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I MATERIALI COMPOSITI nell’arte mario bosi 1994 Copyright © 2004 PROCHIMA ® L’espressione materiale composito indica il prodotto ottenuto dalla associazione di materiali diversi. Con questo termine vengono comunemente designate le materie plastiche rinforzate, come la vetroresina, costituita da una matrice, resina, che impregna e aggrega una fibra di rinforzo. Si ottiene così un materiale strutturale leggero e resistente, che assume facilmente le forme più complesse conferitegli da uno stampo sul quale il materiale viene modellato, nel modo più semplice dei modi, manualmente. I materiali compositi, grazie alle loro eccezionali caratteristiche, e alla grande capacità di adattarsi a diverse tecnologie applicative, costituiscono una grande famiglia di materiali strutturali di alto interesse progettuale e tecnologico, e hanno aperto nuove prospettive di sviluppo in numerosi settori, in alternativa ai materiali tradizionali. Con l’avvento di questi nuovi materiali, in pochi decenni è cambiato radicalmente il modo di costruire, e ci troviamo integrati con queste nuove tecnologie. Ci si accorge ora di come tanti oggetti che ci circondano siano realizzati in materiale composito: la barca in vetroresina, l’auto di Formula 1 e le nuove biciclette sono in fibra di carbonio, così“ come alcuni componenti di aerei e missili. Ma anche le cose più comuni, come il casco da motociclista, gli sci, il wind surf, il cassonetto per i rifiuti e un’infinità di altri oggetti fanno parte di questa famiglia. Materiali all’avanguardia per eccellenza, sono divenuti indispensabili alle esigenze dell’industria moderna, ben conosciuti da progettisti e ingegneri per le loro eccellenti doti e molteplici applicazioni. Senza dubbio la grande diffusione di questi materiali si deve alle loro notevoli doti di resistenza meccanica, leggerezza e inalterabilità, ma la principale ragione del grande successo che hanno ottenuto sta nel fatto che offrono la più ampia libertà progettuale, nel design e nelle dimensioni. Non si è più legati alle dimensioni e agli spessori prestabiliti dei materiali tradizionali, non occorrono stampi complessi e costosi, ne impianti o macchinari. Le fibre sono duttili, si adattano alla volontà dell’artista; quando la resina polimerizza ecco che la forma assume una struttura propria che è irreversibile. Si ottengono pezzi unici, inimitabili, che mantengono l’aspetto inalterato nel tempo. La famiglia dei compositi è assai vasta. Conoscendo meglio le proprietà dei vari materiali si rimane stupiti dalle infinite combinazioni possibili. Può essere ad esempio definito materiale composito anche una mescola di resina e inerti da colare in uno stampo per ottenere oggetti massicci, o per inglobare mosaici, pietre o vetro, oppure per incollare strutturalmente materiali eterogenei. Ora per addentrarsi in questo argomento è bene conoscere le proprietà e le caratteristiche dei vari componenti, ed in primo luogo dell’elemento fondamentale che è la resina.

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I MATERIALI COMPOSITI nell’arte

mario bosi 1994 Copyright © 2004 PROCHIMA®

L’espressione materiale composito indica il prodotto ottenuto dalla associazione di materialidiversi. Con questo termine vengono comunemente designate le materie plastiche rinforzate,come la vetroresina, costituita da una matrice, resina, che impregna e aggrega una fibra dirinforzo.Si ottiene così un materiale strutturale leggero e resistente, che assume facilmente le forme piùcomplesse conferitegli da uno stampo sul quale il materiale viene modellato, nel modo piùsemplice dei modi, manualmente.

I materiali compositi, grazie alle loro eccezionali caratteristiche, e alla grande capacità diadattarsi a diverse tecnologie applicative, costituiscono una grande famiglia di materialistrutturali di alto interesse progettuale e tecnologico, e hanno aperto nuove prospettive disviluppo in numerosi settori, in alternativa ai materiali tradizionali.

Con l’avvento di questi nuovi materiali, in pochi decenni è cambiato radicalmente il modo dicostruire, e ci troviamo integrati con queste nuove tecnologie. Ci si accorge ora di come tanti oggetti che ci circondano siano realizzati in materiale composito:la barca in vetroresina, l’auto di Formula 1 e le nuove biciclette sono in fibra di carbonio, così“come alcuni componenti di aerei e missili. Ma anche le cose più comuni, come il casco damotociclista, gli sci, il wind surf, il cassonetto per i rifiuti e un’infinità di altri oggetti fanno parte diquesta famiglia.

Materiali all’avanguardia per eccellenza, sono divenuti indispensabili alle esigenze dell’industriamoderna, ben conosciuti da progettisti e ingegneri per le loro eccellenti doti e moltepliciapplicazioni.

Senza dubbio la grande diffusione di questi materiali si deve alle loro notevoli doti di resistenzameccanica, leggerezza e inalterabilità, ma la principale ragione del grande successo che hannoottenuto sta nel fatto che offrono la più ampia libertà progettuale, nel design e nelle dimensioni.Non si è più legati alle dimensioni e agli spessori prestabiliti dei materiali tradizionali, nonoccorrono stampi complessi e costosi, ne impianti o macchinari. Le fibre sono duttili, siadattano alla volontà dell’artista; quando la resina polimerizza ecco che la forma assume unastruttura propria che è irreversibile. Si ottengono pezzi unici, inimitabili, che mantengonol’aspetto inalterato nel tempo.

La famiglia dei compositi è assai vasta. Conoscendo meglio le proprietà dei vari materiali sirimane stupiti dalle infinite combinazioni possibili. Può essere ad esempio definito materialecomposito anche una mescola di resina e inerti da colare in uno stampo per ottenere oggettimassicci, o per inglobare mosaici, pietre o vetro, oppure per incollare strutturalmente materialieterogenei.

Ora per addentrarsi in questo argomento è bene conoscere le proprietà e le caratteristiche deivari componenti, ed in primo luogo dell’elemento fondamentale che è la resina.

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LE RESINE

Nel settore dei compositi si utilizzano resine termoindurenti, polimeri sintetici di aspetto liquidopiù o meno viscoso, che induriscono a freddo, con l’aggiunta di un catalizzatore, e mantengonoin permanenza questo stato.

Dei molteplici sistemi esistenti, per usi e applicazioni specifiche nel settore industriale,focalizzeremo i due tipi di resina più adatti agli impieghi che ci interessano, che sono le resinepoliesteri e le epossidiche.

Entrambi i sistemi vengono manipolati e applicati con modalità pressoché analoghe, ma sidifferenziano notevolmente sia per comportamento che per caratteristiche finali. La scelta va quindi fatta in funzione di ciò che si vuole ottenere e del procedimento diesecuzione che si deve seguire.

Le resine non possono essere utilizzate come sono allo stato puro, per cui vengono forniteall’utilizzatore già additivate con particolari sostanze che conferiscono le proprietà ecaratteristiche necessarie per ogni specifica applicazione. E’ quindi meglio definirle con iltermine formulati.

Ogni formulato è contraddistinto da una sigla che lo identifica, che è evidenziata nell’etichettainsieme alle indicazioni principali; inoltre nella rispettiva scheda tecnica sono riportate tutte lecaratteristiche e modalità d’uso.

• RESINE POLIESTERI

Iniziamo dalla famiglia delle resine poliesteri, che sono le più comuni e maggiormenteimpiegate nel settore dei compositi. Questa famiglia comprende diversi tipi, tra cui leortoftaliche e le isoftaliche che si differenziano per alcune caratteristiche fisiche finali.

Le resine poliesteri sono sostanze liquide con una viscosità relativamente bassa, il cui aspettovaria a seconda dei tipi e degli additivi che contiene, dal limpido incolore al roseo leggermenteopalescente.

Il loro indurimento avviene con l’aggiunta di un catalizzatore: perossido di metiletylketone,abbreviato con il simbolo “MEKP”, che reagisce con un agente accelerante ottoato di cobalto,già presente nella resina come additivo. Tra queste sostanze, dopo la miscela, avviene unareazione esotermica, cioè con sviluppo di calore, che fa polimerizzare la resina. L’indurimentoinizia però dopo un certo periodo di tempo, detto POT LIFE che può variare da 15 a 20 minuti,che consente l’applicazione del prodotto. Il dosaggio di questi reagenti determina la velocità direazione, che può essere variata entro certi limiti.

CARATTERISTICHE

Le resine poliesteri sono sostanze infiammabili e quindi vanno manipolate con le dovuteprecauzioni. Contengono stirene, una sostanza volatile che emette un odore penetrante, e chepermane per qualche giorno dopo la polimerizzazione, pertanto gli ambienti di lavoro dovrannoessere ben areati.

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Trattandosi di un solvente, lo stirene riesce a sciogliere alcune sostanze, per questa ragione leresine poliesteri non devono mai andare a contatto, ad esempio con il polistirolo espanso,altrimenti lo fonderebbero all’istante

Tutte le resine poliesteri quando polimerizzano subiscono un ritiro dell’1% circa riferito sulvolume di resina pura.Questo ritiro viene sensibilmente ridotto quando la resina è caricata con inerti o aggregata allefibre, perché questi corpi, occupando uno spazio riducono la quantità di resina nel volume. Con le resine ortoftaliche si ottengono manufatti dotati di elevata rigidità e resistenzameccanica; hanno inoltre un minore ritiro, il che offre un grande vantaggio nei sistemi percolata.

Le resine isoftaliche sono invece più elastiche, quindi indicate per strutture soggette a flessione.Altre qualità di rilievo delle isoftaliche sono la migliore resistenza agli aggressivi chimici e ilbasso assorbimento d’acqua, che le rendono più adatte per le opere esposte alle intemperie oimmerse in acqua.

CATALISI

Le variazioni termiche ambientali provocano sensibili alterazioni sul processo di catalisi: il caldoagevola e accelera la reazione, viceversa il freddo e l’umidità la inibiscono.

Normalmente le resine poliesteri per stratificazione con fibre di vetro, sono preaccelerate nelladose ottimale in modo che quando si aggiunge il catalizzatore, la miscela avrà una vita utileper l’utilizzo di 15 - 20 minuti, prima che inizi la fase di indurimento, che si manifesta con lacomparsa di un gel, e sviluppo di calore.

Con temperature medie attorno ai 20°C la resina, così come è accelerata, va catalizzata con il2% di MEKP. Con il variare della temperatura occorre correggere la dose del catalizzatore: 1,5 -2% in estate; 2,5 massimo 3% in inverno, in modo da mantenere il pot life entro valori normali.

Evitare catalisi troppo veloci, perché provocano un eccessivo sviluppo di calore, con laconseguenza di deformazioni, ritiri anomali e cricche interne.

PREPARAZIONE DELLE MISCELE PER STRATIFICAZIONI CON FIBRE DI VETRO

E’ utile ricordare che nella resina catalizzata avviene una reazione esotermica, quindi maggioreè la quantità della miscela, più sono le calorie prodotte e non dissipate, di conseguenza avvieneuna reazione molto veloce. Viceversa quando la resina viene applicata su una superficieestesa, reagisce molto più lentamente perché il calore viene dissipato, ciò consente di operarenell’impregnazione delle fibre con tutta tranquillità.

Questa è una regola che vale per ogni tipo di resina, sia poliestere che epossidica.Nel preparare le miscele occorre valutare progressivamente le varie difficoltà applicative chepotrebbero rallentare il lavoro, e catalizzare solamente la quantità di resina che si è in grado diapplicare agevolmente prima che inizi ad indurire.

Indicativamente per impregnare 1 Kg di MAT in fibra di vetro occorrono circa 3 Kg di resinapoliestere.

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Per preparare le miscele occorre un recipiente in cui possa entrare un rullo da vernice. Ottimi isecchi da muratore in polietilene, perché la resina indurita non aderisce e si recuperanofacilmente.Pesare la quantità di resina desiderata, non più di 3 Kg alla volta, salvo per lavori di grossamole dove operano più persone; quindi aggiungere la dose di catalizzatore MEKP e mescolarecon una stecca.

Per dosare il catalizzatore si possono usare provette graduate o siringhe; ogni cc. corrisponde acirca 1 grammo. ad esempio, con temperature medie, 20 cc di MEKP per ogni Kg di resina. STRATIFICAZIONE

La tecnica di costruzione dei manufatti in vetroresina si chiama stratificazione perché siprocede applicando vari strati di fibra sovrapposti, impregnati uno alla volta, fino a raggiungerelo spessore desiderato.L’impregnazione consiste nel bagnare e imbibire le fibre con della resina. Quando le fibre sonocompletamente impregnate assumono un aspetto traslucido più o meno trasparente; eventualimacchie biancastre indicano una carenza di resina.

Gli utensili necessari sono un rullo in pelo sintetico da 10 a 20 cm. e un pennello. Il rullo serveper distribuire la resina e impregnare su superfici piane, ed il pennello come aiuto negli angoli,cavità e punti difficili. Con il rullo si applica unostrato di resina su una porzione dello stampo. Vi si adagia un telo della fibra di rinforzoprescelta, e si impregna passando ripetutamente il rullo imbevuto di resina, fino alla completasaturazione delle fibre.

Il rullo è il sistema di impregnazione più veloce ed efficace, e assicura la distribuzione uniformedella resina. Il pennello viene usato nei punti non raggiunti dal rullo, oppure per i piccoli lavori dove non valela pena sporcare un rullo.

L’impregnazione con il pennello è più lenta perché si procede picchiettandoperpendicolarmente le fibre, imprimendo la resina e aggiungendola man mano dove occorra

Per una corretta impregnazione la resina dovrà colmare tutti gli interstizi tra le fibre, senza peròaffiorare eccessivamente in superficie; si dovrà notare il rilievo dell’intreccio delle fibre bagnatedi resina.

Quando si inizia a stratificare è necessario avere a portata di mano un secchiello condell’acetone, per lavare periodicamente pennelli e rulli ogni volta che si prepara unamiscela, altrimenti potrebbero indurirsi durante il lavoro, anche se si sta usando unanuova miscela, perché sono imbevuti dalle precedenti, già in fase di indurimento.

• RESINE EPOSSIDICHE

I sistemi epossidici, grazie alle loro eccellenti qualità, vengono impiegati con grande successo esempre con maggior diffusione nel settore dei compositi.Abbinati sia alle fibre di vetro, ma specialmente a quelle ad alto modulo, come carbonio eKevlar, soddisfano le esigenze di elevate prestazioni meccaniche.

Questi sistemi hanno proprietà e caratteristiche di comportamento tali che in molti casi il loroimpiego si rivela indispensabile nelle opere la cui realizzazione richieda particolari procedimenti.

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La differenza sostanziale dei sistemi epossidici sta nel processo di indurimento. Contrariamentealle resine poliesteri che catalizzano con l’aggiunta di un reagente, il cui solo compito èinnescare una reazione, nei sistemi epossidici invece l’indurimento avviene quando si associala resina ad un indurente; le molecole semplici dei due componenti si combinano, formandonuovi complessi molecolari a catena lunga, cioè polimerizzano.

L’indurente diventa parte integrante del prodotto finito e ne determina le caratteristiche come:qualità fisico meccaniche, viscosità e pot life.

Quindi per ogni tipo di impiego si deve scegliere e utilizzare uno specifico formulato che abbiale caratteristiche richieste. Ogni formulato è identificato come un insieme di due componenti:una resina e un determinato indurente, chiamati anche componente “A” e componente “B”

In pratica ogni formulato è contenuto in due recipienti separati, uno con la resina e l’altro conl’induritore. Quando i due componenti vengono riuniti e mescolati intimamente si ha ladisponibilità di un periodo, più o meno lungo, a seconda del pot life del formulato, che permettel’utilizzo della miscela. Dopo di che inizia la reazione esotermica con sviluppo di calore, segnoche la miscela sta polimerizzando, e in breve tempo non è più utilizzabile.

La velocità di reazione nei sistemi epossidici non è più regolata dalla quantità di reagente che siaggiunge, ma dal tipo di indurente che si utilizza. Ogni indurente ha un diverso potere reattivoche determina il pot life, e le dosi di impiego devono essere sempre rispettate come prescrittoin ogni formulato.

