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LUIGI VOLTH I Movimenti del mondo Siderale Conferenza tenuta il 13 Gennaio 1936-XIV

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LUIGI VOLTH

I Movimenti del mondo Siderale

Conferenza tenuta il 13 Gennaio 1936-XIV

Era ben naturale che gli antichi ritenessero fisse le stelle, se solo poco più di due secoli fa coll'HALLEY si cominciò a sospettare che qualcuna si muovesse rispetto alle altre.

Per mettere in evidenzat ali spostamenti angolari dell'ordine per lo più di centesimi di secondi d'arco all'anno delle stelle sulla sfera celeste — che si chiamano moti propri' (m. p.) — occorre mettere a confronto posizioni loro molto precise e distanziate almeno di qual­che decina d'anni o posizioni meno approssimate distanziate di secoli. Preziose perciò, per quanto grossolane, quelle di TOLOMEO, grazie alle quali l'HALLEY si accorse che Arturo e Sirio si erano spostate di circa 1° e1/2 grado rispettivamente e rispetto alle altre stelle (2" e 1" all'anno).

Affinandosi i mezzi di misura e crescendo gli intervalli di tempo fra le posizioni paragonabili, il numero dei m. p. stellari scoperti e determinati con sempre maggior precisione andò aumentando con ritmo accelerato: ora se ne conoscono oltre 40.000; è ancora poco in confronto alle 400.000 stelle dei soli cataloghi posteriori al 1900 ed ai 3 milioni e mezzo del catalogo fotografico internazionale. Questa colossale impresa di collaborazione aveva tra gli scopi principali appunto la deduzione, dirò così in massa, dei moti propri", perchè era infatti in programma una seconda rassegna fotografica del cielo, non ancora iniziata, perchè non ancora elaborata tutta la prima.

Coll'HERSCHEL s'inizia un secondo capitolo dei moti stellari: quelli dei moti orbitali delle stelle doppie e multiple. Egli aveva sperato di mettere in evidenza l'effetto prospettico del moto orbitale della terra, misurando il conseguente spostamento reciproco di due stelle vicinissime sulla sfera celeste, l'una luminosa e quindi pro­babilmente vicina, l'altra debole e quindi probabilmente lontana e scoprì invece i sistemi di stelle legate e mosse da una mutua azione gravitazionale.

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Solo più tardi, grazie al principio del DOPPLER (1848) un nuovo possente mezzo era offerto agli astronomi per lo studio dei moti stellari (i primi tentativi in questo senso sono — dovuti intorno al 1870 — HUGGINS, VOGEL, DRAPER) : la determinazione cioè delle velocità radiali (Vr) dedotta dallo spostamento delle righe dello spettro stellare verso il rosso o verso il violetto a seconda che la la stella si allontana (velocità positiva) o si avvicina (velocità negativa).

Tre adunque sono i diversi campi di ricerca atti ad accrescere le nostre conoscenze sui moti stellari, ai quali campi corrispondono naturalmente metodi particolari di osservazione.

Nella determinazione di m. p., ripeto, si misura lo spostamento angolare annuo di una stella sulla sfera celeste, cioè l'effetto perce­pibile della componente trasversale della velocità della stella nello spazio relativamente all'osservatore, centro di quella sfera. Dal moto proprio si potrà risalire alla valutazione di questa componente in Km/s quando della stella si conosca la distanza o, come si potrebbe dire, la sua reciproca, cioè la parallasse, che è l'angolo sotto cui dalla stella è visto il raggio dell'orbita terrestre.

Nelle osservazioni di stelle doppie, di quelle visuali almeno, invece misuriamo le coordinate polari sferiche della stella secondaria

v-.f",-\ rispetto alla primaria ed anche per esse si potrà risalire dalle di-' - l mensioni angolari dell'orbita dedotta e dalla velocità angolare della I}' • secondaria sull'orbita alle dimensioni ed alla velocità lineari, purché ^ / si conosca la parallasse del sistema.

Le misure spettroscopiche di volocità radiali infine ci danno senz'altro la componente radiale, cioè lungo la visuale, della velo­cità della stella in Km/s, sempre relativamente all'osservatore: la distanza della stella qui non ha a che fare.

Si può osservare che, mentre per dedurre i m. p. bisogna, come s'è detto, lasciar passare un periodo di tempo fra le due posizioni da paragonare, la deduzione di una velocità radiale è, si può dire, immediata, però non può essere estesa alle più piccole senza aumen­tare enormemente i mezzi ottico-dispersivi: coi giganteschi strumenti americani si misurano le Vr delle stelle sino alla 12a grandezza.

Visto all'ingrosso come si determinano, passiamo in rassegna questi moti stellari. Analogamente a quanto avviene per il sistema solare ed il sole, nelle stelle si compiono moti di rotazione, di rivo­luzione e di traslazione nello spazio.

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Il moto di rotazione delle stelle è rivelato dagli spettrogrammi ed è risultato conseguito in questi ultimi anni. Si capisce che l'effetto DOPPLER, il quale, per ciò che riguarda, la rotazione, ha importo eguale e segno opposto alle due estremità del diametro di un oggetto celeste visibile sotto l'aspetto di un disco, come si verifica per il sole e per i pianeti, offra anche qui il mezzo di valutare la velocità di quella rotazione. Ma le immagini stellari sono praticamente punti­formi (il massimo diametro stellare, misurato coli'interferometro, quello di Mira Ceti, è dell' ordine di mezzo decimo di secondo d'arco); il procedimento ora detto non è perciò più applicabile; si è tuttavia giunti al risultato desiderato studiando al microfotometro registratore il profilo di certe righe degli spettri stellari, le quali meglio si prestano, deducendo in altre parole la legge secondo cui l'intensità luminosa è distribuita entro una riga in funzione della lunghezza d'onda. La rotazione delle stelle imprime a questo profilo alterazioni che la teoria sa mettere in relazione colla velocità di quella rotazione; quest'ultima si potrà quindi dedurre.

