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19/2/2019 I nuovi volti dell'adozione | Genitori si diventa ONLUS http://www.genitorisidiventa.org/notiziario/i-nuovi-volti-delladozione 1/7 Home (/) I nuovi volti dell'adozione Autore: Francesca Boracchi, Psicologa Psicoterapeuta Il contesto socio-culturale sta cambiando profondamente, i modelli di famiglia stanno cambiando e l’adozione, intesa in primo luogo come istituto deputato a garantire ad un minore in stato di abbandono la miglior famiglia possibile, non può non subire gli esiti di questi cambiamenti. Questo contributo va nella direzione di condividere delle personali riessioni in merito alle attuali trasformazioni del modo di intendere l’adozione. Pensieri che lungi dal volere essere esaustivi vogliono invece rappresentare un’occasione di confronto e scambio reciproco con la comunità scientica e le famiglie che in prima linea si trovano a vivere la realtà di oggi. (/)

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I nuovi volti dell'adozione

Autore: Francesca Boracchi, Psicologa Psicoterapeuta

Il contesto socio-culturale sta cambiando profondamente, i modelli di famiglia stanno

cambiando e l’adozione, intesa in primo luogo come istituto deputato a garantire ad un minore

in stato di abbandono la miglior famiglia possibile, non può non subire gli esiti di questi

cambiamenti.

Questo contributo va nella direzione di condividere delle personali ri�essioni in merito alle

attuali trasformazioni del modo di intendere l’adozione. Pensieri che lungi dal volere essere

esaustivi vogliono invece rappresentare un’occasione di confronto e scambio reciproco con la

comunità scienti�ca e le famiglie che in prima linea si trovano a vivere la realtà di oggi.

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Chi si occupa di minori e di famiglie non può non essere sempre attento ai cambiamenti

piccoli o grandi che la società ci pone di fronte e non può non avere un atteggiamento di

disponibilità e di messa in discussione di quello che �no a ieri sembrava “il miglior

interesse per il bambino”. Perché da questo ci si è sempre mossi e con questo in mente

si continua a lavorare: ma oggi la letteratura e molti esperti ci dicono che non è sempre

facile de�nire “il miglior interesse del bambino” come un concetto astratto e valido una

volta per tutte.

Chi si trova poi sul campo a vivere questi bambini e queste famiglie si rende conto della

pluralità delle situazioni: così come ogni bambino è unico, così ogni procedimento a suo

favore deve essere unico. Con questo non intendo dire che ci dobbiamo muovere come in un

far west, ma che restando all’interno della guida della giurisprudenza attualmente in vigore

l’atteggiamento non può che essere elastico per meglio adattarsi a rendere il progetto per

quel determinato bambino il migliore possibile per lui.

Vorrei partire dalla legge 173/2015, meglio conosciuta come legge sulla continuità degli

a�etti (1), che per la prima volta ha normato l’importanza di tenere conto dei legami che il

minore in attesa di adozione ha sviluppato con i genitori a�datari, che non ricoprono quindi più

solo il ruolo di “traghettatori” ma diventano a tutti gli e�etti attori del procedimento di adozione.

Non in senso giuridico ma in senso a�ettivo, come custodi di informazioni preziose e uniche sul

minore e il suo sviluppo. La rigida separazione tra adozione e a�do assume un colore più

sfumato e laddove il legame magari pluriannuale tra la famiglia a�dataria e il minore risulti

essere “il miglior interesse” per il bambino, la legge consente di dare carattere di de�nitività al

rapporto. Il giudice in primis si trova quindi nella possibilità di seguire in modo �uido il corso

della storia di quel minore in quella famiglia, prescindendo dalla rigidità che la legge 184

imponeva alla rottura dei rapporti con la storia “pre-adozione” del minore.

Le ri�essioni da fare in questo caso riguardano il dovere di accogliere le potenzialità di questa

legge non pensandola come un escamotage per “accorciare i tempi dell’adozione” passando

tramite l’istituto dell’a�do, ma osservandola come uno strumento fondamentale per tutelare

un minore già traumatizzato dalla separazione dalla famiglia di origine dall’ulteriore trauma

della chiusura de�nitiva di un legame con la famiglia a�dataria qualora questo legame ricopra

un ruolo funzionale al suo benessere, alla sua sicurezza e alla sua salute psicologica. Credo che

la rivoluzione più grande introdotta dalla legge della continuità degli a�etti sia

rappresentata dall’avere legittimato all’adozione possibili caratteristiche di elasticità e �uidità,

versus l’estrema rigidità posta dalla legge 184 pensata ormai più di 30 anni fa. È anche vero però

che solo partendo da una serie di limiti chiari e precisi si può imparare come muoversi in

sicurezza e ha un senso se solo pochi anni fa ci si sia permessi di pensare ad una rivoluzione di

quanto sancito in origine a tutela del miglior interesse dei minori in stato di abbandono.

