I Padri della Chiesa e le Immagini
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UNIVERSIT DEGLI STUDI DELLA TUSCIA DI VITERBO
DIPARTIMENTO DI STUDI PER LA CONOSCENZA E LA VALORIZZAZIONE
DEI BENI STORICI E ARTISTICI
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA
Memoria e Materia delle opere darte attraverso i processi di produzione, storicizzazione, conservazione, musealizzazione
XXII Ciclo.
TESI DI DOTTORATO DI RICERCA
(LART/01)
I PADRI DELLA CHIESA E LE IMMAGINI
Tomo I
Coordinatore:
Chiar.ma Prof.ssa Maria Andaloro
Firma ..
Tutor:
Chiar.,ma Prof.ssa Maria Andaloro
Firma
Dottorando: Chiara Bordino
Firma ..
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II
INDICE
Tomo Primo
Introduzione
a) Finalit e struttura della ricerca V
b) L'atteggiamento dei Padri della Chiesa verso le immagini
nei primi secoli del cristianesimo -Status Quaestionis VIII
Capitolo I Idoli e immagini. I Padri della Chiesa e larte in et precostantiniana
1.1 Lattacco dei Padri contro le immagini pagane
1.1.1 La polemica degli Apologeti 1
1.1.2 Il confronto mancato con la giustificazione pagana delle immagini religiose 4
1.1.3. Le immagini delle divinit pagane: un insidioso apparato di divinit concorrenti
a) Statue di culto delle divinit pagane 12
b) Le immagini degli andres theioi 17
c) Statuette rappresentanti divinit pagane nel culto privato 19 d) Pitture su tavola di soggetto religioso pagano 31
1.1.4 Il ritratto dellimperatore: idolo o modello per limmagine cristiana? 39
1.2 Tracce di una considerazione positiva delle espressioni artistiche 51
1.3. Le pi antiche immagini di Cristo e degli Apostoli nella testimonianza delle fonti
e le origini dellicona cristiana 60
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III
Capitolo II- Limmagine cristiana tra accettazione e diffidenza. Da Costantino al V secolo.
2.1. La testimonianza di Eusebio di Cesarea 85
2.2. I Padri Cappadoci: una riflessione sfaccettata sulle tematiche della figurativit 99
2.3 Diffusione delle immagini cristiane e atteggiamenti problematici nella seconda met del IV secolo. Agostino, Giovanni Crisostomo, Asterio di Amasea, Epifanio di Salamina, Girolamo, Ambrogio
2.3.1 Testimonianze sulle immagini di Cristo e degli Apostoli 110
2.3.2 Argomenti teologici contro le immagini 118
2.3.3. Le produzioni artistiche come lusso non necessario 122
2.4 Primi sintomi del culto cristiano delle immagini 137
Capitolo III - Lautorit dei Padri a sostegno delle immagini sacre. Luso delle citazioni patristiche nella controversia iconoclasta
3.1 Il florilegio iconofilo nella Doctrina Patrum de Incarnatione Verbi 145
3.2 Le Orationes Contra Imaginum calumniatores di Giovanni Damasceno 148
3.3 Il florilegio iconofilo del Codex Parisinus Graecus 1115 e la raccolta di testimonianze
patristiche in difesa delle immagini nella Roma dellVIII secolo 156
3.4 La lettura iconoclasta dei testi dei Padri: le Peuseis di Costantino V e lHoros del concilio di Hieria 171
3.5 Citazioni patristiche negli Atti del Concilio Niceno II 179
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IV
3.6 La nuova fase delliconoclastia e la ricerca di testimonianze patristiche per il concilio di S. Sofia dell'815
195
3.7 Le testimonianze patristiche negli scritti di Teodoro Studita 206
3.8 La lettura dei Padri negli scritti di Niceforo patriarca di Costantinopoli 220
IV Linee di continuit nel pensiero iconofilo dai Padri alliconoclastia
4.1 LImago Dei. Rapporti fra la teologia dellimmagine e la difesa delle immagini
4.1.1. La riflessione sull'immagine in ambito teologico nel IV secolo 225
4.1.2 Il ruolo dell'immagine nella controversia ariana 233
4.1.3 La connessione fra eresia e rifiuto delle immagini negli scritti degli iconofili 242
4.2 La posizione degli iconofili riguardo al rapporto fra immagini pagane e cristiane 252
4.3 Lonore tributato allicona passa al modello. Il ruolo dellimmagine dellimperatore nella teoria iconodula
265
4.4 Le immagini viventi dei santi e il rapporto fra pittura e scrittura nei Padri e in et
iconoclasta 274
4.5 I molteplici volti di Cristo nelle fonti e nelle testimonianze artistiche 295
Conclusioni 314
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V
Tomo II - Apparati
Antologia 1
Estratti dalla Refutatio et Eversio di Niceforo di Costantinopoli 139
Lessico greco sulle immagini 161
Bibliografia 170
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VI
Introduzione
a) Finalit e struttura della ricerca
L'obiettivo di questo lavoro quello di indagare latteggiamento della chiesa delle origini
verso le immagini, dal II al V secolo, attraverso l'analisi congiunta delle opere dei Padri della
Chiesa e delle testimonianze artistiche. Al tempo stesso si intende anche esaminare
l'interpretazione che del rapporto fra la cristianit antica e l'arte stata data durante
l'iconoclastia, la controversia sulla legittimit delle immagini sacre sviluppatasi nell'impero
bizantino nei secoli VIII e IX. Queste due dimensioni sono infatti legate a doppio filo in
quanto proprio nell'ambito della crisi iconoclasta che comincia la lettura dei testi patristici
sulle immagini: alcune testimonianze particolarmente significative ci sono giunte solo
attraverso la citazione dei difensori o degli oppositori delle icone, e in ogni caso la selezione e
l'interpretazione che essi hanno offerto dei passi dei Padri hanno anticipato e orientato molte
linee del dibattito moderno.
Una ricerca di questo tipo parsa opportuna e necessaria, nonostante i molti contributi
dedicati al rapporto fra chiesa e arte nell'et paleocristiana, in quanto, per buona parte del XX
secolo, gli studiosi che si sono occupati di questo problema non hanno effettuato un'analisi a
largo raggio della letteratura patristica, ma si sono basati sulla selezione presentata da alcuni
studi prodotti in area tedesca nella prima met del '900. Tali studi hanno costruito sulle
testimonianze dei Padri un'interpretazione destinata a divenire canonica, secondo la quale la
chiesa, nei primi tre secoli del cristianesimo e anche oltre, avrebbe avuto un atteggiamento di
incontrovertibile chiusura e rifiuto nei confronti delle rappresentazioni artistiche. Questa
lettura, alla quale possiamo fare riferimento come "teoria dell'ostilit", si presenta tuttavia
come problematica, in quanto poggia: sul vuoto delle testimonianze materiali - com' noto,
infatti, le prime manifestazioni artistiche di carattere indiscutibilmente cristiano giunte fino a
noi risalgono al III secolo o al massimo alla fine del II -; sulla reticenza dei Padri, che non
affrontano esplicitamente il problema della legittimit delle immagini sacre all'interno della
religione cristiana, come invece si far pi tardi, a partire dal VI-VII secolo, mentre rivolgono
attacchi molto duri contro le rappresentazioni artistiche pagane. Sia dal punto di vista
materiale che sul piano della documentazione letteraria, insomma, siamo di fronte ad un
argumentum e silentio che non pu essere assunto come base per conclusioni certe. Il
supposto silenzio dei Padri potrebbe essere interpretato, infatti, sia come attestazione di
diffidenza verso le immagini, sia come prova del fatto che la loro esistenza non costituiva un
problema degno di nota per la chiesa delle origini.
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VII
D'altro canto, se i testi di et iconoclasta che contengono citazioni patristiche sono ben noti
nel panorama degli studi, anche se non tutti sono stati specificamente indagati, non stato
effettuato in modo sistematico un raffronto fra quello che da essi emerge riguardo
all'atteggiamento dei Padri verso le immagini e ci che invece si pu desumere da una
considerazione globale della produzione letteraria degli stessi. Considerazione che appare
indispensabile in quanto i Padri non dedicano ai temi dell'immagine e delle arti figurative
trattazioni organiche e ad hoc, ma le loro riflessioni in materia vanno ricercate nelle opere di
argomento pi diverso, teologiche, esegetiche, storiche, polemiche, ascetiche o morali. Si
pertanto ritenuto che una lettura il pi possibile ampia degli scritti patristici e della letteratura
iconofila dei secoli VIII e IX potesse risultare proficua sia per comprendere pi in profondit
il pensiero dei Padri sulle immagini, sia per valutare con maggiore obiettivit l'interpretazione
che ne stata data in seno alla controversia iconoclasta.
Nell'indagine dei testi patristici, sono stati scelti come limiti cronologici: il II secolo, in
quanto l'epoca in cui, oltre agli attacchi contro l'arte pagana, compaiono nelle fonti le prime,
problematiche menzioni di immagini di contenuto cristiano; la prima met del V, per la
necessit oggettiva di circoscrivere il lavoro, vista la dimensione vastissima della produzione
letteraria dei Padri, ma anche perch si tratta di una soglia che pu essere assunta come
significativo spartiacque fra una prima stagione della riflessione cristiana sull'immagine e
l'emergere di importanti elementi di novit, come l'incipiente sviluppo di un vero e proprio
culto delle immagini cristiane e l'affacciarsi, in sede teorica, di tematiche che domineranno il
dibattito dei secoli successivi, fino all'et dell'iconoclastia.
Sono stati presi in esame Padri sia di area occidentale che orientale, per poter valutare il
contributo delle chiese greca e latina nell'elaborazione del pensiero cristiano sulle immagini.
L'ottica con cui si inteso leggere questi testi quella non del filologo o del patrologo, ma
dello storico dell'arte, per cui sembrato opportuno procedere sempre ad una traduzione
diretta dei brani considerati, anche laddove esistono altre traduzioni in lingue moderne e in
particolare in lingua italiana. I dati desunti dalle fonti sono stati costantemente sottoposti al
confronto, per quanto possibile, con la realt storico artistica del tempo, di ambito sia pagano
che cristiano.
Il primo capitolo dedicato all'et precostantiniana e prende in esame l'aspro attacco dei Padri
contro le immagini pagane, ma anche gli indizi che permettono di supporre una
considerazione positiva delle attivit artistiche e le pi antiche testimonianze relative ad
immagini di contenuto cristiano. sembrato opportuno considerare in questo contesto anche
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VIII
alcuni autori attivi nei primi decenni del IV secolo, come Lattanzio e Arnobio, in quanto essi
continuano le argomentazioni della polemica apologetica dei secoli II e III.
