I giovani italiani e la visione disincantata del lavoro

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I Giovani italiani e la visione disincantata del Lavoro Divergenze e convergenze con genitori e imprese

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Executive Summary

La ricerca si è proposta di indagare il tema del rapporto ‘Giovani e Lavoro’ raccogliendo il punto di vista di 1018 giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni rappresentativi della popolazione giovanile italiana, 1019 adulti con figli di età compresa tra i 15 e i 29 anni e un gruppo selezionato di 30 aziende. Attraverso la somministrazione di un questionario strutturato a domande chiuse, è stato possibile approfondire le opinioni di giovani, adulti e referenti aziendali relativamente a quattro aree di indagine: situazione professionale dei giovani; orientamento e ricerca del lavoro; rappresentazioni del lavoro con un focus sulle professioni manuali; apprendistato.

Perché è importante fare una ricerca sul tema ‘Giovani e Lavoro’

La scelta di dedicare una ricerca al tema ‘Giovani e Lavoro’ si basa su alcune considerazioni e dati di contesto:

la difficile situazione del mercato del lavoro italiano che nel caso dei giovani (15-29 anni) risulta ancor più critica con un tasso di disoccupazione al 20,5% che sale al 29,1% per la fascia di età 15-24 anni nell’anno 2011 (Rapporto annuale 2012, Istat);

il ‘paradosso’ del mercato del lavoro italiano che vede, pur in presenza di una disoccupazione elevata, il permanere di ‘mestieri trascurati’ (soprattutto con riferimento al lavoro manuale/artigianale) per i quali si registra una ‘cronica’ carenza di offerta di figure professionali;

il ruolo giocato dai genitori nell’influenzare le scelte di lavoro dei giovani, ruolo ancor più significativo nel nostro Paese come conseguenza della permanenza prolungata dei figli nella famiglia di origine.

Le caratteristiche del campione

Con riferimento alla situazione professionale, la maggior parte dei rispondenti ha già lavorato e, in particolare, quasi la metà dichiara di aver fatto dei lavori occasionali. Solo 1 giovane su 6 non ha mai avuto esperienze lavorative. Considerando la situazione attuale, la maggior parte del campione è ‘studente’ e tra gli studenti poco più di un quarto è nella condizione di ‘studente lavoratore’. Va altresì notato come 2 giovani su 10 non lavorino (fra chi non lavora sono compresi: disoccupati, in cerca di prima occupazione e NEET- Not in Education, Employment or Training).

Circa un terzo dei giovani dichiara di avere un contratto a tempo indeterminato, quasi la metà del campione è formato da chi ha una qualche forma contrattuale flessibile e da chi ha un contratto a tempo determinato.

Quanto i giovani sono soddisfatti del loro lavoro

Gli aspetti del lavoro per i quali i giovani italiani occupati si dimostrano più soddisfatti fanno riferimento alla sfera relazionale, legata ai rapporti interpersonali: il 78,3% colloca al primo posto per livello di soddisfazione il rapporto con i colleghi e quello con i capi (voto medio 7,1). Al secondo posto si trovano gli aspetti espressivi del lavoro, relativi all’auto-realizzazione, per i quali risultano soddisfatti il 53,9% dei rispondenti (voto medio 6,0). Il 55,1% si dichiara soddisfatto dagli aspetti strumentali vale a dire dalle condizioni oggettive del lavoro (voto medio 5,9). All’ultimo posto, ma comunque con una percentuale di poco inferiore, si collocano i fattori legati all’achievement inerenti il prestigio e la carriera per i quali si dichiara soddisfatto il 51,9% dei rispondenti (voto medio 5,8).

Le aspettative che i giovani italiani avevano prima di iniziare a lavorare risultano soddisfatte, attestandosi intorno a valori medio-bassi, con la sola eccezione della retribuzione dove prevalgono

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(46,6%) quelli che si aspettavano di più. La situazione più critica emerge per quanto riguarda la possibilità di fare carriera: la maggior parte del campione dichiara che le aspettative (basse) che aveva sono in linea con quanto trovato nella realtà.