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Da qualche tempo sempre più coppie riportano l’esperienza di colloqui con Giudici dei

Tribunali per i Minorenni durante i quali vengono chiamate a ri�ettere su situazioni per

così dire “sfumate”, in cui viene sollecitata la disponibilità all’accoglienza di un �glio in

presenza del mantenimento di alcuni suoi legami con la famiglia biologica. Non è di�cile

immaginare la sorpresa e lo smarrimento di queste coppie, che a seguito dei percorsi

con i servizi territoriali e/o con le associazioni familiari hanno sviluppato un signi�cato

dell’adozione come totale e netta scissione tra il passato del minore e il presente/futuro.

Eppure pare che il presente sia in fermento e che il futuro potrebbe quindi cambiare,

andando forse verso un sempre maggior numero di adozioni che potremmo de�nire

“creative”.

Si potrebbe tentare di sintetizzare il tutto parlando di “adozione aperta”, ma personalmente

ritengo che sia una eccessiva sempli�cazione di un pensiero molto più complesso che sta

portando gli operatori del settore a ripensare alle caratteristiche dell’adozione come l’abbiamo

conosciuta �no ad oggi, spinti dal bisogno di rispondere meglio, in tempi più brevi e con progetti

più e�caci alle molteplici situazioni di disagio in cui versano migliaia di bambini nel nostro

paese.

Pensiamo ad esempio a tutte quelle situazioni in cui la genitorialità è dichiarata disfunzionale

ma il legame genitore-�glio si è instaurato e si ritiene importante mantenerlo, per cui non

sussistono le condizioni di adottabilità del minore richieste dalla legge 184. Sussiste invece

una condizione di “semi-abbandono”, caratterizzato dalla mancanza di un ambiente familiare

idoneo allo sviluppo del bambino e conseguentemente da una condizione di grave disagio del

minore. Siamo in presenza di famiglie in cui i genitori sono stati dichiarati permanentemente

non in grado di assolvere il proprio ruolo genitoriale in modo totale ed esclusivo ma che sono

riusciti comunque ad instaurare un legame che per il bambino risulta essere funzionale al suo

sviluppo psico�sico.

Né la cesura totale e de�nitiva del rapporto con i genitori biologici né proseguire la

convivenza con la famiglia di origine rappresenta in questi casi il miglior interesse per il

minore. Per questi “bambini nel limbo”, come li chiama Occhiogrosso (2), il Tribunale per i

Minorenni di Bari ha provato a sperimentare l’adozione mite, un particolare progetto di

adozione legittimante che prevede un’a�liazione adottiva pur in presenza del mantenimento di

contatti, stabiliti caso per caso in termini di modalità e frequenza, con la famiglia di origine (3).

Dopo più di un decennio di sperimentazione sono disponibili dei dati che al primo sguardo

sembrerebbero deporre a sfavore della validità dell’adozione mite, in quanto il campione di

adolescenti intervistato avrebbe manifestato una percentuale signi�cativamente maggiore di

disturbi comportamentali e sarebbe più incline a presentare stili di attaccamento insicuro

rispetto alla popolazione non clinica e/o adottata con adozione “classica”. L’interpretazione di

questi dati in senso letterale, attribuendo le fatiche di questi adolescenti all’apertura

dell’adozione, presenta però dei limiti rappresentati dalle storie pre-adozione dei minori

intervistati.

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L’adozione mite è stata infatti pensata per dare una risposta al bisogno di stabilità e continuità

di bambini e ragazzi che per anni hanno vagato tra famiglia di origine, comunità e famiglie

a�datarie,  minori che arrivano quindi all’interno delle famiglie adottive con una storia di

traumi e fallimenti plurimi e ripetuti, che non possono non lasciare il segno e condizionare il

proprio funzionamento e la formazione della personalità anche in presenza di fattori riparativi

quali l’adozione da parte di una famiglia adeguata e funzionante. È verosimile invece pensare

che in assenza di un progetto di adozione, seppur con le caratteristiche peculiari

dell’adozione mite, il divario tra i due campioni osservati potrebbe essere ancora più ampio e le

di�coltà comportamentali ed esistenziali dei minori in questione ancora più signi�cative.

Forse l’atteggiamento più produttivo è ragionare in termini di potenziali vantaggi e svantaggi

per gli attori coinvolti: il minore, la famiglia adottiva e la famiglia biologica.

Per quanto riguarda la famiglia biologica, il sapere che il proprio �glio ha trovato una

casa confortevole e un ambiente sicuro a cui a�darsi per poter crescere serenamente

potrebbe far diminuire il senso di colpa e alleviare la so�erenza per la separazione dal

proprio �glio.  È vero anche che talvolta i ripetuti contatti con la “nuova vita” del bambino

potrebbero interferire con l’elaborazione del trauma della separazione, generando nei

genitori biologici del risentimento nei confronti dei genitori adottivi, che diventano

depositari di sentimenti di invidia e risentimento.