Nel caso di stella parzialmente eclissata da un compagno oscuro o no (variabili ad eclisse) il profilo in questione si fa asimmetrico, presenta cioè il cosidetto effetto di bordo, che pure si può mettere teoricamente in relazione colla velocità di rotazione. In tal caso, e meglio ancora in caso di eclisse anulare, ci si avvicina alle condi­zioni che si verificano per il sole e i pianeti, in quantochè l'uno od ambedue i bordi sono separati agli effetti spettroscopici.

Si è così determinata la velocità di rotazione di Algol (tipica delle variabili ad eclisse, che sono oltre 800) a disco libero e a disco eclissato, con risultati abbastanza concordanti: 60 e 67 Km/s all'equa­tore (analoghe velocità per il Sole: 2 Km/s, per Giove 12 Km/s). Sono questi, come ho detto, studi nuovissimi e poco è ancora il materiale raccolto; tralascio perciò di accennare a tentativi di met­tere in evidenza relazioni fra velocità di rotazione e tipi spettrali.

Assai più vasta la materia riguardante i movimenti gravitazio­nali dei sistemi multipli, che riassumerò nelle caratteristiche più salienti. Inutile insistere sul significato che ha avuto la deduzione delle orbite delle stelle doppie, quello cioè di una grandiosa con­ferma, nelle remote profondità dello spazio, della legge della gravi­tazione, che da allora meritò veramente il nome di universale.

Accenno subito alla forte percentuale di doppie esistenti; com­prese quelle non separabili ai cannocchiali, esse sono probabilmente

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una su tre; l'enorme maggioranza degli stretti accoppiamenti di imma­gini stellari corrisponde a sistemi legati in realtà fisicamente (doppie visuali), piccolissima essendo la probabilità di siffatti avvicinamenti per puro effetto di pospettiva, ossia di quasi allineamenti lungo la visuale di stelle in realtà diversamente distanti da noi (doppie ottiche).

Ho detto comprese quelle non separabili, perchè moltissime doppie sono così accostate, che nessun cannocchiale riesce e forse non riuscirà mai a separare; esse si chiamano doppie o binarie spettroscopiche, perchè è appunto lo spettroscopio che, grazie all'ef­fetto DOPPLER, ce ne rivela la duplicità ed il movimento orbitale.

Se per lo studio delle orbite delle doppie larghe o doppie visuali servono le misure angolari micrometriche già accennate, cioè osservazioni astronomiche visuali o fotografiche od anche interfero-metriche, per lo studio delle orbite delle spettroscopiche occorre e si utilizza il materiale spettroscopico delle velocità radiali, corretto, naturalmente, dell'effetto dei due moti di rivoluzione annua e di rotazione diurna della terra, cioè, diremo, il materiale delle velocità radiali rispetto al sole.

11 problema, com'è prevedibile, si presenta diverso per le doppie visuali e per le spettroscopiche e non è il caso qui di dare particolari; basti il dire che nell'orbita di una doppia visuale — e per esser precisi, nell'orbita della secondaria relativa alla primaria — rimane l'ambiguità del segno dell'inclinazione dell'orbita vera sul piano dell'orbita apparente (perpendicolare alla visuale); l'ambiguità può esser tolta di mezzo da determinazioni di velocità radiale; le dimen­sioni reali dell'orbita e, per essa, del semiasse maggiore (che il calcolo dà in valore angolare) si potranno dedurre, come già si disse ove si conosca la distanza, cioè la parallasse del sistema doppio: se a" e ai sono i valori angolare e lineare di detto semiasse e p" quello della parallasse è senz'altro:

ai = a"ìp"

Se ora scriviamo la formula esatta della 3a legge del KEPLERO per un sistema binario e per il sistema terra-sole, trascurando qui la massa della terra, abbiamo:

ai3 G , , x tfo3 G -̂ 7 = -r—, O* ' O — = — mmsole Tl 4 A- 7V 4 TT

assumendo a0 = 1, TQ = 1, m m soie = 1 sarà G = 4 TC8

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mi -i m2

Nota adunque dalla parallasse il valore lineare del semiasse maggiore dell'orbita, potrà dedursi la massa complessiva del sistema e potranno dedursi le singole masse, ove si disponga di un altro dato indipendente, il moto proprio sia dell'una, sia dell'altra componente.

Reciprocamente, poiché la somma delle masse per la maggio­ranza dei sistemi doppi non si allontana molto dal valore 2 (doppio della massa solare) adottando questo valore otterremo dai due ele­menti orbitali: semiasse maggiore e periodo dell'orbita del sistema, un valore approssimato della parallasse, in quanto gli eventuali sco­stamenti di m{ + m , dal valore 2 non influiscono gran che sulla radice cubica della somma stessa. Le parallassi così dedotte vanno sotto il nome di parallassi dinamiche e forniscono dati utilissimi nell'astronomia siderale.