Il secondo capitolo tratta del periodo che va da Costantino alla prima met del V secolo. Sono
prese in esame alcune figure chiave: Eusebio di Cesarea, che offre una testimonianza articolata e
problematica; i Cappadoci, i quali, portatori di un'attitudine pienamente iconofila, svolgono una
meditazione raffinata e ricca di sfumature sulle arti visive; padri come Asterio di Amasea,
Giovanni Crisostomo, Agostino, che sembrano oscillare fra accettazione e diffidenza verso le
immagini; Epifanio di Salamina, l'atteggiamento iconofobo del quale rappresenta un caso a s
stante e non una posizione ampiamente condivisa nella chiesa del IV secolo. Vengono quindi
prese in esame le prime testimonianze riguardo allemergere di un vero e proprio culto cristiano
delle immagini e di nuove argomentazioni nella difesa delle medesime: il riferimento al dogma
dellIncarnazione e il fiorire di storie su immagini di origine miracolosa o protagoniste di eventi
prodigiosi.
Nel terzo capitolo si passano in rassegna i testi di et iconoclasta che citano e discutono
testimonianze patristiche sulle immagini, dai pi antichi florilegi iconofili, alle Orationes di
Giovanni Damasceno, agli Atti del Concilio Niceno II, agli scritti di Niceforo e Teodoro
Studita. Vengono messe in evidenza le linee generali condivise e le predilezioni specifiche
che i difensori delle immagini mostrano nella selezione e nell'interpretazione dei passi. Per la
necessit di circoscrivere la ricerca, non sono stati presi in considerazione i testi prodotti
nell'ambito dell'occidente latino, come i Libri Carolini, e quelli successivi alla fine della
seconda fase dell'iconoclastia (843), come gli scritti del patriarca di Costantinopoli Fozio.
Il quarto capitolo intende considerare in maniera trasversale alcune problematiche di
particolare rilevanza sia presso i Padri che presso gli iconofili dei secoli VIII e IX: le relazioni
fra la riflessione sullimmagine in sede teologica e la difesa delle immagini materiali propriamente
dette; il rapporto fra immagini pagane e cristiane; lampio spazio dato al tema dellimmagine
imperiale nella teoria iconodula; la sottolineatura della capacit delle immagini di suscitare il
coinvolgimento emotivo dello spettatore, in particolare per quanto riguarda le rappresentazioni di
martirio; il problema dell'esistenza di molteplici immagini di Cristo.
Completano il lavoro i seguenti apparati: un'antologia di brani dei Padri della Chiesa, nella quale,
accanto i testi originari greci e latini, una traduzione italiana ; la traduzione di alcune porzioni
della Refutatio et Eversio di Niceforo di Costantinopoli, opera di particolare interesse per
linterpretazione dei testi patristici durante liconoclastia, e che, pubblicata solo di recente, non
stata ancora tradotta in alcuna lingua moderna; un repertorio dei termini greci sulle immagini. Le
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IX
fonti latine non presentano una ricchezza di sfumature paragonabile e pertanto non parso
necessario approntare anche per esse un lessico.
b) L'atteggiamento dei Padri della Chiesa verso le immagini nei primi secoli del
cristianesimo - Status Quaestionis
Le origini della fortuna moderna della teoria dell'ostilit sono da ricercare nella storiografia
religiosa protestante del XIX secolo. Albrecht Rischl e il suo discepolo Adolf von Harnack,
che continu e svilupp il pensiero del maestro, non si occupavano direttamente di storia
dell'arte o di archeologia cristiana, tuttavia gettarono le basi su cui studiosi successivi
avrebbero costruito la loro comprensione del rapporto fra chiesa e immagini agli albori del
cristianesimo1. Rischl e Harnack interpretavano infatti l'essenza originaria del cristianesimo,
quale emergeva dalla predicazione di Ges, in un'ottica prettamente spirituale, etica e morale;
la purezza del messaggio evangelico si era per corrotta, nel corso del tempo, per
l'accettazione di una serie di compromessi che avevano portato ad una sempre maggiore
secolarizzazione ed ellenizzazione della Chiesa. L'arte rappresentava appunto uno dei fattori
di ellenizzazione che erano stati introdotti in un momento successivo alle origini del
cristianesimo, di cui non rispecchiavano l'autentico pensiero: i primi cristiani avevano infatti
osservato con rigore il divieto delle immagini ereditato dalla religione giudaica: "Non ti farai
idolo n immagine alcuna di ci che lass nel cielo n di ci che quaggi sulla
terra, n di ci che nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li
servirai" (Es 20, 4-5).
Alle soglie del nuovo secolo Ernst von Dobschutz offr un primo inquadramento organico al
problema, in un capitolo all'interno di un saggio dedicato alle leggende medievali sulle
immagini di Cristo. Present anche una prima raccolta di testimonianze patristiche al
riguardo2.
Sul fronte cattolico, l'unico contributo specifico un breve saggio di Alois Knopfler, Der
angebliche Kunsthass der ersten Christen, (1913) basato sull'assunzione che nella religione
1 Cfr. P. C. Finney, The invisible God, Oxford, 1994, pp. 7-10; S. Bigham, Early Christian Attitudes, cit., p. 3.
2 E. von Dobschutz, Christusbilder; Untersuchungen zur christlichen Legende, Leipzig, 1899 (Texte und
Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, Band 18, Neue Folge, III); Id., Christusbilder;
Untersuchungen zur christlichen Legende, editio minor, 1909, trad. it. Immagini di Cristo, a cura di G. Giuliano
e G. Rossi, con prefazione di G. Lingua, Milano, 2006
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X
cattolica non pu esserci nulla di ostile o avverso a tutto ci che riguarda la vita dell'uomo3.
Gli studiosi di tradizione protestante avranno tuttavia agio nel respingere questa assunzione di
principio, opponendogli una pi rigorosa analisi delle testimonianze conservate
Cos nel saggio di Hugo Koch, Die altchristliche Bilderfrage nach den literarischen Quellen,
pubblicato nel 19174. Questo studio, dedicato alla "questione delle immagini in et
paleocristiana secondo le fonti letterarie", rappresenta il vero e proprio pilastro della teoria
dell'ostilit: la selezione dei passi patristici e l'interpretazione dei medesimi sulla base delle
coordinate fondamentali gi delineate da Hirschl e Harnack e accettate anche da E. Renan5,
saranno un punto di riferimento imprenscindibile per buona parte del XX secolo. Koch
interpreta i passi degli autori di et precostantiana (dagli Apologeti a Clemente, Origene e
Tertulliano) rivolti contro le immagini pagane o l'idolatria come prova di attitudine negativa
nei confronti delle immagini; mentre le testimonianze dei Padri Cappadoci (Basilio di
Cesarea, Gregorio Nazianzeno e Gregorio di Nissa), indiscutibilmente favorevoli verso
immagini ormai sicuramente di soggetto cristiano, per lui non sono che espressione di
un'accettazione forzata e poco entusiasta delle rappresentazioni artistiche in forza della loro
valenza didattica, del ruolo che hanno nell'educazione morale dei fedeli. Attribuisce inoltre
grande rilievo ai testi da cui trapela un atteggiamento di rifiuto o comunque critico, come
quelli di Eusebio, Epifanio, Agostino.
Lo studio di Koch riceve conferma e sostegno da due successive monografie di Walter
Elliger, dedicate all'atteggiamento della chiesa verso le immagini nei primi quattro secoli del
cristianesimo6. Nel primo volume, dedicato alla lettura delle fonti, Elliger ripropone la
selezione di Koch, cercando di contestualizzare i passi nel pensiero teologico degli autori e
mostrando comunque una maggiore elasticit nell'interpretarli: riconosce ad esempio che
l'omelia in cui Asterio di Amasea critica l'uso dei cristiani ricchi di indossare vesti ricamate
con soggetti cristologici ispirata non da un'ostilit di principio verso le rappresentazioni
artistiche, ma da un intento di correzione morale e di esortazione ad una condotta di vita
3 A. Knpfler, "Der angebliche Kunsthass der ersten Christen", in Festschrift Georg von Hertling, pp. 41-48,
Munich, 1913 4 H. Koch, Die altchristliche Bilderfrage nach den literarischen Quellen, Gttingen, 1917.
5 E. Renan, Histoire des origines du Christianisme, vol. 7, Marc-Aurle et la fin du monde antique, Paris,
1877.Il ruolo di Renan nell'ispirare la convenzione di un atteggiamento negativo della chiesa primitiva verso le
immagini stato sottolineato da: M. Ch. Murray, Art and the Early Church, in Journal of Theological Studies,
Ns. 28 (1977), pp. 303-345, in particolare pp...; S. Bigham, Early Christian attitudes, cit., p. 4. 6 W. Elliger, Die Stellung der alten Christen zu den Bildern in den ersten Vier Jahrhunderten : (nach den
Angaben der zeitgenssischen kirchlichen Schriftsteller), Studien ber christliche demkmler, 20, 1930; Id., Zur
entstehung und frhen entwicklung der altchristlichen bildkunst (Die stellung der alten Christen zu den bildern
in den ersten vier jahrhunderten, teil 2), Studien ber christliche demkmler, 23, 1934.
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XI
sobria e misurata7. Degno di nota, in quanto caso piuttosto isolato per buona parte del '900,
inoltre il tentativo, nel secondo volume, di inquadrare le testimonianze letterarie nei principali
contesti geografici del mondo mediterraneo (Roma, Siria, Palestina, Egitto, Asia Minore)
tendendo presenti aspetti culturali e religiosi, oltre alle testimonianze storico artistiche fino ad
allora note. Elliger rimane tuttavia legato alle principali categorie interpretative della teoria
dell'ostilit e questo lo porta a ridimensionare il valore delle testimonianze favorevoli alle
immagini; cos, ad esempio, ribadisce che i difensori delle immagini nell'et dell'iconoclastia
hanno avuto completamente torto nell'indicare in Basilio un grande predecessore del culto
delle immagini, in quanto il vescovo di Cesarea non parla di venerazione8: se vero che il
padre cappadoce non parla di culto, anche vero che, insieme a Gregorio di Nissa e Gregorio
di Nazianzo, portavoce di una posizione inequivocabilmente iconofila che costituisce, per la
profondit delle riflessioni e l'esplicita inequivocabilit con cui manifestata, un fatto
assolutamente degno di nota nella chiesa delle origini9.
La teoria messa a punto da Elliger e Koch ripresa da una nutrita serie di studiosi fra gli anni
Trenta e Cinquanta del Novecento. Fra di essi possiamo ricordare Bevan, Baynes, Kollwitz,
Campenhausen.