La velocità di reazione dei formulati è adeguata al tipo di impiego, e può variare da 5-15 minutiper le colle rapide, fino a 40 min - 1 ora, per i sistemi da stratificazione o da colata, cherichiedono tempi di lavorabilità più lunghi o polimerizzazioni più lente per contenere lo sviluppodi calore.

Il pot life dei formulati è riferito a una miscela campione di 200 grammi, ad una temperatura di20°C. Anche in questo caso la velocità di reazione varia sensibilmente sia in relazione allatemperatura ambiente, che alla quantità di miscela preparata.

Le proprietà principali dei sistemi epossidici sono:

• Stabilità dimensionale, nessun ritiro dopo la polimerizzazione

• Non contengono sostanze volatili ed emanano un odore appena percettibile

• Ottimo potere adesivo tra materiali eterogenei, non eguagliato da nessuna altra resina ocollante

• Non contengono solventi, quindi possono essere applicate direttamente sul polistiroloespanso senza rischio di scioglierlo

F I B R E D I R I N F O R Z O

La fibra di rinforzo è l’elemento complementare della resina nei materiali compositi, in quantone costituisce “l’armatura”, e i suoi requisiti principali sono: elevata resistenza alla trazione eflessibilità.La resina, come singolo elemento, non ha valori pratici sufficienti a garantire la necessariaresistenza meccanica richiesti per una struttura, quindi necessita di un rinforzo, costituito dallefibre, per raggiungere i valori desiderati.

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Ogni singolo filamento della fibra possiede un determinato carico di rottura; la resina che liingloba agisce da coesivo, trasferisce il carico da un filamento all’altro e ne impedisce loscorrimento. In questo modo tutte le fibre “lavorano” congiuntamente e il carico di rottura dellostratificato raggiunge valori molto elevati.

La fibra di vetro è il rinforzo per eccellenza, e maggiormente impiegata nei compositi.

Vi sono anche altre fibre, come il carbonio e il Kevlar che vengono classificate come fibre adalto modulo, poiché posseggono caratteristiche meccaniche decisamente superiori al vetro,però il loro alto costo ne limita l’impiego solamente a quelle applicazioni che richiedono elevateprestazioni e pesi contenuti.

• FIBRE DI VETRO

Il tipo di vetro con il quale si producono le fibre di rinforzo, per la sua composizione chimica, èdenominato Vetro E.

La fibra di vetro originaria è un filato non ritorto costituito da numerosi e sottilissimi filamenti,detti anche bave, che hanno un diametro da 5 a 25 micron e sono tenuti insieme da unappretto.

Per effetto della rifrazione della luce, le fibre di vetro sono di colore bianco, con riflessi argentei,ma dopo l’impregnazione diventano trasparenti o traslucide.Non provocano irritazioni come la lana di vetro per isolamenti, quindi si possono maneggiaresenza fastidi.

Il filato ha un diametro, che varia a seconda del titolo, da pochi decimi a 1,5 mm. ed èl’elemento base con il quale, dopo successive trasformazioni si ottengono i vari prodotti, definitigenericamente “fibre di vetro” e commercializzati con i termini tecnici di: mat, stuoia, tessuto,roving, chopped strands e milled fibre.

Questi prodotti possono essere classificati per grandi linee in due categorie, quelli derivati dafibre le cui bave hanno diametri compresi tra i 15 e i 25 micron, come i mat, i roving e le stuoie,più economici e impiegati generalmente con resine poliesteri; e quelli ottenuti da filati con bavepiù sottili, da 5 a 13 micron, come i tessuti, che sono prodotti più pregiati e usati in prevalenzacon resine epossidiche.

Durante le fasi di trasformazione le fibre ricevono dei trattamenti superficiali, chiamati appretto,con sostanze filmogene che servono a conferire coesione tra i filamenti, a incrementarel’aderenza della resina al vetro e a migliorare la bagnabilità delle fibre per facilitarnel’impregnazione.

Per ottimizzarne il comportamento, le fibre vengono trattate con sostanze diverse, specificheper il tipo di resina con la quale verranno impiegate.I tessuti, che sono più adatti ad essere abbinati alle resine epossidiche ricevono un apprettosilanico; mentre gli altri prodotti, come i mat o le stuoie, vengono apprettati con sostanze che nemigliorano il comportamento con le resine poliesteri.

• MAT A FILI TAGLIATI

Trattasi di feltri costituiti da fibre di vetro tagliate in lunghezza di 5 cm. e distribuiteuniformemente in piano, senza un orientamento preferenziale. Le fibre sono tenute da unlegante che conferisce al feltro la necessaria coesione per poter essere arrotolato emaneggiato senza sfilacciarsi.

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I mat sono disponibili in diversi spessori o pesantezze, espresse in grammi per metro quadro,che è la regola valida per tutte le fibre di rinforzo. Infatti per indicare lo spessore o lapesantezza di qualsiasi tipo di fibra, si esprime la grammatura, ossia il peso in grammi di 1 m2di prodotto, sia esso un mat o una stuoia, che un tessuto di vetro o di carbonio.

I mat vengono forniti in rotoli o in pezze di varia lunghezza, con altezze standard di cm. 100 e125.

Le grammature commerciali dei mat sono:

gr/m2150 225 300 375 450 600

Il mat è il tipo di rinforzo più pratico e comunemente usato per stratificazioni con resinapoliestere. L’orientamento multi direzionale delle fibre crea un rinforzo isotropo, cioè con ugualeresistenza in tutte le direzioni.

Per ottenere lo spessore desiderato si sovrappongono più strati di mat, impregnandoli uno allavolta, ossia bagnato su bagnato.

Il mat si taglia facilmente con le forbici o se ne possono strappare dei frammenti da applicarenei punti più difficili, come angoli o forti avvallamenti.Anche se il mat viene frammentato in piccoli pezzi, lo stratificato non perde di resistenza poichéle fibre mantengono sempre la lunghezza di 5 cm.

Di norma per i primi strati si utilizza un mat più leggero, o meglio ancora un mat di superficie,del quale parleremo più avanti, perché si adattano meglio alle forme dello stampo. Poi siprosegue con gli altri strati più pesanti.

Durante l’impregnazione, la resina scioglie l’appretto che lega le fibre, così il mat assume unamaggior deformabilità che gli consente di adattarsi alle forme più complesse.

Lo spessore dello stratificato deve essere rapportato alle dimensioni dell’opera, comunque noninferiore a 2 mm. Per i manufatti autoportanti di grossa mole, si può arrivare a spessori di 4 - 5mm. Con ogni strato di mat impregnato si raggiunge uno spessore che va da 0,4 a 1 mm. aseconda della grammatura.

Nel determinare lo spessore di uno stratificato emerge uno dei grandivantaggi dei materiali compositi: poter variare gli spessori secondo leesigenze, aumentandoli nelle zone più sollecitate, semplicementesovrapponendo più strati di fibra dove si ritiene opportuno.

• MAT DI SUPERFICIE

Il mat di superficie appartiene alla categoria dei “tessuti non tessuti”. E’ un velo molto leggero dicirca 30 gr/m2 composto da sottili filamenti in vetro C, ed è caratterizzato da un’ottimaadattabilità alle superfici complesse.

Il mat di superficie non ha una funzione di rinforzo, ma viene impiegato a vari scopi permigliorare la finitura dei manufatti.

Quando si deve stratificare su uno stampo molto operato, le fibre di rinforzo come il mat o lestuoie talvolta non riescono ad adattarsi perfettamente alla sua superficie, specialmente negli

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avvallamenti più profondi, con il rischio che vi rimangano delle zone vuote o delle bolle d’aria.

In questi casi occorre applicare come primo strato a contatto dello stampo un mat di superficie,che grazie alla notevole deformabilità che assume quando è bagnato di resina, riesce apenetrare anche nei minimi dettagli riproducendoli fedelmente.

Il mat di superficie è prodotto con fibre di vetro C, il quale si distingue per una maggioreresistenza agli aggressivi chimici. Quando viene impregnato aumenta di spessore creando unostrato compatto e senza porosità.

Questi fattori contribuiscono a rendere il mat di superficie particolarmente adatto come strato difinitura, sia per regolarizzare le superfici e celare le fibre più grossolane del mat sottostante,che per creare un’ottima barriera di protezione contro le intemperie e all’atmosfera corrosiva.

• ROVING Il roving è un cordone non ritorto composto da numerosissimi filamenti, simile al filato originario,ma con diametri ben maggiori, da 1,5 a 2,5 mm.Questo tipo di fibra trova la sua principale applicazione nel settore industriale, nella costruzionedi corpi cilindrici, tubi e serbatoi, realizzati con la tecnica dell’avvolgimento, oppure per ottenereprofilati continui, canne da pesca, ecc.

Il roving non ha, salvo particolari esigenze, uno specifico utilizzo nel nostro settore, ma loabbiamo citato perché è il filato con cui si tessono le stuoie, che vengono utilizzate,singolarmente o accoppiate al mat, nella stratificazione a mano.

• STUOIE

Le stuoie sono veri tessuti a grossa trama, simili alla tela di iuta per sacchi.Variando il titolo, cioè il diametro o pesantezza del roving e le battute del telaio si ottengonostuoie con grammature da 280 a 600 gr/m2. Le più usate sono quelle da 300 e 400 gr. evengono fornite in rotoli con altezza standard di cm. 100 e 125.

Contrariamente al mat che è un rinforzo isotropo, le stuoie hanno le fibre disposte in duedirezioni ortogonali: trama e ordito. Verso queste direzioni hanno quindi la loro maggiorresistenza, che però è ben superiore a quella del mat perché il roving è una fibra lunga eininterrotta.

Le stuoie sono apprettate per resine poliesteri, ma poiché hanno buone qualità meccaniche, èpossibile usarle anche con i sistemi epossidici senza pregiudicare le caratteristiche delmanufatto, in quanto le resine epossidiche possiedono un elevato potere bagnante e ottimaaderenza su qualsiasi tipo di fibra.

Abitualmente le stuoie vengono accoppiate e interposte agli strati di mat, per aumentare laresistenza in determinate direzioni, principalmente nelle opere di grosse dimensioni.E’ sconsigliato l’uso nei manufatti di configurazione molto complessa, perché trattandosi di untessuto con tramatura a tela, che ha scarsa deformabilità, l’adattamento alle superfici moltooperate è più difficoltoso e richiede tagli e sovrapposizioni.

• FIBRE TAGLIATE (CHOPPED STRANDS)

I chopped strands sono fibrette tagliate, derivate dal filato originario, e disponibili in diverselunghezze da 3 a 12 mm.

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Vengono impiegate principalmente come rinforzo nelle masse da colata, stucchi econglomerati.Si aggiungono alla resina nella quantità desiderata singolarmente, oppure mescolate insiemeagli inerti nelle masse da colata, dove si dispongono orientate in tutte le direzioni creando unreticolo tridimensionale che conferisce una maggior resilienza ai manufatti.

I tipi più lunghi, da 6 a 12 mm. possono anche essere incorporati agli impasti di gesso nellacostruzione di stampi, per aumentarne la resistenza all’urto.

Quando si aggiungono le fibrette negli impasti, occorre tener conto che ognuna di queste ècomposta da numerosi filamenti tenuti da un appretto. Quando vengono mescolate alla resina,l’appretto si scioglie e i filamenti che si disperdono nell’impasto aumentano enormemente dinumero.Quindi è consigliabile aggiungere le fibrette poco alla volta man mano che si mescola perevitare di addensare eccessivamente l’impasto rendendolo gelatinoso e poco scorrevole.

• FIBRE MACINATE (MILLED FIBRES)

Questo tipo di rinforzo è ottenuto per macinazione delle bave, ridotte in minute fibrette conpezzatura media di 0,2 mm. quasi invisibili a occhio nudo.Si presentano come un ammasso di fiocchi raggrumati che si disperdono rapidamente nellaresina.

Il loro impiego è simile a quello delle fibre tagliate, ma hanno un diverso comportamento negliimpasti. Benché conferiscono una minor resistenza meccanica rispetto alle fibre tagliate, chesono più lunghe, consentono di ottenere impasti molto più scorrevoli.Vengono utilizzare principalmente per rinforzare stucchi che vengono applicati in fortespessore. Quando occorre eseguire dei riporti di materiale su un manufatto per correggerne leforme, si può preparare uno stucco a base di resina con inerti in polvere e fibre macinate, inparti uguali. Le fibre nell’impasto fanno aumentare la resistenza all’urto e riducono la tendenza allafessurazione dello stucco.

I TESSUTI

Come materiale di rinforzo, i tessuti, sia in fibra di vetro, che di carbonio o Kevlar, rientrano inuna categoria superiore e vengono utilizzati per realizzare manufatti che richiedono elevateprestazioni meccaniche, peso contenuto e finiture accurate.

Sono veri e propri prodotti tessili, con trama e ordito. Vengono ottenuti da filati più pregiati,composti da bave sottili con diametri compresi tra i 5 e i 13 micron che conferiscono al tessutomorbidezza, drappeggiabilità e un elevato carico di rottura.

Il titolo del filato è espresso in TEX, il numero di tex indica il peso in grammi di 1000 ml. di filato.La gamma dei titoli è molto ampia, a partire da 5 tex, usato per i tessuti più leggeri da 25 gr/mq.simili a una calza di nylon, e via via fino ad arrivare oltre i 200 tex per i tessuti più pesanti, da300 gr/mq. paragonabili a una stoffa per cappotti.I tessuti ricevono un appretto specifico per epossidici perché generalmente vengono impiegaticon questo tipo di formulato, e questo per due validi motivi:

Le resine poliesteri hanno un minore potere bagnante delle fibre rispetto alle epossidiche,quindi non riuscirebbero a penetrare e impregnare perfettamente le fibre più sottili dei tessuti.

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Ma la ragione principale sta nel fatto che i tessuti hanno una resistenza meccanica, a parità digrammatura, ben superiore a quella degli altri materiali come il mat e le stuoie: quindi non visarebbe nessun vantaggio ne convenienza impiegare questi tessuti con una resina poliestere,che è più fragile e meno resistente dell’epossidica.

I vantaggi che offrono i tessuti nella realizzazione di manufatti in composito ad alta tecnologiasono molteplici:

Riduzione del peso, uno stratificato in tessuto di 1 mm di spessore ha la stessa resistenza diuno da 3 mm. rinforzato con mat.

Regolarità della grammatura e dello spessore; continuità del rinforzo.

Possibilità di ottenere stratificati dotati di buona trasparenza e ottima finitura superficiale.

Un altro vantaggio offerto dai tessuti di vetro è la possibilità di ottenere degli stratificati con unaelevata percentuale di rinforzo, quindi più leggeri e resistenti. Impregnando manualmente untessuto con resina epossidica si riesce ad avere un rapporto fibra/legante di 1/1, mentre conaltri materiali, come il mat o la stuoia occorrono dai 2 ai 3 Kg di resina per ogni Kg. di fibra.

I tessuti sono identificati da tre elementi fondamentali, che sono: grammatura, composizione earmatura , i quali dovranno essere valutati nella scelta in funzione all’impiego e alle varieesigenze.

GRAMMATURA

Come per tutte le fibre di rinforzo, questo valore si esprime direttamente con il peso in grammidi 1 mq. di tessuto. Nelle schede tecniche con le caratteristiche dei tessuti, accanto alla grammatura viene riportatoanche lo spessore ottenuto dopo l’impregnazione.La disponibilità delle grammature è molto ampia, e va da 25 a 300 gr/mq,

COMPOSIZIONE

La composizione definisce il numero dei fili in un centimetro, sia in ordito che in trama.I tessuti possono essere bilanciati, cioè con la stessa quantità di fili nei due sensi, oppureunidirezionali, con più fili ad esempio in ordito e meno in trama. Questo tipo di tessuto vieneimpiegato quando si vuole aumentare la resistenza dello stratificato verso una determinatadirezione.

Unitamente al numero dei fili, viene anche indicato il TEX dei filati che compaiono nei duesensi, il quale generalmente è uguale nei tessuti bilanciati, e può essere diverso negliunidirezionali.Per visualizzare e confrontare la composizione di un tessuto si usa una lente contafili, chegeneralmente focalizza un quadrato di 2 cm. di lato.