Quello del sistema di Sirio costituisce un caso a sé, in quanto non sono intervenute misure delle coordinate polari della secondaria relativamente alla primaria, per la semplice ragione che la secon­daria non era visibile. Il BESSEL, studiando il m. p. di Sirio, ne rilevò l'eccezionale andamento sinuoso e periodico in luogo di quello solito uniforme lungo un arco di circolo massimo, quale dev'essere, molto prossimamente, l'effetto trasversale di una trasla­zione nello spazio. Ne dedusse l'esistenza di un invisibile compagno e ne diede il periodo orbitale; il PETERS poi nel 1851 calcolò accu­ratamente gli elementi del moto (periodo 50 anni; a = 15" e --•••• 0,6); solo più tardi, nel 1862, il figlio dell'ottico americano CLARK casual­mente mostrava al padre il piccolo, massiccio satellite di Sirio, la famosa nana bianca, di cui una tonnellata di materia può esser contenuta nel palmo di una mano. Abbiamo citato una conquista della cosidetta astronomia dell'invisibile, press'a poco contemporanea ad una analoga conquista, alla scoperta di Nettuno originata dai cal­coli del LEVERRIER e dell'ADAMS.

Si conoscono oltre 17.000 doppie visuali sino a 30° di decli­nazione, si calcolano a 27.000 quelle non più deboli della 10a gr. in tutto il cielo, si sono calcolate con sicurezza poco più di 150 orbite.

a e la prima formula diventa

e introducendo la parallasse :

a"3

J'3 ^ 2 r mK f /7?2 ossia

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Circa le orbite delle binarie spettroscopiche bisogna anzitutto distinguere i due casi in cui sono possibili misure di variazione di velocità radiali di una sola o di ambedue le componenti di una coppia: nel primo caso bisogna limitarsi a dedurre l'orbita della stella diciamo così spettroscopicamente visibile relativa al centro di gravità del sistema; nel secondo caso la deduzione dell'analogo risultato per ambedue le stelle ci permetterà di dedurre l'orbita dell'una componente rispetto all'altra, come nelle doppie visuali.

Mentre per quest'ultime le dimensioni orbitali sono espresse in angolo, cioè nella stessa unità di misura dei dati di osservazione, i corrispondenti elementi per le spettroscopiche saranno espressi in Km, come i dati di partenza, che sono velocità radiali. Colla differenza che le due incognite: semiasse ed inclinazione non si possono separare e quindi, anche nel secondo più favorevole caso, la 3a legge del KEPLERO non ci fornisce la massa totale del sistema, ma solo la stessa moltiplicata per sin*i: possiamo però nel caso stesso dedurre il rapporto delle masse. Un ultimo rilievo : per l'or­bita di una spettroscopica non potremo ricavare l'orientamento sulla sfera celeste dell'intersezione del piano orbitale col piano normale alla visuale, non potremo cioè ricavare la longitudine dei nodi, per l'ovvia ragione che le due componenti non sono separabili, sicché non ci è possibile introdurre l'elemento orientamento.

Ma per una numerosa classe di binarie spettroscopiche soccor­rono altri dati di osservazione, che ci permettono di portare più innanzi la soluzione del problema e fare più intima conoscenza con quelle coppie. È la classe delle doppie spettroscopiche per le quali il piano della mutua orbita contiene o passa assai prossima al nostro occhio: si verificheranno allora mutue eclissi che produr­ranno variazioni nella luminosità apparente del sistema, visto sempre come un'unica stella; questa classe, detta appunto delle variabili ad eclisse, ha come più celebre campione ALGOL; classe notevolissima, sia considerata nel campo dei sistemi doppi", sia considerata nel campo delle variabili; questo delle variabili ad eclisse è l'unico gruppo per il quale la causa della variabilità è accertata in modo assoluto.

Nello studio delle doppie fotometriche, come anche si chiamano queste variabili, i dati fotometrici appunto accurati e sufficiente­mente estesi sostituiscono con grande vantaggio quelli di variazione di velocità radiale, talché in casi favorevoli si possono determinare sino a 12 incognite, tra le quali (oltre gli elementi orbitali), le

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masse e le dimensioni delle componenti e il loro splendore assoluto, se nota anche la parallasse. Così del sistema di Algol, scoperto dal nostro MONTANARI nel 1670 e di cui il GOODRICKE nel 1782 aveva appunto spiegato le fasi di luce coll'ipotesi di un compagno oscuro eclissante, sappiamo ora che l'astro luminoso ha un diametro poco più di tre volte ed una massa quasi 5 volte quella del sole, mentre quello oscuro ha un diametro 3 e 2/3 quello solare ed una massa di poco inferiore alla solare, sicché la loro densità è debole, debolissima quella del compagno : un cinquantesimo della densità del sole, la quale è 1,4 di quella dell'acqua. I dati orbitali, con­fermati dalle misure di velocità radiale, ci dicono che il sistema è assai stretto, perchè la distanza media delle componenti è poco più del doppio della somma dei loro raggi. L'astro luminoso ha uno splendore 200 volte quella del sole. Le osservazioni fotometriche hanno pure dimostrata l'esistenza di un terzo molto minore membro del sistema.

Corrispondentemente alle maggiori dimensioni orbitali delle doppie visuali rispetto a quelle delle binarie spettroscopiche, le prime hanno in generale periodi più lunghi delle seconde.

La doppia visuale a più breve periodo è la 8 Equulei, con meno di 6 anni ; si hanno d'altra parte sistemi con periodi di cen­tinaia di anni e sino di migliaia, sicché per alcuni sistemi la rela­zione gravitazionale mutua è dubbia, non bastando la durata delle osservazioni compiute ad accertarla.

Se la più lenta fra le doppie spettroscopiche è la & Phoenicis, con un periodo di 10 anni, ve ne ha per contrapposto di quelle con periodo di alcune ore: è ovvio quindi che su quasi 1200 spettroscopiche — non includendo fra queste le 3000 ad eclisse — già siano conosciute circa 300 orbite, per il minor tempo che richiede, in confronto alle più lente visuali, il seguirne uno o più periodi.