Bevan affronta la questione in due saggi del 1926 e del 194010
, riconoscendo il peso
dell'eredit giudaica nell'atteggiamento problematico della chiesa dei primi secoli verso le
immagini, del quale sottolinea la continuit anche con parte del pensiero filosofico pagano.
Assume tuttavia una posizione un poco pi morbida rispetto alle tesi di Koch. Egli osserva
infatti come i cristiani siano meno rigorosi rispetto al popolo ebraico nell'osservanza del
divieto giudaico, come dimostrano, fin dal II secolo, le pitture delle catacombe, che sono,
vero, per lo pi di carattere decorativo e simbolico, ma che comunque mostrano immagini di
uomini, animali, uccelli, che, in ottemperanza alle prescrizioni dell'esodo, non dovrebbero
essere rappresentati. Non si respingevano infatti per principio qualsivoglia immagini di esseri
viventi, ma solo quelle che venivano create per scopi venerazione; le statue, in particolare,
dovevano essere oggetto di un timore ben pi profondo di quello che investiva le
rappresentazioni pittoriche.
Baynes individua una fortissima preoccupazione verso l'idolatria nei padri del II e III secolo, e
ritiene che essa sia espressione di un rifiuto totale e categorico delle immagini, in quanto i
7 W. Elliger, Die Stellung, cit., pp. 72-73
8 W. Elliger, Zur entstehung, pp. 172-173.
9Cfr. paragrafo 2.2.
10 E. R. Bevan, Idolatry, in Edinburgh Review, 243, 1926, pp. 253-272; Id., Holy Images, London, 1940
-
XII
Padri, pur avendo assorbito molti elementi della cultura greca, non erano disposti a nessuna
concessione al riguardo11
. La conferma viene da Eusebio, il primo ad affrontare
esplicitamente il problema in ambito cristiano, e poi da Epifanio. Paradossalmente, poi, nei
secoli successivi finiranno per difendere le icone con gli argomenti che i filosofi pagani
avevano avanzato a sostegno delle immagini.
Anche Campenhausen, rifacendosi a Elliger e Koch, afferma che il cristianesimo primitivo
erede dell'ebraismo per quanto riguarda il rifiuto delle immagini; vero che l'ebraismo
ellenistico non osserva in modo rigido questo rifiuto e talvolta deroga ad esso, come accade
anche nel cristianesimo dei primi secoli, in particolare in ambito gnostico, tuttavia queste sono
eccezioni che confermano la regola. Pertanto non viene prodotta un'arte specificamente
cristiana nei primi secoli di vita della nuova religione; non possono essere addotte come prove
in senso contrario le pitture delle catacombe, di carattere essenzialmente ornamentale e
simbolico, e per giunta risalenti a non prima del III secolo. Immagini come quelle possedute
dalla setta eretica dei Carpocraziani, di cui parla Ireneo (II secolo), sono espressione di una
tendenza pagana12
.
Kollwitz pone l'accento sulla provenienza "dal basso" delle immagini cristiane, introdotte per
la pressione degli strati popolari, mentre i teologi continuano a rifiutarle ancora a lungo, come
mostrano il canone 36 del concilio di Elvira e la lettera di Eusebio a Costantina13
.
La consacrazione definitiva della teoria dell'ostilit si ha tuttavia con Ernst Kitzinger, il quale,
nel suo magistrale studio sullo sviluppo del culto delle immagini nel periodo compreso fra
Giustiniano e l'iconoclastia, fa riferimento, per quanto riguarda i primi secoli del
cristianesimo, allo studio di Elliger, riscontrando, fra III e IV secolo, una successione
dinamica di opposizione/difesa analoga a quella che si verificher nei secoli successivi14
.
Dopo Kitzinger, dunque, si continua a fare riferimento alle letture di Elliger e Koch senza
mettere in discussione la teoria dell'ostilit. Theodore Klauser torna ad affermare che lo
spirito originario del cristianesimo rifiutava le immagini ed esse, esse dopo un certo tempo,
11
N. Baynes, Idolatry and the Early Church, in Byzantine studies and other essays, London, 1955, pp. 116-143.
In un saggio precedente, dedicato a testi di epoca successiva alla stagione dei Padri, vale a dire a Ipazio di Efeso
(VI secolo) e alle opere della polemica antigiudaica (VI-VII secolo), l'autore aveva osservato che da questi scritti
emerge una dimensione di critica verso la venerazione delle immagini in ambito cristiano che era in assoluta
continuit con il pensiero della chiesa primitiva al riguardo: cfr. N. Baynes, The icons before Iconoclasm, in
Harvard Theological Review, 44, 1951, pp. 93-106 12
H. von Campenhausen, Die Bilderfrage als theologische Problem der Alten Kirche, in Zeitschrift fur
Theologie und Kirche, 49, 1952, pp. 33-60, trad. ingl. The Theological Problem of Images in the Early Church,
in Tradition and Life in the Church, Philadelphia, 1968, pp. 171-200 13
J. Kollwitz, Zur Frhgeschichte der Bilderverehrung, in Romische Quartalschrift, 48, 1953, pp. 1-20. 14
E. Kitzinger, The cult of images in the age before Iconoclasm, in Dumbarton Oaks Papers, 8, 1954, pp.83-
150, rist. in Id., The art of Byzantium and Medieval West, Bloomington, 1976, trad. it. Il culto delle immagini.
Larte bizantina dal cristianesimo alliconoclastia, Firenze, 1992, pp. 1-115, in particolare pp..9-18.
-
XIII
vennero introdotte dalla popolazione ancora legata ai costumi pagani15
. A questa tesi offre il
sostegno dell'evidenza archeologica e storico artistica, prendendo in esame, in una serie di
studi pubblicati negli anni '60, tipi e iconografie dell'arte paleocristiana, con l'intento di
dimostrare la loro derivazione dall'arte pagana (anche se questo adattamento dei modelli
pagani non deve necessariamente essere avvenuto contro la volont delle gerarchie
ecclesiastiche)16
.
Nel decennio successivo Breckenridge ribadisce la natura puramente spirituale del culto
cristiano e l'ostilit delle gerarchie ecclesiastiche verso le immagini, bench gli attacchi
espliciti nelle fonti siano rivolti agli idoli pagani; le sole vere immagini di Dio, sono in prima
istanza il Figlio e in seconda l'anima dell'uomo. Ancora nel IV secolo, dunque, Lattanzio,
Eusebio e il concilio di Elvira ribadiscono il rifiuto delle rappresentazioni artistiche, anche se
esse si sviluppano sempre di pi, scalzando nei fatti la resistenza dei teologi. Del resto, se
vero che le rappresentazioni di Cristo sono piuttosto rare nei sarcofagi prima del IV secolo,
indubbio che egli sia esplicitamente raffigurato gi nelle pitture di Dura Europos e di alcune
catacombe romane. Lo studioso tende ad attribuire alcune di esse ad ambienti gnostici,
tuttavia osserva che l'intransigenza di Eusebio mostra le sempre maggiori difficolt che la
chiesa riscontra nel mantenere una posizione rigidamente iconofoba17
.
Il saggio di Mary Charles Murray, pubblicato nel 1977, rappresenta un vero e importante
punto di svolta nello studio di questo problema, anche se per lungo tempo non stato
riconosciuto come tale, ed stato considerato alla stregua di una poco scientifica espressione
di apologetica cattolica. Questo atteggiamento di sospetto si deve naturalmente alla fortuna
ormai consolidata della teoria dell'ostilit, ma anche al fatto che la studiosa, partendo da
alcune osservazioni giuste, approda a conclusioni non del tutto condivisibili18
.
Queste le linee principali della sua argomentazione. Anzitutto, la teoria dell'ostilit parte da
un assunto sbagliato, ovverossia che la chiesa primitiva osservasse in modo rigoroso il divieto
giudaico delle immagini, espresso in modo particolare in Es 20, 4. Ella osserva infatti che: i
15
T. Klauser, "Die usserungen der alten Kirche zur Kunst", in Atti del VI Congresso Internazionale di
Archeologia Cristiana (Ravenna, 23 - 30 settembre 1962), Citt del Vaticano, 1965, pp. 223-242. 16
T. Klauser, Studien zur Entstehungsgeschichte der christlichen Kunst , 1, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 1.1958, p. 20-51; 2, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 2.1959, p. 115-145; 3, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 3.1960, p. 112-133; 4, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 4.1961, p. 128; 5, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 5.1962, p. 113-124; 6, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 6.1963, p. 71-100; 7, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 7.1964, p. 67-76; 8, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 8/9.1965/66([1966?]), p. 126-170; 9, in Jahrbuch fr Antike und Christentum, 10.1967, p. 82-120 17
J. D. Breckenridge, The reception of art into the Early Church, in Atti del IX Congresso Internazionale di
Archeologia Cristiana, Citt del Vaticano, 1978, pp. 361-369. Posizioni analoghe sono state espresse da L. W.
Barnard, The Graeco-Roman and Oriental background of the iconoclastic controversy, Leiden, 1974 18
M. Ch. Murray, Art and the Early Church, cit.
-
XIV
Padri non danno un'interpretazione univoca del II comandamento, mostrando di non avere le
idee molto chiare al riguardo. Il divieto non era del resto assoluto neppure presso gli ebrei:
ella cita infatti le descrizioni del tempio e del palazzo di Salomone e soprattutto le scoperte
archeologiche (le catacombe ebraiche di Vigna Rondanini, dove si trovano figure di animali e
uccelli, un sarcofago scoperto in Tunisia il cui proprietario indicato come zografos, pittore, e
soprattutto le pitture della sinagoga di Dura Europos) . Procede quindi a un riesame delle
testimonianze patristiche, dopo alcune giuste osservazioni preliminari: i passi usualmente
citati sono poco numerosi rispetto alla vastit sconfinata della letteratura patristica e al peso
che ad essi si dato nella teoria dell'ostilit; improprio assumere la posizione di un solo
autore (Tertulliano, per esempio, per lo pi approdato all'eresia montanista) come
rappresentativa della visione della chiesa nel suo complesso; la cristianit non fatta solo
dalle gerarchie ecclesiastiche.