Significativo appare il fatto che la maggioranza relativa dei giovani (41,8%) stia pensando di cambiare lavoro perché considera il lavoro che sta svolgendo come provvisorio.

IN ESTREMA SINTESI …

I giovani occupati sono soddisfatti del loro lavoro, anche se non si aspettano molto (soprattutto su carriera e retribuzione).

La soddisfazione è alta sulle relazioni con capi e colleghi, più bassa sulle condizioni di lavoro – ad esempio sicurezza del posto e retribuzione –, bassissima sulle possibilità di carriera.

Come e ‘con chi’ i giovani scelgono ‘cosa fare da grandi’ e cercano lavoro

I giovani sembrano non avere dubbi su chi conta quando si tratta di compiere scelte importanti: l’85,3% vede in se stesso l’attore principale nelle decisioni riguardanti la scelta del proprio percorso scolastico e lavorativo. Seguono, indicati da più della metà del campione (57,2%), i genitori, a conferma del ruolo importante giocato da quest’ultimi nell’influenzare le scelte significative dei propri figli.

Per capire cosa fare da grande, quasi due terzi dei giovani italiani riconosce l’importanza, da un lato, dei servizi forniti dalle scuole e università (65,4%) e, dall’altro, dello stage svolto in azienda durante il periodo scolastico (64,2%). Seguono i servizi atti a comprendere il funzionamento del mondo del lavoro nella duplice declinazione: ‘incontri per capire come funziona il mondo del lavoro e quali sono i lavori più richiesti’ (59,1%) e ‘informazioni specifiche sui diversi tipi di contratto per i giovani’ (58,4%). I genitori sembrano esprimere una maggiore fiducia verso gli strumenti di orientamento che ottengono, infatti, voti medi più alti di quelli dati dai giovani. Le aziende hanno un atteggiamento ancora più positivo di quello espresso dai genitori: tutti gli strumenti, ad eccezione dei test per capire quale è il lavoro migliore e dei consigli dei genitori, ricevono, infatti, un voto positivo. Interessante osservare che giovani, genitori e aziende collocano ai primi tre posti gli stessi strumenti ma le aziende esprimono una maggiore convinzione riguardo alla loro efficacia particolarmente evidente per quanto riguarda lo ‘stage in azienda durante il percorso scolastico’ (voto medio 8,9 aziende vs 6,2 giovani vs 6,8 genitori) e i ‘servizi di Scuole/Università’ (voto medio 8,2 aziende vs 6,2 giovani vs 6,4 genitori).

Il 79,1% del campione di giovani considera come strumento più efficace per trovare lavoro ‘chiedere l’aiuto di una persona potente’ e questo senza differenze di genere, area geografica, titolo di studio, tipologia contrattuale e condizione lavorativa. Al secondo posto, il 66,7% del campione indica come canale efficace ‘chiedere l’aiuto di parenti, amici e conoscenti’. Si posizionano tra il terzo e il quarto posto, con una percentuale tra il 61% e il 63%, gli strumenti che richiedono un comportamento proattivo nella ricerca del lavoro come ‘rispondere ad un annuncio, ‘scrivere direttamente all’azienda o inviare spontaneamente il curriculum’ e utilizzare siti internet specializzati. Da segnalare che il 55,5% del campione ritiene efficace avviare una propria attività. Tra i canali formali per la ricerca del lavoro, i giovani considerano più efficaci le agenzie del lavoro (51,2%) rispetto all’ufficio di collocamento/centri per l’impiego pubblici (40,7%). Contrariamente a quanto emerso per gli strumenti di orientamento, i genitori assegnano punteggi più bassi rispetto ai giovani a quasi tutti gli strumenti di ricerca del lavoro.