Per quanto riguarda la famiglia adottiva uno dei vantaggi potrebbe essere la possibilità di avere

accesso diretto a informazioni mediche, sanitarie e psicologiche dei momenti che hanno

preceduto l’incontro col �glio adottivo, acquisendo quindi un bagaglio di informazioni oggettive

che possono aiutare la costruzione della verità narrabile (4). Il lato negativo è sicuramente

rappresentato dalla fatica di confrontarsi continuamente con il passato del proprio �glio e

dalla paura che i continui contatti con i genitori biologici possano riattualizzare situazioni

dolorose e/o pericolose per il bambino e ostacolare la creazione di un legame di

appartenenza. È innegabile e facilmente intuibile il costo emotivo che i genitori adottivi sono

chiamati a sostenere per aiutare il proprio �glio a mantenere il legame col passato: è già di�cile

quando il passato “è una storia”, possiamo comprendere quanto lo sia quando il passato ha un

nome e un volto.

Per ultimo ma non per ultimi guardiamo i vantaggi e gli svantaggi che l’adozione aperta può

portare ai �gli. Tra gli svantaggi c’è sicuramente il rivivere situazioni che possono portare disagio

e so�erenza e la fatica di “tenere in piedi” due legami, che potrebbe portare al sentirsi stretti

nella morsa di un con�itto di lealtà tra i genitori biologici e quelli adottivi. Pensiamo a quante

energie chiediamo a questo bambino, che deve avere tempo e spazio per costruire un legame

di appartenenza alla famiglia adottiva e al contempo mantenere attivo un pezzo di identità

biologica, col rischio di sentirsi sospeso a metà, in bilico tra due modelli relazionali totalmente

di�erenti che possono confondere e non poco soprattutto i bambini più piccoli. Al contempo

però l’essere esposto a due realtà così di�erenti potrebbe facilitare l’elaborazione dei motivi

che hanno portato alla separazione dai genitori biologici, aiutando i minori a ragionare in

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termini di ciò che fa bene e ciò che fa meno bene alla propria crescita. Un altro vantaggio

rappresentato dall’adozione aperta potrebbe essere la �uidità con cui si fa il passaggio dalla

famiglia biologica alla famiglia adottiva, una gradualità che concede ai minori il tempo di

riorganizzarsi psicologicamente.

Quello che possiamo dire per certo è che l’adozione aperta può rappresentare in alcune

situazioni speci�che l’unica possibilità per garantire ad un minore il diritto ad una

famiglia adeguata e funzionante ma che essa non può e non deve essere la regola, cioè

sostituirsi alla adozione legittimante come intesa dalla attuale legislazione.

È essenziale la chiarezza che l’ipotesi di un’adozione aperta oppure la possibilità o�erta dalla

legge 175/2015 di trasformare il progetto di a�do in un’adozione legittimante non sono

strade più veloci o più facili per diventare famiglia adottiva, ma che tutti i pensieri di

cambiamento in atto sono a tutela del primario interesse del minore.

Lo stato di fatto è che di fronte al desiderio di una genitorialità adottiva la coppia ponga con

serenità e umiltà la propria disponibilità all’accoglienza di un minore e del particolare e unico

progetto che porta con sé, con l’unico scopo di garantire il diritto a vivere, crescere ed essere

educato all’interno di una famiglia (art,1, comma 5, legge 149/2001).

 

1. Per un approfondimento sulla legge 173/2015 vedere il contributo dell’Avv.

Heilegger.http://www.genitorisidiventa.org/notiziario/la-legge-sulla-continuit%C3%A0-

degli-a�etti-nuove-prospettive-tema-di-adozione-ed-a�damento

(http://www.genitorisidiventa.org/notiziario/la-legge-sulla-continuit%C3%A0-degli-a�etti-

nuove-prospettive-tema-di-adozione-ed-a�damento)

2. Cit. Franco Occhiogrosso, già Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari

3. Per approfondimenti vedere i contributi del Convegno “L’adozione che verrà” tenutosi il

14 novembre 2016 presso l’Università Bicocca di Milano. https://www.ciai.it/wp-

content/uploads/2018/01/1CONVEGNO-BICOCCA.pdf (https://www.ciai.it/wp-

content/uploads/2018/01/1CONVEGNO-BICOCCA.pdf)

4. Guidi D., Tosi M. N., “La verità narrabile al �glio adottivo", Minorigiustizia, 2/97, Franco

Angeli.

 

Data di pubblicazione:  Lunedì, Febbraio 18, 2019

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