I tessuti destinati a normali impieghi vengono prodotti con un buon equilibrio tra numero di fili etex. Una tramatura troppo serrata rende più difficoltosa l’impregnazione; mentre un tessuto amaglie molto larghe trattiene della resina in eccesso, senza alcun vantaggio.

ARMATURA

L’armatura di un tessuto è il modo come viene realizzato l’intreccio trama/ordito.Le armature principali sono: tela; twill; raso e unidirezionale.

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Il tipo di armatura non influisce sulla resistenza meccanica di un tessuto, ma gli conferisce undiverso comportamento per quanto riguarda rigidità e deformabilità.

ARMATURA A TELA

E’ l’armatura più semplice e diffusa, in cui ogni filo di trama intreccia un filo di ordito eviceversa.

Questo tipo di armatura conferisceal tessuto ottima planarità e stabilitàdei fili, ma è poco deformabile,quindi prevalentemente si utilizzaper stratificazioni in piano.

ARMATURA TWILL

Nelle armature twill un filo di ordito scavalca almeno due fili di trama e viceversa, quindipresentano un intreccio più sciolto che conferiscono al tessuto maggior deformabilità edrappeggiabilità rispetto alla tela, però hanno una minor stabilità dimensionale quando simaneggiano.

I tessuti con armatura twill vengono impropriamente chiamati anche diagonali, perché latramatura crea un disegno a linee diagonali spigate, Fra le armature twill le più usate per i tessuti di rinforzo sono la twill 3/1, detta anche saia da 4,e la twill 2/2, chiamata batavia da 4

twill 3/1 - saia da 4 twill 2/2 - batavia da 4

UNIDIREZIONALI

Con questo termine, che si abbrevia con la sigla “ud”, vengono indicati tutti i tessuti che nonsono bilanciati, ossia quelli che hanno la prevalenza dei fili in una direzione, generalmente inordito.La composizione unidirezionale può essere ottenuta, sia con un minor numero di fili in uno deisensi, oppure con un filato di titolo più basso.

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La disparità della composizione viene indicata in percentuale sulla grammatura del tessuto, adesempio un tessuto da 100 gr/mq. "ud" 80% significa che ha 80 gr. di filato in un senso e 20nell’altro.

L’esempio qui riportato mostraun tessuto UD 90% in ordito. Inquesto caso il filo di trama hauna scarsa partecipazione comerinforzo, ma solo il compito ditenere unite le fibre dell’ordito.

I tessuti di vetro vengono forniti in rotoli, generalmente in altezza di 1 m. Sono disponibili anchein nastri, con una vasta gamma di altezze e composizione.

I nastri sono molto utili quando si debbono realizzare lunghe strutture tubolari, profilati dipiccola sezione, o per eseguire fasciature di rinforzo. Si avvolgono a spirale, ad esempio attorno ad una anima in polistirolo o a un tubo in plastica, esi impregnano con resina epossidica. A seconda dello sforzo che la struttura deve resistere, si aumenta il numero delle spire,cambiando ogni volta il senso dell’avvolgimento in modo da incrociare le fasciature.

I nastri con armatura a tela hanno grammature di 170 - 200 gr/mq, quelli unidirezionali vannoda 100 a 200 gr/mq. Tutti i nastri hanno la cimosa e sono disponibili in varie altezze, a partireda 2 cm fino a 15 cm.

Vi sono anche dei nastri unidirezionali al 100%, denominati a fibre collimate. Non hannol’armatura dei tessuti, ma sono composti da filamenti disposti parallelamente in sensolongitudinale, e tenuti insieme da sottilissime strisce trasversali di adesivo, intervallate diqualche centimetro, il quale poi resta compenetrato nella resina.

FIBRE DI CARBONIO

La fibra di carbonio è ottenuta mediante un processo di pirolisi a 2000° C che trasforma unpolimero organico, detto precursore, in carbonio sotto forma di sottilissimi filamenti di colorenero, con una catena molecolare molto lunga e ordinata.

Questi filamenti sono raggruppati in cordoni, roving, il cui titolo é indicato da un’unità K, checorrisponde 1000 filamenti; il titolo 3K significa che il roving, o filato è composto da 3000filamenti primari.

Con i roving di carbonio vengono prodotti dei tessuti di varia grammatura, caratterizzati da unaeccezionale resistenza meccanica .Con le fibre di carbonio di norma vengono impiegate matrici epossidiche, e si ottengonostratificati dotati di estrema rigidità e leggerezza, con un modulo elastico molto vicino all’acciaio,un elevato carico di rottura e bassissima percentuale di allungamento.

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In virtù di queste qualità le fibre di carbonio, definite fibre ad alto modulo, vengono impiegatecon grande successo nella costruzione di componenti per l’industria aeronautica eaerospaziale, di telai per auto di F1, e di un gran numero di attrezzi sportivi di alta classe, comeattrezzature per barche da regata, mazze da golf, racchette da tennis, canne da pesca e tantialtri oggetti, con una risposta in termini di rendimento ben superiore a quello dei materialitradizionali,

Il carbonio si distingue da ogni altro materiale anche per il singolare aspetto esteticosuperficiale.Uno stratificato in tessuto di carbonio rifinito con una superficie lucida, rivela nitidamente la suatramatura, con l’intreccio evidenziato da diverse tonalità di nero, e con un particolare effetto diprofondità dovuto alla rifrazione che non può essere ottenuto con nessun altro materiale.

Nel settore artistico la fibra di carbonio sta acquistando una posizione rilevante, non tanto perle sue qualità meccaniche, ma soprattutto è recepito per ciò che rappresenta.Il carbonio è sinonimo di alta tecnologia e qualità, espressione delle “tecnologie avanzate”; èun materiale visto con riverenza.Queste connotazioni, e il peculiare aspetto elevano il carbonio al rango dei materiali nobili.

KEVLAR

Trattasi di una fibra aramidica, però universalmente conosciuta con il nome commercialeKevlar, che è un marchio della Du Pont, l’azienda che ha lanciato questa nuova fibra di rinforzo.

Il Kevlar rientra tra le fibre ad alto modulo per le eccellenti caratteristiche meccaniche. Rispettoal carbonio questa fibra ha un maggior allungamento, ma un carico di rottura molto superiore,quindi più adatta per manufatti soggetti a flessione o a impatti.

Anche le fibre originarie di Kevlar sono filamenti sottilissimi raggruppati in roving, con i quali siottengono tessuti di varia grammatura e composizione. Queste fibre sono di colore giallo vivo esi utilizzano come rinforzo di matrici epossidiche.

Il Kevlar è una fibra estremamente tenace, per questa ragione oltre ad essere impiegata comefibra di rinforzo nei compositi, viene utilizzata tal quale in molteplici e interessanti applicazioni,come ad esempio per l’imbottitura dei giubbotti antiproiettile, in quanto le fibre riescono asmorzare la forza d’urto di un proiettile; nei tessuti per vele destinate a imbarcazioni da regatadi alta classe; in Kevlar è anche il cavo di sicurezza, detto “cordone ombelicale" che trattienel’astronauta nelle uscite fuori dalla navicella spaziale.

Il filato di Kevlar è talmente tenace che non si riesce a tagliare con normali forbici, occorronocesoie da lamiera ben affilate, oppure speciali forbici con lame in acciaio al tungsteno. Anche leoperazioni di sbavatura e rifinitura sono difficoltose se non si dispone di utensili adatti.

Abbiamo citato il Kevlar a titolo informativo, dal momento che questa fibra non ha applicazioniparticolarmente interessanti nel settore artistico, non ha la bellezza del carbonio ed è difficilelavorarla.

Vi è un tipo di tessuto, un ibrido carbonio/Kevlar, che vale la pena conoscere: trattasi di untessuto composto filati di Kevlar e di carbonio alternati sia in trama che in ordito. A seconda deltipo di armatura, le fibre di colore diverso, giallo e nero, formano un disegno a scacchiera opied de poule, che identificano a prima vista un composito molto tecnico e di gran pregio.

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MASSE DA COLATA

Con le resine epossidiche o poliesteri, mescolate a delle cariche inerti, si possono prepararemasse da colare su stampi per ottenere pezzi massicci in conglomerato o per riempitivi einglobamenti di oggetti vari.

Gli inerti comunemente impiegati sono polveri o graniglie minerali di varia granulometria oppuremicrosfere sia cave che piene in vetro o in allumina.

Gli impasti si preparano al momento dell’uso mescolando la resina, che è il legante, con lecariche. Lo scopo principale dell’inerte è quello di aumentare il volume dell’impasto e diconseguenza ridurre la percentuale di resina nella massa.

La necessità di caricare l’impasto si avverte soprattutto nelle colate di grossa mole, perabbassare il picco esotermico, ossia per ridurre e contenere entro limiti accettabili il calore chesi sviluppa nell’indurimento della resina.

Occorre ricordare che aumentando la quantità di resina, il picco esotermicocresce in maniera esponenziale, perché non vi è un rapporto tra volume esuperficie di dissipazione: raddoppiando il volume di un solido, la sua superficieaumenta in maniera irrilevante.

L’impasto ottimale deve avere un alto contenuto di inerti che occupino buona parte dellospazio. Così la resina, presente in minor quantità e distribuita uniformemente negli interstizi,sviluppa meno calore, parte del quale è assorbito dall’inerte stesso.

In questo modo la velocità di reazione è più controllata, senza il rischio che avvengano criccheinterne e deformazioni, altrimenti causate da un eccessivo sviluppo di calore.Tuttavia la quantità di legante deve essere sufficiente ad ottenere un impasto abbastanzascorrevole da poter essere agevolmente colato in uno stampo e che permetta inoltre lafuoriuscita delle bolle d’aria inglobate durante la miscelazione.

Oltre all’esigenza sopra esposta, la presenza dell’inerte offre numerosi altri vantaggi:

• Si riducono notevolmente i ritiri qualora si utilizzi una resina poliestere come legante;quindi aumenta la stabilità dimensionale.

• Il prezzo dell’inerte è di regola molto più basso rispetto a quello del legante, il che riducesensibilmente il costo dell’impasto.

• I manufatti acquistano una maggior resistenza all’urto e alla compressione.

Variando il tipo di carica si possono ottenere manufatti molto leggeri o viceversa pesanti, con lapossibilità di creare una infinità di effetti superficiali e cromatici molto attrattivi.

LE CARICHE INERTI

Le cariche sono corpi di riempimento con requisiti di elevata durezza e bassa friabilità,debbono essere insolubili nelle resine e non contenere impurità. Sono in genere particelle divaria origine e pezzatura, come sabbie, polveri o microsfere.

Le polveri e le graniglie derivano da minerali macinati, come quarzo, carbonato di calcio(marmo), ardesia, alabastro, ecc.

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Le microsfere sono minuscole sferette in vetro o allumina, con diametro di pochi micron. Lemicrosfere in vetro sono disponibili sia piene che vuote internamente, in questo caso moltoleggere.

Ogni tipo di carica ha un diverso comportamento nei riguardi del legante e ciò determina lecaratteristiche dell’impasto ottenuto.Le singole particelle degli inerti hanno strutture diverse, possono essere sferiche, lamellari,poliedriche o amorfe e di conseguenza sviluppare una superficie specifica più o meno estesa. Le particelle che hanno una superficie più estesa “assorbono” più resina, in altre parolenecessitano di una maggiore quantità di legante per essere completamente avvolte da unostrato sufficiente a permettere il buon scorrimento dell’impasto.

MICROSFERE

Le microsfere sono gli inerti ideali grazie all’ottimo rapporto superficie/volume, poiché la sfera èil solido che in assoluto ha la minor superficie rispetto al volume; inoltre la forma sferica agevolanotevolmente la scorrevolezza dell’impasto.

Con le microsfere si possono ottenere impasti molto caricati, fino ad aumentare di 2 o 3 volte ilvolume del legante, pur mantenendo una buona scorrevolezza.

Le microsfere cave sono corpi di riempimento molto leggeri e voluminosi, con un peso specificoapparente, secondo i tipi, da 145 a 400 gr. per litro, con le quali si ottengono masse da colatamolto leggere. Mentre le microsfere piene sono molto più pesanti, quelle in vetro pesano circa 2Kg/litro, e quelle in allumina, più economiche circa 1,8 Kg/lt.Questi tipi sono indicati per ottenere pezzi pesanti che simulano la pietra.

Si possono anche preparare impasti mescolando microsfere cave e piene per agevolare lafuoriuscita delle bolle d’aria che vengono inglobate durante la miscela: un corpo pesanteesercita una maggior spinta, che espelle più rapidamente le inclusioni d’aria.

CARATTERISTICHE DELLE MICROSFERE

PRODOTTO GRANULOMETRIA MICRON PESO APPARENTEIn vetro piene

TIPO “A” 40/70 2,1TIPO “B” 70/100 2TIPO “C” 100/200 1,9

In allumina piene“MARTINAL” 20/40 1,7

“VETROCEL” 15/25 0,180“MICROBALLS” 20/50 0,400

“SI-CELL” 10/40 0,145

Le microsfere piene, tipo A; B e C si diversificano solo per il diametro delle sferette, le qualisono trasparenti, con un aspetto opalescente dovuto alla rifrazione. Sono cariche abbastanzapregiate e vengono usate per ottenere pezzi per colata molto pesanti, che possono imitare lagiada o l’alabastro:

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Il Martinal è una carica sferoidale pesante in allumina di colore bianco, molto economica. E’ ilprodotto normalmente usato per ottenere oggetti pesanti, dove non è richiesta la trasparenza.Con il Martinal si possono preparare impasti molto caricati, pur mantenendo una ottimascorrevolezza.

Le Microballs sono microsfere cave in boro-silicato di colore grigio, ed è la carica leggera piùeconomica in assoluto, perché ha il miglior rapporto prezzo/volume; vengono vendute a peso e1 Kg. di carica ha un volume apparente di 2,4 litri.

Il Vetrocel sono microsfere cave in vetro ultra leggere di colore bianco; 1 Kg. ha un volumeapparente di circa 6 litri. E’ una carica molto pregiata e abbastanza costosa; le sue particellesono perfettamente sferiche, di granulometria uniforme e prive di impurità.

Il SI-Cel è una carica simile al Vetrocel, sempre con l’aspetto di una polvere bianca moltoleggera, ma di costo nettamente inferiore; le sue sferette hanno una granulometria più variata,e contiene anche delle fibrette. Trattandosi di una carica con particelle più eterogenee ha un potere addensante leggermentesuperiore al Vetrocel, ma la differenza è appena percettibile. Ciò non influisce sul risultatofinale, perché la leggera riduzione di carica aggiunta per mantenere la scorrevolezzadell’impasto è ampiamente compensata dal grande apporto di volume che si ottiene.Questo comportamento inoltre offre dei vantaggi quando si debbono preparare impasti moltocaricati per eseguire stuccature in verticale, o per applicazioni su stampi, come vedremo piùavanti.

GRANIGLIE MINERALI Le sabbie e le graniglie minerali sono disponibili in varie granulometrie indicate in millimetrioppure in mesh: maglie. Le loro particelle hanno generalmente una forma irregolare consuperficie frastagliata, perciò offrono minori vantaggi in termini di rendimento e apporto divolume rispetto alle microsfere.

Queste cariche hanno il vantaggio di un costo relativamente basso, e danno la possibilità diottenere particolari effetti cromatici, come ad esempio il granito, mescolando inerti di varianatura, colore e pezzatura.

L’inerte più comune è la sabbia di quarzo. La sua granulometria è indicata in millimetri, e va da0,1 fino a 2 mm, è privo di impurità ed ha generalmente una pezzatura abbastanza uniforme. Ilquarzo ha un colore neutro, non molto coprente, quindi non influisce sulle eventuali colorazioniche si vogliono conferire all’impasto.

Altri inerti sono le graniglie di marmo. Hanno un colore biancastro e un assorbimento di resinaleggermente superiore al quarzo. Vengono usate nei casi in cui occorra intervenire sul pezzofinito perché trattandosi di un materiale più tenero rispetto al quarzo è facilmente lavorabile.