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Gli unici ‘aiuti’ che per i genitori meritano un voto superiore alla sufficienza sono chiedere l’’aiuto di una persona potente’ considerato, comunque, meno efficace rispetto ai giovani (voto medio 6,4 genitori vs 7,5 giovani) e ‘scrivere direttamente all’azienda o inviare spontaneamente il curriculum’ a cui i genitori attribuiscono una maggiore utilità rispetto ai giovani (voto medio 6,4 genitori vs 6,1 giovani). Sono soprattutto le aziende ad esprimere una maggiore fiducia verso gli strumenti che richiedono la messa in atto di comportamenti proattivi quali ‘rispondere ad un annuncio’ (voto medio 8,3 aziende vs 6,0 giovani vs 5,6 genitori), usare siti internet specializzati (voto medio 8,3 aziende vs 6,0 giovani vs 5,6 genitori), ‘cercare lavoro attraverso i social network’ (voto medio 7,4 aziende vs 4,2 giovani vs 4,3 genitori). Minore efficacia, al contrario, è assegnata dai referenti aziendali alle ‘reti informali’ quali ‘chiedere l’aiuto di una persona potente’ (voto medio 5,6 aziende vs 7,5 giovani vs 6,4 genitori) o di parenti, amici e conoscenti (voto medio 5,4 aziende vs 6,3 giovani vs 5,5 genitori) o dei genitori (voto medio 4,2 aziende vs 5,2 giovani vs 5,3 genitori). Rispetto agli attori di intermediazione le aziende riconoscono una maggiore importanza alle agenzie per il lavoro (voto medio 7,4 aziende vs 5,4 giovani vs 5,3 genitori) mentre perdono ulteriormente di efficacia gli uffici di collocamento/centri per l’impiego pubblici (voto medio 2,7 aziende vs 4,8 giovani vs 4,5 genitori). Le aziende, più dei giovani e dei genitori, riconoscono il ruolo positivo che scuola e università svolgono nell’intermediazione con il mercato del lavoro assegnando una efficacia maggiore sia ai loro servizi sia all’aiuto dei professori. Infine, può essere osservato che tutti i soggetti intervistati – imprese, genitori e giovani - concordano nel non ritenere efficace un atteggiamento di totale passività, collocando all’ultimo posto della classifica l’item ‘aspettare di essere chiamato per un’offerta di lavoro perché tutti gli altri strumenti non servono’.

IN ESTREMA SINTESI …

Le scelte professionali dei giovani sono il risultato di un lavoro di ‘squadra’: genitori, scuola/università ed eventuali stage (imprese) danno un contributo significativo.

Per trovare lavoro, i giovani ritengono importanti le ‘reti di conoscenze’; genitori e soprattutto imprese danno maggior peso a fattori più ‘formali’ come ad esempio annunci e siti internet specializzati.

I giovani sono disposti a trasferirsi per motivi di lavoro?

I giovani italiani dimostrano, anche, una grande apertura verso la mobilità geografica: circa l’85% si dichiara, infatti, disponibile a trasferirsi per motivi di lavoro. Più precisamente il 39,6% è disponibile ad una mobilità geografica interna, il 18,1% prende in considerazione l’ipotesi di trasferirsi in un Paese dell’Unione Europea e il 17,2% in un Paese extra-europeo economicamente sviluppato. Da segnalare, infine, che il 7,4% si dichiara disponibile a trasferirsi in un Paese in via di sviluppo (Africa, India, Cina, etc.). I genitori si dimostrano più propensi dei giovani a consigliare un trasferimento per lavoro (89,2% genitori vs 84,7% giovani) indicando, in termini di aree geografiche, con convinzione doppia rispetto ai giovani, un Paese dell’Unione Europea (34,9% genitori vs 18,1% giovani). I Paesi in via di sviluppo sono considerati ancor meno attrattivi: i genitori che consiglierebbero ai figli di trasferirsi in tali Paesi sono la metà dei giovani disposti a farlo (3,6% genitori vs 7,4% giovani). Rispetto ai tre target intervistati, le aziende sono decisamente più favorevoli alla mobilità geografica per motivi professionali: tutte, senza alcuna eccezione, consiglierebbero a un giovane di trasferirsi per motivi di lavoro. In termini di aree geografiche, la meta che raccoglie il maggior numero di consensi da parte dei referenti aziendali sono i Paesi extra-europei in via di sviluppo (43,3%), destinazione che registrava, come visto, il minor

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gradimento di giovani e genitori. Nessuna azienda, infine, consiglierebbe un trasferimento all’interno del nostro Paese.

