I FILOSOFIA DEL DIRITTO -...

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INSEGNAMENTO DI: F FILOSOFIA DEL DIRITTO “IL POSITIVISMO GIURIDICO TRA GIUSPOSITIVISMO CLASSICO E GIUSPOSITIVISMO LOGICOPROF. FRANCESCO PETRILLO

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Università Telematica Pegaso Il positivismo giuridico tra giuspositivismo classico e giuspositivismo logico

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 IL POSITIVISMO GIURIDICO TRA GIUSPOSITIVISMO CLASSICO E GIUSPOSITIVISMO LOGICO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3

BIBLIOGRAFIA MINIMA: -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Il positivismo giuridico tra giuspositivismo classico e giuspositivismo logico

Dalla concezione giuscontrattualistica, in particolare con Thomas Hobbes, si ha la nascita

del giuspositivismo ideologico.

Una prima distinzione che è opportuno fare attiene alla differenza tra positivismo classico

risalente al 1600-1700 ed il più recente positivismo logico, teorizzato a partire dal 1700.

Il positivismo classico, figlio del giuscontrattualismo, si fondava essenzialmente sulla legge

emanata dal sovrano come un comando, ovvero come un suo atto di volontà. Tutto lo studio della

legge è incentrato sulla volontà sovrana, l’unica in grado di poter legiferare. Il diritto si riduce alla

sola legge sovrana, la quale trova il fondamento della sua esistenza nella sola volontà del sovrano.

Con il positivismo logico, invece, la legge si distacca dalla volontà sovrana e continua ad

esistere nel tempo a prescindere dall’esistenza di colui che l’ha posta in essere fino a quando non

verrà formalmente abrogata da un’altra norma successiva. Questo ci fa capire il perché, nel nostro

ordinamento giuridico, sono ancora vigenti alcuni regi decreti che non sono stati mai abrogati da

norme successive. Nel positivismo logico non si studia la volontà del sovrano ma quella della legge,

intesa, quest’ultima, non come potenza assoluta, ma come potenza ordinata, nascendo da un ordine

razionale che ha permesso al legislatore di legiferare. Le legge diventa la premessa di un

ragionamento logico. E riguarda un approccio meramente conoscitivo.

I presupposti cardine del positivismo giuridico si identificano nella coattività ed imperatività

dell’ordinamento giuridico, nella sua completezza, nella sua coerenza e nella sua autointegrazione

tramite la legge stessa. Inoltre altri presupposti cardine del positivismo giuridico concernono il

principio di avalutatività della norma giuridica ed infine la subordinazione del giudice alla legge

emanata dal legislatore.

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Per unità si intende che nell’ordinamento giuridico l’unica fonte del diritto è la legge che ha

un unico legislatore, il quale dovrà emanare poche leggi chiare nel suo contenuto per riuscire ad

ottenere la certezza del diritto e sottrarre ogni possibile discrezionalità del giudice nello scegliere

quale legge applicare. Secondo i miti della rivoluzione francese il giudice doveva essere un mero

applicatore della legge senza avere nessuna possibilità di creare nuovo diritto (diveniva: la bocca

della legge).

La coattività ci permette di distinguere le norme giuridiche dalle norme morali e dalle norme

divine.

Le norme morali contengono dei precetti che, se non rispettati, portano ad una punizione

endoattiva, ovvero ad un rammaricarsi dall’interno del soggetto stesso.

Le norme divine invece hanno delle sanzioni metafisiche, cioè punizioni che si sconteranno

in un’altra vita non terrena.

La norma giuridica, infine, contiene una precetto che se non viene rispettato comporta una

sanzione che verrà imposta con la forza coattiva dell’ordinamento giuridico. Il concetto di coazione

si lega fortemente al concetto d’imperatività, desunto in maniera differente a seconda dell’epoca del

positivismo classico, logico, o del periodo del normativismo kelseniano.

Nel positivismo classico la norma era vista come un imperativo indicativo emanato dal

sovrano sotto forma di comando, come ad esempio: non uccidere, non rubare, non

oltrepassare…ecc. La norma quindi assumeva la seguente struttura: chi uccide è punito, hai ucciso

sarai punito.

Con il positivismo logico, tra il XVII e il XVIII sec., la norma esiste a prescindere da chi

l’ha emanata e si pone come un dogma imperativo: non devi uccidere, non devi rubare e, quindi, se

uccidi dovrai essere punito. Nel XX sec., secondo la concezione normativistica, la norma,

considerata da Hans Kelsen come un “dover essere”, diventa un imperativo ipotetico, ovvero si

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traduce in un giudizio ipotetico: se tu non vuoi essere punito, allora non devi uccidere e quindi, sei

punito con la pena di 30 anni se uccidi. Possiamo subito notare come Kelsen, nella struttura della

norma, preferirà anteporre la sanzione (sei punito..) alla parte descrittiva del fatto (se uccidi),

proprio per escludere dalla norma il principio naturale di casualità ed effetto, tematica di cui

parleremo, con un maggiore approfondimento, successivamente.

Per il normativismo kelseniano quando accade un fatto, esso è già disciplinato in qualche

norma

e quindi le norme vengono create prima dei fatti. Quando un cliente si reca dall’avvocato per

raccontargli l’accaduto, quest’ultimo, attraverso un codice, saprà già ricondurre quel fatto ad una

norma. Un famoso giurista italiano, Giuseppe Capograssi, non a caso, si chiese come fosse possibile

che la norma potesse creare il fatto, prima che il fatto facesse nascere l’esigenza del diritto.