Con la polvere di marmo mista alla graniglia e ad una piccola percentuale di Si-cel, si possonopreparare impasti plasmabili altamente caricati, con 10 parti di inerte e 1 di legante, i qualirisultano molto pastosi da essere modellati a mano, come fosse argilla. Dopo l’indurimento siottiene un conglomerato di aspetto, peso e consistenza simile alla pietra, con una forma giàabbozzata, dove si può intervenire con scalpelli, levigare e lucidare.

Altre cariche come l’ardesia o l'alabastro vengono impiegate, con minor frequenza,specialmente per ottenere diversi effetti cromatici. Sono inerti abbastanza teneri e quindifacilmente lavorabili.La carica ideale di una massa da colata deve avere una granulometria varia e frazionata, inmodo da ridurre al minimo gli interstizi; anche se ciò comporta un leggero addensamentodell’impasto, conferisce però maggior compattezza al conglomerato.

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Indicativamente il rapporto granulometrico dovrebbe essere il seguente:

Inerte in polvere: 0,5 parti in volumeGraniglia 0,1 - 0,3 mm. 1 “ “Graniglia 0,3 - 0,7 mm. 2 “ “Graniglia 0,5 - 1 mm. 1 “ “

La dimensione dell’inerte non influisce sulla finitura di un oggetto ottenuto per colata. Se lasuperficie dello stampo è lucida, il pezzo risulterà altrettanto lucido anche se contiene dellagraniglia grossolana, perché la resina che avvolge le particelle ricopia comunque la finituradello stampo.

Se si vuole ottenere una superficie più opaca o evidenziare la scabrosità della graniglia, èsufficiente passare dell’acetone con un pennello sul pezzo appena tolto dallo stampo. Inquesto modo il solvente riesce a sciogliere la patina di resina superficiale che non è ancoracompletamente stagionata, facendo così risaltare la graniglia.

CARICHE IN POLVERE

Le cariche in polvere, come il carbonato di calcio, il talco o la mica hanno un elevatoassorbimento di resina in quanto le loro particelle, che sono finissime e spesso lamellari,sviluppano una superficie molto estesa rispetto al volume specifico, che è minimo.

Quindi per caricare masse da colata non è consigliabile usare solo inerti in polvere perchéaddensano eccessivamente l’impasto senza un apprezzabile apporto di volume. Mentremescolate insieme alle graniglie servono a diversificarne la granulometria e colmare gli interstizitroppo aperti.

L’effetto addensante conferito dalle cariche in polvere, si rivela però utile in altre applicazioni.Mescolate con resine epossidiche si ottengono masse spatolabili molto resistenti, perstuccature in verticale; per maltine da incastonare tessere da mosaico, o per incollaggistrutturali di pietre, cotto, legno, ecc. senza il rischio di colature.

AVVERTENZE

Nel preparare un impasto occorre in primo luogo mescolare bene la resina con l’indurente, o ilcatalizzatore nella giusta proporzione, dopo di che aggiungere l’inerte un po’ alla volta,mescolando di continuo fino a raggiungere la consistenza desiderata.

L’inerte non partecipa alla reazione che avviene tra la resina e il catalizzatore, quindi puòessere aggiunto a volontà senza dover rispettare alcuna dose. La quantità di inerte peròinfluisce sulla velocità di reazione, perciò a parità di volume un impasto più caricato ha untempo di indurimento più lungo.

Qualora si debba realizzare un oggetto per colata di grosse dimensioni e con una strutturamassiccia, è opportuno inserire all’interno un tassello in legno o altro materiale, come anima, inmodo da ridurre il volume della massa colata.

Oltre un certo limite le masse da colata, anche se molto caricate non riescono a smaltire ilcalore prodotto dalla reazione, che inizia e si diffonde da un nucleo interno. Quindi un oggettomassiccio con un volume superiore a 5 lt. deve avere un’anima interna che occupa uno spazioal centro e riduce la quantità dell'impasto, che va a colmare solo la periferia dove può dissipareil calore, altrimenti la quantità che si sviluppa è tale da causare danni, e addirittura far bollirel’impasto.

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Questi sistemi, con i quali si ottengono le masse da colata caricate con inerti, offrono infinitepossibilità di creazione e innovazione.L’ampia scelta tra i diversi tipi di cariche e la sperimentazione di vari altri materiali da poteraggregare, permettono di ottenere nuove forme diversamente inimmaginabili.

C O L O R A N T I

Le masse da colata e gli impasti in genere possono essere colorati aggiungendo pigmenti inpolvere, ossidi, terre o polveri metalliche, i quali si disperdono facilmente durante lamiscelazione con le cariche. Oppure si possono usare paste coloranti specifiche per resine, lequali hanno una resa molto elevata, e sono disponibili anche in colori trasparenti. Non si debbono mai usare coloranti all’acqua o qualsiasi tipo di vernice, perché non sonocompatibili con le resine.

Nel scegliere la tinta o stabilire l’effetto desiderato, occorre tenere conto del colore delle caricheche si utilizzano, il quale naturalmente influisce sul risultato finale.

I leganti sono di norma trasparenti, leggermente paglierini, quindi non alterano la colorazionedell’impasto, che assume il colore naturale della carica. Gli inerti di origine minerale solitamentesono di colore neutro o grigio sabbia, e hanno poco potere coprente, tranne l’ardesia o altriinerti derivati da rocce che hanno il proprio colore naturale.

La quantità e il tipo di colorante che si aggiunge all’impasto, fa risaltare in diversa misura lagraniglia e permette di accentuare l’effetto di profondità.

Si possono anche ottenere effetti marmorizzati con la seguente tecnica:

• Si prepara un impasto aggiungendo del pigmento, ad esempio bianco e rosso, perottenere una tinta di fondo color rosa pallido, uniformemente dispersa.

• Vi si aggiunge una punta di spatola di pasta colorante marrone o rosso scuro, senzadisperderla completamente, solo un paio di giri di spatola, e quindi si versa nello stampo.In questo modo il colore non disperso formerà delle venature tipiche dell’effetto marmo,percettibili anche in profondità.

Occorre tener conto che i pigmenti in polvere si comportano come un inerte, non partecipanoalla catalisi del legante. Lo stesso vale per le paste coloranti, che sono dei pigmenti predispersiin un liquido inerte, il quale non polimerizza. Quando queste sostanze vengono disperseuniformemente nell’impasto rimangono inglobate e si stabilizzano nel conglomerato.

Usando la tecnica sopra indicata, la pasta colorante deve essere aggiunta solo in piccolequantità altrimenti se rimane molto concentrata in alcuni punti, specie in superficie, potrebbemacchiare.

Qualora si desideri ottenere una chiazzatura più marcata, sono consigliabili alcuniaccorgimenti:

• Si versa in uno o più recipienti a parte delle piccole quantità dell’impasto con il colore difondo già disperso;

• Vi si stempera in ognuno del pigmento in polvere o della pasta del colore desiderato,fino ad ottenere una tinta base più carica (In questo modo il colorante rimane inglobatoe fissato nel legante).

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• A questo punto si possono reinserire le tinte basi nell’impasto senza disperderle, oppureper ottenere venature con effetto stratificato si possono versare nello stampodirettamente dai loro contenitori le tinte basi contemporaneamente all’impasto.

Naturalmente gli accostamenti di colore sono infiniti, ed è molto vasta quindi la possibilitàcreativa.

Le paste coloranti trasparenti sono disponibili nei colori: verde; azzurro; rosso e ambra. Il loroeffetto viene esaltato specialmente con i leganti più limpidi.Disperdendo ad esempio una punta di verde in una resina poliestere “Cristallo” non caricata, siottiene un oggetto di colore smeraldo. Con l’ambra, che è una pasta marrone scuro, siottengono effetti simili alla tartaruga o all’ambra. Naturalmente con questo sistema, che non ècaricato, si possono solo eseguire pezzi di piccole dimensioni.

I colori trasparenti sono inoltre molto utili anche nei sistemi caricati, perché danno un buoneffetto di profondità come ad esempio per le venature del marmo, oppure, un impasto caricatosolo con microsfere di vetro piene, il quale risulta traslucido, con il colorante verde trasparenteacquista l’aspetto della giada. Se si aggiungono poi anche delle venature di bianco e di altricolori, si ottiene l’alabastro. Tra le sostanze coloranti si possono inserire numerosi altri prodotti che conferiscono particolarieffetti superficiali, come i pigmenti perlescenti, i quali danno un effetto perlato che uguaglia lalucentezza delle perle, della madreperla e delle ali di farfalla. I pigmenti metallici: bronzo, oro ealluminio; e quelli ad effetto ottico: fluorescenti e fosforescenti.

Sono disponibili inoltre una serie di chips e di flake, minuscole scagliette o frammenti di varianatura e colore. I flake sono delle scagliette sottilissime a forma quadrata o esagonale, da 0,3fino a 3 mm di lato, di vari colori metallici. I chips sono piccoli frammenti irregolari in plastica,sempre molto sottili, con pezzatura da 1 a 4 mm. disponibili in vari colori.

Questi prodotti vengono usati prevalentemente nella preparazione dei gel coat, per ottenereparticolari effetti superficiali nei sistemi di stratificazione.

G E L C O A T

Il gel coat è lo strato di finitura esterna dei manufatti in vetroresina, che viene però applicatonello stampo come prima fase nel procedimento di stratificazione.

È un prodotto bicomponente con l’aspetto di una vernice densa; si applica a pennello o aspruzzo in spessori di 0,5 - 1 mm, direttamente sullo stampo precedentemente trattato con ceredistaccanti.Il gel coat quindi riproduce fedelmente la superficie dello stampo sul quale è stato applicato; selo stampo è lucido, il pezzo ne risulterà altrettanto.

Quando lo strato di gel coat è indurito si procede con la stratificazione, iniziando con un mat disuperficie o un tessuto leggero, per poi proseguire con gli altri strati fino a raggiungere lospessore desiderato.

Lo stratificato si lega saldamente al gel coat formando un corpo unico, così ilpezzo finito che esce dallo stampo ha già la sua finitura esterna, che èappunto il gel coat.

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I gel coat possono essere sia a base epossidica che poliestere e debbono essere impiegatiognuno con il rispettivo sistema di stratificazione. Sono tutti prodotti bicomponenti, quindi primadell’uso vanno miscelati con il relativo reagente.

A cosa serve il gel coat:

Durante l’impregnazione le fibre inglobano un gran numero di piccole bolle d’aria, molte dellequali comunicano con la superficie. In uno stratificato senza gel coat, la superficie a contattodello stampo risulterà molto alveolata, con tantissimi pori e piccole bolle, principalmente incorrispondenza degli intrecci delle fibre. Sarà poi molto difficile rimediare a questo inconveniente con la semplice applicazione anche dipiù mani di finitura, in quanto occorrerà provvedere prima ad una paziente e laboriosaoperazione di stuccatura di tutta la superficie. Inoltre il colore traslucido naturale dellostratificato rende difficile l’individuazione di questi difetti.

Il gel coat evita tutti questi problemi, crea uno strato superficiale compatto che elimina tutti idifetti, sul quale poi volendo si può intervenire più facilmente per apportare modifiche, o conulteriori lavori di finitura. Nella produzione industriale di serie, il gel coat costituisce la finitura definitiva dei manufatti incomposito.Le barche in vetroresina, ad esempio, vengono ottenute da stampi perfettamente lucidi; quandovengono estratte dallo stampo sono già pronte e rifinite, con il colore definitivo e non richiedonoulteriori interventi.

Nel settore artistico sorge invece spesso la necessità di dover intervenire successivamentesull’opera, ad esempio per creare gli effetti desiderati come colorazioni policrome, patinature,collage, ecc. Anche in questo caso è sempre necessario avere uno strato di gel coat, se non altro perdisporre di un buon supporto e una superficie regolare sulla quale operare, In questo caso ilgel coat ha solo una funzione di fondo, quindi si sceglierà il colore più adatto allo scopo finale.

I gel coat in commercio sono in genere disponibili nelle tinte basi, con colori coprenti. Qualora visiano delle particolari esigenze è possibile preparare espressamente un gel coat che rendal’effetto desiderato.

La formulazione è semplice: occorre una resina base, che è poi la stessa che verràutilizzata per l’impregnazione; Vi si aggiunge dell’inerte in polvere, i coloranti desiderati e unagente tissotropizzante che è l’aerosil. Questo prodotto è una polvere leggerissima e incolore,che serve a non far colare lo strato di gel coat quando viene applicato in verticale.Nell'aggiungere i componenti si deve regolare la consistenza dell’impasto in modo che questorisulti sufficientemente fluido da poter essere applicata a pennello, ma allo stesso tempoabbastanza corposo da non colare.

Allo stesso modo si possono preparare anche gel coat per simulare la pietra, caricando laresina con graniglie di varia granulometria, fino ad ottenere un impasto denso e corposo daessere applicato a spatola o plasmato a mano. Si stende uno strato di ca. 5 mm. sullo stampoe poi si stratifica.Ne risulterà una superficie granulosa, con alcune discontinuità nelle giunzioni delle spatolateche imiteranno perfettamente le fenditure naturali della pietra.

Sono anche molto frequenti le realizzazioni che richiedono un gel coat trasparente. In questocaso si aggiunge alla resina solo una piccola quantità di aerosil da conferirle la necessariacorposità per evitare colature, senza perdere la trasparenza.

Il gel coat trasparente viene usato quando ad esempio si vuole mantenere l’aspetto traslucidodella vetroresina, oppure per le finiture con effetto marmorizzato.

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Con la tecnica della marmorizzazione si raggiungono risultati molto interessanti, perché oltre ariprodurre vari tipi di marmo, offre la possibilità di creare nuovi aspetti, policromi e variegati.

M A R M O R I Z Z A Z I O N E

L’effetto marmorizzato si ottiene con gli inchiostri “MARBLECOLOR”. Si può eseguire sia “inpositivo”, direttamente sulla superficie esterna di un oggetto finito, oppure nel gel coat, durantela stratificazione su stampo

Gli inchiostri Marblecolor sono come delle vernici molto fluide, solubili in acetone, e disponibiliin vari colori. Essiccano in pochi secondi senza lasciare spessore, ma solo un velo di colore.

Quando si deve lavorare in positivo, cioè sul pezzo finito, è necessario che questo abbia insuperficie un gel coat liscio e compatto, con un colore da fondo per le tinte dellamarmorizzazione.

Si possono marmorizzare in positivo anche pannelli ricoperti in laminato, che hanno già unasuperficie liscia e compatta, oppure altri oggetti, purché siano preparati con una vernice difondo resistente all’acetone, compatta e non assorbente come ad esempio una poliuretanica oepossidica.

La marmorizzazione può essere eseguita con diverse tecniche, a seconda del risultato che sivuole ottenere; uno dei sistemi è il seguente:

Con un aerografo si applica un leggerissimo velo di inchiostro diluito con acetone. Il velo cherimane sulla superficie deve essere appena percettibile, specialmente con i colori scuri.Poi si interviene con un tampone di ovatta intriso di acetone, e con movimenti circolari, opicchiettando si rimuove o si fa espandere il colore in modo da creare aloni, chiazze o striature,con i contorni di varia intensità.

A questo punto lo schema è abbozzato; si applica quindi un altro leggero velo di colore diverso,e si prosegue con un nuovo tampone imbevuto di acetone. In questo modo i colori in alcunipunti si mescolano, e in altri si sovrappongono, creando un gioco di chiazze e venature. Agendo con un tampone più o meno intriso di acetone, e con movimenti studiati si può variarea piacimento sia il disegno delle venature che l’effetto policromo.

Come variante a questo sistema, si possono applicare i vari colori uno di seguito all’altro, etamponare alla fine. Cambiando la successione dei colori si ottengono risultati diversi.

Un’altra tecnica consiste nell’applicare l’inchiostro direttamente con il tampone, cospargendo lasuperficie di piccole chiazze. Poi con dell’altro cotone pulito imbevuto di acetone si diffonde ilcolore in modo da ottenere la figurazione voluta.

A lavoro ultimato si deve ricoprire il tutto con una vernice trasparente di protezione, che serveanche a conferire lucentezza, in quanto gli inchiostri lasciano una superficie opaca.