I periodi di rivoluzione delle doppie visuali si potrebbero adun­que paragonare a quelli dei pianeti intorno al sole (almeno, dei più lontani) quelle delle binarie spettroscopiche ai periodi di rivo­luzione dei satelliti intorno al loro pianeta. Ma l'analogia finisce qui, perchè i sistemi doppi e multipli non assomigliano al sistema solare, in quanto, si potrebbe dire brevemente, sono composti in generale di soli, anche se talora oscuri, probabilmente senza pianeti, soli che nella classe delle spettroscopiche sono vicinissimi tra loro in confronto delle loro dimensioni, come s'è visto per Algol.

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Si potrebbe allora domandarsi se proprio non esistono altri sistemi solari : certo non se ne conoscono ; si suppone che abbiano corteggio di pianeti alcune stelle supergiganti, ma tali astri, per la legge di EDDINGTON della proporzionalità della luminosità alla massa, a cagione della piccolezza di quest'ultima non saranno abba­stanza lucenti per esser visti, anche se relativamente vicini.

Passiamo ora dai moti Kepleriani a quelli più generali e più imponenti individuali e collettivi delle stelle nello spazio, i quali interessano a fondo lo studio d'assieme del nostro universo side­rale, in quanto ci procurano notizie e dati sulle condizioni mecca­niche di esso. Le deduzioni individuali secondo diversi e fecondi metodi e le deduzioni collettive per gruppi con criteri statistici delle distanze ci fanno conoscere ogni giorno meglio la distribuzione delle stelle e dei loro complessi. Ora le ricerche sui moti e quelle sulla distribuzione si giovano grandemente le une delle altre, come vedremo, ed insieme anche mirano allo studio del problema meccanico del nostro mondo siderale, per impostare il quale, oltre i dati for­niti dai m. p. e dalle Vr (cinematici) e quelli di distanza (di distri­buzione) si richiedono quelli di massa, in molti casi effettivamente deducibili, in generale statisticamente valutabili.

Limitiamoci qui a passare in rassegna le questioni e i risultati che propriamente si riferiscono ai moti celesti attraverso lo spazio.

La prima questione che si affaccia è quella del moto solare: noi conosciamo il movimento della terra rispetto al sole, ma ci occorre conoscere il movimento del sole col quale viaggiamo nello spazio per dedurre, dal moto relativo delle stelle rispetto a noi, il loro moto reale entro e attraverso il sistema siderale.

Il problema del moto del sole d'altra parte è un caso partico­lare del moto di una stella, la stella più importante per noi, ma è anche il primo passo necessario per risolvere tutti gli altri casi particolari. Ogni moto proprio, ogni velocità radiale comprendono l'effetto dovuto al moto del sistema solare. Come sceverare questo dalla parte dovuta al moto stellare, così da calcolare i moti reali del sole e della singola stella? Pilastri assolutamente fissi a cui riferirci non esistono e per forza bisogna ridurre le nostre pretese e contentarci di metodi statistici.

Ricorrendo ad un materiale di m. p. e di Vr il più vasto e vario possibile ed il più variamente distribuito, faremo l'ipotesi di appros­simazione che i peculiari moti stellari presentino tanta varietà di

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grandezze e di direzioni che la loro risultante sia praticamente nulla, sicché grandezza e direzione del moto solare relativamente a quell'assieme rappresentino prossimamente il suo vero moto.

Per porre il problema in modo generale come fa lo CHARLIER, supposti noti i m. p. le Vr e le distanze di un vasto gruppo di stelle come s'è detto, ci serviremo di due sistemi di riferimento, l'uno per necessaria convenzione supposto fisso, un ordinario sistema equa­toriale (a, S) con origine nel centro geometrico di gravità o cen-troide del gruppo e definito quindi dalle

S U, - o EVl = o 2 1 ^ = 0

dove le Ui} Vif Wit sono le componenti delle velocità individuali; l'altro sistema mobile col sole e con origine nel sole e l'asse delle z rivolto alla stella e perciò variabile da stella a stella e gli altri due assi scelti in modo che sia :

U= K r u cos 8 V - K r tu„ W - ?

r — distanza, e , ;•. = componenti in a e 5 del m. p. p Vr a. ò

k costante dipendente dalle unità addottate. Bastino questi cenni sul come si imposti il problema di moto

relativo che conduce alla determinazione del moto dei sole, cioè apice e velocità di esso moto.

In realtà poiché poche sono le stelle per cui siano contempo­raneamente noti m. p., Vr e distanze, il problema è stato trattato e risolto da molti autori con metodi statistici, servendosi soltanto dei m. p. e delle Vr per diverse serie di stelle; le determinazioni fon­date sui m. p. hanno naturalmente preceduto quelle fondate sulle velocità radiali: l'HERSCHEL fu il primo a dare per questa via la posizione approssimata dell'apice del moto solare. — I m. p. da soli infatti potranno darci solo la direzione, non la velocità del moto solare, sino a che non si conoscano anche le parallassi o si possano in via di approssimazione o con criteri* di probabilità adot­tare valori soddisfacienti per esse.

Più fecondo quindi allo scopo il materiale delle velocità radiali, il quale da solo può fornirci velocità e direzione del moto solare almeno rispetto all'assieme di stelle prese in esame, e tanto più vicino al vero quanto più vasto e ben distribuito sarà quell'assieme.

