. Pio IX accoglie la lettera con rammarico.

Nello stesso mese, in Francia esce un libro del decano della Facoltà di Teologia della Sorbona, mons. Maret, dove si afferma che l’autorità della Chiesa consta di due elementi essenziali: uno principale, il papa, l’altro subordinato al primo, l’episcopato. Per questo motivo, l’infallibilità risiede nel papa unito ai vescovi, non separato da essi.

Pochi giorni prima dell’apertura del Concilio, mons. Dupanloup pubblica un opuscolo in cui riassume gli argomenti degli “inopportunisti” contro la definizione: essa non è necessaria, dato che per 18 secoli è stata sufficiente la fede nell’infallibilità della Chiesa nel suo insieme.

Ma queste posizioni appartengono alla minoranza dei vescovi (circa 150), provenienti soprattutto da Austria, Germania, Ungheria e buona parte della Francia. La grande maggioranza dell’episcopato (circa 450) è a favore dell’infallibilità.

La Costituzione Dei Filius

L’infallibilità del papa, definita dal Concilio, riguarda solamente la sua funzione di dottore supremo della Chiesa universale.

Anche nei decreti dogmatici, non tutto è articolo di fede, e non bisogna considerare tale ciò che si menziona solo incidentalmente o che serve solo da introduzione.

Quando si dice che le definizioni promulgate dal papa “sono irriformabili per se stesse, e non in virtù del consenso della Chiesa”, non si vuol intendere che il papa può decidere qualcosa che sia contrario alla tradizione o che possa essere in contraddizione con tutti i vescovi.

La teologia riconosce un piccolo numero di giudizi “ex cathedra” nella storia della Chiesa

Il 18 luglio 1870, durante un terribile uragano e in mezzo a fitte tenebre che invadono la basilica di San Pietro, viene letto il testo definitivo della Costituzione Pastor Aeternuse si procede alla votazione. Su 535 vescovi presenti (55 hanno lasciato Roma la sera prima per non vedersi costretti a votare contro), 533 approvano; gli unici due vescovi contrari aderiscono subito al parere unanime. Pio IX firma subito il decreto. Il giorno dopo scoppia la guerra tra Francia e Prussia, e la maggior parte dei vescovi lascia Roma. Il 20 settembre Roma è occupata dalle truppe italiane e il Concilio viene sospeso a tempo indeterminato.

La definizione dell’infallibilità soffoca gli ultimi rigurgiti di gallicanesimo, stimola il processo di centralizzazione in atto da tempo, rafforza l’autorità del papato in un momento in cui esso è attaccato violentemente su più fronti e perde il potere temporale.Il papato, attraverso un faticoso e doloroso processo di purificazione, inizia a liberarsi da molte scorie e sovrastrutture ormai fuori tempo.L’interruzione del Concilio impedisce l’esame del problema circa il rapporto tra l’autorità pontificia e quella dei vescovi. D’altra parte, la teologia del tempo non è ancora matura per affrontare e definire un genuino concetto di Chiesa.

Nel XIX secolo la cultura europea si allontana dal cristianesimo, ritenuto dalla maggioranza degli ambienti colti un fenomeno di retroguardia, sul punto di scomparire.Per citare solo l’ambiente italiano, Quintino Sella – buon economista e discreto studioso di scienze, positivista, giurisdizionalista, insensibile davanti alle bellezze medievali o rinascimentali di Roma – in un suo discorso invoca i “lumi” destinati a fare della capitale dell’oscurantismo la capitale della scienza: “A misura che si avanza la scienza dell’osservazione, il Dio della religione deve ritirarsi”.

Progressivo isolamento della cultura cattolica

Il pontificato di Pio IX è connotato da un’atonia intellettuale. Lo prova la scarsa vitalità dell’Accademia dei Lincei, ristabilita nel 1847 ma senza grande successo, così come il rifiuto del 1858 di pubblicare gli atti del Concilio di Trento.Ci si limita a condannare errori, a evitare scontri tra le varie scuole (rosminiani contro gesuiti), privando di qualsiasi appoggio il movimento scientifico.De Rossi, fondatore dell’archeologia cristiana moderna, di fama internazionale, a Roma lavora praticamente solo; l’insigne filologo Domenico Comparetti, nel 1859 lascia Roma per assumere una cattedra di greco a Pisa.Con Leone XIII c’è un cambio di passo. Imposta una ferma politica scolastica che impone alle scuole cattoliche lo studio del tomismo (1879). Apre l’Archivio Segreto Vaticano (1881). Incoraggia gli studi storici (1883). Potenzia la Biblioteca Apostolica Vaticana.

La cultura cattolica a fine Ottocento

F. Leopold von Ranke

1795 – 1886

Tra il 1834 e il 1836 lo storico luterano Leopold von Ranke pubblica l’opera Storia ecclesiastica e politica dei papi durante i secoli XVI e XVII, largamente riconosciuta come la più affidabile storia del papato moderno.Nell’introduzione alla traduzione italiana del 1959, Delio Cantimori ricorda come «la tendenza a ridurre tutta la storia a storia soprattutto politico-diplomatica e militare» sia «uno dei tratti caratteristici più salienti di Ranke» che tende a privilegiare, anche nella storia dei papi, soprattutto la documentazione diplomatica, con tutti i limiti che tale scelta comporta.Questa predilezione per la storia politica riflette una tendenza generale della storiografia del XIX secolo: lo storico si rivolge alle fonti più facilmente accessibili, quelle diplomatiche.