• GEL COAT MARMORIZZATO

L’effetto marmorizzato può essere ottenuto anche con il gel coat in fase di stratificazione, ma inquesto caso il procedimento è inverso.

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E’ utile ricordare che la costruzione di un’opera su stampo inizia sempre conl’applicazione dello strato che risulterà poi la finitura esterna, e si procede con lealtre fasi verso l’interno fino al completamento. Per cui la superficie visibile delpezzo finito sarà quella che sta a contatto dello stampo.

Il procedimento quindi è il seguente:

Si applica prima una mano di gel coat trasparente sullo stampo, che sarà poi lo strato diprotezione.Quando il gel coat è ben indurito si esegue la marmorizzazione con la tecnica desiderata. A questo punto si applica un’atra mano di gel coat con il colore di fondo per dar risalto allamarmorizzazione, che può essere coprente oppure semi coprente, qualora si vogliaaccentuare l’effetto di profondità. Quindi si procede con la stratificazione.

Prima di cimentarsi con questa tecnica direttamente sull’opera originale, èconsigliabile eseguire delle prove su un vetro, sia per trovare l’accostamento deicolori, che per prender mano con il tampone e saggiare le proprie capacità. La lastra di vetro è la superficie ideale, perché si pulisce facilmente con l’acetonee consente di eseguire ripetute prove e correzioni. Inoltre il lavoro è visibile anchedal retro, proprio come apparirebbe attraverso un gel coat trasparente.

S T A M P I

Per realizzare qualsiasi oggetto in materiale composito, sia per colata sia per stratificazione,occorre uno stampo sul quale modellare ciò che si vuole ottenere.

Il punto di partenza per la costruzione di uno stampo è un modello originale, in grandezzanaturale, identico in ogni dettaglio all’opera definitiva.

Sul modello originale si costruisce lo stampo femmina, realizzato con vari sistemi, salvo inalcuni casi in cui si esegue l’opera direttamente su un modello a perdere, oppure che rimarràcome parte integrante dell’opera.

Per ottenere il modello si possono usare diversi materiali, purché abbiano una discreta soliditàe una superficie compatta.

Nel decidere come costruire un modello bisogna tener conto delle dimensioni dell’opera, dellasua configurazione e della complessità dei dettagli e, in base a questi elementi, scegliere ilmateriale più adatto, che allo stesso tempo sia facile da lavorare.

I materiali normalmente usati sono: legno, argilla, gesso, polistirolo espanso, o poliuretanoespanso rigido. Si possono usare anche tecniche miste, come ad esempio una struttura inlegno o in rete metallica, ricoperte di gesso.

Il modello ottenuto dovrà essere rifinito con una vernice turapori in modo da rendere la suasuperficie impermeabile, compatta e levigata, in modo da consentire una efficace azione degliagenti distaccanti, dei quali parleremo in seguito.

Sui modelli in argilla umida si possono costruire solo stampi in gesso con i sistemi tradizionali,oppure in gomma siliconica, come vedremo più avanti. Mentre i modelli in gesso dovranno essere completamente asciutti per consentire

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l’aggrappaggio delle vernici turapori necessarie nel trattamento superficiale. E’ consigliabile inquesto caso usare una vernice a base epossidica, che ha buona aderenza anche sulle superficileggermente umide.

Il polistirolo espanso è forse il materiale più comodo e facile da modellare, perché è leggero edeconomico; però ha l’inconveniente di sciogliersi a contatto con i solventi generalmentecontenuti nelle normali vernici turapori. Quindi per la finitura superficiale si dovranno usare prodotti all’acqua o comunque esenti dasolventi, come lo stucco da muri o idropitture a base di emulsioni acetoviniliche. Le vernici epossidiche sono ottime, non contengono solventi e lasciano una superficie liscia ecompatta, ma sono molto dure da carteggiare, quindi meglio applicarle come ultimo strato deltrattamento.

Il poliuretano espanso è altrettanto facile da lavorare, non teme i solventi quindi si più stuccaree verniciare con qualsiasi prodotto; ma normalmente è venduto in lastre ed è difficile reperirlo inblocchi.

Nel settore industriale gli stampi vengono realizzati generalmente in vetroresina, con unospecifico gel coat da stampi nella superficie interna, e una robusta struttura in vetroresina,opportunamente rinforzata da una intelaiatura per assicurarne la stabilità ed evitaredeformazioni.La costruzione di uno stampo del genere richiede impegno, perizia e molte ore di lavoro e sigiustifica solo se viene sfruttato per una grande produzione.

Non è così nel campo artistico, dove lo stampo deve servire quasi sempre per trarre un soloesemplare, allora si ricorre a sistemi più semplici e a materiali che consentono una rapidaesecuzione.

Per costruire uno stampo di medie dimensioni si ricorre al gesso, che è il sistema più semplice,oppure alle gomme siliconiche qualora i modelli fossero molto dettagliati, con sottosquadro.Per le opere di grosse dimensioni occorre utilizzare la vetroresina, che è un sistema piùlaborioso, ma consente stampi leggeri, resistenti e maneggevoli.

Non sempre però per realizzare un opera in composito occorre costruire uno stampo su unmodello; eccezioni alla regola sono le tecniche del modello a perdere o con strutturaintegrante.

Si può ricoprire un modello in polistirolo espanso con un sistema epossidicorinforzato con tessuti di vetro. A lavoro ultimato si versa dell’acetone all’interno chescioglierà rapidamente l’anima in polistirolo, lasciando intatto l’involucro esterno,sul quale si potrà poi intervenire con svariate finiture.

Un’altra tecnica consiste nel modellare una rete metallica e ricoprirla in vetroresinaseguendone le forme; la rete rimarrà imprigionata nello stratificato, che lasceràintravedere la sua struttura come parte integrante dell’opera, oppure potrà esserecelata da una finitura opaca.

PREPARAZIONE DEL MODELLO

Il modello va fissato su un basamento piano, con una superficie liscia e regolare, e devedebordare per almeno 15 cm. dalla base del modello stesso; si possono usare pannelli intruciolare o multistrato ricoperti da laminato plastico. I modelli in gesso, in argilla o in polistirolopossono essere costruiti direttamente sul basamento. La base del modello a contatto del pianetto non verrà riprodotta dallo stampo, vi rimarràl’apertura dalla quale accedere per la stratificazione o la colata del pezzo.

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Il modello dovrà essere preparato in maniera adeguata, compatibile con il sistema costruttivodello stampo.

Se si costruisce uno stampo in vetroresina, il modello deve essere rifinito con una superficieperfettamente liscia e priva di asperità. In questo caso si dovrà ricoprire il modello con una vernice epossidica come il DURALOID.Sono sufficienti due mani applicate a pennello, intervallate di 12 ore, per ottenere unasuperficie liscia e compatta. Eventuali asperità o colature si eliminano con successive passatedi carta abrasiva, utilizzando per ultimo una grana 400, lucidando poi con polish da carrozzeria.

Il Duraloid è un prodotto bicomponente, a base epossidica, simile ad uno smalto abbastanzadenso, che non contiene solventi: si applica a pennello e con una mano si riesce ad ottenereuno spessore di circa 0,2 mm. che essicca in 8 - 10 ore. Ne risulta uno strato compatto resistente e con una superficie molto lucida.

Il Duraloid va quindi applicato su tutti i modelli che non hanno una superficie compatta elevigata, come ad esempio quelli in legno, in gesso o in polistirolo.

I modelli in polistirolo dovranno essere previamente stuccati con prodotti a base acquosa ecarteggiati fino ad ottenere una superficie abbastanza regolare; poi si ricopre il tutto conalmeno due mani di Duraloid, che deve essere applicato in maniera continua anche sul piano diappoggio, in modo da sigillare la fessura tra il modello e il basamento.

Anche per i modelli in legno, come per quelli ottenuti con tecniche miste, è richiesta unapreparazione altrettanto adeguata: occorre stuccare accuratamente ogni giunzione,arrotondare gli angoli o spigoli vivi, trattare la superficie con una vernice turapori o epossidica.In definitiva il modello pronto non deve presentare irregolarità che potrebbero rivelarsi degliappigli e ostacolare poi il distacco dello stampo.

Se invece si decide di costruire lo stampo in gesso, il modello in questo caso richiede unafinitura meno accurata. E’ sufficiente che questo abbia una superficie regolare e non friabile.Sui modelli in polistirolo è comunque consigliabile applicare una mano di vernice epossidica perisolare le stuccature eseguite con prodotti solubili in acqua, perché potrebbero ammorbidirsi acontatto del gesso, ed essere asportati nel disarmare lo stampo.

Sui modelli in argilla si possono costruire solamente stampi in gesso, con le varie tecnicheconosciute, oppure se si vuole riprodurre una superficie scabra o molto dettagliata, si ricorreagli stampi in gomma siliconica. I modelli in polistirolo espanso a perdere, sui quali si costruisce direttamente l’opera definitivain stratificato, non necessitano del previo trattamento con vernice epossidica.

Con questa tecnica si possono ottenere due diverse soluzioni: lasciare il polistirolodefinitivamente all’interno dell’opera, oppure toglierlo con l’acetone. In quest’ultimo casooccorre applicare sul polistirolo una o due mani di idropittura per regolarizzarne la superficie, epoi una mano di POLIVINOL, in modo da creare una barriera tra il polistirolo e lo stratificato eottenere una netta separazione quando si estrae l’anima dall’interno.

Mentre se il modello dovrà rimanere racchiuso nell'opera, non occorre alcun trattamento. Inquesto caso vi è inoltre la possibilità di dipingere o decorare il modello in polistirolo con coloriacrilici all’acqua prima di ricoprirlo. Lo stratificato in tessuto di vetro e resina epossidica che ètrasparente farà apparire le decorazioni sottostanti nitidamente. Per esaltare l’aspettodell’opera si deve rifinire poi lo stratificato con una superficie lucida.

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Lo stampo deve staccarsi facilmente dal modello, possibilmente senzadanneggiarlo; per un errore di costruzione, o per altri motivi, potrebbesorgere la necessità di dover rifare lo stampo, in questo caso occorre che ilmodello sia integro. Alcune tecniche però prevedono comunque ladistruzione del modello, in questo caso è necessario avere molta cura nellacostruzione dello stampo.E’ utile ricordare che la superficie dello stampo a contatto del modello, sullaquale poi verrà eseguita l’opera, deve risultare liscia, compatta e priva diasperità altrimenti si creerebbero degli appigli, e sarebbe poi molto difficile,se non impossibile, staccare il pezzo finito nonostante il trattamento con le cere distaccanti

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A G E N T I D I S T A C C A N T I

Il trattamento delle superfici con agenti distaccanti è un’operazione assolutamente necessariaquando si utilizzano le resine, e deve essere eseguita con la massima cura, altrimenti non siriuscirà poi a separare le parti a contatto. Il trattamento è necessario sia sui modelli per poter costruire lo stampo in resina, che nellostampo stesso prima di stratificare l’opera definitiva.

I prodotti utilizzati sono delle particolari cere e il Polivinol, che è un alcool polivinilico. La cera crea uno strato antiaderente e sigilla tutte le porosità della superficie; il Polivinol svolgeuna azione complementare, come vedremo più avanti.

Sono disponibili tre tipi di cera distaccante, con caratteristiche diverse, ognuna adatta perun determinato tipo di superficie.

• CERA “MIRROR”

Cera in pasta di alta qualità, adatta sia per trattamenti sul modello che per lo stampaggio.Viene usata quando si vogliono ottenere manufatti con superficie perfettamente lucida, ma lasua applicazione è lunga e laboriosa.

La cera Mirror si applica con un panno di cotone, agendo con movimenti circolari e una modicapressione per far penetrare la cera nei pori.

La ceratura va eseguita a zone; trascorsi 5 minuti si lucida con un panno di cotone pulito (maiusare della lana, che con l’attrito produce calore e asporta la cera). Si prosegue allo stessomodo fino a ricoprire tutta la superficie.

Dovranno essere effettuate almeno 4 passate di cera, con un intervallo minimo di 3 ore unadall’altra, per permettere l’essiccazione del precedente strato.

Il trattamento deve essere eseguito sul modello, per poter disarmare lo stampo, e poi ripetutosullo stampo stesso prima di iniziare la stratificazione.

La cera Mirror lascia una patina molto tenace, ed ha un alto punto di fusione, può quindiessere lucidata a specchio senza il rischio di essere asportata. E’ inoltre adatta per il trattamento di stampi per colate, in quanto resiste meglio al calore che sisviluppa durante la polimerizzazione.

• CERA “GLOSS”

Cera in pasta molto scorrevole, ma con un punto di fusione più basso rispetto alla Mirror; non èadatta per essere lucidata a specchio.

Può essere applicata direttamente sui modelli in gesso, legno o polistirolo non ricoperti convernici epossidiche, solo quando si deve costruire uno stampo in gesso. La cera Gloss penetrabene nelle porosità e lascia uno strato compatto che assicura il distacco del gesso.

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Questa cera può anche essere usata come agente distaccante su superfici trattate con verniciturapori o epossidiche, quando non è richiesta una superficie lucida.

La cera Gloss si applica con un panno o tampone, in due o tre riprese intervallate di un’ora. Siattende qualche minuto e si regolarizza con un panno pulito.

• “CERA LIQUIDA”

Questo è l’agente distaccante che nel nostro caso verrà usata in prevalenza. E’ facile da usaree allo stesso tempo assicura un buon distacco.

Con la cera liquida non si ottengono superfici lucide, e occorre ripetere il trattamento ad ognistampata, ma ciò non costituisce un problema perché nel settore artistico raramente è richiestauna finitura lucida, la quale poi si può sempre ottenere lucidando il pezzo finito, e inoltre diregola si deve trarre un solo esemplare.

La cera liquida è un prodotto in soluzione con ragia minerale, molto fluido, che si asciuga inbrevissimo tempo. Si può applicare a pennello, a spruzzo o con un tampone. Occorrono due otre passate, intervallate di 10 minuti, e poi si regolarizza la superficie (le righe del pennello o labuccia d’arancia dello spruzzo) strofinando leggermente con un panno di cotone morbido.

Si attende circa 30 minuti che il solvente contenuto nella cera sia completamente evaporato, evi si applica un velo leggero di Polivinol a pennello o con una spugna morbida.Il Polivinol crea una sottile pellicola resistente ai solventi sopra lo strato di cera. Questapellicola ha due importanti funzioni: come barriera allo stirolo contenuto nelle resine e nei gelcoat poliesteri, il quale potrebbe, come solvente, intaccare lo strato di cera riducendonel’efficienza; inoltre impedisce alla cera di trasferirsi sul pezzo finito, che ostacolerebbe poieventuali interventi sulla superficie dell’opera.

• “POLIVINOL”

Polivinol: nome commerciale dell’alcool polivinilico, che è una sostanza complementare neltrattamento distaccante delle superfici.

E’ un liquido di colore azzurro, solubile in acqua o in alcool etilico; dopo essiccato crea unapellicola che ha la proprietà di resistere ai solventi.Si applica con una spugna o un pennello morbido, oppure si può spruzzare con unatomizzatore a mano o un aerografo; in questo caso destinare una vecchia pistola solo perquesto uso.

Il Polivinol va di norma applicato sopra lo strato di cera gloss o di quella liquida, quindi il suospessore deve essere molto sottile altrimenti tende a formare delle schivature: Se si applica aspruzzo è consigliabile eseguire l’operazione in più riprese intervallate di qualche minuto. Lacolorazione azzurra è un rivelatore per regolarsi con lo spessore ed evitare di eccedere.

Se si verificassero delle schivature o qualche colatura, si può togliere il Polivinol con unaspugna imbevuta d’acqua, attendere che la superficie sia asciutta e ripetere l’operazione.

Quando il velo di Polivinol è essiccato, vi si può applicare il gel coat e quindi proseguire con lastratificazione dello stampo. Lo stesso trattamento: cera e Polivinol, deve essere poi eseguito anche nello stampo prima distratificare l’opera definitiva.