Prende poi in esame alcune testimonianze (soprattutto di et precostantiniana: Tertulliano,
Clemente Alessandrino, Costituzioni Apostoliche, ma anche Omelia su Lazzaro e il ricco di
Asterio di Amasea, della fine IV secolo) tradizionalmente ritenute ostili alle immagini,
mostrando come da esse in realt da esse non si possa affermare un'ostilit di principio verso
le immagini cristiane (e in questa parte abbastanza convincente). Meno condivisibili
risultano le sue osservazioni riguardo ad alcune testimonianze cardine della teoria dell'ostilit,
vale a dire quelle di Eusebio di Cesarea e di Epifanio di Salamina. Pur dedicando alla lettera
di Eusebio a Costanza un'analisi in cui fa osservazioni corrette in merito a una sua possibile
lettura non iconofoba, non approfondisce alcuni elementi che chiama in causa (ad es. il
confronto con la visione teologica di Eusebio) e sembra voler mettere da parte questo
documento essenzialmente perch esso ci giunto solo attraverso il canale di trasmissione
iconoclasta: fatto che pu far nascere legittimi sospetti, ma che di per s non sufficiente per
sostenere il carattere spurio dell'epistola. Riguardo ad altri passi in cui trapela - in modo pi o
meno profondo - l'ostilit dei Padri verso le immagini, vale a dire un brano dell'Historia
Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea e la lettera di Epifanio di Salamina, Giovanni di
Gerusalemme, ella sostiene la poco convincente ipotesi che la suddetta ostilit di fatto dovuta
al fatto che le rappresentazioni in questione erano di carattere pagano19
.
19
Se in questo saggio la studiosa sembra voler negare ogni elemento critico o problematico nell'atteggiamento
dei Padri verso le immagini, va detto che successivamente ha rivisto, in parte, le sue posizioni: in M. Ch.
Murray, "Le problme de l'iconophobie et les premiers sicles chrtiens", in Nice II, 787 - 1987 : douze sicles
d'images religieuses, edits par F. Boespflug et N. Lossky, Paris, 1987, pp. 39-50, mostra sostanzialmente di
accettare le argomentazioni avanzate da S. Gero a sostegno dell'autenticit della lettera a Costanza (che vedremo
nel paragrafo 2.1) e di assumere una posizione pi problematica per quanto riguarda l'esistenza di voci
contraddittorie nella chiesa primitiva riguardo alla questione delle immagini; in Ead., "The emergence of
-
XV
Dopo il saggio di M. C. Murray, la teoria dell'ostilit torna ad essere sostenuta da Hans Georg
Thummel, in un ampio studio dedicato alla dottrina delle immagini nella chiesa greca dalle
origini all'VIII secolo20
. Rispetto alla selezione di Elliger e Koch, Thummel amplia
notevolmente l'orizzonte testuale, presentando un'ampia antologia di brani sulle immagini,
tratti dai Padri, ma anche da autori dei secoli VI-VIII, fino a san Giovanni Damasceno,
individuati grazie alla citazione nella letteratura di et iconoclasta e grazie alla ricerca diretta
dell'autore. Da questo ricco repertorio di fonti, tuttavia, non emergono, rispetto a quanto gi
noto, prese di posizione esplicite e inequivocabili sul problema delle immagini cristiane, che
evidentemente non vennero prodotte nei primi secoli di vita della chiesa. Thummel continua a
sostenere il punto di vista tradizionale, attribuendo in generale ai padri una posizione di rifiuto
nei confronti delle rappresentazioni artistiche e ridimensionando la portata di testimonianze
indubbiamente positive, come quelle dei Padri Cappadoci e di Asterio di Amasea. Da notare
anche che l'indagine condotta su un piano esclusivamente letterario, tralasciando il
confronto con l'orizzonte storico artistico.
Dell'arte cristiana dei primi secoli si occupa Pierre Prigent, tornando ad affermare, sulla scia
delle posizioni di Klauser, l'iconofobia del cristianesimo primitivo, erede del divieto giudaico,
e di conseguenza il ruolo di riferimento dei modelli pagani nella genesi delle prime
rappresentazioni artistiche di segno cristiano, in particolare in ambito funerario21
.
Eppure proprio lo studio di Prigent sul rapporto fra giudaismo e immagini ha dato un
contributo fondamentale alla correzione della visione del cosiddetto aniconismo giudaico,
mostrando come l'osservanza del divieto non fu sempre rigorosa, e in particolare come fra II e
VI secolo, e cio proprio nel periodo che vede l'affermazione del cristianesimo, convivessero
nel mondo guidaico posizioni diversificate riguardo alle immagini, non pregiudizialmente
negative, e anzi in alcuni casi favorevoli, come emerge dalla letteratura rabbinica, ma anche
dalle testimonianze artistiche conservate , a partire dal celebre caso delle pitture della
sinagoga di Dura Europos, risalenti a met del III secolo22
.
Christian art", in Picturing the Bible : the earliest Christian art, ed. by J. Spier, New Haven [u.a.], 2007, sembra
condividere le tesi di P. C. Finney e R. M. Jensen, per le quali cfr. infra. 20
H. G. Thummel, Die Frhgeschichte der ostkirchlichen Bilderlehre : Texte und Untersuchungen zur Zeit vor
dem Bilderstreit, Berlin, 1992
21
P. Prigent, L'art des premiers chrtiens : l'hritage culturel et la foi nouvelle, Paris, 1995 22
P. Prigent, Le Judasme et l'image, Tbingen, 1990 (Texte und Studien zum antiken Judentum, 24). Sull'arte
giudaica e sulla parziale accettazione delle rappresentazioni figurative in ambito giudaico nella tarda antichit
esiste una letteratura molto vasta; si veda da ultimo S. Fine, Art and Judaism in the Greco-Roman world : toward
a new Jewish archaeology, Cambridge, 2005, con bibliografia precedente.
-
XVI
Stephen Bigham prende in considerazione gli elementi che permettono di supporre
un'apertura almeno parziale dei Giudei verso le immagini, prima di esaminare le
testimonianze patristiche gi selezionate da Elliger e Koch per i secoli II e IV23
. Lo studioso
individua in esse una forte preoccupazione per il pericolo di idolatria, ragione della dura
polemica contro le immagini pagane, ma non un atteggiamento di chiusura rigida e
incondizionata nei confronti delle rappresentazioni artistiche in generale e della possibilit di
un'arte cristiana in particolare. Su queste basi, Bigham nega alla radice l'ostilit della chiesa
verso le immagini, ritenendo (e questa la parte del suo lavoro che appare meno fondata e
condivisibile) che esse abbiano fatto parte da sempre della vita cristiana, fin dall'et
apostolica. Sembra che la sua posizione di studioso cattolico abbia condizionato la sua lettura,
proprio come, in direzione opposta, la tradizione protestante aveva guidato l'interpretazione
degli studiosi tedeschi.
Per dare alla sua tesi sostegno storico artistico, si riferisce all'orizzonte del
giudeocristianesimo. Per giudeocristiani si intendono i cristiani convertiti dal giudaismo, che,
in Palestina, fino alla met del II secolo, continuano a vivere nell'osservanza, almeno parziale,
dei costumi e delle norme giudaiche. Ad essi sono state attribuite rappresentazioni artistiche
di vario genere, per lo pi di carattere simbolico24
. Bigham ritiene che i giudeocristiani
accettassero pienamente anche la rappresentazione antropomorfa dei personaggi sacri; e cita
alcuni esempi: un'iscrizione rinvenuta nella grotta sottostante la basilica dell'Annunciazione a
Nazareth, la quale potrebbe fare riferimento ad un'immagine della Vergine; un graffito
ubicato poco lontano, in cui sarebbe rappresentato Giovanni Battista; alcuni volti nelle pitture
di una tomba di Nazareth. Il giudeocristianesimo costituisce comunque una questione assai
controversa nel panorama degli studi, e i casi a cui fa riferimento Bigham, allo stato attuale
23
S. Bigham, Early Christian Attitudes, cit. 24
Dopo l'uccisione di Giacomo (62 d.C.) e la distruzione del tempio di Gerusalemme, la comunit
giudeocristiana di Gerusalemme si sarebbe trasferita a Pella, in Giordania, per poi sgretolarsi definitivamente al
termine della seconda guerra giudaica (135 d.C.). Da un punto di vista figurativo, si ritenuto che la
caratteristica che permette di identificare determinate manifestazioni come giudaico cristiane sia la compresenza
di simboli giudaici e cristiani; cos negli ossari della Domus Flevit a Gerusalemme e in ossari e sigilli rinvenuti a
Nazareth sono rappresentati lettere e numeri investiti di significato mistico e simbolico, ma anche altri simboli,
come la stella, l'albero, la croce, il tau.
Sulla questione del giudeocristianesimo gli studi fondamentali sono quelli del cardinale Jean Danielou sul piano
teorico e letterario e di padre Bellarmino Bagatti in campo archeologico. Cfr. rispettivamente: J. Danielou,
Thologie du judo-christianisme, Tournai, 1958, trad. it. La teologia del giudeo-cristianesimo, Bologna, 1974;
Id., Les symboles chrtiens primitifs, Paris, 1961; B. Bagatti, Gli Scavi del "Dominus Flevit" (Monte Oliveto,
Gerusalemme), Gerusalemme, 1958-64; Id., L'Eglise de la Circoncision, Jrusalem, 1965; Id., Alle origini della
Chiesa. I: Le comunit giudeo-cristiane, Citt del Vaticano 1981
-
XVII
delle conoscenze, non possono essere assunti come prova dell'esistenza di immagini
inequivocabilmente identificabili come cristiane nel I e nel II secolo d. C25
.
Anche Paul Corbey Finney propone, indipendentemente da Bigham, un'interpretazione
revisionista delle fonti, puntando in modo particolare l'attenzione sulla letteratura apologetica
cristiana dei secoli II e III. Il duro attacco contro le immagini pagane che in essa era contenuto
era dovuto, secondo lo studioso, solamente all'esigenza dei cristiani di difendersi dalle accuse
e dai sospetti che la loro condotta di vita e il rifiuto di partecipare a cerimonie di culto e altre
manifestazioni pubbliche aveva generato nella societ tardo antica. Resta il fatto, per, che
per i primi due secoli di vita della nuova religione non si conoscono espressioni artistiche
inequivocabilmente individuabili come cristiane. Finney ritiene che questo vuoto non si debba
n ad una chiusura di principio verso le arti figurative, n a cause accidentali (difficile pensare
che non si sia conservata neppure una sola testimonianza), bens a fattori di natura economica
e sociale: fino alle soglie del III secolo i cristiani -bench non si debba esagerare la portata
degli episodi di persecuzione - professando quella che per l'impero una religio illicita,
vivono ai margini della societ, proteggendo e nascondendo la loro identit di cristiani; non
hanno dunque n le risorse finanziarie n la posizione sociale necessarie per poter
commissionare opere d'arte. Non rinunciano, comunque, del tutto, alla dimensione figurativa:
operano un'operazione di adattamento selettivo nei confronti dell'arte pagana, adottando i
modelli e le iconografie che risultavano meno pericolosamente legati al culto delle divinit
pagane e al tempo stesso pi adattabili ad esprimere, simbolicamente, i contenuti del
messaggio cristiano: in primis, la figura del buon pastore. Finney esemplifica la sua teoria
dell'adattamento selettivo facendo riferimento alla raffigurazione del Pastore sulle lampade in
terracotta prodotte in area laziale nel II secolo. Le lampade in terracotta erano necessarie tanto
ai pagani quanto ai cristiani, per esigenze della vita quotidiana ed anche per i riti funerari. Al
tempo stesso rappresentavano un prodotto certamente non di elite, alla portata anche degli
strati pi bassi della popolazione, fra i quali il cristianesimo nei primi secoli sembra essere
stato particolarmente diffuso. Eppure, una sola lampada fra quelle realizzate nel tempo e
nell'ambito di produzione sopra indicati, pu dirsi con certezza cristiana, mostrando la figura
del Buon Pastore e storie di Giona. Tuttavia, fra il 175 e il 225 sei o sette vasai dell'Italia
centrale producono lampade in terracotta a stampo con rappresentata la figura del Pastore sul
disco centrale (difficile stabilire con certezza le dimensioni di questo corpus, perch molti
25
J. Taylor, Christians and the Holy Places: The Myth of Jewish-Christian Origins, Oxford, 1993, ritiene che il
giudeocristianesimo sia una costruzione storiografica di Danielou e Bagatti. Ad ogni modo le testimonianze
conservate non consentono di affermare l'esistenza di immagini di soggetto cristiano sicuramente attribuibili a
questi gruppi e risalenti ad un periodo antecedente all'et costantiniana.