IN ESTREMA SINTESI …

I giovani dichiarano di essere disposti a trasferirsi per motivi di lavoro e sono sostenuti in questo dai genitori.

Sulle destinazioni le divergenze sono alte: i giovani e i genitori scelgono l’Italia e l’Europa, le imprese consigliano i Paesi in via di sviluppo.

Il valore e il senso del lavoro

Nelle priorità di valore dei giovani italiani si conferma al vertice della gerarchia la sfera degli affetti, sfera che include prioritariamente famiglia e partner, segnalando una propensione verso una socialità che tende a non includere gli amici, posti comunque in posizione più importante rispetto al lavoro. In secondo ordine si pone la sfera del dovere nella declinazione di lavoro e studio. Segue quella del tempo libero che riceve un valore di poco inferiore alla sfera del dovere, confermando l’importanza attribuita dalle nuove generazioni al divertimento e alla molteplicità di interessi extra-lavorativi, senza tuttavia che trovi conferma lo stereotipo che dipinge i giovani come attenti solo al divertimento e focalizzati sul presente. Per i giovani italiani l’impegno sociale risulta ridimensionato nella sua importanza essendo le cose fondamentali sempre più legate alla sfera della socialità ristretta delle relazioni affettive.

Per i giovani il lavoro rappresenta soprattutto la possibilità di ‘portare a casa uno stipendio’ (41,7%) seguito in seconda battuta dall’’occasione di realizzazione personale’ (36,3%). Appare evidente da parte dei giovani la centratura del senso del lavoro attorno agli elementi strumentali. Da segnalare, in controtendenza, le donne, i laureati, i lavoratori autonomi e i giovani con un contratto flessibile che mettono al primo posto l’’occasione di realizzazione personale’ (43,7% donne, 42,6% laureati, 47,8% autonomo, 40,7% ‘flessibile’).

IN ESTREMA SINTESI …

Per i giovani il lavoro rimane importante, superato solo da una sfera degli affetti estremamente ristretta (famiglia e partner).

In questa situazione di crisi, i giovani lavorano ‘per portare a casa uno stipendio’ più che per realizzare se stessi.

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‘Il lavoro dei miei sogni’

Quando si immagina il lavoro dei sogni il 27,8% del campione pensa al settore pubblico che risulta, quindi, occupare il primo posto nella graduatoria del lavoro ideale dei giovani italiani. Seguono a pari merito la multinazionale (16,6%) e l‘avvio di una propria attività imprenditoriale (16,6%). Al terzo posto si colloca la libera professione (14,8%) seguita dalla grande impresa italiana (12,9%). Le piccole/medie imprese registrano una bassa preferenza (6,8%) così come il terzo settore (4,5%). I genitori fanno sogni diversi quando immaginano il lavoro ideale dei propri figli mettendo al primo posto l’impresa multinazionale (25,9% genitori vs 16,6% giovani). Inoltre, i genitori auspicherebbero meno dei giovani un lavoro imprenditoriale nella duplice declinazione di libero professionista e di imprenditore. Anche per i genitori la piccola/media impresa risulta poco attrattiva pur ricevendo una preferenza maggiore di quanto manifestato dai giovani (9,4% genitori vs 6,8% giovani). Il terzo settore è fanalino di coda per entrambi i campioni.

