I Filarmonici di Roma Uto Ughi, direttore e · PDF file · 2015-08-14per violino e...

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sabato 25 settembre 2004 ore 21 Teatro Baretti MONDOVÌ I Filarmonici di Roma Uto Ughi, direttore e violino In collaborazione con il Comune di Mondovì FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI CUNEO

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sabato 25 settembre 2004ore 21

Teatro BarettiMONDOVÌ

I Filarmonici di RomaUto Ughi, direttore e violino

In collaborazione conil Comune di Mondovì

FONDAZIONECASSA DI RISPARMIODI CUNEO

Johann Sebastian Bach(1685-1750)

Concerto in la minore per violino,archi e continuo BWV 1041

[senza indicazione di tempo]andanteallegro assai

Wolfgang Amadeus Mozart(1756-1791)

Concerto in sol maggiore per violino e orchestra K. 216

allegroadagiorondò - allegro

Niccolò Paganini(1782-1840)

Quarto Concerto in re minore per violino e orchestra

allegro maestosoadagio flebile con sentimentorondò galante - andantino gaio

I Filarmonici di RomaUto Ughi, direttore e violino

L’Orchestra da camera I Filarmonici di Roma (già Orche-stra da camera di Santa Cecilia), sorta per iniziativa di alcunicomponenti dell’organico orchestrale dell’Ente Ceciliano, findal suo apparire ha riscosso i più ampi consensi di critica edi pubblico. Ha tenuto concerti sotto la direzione, fra gli altri,di Wolfgang Sawallisch, Carlo Zecchi e Yehudi Menuhin econ solisti come Milstein, Menuhin, Stefanato, Asciolla, Cam-panella, Vasary, Gazzelloni, Szeryng, Rostropovic, suonandoin varie formazioni secondo le necessità di un repertorio assaivasto che spazia dalla musica barocca a quella contempora-nea: attualmente svolge un’intensa attività con Uto Ughi investe di solista e direttore. Molti concerti sono stati trasmessidalla televisione italiana e in mondovisione e ha effettuatonumerose incisioni discografiche. A Venezia ha partecipatoalla manifestazione per il centenario della nascita di Respighi,al Festival “Omaggio a Venezia” in onore di Arthur Rubinsteine al premio “Una vita per la musica” in onore di Carlo MariaGiulini. Inserito nelle stagioni ufficiali dell’Accademia Nazio-nale di Santa Cecilia, il complesso collabora con le più impor-tanti società concertistiche prendendo parte anche a inizia-tive di alto senso umanitario promosse da Amnesty Interna-tional, dall’Associazione per la Ricerca sul Cancro, da MadreTeresa di Calcutta, dalla FAO. L’Orchestra ha effettuato di-verse tournée all’estero: particolarmente significative quellea Beirut, in occasione dei festeggiamenti per il cinquante-simo anniversario della liberazione del Libano e in India conUto Ughi su invito del Ministero degli Esteri italiano, per il50° anniversario dell’indipendenza del Paese. Ha ricevutonumerosi premi, fra cui il Premio “Caelsia” per l’arte e la cul-tura, ed è stata insignita di medaglia d’oro in Campidoglioe di una targa del Parlamento Europeo che dice testualmente:«All’Orchestra I Filarmonici di Roma che ha elevato ai mas-simi livelli l’espressione della musica italiana nel mondointero».

Uto Ughi ha mostrato uno straordinario talento sin dalla primainfanzia: all’età di sette anni si è esibito per la prima volta inpubblico eseguendo la Ciaccona dalla Partita n. 2 di J.S. Bache alcuni Capricci di Paganini. Ha compiuto gli studi sotto laguida di George Enescu, già maestro di Yehudi Menuhin.Autentico erede della tradizione violinistica italiana, ha iniziatole sue grandi tournée esibendosi nelle più importanti capitalieuropee. Ha suonato in tutto il mondo nei principali festivale con le più prestigiose orchestre sinfoniche tra cui Concert-gebouw Amsterdam, Boston Symphony Orchestra, New YorkPhilharmonic, Philadelphia Orchestra, Washington Symphony