Se incertissime erano le prime misure di Vr e specialmente quelle fatte visualmente, da 40 anni a questa parte tali misure si

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affinarono e si accumularono, specialmente nei grandi osservatori del Nord America, compreso quello di Victoria nel Canada, con procedimento fotografico naturalmente. Un catalogo generale in pre­parazione a Lick comprenderà circa 7000 valori: l'incertezza di una velocità radiale dipende oltre che dallo splendore della stella, dalla bontà delle linee utilizzabili del suo spettro: nelle buone deter­minazioni tale incertezza è di qualche decimo di Km/s.

Le coordinate dell'apice del moto solare secondo le più recenti determinazioni dalle velocità radiali sarebbero :

a = 18* ; 8 = + 29° e la velocità: 19,6 Km/s

le stesse coordinate dai m. p. delle stelle più luminose:

a - 18* 8 = + 34°.

Il sensibile disaccordo è conseguenza sia della diversità dei metodi e delle stelle usate, sia dell'ipotesi fatta di una comune parallasse media ammessa per gruppi di stelle nel metodo dei m. p.

Tuttavia anche le singole determinazioni fatte collo stesso me­todo (m. p. o Vr) ma fondate su gruppi diversi di stelle, presen­tano pure notevoli disaccordi, i quali, in fondo o in prevalenza non sono che l'effetto complessivo di caratteristiche peculiari dei moti stellari utilizzati. Lo studio comparativo di questi disaccordi è d'altra parte molto istruttivo, anche se molto difficile e ha pro­spettato nuovi problemi.

Era opportuno intanto escludere dal materiale per la determi­nazione del modo solare le stelle di moto individuale eccezio­nalmente forte e quelle evidentemente partecipanti ad un moto solidale con altre numerose, cioè le stelle appartenenti a correnti stellari. Anche con queste precauzioni si è constatato che le carat­teristiche del moto solare variano e colla grandezza delle stelle e colla latitudine galattica e col tipo spettrale.

La dipendenza dal tipo spettrale specialmente è notevole; già nel 1910 il KAPTEYN aveva rilevato che deducendo la velocità del moto solare da 30 stelle circa del tipo spettrale B poste presso l'apice si otteneva 8 V2 Km/s e deducendola da altrettante dello stesso tipo poste presso Pantapice si otteneva 28 V2 Km/s, il che si poteva spiegare ammettendo che le velocità radiali adattate fossero errate di 5 Km in eccesso. Ma l'esistenza di un errore di tal fatta, variabile col tipo spettrale e chiamato termine od effetto K, fu dimo­strata subito dopo dal CAMPBELL: gli studi" relativi si moltiplica­rono e durano tuttavia e vi ha portato un contributo l'astronomia

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italiana col prof. ZAGAR; basti l'avervi accennato e basti il sapere che se ne cercò la spiegazione o nell'uso di lunghezze d'onda nor­mali inesatte nella riduzione degli spettrogrammi, od in cause intrin­seche nelle stelle, nell'effetto EINSTEIN sulle righe spettrali e infine in reali moti delle stelle; il valore positivo di A"significherebbe un moto medio di allontanamento del corrispondente gruppo di stelle.

Supponiamo adunque risolto il problema del moto del sole nello spazio: per ogni stella di cui si sappia, coi dati di m. p. e parallasse (componente trasversale) e di Vr (componente lungo la visuale), determinare la velocità spaziale relativamente a noi, potre­mo, purgando questa dell'effetto del moto solare, risalire alla sua velocità individuale genuina. Ma non è facile pervenire alla cono­scenza del dato velocità parziale per un gran numero di stelle; il giorno che per molti gruppi sufficientemente rappresentativi del mondo siderale conoscessimo il vettore che definisce tale caratte­ristica, potremmo dire di conoscere la distribuzione e la vita collet­tiva dell'universo siderale.

Ora tale materiale si va rapidamente accumulando, grazie al maturare - per così dire - degli intervalli necessari" alla deduzione dei m. p., grazie all'affinarsi dei mezzi dispersivi che forniscono le V,- di anche piccole stelle, grazie infine alla grande fecondità dei molteplici metodi trigonometrici, fotografici, spettroscopici, dina­mici, statistici che conducono alla conoscenza delle distanze stellari. Siamo però ancora al principio della grande ricerca e ben lontani dalla grande meta, per quanto si lavori in condizioni assai più favore­voli di qualche decina di anni fa, quando rarissime essendo le Vr

note, lo studio dei moti stellari (esclusi quelli Kepleriani delle doppie) si doveva basare tutto sui m. p., anch'essi molto meno numerosi.

Sarà interessante riassumere a grandi linee la storia di questo studio, sia per farne rilevare le tappe, sia per illustrare l'evoluzione del pensiero scientifico nel vasto problema.

Prima converrà però accennare a studi e risultati più circo­scritti nel loro campo e nella loro portata, studi cioè limitati a gruppi di stelle e regioni del cielo e che, per quanto perfezionati e progrediti anche recentemente, hanno in generale preceduto le ricerche più generali di cui dirò subito dopo.

L'esame dei m. p. mise in luce che i piccoli archetti i quali sulla sfera celeste li rappresentavano, convergevano, per certi gruppi

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di stelle, verso un medesimo punto della sfera stessa, approssima­tivamente; se ne inferì un moto parallelo solidale di quelle stelle. Si trattava cioè di piccole correnti locali.

Talora questi gruppi sono costituiti da stelle sparse, apparen­temente lontane fra loro sulla volta del cielo, come la corrente dell'Orsa Maggiore, quella del Toro con nucleo nelle Jadi, dello Scorpione, del Centauro.