Pensando ai fattori importanti del lavoro, per i giovani contano in primo luogo gli aspetti relazionali (voto medio 7,9) e quelli strumentali legati alle condizioni oggettive (voto medio 7,8). Quando queste dimensioni sono soddisfatte, l’attenzione si pone sugli aspetti espressivi legati all’auto-realizzazione (voto medio 7,4). Minore importanza hanno, nelle preferenze dei giovani italiani, gli aspetti di achievement legati al prestigio della professione e alla carriera (voto medio 7,2), che quindi non hanno una grande presa sul nostro campione. Non stupisce il fatto che gli aspetti legati al bilanciamento tra lavoro e vita (work-life balance) occupino l’ultimo posto della classifica (voto medio 7,0): nell’attuale situazione di crisi, i giovani sono consapevoli che la preoccupazione di garantirsi un equilibrio tra i diversi ambiti della propria esistenza si pone solo dopo aver trovato un lavoro sicuro, ‘confortevole’ da un punto di vista delle relazioni interpersonali e, se possibile, coerente con i propri bisogni di auto-realizzazione. Nel dettaglio, quasi il 90% dei giovani ritiene che ai primi tre posti degli aspetti importanti del lavoro ci siano: la ‘sicurezza del posto di lavoro’ (voto medio 8,2), ‘fare cose che mi interessano’ (voto medio 8,1) e la ‘possibilità di migliorare sia la retribuzione/stipendio sia il tipo di lavoro’ (voto medio 8,0). Tra gli aspetti di achievement, i giovani sono più ‘sensibili’ alla possibilità di crescita professionale (voto medio 7,9) e alla ‘possibilità di fare carriera’ (voto medio 7,8), mentre minore importanza viene attribuita agli aspetti legati al prestigio ‘lavorare per un’azienda di successo’ (voto medio 6,7) e ‘fare un lavoro considerato importante dalla maggior parte delle persone’ (voto medio 6,2). Genitori e giovani risultano allineati rispetto all’ordine di importanza da dare ai diversi aspetti considerati: relazionali, strumentali, espressivi, di achievement e work-life balance. Escludendo i fattori legati al work–life balance, i genitori attribuiscono più importanza dei giovani a tutti gli aspetti, con particolare enfasi sugli aspetti espressivi del lavoro (voto medio 7,9 genitori vs 7,4 giovani) come ad esempio ‘fare cose che lo interessano’ (voto medio 8,7 genitori vs 8,1 giovani) o ‘fare il lavoro per cui ha studiato’ (voto medio 7,7 genitori vs 7,1 giovani). Da osservare, infine, come la sicurezza del posto di lavoro, pur importante, si collochi solo al terzo posto nelle preferenze dei genitori. Le aziende attribuiscono una minore importanza a tutti agli aspetti considerati e, in particolare, assegnano una valutazione insufficiente agli aspetti strumentali (voto medio 5,6 aziende vs 7,8 giovani vs 8,0 genitori) e a quelli di work-life balance (voto medio 4,1 aziende vs 7,0 giovani vs 6,8 genitori). Gli aspetti di achievement risultano più importanti per le aziende (voto medio 6,8) rispetto agli strumentali (voto medio 5,6). Questi ultimi si collocano infatti al penultimo posto, mentre per i giovani e i genitori si collocano, come visto, al secondo. Da segnalare che ‘la sicurezza del posto di lavoro‘ si colloca solo al 16° posto nelle risposte dei referenti aziendali con un voto insufficiente (voto medio 4,7 aziende vs 8,2 giovani vs 8,4 genitori).

La ricerca conferma lo stereotipo negativo nei confronti del lavoro manuale: la stragrande maggioranza dei giovani considera negativamente questa tipologia di occupazione che l’indagine associa ai seguenti

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aspetti: ‘lavorare con le mani’, ‘svolgere un lavoro dove posso creare con le mani qualcosa di tangibile’,‘svolgere un lavoro dove non ci sia bisogno di concentrarsi ma serva principalmente forza fisica’. Solo il 39,8% del campione, infatti, esprime un voto positivo (6 o più) relativamente a tali aspetti. Anche nel caso dei genitori e delle aziende pare confermato lo stereotipo negativo nei confronti di questa tipologia di attività, stereotipo che risulta radicato soprattutto nella percezione dei referenti aziendali che esprimono una propensione verso il lavoro manuale ancor più negativa rispetto a giovani e genitori (voto medio 3,3 aziende vs 5,2 giovani vs 5,0 genitori).

IN ESTREMA SINTESI …

Il lavoro ideale dei giovani è soprattutto nel settore pubblico; i genitori, invece, privilegiano la multinazionale e sconsigliano l’auto-imprenditorialità.

Le piccole e medie imprese sono poco ‘allettanti’ sia per i giovani che per i genitori.

Gli elementi chiave del lavoro ideale, per giovani e genitori, sono: buone relazioni, sicurezza del posto e contenuti interessanti; ‘crolla’ l’idea di giovane rampante.

Il lavoro manuale si conferma un ‘male necessario’.