Orchestra sotto la direzione di maestri quali Sargent, Celibi-dache, Colin Davis, Leitner, Rostropovic, Sinopoli, Sawallisch,Mehta, Masur, Barbirolli, Cluytens, Chung, Maazel.Considerato tra i maggiori violinisti del nostro tempo, UtoUghi non limita i suoi interessi alla sola musica, ma è in primalinea nella vita sociale del Paese e il suo impegno è volto so-prattutto alla salvaguardia del patrimonio artistico nazionale.In quest’ottica ha fondato il Festival “Omaggio a Venezia” alfine di segnalare e raccogliere fondi per il restauro dei monu-menti storici della città lagunare. Nel 1997 il Presidente dellaRepubblica Oscar Luigi Scalfaro gli ha conferito l’onorificenzadi Cavaliere di Gran Croce per i suoi meriti artistici. Nel 2002ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Scienza delle Comu-nicazioni. Intensa è l’attività discografica con le Sonate e Par-tite per violino solo di Bach, i concerti di Beethoven e Brahmscon Sawallisch, il Concerto di Cajkovskij con Sanderling, iconcerti di Mendelssohn e Bruch con Prêtre, il Concerto diDvorák con Slatkin e con la Philharmonia di Londra, le sonatedi Beethoven con Lamar Crowson e alcune sonate di Beetho-ven e Schumann con Sawallisch al pianoforte. Nella veste didirettore-solista ha inciso l’integrale dei concerti di Mozart, iconcerti di Viotti e Vivaldi e i concerti n. 1, 2 e 4 di Paga-nini. Ha registrato Il trillo del Diavolo, un disco live con i piùimportanti pezzi virtuosistici per violino, il concerto di Schu-mann diretto da Sawallisch con la Bayerischen RundfunksOrchestra e alcuni concerti di Vivaldi per i Filarmonici diRoma.Uto Ughi suona con un violino Guarneri del Gesù del 1744,strumento dal suono caldo e dal timbro scuro, e con uno Stra-divari del 1701 denominato “Kreutzer”, in quanto appartenutoall’omonimo violinista cui Beethoven dedicò la famosa sonata.

Per lungo tempo inserito nella fitta messe di concerti perstrumento solista e per gruppi di strumenti compiuti

intorno al 1720 a Cöthen (tra cui figurano gli indimentica-bili Brandeburghesi), il Concerto in la minore appartieneverosimilmente alla fase precedente della carriera bachiana,il cosiddetto periodo di Weimar, e va dunque retrodatatodi almeno qualche anno. Oltre alla necessità di alleggerirel’enorme catalogo dei primi anni di Cöthen che, al limitedel prodigioso, sconfinerebbe nell’improbabile, sono soprat-tutto alcuni elementi stilistici che inducono a inquadrare illavoro nei canoni di una ripresa dei modelli concertistici diderivazione italiana più che nella furia innovatrice e speri-mentatrice che contraddistingue la successiva insonne fasecreativa. Non si tratta qui ancora, cioè, di veleggiare versole grandi conquiste che, ad esempio, renderanno il solistaconcertatore un virtuoso di serio calibro con una propriaspiccata autonomia, o che emanciperanno il clavicembalodal suo ruolo gregario per promuoverlo a quel protagoni-smo che inaugurerà in pochi decenni nientemeno che lagrande stagione del concerto solistico per pianoforte, o cheancora eleveranno la cadenza finale dei movimenti da con-certo da vetrina esibizionistica del solista a momento costrut-tivo della forma complessiva del brano. Ci troviamo piutto-sto, al solito, di fronte a un lavoro di perfetta fattura e diassoluto equilibrio, che sa assumere in modo originale latradizione italiana smussandone le spigolosità e i tagli for-mali troppo netti verso una maggiore fluidità e ampiezza didisegno. La retrodatazione, inoltre, benché difficilmentequantificabile, permette di avvicinare la composizione dellavoro alla giovinezza di Bach, quando ancora la padro-nanza organistica non aveva considerevolmente sopravan-zato la perizia sul violino che, ci assicura il figlio Carl Phi-lipp Emanuel in una lettera a Forkel, egli suonava «in modopuro e penetrante».In questi albori del concerto solista e, in ogni caso, nellaproduzione bachiana in genere, siamo ancora lontani dalrispetto di forme consolidate e dal bitematismo a cui ci abi-tuerà il classicismo. Anzi, il concerto solista, che nella moder-nità avanzata (e così è ancora per noi) verrà classificato comeun grande genere “per orchestra”, veniva classificato all’e-poca come “musica da camera”, poiché il criterio era quellodell’autonomia e della completezza della scrittura delle partistrumentali e non, come più di recente, le dimensioni del-l’organico e la necessità o meno di avere un direttore. Eccoperché nel primo movimento non si trova una vera e pro-pria esposizione bitematica, ma piuttosto un dialogo tra l’or-chestra e il solista su due idee melodiche, entrambe nella