Talora si tratta di aggruppamenti più concentrati, come la corrente di Orione, compresavi la celebre nebulosa, e quella di Per­seo ; talora infine di gruppi abbastanza stretti, detti perciò ammassi aperti, come quelli delle Pleiadi, del Presepe, della Chioma di Berenice. Ho citato solo i movimenti solidali più notevoli, che furono studiati molto accuratamente nella velocità, nella distanza e quindi nelle dimensioni dell'agglomerato ed infine nella direzione, che rara­mente si discosta gran che dal piano galattico: questi gruppi com­prendono sino a qualche centinaio di stelle.

Nel quadro dei moti stellari queste piccole correnti locali pre­sentano interesse, sia perchè vi appartengono anche stelle visibili ad occhio nudo, sia perchè il riconoscere l'appartenenza di una stella ad una di tati correnti equivale a conoscerne la distanza e la velocità spaziale.

Tornando ora alla questione generale, poiché le prime ricerche si fondavano sui m. p., per rappresentare le effettive velocità indi­viduali a cui i m. p. osservati corrispondevano, si pensò dapprima come all'ipotesi più semplice ad una distribuzione di velocità asso­lutamente a caso, ad una distribuzione maxwelliana, ma erano troppo evidenti direzioni preferenziali nel piano della Via Lattea perchè l'ipotesi reggesse. Si presentarono così al KAPTEYN le famose due correnti stellari, aventi direzioni parallele ed opposte, parallele a quel piano e l'HALM ne aggiunse una terza, la cosidetta corrente 0. Lo SCHWARZSCHILD dimostrò che le apparenze presentate da tali correnti potevano entrare nel quadro di una distribuzione ellissoi-dica delle velocità, per la quale appunto le componenti delle velo­cità, individuali sono maggiori secondo certe direzioni. Le superficie di egual frequenza sono ellissoidi di equazione:

u2 , v2 , w2 n

dove U, V, W sono le componenti della velocità e le a le disper­sioni secondo i tre assi coordinati. Per C = 1 si ha l'equazione

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dell'ellissoide delle velocità. Lo SCHWARZSCHILD ammetteva che tali ellissoidi fossero di rotazione, molto schiaccianti : lo CHARLIER generalizzò e svolse ulteriormente l'ipotesi dello SCHWARZSCHILD, come non è il caso qui di specificare.

Le stesse considerazioni matematiche furono applicate ai risul­tati fondati sulle misure di velocità radiali, le quali confermarono in sostanza le deduzioni del KAPTEYN relativamente alle due cor­renti e dell'HALM relativamente alla terza e quindi la concezione della distribuzione ellissoidica più generale a tre assi : l'asse mag­giore (secondo la direzione delle due correnti del KAPTEYN) ed il minore giacerebbero nel piano della Via Lattea, l'intermedio sarebbe diretto press'a poco secondo i poli di essa. Le dispersioni delle velocità individuali secondo le tre direzioni sono praticamente iden­tiche agli assi dell'ellissoide di velocità.

Sarebbe lungo e non altrettanto istruttivo seguire le molte e faticose ricerche istituite in questo campo nello sforzo di trovare relazioni fra le velocità individuali ed altre peculiari caratteristiche delle stelle, di trovare cioè in fondo la spiegazione di tali velocità. Si tratta di tentativi spesso geniali, compiuti necessariamente su materiale non di rado scarso, non sempre omogeneo, non sempre di grande precisione, tentativi che certamente si faranno di anno in anno più convincenti, sboccando verso immancabili conquiste.

Lasciando da parte le correlazioni fra la velocità e la latitu­dine galattica, che lo schema ellissoidale della distribuzione delle velocità già definisce e le correlazioni fra velocità e distanza, che ritroveremo ben più ... inquietante nelle nebulose spirali, è invece da rilevare come quasi assodata la correlazione fra velo­cità individuali e tipo spettrale. Le velocità crescerebbero dalle stelle B verso le M, cioè dalle più alle meno calde ; e più evi­dente ancora parrebbe la relazione (tutt'altro che contradditoria colla precedente) fra velocità e luminosità assolute: quelle sarebbero in ragione inversa di queste. Il che si potrebbe spiegare ammettendo che, se l'universo siderale è in equilibrio stabile, l'energia cinetica di ciascuna stella è la stessa, sicché le stelle di massa maggiore avranno velocità minore; d'altronde, per la legge dell'EDDINGTON le stelle di massa maggiore hanno anche luminosità assoluta maggiore.

Se poi ora andiamo a ripescare quelle stelle che avevamo detto di escludere dalla determinazione del moto solare per la loro ecce­zionale velocità, ci imbatteremo in constatazioni interessantissime. Per alte velocità si intendono quelle superiori ai 60 Km/s ; quanto

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alle massime, si arriva ai 300 e ad un massimo assoluto, per ora, di 600 Km/s. Naturalmente queste stelle ultraveloci (oltre 60 Km) sono state molto studiate: le caratteristiche loro più notevoli sono: che quelle boreali hanno per lo più velocità negativa, cioè ci cor­rono addosso e che quasi tutte, senza distinzione di declinazione, tendono a muoversi verso regioni comprese quasi tutte in una sola metà della sfera celeste.

Intorno a questa asimmetria di direzione delle forti velocità i pareri erano discordi : per lo STRÒMBERG l'asimmetria era proprietà generale dei moti stellari, mentre altri non solo la limitava alle stelle più veloci, ma pensava che gli individui che ne erano dotati provenissero da fuori la nostra galassia; infine il LlNDBLAD era convinto che le stelle molto veloci, presentati l'asimmetria di cui s'è detto riguardo alle direzioni, costituissero l'indizio e fornissero la prova della vasta, generale rotazione retrograda del nostro sistema siderale. Questi tesi ha ormai prevalso, per aver trovato conferme varie e convincenti (prima fra tutte la forma spirale delle galassie esterne che accusa un analogo moto) ; essa costituisce una delle ultime più brillanti conquiste in questo campo; ne vedremo subito la portata e il significato grandissimi.