Cosa è ritenuto importante per trovare lavoro e fare carriera

I giovani italiani considerano fattori meritocratici (voto medio 7,0) e non meritocratici (voto medio 7,1) ugualmente importanti per trovare lavoro. Quasi il 90% del campione crede che il fattore più importante sia la perseveranza (‘non arrendersi nella ricerca del lavoro’), aspetto che anche genitori e imprese collocano al primo posto nella loro classifica come ordine di importanza. I fattori che possono, nell’opinione dei giovani, aiutare ad accorciare i tempi o a rendere meno difficoltoso il cammino sono a pari merito (voto medio 7,7): la ‘fortuna’, le ‘raccomandazioni’, la ‘conoscenza di persone potenti’ e il ‘sapersi presentare bene’. Genitori e aziende, al contrario dei giovani, credono nel primato della meritocrazia collocando nella prima metà della loro classifica solo fattori meritocratici ad eccezione della ‘fortuna’ per quanto riguarda i genitori (unico fattore non meritocratico a posizionarsi tra i primi posti) e della ‘coerenza con i propri valori/non accettare compromessi’ per le aziende (unico fattore meritocratico collocato nella seconda metà della classifica). Rispetto ai giovani, i genitori e ancor più le aziende assegnano una minore importanza agli aiuti di natura relazionale quali ‘raccomandazioni’ (voto medio 5,2 aziende vs 7,7 giovani vs 6,5 genitori) e ‘conoscenza di persone potenti’ (voto medio 5,4 aziende vs 7,7 giovani vs 6,6 genitori). Da notare come, in termini di graduatoria, le ‘competenze’ siano considerate ‘centrali’ soprattutto dai genitori che le collocano al secondo posto della loro classifica, a differenza dei giovani che le posizionano al terzo e ancor più dei referenti aziendali che le considerano solo al quinto posto. Appare interessante notare, inoltre, il maggior peso - rispetto a giovani e aziende – che i genitori assegnano alla ‘creatività’ (voto medio 7,7 genitori vs 6,7 giovani vs 7,2 aziende) e alla coerenza rispetto ai propri valori (voto medio 7,4 genitori vs 6,0 giovani vs 6,0 aziende). Genitori e aziende dimostrano, infine, di credere nell’importanza di ‘disporre di un titolo di studio adeguato’ più di quanto non facciano i giovani (voto medio 7,0 giovani vs 8,0 genitori vs 8,3 aziende).

I giovani italiani considerano fattori meritocratici (voto medio 7,1) e non meritocratici (voto medio 7,0) sostanzialmente di uguale importanza anche per fare carriera e mettono al primo posto, a pari merito (voto medio 7,6): le ‘raccomandazioni’, la ‘disponibilità a lavorare molto’ e la ‘fortuna’, seguiti da ‘competenze’, aggiornarsi e ‘sapersi presentare bene’ (voto medio 7,5 a pari merito). Anche in questo

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caso le rappresentazioni dei genitori e delle aziende divergono significativamente da quelle dei giovani affermando nuovamente il primato dei fattori meritocratici (voto medio 7,8 genitori e 7,9 aziende) su quelli non meritocratici (voto medio 6,4 genitori e 4,6 aziende). Sono soprattutto i referenti aziendali ad esprimere con convinzione questa preferenza tanto da assegnare punteggi negativi a tutti gli item non meritocratici, con la sola eccezione di ’saper cogliere le occasioni senza preoccuparsi troppo dei colleghi’ (voto medio 6,5 aziende vs 7,2 giovani vs 6,6 genitori). Genitori e aziende credono in primo luogo nell’importanza delle ‘competenze’ (voto medio 7,5 giovani vs 8,3 genitori vs 8,8 aziende) e nell’aggiornamento continuo (voto medio 7,5 giovani vs 8,3 genitori vs 9,2 aziende). I referenti aziendali enfatizzano, soprattutto rispetto ai giovani, l’importanza della disponibilità a trasferirsi per motivi di lavoro. Genitori e aziende assegnano una minore importanza ai fattori non meritocratici per fare carriera credendo meno rispetto ai giovani a fattori quali ‘raccomandazioni’ (voto medio 7,6 giovani vs 6,5 genitori vs 4,5 aziende), ‘stare per tanti anni nella stessa impresa’ (voto medio 6,5 giovani vs 6,3 genitori vs 4,0 aziende), ‘dire sempre di sì ai capi’ (voto medio 6,5 giovani vs 5,4 genitori vs 4,2 aziende) e ‘famiglia benestante’ (voto medio 6,5 giovani vs 5,6 genitori vs 3,3 aziende).