tonalità d’impianto, che inizialmente appartengono in mododistinto ai due ruoli concertanti e solo nel vario percorso diprogressioni e modulazioni che segue raggiungono politonali diversi, si invertono scambiandosi i ruoli, si estendonoe si sviluppano in un ricco ordito nel quale la fluida canta-bilità fa sempre a gara con un implacabile rigore ritmico. Ilsecondo movimento, l’andante, sviluppa una vena più lirica,totalmente affidata al solista. L’orchestra è posta sullo sfondo,ma l’ostinato ritmico e l’immobilità pedalizzante che la con-traddistinguono le conferiscono l’ampiezza di cui ha biso-gno per sorreggere il libero canto del violino solo. L’allegroassai che conclude il concerto presenta un’ampia gamma disoluzioni nella distribuzione dei ruoli. La separazione tra tuttie solo viene addirittura abolita nelle esposizioni dell’ideatematica principale, dove il violino solista raddoppia i primiviolini dell’orchestra, a favore di una dialogicità più internaall’orchestra stessa che lascia spazio a esposizioni tematichedei secondi violini e delle viole, con un effetto di intensointreccio polifonico. A questa intensità si contrappongono esi alternano zone più scariche e aeree dove il solista ha lospazio che gli compete e l’orchestra realizza misurate inter-punzioni tra piccoli spunti tematici. Alcuni spunti virtuosi-stici accendono un poco il finale, realizzato ancora in unconcorde “tutti”.

Nel marzo 1775 il diciannovenne Mozart rientra a Salisburgodopo un soggiorno di tre mesi a Monaco, dove era stata rap-presentata, su invito del principe di Sassonia, La finta sem-plice. Oltre a un notevole successo, egli porta a casa un baga-glio di esperienze musicali assai varie e stimolanti, tra cuil’influsso di quel gusto francese, allora diffuso nella capitalebavarese, che sapeva comunicare una radiosità galante e raf-finata assolutamente aliena da ogni piglio troppo serioso eda ogni esternazione virtuosistica. Appena rientrato nella cittànatale, Mozart riceve dall’arcivescovo suo datore di lavoro lacommissione di un’opera in due atti su libretto di Metasta-sio, Il re pastore, la solita favola bucolica di stampo allego-rico che doveva dare lustro alla corte salisburghese in occa-sione della visita del principe elettore di Colonia di lì a pochesettimane. Ed è proprio un brano di quest’opera, l’aria diAminta L’amerò, sarò costante, a proporre il tema musicaleche verrà di lì a poco impiegato come tema principale delprimo tempo di questo solare e vitale Concerto in sol perviolino. Mancano ancora un paio d’anni al drammatico (mavoluto e provocato) licenziamento che porterà Mozart lon-