Nella visione rankiana di una storia concepita come lotta tra Stato e Chiesa, l’azione del papato moderno dopo la frattura protestante è interpretata quasi esclusivamente come il tentativo di recuperare e di rafforzare la perduta posizione predominante nel quadro di un’Europa confessionalmente divisa.

La lettura di quest’opera suscita l’interesse del giovane storico cattolico Ludwig von Pastor, il quale concepisce la sua opera proprio come risposta a quella di Ranke, ma ne viene anche profondamente influenzata.

Anche per von Pastor la figura papale riveste un ruolo soprattutto politico, mentre gli aspetti religiosi e pastorali rappresentano un fato secondario. Questa impostazione riflette l’immagine papale dominante, quale punta della piramide cattolica.

Nasce ad Aquisgrana nel 1954. Il padre è protestante, la madre cattolica. A Francoforte conosce lo storico cattolico Janssen, che lo avvia agli studî storici. In Germania sono gli anni della formazione del centro cattolico e del Kulturkampf: il problema storico e dogmatico del papato è aspramente discusso. Il giovane von Pastor, divenuto fervido cattolico, studia alle università di Lovanio, Bonn, Berlino, Vienna e Graz. Si laurea nel 1878 con una tesi sui tentativi di riunione della Chiesa sotto Carlo V. Libero docente nel 1881, professore di storia all’università di Innsbruck nel 1886, si accinge all’opera che lo renderà celebre, la storia dei papi dalla fine del Medioevo. Ottiene per primo, da papa Leone XIII, la facoltà di consultare liberamente gli archivî segreti del Vaticano. Investiga pure gli archivî delle biblioteche e archivî pubblici e privati d’Italia e di Europa, dimostrando una straordinaria capacità di lavoro e rara sagacia nello scoprire documenti interessanti. Muore a Innsbruck nel 1928.

Ludwig von Pastor

1854-1928

Von Pastor inizia la sua storia con l’epoca moderna, da Martino V, dopo un’ampia introduzione sul Rinascimento, il periodo avignonese e il grande scisma.A suo giudizio, i documenti autentici che restano del Medioevo non sono sufficienti per una ricostruzione compiuta del papato medievale.Inoltre gli interessa di più prendere in esame il papato del Rinascimento e della Riforma, molto discusso. Il primo volume appare nel 1886; si susseguirono fino al 1926 altri 12 volumi, raggruppati secondo i grandi periodi della storia moderna: rinascimento, scisma luterano, riforma e restaurazione cattolica, guerra dei Trent’anni, periodo dell’assolutismo. Escono postumi i volumi dal XIII al XVI, che trattano fino alla morte di Pio VI. L’intera opera che va quindi dal 1417 al 1799 e consta, nell’edizione tedesca, di 22 tomi.

Il merito principale della storia del Pastor consiste nell’abbondanza delle notizie generalmente ben vagliate, che gli permette di sfatare numerose leggende e calunnie e di far prevalere un giudizio più equo nei riguardi di alcuni pontefici.

Anche gli storici protestanti rimasero impressionati dalla serietà del suo metodo, tanto più che egli non manca di rilevare errori e colpe di alcuni papi del Rinascimento, evitando di dare alla sua opera il tono di un’apologia a qualunque costo.

Nel suo quadro le luci prevalgono sulle ombre e le critiche, sempre moderate e accompagnate spesso da attenuanti, colpiscono le persone private e non i pontefici come tali.

Di sentimenti perfettamente ortodossi, storico gradito alla Santa Sede, esaltatore della grandezza e maestà del papato, il von Pastor narra ciò che i papi fecero per tenere testa ai movimenti intellettuali e politici del loro tempo, ma con una comprensione non sempre profonda di questi movimenti. Di fronte e alla politica degli Stati e alle correnti di pensiero, egli rimane per lo più alla superficie.

I meriti dell’opera di von Pastor

Nel 1876, in occasione del 30° anno di pontificato di Pio IX, il giovane von Pastor fu invitato a tenere il discorso sul papa. Egli disse in quell’occasione che, in quel momento, il papa più che per l’opera sua era grande per i suoi dolori, che «il triregno era diventato per lui la corona di spine, che però il tempo della prova e della croce era allo stesso tempo quello del maggior trionfo morale. Tutti gli attacchi, tutte le oppressioni hanno accresciuto la sua potenza su tutti i cuori anziché diminuirla. Oggi il papato privo di mezzi umani più che in ogni altro secolo ha guadagnato senza fine nella forza morale».

Von Pastor ha lasciato scritto in un suo diario: «Lo storico cattolico, non deve voler essere un apologeta: è questo un pericolo in cui è facile incorrere nei nostri tempi così agitati. Naturalmente uno storico che mira a una rigorosa oggettività non verrà apprezzato mentre egli vive come l’apologeta storico, l’uomo del momento. Ma più tardi le condizioni saranno invertite. Quello non muore con la sua vita, mentre questo, che è ancora compreso dai fratelli d’idea, per le generazioni future al contrario non è più altro che uno scrittore di libercoli. Lo storico deve assolutamente tenersi lungi da ogni passione politica. Un’opera storica cattolica deve assomigliare a quelle solenni cattedrali romaniche, che respingono tutte le affettazioni e tutte le leziosaggini, e che nella loro grandezza e perfezione non abbisognano di alcun velo».

Lo storico non è un apologeta