IN ESTREMA SINTESI …

Per trovare lavoro e fare carriera, genitori e imprese credono nel merito; i giovani considerano altrettanto importanti ‘fortuna’ e ‘conoscenze’.

L’apprendistato: vincolo o opportunità?

Sul tema dell’apprendistato è possibile individuare un atteggiamento di apertura da parte dei giovani che sono propensi a riconoscerne l’utilità per migliorare la propria professionalità. Infatti, ben il 74,2% valuta positivamente la possibilità di lavorare per 2 o 3 anni con uno stipendio ridotto a fronte della possibilità di migliorare le proprie competenze. Questa positività sembra, tuttavia, essere accompagnata anche da un sentimento di diffidenza verso le modalità concrete di utilizzo da parte delle imprese. La maggior parte dei giovani sembra essere poco fiduciosa riguardo alla possibilità di essere assunti una volta terminato il periodo di apprendistato: il 63,3% del campione crede, infatti, che le aziende assumano meno della metà degli apprendisti. I genitori sono perfettamente allineati con i giovani quando pensano all’apprendistato: ne riconoscono l’utilità per migliorare le competenze con ancor maggior convinzione di quanto non facciano i giovani ma al contempo esprimono gli stessi dubbi sull’effettivo utilizzo da parte delle imprese riguardo la possibilità che il contratto di apprendistato si trasformi in un’assunzione a tempo indeterminato.

IN ESTREMA SINTESI …

Genitori e giovani vedono nell’apprendistato un’opportunità per entrare nel mercato del lavoro; al contrario delle imprese non credono rappresenti un primo step verso il contratto indeterminato.

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L’identikit del giovane italiano

Il giovane italiano che la ricerca fotografa sente su di sé il peso dell’attuale situazione economica e sociale, vive in un contesto di crisi, caratterizzato da lavori temporanei e precari, da elevati tassi di disoccupazione, dalla difficoltà di garantirsi, per la prima volta dopo molti anni, prospettive di benessere superiori rispetto a quelle della generazione precedente. È figlio di una situazione sociale in cui le principali Istituzioni (Scuola, Famiglia e Chiesa) hanno perso parte della loro legittimazione.

In questo contesto fluido caratterizzato dall’instabilità e dall’apparente mancanza di punti fermi, la strategia di sopravvivenza adottata dal giovane italiano è quella del rifugio nella sfera degli affetti, in quanto dimensione conosciuta e sicura. La sua è una socialità ristretta che include prioritariamente famiglia e partner (le amicizie, a differenza di quanto accadeva nel recente passato, seppur importanti sono ‘fuori’ da questo primo anello dei relazioni).

Per il giovane italiano il lavoro rimane un valore che sta assumendo sempre più le caratteristiche di un ‘bene prezioso’ - in quanto a rischio e scarsamente disponibile - tanto da prendere in considerazione la possibilità di sacrificare aspetti ritenuti fino a pochi anni fa irrinunciabili. I giovani lavorano, in questa situazione di crisi, ‘per portare a casa uno stipendio’ più che per realizzare se stessi.

Il giovane italiano è poco ‘rampante’, dimostra una bassa sensibilità per gli aspetti legati al prestigio della professione ed è meno attento, rispetto al passato, al bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro (work-life balance). E’ molto pragmatico, la sua priorità è trovare un lavoro possibilmente sicuro, dove i rapporti con colleghi e capi siano buoni e dove ci sia la possibilità di fare cose interessanti.