Bisogna anzitutto premettere che il nostro sistema siderale non ruota come un tutto rigido: la velocità di rotazione delle stelle presso il centro è maggiore di quella delie lontane, come avviene

. per gli anelli di Saturno. Per questo fatto le forti velocità dirette V -s in gran prevalenza verso uno stesso emisfero sono l'effetto più ;. ' l vistoso di questa rotazione: si tratta evidentemente delle stelle che l l sono al di là del centro di rotazione della galassia rispetto al sole, ; / cioè a noi. Ma è pure evidente che una rotazione siffatta, in cui la

velocità varia colla distanza, avrà effetto sulle velocità radiali a seconda della posizione delle stelle e rispetto al centro di rotazione e rispetto a noi ed analogamente sui moti propri'. Ecco dunque come Vr e m. p., forniscano il materiale per determinare le carat­teristiche di questo moto gigantesco, col quale anche le apparenze delle correnti del KAPTEYN sono spiegate.

Prima di dare tali caratteristiche diciamo quali conferme della rotazione si siano trovate per altra via, per così dire fuori di casa: ci sono, appena fuori di casa o molto lontano da casa nostra, cioè dal sistema galattico, degli oggetti di riferimento: rispettivamente gli ammassi globulari, i quali con molta probabilità non partecipano a tale moto di rotazione, e le galassie esterne, le quali certamente

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non hanno nulla a fare con esso moto. Oggetti provvidenzialmente adatti a farci rilevare e misurare questa rotazione, come infatti si riuscì a fare con risultati in accordo cogli altri.

Traggo i dati relativi alle caratteristiche del moto rotatorio in discorso da un poderoso lavoro di PLASKETT e PEARCE, che pre­sero in esame quasi 900 m. p. e circa altrettante Vr in gran parte riferentisi alle stesse stelle fra le più luminose.

11 centro di rotazione starebbe nella direzione dello Scudo di Sobieski, appena sopra il Sagittario, a 10 mila par. sec. (*) circa; la velocità di rotazione del sole sarebbe di 275 Km/s, il periodo cor­rispondente di 224 milioni di anni. Tanto da considerazioni mecca­niche poi, quanto dalle distanze degli ammassi globulari, si è dedotto che il sole dista dal centro della grande lente galattica di 2/3 del suo raggio, di 1/3 quindi dal suo orlo; la valutazione della distanza lineare del sole dal centro di rotazione equivale adunque alla valutazione della stessa dimensione massima del nostro sistema, cioè del diametro della grande lente in 30 mila par. sec. Questa valutazione era già stata fatta per altra via, e precisamente dalla stima delle grandezze assolute delle cefeidi degli ammassi globulari e dapprincipio in misura esagerata dallo SHA-PLEY, cioè del triplo: 30 e 90 mila par. sec. per i due valori; egli ^', stesso, in seguito alla revisione della scala delle luminosità, era vAV'"^ sceso a 20 mila e 60 mila. Non si poteva a meno di rilevare tutta- / £ / ' via le gigantesche dimensioni della nostra galassia in confronto a f£f/ quelle della maggiore delle galassie esterne conosciute, la nebulosa j^j di Andromeda, il cui diametro maggiore si stimava in 12 mila-lg* /s

par. sec. Ma due constatazioni, si può dire scoperte nel campoi3\ /£ astrofisico, corressero in senso opposto le dimensioni del nostro V ^ ^ g $ ^ sistema siderale e della nebulosa di Andromeda, così da ridurle, ** l'una e l'altra, ai 30 mila par. sec. conclusi dallo studio citato sulla rotazione della galassia. Da un lato il TRUMPLER, infatti potè valutare l'effetto della perdita di luminosità delle stelle per l'assor­bimento di materia nello spazio a circa 0,7 di grandezza per 1000 par. sec. nel piano galattico; se una cefeide di ammasso ci appare più debole per tale cagione, poiché ne conosciamo la luminosità effettiva, naturalmente la giudicheremo più lontana del vero e così

(*) il par. sec. corrisponde alla distanza dalla quale il raggio dell'orbita terrestre si vede sotto l'angolo di 1", cioè a 206265 volte la disianza terra-sole,. pari a 3lJ4 anni-luce.

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anche più grande del vero il nostro universo ; applicata la conse­guente correzione, si ottiene appunto 30 mila par. sec. per il dia­metro della Galassia. La quale sarebbe pur sempre molto più grossa di quella di Andromeda, se l'HUBBLE non avesse trovato per questa che certi ammassi globulari esterni al suo dominio visibile, appar­tengono in realtà a quel sistema e se lo STEBBINS non avesse dimo­strato con delicate misure fotometriche che quel dominio è real­mente superiore a quello sinora attribuito a quella nebulosa: in­somma anche il diametro di essa è all'incirca 30.000 par. sec.

Se ne conclude che, come la terra non è al centro del sistema solare e come il sole non è al centro della galassia, così questa non è la chioccia fra galassie pulcine intorno ad essa, senza con­tare gli altri milioni di nebulose spirali remote e remotissime sue consorelle.

Un altro notevole risultato sia pure incidentale si rileva dal lavoro di PLASKETT e PEARCE: il valore dell'effetto K accennato addietro, tenuto conto di certi moti di corrente e del moto generale di rotazione galattica, fu ridotto per il materiale trattato a poco più di 1 Km/s e questo residuo è in modo persuasivo spiegato coll'effetto EINSTEIN di spostamento gravitazionale delle linee spettrali.