-
XVIII
pezzi sono ancora inediti; Finney parla di un numero compreso fra 100 e 200). In questo
gruppo, le lampade che portano la firma di Annio sono pi piccole e di qualit inferiore
rispetto a quelle degli altri vasai, ma molto pi numerose. Verosimilmente quella di Annio era
una produzione a basso costo, destinata ad una diffusione locale, limitata al territorio di Roma
e di Ostia. In quest'area, fra II e III secolo, vivevano sicuramente anche dei cristiani, che
dovevano avere la necessit di acquistare lampade. Con buona probabilit furono proprio loro
a determinare il successo delle lampade con il pastore. Senza svelare apertamente la propria
identit religiosa, avevano infatti scelto all'interno del repertorio pagano un modello che
potevano usare per fare riferimento alla figura di Cristo (come avviene a partire dalle pi
antiche manifestazioni pittoriche e plastiche dell'arte cristiana). In questo modo, secondo
Finney, provocarono un aumento della domanda, che port Annio ad incrementare la
produzione delle lampade con il Pastore, a scapito di quelle decorate con altri soggetti,
probabilmente senza avere consapevolezza dell'operazione di "adattamento selettivo" posta in
essere dai cristiani.
La tesi di Finney, pur avendo degli indubbi punti di forza, lascia spazio ad alcuni dubbi. Una
spiegazione di carattere socioeconomico davvero sufficiente a spiegare non solo il vuoto
materiale, ma anche le posizioni problematiche che emergono riguardo alle immagini pagane
e il silenzio riguardo all'esistenza di un'arte specificamente cristiana? E ancora: se vero che i
cristiani dei primi due secoli non avevano la possibilit di costruire edifici pubblici ci culto e
di realizzare decorazioni monumentali, si pu escludere anche la produzione di oggetti
mobili, destinati a un uso esclusivamente domestico, privato, magari non particolarmente
pregevoli per materiali e fattura, e dunque non eccessivamente costosi? Cos come venivano
realizzati e diffusi - con le dovute cautele - i testi (non solo quelli sacri, ma anche la gi
copiosa produzione letteraria dei Padri), non si pu pensare che ci avvenisse anche per
dipinti su tavola o manufatti devozionali decorati con soggetti cristiani? D'altronde la nuova
religione doveva contare adepti anche fra le classi medioalte, pur se in proporzioni ridotte
rispetto alla diffusione nei ceti popolari.
La convinzione che pitture su tavola di soggetto cristiano siano state prodotte fin dai primi
secoli del cristianesimo stata sostenuta con forza da Thomas Mathews, come avremo modo
di vedere26
. Questo, tuttavia, non ha impedito allo studioso di continuare a sostenere la
26
T. F. Mathews,The clash of gods : a reinterpretation of Early Christian art, Princeton, 1993, II ed. 1999, trad.
it. Scontro di dei. Una reinterpretazione dellarte paleocristiana, traduzione di A. dellAira ed E. Russo, prefazione di E. Russo, Milano, 2005; Id, The emperor and the icon, in Imperial art as Christian art - Christian
art as imperial art : expression and meaning in art and architecture from Constantine to Justinian, Roma, 2001
Erschienen,2002 (Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia,N.S. 1, 15, 2001) pp. 163-177; Id., "Isis
-
XIX
tradizionale teoria dell'ostilit: Mathews ritiene infatti che le immagini siano state dapprima
create e usate dalle masse popolari, in continuit con gli usi pagani, e solo in un secondo
tempo accettate dalla chiesa, costretta a riconoscere un fenomeno che non era pi in grado di
contenere. Questa distinzione fra masse popolari e gerarchie ecclesiastiche non condivisa da
J. Engemann27
e da Robin Margaret Jensen28
. Tutti e due osservano infatti che si pu supporre
un ruolo attivo della chiesa, di controllo e financo di partecipazione all'elaborazione delle pi
antiche pitture cristiane, diverso potrebbe magari essere il caso dei sarcofagi, ambito
maggiormente legato alla committenza privata. Il contrasto fra scritti dei Padri, a prima vista
ostili alle immagini, e le rappresentazioni artistiche di soggetto cristiano, certamente esistenti
a partire dal III secolo, , secondo Jensen, pi apparente che reale: in entrambe le dimensioni
si esprimono le esigenze legate alla propagazione della nuova fede, anche se in modo diverso.
Il notevole spessore teologico e dottrinale che le immagini cristiane possiedono fin dai tempi
antichi, in accordo con l'esegesi patristica, denuncia un probabile ruolo delle autorit
ecclesiastiche nell'ideazione delle medesime.
and Mary in early icons", in Images of the Mother of God : perceptions of the Theotokos in Byzantium, ed. by M.
Vassilaki, Aldershot [u.a.], 2005, pp. 3-11. Cfr. paragrafi 1.1.3.d e 1.3. 27
J. Engemann, "Zur Frage der Innovation in der sptantiken Kunst", in Innovation in der Sptantike, hrsg. B.
Brenk, Wiesbaden, 1996, pp. 285-315. 28
R. M. Jensen, Understanding early Christian art, London, New York, 2000.
-
1
Capitolo I Idoli e immagini. I Padri della Chiesa e larte in et precostantiniana
1.1.1 - La polemica degli Apologeti
Una delle basi su cui stata fondata la teoria dellostilit dei Padri verso le immagini nei
primi secoli dellera cristiana il fatto che nella letteratura patristica dei secoli II e III si
sviluppa una polemica fortissima contro le immagini religiose pagane.
Lattacco condotto sulla base di alcune argomentazioni teoriche ampiamente condivise, che
assumono quasi una dimensione topica. Andiamo a ripercorrere queste tematiche.
Lidea generale che il culto delle immagini pagane sia una follia del tutto irragionevole,
perch significa tributare a qualcosa che puramente umano e terreno quella adorazione che
si deve solo a Dio.
Le immagini pagane hanno infatti unorigine esclusivamente umana.
Anzitutto perch i rappresentati sono personaggi che erano uomini e che sono stati divinizzati
dopo la morte: per lo pi erano sovrani o benefattori dellumanit. Questa unidea che
proviene dal pensiero razionalista greco ( legata in particolare ad Evemero di Messina, ma si
trova anche nel dibattito filosofico successivo). Afferma ad esempio Cipriano:
Che coloro che la gente comune adora non sono di, noto da questo. Essi erano anticamente re,
che, in virt della loro regale memoria, successivamente cominciarono ad essere adorati dal loro
popolo, anche dopo la morte. Quindi vennero fondati in loro onore dei templi; immagini vennero
scolpite per conservare laspetto dei defunti attraverso la somiglianza; e uomini vennero sacrificati
come vittime e vennero celebrate delle feste per rendere loro omaggio. Questi riti che inizialmente
erano stati adottati come una consolazione, divennero seguito sacri1.
In alcuni casi gli artisti rappresentano nelle immagini, in forma di divinit, personaggi da loro
amati, giovinetti, cortigiane od etere...In questi casi la divinizzazione illecita della persona
umana era aggravata dallintenzione licenziosa e irriverente della rappresentazione, che ne
denunciava ancora pi scopertamente il carattere umano:
Gli autori delle statue, poi, non fanno vergognare quelli di voi che sono in senno, e non li
inducono a disprezzare la materia? L'ateniese Fidia, per esempio, che scrisse sul dito dello Zeus
Olimpio "Pantarce bello " (giacch per lui non era bello Zeus, ma il proprio amato); Prassitele,
come mostra chiaramente Posidippo nel suo libro " Intorno a Cnido ", nell'apprestare la statua
della Afrodite Cnidia, la ha rappresentata somigliante nell'aspetto alla sua amante Cratina, affinch
1 Cipriano, Tractatus VI, De Vanitate Idolorum.
Cfr. anche: Atenagora, Legatio, XXVIII, 5; Minucio Felice, Octavius, XX, XXIII, XIX; Clemente Alessandrino,
Protrepticus ad Graecos, I, 10; Tertulliano, Ad Nationes, II, 7; II, 11; Apologeticum, 25, 1; 27,11. La pretesa di
divinizzazione affermata non solo in relazione ai sovrani, ma anche per eroi del mito e personaggi storici: ad
es. Alcione e Ceice, Tolomeo, Mitridate e Alessandro in Clemente Alessandrino, Protrepticus ad Graecos, 4.
-
2
gli sciagurati potessero adorare l'amante di Prassitele. Quando Frine, la etera tespiese, era nel suo
fiore, tutti i pittori prendevano a modello la bellezza di Frine nel dipingere le immagini di
Afrodite, come, da parte loro, gli scultori effigiavano gli Ermes in Atene prendendo a modello
Alcibiade. Non resta che al tuo giudizio il cmpito di concluderne se voglia adorare anche le
etere2.
Non solo i personaggi rappresentati erano stati, in tempi pi o meno lontani, uomini, ma
anche la produzione delle immagini si iscrive in un ambito del tutto terreno.
Le immagini non sono altro che mera materia, mascherata dalla preziosit del materiale o
dalla forma conferita dallartista; se gli uomini tenessero sempre a mente che non si tratta di
altro che di materia, probabilmente desisterebbero dalla follia delladorazione; di per se stesse
le immagini sono morte, prive di vita e di sensibilit.