Vorrebbe lavorare nel settore pubblico, che con ogni probabilità associa all’idea di un posto sicuro e con stipendio garantito, disdegna le piccole e medie imprese che vede come poco allettanti. Per lo stesso motivo considera il lavoro manuale come un male necessario che è disposto ad accettare solo a fronte di un adeguato stipendio e per un periodo di tempo limitato. Il giovane italiano sembra avere una visione piuttosto stereotipata del mondo del lavoro, rischiando così di incorrere in possibili delusioni e di perdere occasioni importanti da un punto di vista lavorativo (basti pensare al fatto che le piccole/medie imprese rappresentano la maggioranza numerica del tessuto imprenditoriale italiano e che in relazione ad alcuni mestieri si registra una cronica mancanza di offerta di figure professionali). Purtroppo su questi aspetti, genitori, imprese e scuole/università sembrano rafforzare nei giovani stereotipi e rappresentazioni non sempre corrispondenti alla realtà delle cose.

Per capire come orientarsi nel mondo del lavoro il giovane italiano si affida ai genitori, che confermano il loro ruolo di figura guida, ai servizi di scuole/università e agli stage svolti in azienda. Riconosce l’importanza di dedicare tempo e attenzione per raccogliere informazioni sui lavori più richiesti e sui diversi tipi di contratto. Non a caso la maggioranza dei giovani italiani dichiara, ad esempio, di conoscere l’apprendistato, esprime un’opinione, da un lato, positiva riconoscendone il valore in termini di crescita professionale e, dall’altro, critica dubitando che esso rappresenti il primo step verso il contratto indeterminato. Alcuni dei suoi bisogni di orientamento rimangono insoddisfatti, segnalando a chi ricopre un ruolo di intermediazione la necessità di investire risorse per progettare servizi in grado di accompagnarlo nell’ingresso nel mercato del lavoro.

Il giovane italiano sembra avere perso l’approccio ottimista nei confronti del futuro basato principalmente sulla speranza di vedere ripagato l’impegno messo nello studio: all’acquisizione/aggiornamento delle competenze come fattore critico per trovare lavoro e fare carriera attribuisce più efficacia alla fortuna, alle ‘reti di conoscenze’ e ai legami fiduciari. Se genitori e imprese dichiarano di continuare a credere nel primato della meritocrazia dimostrando, quindi, un atteggiamento di fiducia nei confronti dei meccanismi che regolano il funzionamento del mercato del

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lavoro, il giovane italiano appare piuttosto disincantato e propenso ad accettare la realtà per come (probabilmente) è senza farsi troppe illusioni. In questo scenario la risorsa personale che sembra contare è la forza di volontà intesa come perseveranza nella ricerca del lavoro e disponibilità a lavorare molto per fare carriera.

L’identikit del giovane italiano che emerge dalla ricerca è ben lontano dallo stereotipo che descrive le nuove generazioni come attente solo al presente, incapaci di fare progetti di lungo respiro e interessate solo allo svago e al divertimento. È un giovane pragmatico, realista, con preoccupazioni concrete rispetto al lavoro, poco fiducioso rispetto al mondo del lavoro e ai suoi meccanismi di funzionamento. Sembra essere più ‘vecchio’ dei suoi genitori, che invece sono ancora capaci di slanci positivi se pensano al lavoro dei loro figli, quasi a segnalare che la ‘pesantezza’ dell’attuale situazione di crisi abbia minato la capacità e il desiderio, tipicamente associati a chi è giovane, di ‘volare alto’ e di porsi mete personali e professionali ambiziose.

L’utilità dell’indagine

Le evidenze emerse possono fornire spunti interessanti ai giovani che desiderano scoprire il mondo del lavoro partendo dal proprio punto di vista e da quello dei loro coetanei. Alcuni dati possono risultare utili a coloro che, a vario titolo, svolgono un ruolo di intermediazione tra scuola e lavoro, soprattutto con riferimento ai servizi di orientamento che i giovani ritengono importanti e rispetto ai quali manifestano bisogni al momento non soddisfatti. I risultati potrebbero, infine, essere interessanti per le imprese in termini di ripensamento delle logiche di reclutamento/selezione e messa a punto di politiche di gestione per i giovani che presentano modi diversi di intendere il lavoro rispetto alle generazioni precedenti.