Nello stesso lavoro, dallo studio meccanico del moto rotatorio della galassia fu dedotta anche la sua massa totale, pari a 165 mi­lioni di soli.

Non occorrono commenti per mettere in evidenza la vastità dei risultati a cui lo studio dei moti stellari, fondati sulle misure di piccoli spostamenti delle stelle sulla sfera celeste in lungo volgere di anni e di microscopici spostamenti di linee spettrali su una lastrina, ha potuto condurre.

Di un altro grandioso moto celeste da qualche tempo si parla: della spettacolosa fuga delle lontane spirali, fuga tanto più verti­ginosa, quanto più grande la distanza delle fuggenti. Veramente qui non siamo più nel nostro mondo delle stelle, perchè, l'abbiamo appena ricordato, le spirali sono le consorelle della nostra galassia lontane milioni e milioni di anni luce. Ma non si può a meno di accennare anche a questo argomento.

L'indicazione di una velocità radiale di fuga all'incirca propor­zionale alla distanza, rivelata dallo spostamento verso il rosso spe­cialmente dalle righe H e K del calcio degli spettri delle spirali, non si può mettere in dubbio, fondata com'è su oltre 80 casi. Qui

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si balza dalle decine e centinaia di Km/s delle stelle alle decine di migliaia e l'aumento della velocità di fuga sarebbe di 500 Km/s per ogni milione di par. sec. ; per le remotissime fra le spirali si è dovuto ricorrere ai cannocchiali giganti americani, puntati su am­massi di tali nebulose per utilizzare l'integrazione della luce : per esse veramente il rapporto ora detto sarebbe di 400 Km/s.

Le domande che si affacciano dinnanzi a tali risultati sono: si deve credere alla realtà di queste velocità fantastiche? se sì, come si potrebbero spiegare? se no, come si potrebbero spiegare allora le ingannevoli per quanto assodate apparenze di questa fuga ?

Bisogna però premettere una considerazione. Il DE SlTTER, il FRIEDMANN, il LEMAÌTRE fra il 1917 e il 1927 avevano, come si sa, in base alle teorie relativistiche, concluso per l'espansione dell'universo; parve quindi che la fuga delle galassie esterne costi­tuisse la prova di quelle conclusioni: il che non è, perchè entro quell'universo in espansione anche l'unità di misura seguirebbe la legge di quell'espansione e non potrebbe quindi rivelarcela.

Ciò premesso si deve confessare che, allo stato attuale delle nostre conoscenze le risposte alle domande sopra formulate non possono avere che il carattere di ipotesi. Dobbiamo cioè limitarci ad enumerare le ipotesi che potrebbero spiegare la reale esistenza di tali velocità e quelle che potrebbero dar ragione delle apparenze ingannatrici.

Segno in questa enumerazione un chiaro articolo recente del-l'ARMELLINI.

Si supponga prima reale la fuga. Secondo l'ElGENSON, trasformandosi la massa in energia, dimi­

nuisce la prima e la attrazione conseguentemente diminuita favo­rirebbe secondo la teoria l'allontanamento delle spirali appunto com'è osservato. L'ARMELLINI però ha calcolato che la trasforma­zione sopradetta dovrebbe, per raggiungere l'effetto constatato, esser tale che ogni grammo di materia producesse oltre 10.000 calorie all'anno mentre il sole ne svolge 2 soltanto.

Il VOGT invece ricorre per la spiegazione alla forza ripulsiva, suggerita dalla teoria della relatività, proporzionale alla distanza e che pertanto alle enormi distanze delle spirali dovrebbe vincerla sull'attrazione.

Una terza ipotesi di carattere cosmogonico, ammettendo la formazione press'a poco contemporanea delle nebulose spirali, am­metterebbe inoltre che quelle a velocità negativa, cioè di avvicina-

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mento, si fossero venute a confondere colla nostra galassia, mentre quelle che si allontanano, sarebbero appunto lontane in proporzione della loro velocità. Secondo il mio modesto parere tale ipotesi urta contro le recenti prove che la nostra galassia è dell'ordine di gran­dezza delle altre e non dovrebbe quindi averne assorbite.

Quali invece le ipotesi fondate sull'irrealità della fuga delle spirali ?

La prima vuole che si tenga conto della verosimile perdita di energia (per urti con elettroni p. es.) dei fotoni attraversanti lo spazio, perdita naturalmente proporzionale alla distanza percorsa : a tale perdita di energia corrispondente un aumento nella lunghezza dell'onda luminosa, donde lo spostamento delle righe verso il rosso e l'apparente velocità radiale positiva, proporzionale a quella per­dita e cioè alla distanza di provenienza del raggio.

La seconda ipotesi è molto semplice, ma almeno altrettanto radicale: essa suppone la contrazione del tempo col tempo, ossia l'accelerazione, col tempo, dei fenomeni naturali e quindi l'accor­ciarsi progressivo delle lunghezze d'onda. I raggi provenienti da più lontano sarebbero i più vecchi, di onda più lunga, cioè più rossi ; conseguenza : ancora l'illusione delle velocità radiali posi­tive, crescenti colla distanza.

E qui conviene fermarci, attendendo luce, luce anch'essa di velocità positiva sempre maggiore, dalla genialità della mente umana, la quale, lo constato ancora concludendo, ha pur bisogno e trae tanto tesoro per le sue intuizioni e per le sue dimostrazioni dal­l'umile, minuto lavoro di misura.