Per completezza ordinamentale si intende la mancanza di lacune nell’ordinamento giuridico,

ovvero nel positivismo classico il sovrano legislatore doveva prevedere tutti i casi possibili e nel

positivismo logico erano le norme che dovevano prevedere tutti i fatti da regolare. Questa

concezione della completezza resta solamente un mito, nonostante tre teorie giustificative tentino

ostinatamente di dimostrare la completezza dell’ordinamento giuridico.

Per la teoria della norma generale inclusiva, attribuibile a Ernst Zitelmann tutto ciò che non

è previsto dall’ordinamento giuridico è da considerare come illecito; per la teoria della norma

generale esclusiva, attribuibile a Donato Donati, bisogna considerare leciti tutti quei fatti non

previsti dalla legge e, infine, secondo la teoria dello spazio giuridico vuoto, elaborata da Santi

Romano, sono irrilevanti per il diritto tutti i fatti non previsti espressamente dall’ordinamento

giuridico.

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La completezza dell’ordinamento giuridico si garantisce anche, extrema ratio, tramite

l’analogia della legge che, come vedremo tra poco, è considerata una valvola di chiusura del

sistema logico-analitco.

Per coerenza dell’ordinamento giuridico si intende l’assenza di antinomie tra le norme,

ovvero l’assenza di due norme in contrasto tra loro che regolino lo stesso fatto. Secondo la

concezione classica di Norberto Bobbio, due norme contrastanti non possono essere entrambe

valide e quindi entrambe giuste. La norma valida da applicare sarà anche la norma giusta. Bobbio

collega la concezione avalutativa della legge alla sola validità formale, in quanto una legge non è

giusta per il suo contenuto, ma per la sua validità.

Nel caso ci fossero delle antinomie, per desumere la norma valida, i positivisti hanno

pensato a dei criteri concernenti la gerarchia (la norma superiore prevale su quella inferiore), la

cronologia (viene applicata la norma più antica), la specialità (prevale la norma che regola il fatto

in via peculiare e speciale).

Con il positivismo logico, il diritto diventa una gnoseologia che ha la necessità di avere una

propria verificabilità oggettiva in grado di dare certezza alle leggi. A partire da Cartesio, tutto ciò

che accade in natura può diventare scienza grazie alla ripetitività del fenomeno naturale,

permettendo di desumere dalla natura leggi certe e verificabili, come ad esempio la legge sul moto.

Anche la scienza umana giuridica positivista voleva acquisire un metodo che le permettesse

di distinguere tutto ciò che appartiene al diritto da ciò che appartiene al mondo fattuale della natura.

Per capire il perché il giudice possa applicare ed interpretare la legge come se fosse un

dogma assoluto che esiste a prescindere da colui che l’ha posta in essere, ovvero il legislatore,

bisogna inoltrarci nel pensiero di Goffredo Leibnitz (1646-1716), noto filosofo del XVII sec., il

quale riteneva che anche il mondo giuridico, come il mondo umano, potesse essere fatto rientrare in

un sistema logico matematico assiomatico. Secondo Leibnitz bisogna quindi distaccarci dalla logica

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identitaria di Aristotele, per la quale una premessa logica era valida se poteva essere fatta valere

nella natura, ovvero se essa fosse riscontrabile nel mondo naturale. L’esempio classico è il

seguente: “tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo e quindi Socrate è un mortale”, dove il

ragionamento qualitativo logico deve corrispondere al principio quantitativo naturale.

Per Leibniz, invece, la premessa maggiore “alfa” di una norma è valida sempre a

prescindere dalla natura, permettendo al giudice di effettuare un ragionamento - sillogismo – in

grado di condurre ad un argomento (risultato del ragionamento) valido, ovvero ad un risultato

logico giusto nonostante la premessa maggiore “alfa” non sia verificabile in natura, ma solamente

proposta come astrazione del pensiero. Ad esempio io potrò ragionare validamente su norme che

hanno come premessa maggiore un extraterrestre immaginario che potrebbe atterrare sul tetto di una

casa. La norma che punisce l’extraterrestre che atterra sul tetto della casa è sempre valida a

prescindere dall’ipotesi che il fatto si realizzerà o meno. Come successivamente ci spiegherà Hans

Kelsen, la norma già esiste, come premessa valida, prima che il fatto si possa realizzare, in quanto il

fatto non è mai causa naturale della norma. Questa metalogica applicata alle norme, comporta la

piena avalutatività di queste ulotime, ossia i loro contenuti non potranno mai essere messi in

discussione tramite un rapporto con il mondo naturale e fattuale, cosicché il giudice dovrà solo

imputare il fatto alla norma in maniera automatica, tramite la sussunzione logica, senza

preoccuparsi della veridicità naturale della norma e senza poter influire sulla creazione del diritto

che ha come unica fonte la stessa legge scritta.

Naturalmente, anche se la norma è avalutativa, astratta e non necessariamente riscontrabile

in natura, una volta applicata dal giudice, inciderà profondamente con effetti concreti e reali sulla

vita di un individuo. Questa questione aprirà le porte ai nuovi giusnaturalismi della fine del XX

secolo.

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Bibliografia minima:

• AA.VV. , Filosofia del diritto. Concetti fondamentali, a cura di POMARICI ULDERICO,

Giappichelli, Torino, 2007.

• BARBERIS, MAURO, Giuristi e filosofi. Una storia della filosofia del diritto, il Mulino,

Bologna, 2011.

• BOBBIO, NORBERTO, Il positivismo giuridico. Lezioni di filosofia del diritto,

Giappichelli, Torino, 1979. Ristampa Giappichelli, Torino, 2010.

• D’AGOSTINO, FRANCESCO, Lezioni di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2006.

• FASSO’, GUIDO, Storia della filosofia del diritto, voll. II-III, Laterza, Roma-Bari, 2003-

2006.