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Lo scopo del Polivinol è quello di impedire che lo stirolo contenuto nel gel coat poliestere vadaa sciogliere la cera, e che questa si trasferisca sul pezzo finito. Quando si estrae il pezzo dallostampo, la pellicola di Polivinol ne rimane attaccata, e si toglie facilmente con una spugnaimbevuta d’acqua. Il Polivinol può anche essere usato per creare una barriera di sicurezza, ad esempio neimodelli rifiniti con vernici turapori comuni, non epossidici, sui quali viene applicata la ceramirror. Questa non va ricoperta dal Polivinol perché altrimenti perderebbe la sua brillantezza,però un velo di Polivinol, applicato direttamente sul modello prima della cera, andrà ad isolarecompletamente la vernice turapori, proteggendola dai vapori dello stirolo che potrebberointaccarla e ammorbidirla, attraverso lo strato di cera, danneggiando il modello.

Non usare il Polivinol su materiali umidi, ne sopra la cera quando si costruisce lo stampo ingesso. L’acqua contenuta nell'impasto scioglierebbe la pellicola del Polivinol.

R I E P I L O G O

• Trattamento dei modelli in legno, gesso e polistirolo per la costruzione di stampiin RESINA

Per ottenere pezzi con superficie lucida

MODELLO TIPO DI FINITURA TRATTAMENTOLegno, gesso o polistirolo Duraloid Solo cera MIRRORLegno Vernice turapori Polivinol + cera MIRRORGesso o polistirolo Vernice turapori Non consigliato

Per ottenere pezzi con superficie semi-lucida

MODELLO TIPO DI FINITURA TRATTAMENTOLegno, gesso o polistirolo Duraloid Cera LIQUIDA + PolivinolLegno Vernice turapori Cera GLOSS + PolivinolGesso e polistirolo Vernice turapori Non consigliato

• Per la costruzione di stampi in GESSO

MODELLO TIPO DI FINITURA TRATTAMENTOLegno Vernice turapori Cera LIQUIDA o GLOSSGesso Grezzo Cera GLOSSGesso Duraloid Cera LIQUIDAArgilla nessuna Sapone

• Trattamento dei modelli in POLISTIROLO A PERDERE

MODELLO TRATTAMENTOSistema con animainglobata permanente

Nessun trattamentotranne eventualistuccature perregolarizzare

Sistema che prevedel’estrazione dell’anima conacetone

Stuccatura + idropittura +Polivinol

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COSTRUZIONE DELLO STAMPO

Gli stampi per le sculture a tutto tondo debbono essere composti da almeno due particomplementari, dette gusci oppure valve.In molti casi, per la complessità o configurazione del modello, è necessario suddividere lostampo in più parti per consentirne la sformatura, mentre per i bassorilievi è sufficiente talvoltaun solo guscio.

Esaminando la figura del modello si stabiliscono le linee ideali di divisione, dei due o piùelementi dello stampo, in modo che possano liberarsi dal modello senza incontrare ostacolidovuti a sottosquadro, e si tracciano con un pennarello.

Questo procedimento è necessario per costruire stampi rigidi in gesso o in vetroresina. Nonoccorre una così complessa suddivisione dello stampo quando si utilizza la gomma siliconica,la cui elasticità consente una facile sformatura anche in presenza di sottosquadro.

• STAMPI IN GESSO

Il gesso è il materiale che consente di realizzare stampi di piccole e medie dimensioni inmaniera semplice ed economica.Per ottenere la separazione dei gusci, in modo che poi vadano a combaciare perfettamente, sipossono adottare due diversi sistemi:taglio con filo, oppure con dei divisori temporanei.

Il sistema con il filo è più semplice, ed è indicato per stampi di piccole dimensioni, ma permettesolo la divisione in due valve.Dopo il trattamento del modello con cere distaccanti, si colloca un filo di nylon incorrispondenza della linea tracciata nella mezzeria, e si fa proseguire per almeno 10 cm. oltrela base del modello; per evitare che si sposti dalla linea, si può fissare con un pò di cera inpasta o con del Vinavil.

Si ricopre il modello con uno strato di scagliola, di spessore adeguato, comunque non inferiorea 3 cm; nel momento in cui il gesso inizia a rapprendersi si tira il filo perpendicolarmente almodello.

In questo modo si otterrà un taglio netto senza asporto di materiale, ma è una operazione cherichiede tempismo: se si tira il filo troppo presto, il gesso si risalda; se troppo tardi, il gessoindurisce e il filo non riesce più a tagliarlo.

Prima di staccare le due valve dal modello si debbono predisporre dei riferimenti per farle poiricombaciare nel riassemblaggio. Il sistema dei divisori temporanei è più laborioso e si adotta generalmente per le opere dimaggior dimensione, ma è soprattutto indispensabile quando si debbono realizzare stampisuddivisi in più parti.Con questo procedimento i vari elementi vengono eseguiti uno alla volta.

In corrispondenza della linea tracciata si posiziona una lamina divisoria, perpendicolare almodello, per delimitare una porzione dello stampo.Come divisorio si può utilizzare un lamierino di alluminio, o in altro materiale rigido che si possatagliare e piegare facilmente.

Si ritagliano delle strisce alte circa 5 cm, seguendo perfettamente il profilo del modello, e siposizionano seguendo la linea, fino a contornare la prima porzione di stampo che si devecostruire.

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La lamina divisoria si fissa con un cordone di plastilina o di creta, premuto con le dita, dallaparte esterna della zona delimitata. Ricordarsi di cerare anche il lamierino dal lato interno pernon fare aderire il gesso.

Si prepara un impasto di scagliola abbastanza fluido da poter essere applicato a pennello, e siricopre la parte interessata con uno strato sottile, di qualche millimetro, così la superficienell’interfaccia risulterà compatta e senza bolle. Si attende che la scagliola rapprenda, e poi sicolma con gesso comune fino ad arrivare all’altezza del lamierino.

Quando il tutto è indurito si toglie il lamierino da uno dei lati e si posizionano degli altri fino adelimitare la zona adiacente. Ricordare di applicare della cera Gloss anche nella pareteverticale del gesso, dove si è tolto il lamierino, per non fare aderire il nuovo getto, perchè laseconda porzione dello stampo va costruita direttamente a ridosso della precedente, quindi vicombacerà perfettamente, senza lo spessore del lamierino. Si procede con lo stesso sistemafino a ricoprire tutto il modello, tranne la base, dove rimarrà l’apertura per poter stratificare.A lavoro ultimato si dovranno tracciare dei segni di riferimento, o meglio ancora creare dellechiavi nel gesso, per far combaciare le varie parti nella giusta posizione quando si dovràricomporre lo stampo. Dopo di ciò si può iniziare a staccare i vari pezzi dello stampo, per permettere al gesso diasciugare completamente, avendo cura di non danneggiare gli spigoli vivi, ne la superficieinterna degli elementi.

Quando il gesso sarà ben secco, si ricopre la parte interna dei vari elementi con una mano diDuraloid, che serve ad eliminare la porosità del gesso e a favorire l’azione degli agentidistaccanti. E’ consigliabile stendere la vernice epossidica anche nelle battute laterali, cioè nello spessoredel gesso di ogni elemento, per proteggere lo spigolo vivo e per evitare che eventuali colaturedi resina, che potrebbero verificarsi durante la stratificazione vadano ad aderire al gessonudo.

Qualora per vari motivi non si possa applicare il Duraloid, è necessario saturare la porosità delgesso con ripetute passate di cera Gloss, in modo da ottenere una superficie completamentericoperta da uno strato di cera; poi si applica un velo di Polivinol.

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A questo punto i vari elementi sono pronti per essere riassemblati; questa operazione peròdeve essere eseguita compatibilmente con il sistema di stratificazione che si dovrà seguire, cheè determinato dalla complessità dello stampo. Come vedremo più avanti, negli stampi piùcomplessi è necessario talvolta stratificare su i vari elementi separatamente su prima diassemblarli.

Per tenere uniti poi i vari elementi, si spalma uno strato di gesso in corrispondenza dei giunti,o si può costruire una cappa che li racchiude completamente.

• STAMPI IN VETRORESINA

La costruzione di uno stampo in vetroresina è più laboriosa, però si ottengono manufatti moltopiù leggeri e resistenti rispetto al gesso.Per la divisione delle varie parti dello stampo si utilizza il sistema dei lamierini divisori, come peril gesso. Occorre però una maggior cura nel cerare le superfici di distacco perchè la resina haun maggior potere di aggrappaggio rispetto al gesso. Inoltre bisogna fissare bene il lamierino,con una maggior quantità di plastilina, altrimenti si potrebbe spostare premendo con il pennellodurante la stratificazione.

Quando si è delimitata una parte del modello, già trattato con gli agenti distaccanti, vi si applicauna mano di gel coat poliestere da stampi, fino a ricoprirne tutta la superficie, compreso il latointerno del lamierino.

Se il modello presenta delle rientranze con angoli vivi, o parti più operate, occorre regolarizzarela superficie e arrotondare gli angoli con una maltina che si prepara al momento, usando dellaresina caricata con microsfere o inerti in polvere, da applicare sul gel coat appena indurito.Altrimenti quando si stratifica, le fibre del mat non riusciranno a seguire le forme più complesseo gli angoli, e quindi vi rimarranno delle zone vuote o delle bolle d’aria racchiuse dietro illeggero strato di gel coat, il quale potrebbe cedere poi con la minima pressione. Quando il tutto è sufficientemente indurito, si inizia a stratificare con mat e resina poliestere,fino a raggiungere uno spessore di 2 o 3 mm. o comunque sufficiente a garantire la necessariastabilità allo stampo.

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Nei gusci di grosse dimensioni è consigliabile applicare dei rinforzi esterni per irrigidire lostampo, evitando così di aumentare eccessivamente lo spessore dello stratificato.Come rinforzo si possono applicare nell’estradosso del guscio alcuni listelli in legnoopportunamente sagomati, i quali poi si ricoprono con strisce di mat in modo da creare dellenervature a omega, collegate allo stratificato.

Nel risvolto sul lamierino è bene aumentare lo spessore dello stratificato aggiungendo alcunestrisce di mat, per creare una robusta flangia, che servirà per la congiunzione dei vari elementidello stampo; questa flangia perimetrale contribuirà inoltre all’irrigidimento di ogni singologuscio.

Quando il primo guscio è indurito, si toglie il lamierino da uno dei lati, e si delimita la zonaadiacente, ricordando di cerare la flangia in resina che si è creata nel precedente elemento, laquale era coperta dal divisorio. Si procede quindi con l’applicazione del gel coat edell’eventuale maltina, per concludere poi con la stratificazione.

Quando lo stampo è completato in tutte le sue parti, prima di disarmare si praticano dei foriattraverso le due flange accoppiate, che serviranno alle viti di collegamento dei vari elementinel riassemblaggio, che così avverrà con perfetta corrispondenza.

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Dopo aver staccato lo stampo dal modello, si controlla che non vi siano bolle o difetti, altrimentisi stucca la parte difettosa, poi si carteggia e si lucida fino ad accompagnare la finitura dellasuperficie circostante.

STRATIFICAZIONE

In base alle dimensioni e alla conformazione dello stampo, si decide il metodo più adeguato perla stratificazione dell’opera definitiva, che può essere eseguita sullo stampo chiuso, cioè giàassemblato, oppure a stampo aperto, e quindi su ogni elemento separatamente.Negli stampi di ridotte dimensioni, o comunque con una apertura alla base abbastanza ampiache permette di operare dall’esterno, si può stratificare sullo stampo già chiuso, con ilvantaggio di ottenere così l’opera a tutto tondo in un solo pezzo.

Mentre negli stampi di grossa mole, o con una apertura alla base molto piccola, si dovràstratificare ogni singolo pezzo separatamente, e poi assemblare il tutto.

E’ consigliabile in ogni caso applicare il gel coat sui gusci prima di assemblarli, perché così èpiù facile controllarne l’uniformità dello strato. Fare attenzione però a non imbrattare le battutedegli elementi, altrimenti si incollano; per evitare ciò, prima di applicare il gel coat si ricopre laflangia, o lo spessore del gesso con della carta gommata fino all’angolo con la superficie dellostampo, e poi si toglie prima di assemblare.

L’opera definitiva può essere ottenuta sia con un sistema epossidico che poliestere. Salvoparticolari esigenze prevale lo stratificato in poliestere perché è più economico e semplice daeseguire; non richiede accurati dosaggi e indurisce rapidamente.

La stratificazione nello stampo chiuso è molto sbrigativa. Quando il gel coat è indurito, sidispone lo stampo in orizzontale o con l’apertura verso l’alto, nella posizione più comoda dalavorare.Si applica una mano di resina nella parte inferiore, e vi si adagia un mat di superficie, meglio setagliato in piccoli pezzi per facilitarne l’adattamento alla superficie e si impregna con la stessaresina.

Poi si fa ruotare lo stampo e si prosegue fino a ricoprire tutta la superficie. Appena ultimataquesta operazione, prima che la resina indurisca, si prosegue la stratificazione con un mat piùpesante, sempre frammentato in piccoli pezzi per facilitare l’impregnazione e accompagnarefedelmente le forme dello stampo. I vari frammenti dovranno essere sormontati e sovrapposti inmodo da ottenere uno stratificato di spessore uniforme.

E’ possibile inoltre applicare dei rinforzi all’interno, inserendo delle costolature supplementari, oaumentare lo spessore dello stratificato, come ad esempio attorno alla apertura, applicandoulteriori strisce di mat per irrigidire la base de dell’opera.

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Il procedimento di stratificazione a stampo aperto è più laborioso, ma è necessario negli stampidi maggiore complessità, composti da molti elementi, o con piccole aperture.

Si stratifica su ogni singolo elemento in piano, con il solito procedimento: gel coat; mat disuperficie e per finire il mat pesante. Prima che la resina indurisca completamente si tagliano lesfrangiature delle fibre eccedenti con un cutter a filo con l’angolo della battuta.

Dopo di ciò si può iniziare la fase di assemblaggio, che va eseguita per gradi. Si riuniscono dueo tre elementi in modo da farli combaciare perfettamente con i relativi riferimenti. Se lo stampoè in resina, si fissano con dei bulloni attraverso i fori delle flange.Mentre gli elementi in gesso vengono saldati spalmando dell’altro gesso in corrispondenzadelle giunzioni nell’estradosso.

A questo punto si procede alla cucitura dello stratificato, sovrapponendo e impregnando dellestrisce di mat in corrispondenza delle giunzioni.Si prosegue con lo stesso sistema fino a ricomporre tutti i pezzi, lasciando per ultimo quelli inprossimità dell’apertura. Le ultime saldature vengono eseguite dall’esterno.

Negli stampi in gesso è consigliabile talvolta rinforzare l’unione dei vari elementi, costruendoviall’esterno una cappa di gesso, man mano che si procede con l’assemblaggio, per assicurare laloro coesione durante il successivo lavoro di stratificazione. Questa cappa verrà poi rotta esmantellata nell’apertura dello stampo.

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Le sfrangiature del mat che sporgono dall’apertura, si eliminano facilmente tagliando con uncutter a filo dello stampo quando la resina è ancora in fase di indurimento. Le successiveoperazioni di rifinitura vanno eseguite con una smerigliatrice.

Per l’apertura dello stampo bisogna attendere come minimo 12 ore affinchè lo stratificato abbiaraggiunto sufficiente rigidità. Se l’estrazione del pezzo dovesse presentare qualche difficoltà, sipuò facilitare il distacco inserendo dei cunei in legno tra lo stampo e il pezzo nei puntiopportuni; si fanno penetrare a piccoli colpi per non danneggiare il gel coat, finché non siavverte il distacco delle due superfici.

Quando il pezzo esce dallo stampo occorre talvolta ripulirlo delle eventuali bave che si possonoessere formate in corrispondenza delle giunzioni dei gusci. Questa operazione deve essereeseguita con molta cura per non rovinare lo strato superficiale di gel coat. Lo strumento idealeè una smerigliatrice con flessibile, tipo quelle che si impugnano come una penna per eseguireincisioni, altrimenti si possono usare delle piccole lime di sagoma appropriata, carta abrasiva,ecc.

Se la superficie dell’opera deve rimanere lucida, si carteggia la zona smerigliata con una grana400 e poi si lucida con pasta abrasiva da carrozzeria.Se rimangono dei difetti molto evidenti, si possono correggere con delle piccole stuccatureusando lo stesso gel coat, magari addensato con dell’Aerosil.