Le statue, invece, sono brute, non fanno nulla, non sentono nulla, sono legate, inchiodate, fissate,
fuse, limate, segate, levigate, cesellate. Gli statuari " oltraggiano la insensibile terra", facendole
cambiare la natura che le propria, con l'indurre per effetto della propria arte gli uomini ad
adorarla; i fabbricatori di dei adorano, non gli dei e i demoni, almeno secondo il mio modo di
intendere, ma la terra e l'arte, cio le statue. La statua infatti veramente materia morta alla quale
ha dato forma la mano dell'artista3.
Che le immagini delle divinit non siano altro che materia lo dimostra la loro precariet: esse
non sanno difendersi dallazione degli agenti atmosferici, dagli animali o da catastrofi naturali
o provocate dalluomo; possono essere danneggiate o distrutte, come non sarebbe possibile se
si trattasse davvero di divinit4. Lo hanno ben capito, dimostrando di possedere molto pi
buon senso degli idolatri, tutti coloro che non si sono fatti scrupolo di irridere, danneggiare o
derubare i simulacri divini o i loro templi. I Padri amano raccontare una serie di aneddoti al
riguardo. Sia Atenagora che Clemente Alessandrino riportano la storia di Diagora di Melo,
filosofo ateo del V secolo a.C. che spacc una statua di Eracle per cuocersi delle rape e fu per
questo condannato per empiet5; Lattanzio, nelle Divinae Institutiones, cita passi di Cicerone
riguardo a Dionisio,
2 Clemente Alessandrino, Protrettico ai Greci, 4. Il rimprovero mosso agli artisti di rappresentare in forma di
divinit i propri amanti si collega a un argomento della polemica cristiana contro le immagini pagane, vale a dire
la condanna dei soggetti amatori e licenziosi, che erano molto diffusi nel repertorio mitologico e che, secondo i
Padri, potevano essere pericoloso veicolo di modelli di comportamento peccaminosi ed immorali. 3 Clemente Alessandrino, Protrepticus, 4.
Cfr. anche: Arnobio, Adversus Gentes, VI, 14-15; Tertulliano, De Spectaculis, 2; Lattanzio, Divinae
Institutiones, VI, 8; Minucio Felice, Octavius, 23Tertulliano, De spectaculis, 2. Questo delle immagini prive di
vita un argomento su cui i Padri insistono molto, sottolineando come invece il logos e lanima umana possono essere immagine vivente di dio: cfr. par. 4,1. 4 Origene, Contra Celsum, VIII, 17; Clemente Alessandrino, Protretpricus ad Graecos, IV; Arnobio, Adversus
Gentes, 16-17; Lattanzio, Divinae Institutiones, II, 4. 5 Atenagora, Legatio, IV, 1; Clemente Alessandrino, Protrepticus ad Graecos, 4.
-
3
tiranno di Siracusa, che sottrasse ornamenti e ricchezze ai templi e alle statue delle divinit, e
a Verre, che depred templi in tutta la Sicilia6.
Le immagini di per se stesse non possono nulla. I poteri e i miracoli che vengono loro
attribuiti sono in realt opera dei demoni. Il lettore moderno potrebbe giudicare questo
argomento unespressione di superstizione un po naf, ma si trattava di una credenza
ampiamente condivisa dalle classi colte, sia pagane che cristiane7. Si riteneva che i demoni
entrassero nelle statue attraverso i riti di consacrazione, che si nutrissero del sangue delle
vittime offerte in sacrificio e che operassero prodigi ed emanassero profezie per trascinare gli
uomini alladorazione delle cose materiali. Minucio Felice, nellOctavius, osserva che:
"Isti igitur impuri spiritus, daemones, ut ostensum magis ac philosophis, sub statuis et imaginibus
consecratis delitiscunt et adflatu suo auctoritatem quasi praesentis numinis consequuntur, dum
inspirant interim vatibus, dum fanis inmorantur, dum nonnumquam extorum fibras animant,
avium volatus gubernant, sortes regunt, oracula efficiunt, falsis pluribus involuta. Nam et falluntur
et fallunt, ut et nescientes sinceram veritatem et quam sciunt, in perditionem sui non confitentes.
Sic a caelo deorsum gravant et a deo vero ad materias avocant, vitam turbant, somnos inquietant,
inrepentes etiam corporibus occulte, ut spiritus tenues, morbos fingunt, terrent mentes, membra
distorquent, ut ad cultum sui cogant, ut nidore altarium vel hostiis pecudum saginati, remissis quae
constrinxerant, curasse videantur. Hinc sunt et furentes, quos in publicum videtis excurrere, vates
et ipsi absque templo, sic insaniunt, sic bacchantur, sic rotantur: par et in illis instigatio daemonis,
sed argumentum dispar furoris. De ipsis etiam illa, quae paulo ante tibi dicta sunt, ut Iuppiter ludos
repeteret ex somnio, ut cum equis Castores viderentur, ut cingulum matronae navicula sequeretur.
"Haec omnia sciunt pleraque pars vestrum ipsos daemonas de semetipsis confiteri, quotiens a
nobis tormentis verborum et orationis incendiis de corporibus exiguntur. Ipse Saturnus et Serapis
et Iuppiter et quicquid daemonum colitis, victi dolore quod sunt eloquuntur, nec utique in
turpitudinem sui, nonnullis praesertim vestrum adsistentibus, mentiuntur. Ipsis testibus, esse eos
daemonas, de se verum confitentibus credite: adiurati enim per deum verum et solum, inviti,
miseri corporibus inhorrescunt et vel exiliunt statim vel evanescunt gradatim, prout fides patientis
adiuvat aut gratia curantis adspirat. Sic Christianos de proximo fugitant, quos longe in coetibus per
vos lacessebant. Ideo inserti mentibus imperitorum odium nostri serunt occulte per timorem:
naturale est enim et odisse quem timeas, et quem metueris infestare, si possis. Sic occupant animos
et obstruunt pectora, ut ante nos incipiant homines odisse quam nosse, ne cognitos aut imitari
possint aut damnare non possint.8
6 Lattanzio, Divinae Institutiones, II, IV.
7 Si veda ad esempio un passo del Discorso Veritiero di Celso, citato da Origene, in cui il filosofo pagano
afferma che del tutto ragionevole tributare culto ai demoni, in quanto divinit intermedie che si inseriscono
nellordine delluniverso creato dalla divinit suprema: Origene, Contra Celsum, VII, 68; o anche i brani di Platone e di Talete citati da Atenagora in Legatio, XXIII, 2. Ovviamente i cristiani non accettano la credenza in
queste divinit intermedie e interpretano tali esseri in chiave diabolica. 8 Minucio Felice, Octavius, cap. XXVII. Innumerevoli sono da parte dei padri i riferimenti alla connessione fra
statue pagane e demoni; fra le citazioni pi significative, si vedano: Atenagora, Legatio, XXVI, 1-2; Cipriano,
Tractatus VI, De vanitate idolorum, 3; Lattanzio, Divinae Institutiones, II, 8 (i prodigi compiuti dalle statue sono
opera dei demoni); II, 17 (i demoni abitano le immagini dei sovrani morti divinizzati ed operano prodigi
attraverso di esse); II, 18; Origene, Contra Celsum, VII, 69 (intorno a statue, templi e altari si aggirano i
demoni...); Clemente Alessandrino, Protrepticus ad Graecos, IV.
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4
1.1.2 - Il confronto mancato con la giustificazione pagana delle immagini religiose
Lassunto generale che i Padri sembrano combattere nella loro polemica contro le immagini
religiose pagane quello dellidentificazione fra la divinit e la sua rappresentazione
materiale.
Questa non era tuttavia la concezione che i pagani, almeno quelli appartenenti alle classi pi
elevate e dotati di maggiore cultura, avevano delle proprie immagini di culto.
Nei secoli dellet imperiale si era sviluppata in ambito pagano una riflessione che cercava di
conciliare i vari aspetti della religione tradizionale con la ricerca filosofica; era aspetto di
meditazione specifica anche il tema delle immagini di culto9. opportuno soffermarci sui
principali contributi di questo filone, per comprendere le dinamiche secondo cui si
sviluppata la riflessione cristiana sullimmagine.
Il Discorso Olimpico di Dione di Prusa, per limportanza delloccasione nel quale fu
pronunciato (le Feste Olimpiche del 97 d.C.), pu essere considerato espressione di opinioni
largamente condivise nella societ del tempo10
. Dione immagina che Fidia in persona
pronunci una difesa per la sua celebre statua di Zeus, rispondendo a dubbi avanzati sulla
legittimit di una simile rappresentazione della divinit. Vediamo le argomentazioni principali
su cui si regge tale difesa.
Alle origini della pratica delle immagini c lesigenza profonda delluomo di esprimere il
proprio rapporto con la divinit, rispetto alla quale si sente separato da un profondo scarto, ma
non da unestraneit assoluta. In unottica pi popolare, questa esigenza diventa il desiderio di
sentire vicina e presente quella divinit che si immagina come benevola nei confronti degli
uomini.
Agli uomini, tuttavia, non dato di conoscere direttamente gli dei, e quindi neppure di
rappresentare la loro essenza, il loro modo di essere. Per questo gli artisti combinano i tratti
9 Si tratta di un tema poco frequentato anche negli studi. I contributi fodamentali di riferimento sono: C. Clerc,
Les theories relatives au culte des images chez les auteurs grecs du 2me siecle apres J.-C., Paris, 1915 ; V.
Fazzo, La giustificazione delle immagini religiose dalla tarda antichit al cristianesimo, I, La tarda antichit,
con appendice sulliconoclasmo bizantino, Napoli, 1977. Fazzo sottolinea la necessit di un confronto con la coeva riflessione cristiana sullimmagine. 10 V. Fazzo, La giustificazione, cit. Per il testo del Discorso Olimpico, cfr: Orations VII, XII, and XXXVI / Dio
Chrysostom ; edited by D.A. Russell, Cambridge [England], 1992 ; New York ; Dione di Prusa, Olimpico (Or.
XII), introduzione, testo, traduzione e note a cura di C. Naddeo, Salerno, 1998; Olimpico (or. 12.) / Dione di
Prusa ; introduzione, testo critico, traduzione e commento a cura di Luigi Torraca, Anna Rotunno e Rosario
Scannapieco, Napoli, 2005. Su Dione, cfr. anche P. Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale greco nellimpero romano, Firenze, 1978, pp. 127-135.