tano da Salisburgo, dalla protezione asfissiante dell’arcive-scovo e dalla onnipresente tutela del padre Leopoldo. Quelloche troviamo in queste pagine è già un superbo musicista disicuro talento, che però, per così dire, si sta ancora guar-dando intorno, raccogliendo gli stimoli del suo tempo e guar-dando ancora sempre ai grandi modelli barocchi prima diaffrontare l’avventura della propria maturità artistica nellacosmopolita Vienna. Il genio si muove, qui, entro dei limitiquasi visibili: una forma sonata ancora embrionale, un gustodei contrasti ancora prudente, un’espressività leggerissimache sembra non voler ancora mettere i piedi per terra e spor-carsi le mani. È già del tutto sviluppata, invece, la facondiadello stile, quell’incontenibile fiume di idee a profusione chesi inanellano con la più naturale (apparente) semplicità,ancora oggi enigma dell’invenzione spiegabile forse solo conil tocco della grazia. Ed è già completamente maturata, losappiamo a posteriori, quella diffidenza nei confronti deglieccessi tecnici dei virtuosi che informerà tutta la produzionesolistica, fino ai lavori più maturi, come grande lezione dimisura e di stile.L’esposizione dell’allegro è per molti versi più vicina allaforma del concerto barocco che alla forma sonata maturadel periodo viennese. I materiali tematici principali, infatti,non vengono esposti completamente prima dell’ingresso delsolista, ma si ascoltano solo il primo tema e alcune ideeconnettive che verranno riprese più avanti come elementidi snodo formale. Il secondo tema, inoltre, ha una vitalitàpiù ritmica che melodica e non cerca alcun contrasto conla consequenzialità del discorso musicale, che si frange solo,a tratti, con gli inserti in minore dello sviluppo. L’aspettoinnovativo è invece che compaiono materiali dedicati, cioèidee musicali che propone solo il violino e che l’orchestranon riprende mai e viceversa, come ad esempio la rispostaal tema principale proposta dal solista. Questo gioco inven-tivo aiuta moltissimo la freschezza e l’esuberanza semprenuove che non ci abbandonano mai per tutto il movimento.L’adagio vive di un tenero lirismo, cullato sulle movenzeondeggianti delle terzine d’accompagnamento e del pizzi-cato dei bassi. Tutto si gioca su due temi molto individualie in un continuo, cortese invito dell’orchestra al solista, chesi presta volentieri a dispiegare più ampiamente gli spuntimelodici. Il caldo uso dei legni ammorbidisce ulteriormentei tratti di questo avvolgente canto. Molto galante e ammic-cante si presenta infine il rondò, che ripropone la separa-zione dei materiali già vista nel primo tempo. Il solista hadei temi tutti suoi, che riducono a pura funzione accompa-gnatrice l’orchestra che invece, per parte sua, sa trovare in

botte e risposte tra archi e fiati ampie ragioni di vivacità.L’alternanza tra maggiore e minore è più equa, in questomovimento, e sembra qua e là voler raggiungere una qual-che profondità espressiva. Ma si tratta solo di un gioco dispecchi, non c’è alcun indugio e la leggera varietà è tuttociò che conta, tanto che si sceglie di introdurre a metà delmovimento due frammenti, un andante in tono minore eun popolaresco allegretto in tono maggiore per portareancora più lontano la rincorsa che deve ripiombare nel gaiocerchio iniziale. Curiosa, e quasi sospesa, la leggera chiusaaffidata ai fiati, una strizzata d’occhio prima di dileguarsicon eleganza.

La tenebrosa figura del virtuoso geniale e demoniaco, ecces-sivo e sovrumano che Paganini inaugura e offre in pastoalle romantiche ansie di trascendentalismo, rimane, al di làdella colorita leggenda che gli fa da scorza, il nocciolo verodella sua personalità musicale. L’inquieto autodidatta geno-vese, che già da adolescente non aveva più nulla da impa-rare da nessuna delle grandi scuole violinistiche europee,sembra effettivamente sbocciato dal nulla con delle esigenzedel tutto nuove riguardo allo strumento prediletto (ma nondobbiamo dimenticare che egli non fu da meno sulla chi-tarra), pronto a vitalizzare (e a impressionare) la scena con-certistica europea con un inedito, esoterico carisma da soli-sta. La tournée che egli svolse tra il 1827 e il 1831 nelleprincipali capitali del vecchio continente non fu tuttavia solol’esibizione esteriore e circense dell’abilità prodigiosa di untalento fuori dal comune (come qualcuno, per alcuni versia buon diritto, la interpretò), ma anche, e soprattutto, laproposta del virtuosismo come strumento chiave di una pos-sibile trascendenza espressiva della musica.Così seppero leggerla alcuni giovani romantici come Liszt,Chopin e Schumann, portandola agli esiti indiscutibili chetutti conoscono e che mostrano come il virtuosismo – e giàquello di Paganini – sia una cosa seria. Questo tuttavia signi-fica anche che troveremo il Paganini migliore dove la spe-rimentazione tecnica informa l’idea musicale dall’interno,vitalizzando la capacità inventiva del compositore e offrendonuove vie e soluzioni alla costruzione musicale, senzasovrapporsi all’esistente e senza infarcire gratuitamente ilgià noto.I famosi Capricci per violino solo e le numerose variazionisu temi tradizionali costituiscono il capolavoro di questa(apparentemente) piccola ma significativa rivoluzione (il