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LE GOMME SILICONICHE PER LA COSTRUZIONE DI STAMPI ELASTICI

Le gomme siliconiche sono prodotti liquidi o in pasta che vulcanizzano a freddo mediante uncatalizzatore, dai quali si ottengono composti stabili, dotati di elevata elasticità.

Grazie alle loro peculiari caratteristiche, le gomme siliconiche (d’ora in avanti abbreviate gs.)offrono dei grandi vantaggi nella costruzione di stampi, specialmente nel settore artistico, delmodellismo e dell’oggettistica, dove in alcuni casi si rivelano veramente insostituibili.

Una delle proprietà fondamentali delle gs. è l’eccellente effetto antiaderente nei confronti deimateriali cui vanno a contatto. Ciò significa che queste gomme non aderiscono al modello sulquale sono state applicate, e a loro volta le resine, o altri materiali come il gesso o la cera nonaderiscono allo stampo in gomma. Quindi non occorre alcun trattamento distaccante, sia sulmodello che nello stampo. Le gs. hanno inoltre un’ottima fedeltà di riproduzione sin dei minimidettagli, e una buona stabilità dimensionale. La loro elasticità e resistenza alla lacerazioneconsentono di sformare agevolmente anche oggetti con forte sottosquadro, rilievi pronunciati eintagli particolareggiati.

Sono disponibili in commercio diversi tipi di gomma, ognuna con la sua caratteristica, epossono essere classificate in due principali categorie: colabili e plasmabili; la scelta del tipo piùindicato va fatta in base alle modalità di impiego e alle esigenze specifiche. Per realizzare ilcalco di un bassorilievo, o lo stampo di un oggetto di piccole dimensioni, si usa il tipo colabile,che si versa sull’originale da riprodurre, contornato da un argine di contenimento.

Nei modelli di grosse dimensioni conviene usare il tipo plasmabile, che si applica con le dita sulmodello fino a ricoprirlo con uno strato uniforme. Oppure in alcuni casi si può ricorrere al tipopennellabile, che è una variante delle gomme plasmabili, la quale ha una buona fedeltà diriproduzione ed è più semplice da applicare, ma si ottengono strati sottili, quindi occorrono piùpassate per raggiungere lo spessore desiderato. Un altro tipo: la RTV-530, è una gommaplasmabile atossica che vulcanizza in brevissimo tempo, si può quindi applicaredirettamente sulla pelle per trarre calchi ad esempio delle mani o del viso.

Normalmente negli stampi in gomme siliconiche si traggono le copie per colata. Il materialeutilizzato per il getto può essere una resina poliestere, poliuretanica o epossidica; così come ilgesso o la cera, molto utili quindi nelle tecniche di fusione a cera persa. Vi è anche unagomma che resiste fino a temperature di 300° C, nella quale si possono colare metalli e leghebasso fondenti. Con gli stampi in gomme siliconiche ad esempio usando il tipo plasmabile, si possono ottenerecalchi anche oggetti di grosse dimensioni e inamovibili, come statue o rocce, per poi riprodurliin vetroresina, gesso o cemento. Si possono inoltre costruire stampi direttamente su modelli inargilla o in gesso ancora umidi, senza pregiudicare il processo di vulcanizzazione, in quanto isiliconi sono assolutamente idrorepellenti e insolubili in acqua.

Le gs. sono prodotti a due componenti: base + catalizzatore. Prima dell’uso si prepara lamiscela nella proporzione indicata; dopo un certo periodo, che varia a seconda dei tipi,l’impasto vulcanizza trasformandosi in un composto, elastico stabile e irreversibile.

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TIPO GLS-50 GSP-400 RTV-530 RTV-TIXO RTV-589

Modalità di impiego Per colata Plasmabile

Plasmabile Pennellabile Per colata

Viscosità in m Pas. 30.000 Pasta Pasta Cremosa 45.000

Durezza shore del vulcanizzato 22 40 45 35 75

Allungamento a rottura 350% 150% 70% 250% 20%

Tipo di catalizzatore e dosi T-30 al 5% C-2 al 4% A+B = 1/1 Tixo blu al 5% C-3 al 4%

Tempo di lavorabilità 90 minuti 1 ora 2 minuti 1 ora 1 ora

Indurimento completo a 20° C 18 ore 8 ore 5 minuti 8 ore 12 ore

Colore Beige Verde Rosa Celeste Rossa

CARATTERISTICHE

“GLS – 50”

La GLS-50 è una gomma liquida da usare per colata. Ha una viscosità apparente elevata, malentamente riesce a penetrare ovunque e a riprodurre ogni minimo dettaglio. E’ adatta percostruire stampi a pozzo, cioè monovalva, di piccoli oggetti molto dettagliati, come figurini,statuette, modelli di aerei e auto in scala, ecc. oltre ad ottenere calchi di bassorilievi e oggetti inpiano.

Con alcuni accorgimenti però si può utilizzare anche per riprodurre modelli di maggioridimensioni con sviluppo verticale o di struttura complessa, costruendo ad esempio uno stampobivalve o a intercapedine, come vedremo più avanti.

La GLS-50 va catalizzata con 5% di “T-30”, che è un liquido incolore. E’ consigliabile dosare icomponenti sempre in peso; non disponendo però di una bilancia di precisione per dosare lepiccole quantità di catalizzatore, si può ricorrere ad una siringa graduata e dosarlo in volume,dal momento che il suo peso specifico è circa 1, quindi 1 cc. equivale a 1 gr. Mentre la gomma,che è la quantità maggiore va necessariamente pesata, anche perché ha un peso specificodiverso, pari a 1,2.

Riuniti i due componenti in un recipiente a tutta apertura, si amalgama con una spatola a lamastretta e allungata per circa un minuto, avendo cura di raschiare bene le pareti e il fondo delrecipiente, in modo da ottenere una miscela omogenea in tutta la massa. Mescolarelentamente onde evitare un eccessivo inglobamento di bolle d’aria, Prima di colare è bene farriposare l’impasto almeno 10 minuti per permettere la deaerazione.

Questo tipo di gomma ha un pot life molto lungo: circa 3 ore, e ciò permette la quasi totalesbollatura dell’aria inglobata. La vulcanizzazione completa si ha dopo circa 18 ore a 20° C. Sesi vuole accelerare la reazione si può far vulcanizzare l’impasto in un ambiente alla temperaturadi 30 – 40° o vicino a una fonte di calore. Una reazione troppo veloce però non permette lacompleta fuoriuscita delle bolle d’aria.

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Se lo stampo deve essere utilizzato per trarre molte copie consecutive, è consigliabileritempralo, ogni 20 o 30 stampate, tenendolo in forno, per circa un’ora a 100° C, perpermettere l’evaporazione dei solventi o di altre sostanze assorbite dalla gomma. In questomodo lo stampo avrà una lunga durata in perfetta efficienza.

Al termine del lavoro non occorre lavare i recipienti e le spatole imbrattate di gomma; dopo chequesta ha vulcanizzato si stacca facilmente dagli attrezzi, lasciando le superfici pulite e senzaresidui.

“GSP – 400”

La GSP-400 è una gomma plasmabile, adatta per riprodurre grossi modelli o particolariinamovibili. Viene applicata direttamente sul modello fino a ricoprirlo interamente con uno stratouniforme.

La gomma base è una pasta color grigio perla, con una consistenza più morbida rispetto allaplastilina. Il suo catalizzatore: “C2” è un gel di colore giallo, confezionato in tubetti da gr. 40,che è la dose giusta per 1 Kg. di pasta base, infatti il rapporto di catalisi è del 3 -4%.L’amalgama con il catalizzatore può essere eseguita solo con le mani. Il prodotto è innocuo enon causa irritazioni, però è meglio inumidire le mani per evitare che l’impasto vi aderiscadurante la manipolazione.

Si preleva dal contenitore la quantità desiderata, non più di 300 grammi però, altrimentisarebbe faticoso impastare; vi si pratica una cavità per accogliere il catalizzatore, del quale siaggiunge circa un terzo del tubetto. Si dovrà quindi impastare, lavorando il panetto con le manifino ad ottenere una massa di colore omogeneo senza venature, segno che il catalizzatore si ècompletamente incorporato nell’impasto.

Si inizia ad applicare in una estremità dell’originale da riprodurre, premendo e modellando conle dita, in modo da lasciare uno strato di circa 1 cm. Terminato il primo panetto, si prepara unaltro impasto e si prosegue. Per evitare segni di ripresa è consigliabile adagiare il nuovopanetto sull’orlo dello strato già steso e premere in modo da proseguire facendo avanzare lostrato inferiore.

Occorre fare molta attenzione nelle superfici molto incise affinché la gomma penetri bene nellerientranze senza lasciare vuoti o bolle d’aria. La superficie esterna dello strato in gomma deve essere rifinita in modo abbastanza regolare,senza sottosquadro, per non creare appigli alla cappa di sostegno che verrà costruita inseguito, come vedremo più avanti.

L’impasto ha un tempo di lavorabilità di circa 1 ora e impiega dalle 8 alle 10 ore per completarela vulcanizzazione. Se si è costretti a interrompere la posa, si può riprendere senza problemianche se il primo strato è già vulcanizzato, però è bene non attendere eccessivamente, perchéla polvere che inevitabilmente si deposita sullo strato già vulcanizzato agisce da separatore, equindi può causare dei distacchi in corrispondenza delle riprese.

“RTV 530”

E’ una gomma plasmabile di consistenza scorrevole. Ha una reazione molto veloce: fa presa in3 minuti , e dopo pochi secondi si può già staccare dal modello. E’ quindi adatta per realizzare velocemente piccoli stampi, o per trarre calchi di parti del corpo,a contatto della pelle, in quanto è assolutamente atossica e anallergica.

Il vulcanizzato che ne risulta è più rigido e possiede un minor potere di allungamento rispetto aquello della gomma GSP-400

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I due componenti A e B sono entrambi in pasta e vanno miscelati nel rapporto di 1/1 in volume.Il componente A è bianco; il componente B che è il catalizzatore è rosso.

Si prelevano dai rispettivi contenitori quantità di uguale volume, e si amalgamano con le ditafino ad ottenere una pasta di colore rosa uniforme.Il sistema di applicazione è identico a quello della gomma plasmabile GSP-400, ma bisognapreparare piccoli impasti alla volta, altrimenti non si ha il tempo di applicarli con la dovuta curaperché iniziano ad indurire.

“RTV – TIXO”

Gomma tissotropica applicabile a pennello.

Questo tipo viene usato in alternativa alle gomme plasmabili. Si ottengono dei calchi piùsottili, cosiddetti “a pelle”, con il vantaggio di un minor consumo di materiale e una buonapenetrazione nei dettagli profondi. E’ caratterizzata da una buona scorrevolezza e tissotropia, che è la proprietà di non colare dallesuperfici verticali, anche se applicata a spessore.

L’applicazione viene fatta a pennello, che è un sistema pratico e veloce. Con una mano siraggiungono 1 - 2 mm. Se si vuole ottenere uno spessore maggiore, occorrono più passate.

Il componente base è una pasta cremosa di colore grigio perla; il catalizzatore “TIXO BLU” èun liquido denso e va aggiunto nella dose del 5%. Si amalgama con una spatola fino che l’impasto assuma un colore azzurro chiaro omogeneo. Ilpot life della miscela è di circa un’ora.

Si applica come prima fase un leggero strato di gomma con un pennello a setole corte e siimprime per far penetrare bene il prodotto nei dettagli, facendo attenzione a non lasciare bolled’aria. Quando una porzione del modello è stata accuratamente ricoperta, si rinforza lo stratocon l’apporto di altro materiale fino a raggiungere uno spessore di ca. 2 mm. Si prosegue allostesso modo fino a ricoprire tutto il modello.

Se si vuole ottenere una pelle di maggior spessore, occorrono più passate, attendendo che laprecedente abbia vulcanizzato. Oppure si può usare la Tixo come primo strato a contatto delmodello, in modo da copiarne bene tutti i dettagli e poi completare il calco con la gommaplasmabile. In questo modo si ottiene subito lo spessore desiderato, si riesce a regolarizzaremeglio la superficie esterna della pelle, colmando tutte le rientranze che poterebbero crearedegli appigli alla cappa. Non vi è alcun pericolo di delaminazione tra le due gomme, se ilriporto viene eseguito entro le 48 ore

I calchi a pelle ottenuti con la gomma TIXO o con la plasmabile, necessitano di uncontrostampo, una cappa in gesso o altro materiale per mantenere poi lo stampo nella giustaposizione durante l’utilizzo.

“RTV – 589”

Gomma liquida resistente alle alte temperature.

Le gomme siliconiche resistono in genere fino a temperature oltre i 200°; la RTV-589 è unagomma liquida colabile appositamente formulata per resistere fino a 300°.Con questo tipo si ottengono vulcanizzati molto duri, caratterizzati da un buon potere didissipazione del calore, stabilità dimensionale e basso coefficiente di allungamento. E’ quindiadatta per realizzare piccoli stampi sui quali si possono colare leghe e metalli basso fondenti,come stagno e piombo.

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La base è un liquido viscoso di colore rosso; prima di prelevarla dal contenitore deve esseremescolata con una spatola perché le sostanze contenute tendono a sedimentarsi. Ilcatalizzatore “C3” è una pasta bianca, e va aggiunto nella dose del 4%. La miscela ottenuta va colata direttamente sul modello da riprodurre, con lo stessoprocedimento della gomma liquida.

L’elevata durezza e lo scarsa proprietà di allungamento di questa gomma non consentono disformare pezzi con eccessivi sottosquadro; in tal caso è necessario costruire lo stampo in duevalve.

Prima di colare il metallo è consigliabile cospargere la superficie interna dello stampo con deltalco o della grafite in polvere; questo accorgimento serve ad aumentare la scorrevolezza delmetallo fuso a contatto della superficie dello stampo.

Qualora sorgesse la necessità di dover incollare le gomme siliconiche già vulcanizzate, adesempio per fissarle ad un supporto, oppure unirne due parti, si può usare il normale siliconeda vetri. Trattandosi di un prodotto siliconico aderisce anche nelle gomme.

PREPARAZIONE DEL MODELLO

I modelli originali nei materiali comuni, come legno, metallo, materia plastica, gesso, argilla ocera, si prestano facilmente ad essere riprodotti con le gomme siliconiche (gs) e non richiedonoparticolari preparazioni.

Le gs non danneggiano ne alterano il modello, è necessario però che questo abbia unasuperficie consistente e priva di frammenti facili a staccarsi: le gomme riproducono qualsiasitraccia di sporco o di particelle aderenti al modello.

Le gomme vulcanizzano anche a contatto di superfici umide, quindi si possono eseguire calchidirettamente su modelli in argilla non essiccata, o in gesso ancora umido.

Si possono anche creare modelli in plastilina, pongo o das oppure apportare delle modifiche aun modello già esistente, aggiungendo del materiale, purché il tipo di prodotto usato noninibisca la reazione del catalizzatore della gomma

I modelli in polistirolo espanso devono essere ricoperti da una vernice turapori all’acqua oepossidica, altrimenti la gomma insinuandosi negli alveoli tende ad aderire al modello,ricopiandone poi tutte le irregolarità e porosità.

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SCELTA DELLA TECNICA PER LA COSTRUZIONE DELLO STAMPO E DEL TIPO DI GOMMA

Esistono due sistemi fondamentali per la costruzione di uno stampo: a pozzo, monovalva obivalva, per i quali si utilizza una gomma colabile; e il sistema a pelle, con le gomme plasmabili.

La scelta dipende da vari fattori, quali: dimensione e conformazione dell’originale da riprodurre;qualità di dettaglio richiesta; numero di riproduzioni da effettuare e tipo di materiale da utilizzareper eseguire le copie.

COSTRUZIONE DEGLI STAMPI CON LA GOMMA “GLS-50” COLABILE

Con questa gomma si possono eseguire stampi a pozzo del tipo a cielo aperto, semplici obivalve oppure, per consumare meno gomma, con il sistema a intercapedine, supportati da unacampana in gesso. La scelta dipende sia dalla configurazione che dalle dimensioni del modelloda riprodurre.