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umani pi belli e nobili per esprimere la grandezza e la perfezione della divinit. Questo non
significa trasformare gli esseri umani in di, come sostiene la linea evemeristica: ed infatti le
immagini religiose non sono realmente riferibili ad alcun uomo, in quanto sono caratterizzate
da unarmonia, da una bellezza e da una misura che non dato riscontrare in un singolo
essere. La forma umana daltronde la pi adeguata ad esprimere il divino, in quanto la
razionalit che luomo possiede, unico fra tutte le creature terrene, quanto di pi affine alla
divinit si possa trovare nel mondo sensibile11
. Proprio per questo anche i poeti si sono serviti
di attributi ed immagini umane per rappresentare gli dei: lo Zeus di Fidia paragonabile a
quello di Omero.
Larte religiosa non pretende di offrire unimmagine fedele della divinit, si limita a
suggerire alcune caratteristiche della divinit che lanima razionale delluomo riesce a
concepire, per quanto gli possibile; per indicare questa funzione Dione ricorre al termine di
symbolon.
I materiali usati per rappresentare la divinit (come loro e lavorio nel caso della famosa
statua crisoelefantina di Zeus) concorrono, con la loro preziosit, ad esprimere la grandezza
degli dei, bench non possano rappresentarne la natura12
.
Rispetto a Dione di Prusa, Plutarco rivolge alla vita religiosa uno sguardo assai pi concreto e
le dedica una riflessione ben pi profonda, anche se la sua posizione in materia va dedotta da
spunti ed accenni presenti in varie parti della sua opera, poich non ha dedicato al problema
una trattazione organica13. Limmagine religiosa occupava un posto molto importante nei
culti tradizionali, e Plutarco invita sempre al rispetto per le manifestazioni del culto: la
ricerca filosofica condotta in campo religioso non deve oscurarle. Nel De superstitione
presenta, vero, le immagini sotto una luce negativa, legandole ai costumi dei superstiziosi,
che, spinti da un irrazionale timore per le divinit, venerano le immagini antropomorfe
prodotte dagli artisti come di. Il rimprovero, tuttavia, non rivolto alle immagini in se stesse,
ma solo agli abusi prodotti da opinioni sbagliate e fuorvianti14
.
11
Questo sar un argomento molto importante nei Padri, che interpreteranno proprio in tal senso Gn 27, 1:
luomo immagine di Dio nella sua parte spirituale, nella ragione. Cfr. paragrafo 4.1 12
La valorizzazione dellimmagine antropomorfa era gi presso gli stoici, che tuttavia negavano lo status di divinit agli dei della tradizione, e presso gli epicurei, che ritenevano per che gli dei avessero realmente un
corpo simile a quello degli uomini, bench fatto di materia pi sottile. 13
V. Fazzo, La giustificazione, cit., pp. 61-112. 14
Ibid., pp. 62-64. Tanto vero che allinterno della stessa opera si trova uno spunto pi positivo verso le immagini: nel capitolo 4 Plutarco indica, fra gli inconvenienti della superstizione, limpossibilit di trovare conforto presso le statue degli di, diversamente da quanto avviene per gli altri fedeli . Per il De Superstitione,
cfr. anche De superstitione / Plutarco ; a cura di G. Lozza ; presentazione di D. Del Corno, Milano, 1989.
Nella Vita di Numa ricorda laniconismo del leggendario sovrano, senza esprimere un giudizio di merito al riguardo. Tra laltro questo un argomento frequente nei Padri, ad esempio in Clemente e Agostino.
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Nel De Iside et Osiride le immagini religiose sono legittimate nellambito di una generale
interpretazione simbolista alla luce della quale Plutarco spiega i fenomeni religiosi nel loro
complesso15. Linterpretazione simbolica delle divinit tradizionali e dei vari aspetti del culto
ad esse legato lunica soluzione possibile se si vogliono evitare gli opposti eccessi
dellevemerismo, spiegazione superficiale e insufficiente, che conduce ad una totale
umanizzazione del divino e quindi alla scomparsa della vita spirituale delluomo, e
dellaccettazione alla lettera delle narrazioni mitologiche, che danno degli di una
rappresentazione blasfema e per nulla elevata. esclusa ogni identificazione o anche solo
relazione di partecipazione fra la divinit e loggetto di culto; proprio per questo Plutarco
critico nei confronti del linguaggio comune, che usa trasferire i nomi di personaggi umani o
divini sugli oggetti materiali ad essi legati (libri, immagini: Platone per indicare un libro di
Platone...ma lo stesso si potrebbe dire per unimmagine o un ritratto)16.
Il mito, i riti e le cerimonie e larte religiosa esprimono attraverso la narrazione o la
raffigurazione un accenno ad alcune verit fondamentali riguardanti la divinit..
Linterpretazione in chiave simbolica non deve portare ad opinione riduttive o addirittura
negazioniste sulla natura e sulla potenza degli dei; Plutarco generalmente ostile
allinterpretazione razionalistico-naturalista della filosofia stoica, che considera le divinit
tradizionali personificazioni di elementi della natura17
. Solo nel caso degli animali oggetto di
culto nella religione egiziana accetta una spiegazione di questo tipo.
Gli animali sono sacri o per la loro utilit o perch simboleggiano qualche caratteristica del
dio o per tutti e due i motivi. La divinit non in essi rappresentata meno nobilmente che
nelle immagini, anzi, essi sono superiori anche ai materiali preziosi, perch partecipano alla
vita18
La preoccupazione di non compromettere la trascendenza e la potenza divina sempre
fortissima in Plutarco, come si vede nelle vite di Camillo e di Coriolano, dove mantiene un
atteggiamento possibilista riguardo ai prodigi attribuiti alle statue degli dei, che pure
15
Ibid., pp. 65-85. 16
Il rapporto fra nome ed immagine un problema con il quale si confronteranno anche gli autori cristiani; cfr.
Agostino, De diversis quaestionibus ad Simplicianum II, 3, 2, in Sancti Aurelii Augustini De diversis
quaestionibus ad Simplicianum, edidit Almut Mutzenbecher, Thurnout, 1972 (Corpus Christianorum, Series
Latina, 44), pp. 83.42-84.72 17
Una posizione un po pi morbida al riguardo si riscontra nel De E apud Delphos, dove Plutarco si mostra non ostile allidentificazione di Apollo con il Sole: cfr.. V. Fazzo, La giustificazione, cit., pp. 104-105. 18
La giustificazione del culto degli animali in chiave simbolica un unicum nella letteratura sulle immagini a
noi pervenuta; lidea che le immagini sono inferiori agli esseri dotati di vita sar un argomento molto comune nei Padri della Chiesa.
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razionalmente sono difficili da accettare19
; e nei dialoghi delfici, come il De defectu
oraculorum e il De Pyhiae oraculis20
. Proprio in considerazione di ci colpisce
particolarmente un passo del De Pythiae oraculis in cui i prodigi legati alle immagini dei sono
spiegati facendo ricorso ad uninterpretazione panteistica: le statue sono piene di divinit21.
Nella seconda met del II secolo argomenti affini a quelli del Discorso Olimpico sono
riproposti da Massimo di Tiro nella Dissertazione II, dal titolo Se bisogna elevare statue agli
dei. Anche per Massimo le immagini sono necessarie non agli di, ma agli uomini, per
mantenere vivo il ricordo degli dei e per elevarsi alla contemplazione della loro natura
immateriale; attraverso di esse rendono inoltre onore e grazie alle divinit, benevole nei loro
confronti. Anche lui ritiene che la figura umana sia la forma pi idonea per rappresentare la
divinit (per la bellezza del corpo e per la somiglianza fra lanima e la natura divina).
Fin qui abbiamo visto come gli autori pagani abbiano cercato di giustificare le immagini
religiose proponendone uninterpretazione simbolica, con diverse sfumature. In Plotino la
legittimazione avviene invece su basi differenti. Bisogna dire largomento non trattato
organicamente nelle Enneadi e che la posizione del filosofo al riguardo pu essere desunta
solo da alcuni passi in cui sono menzionate le immagini degli di e da altri accenni contenuti
nel resto dellopera22.
19
V. Fazzo, La giustificazione, cit., pp. 85 ss. Nella Vita di Coriolano Plutarco riferisce la leggenda secondo la
quale a Roma, nel tempo della Fortuna Muliebre la statua della dea avrebbe parlato due volte: questa cosa,
secondo lui, impossibile da accadere e difficile da credere, mentre per altri prodigi, come lacrimazioni,
sudorazioni, rumori, si possono trovare spiegazioni razionali; tuttavia Plutaco. non chiude del tutto alla
possibilit di simili prodigi: osserva infatti che chi crede ad essi ha un argomento a suo favore nella trascendenza
e nel potere della divinit. Nella Vita Camilli riferisce un prodigio simile: in questo caso la statua di Giunone
che parla a Camillo, dando il suo consenso allo spostamento da Veio a Roma. Plutarco afferma che in simili
situazioni leccessiva credulit e lassoluta incredulit sono ugualmente pericolose e che questi racconti non possono essere disprezzati troppo facilmente (sua costante preoccupazione che le spiegazioni naturalistiche
conducano alla negazione della divinit, che egli vuole evitare, al pari degli opposti eccessi della superstizione).
Per la Vita Camilli, cfr. Le vite di Temistocle e di Camillo / Plutarco ; a cura di C. Carena, M. Manfredini e L.
Piccirilli, Roma, Milano, 1983 20
Nel De defectu oraculorum (il tramonto degli oracoli) (opera che si preoccupa di spiegare la diminuzione del
fenomeno oracolare in Grecia rispetto a tempi pi antichi) tutti e tre gli interlocutori del dialogo, Ammonio,
Cleombroto e Lampria, pur proponendo spiegazioni diverse riguardo al fenomeno oracolare (intervento diretto
della divinit, demonologia, spiegazioni naturalistiche) hanno cura di non compromettere la trascendenza divina
e di prendere le distanze da spiegazioni eccessivamente naturalistiche. Tale preoccupazione presente anche nel
De Pythiae oraculis (Gli Oracoli della Pizia) (per bocca di Teone, che possiamo considerare il portavoce di
Plutarco e che ha una posizione simile a quella di Ammonio). Cfr. V. Fazzo, La giustificazione, cit., pp. 88-95,
95-101. Per il De Pythiae oraculis, cfr. Gli oracoli della Pizia / Plutarco ; introduzione, testo critico, traduzione e
commento a cura di E. Valgiglio, Napoli, 1992 21
Non per una contraddizione, n per un avvicinamento alla teologia stoica, verso la quale mantiene tutta la sua
avversione.Ma probabilmente per una evoluzione che deve essere avvenuta nel suo pensiero nellultima fase della sua vita., portandolo a riconoscere alla dimensione religiosa un ruolo preponderante anche rispetto alla
ricerca filosofica e a orientare la sua concezione in direzione monistico panteistica. Cfr. V. Fazzo, La
giustificazione, cit., pp.112-113. 22
V. Fazzo, La giustificazione, cit., pp. 130 ss.
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La produzione delle immagini religiose va inquadrata negli schemi pensati per lattivit
artistica umana nel suo complesso.