Novecento pretenderà di reinventarla), che rinnova il lin-guaggio a partire dalla tecnica. Anche i Concerti per violinoe orchestra offrono numerosi esempi di questa riuscita, macon un equilibrio più problematico, data la necessità di con-frontarsi con una grande forma in sé complessa e già caricadella pesante eredità dei vertici assoluti del classicismo. Tro-veremo perciò in questi lavori delle pagine violinistiche diindiscutibile valore e interesse, spesso cucite però in unaforma un po’ discontinua sia per consequenzialità musicalesia per tono espressivo. Il ricco e impegnativo repertorio discale e arpeggi velocissimi, registri estremi, corde doppie etriple, pizzicati della mano sinistra, armonici, colpi d’arcovariegatissimi, non sempre ha un degno contraltare nel trat-tamento dell’orchestra e non sempre si fonde in un logicosviluppo del discorso musicale. I materiali impiegati talvoltamostrano un’esteriorità reciproca troppo marcata e l’urgenzaespressiva viene spesso incanalata in modo un po’ troppodisinvolto ora verso il sublime, ora verso il magniloquente,ora verso il popolaresco.L’allegro maestoso del Quarto concerto si apre con un temanobile e slanciato, di carattere energico e volitivo, cuirisponde una frase dolce e lirica, decisamente femminile,contrassegnata dall’impasto timbrico di violini e fagotti. Lastessa scelta timbrica caratterizzerà (un po’ discutibilmente)la risposta del secondo tema, una frase distesa e narrativacolorata dal caldo timbro dei legni. Lo scoppio energico ela distensione lirica diventano così i due registri su cui sigioca la vitalità dell’intero movimento, anche se i tasselliinseriti dalle prodezze pirotecniche del violino solista por-tano più volte il discorso verso toni inattesi, così come l’e-splosione melodica dei violini, all’inizio dello sviluppo (chetornerà più tardi per introdurre la cadenza), confonde ulte-riormente le carte. L’orchestra si rivela un deuteragonistapiuttosto sottomesso, tutto pizzicati e scarne formule diaccompagnamento, sotto il dominio della schiacciante supe-riorità virtuosistica del solista. La conclusione è un perento-rio lieto fine di una storia non completamente narrata. L’a-dagio propone una notevole movenza luttuosa iniziale, presaquasi di peso dalla Marcia funebre dell’Eroica di Beetho-ven, ma sull’intensità prevale presto l’esteriorità espressiva,con un gusto da suspence teatrale alla fine dell’introduzione.Lo spunto melodico iniziale è assolutamente struggente, maresiste a stento, poco dopo, alla convenzione e alla retorica.I momenti più intensi sono le progressioni in dialogo conil bellissimo amalgama scuro dell’orchestra che, verso la fine,conducono alla ripresa della melodia iniziale e quindi allacoda. Il rondò è una variante meno brillante e fortunata, ma

quasi altrettanto divertente e scorrevole della notissima“Campanella” che conclude il Secondo concerto. L’aggettivo“galante” la dice lunga sugli estremi che questo musicistapassionale pretende di far giocare sullo stesso tavolo conl’estro inventivo e la prodezza tecnica. Il gioco riesce meglio,al solito, quando non esagera nella coloritura a tinte forti enelle estremizzazioni stilistiche, mantenendo la spensiera-tezza un po’ svagata del tema melodico principale e lasciandol’enfasi drammatica alla furia virtuosistica, la sola che sa dav-vero reggerla.

Pietro Mussino