Per la riproduzione di un bassorilievo, di un oggetto piatto con poco rilievo oppure di un figurinosi può eseguire uno stampo a cielo aperto semplice, senza la necessità di costruire poi uncontrostampo di supporto, perché con questo sistema il calco in gomma risulterà giàabbastanza compatto da autosostenersi, e avrà anche una base di appoggio piana. Con lostampo a cielo aperto però una delle facce del modello, la base, non verrà riprodotta.In alcuni casi, quando il modello è molto complesso, è conveniente sezionarlo in più parti estamparle separatamente anziché costruire uno stampo bivalve, più laborioso. E’ il caso deifigurini nel settore del modellismo: si esegue un unico stampo a pozzo con varie impronte, checomprende il busto posto verticalmente, con a fianco gli arti e la testa. Poi si assemblano, conil vantaggio di poter variare l’anatomia e l’atteggiamento di ogni figurino se collocati in undiorama.

Per riprodurre oggetti più complessi è necessario usare altre tecniche. Ad esempio nei modelliche presentano aperture passanti o anse, si deve necessariamente ricorrere ad uno stampobivalva, altrimenti l’estrazione del pezzo sarebbe impossibile.

Gli stampi per modelli di maggior dimensione o con parti aggettanti, si possono realizzare conil sistema dell’intercapedine, come vedremo più avanti.

STAMPO SEMPLICE A CIELO APERTO

1 - Fissare la base del modello su un pianetto, con della cera o del nastro biadesivo.

2 - Creare un bordo di contenimento attorno al modello con del cartoncino, del lamierino o untubo in plastica; fissarlo al pianetto con la plastilina e accertarsi che tutte le fessure siano bensigillate per evitare la fuoriuscita della gomma.L’altezza del bordo deve superare di almeno 1 cm. il massimo rilievo del modello e distanziatodi almeno 5 mm, lateralmente, seguendone possibilmente il contorno per ridurre il consumo digomma. fig. 1

3 - Colare la miscela di gomma GLS-50 fino a coprire circa metà del modello; passare unostecchino attorno alla base, nell’angolo di unione con il pianetto, per favorire la fuoriuscita dieventuali bolle d’aria che tendono a rimanere attaccate negli angoli. Colare la restante gomma fino a coprire abbondantemente il modello, ricordando di passareman mano lo stecchino in corrispondenza delle zone molto operate, per favorire l’affioramentodelle bolle d’aria trattenute dalle anfrattuosità. fig. 24 - Lasciare vulcanizzare per circa 18 ore ad una temperatura di almeno 20°¡. Dopo di che sipuò togliere il bordo, ed estrarre il modello dallo stampo, il quale risulterà perfettamentefedele all’originale sul quale è stato colato.

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STAMPO A INTERCAPEDINE CON CAMPANA IN GESSO

Quando si deve realizzare lo stampo di un modello che si sviluppa in altezza o con prominenzeaccentuate, come ad esempio una statuetta, è conveniente usare una tecnica diversa dalprecedente esempio, altrimenti si otterrebbe uno stampo troppo massiccio, con un eccessivoconsumo di gomma.

Procedimento:

• Fissare il modello su unpianetto abbastanza ampio, eavvolgerlo con pellicola dialluminio (tipo per alimenti) inmodo che ne segua le forme.

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• Ricoprire poi il tutto con unostrato di plastilina, creandouno spessore di ca. 2 cm.La superficie esterna deveessere ben regolarizzata,priva di asperità e con glispigoli arrotondati

• Preparare una cassetta di contenimento; solo con le pareti, senza fondo ne coperchio,con una altezza che superi il modello di almeno 5 cm.

• L’ampiezza della cassa deve essere tale da lasciare sufficiente spazio all’interno tra lasporgenza massima del modello e le sue pareti.

• Posizionare il contenitoreattorno al modello in modoche questo sia ben centrato, etracciare con un pennarello ilsuo contorno sul pianetto diappoggio.

• Togliere la cassa e tracciare una linea ideale di divisione sullo strato di plastilina;posizionarvi un filo di nylon (F) abbastanza lungo da risalire lungo le pareti e fuoriusciredalla cassa. fig. (4)

• Questo accorgimento servirà a dividere in due parti la campana in gesso che verràgettata nella cassetta in modo da poter essere facilmente disarmata per l’estrazione delmodello in presenza di sottosquadro; inoltre agevola il riposizionamento della pelle ingomma.

• Avvitare due spinotti di guida conici in legno (A) sul pianetto di lato al modello nei puntidove c’è più spazio, entro il perimetro della cassa.

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• Nella parte alta del modello vafissato un imbutino modellato inplastilina, con la svasatura versol’alto (C). Questo servirà a creareil canale di colata per lagomma.Al suo fianco va fissatoun tubetto di plastica più sottileper lo sfogo dell’aria (B). Altritubetti di sfiato dovranno essereposti degli eventuali punticulminanti del modello, perevitare che si formino sacched’aria. A tale scopo si possonousare delle cannucce da bibita, edebbono arrivare fino al bordosuperiore della cassetta.

• Riposizionare la cassetta al suo posto e sigillare la fessura alla base di appoggio con un

cordone di plastilina (P). • Far risalire de due estremità del filo di nylon verticalmente lungo le pareti della cassetta,

prolungandoli almeno 10 cm. oltre il bordo superiore

• Colare del gesso all’interno fino acolmare la cassetta, facendoattenzione a non spostarel’imbutino e i tubetti di sfiato. Ilgesso dovrà ricoprireabbondantemente il modello,lasciando però sporgerel’imbutino di e gli sfiati di qualchemillimetro. .

• Appena il gesso inizia a rapprendersi si tirano le due estremità del filo verso l’alto. Inquesto modo si otterrà un taglio netto, senza asporto di materiale.

• Questa è una operazione che richiede tempismo: se si tira il filo troppo presto, il gesso sirisalda; se troppo tardi, il gesso indurisce e il filo non riesce più a tagliarlo

In questo modo si è creata la campana, già divisa in due parti, che servirà da controforma perottenere un calco di spessore più sottile, poiché la gomma andrà a riempire lo spaziooccupato dalla plastilina. Questa campana avrà poi anche la funzione di sostegno del calco in gomma, per mantenerlonella giusta posizione ed evitare che si deformi durante l’utilizzo dello stampo.Quando il gesso ha fatto presa, si disarma la cassetta, e si staccano le due semi campane,facendo attenzione a non danneggiare la sede degli spinotti di riferimento. Quindi si asportatutta la plastilina che ricopre il modello, senza muoverlo dalla sua posizione nel pianetto.Lapellicola di alluminio facilita la rimozione della plastilina, e non fa imbrattare il modello.

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Ricollocare le due parti in gesso nella loro posizione originale, facendo rientrare gli spinottifissati al pianetto nelle rispettive sedi che si sono formate nel gesso. Controllare che lesuperfici esterne dei due elementi siano perfettamente allineate in corrispondenza del giunto; inquesto modo la campana rispetterà la centratura con il modello.Sigillare bene con plastilina la fessura tra le due semi campane in gesso, e anche quella nellabase di appoggio sul pianetto, per evitare fuoriuscite di gomma. Legare le due parti in gessocon degli elastici o con alcuni giri di nastro adesivo.

Colare lentamente la miscela di gomma GLS-50 attraverso il foro svasato nel gesso, fino ariempire l’intercapedine, cioè nello spazio che prima occupava la plastilina. Durante questa operazione è consigliabile inclinare più volte tutto lo stampo in varie direzioni,in modo da permettere la fuoriuscita delle bolle d’aria che potrebbero rimanere intrappolate neisottosquadro o anfratti del modello. Si otterrà così uno stampo a pozzo , a cielo aperto, di spessore più sottile, il che, oltre afacilitare l’estrazione comporta un minor consumo di gomma.

• Quando la gomma è vulcanizzatasi aprono le due semi campane, equindi si eliminano tutte leescrescenze, come le materozzedei condotti e le bave di gommache si sono formate nella giunturadegli elementi in gesso.

Per facilitare la sformatura del calco in gomma, specialmente nei modelli con parti aggettanti, èconsigliabile tagliarlo con una lametta, dalla sommità alla base. E’ sufficiente da un solo lato,però il taglio non deve coincidere con il giunto delle semi campane. Quando si ricolloca il calcoin gomma nella sua sede in gesso per l’utilizzo, i lembi tagliati di netto, combacerannoperfettamente per memoria, e non lasceranno alcun segno sul pezzo finito.

Come accennato all’inizio, lo strato di plastilina riportato all’esterno del modello deve essererifinito con la superficie esterna più regolare possibile, priva di asperità, con le cavità colmatee le sporgenze arrotondate, altrimenti (M) sarà assai difficile riposizionare la pelle in gommanella campana in gesso perché occorrerà far combaciare tutte le irregolarità nelle rispettivenicchie che si sono riprodotte nel gesso.

STAMPO BIVALVE A CIELO APERTO

Questo sistema, più complesso, consente di realizzare stampi che riproducono il modellocompleto in tutte le sue parti, a tutto tondo, oppure sformare pezzi che per la loro conformazione, comead esempio aperture passanti, è impossibile estrarre da stampi monovalva semplici.

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Procedimento:

Tracciare la linea ottimale per la divisione dello stampo, e incastonare per metà il modello nellaplastilina (P) fino alla linea prestabilita, creandovi attorno un bordo di contenimento. Oppure collocare il modello in una cassettina e versare della cera fusa in modo da ricoprirnela metà inferiore, fino alla linea di divisione. In questo caso è consigliabile avvolgere la parteinferiore del modello con pellicola in alluminio o Domopak per non fare aderire la cera. Con questo sistema la divisione dello stampo risulta in linea retta, mentre con il metodo dellaplastilina si può ottenere un piano di divisione più complesso, in grado di seguire esattamentela morfologia della linea divisoria.

Regolarizzare la superficie della plastilina o della cera attorno al modello, e praticarvi due foriconici (A) diametralmente opposti, i quali serviranno a creare gli spinotti di riferimento per laseconda valva.

Per creare il condotto di colata (C), attraverso il quale verrà versato il materiale nello stampo,si prepara una sorta di imbutino in plastilina e si divide in due parti uguali. Si attacca metàimbuto sul piano di divisione in plastilina, con la parte più sottile collegata al modello in unpunto prestabilito e la svasatura verso l’esterno, aderente al bordo di contenimento.

L’altra metà dell’imbutino verrà usata poi per completare il condotto nella seconda valva.Occorre anche predisporre un canale di sfogo per l’aria (B) vicino a quello di colata. A talescopo si può usare una cannuccia da bibita o un tondino annegato per metà nella plastilina,che collega il modello al bordo di contenimento. Eventuali altri canali di sfiato sono necessari in tutti i punti culminanti del modello, per evitareche si formino sacche d’aria quando si cola il materiale nello stampo. A questo punto ilmodello è pronto per la costruzione della prima valva dello stampo, che si esegue con lo stessoprocedimento dello stampo a cielo aperto, versando la gomma liquida.

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Quando la gomma ha vulcanizzato, si capovolge lo stampo e si rimuove la plastilina o la cerache racchiude metà del modello, avendo cura di non far uscire la parte che è nella gomma, enemmeno il mezzo imbutino che ne è racchiuso. Anche i tondini che sporgono, dalla gommavanno lasciati al loro posto, perchè dovranno servire a creare l’altra metà dei condotti di sfiatonella seconda valva. Si posiziona poi l’altro mezzo imbutino in plastilina, facendolocombaciare con quello che è già nella gomma per completare il canale di colata. .Occorre ricordare che le gomme siliconiche hanno proprietà antiaderenti nei confronti di tutti glialtri materiali, però aderiscono fra loro. Quindi se si deve procedere con una colata di gommasu un elemento già vulcanizzato, e ottenere la separazione delle due parti, è necessario untrattamento con un agente distaccante.

Per evitare che le due valve aderiscano una con l’altra è sufficiente talvolta cospargere lasuperficie vulcanizzata con del talco. Per maggior sicurezza è però consigliabile applicareprima un velo di cera liquida, e poi passare il talco con un pennello asciutto. Bisogna aver curadi trattare in questo modo tutta la superficie della gomma che andrà a contatto con la secondavalva, compresi gli spinotti. Dopo di ciò si posizionano le pareti di contenimento, sigillandone la base con plastilina, equindi si può procedere con la colata della seconda valva.

Quando la gomma ha vulcanizzato si separano le due valve, e si estrae il modello, ottenendocosì uno stampo completo dei canali di colata e degli spinotti di riferimento, che farannocombaciare perfettamente le due parti.

Questi stampi risultano generalmente abbastanza massicci, per cui salvo eccezioni nonrichiedono controstampi di supporto; è sufficiente tenere unite le due parti con degli elastici.

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STAMPI IN GOMMA PLASMABILE GSP-400 - RTV-530 - RTV-TIXO Gli stampi in gomma plasmabile o pennellabile, detti a pelle, necessitano di un controstampodi sostegno, chiamato cappa composta da due o più elementi, per mantenere la gomma “informa” durante l’utilizzo dello stampo.

La cappa può essere realizzata in gesso oppure in vetroresina, che è più leggera, qualora lostampo deve essere utilizzato per trarre molte copie. Negli stampi più complessi occorrepreparare una cappa in più parti, dividendola con il sistema del filo o predisponendo dellespondine divisorie, in modo da poter sformare agevolmente i sottosquadro. Va ricordato che il vero stampo è la pelle in gomma, la quale riproduce fedelmente la superficiedel modello; la cappa ha solo una funzione di sostegno, quindi può essere eseguita anche inmaniera sbrigativa, dal momento che eventuali difetti superficiali, come bolle d’aria o segni diripresa non pregiudicano il risultato finale.

La cappa deve seguire perfettamente la conformazione della pelle, dalla quale si dovràstaccare facilmente. L’estradosso della pelle in gomma deve avere quindi una superficieabbastanza regolare da non creare appigli che potrebbero ostacolare il distacco della cappa.Nel plasmare la gomma bisogna aver cura di colmare le cavità profonde, e addolcire i rilievi piùpronunciati del modello, aumentando dove occorra lo spessore della pelle.Questi accorgimenti serviranno anche a facilitare il riposizionamento della pelle nella rispettivacappa, quando si dovrà utilizzare lo stampo.

Le cappe in gesso vengono riassemblate riportando dell’altro gesso nelle giunzioni delle varieparti, le quali poi si distruggono nell’estrazione del pezzo finito. Quando è possibile si puòtenere unita la cappa con degli elastici, e così si recuperano i pezzi. Le cappe in vetroresina vanno assemblate con delle viti nelle flange di unione predisposteperimetralmente negli elementi. Ultimato il lavoro si disarma la cappa, ma prima di staccare la pelle in gomma dal modello,specialmente se a tutto tondo, occorre praticarvi dei tagli per facilitarne la sformatura e ilsuccessivo riposizionamento nella cappa. I tagli debbono essere ridotti al minimoindispensabile da consentire tale operazione.Se l’opera verrà eseguita per stratificazione, i tagli dovranno possibilmente coincidere con ungiunto della cappa. Non è però necessario tagliare la pelle in tante parti quante sono la cappa.Nelle opere di semplice conformazione è sufficiente dividere il calco in gomma in sole dueparti, anche se la cappa è composta da più elementi.

Dopo di ciò si riassemblano le parti della cappa che serviranno ad accogliere la rispettiva partedi gomma, e si stratifica con lo stesso procedimento degli stampi rigidi. Poi si completal’assemblaggio delle restanti parti e la cucitura dello stratificato.

SUGGERIMENTI

Qualora sorgesse la necessità di dover incollare la gomma siliconica già vulcanizzata, perfissarla ad un supporto, oppure unire due parti in gomma, si può usare il normale silicone davetri, venduto in ferramenta in tubetti o cartucce, il quale, trattandosi di un prodotto siliconicoaderisce bene anche nelle gomme.

Non utilizzare mai i recipienti e le spatole usate con la gomma, per mescolare resine, gel coato vernici, perché anche una minima traccia di silicone riesce a contaminare questi prodotti, equando vengono applicati la superficie risulterà piena di schivature e occhi di pesce.

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