Plotino distingue due tipi di arte: quella che imita i modelli terreni, che condanna, e quella che
imita i modelli delle realt intellegibili, che valuta positivamente; le statue degli dei sembrano
appartenere a questo secondo tipo: non a caso, volendo fare un esempio di opera prodotta
attraverso la contemplazione delle forme dellAnima Universale (terza ipostasi dellUno),
ricorda la celebre statua di Zeus ad Olimpia, opera di Fidia (e gi al centro del Discorso
Olimpico di Dione Crisostomo). Se il processo di imitazione delle forme razionali in qualche
modo gi stabilisce un collegamento fra la realt soprasensibile e le opere darte, la
contemplazione delle quali giova alluomo nel cammino di elevazione verso la dimensione
spirituale, per le immagini religiose c qualcosa in pi. Nei pochi passi in cui Plotino parla
esplicitamente di questo tipo di immagini, non manca mai di stabilire un collegamento pi
stretto con lattivit dellAnima Universale: in IV 3 [27 ] 11 dice che gli antichi saggi hanno
creato le immagini degli di intuendo che potevano fare qualcosa di affine allAnima
Universale e da essa impressionabile, catturandone una parte; attraverso limitazione potevano
rapire almeno un po di figura. Nel capitolo immediatamente precedente, IV 3 [27] 10, dopo
aver affermato che larte umana produce immagini pallide e fievoli, indica fra le attivit
dellAnima anche il predisporre alcuni corpi per le statue degli di, dei quali essa ha le forme.
Gi da questi pochi spunti evidente, secondo Vittorio Fazzo, come nelle Enneadi ci sono
spunti per affermare un forte valore delle immagini sacre pagane, anche se Plotino non ha
teorizzato esplicitamente una loro superiorit rispetto ad immagini di altro tipo e anche se egli
non tratta poi problemi pi specifici, perch non era questo il suo intendimento. Non si
pronuncia in modo pi preciso, ad esempio, sullantropomorfismo delle immagini degli di,
n sul grado di corrispondenza fra forme materiali e modelli intellegibili.
Rispetto alle interpretazioni simboliche proposte da Dione Crisostomo, Plutarco, Massimo di
Tiro e Celso, si pu rilevare una differenza molto importante: il rapporto fra forma ideale e
figura materiale stabilito dallimitazione un rapporto esistente concretamente, e non solo per
via ragionativa o discorsiva. Certo, ogni immagine della divinit creata dalluomo non potr
che essere imperfetta e dunque offrir soltanto un accenno dalla divinit. Ma la funzione di
accenno sar svolta in modo diverso rispetto al simbolo...Il simbolo offre suggerimenti
allintelletto perch rifletta sullidea del divino, limmagine religiosa plotiniana vuole invece
portare luomo ad unesperienza diretta del divino, alternativa alla via della contemplazione
razionale.
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9
possibile in questo riconoscimento di un ruolo importante alle immagini religiose da parte
di Plotino abbia giocato un ruolo anche la sua familiarit con i culti misterici.
I Padri hanno sostanzialmente eluso il confronto con i tentativi pagani di giustificazione delle
immagini religiose, fornendo un quadro che non rende giustizia alla profondit della
riflessione sviluppata dai loro avvesari. Non citano e non sembrano conoscere le opere che
abbiamo sopra ricordato, bench alcune di esse fossero gi disponibili al tempo in cui
scrivono i primi apologeti. E la loro polemica condotta su un piano differente, pi basso,
quello del rimprovero e della derisione di stolti superstiziosi che hanno scambiato degli
oggetti materiali per divinit.
Solo Origene costretto in parte a confrontarsi con queste argomentazioni, per la natura stessa
dellopera in cui in modo pi organico ed esplicito si confronta con il mondo pagano: il
Contra Celsum vuole essere infatti una confutazione puntuale del Discorso Veritiero di Celso,
che, come abbiamo visto, aveva affrontato anche il tema delle immagini degli di.
Ma anche in questo caso non c un vero confronto con la concezione pagana dellimmagine;
Origene non ne prende seriamente in considerazione le argomentazioni. Riguardo
allinterpretazione simbolico-allegorica proposta dalla scuola stoica, osserva ad esempio:
Ma perch debbo ricordare ad una ad una le assurde storie dei Greci riguardanti le loro divinit,
degne per se stesse di biasimo, anche quando vengono intese per allegoria? Prendiamo ad esempio
Crisippo di Soli, che si ritiene abbia onorato la Sto con numerose opere di ingegno, quando tenta
dinterpretare una pittura che stava a Samo, in cui era dipinta Hera la quale commetteva con Zeus
atti innominabili. Difatti il venerabile filosofo scrive nel suo trattato che la materia riceve i
principi seminali di Dio e li accoglie in se stessa per lassetto ordinato delluniverso. Nella pittura di
Samo Hera la materia e Zeus Dio. Ed proprio per questa ragione, ed a causa di miti cotali e
di altri infiniti simili a questi, che noi non vogliam chiamare Zeus il Dio supremo, e neanche
usare il nome di Zeus; e cos neanche vogliam chiamare il sole Apollo, n la luna Artemide. Al
contrario, osservando una piet incontaminata verso il nostro creatore, e magnificando la bellezza
delle sue creazioni, noi non profaniamo neanche col nome le cose divine...
Pertanto, noi in verit abbiamo tale riverenza per il nome di Dio e le sue splendide creazioni, da
non accettare neanche sotto il pretesto dellallegoria, qualunque mito dannoso per i giovani.23
Il carattere immorale delle narrazioni e rappresentazioni mitologiche, oggetto di facile
biasimo, consente ad Origene di liquidare velocemente la possibilit di uninterpretazione in
chiave simbolica delle immagini pagane; esse non possono essere prese in considerazione
23
Origene, Contra Celsum, IV, 48: Contra Celsum libri VIII / Origenes, edidit M. Marcovich, Leiden , 2001, p.
265.3-11; trad. it. in Contro Celso / di Origene, a cura di Pietro Ressa ; presentazione di Claudio Moreschini ,
Brescia, 2000, pp. 350-351.
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neppure come personificazioni di forze o elementi della natura, perch, blasfeme come sono,
costituirebbero una profanazione del nome di Dio e della sua creazione.
In altri luoghi del Contra Celsum Origene riconosce che alcuni pensatori pagani guardano alle
immagini come a un simbolo, ritenendo di partire dal visibile per elevarsi alla contemplazione
dellessere supremo; non si preoccupa, tuttavia, di confutare da un punto di vista teoretico la
giustificazione simbolica delle immagini; ai suoi occhi non vale la pena di addentrarsi in
tanto sublimi speculazioni filosofiche, dal momento che le immagini pagane restano
comunque strumento di convinzioni religiose false, che allontanano dal vero Dio. Pu
risultare singolare che un autore come Origene, che con tanta ampiezza e profondit si
servito dellinterpretazione allegorica nelle sue opere esegetiche, non riconosca alcuna dignit
alle spiegazioni che assegnano allimmagine una funzione simbolica. Ma chiaro, daltronde,
che il motivo del contendere non il modo di procedere dellindagine intellettuale, non la
concezione dellimmagine; per Origene il rifiuto delle immagini religiose pagane
conseguenza di una scelta di fede che non pu essere in alcun modo scalfita dalla razionalit,
dalla raffinatezza o dalla sottigliezza della riflessione che i pensatori pagani hanno condotto
sul problema.
Nel giudizio dellAlessandrino guardare ad oggetti inanimati come immagini degli di lo
stesso che considerarli vere e proprie divinit; comunque un ingiustificato e irrazionale
ricorso a prodotti materiali, foggiati dalle mani delluomo. Pi volte rimprovera ai filosofi
pagani del passato e del presente di continuare a venerare le immagini religiose, pur avendo
capito che esse non sono divinit. Laccordo tra la ricerca filosofica e le diverse forme del
culto pagano, maturato in delicatissimi equilibri fra indagine intellettuale e sentimento
religioso nei sistemi di Plutarco e Plotino, diventa, nella condanna di Origene, niente pi che
unattestazione di folle incoerenza o di doppiezza opportunistica:
Ma Dio, come credo, vedendo larroganza e il disprezzo per gli altri di quelli che erano orgogliosi di avere, per mezzo della filosofia, conosciuto Dio ed appreso i suoi misteri, e che tuttavia, come le
persone pi ignoranti, frequentavano i templi e le statue ed i misteri tanto decantati, ha scelto le cose stolte del mondo, cio i Cristiani pi semplici, il cui modo di vita pi puro di quello di tanti filosofi, per fare vergogna ai sapienti (1 Cor 1, 27), i quali non si vergognano di stare insieme a degli esseri inanimati, come se fossero di o immagini di di.
Quale uomo, infatti, che abbia senno, non si burler di chi, dopo tante sublimi speculazioni filosofiche
riguardo a Dio o agli di, appunta lo sguardo sulle statue e rivolge loro la preghiera, oppure per mezzo
della vista di tali immagini la offre in realt allessere, oggetto del suo pensiero, verso il quale egli ritiene che si debba risalire partendo dal visibile e dal simbolo?
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Origene, Contro Celso, VII, 44: cfr. : Contro Celso / di Origene, a cura di P. Ressa, cit., p. 627. Cfr. anche
Contro Celso, VI, 14: Ibid., .p. 499, dove si legge: E sebbene alcuni di essi riconoscano che tali cose non sono divinit, ma imitazioni degli di veraci e loro simboli, anche costoro risultano tuttavia essere rozzi, schiavi ed ignoranti, poich immaginano le imitazioni delle divinit in mano agli artigiani; e stando cos le cose, noi
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11
In modo analogo risulta debole e poco persuasiva lobiezione che Origene pone ad unaltra
delle argomentazioni usate dai pagani per giustificare il culto delle immagini, ossia che queste
abbiano la funzione di offerte votive:
Celso dunque afferma che tali statue non vanno considerate come divinit, ma come offerte votive
agli di, per non dimostra come questi doni votivi siano consacrati non agli uomini, ma, come
dice, agli dei stessi25.
Subito dopo emerge del resto ancora una volta laspetto decisivo del problema nellottica di
Origene:
chiaro infatti che tali offerte votive provengono da uomini con idee completamente fuori strada
sul conto della divinit26.
Nel silenzio dei Padri sulle opere pagane dedicate alla giustificazione pagana delle immagini
religiose ha verosimilmente avuto un peso considerevole questa motivazione, e cio il fatto
che le immagini pagane, anche se difese con argomentazioni ragionevoli, nobili e
filosoficamente fondate, non potevano comunque essere accettate, in quanto conducevano